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Suore, preti e legati pii a servizio dell’ospedale
Assistenza e clinica nell’ospedale S. Francesco a Padova (secoli XVII-XIX)
le. Altre regole si imposero circa l’organizzazione della cucina e della dispensa attive all’interno dell’ospedale. Il vitto doveva essere di buona qualità, nella quantità definita. Il vino non era stato escluso dall’alimentazione dei pazienti. Contratti d’appalto di questo genere continuarono a essere sottoscritti almeno fino al 1866.
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Suore, preti e legati pii a servizio dell’ospedale
Un aspetto importante e assai significativo della vita del S. Francesco fu la costante presenza di un servizio religioso a favore di ricoverati. Questo non cessò affatto nell’ospedale nuovo, che continuò ad avvalersi di tale servizio. I religiosi chiamati a tale opera erano regolarmente salariati dall’amministrazione ospedaliera che non faceva, a tale riguardo, differenza alcuna tra laici ed ecclesiastici. Non fu mai messa in discussione la presenza di religiosi in ospedale che apparivano, nei libri contabili, come tutti gli altri impiegati dal nosocomio. Altra questione, finanziariamente assai più complicata, fu, invece, il coinvolgimento dell’ospedale nella gestione di lasciti testamentari che, spesso, comportavano anche taluni aggravi consistenti, appunto, nel sostegno di celebrazioni religiose. Contenziosi molto difficoltosi videro fronteggiarsi tra loro il vescovado cittadino, l’ospedale e il titolare di tali benefici. Si trattò quasi sempre di mansionerie, che si appoggiavano su risorse private, messe a disposizione, proprio per questo fine, da testatori particolarmente interessati alla salute dell’anima e non solo a quella del corpo. La loro storia svela un intreccio di interessi che si consumò per secoli dentro e fuori le mura dell’ospedale. Molto spesso a creare difficoltà erano cappellanie istituite nei primi decenni di vita del S. Francesco, che sostenevano con continuità l’esercizio della funzione religiosa in ospedale o in altri luoghi pii. Il 10 luglio 1439, Giovanna Beccaria, vedova di Raffaele Fulgosio, aveva fondato, attraverso propria disposizione testamentaria, una cappellania presso la chiesa par-
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rocchiale di S. Nicolò, che prevedeva la celebrazione di messe, l’alloggio e il sostentamento del sacerdote titolare di tale beneficio. In età austriaca, dopo molti secoli, era sorto un contenzioso riguardante il numero di messe da celebrare; la faccenda si era potuta risolvere solo grazie all’intervento del vescovo di Padova, Modesto Farina, che con proprio decreto aveva disposto la riduzione del numero di messe da celebrare
può avere luogo la riduzione delle messe in origine prescritte, noi muniti dell’apostolica facoltà delegataci, ed a termini dell’enciclica nostra primo dicembre 1821, colla quale abbiamo portato la limosina normale delle messe a venete £. 2.10, ordiniamo che in adempimento degli obblighi inerenti alla cappellania stessa, la di cui annua rendita risulta in austriache £. 247,17, calcolate pari a ducati d’oro numero 30, disposti dalla testatrice, oltre l’uso di una casa pel cappellano, sieno complessivamente celebrate annue messe numero 180 con la limosina di austriache lire 1,44, salvo il diritto alla fabbriceria di esigere dallo stesso civico ospedale austriache lire 17,75 pel mantenimento di sacri arredi, ingiungendo al cappellano di assistere nella cura delle anime in dipendenza del parroco la detta parrocchia82 .
L’intervento del vescovo fu risolutivo: il rispetto di disposizioni testamentarie vecchie di secoli dovette comportare non poche difficoltà, soprattutto dopo la caduta della Repubblica, quando tutto cambiò in modo piuttosto radicale. Il vescovo rispettò la volontà della testatrice e si limitò a riformulare gli obblighi legati alla cappellania nella Padova austriaca. E poi non erano mutati solo assetti istituzionali e vita sociale, ma lo stesso beneficio era transitato nel patrimonio dell’ospedale che, pertanto, si trovò obbligato alla sua esecuzione. Era stata da poco soppressa la Scuola della carità di Padova, che aveva curato il lascito di G. Beccaria e, così, alcuni dei beni già amministrati dalla Scuola, erano transitati nell’amministrazione dell’ospe-
82 ASPd, Ospedale San Francesco, b. 1247, carta sciolta data 4 luglio 1832, raccolta nel fascicolo identificabile col n. 1703.
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dale cittadino, che non era stato soppresso83. In un prospetto dei beni lasciati alla soppressa Scuola di carità, rappresentata dall’ospedale civile, da G. Beccaria in base all’estimo generale del 31 ottobre 1545 che è «unica traccia dimostrativa la presente facoltà» si certificò che la rendita complessiva era pari a lire italiane 1100,403 sulla quale pesavano aggravi per £. 482,125 e così restavano a beneficio dei poveri 618,275 lire italiane84 .
Nella stessa posizione archivistica, in base a un altro prospetto, redatto a legittimazione di quello preparato dalla ragioneria della Congregazione di carità, riguardante i beni lasciati alla Scuola della carità, passati all’amministrazione ospedaliera, da G. Beccaria, il reddito complessivo fu quantificato in 2464,242 lire, avendo preso in considerazione altri 48 campi a Polverara non conteggiati nell’altro documento. Gli aggravi erano pari a 1386,730 lire l’anno per cui a beneficio dei poveri avanzavano in cassa 1.077,512 lire. Tra gli esborsi, il maggiore fu per il pa-
83 Ciò era avvenuto in esecuzione dei decreti di soppressione voluti dall’amministrazione francese tra il 1806 e il 1810 che avevano colpito l’asse ecclesiastico in maniera sistematica. Se si trattò di razionalizzazione o di rior dino della proprietà ecclesiastica oppure di un disegno strategico, mirante a ridimensionare per quanto possibile presenza e peso economico della Chiesa, non è facile dire. Che in questi anni si siano manifestati atteggiamenti francamente offensivi nei confronti delle istituzioni religiose è stato largamente dimostrato, ma tali isolate manifestazioni antiecclesiastiche poco o nulla ebbero a che fare con la politica ecclesiastica del tempo. L’asse ecclesiastico e il numero dei religiosi erano diventati sempre più un impedimento al progresso economico e sociale che già in età veneziana si stava sviluppando. Provvedimenti che possono avere suscitato riserve e che talvolta continuano a destare atteggiamenti assai critici, devono invece essere compresi all’interno di uno scenario più ampio che, in questo caso particolare, ne spiegano e per molti giustificano, l’attuazione. Così si è fatto da Mirella Calzavarini, La vendita dei beni nazionali nei dipartimenti veneti dal 1806 al 1814, in Veneto e Lombardia tra rivoluzione giacobina ed età napoleonica. Economia, territorio, istituzioni, a cura di Giovanni L. Fontana e Antonio Lazzarini, Laterza, Roma-Bari, 1992, pp. 133-163 e da G. Silvano, Dopo il crollo della Serenissima. Proprietà ecclesiastica e rivoluzione in area veneta, in L’età rivoluzionaria e napoleonica in Lombardia, nel Veneto e nel Mezzogiorno: un’analisi comparata, a cura di Antonio Cestaro, Edizioni Osanna, Potenza, 1999, pp. 203-228. 84 Il prospetto è senza data e appartiene a ASPd, Ospedale San Francesco, b. 1247, fasc. 1551 dell’amministrazione dello spedale civile di Padova.
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gamento delle imposte prediali e per il legato della messa quotidiana nella chiesa di S. Nicolò in ragione di £. 1,25 per messa cui se ne aggiungevano 15,23 per spese di manutenzione85. Il contenzioso era sorto nel 1818 e solo nel 1833 fu risolto in modo definitivo, avendo stabilito di gravare l’ospedale per 247,17 lire l’anno86. La commissaria istituita da Francesco Negri Varotari il 30 maggio 1502 ebbe una storia del tutto simile. Già nell’amministrazione dalla Scuola della carità, era anch’essa transitata in quella dell’ospedale, che si trovò in tal modo obbligato a corrispondere a un cappellano il compenso per la celebrazione di messe nella chiesa del Torresino87. Soddisfare queste obbligazioni era per l’ospedale un impegno soprattutto di carattere amministrativo, ampiamente compensato dal fatto che tali mansionerie erano dotate di una rendita ben superiore all’importo da impegnarsi per il pagamento di questi benefici. Altre questioni sorsero alcuni anni dopo, quando era vescovo della città Federico Manfredini. A occupare la cappellania Zoella istituita presso l’ospedale, era stata chiamata persona che per esplicita ammissione non era ancora entrata nell’ordine sacerdotale. Fu pertanto trovato un sostituto che poté assicurare il servizio fino a quando un altro religioso avesse potuto assumere il beneficio senza limitazioni. Il che avvenne il 22 maggio 1857.
In precedenza gli obblighi della cappellania erano stati osservati con sufficiente continuità: dal primo gennaio 1837 al 19 settembre 1848, a fronte di un totale di 834 messe festive e di 1605 feriali, ne risultarono non officiate solo 154 festive. Due-
85 Quanto alla mansioneria i conti tornano. Le imposte erano con l’arrivo dell’amministrazione austriaca molto cambiate rispetto sia a quelle veneziane sia a quelle francesi. Per mettere a fuoco le modifiche più rilevanti è da vedere Giovanni Silvano, Profili della fiscalità austriaca dal 1814 al 1866, in Il Veneto austriaco 1814-1866, a cura di Paolo Preto, Padova, Signum Editrice, 2000, pp. 101-117. 86 C’è un prospetto di liquidazione della pratica firmato l’11 gennaio 1833 e preparato dalla ragioneria dell’ospedale (ASPd, Ospedale San Francesco, b. 1247, fasc. Imperiale regia delegazione). 87 Per l’ufficiatura di questa cappellania furono messe a disposizione 558 lire venete, corrispondenti a 371,479 lire austriache. Non risulta che vi sia stato contenzioso alcuno a riguardo.
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centotto erano le messe da celebrarsi ogni anno, con qualche piccola oscillazione, mediamente 70 festive all’anno88. Lo stesso direttore dell’ospedale il 24 dicembre 1852 aveva preparato un accurato mansionario che il cappellano avrebbe dovuto scrupolosamente seguire. Fissato l’orario estivo e invernale delle messe feriali, si precisò che la messa festiva doveva essere celebrata alle 11 esatte, perché officiata anche per gli impiegati dell’ente. Erano poi da considerarsi festive le messe ricorrenti in occasione di festività soppresse, come nel caso della Beata Vergine della Neve cui era intitolata la chiesa dell’ospedale. L’elemosina corrisposta dall’amministrazione era pari a 3 lire per la messa festiva e a 2,10 per quelle feriali. In caso di infermità o di impossibilità a celebrare la messa, il cappellano investito del beneficio era tenuto a trovare un sostituto, affinché la messa fosse in ogni caso celebrata, secondo la volontà di Lucrezia Bonato Zoella che aveva appunto istituito la mansioneria. Infine il cappellano era tenuto a tenere in sagrestia buona nota delle messe celebrate su un registro particolare, che in un secondo momento sarebbe servito per la liquidazione del dovuto89. Poco, quasi nulla, fu lasciato scritto della cappellania Tramarin. Il sacerdote aveva l’obbligo di celebrare 115 messe nei giorni festivi, secondo quanto aveva stabilito un decreto della curia vescovile del 29 ottobre 1800. Non poteva rinunciare per alcun motivo all’incarico e tantomeno non osservare scrupolosamente l’impegno, se non avesse trovato un sostituto; sarebbe stato liquidato trimestralmente dall’amministrazione ospedaliera sulla base di documentazione certa. Questo mansionario era stato predisposto in cancelleria della presidenza del pio ospitale il 20 giugno 180590 .
88 ASPd, Ospedale San Francesco, b. 1247, fasc. Mansioneria Zoella. Il documento è una liquidazione delle messe che il reverendo cappellano pro tempore della mansioneria Zoella deve celebrare nel tempietto dell’ospitale. 89 ASPd, Ospedale San Francesco, b. 1247, fasc. Mansioneria Zoella, «Discipline da osservarsi dal cappellano pro tempore della mansioneria Zoella, consistente nella celebrazione di messe 208 all’anno nel tempietto dello spedale civico di Padova». 90 ASPd, Ospedale San Francesco, b. 1247, fasc. Cappellanie mansionerie.