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Ospedale e cliniche dopo la riforma

Assistenza e clinica nell’ospedale S. Francesco a Padova (secoli XVII-XIX)

volontarie o provenienti da altri comuni, come dozzinanti. Le degenze straordinarie non furono annotate, anche se potevano essere individuate. Alcuni giorni di degenza legittima o illegittima potevano essere straordinari.

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Ospedale e cliniche dopo la riforma

Un rapporto così intenso tra ospedale e cliniche dette luogo a una serie piuttosto cospicua di contratti o di convenzioni che ne regolarono, appunto, i rapporti. Il 16 marzo 1882 si era stipulato un accordo per il mantenimento delle cliniche destinato a durare per un decennio114. Si fissarono il calendario accademico e assistenziale, i locali dati in locazione all’università, i costi del vitto dei ricoverati e in generale tutto quanto concorreva alla conduzione delle cliniche considerate come reparti ospedalieri di cura. Per i medicinali, le cliniche dovevano attenersi a quanto stabilito nel Catalogo di medicinali e Formulario delle preparazioni in uso presso l’ospedale115. Il personale infermieristico presso le cliniche era fornito dall’amministrazione ospedaliera e da questa «pagato per conto erariale e verso rimborso». Si specificò pure il numero limite per anno di degenze presso le cliniche medica, chirurgica e oculistica e si suddivisero i pazienti in ordinari e straordinari. Tra i primi si contarono i già ricoverati in ospedale, sia poveri sia dozzinanti, chi si fosse presentato direttamente in clinica con obbligazione propria al pagamento o del comune di residenza e chi fosse stato accolto in clinica «in mancanza di documenti d’obbligo per l’urgenza del pericolo nel rimando»116. Molta attenzione fu anche po-

114 BCPd, B.P. 5507, Contratto per il mantenimento delle regie cliniche concordato il 16 marzo 1882 fra la R. Università e l’Ospedale civile di Padova, Padova, Tipografia Randi, 1886. 115 BCPd, B.P. 5507, art. VII. L’articolo in questione stabiliva pure che il prezzo dei medicinali era quello determinato nel listino della casa Carlo Erba di Milano. 116 BCPd, B.P. 5507, art. XXIX. Il numero delle degenze doveva rimanere entro 17.200 giornate: 15.500 erano di degenza ordinaria e 1.700 di straor-

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sta nel determinare l’ammontare dello scomputo a favore delle cliniche per i malati sia ordinari sia straordinari, sempre quando fosse stato possibile ottenere il rimborso della retta a favore dell’ospedale. Se tale rimborso fosse apparso inesigibile, l’ospe dale non era tenuto a fare lo scomputo. Norme particolari regolavano la clinica ostetrica: si potevano accogliere donne per un totale di giornate di presenza non superiore a 3.400. Al contratto erano allegati una tabella dietetica, una dei prezzi del bucato della biancheria occorrente, un riepilogo degli oggetti di biancheria, da letto e di vestiario, una tabella dei letti di ferro e di noce, un prospetto del bilancio preventivo delle cliniche e altro ancora.

Il 14 luglio 1892 si concordò un nuovo contratto sempre per il mantenimento delle cliniche tra l’università e l’amministrazione ospedaliera, che fu in seguito approvato dal governo il 18 novembre dello stesso anno, registrato alla Corte dei conti il 17 dicembre e all’Ufficio di Padova il 7 gennaio 1893117. Fissate le norme di apertura e chiusura delle cliniche, l’accordo stabilì che la sezione ostetrica era tenuta a osservare una tempistica diversa: essa doveva funzionare dal 21 novembre al 31 luglio a spese dell’università, dal primo agosto al 20 novembre poteva operare come ospizio di maternità, se comune e provincia ne avessero assunto l’intero onere. Il costo dell’affitto dei locali di proprietà ospedaliera, occupati dalle cliniche, era a carico dell’erario per una somma, provvisoriamente indicata, in 2.000 lire annue. La manutenzione di detti locali gravava sia sull’ospedale sia sull’erario, che doveva prendersi cura delle stufe. L’art. 4 è tra i maggiormente rilevanti perché mise in relazione il profilo del paziente con l’individuazione dell’obbligato al pagamento della retta.

dinaria. Le degenze straordinarie erano decise direttamente dai direttori delle cliniche senza dichiarazione d’urgenza e in assenza di ogni obbligazione al pagamento. Si stabilì che in clinica chirurgica e oculistica il numero di queste degenze fosse pari a 750 giornate, rimanendone alla clinica medica solo 200. 117 Il testo di questo importante accordo di 34 articoli e 11 allegati è in AGAPd, Atti del Rettorato, b. 28, posiz. 19.

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Chi era accolto nelle cliniche universitarie poteva essere un malato ordinario, dozzinante o straordinario. Al primo gruppo appartenevano i pazienti poveri del comune di Padova, quelli che erano coperti da altro comune e chi pagava in proprio; al secondo quelli che per obbligazione propria o del rispettivo comune erano tenuti ad accreditare all’ospedale di Padova una somma giornaliera superiore a quella dovuta dagli appartenenti al primo gruppo. Infine, i pazienti straordinari erano i poveri o gli sconosciuti che, accolti in clinica, erano a totale carico dell’erario118. In quest’ultimo caso si trattava di donne malate, povere o sconosciute, accolte in ostetricia, o sconosciute ammesse in ginecologia. Anche in questo caso, l’amministrazione s’impegnava a ottenere il pagamento della retta da parte o delle interessate o dei rispettivi comuni, per procedere in seguito al previsto scomputo all’erario, secondo la tariffa prevista per i malati ordinari. Quest’accordo riconosceva ai direttori delle cliniche la facoltà di scegliere i propri pazienti, tenendo conto anche delle necessità didattiche. Il direttore della clinica ostetrica e ginecologica poteva pure incassare l’importo della retta ospedaliera, che in seguito avrebbe trasferito all’ospedale per lo scomputo. Molta cura fu posta nel determinare i costi delle diete dei pazienti suddivise in ordinarie e straordinarie: le prime comprendevano una dieta austera, fatta di solo brodo, una d’uscita e altri cinque tipi di regime alimentare; quelle speciali seguivano il medesimo schema119. Diete, medicinali e applica-

118 Per le prime due categorie di ricoverati il regolamento aveva proposto un meccanismo di riparto degli oneri in base al quale, fissata una tariffa giornaliera, quando fosse stata pagata all’ospedale o dal comune o dal paziente, allora l’ospedale abbonava all’erario, tenuto al pagamento della retta dei pazienti clinici, una certa somma corrispondente alla differenza tra la tariffa ospedaliera e quella che l’erario avrebbe dovuto assicurare. Nel primo caso la tariffa era pari a 1,88 lire, nel secondo a 3 lire. L’abbuono o lo scomputo era pari a 1,218 e a 2,338 lire (art. IV). 119 Tutte queste diete indicavano con precisione l’alimento, la quantità e il costo a carico dell’erario. Fanno parte integrante dell’accordo costituendo gli allegati A e B. Si prevedeva anche la preparazione di cibi particolari e in questo caso il riferimento era all’allegato C che fissava i costi unitari di ciascun alimento.

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zioni particolari erano a carico dell’erario. I farmaci erano stati posti in un elenco sulla base del listino della ditta Erba di Milano, chiarendo che «tutte le ordinazioni di sostanze non comprese nel predetto allegato D saranno fatte dai direttori clinici senza il concorso della farmacia dell’ospedale, prelevando la relativa spesa sulla somma assegnata alla rispettiva clinica all’art. 15»120. Il finanziamento erariale dell’attività clinica passava sempre attraverso la mediazione dell’ospedale che introitava i rimborsi statali.

Una forte sinergia tra ospedale e cliniche fu sempre attiva sulla gestione del personale infermieristico e delle suore. L’amministrazione, su richiesta dei direttori, li forniva e li pagava, ma poi pretendeva di essere rimborsata dalle cliniche medesime. Alla fine questo personale era a carico dello Stato. Anche per i facchini delle cliniche la posizione non era diversa. L’ospe dale incassava anche dall’erario una somma forfettaria per le spese di amministrazione, che esso sosteneva a beneficio delle cliniche. L’importo era pari a 3.100 lire l’anno. Inoltre l’amministrazione ospedaliera svolgeva il servizio di cassa per conto dell’università, non solo per il pagamento del personale infermieristico e assimilato, ma per tutto ciò che interessava l’ordinario funzionamento delle cliniche. Il nosocomio s’impegnava a trasmettere al rettore ogni mese due prospetti di spesa: il primo relativo ai medicinali, il secondo al numero delle presenze, spese di vitto, alloggio, biancheria, bucato e altro ancora. In tal modo l’ospedale figurava come creditore verso l’erario, obbligando al pagamento l’università medesi-

120 Art. IX. L’art. XV disponeva a carico dell’erario una dotazione per ciascuna delle quattro cliniche, oscillante tra 10.000 e 17.000 lire l’anno per le spese di vitto e cucina, di medicinali, di biancheria, di bucato, d’illuminazione, di riscaldamento e di oggetti minuti. Solo il numero delle presenze nelle cliniche rimaneva indeterminato. Dal 1892 vigeva una Farmacopea ufficiale del Regno alla quale l’ospedale di Padova intese riferirsi avendo approvato il 29 settembre 1896 il Catalogo dei medicinali e formulario adottati per le divisioni dell’ospitale civile di Padova (BCPd, B.P. 5482).

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ma121. In quest’accordo comparivano altre disposizioni miranti a contenere i costi dell’attività clinica entro limiti sostenibili. Non si poté superare la somma di 500 lire per i medicinali da somministrare presso l’ambulatorio della clinica dermosifilopatica, e le cliniche pediatrica e psichiatrica erano tenute a non reclamare contributi maggiori del normale per motivazioni scientifiche. Infine si stabilì che nelle cliniche medica, chirurgica e oculistica potevano essere accolti malati straordinari solo se la conduzione dell’anno precedente avesse dato luogo ad avanzi di gestione.

Il rapporto tra l’amministrazione dell’ospedale civile e le regie cliniche non mancò di far registrare momenti di acuta tensione. Non era certo in discussione la funzione della clinica come luogo di studio, ricerca e assistenza, quanto la necessità di contenerne i costi di funzionamento, che andavano ben oltre la mera fornitura di locali o di materiale vario, comprendendo il pagamento della degenza dei malati, che non era a carico dell’università. Esisteva una vera e propria convenzione a questo fine, stipulata già il 23 febbraio 1898 sulla falsariga di quella del 1892, ma la costatazione di avere ricoverato un numero maggiore di pazienti di quello previsto presso la clinica oculistica, allora diretta da Giuseppe Albertotti, aprì un contenzioso con l’amministrazione ospedaliera. Dalle 16 presenze giornaliere concordate, si era passati a 20, con ciò causando un incremento delle giornate di ricovero pari a 7.811 unità, conteggiando dal momento della firma della convenzione a tutto il 1907. Per questo l’università dovette girare all’ospedale 11.716,50 lire, spingendo Albertotti a chiedere una nuova convenzione, in seguito stipulata e presentata al rettore il 6 agosto 1909122. Era già stata raccolta la deliberazione della Com-

121 «I pagamenti dei crediti derivanti all’amministrazione spedaliera verso il regio erario dal presente contratto saranno eseguiti dalla regia università o dal regio ministero con anticipazioni trimestrali di 12.500 lire cadauna, scadenti il primo giorno di ogni trimestre dell’anno solare» (art. XXX). 122 AGAPd, Atti del Rettorato, b. 51, posiz. 59b «io reclamerei a favore della clinica oculistica la reintegrazione della summentovata somma», lettera del primo giugno 1908 di Albertotti al rettore Polacco. L’amministrazione

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missione provinciale di assistenza e beneficenza e, quindi, toccava all’ateneo adoperarsi affinché il Ministero della Pubblica Istruzione approvasse il medesimo atto. Il 9 novembre, in altra lettera al rettore da parte dell’ospedale, ci si rammaricava non poco del fatto che a distanza di quattro mesi si fossero affacciate difficoltà

tali da pregiudicare indubbiamente vitali interessi di questa opera pia, la quale dedicò particolare ed amorevole cura per non ostacolare dal canto suo il regolare funzionamento delle cliniche [...] non sarà in grado per primo gennaio p.v. di avere il contratto approvato e di poter di conseguenza esigere quanto di diritto le compete123 .

Il Ministero rispose il 30 ottobre, osservando di avere bisogno della bozza del contratto e di una particolareggiata relazione circa l’aumento del 22%, inserito nella nuova convenzione, del costo delle diete, dei farmaci e di altro ancora, assicurando nel frattempo che si sarebbe arrivati a una rapida approvazione. Il 12 novembre il presidente dell’ospedale civile, Maurizio Moisè Wollemborg, inviò all’amico Polacco un biglietto riservato ove, profilando la necessità di dover sottoporre le quattro cliniche maggiori all’autorità tutoria, non mancò di osservare che

tutto questo, illustre professore, ho desiderato comunicarLe perché Ella voglia far comprendere al Ministro della Pubblica Istruzione che la situazione è assai grave e che dopo tutto non noi, del Consiglio spedaliero, ma il Ministero stesso deve avere a cuore il normale e proficuo andamento degli studi.

Dieci giorni dopo, il ministro Luigi Rava, in un telegramma al rettore Polacco, dichiarava di attendere a breve l’approvazione

ospedaliera si mostrò disponibile a sottoscrivere un nuovo contratto, senza dimenticare di annotare che «il prof. Albertotti si assume di curare tutti gli ammalati ospitalieri con il suo personale sanitario». 123 La lettera denuncia il ritardo ministeriale, senza però dire con chiarezza se tale indugio fosse almeno in parte imputabile all’ateneo padovano (AGAPd, Atti del Rettorato, b. 51, posiz. 59a).

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