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Ospedale e cliniche a Padova di fronte alla riforma
Assistenza e clinica nell’ospedale S. Francesco a Padova (secoli XVII-XIX)
Ospedale e cliniche a Padova di fronte alla riforma
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Quando fu emanato il provvedimento di Crispi in tema di assistenza sanitaria, l’ospedale di Padova operava secondo uno statuto del 1874, in virtù del quale si dovevano ammettere alla cura gratuita, nei limiti delle proprie capacità finanziarie, i poveri del comune di Padova affetti da malattie curabili, non croniche e nemmeno contagiose. Già negli anni precedenti l’ospedale prestava le proprie cure ai poveri della città, tanto che dal 1869 l’amministrazione tenne un registro specifico per conteggiare tali presenze. Considerando l’anno 1872 i poveri presenti presso il nosocomio erano stati complessivamente 2.009; anche se molti potevano essere stati dimessi e poi nuovamente ricoverati, tuttavia il numero degli indigenti accolto presso l’ospedale era molto elevato. Per molti di questi la durata del ricovero era stata assai lunga, talvolta anche l’intero anno, degenza interrotta quasi sempre dalla morte. Qualcuno soffriva di scabbia o di sifilide6. Ricoverava inoltre ogni infermo, senza tenere conto della residenza del medesimo, purché in grado di provvedere al pagamento della retta e, infine, ogni malato bisognoso di assistenza urgente7. Il nosocomio ospitava le cliniche, amministrava l’ospedaletto delle Terme ad Abano, funzionante grazie al testamento di Giovanni Dondi dall’Orologio del tre gennaio 1789, provvedeva all’allestimento di lazzaretti, infermerie provvisorie e alla somministrazione di medicinali a domicilio. La rendita proveniente dal proprio patrimonio ne garantiva l’operatività. A favore di malati contagiosi, sifilitici, scabbiosi, tignosi, vaiolosi, tifosi, colerosi, idrofobi, di mentecatti e di
6 ASPd, Ospedale civile, b. 2352. Registro degli ammalati poveri a carico dello Spedale. Anno 1872, 1873. 7 BCPd, B.P. 24 1595, Statuto organico dello spedale civile di Padova, Padova, Tipografia Penada 1875, artt. 1-3. Le circostanze che portarono alla nascita del Consiglio d’amministrazione dell’Ospedale civile sono chiarite da Donatella Corchia, Carte da riscoprire: l’archivio ottocentesco dell’Ospitale Civile di Padova, «Archivio Veneto», Anno CXXXVI, V serie, n. 200, pp.113137, Padova, Deputazione di storia patria per le Venezie, 2005. L’autrice traccia pure un’interessante storia delle carte dell’archivio dell’ospedale.
Verso la grande riforma: l’ospedale istituto pubblico di assistenza
donne gravide illegittimamente, il consiglio dell’ospe dale e le autorità competenti potevano deliberare aiuti speciali8. In attesa che la Congregazione di carità entrasse nel pieno delle proprie funzioni, amministrava diverse commissarie e legati: Fontaniva, Dal Fiume, Capodilista, Volpe e Ceroni.
Esso continuò a prestare soccorso anche ai poveri, secondo il proprio statuto, la volontà dei fondatori e la stessa legislazione nazionale9. Il provvedimento crispino era inteso non a variare la mission delle diverse opere pie attive nel Regno, ma a modificarne la natura giuridica che, diventando pubblica, apriva la porta a una pur blanda forma di controllo esercitata dello Stato. La Giunta provinciale amministrativa doveva controllare il funzionamento del nosocomio. Tale importante normativa riconfermava, all’art. 94, il diritto del comune, ove operava l’ospedale, al rimborso, da parte dei comuni di residenza dei pazienti, delle spese di ospedalizzazione di degenti poveri, come, peraltro, avveniva da qualche tempo. Il comune era tenuto alla copertura delle spese del ricovero, ma non a quelle della somministrazione di farmaci al domicilio dei poveri. Si riconosceva l’autonomia di ogni ente, senza esigere da ogni ospedale prestazioni sanitarie minime uniformi su tutto il territorio nazionale. La normativa, inoltre, forse con un certo grado d’inconsapevolezza, introduceva un elemento importante, ricorrente in ogni successivo accordo tra ospedale e università. L’art. 98 statuì l’obbligo da parte del nosocomio di fornire alle cliniche non solo i locali necessari, ma anche i malati e i cadaveri utili all’insegnamento e decretò che fosse dovuta all’ospedale un’indennità equivalente alla differenza fra le maggiori spese sostenute per tale servizio e quelle che avrebbe affrontato, se non avesse dovuto provvedere al servizio didattico, procurando, appunto, pazienti e cadaveri. In pratica all’ospedale era dovuto un indennizzo pari all’incremento delle spese derivante da questa pre-
8 Art. 10. 9 Sulla legislazione crispina G. Silvano, Pathways to the Contemporary Italian Welfare State, in Reciprocity and Redistribution. Work and Welfare Reconsidered, a cura di Gro Hagemann, Pisa, Edizioni Plus, 2007, pp. 23-42.
Assistenza e clinica nell’ospedale S. Francesco a Padova (secoli XVII-XIX)
stazione aggiuntiva. Il titolo VII della legge fu pure considerevole, avendo definito il domicilio di soccorso. Tale istituto fissava le regole in base alle quali un cittadino poteva reclamare il proprio diritto a cure ospedaliere gratuite, o meglio, a carico del proprio comune di residenza. La legge determinò una certa competenza passiva del comune, tenuto al rimborso delle spese di degenza, o, nel linguaggio di fine Ottocento, all’obbligo di provvedere alla beneficenza, divenuta ormai obbligatoria.
Questa normativa, che aveva stabilito di non noverare più tra le opere pie quelle a fine di culto, aprì un acuto contenzioso tra Stato e Chiesa, che trovò soluzione solo nel 1929, non avendo incontrato, per il resto, particolari ostacoli in fase di applicazione. Per oltre 60 anni dall’entrata del Veneto nel Regno, l’ospedale, che pure si era, per così dire, trasformato da opera pia a istituzione pubblica, continuò a godere di una certa autonomia amministrativa, gestionale e finanziaria, dovendo solo dare conto della propria attività, soprattutto finanziaria, alla Congregazione di carità e, in ultima istanza, al Ministero dell’Interno. Il ricovero era obbligatorio solo per i malati in fase acuta di malattia, per i pazienti affetti da patologie croniche, contagiose o curabili a domicilio, non era stata prevista alcuna ospedalizzazione. Ancora per molti anni si rimase fedeli a una logica di contrasto dei rischi derivanti da malattia legata allo stato del cittadino, non ancora a un contratto assicurativo obbligatorio, com’era avvenuto in altri paesi europei e come sarebbe avvenuto nelle politiche previdenziali del costituendo stato sociale italiano. La sicurezza sociale in campo sanitario non fu perseguita da Crispi seguendo l’esempio bismarckiano, che invece adottò contro i rischi connessi agli infortuni sul lavoro, alla vecchiaia e all’invalidità10 .
Un caso rilevante, notevole anche per la storia dell’ospedale civile, è la vicenda del Fatebenefratelli a Padova, anch’esso sottoposto alla normativa crispina11. L’istituzione della pia
10 Fulvio Conti, Gianni Silei, Breve storia dello Stato sociale, Roma, Carocci, 2005, pp. 39-54. 11 La storia della pia opera Fatebenefratelli a Padova si basa sul saggio di Pietro Borgonzoli, L’azione dello spedale Fatebenefratelli di Padova nelle
Verso la grande riforma: l’ospedale istituto pubblico di assistenza
opera si fa risalire agli anni 20 dell’800; riconosciuta il 12 giugno 1824, fu collocata nel convento dei padri ospedalieri, ove potevano essere ricoverati solo pochi ammalati. Per alcuni anni essa poté contare sulle rendite di questi ecclesiastici e sulla carità privata, ma dal 1862, quasi 40 anni dopo la fondazione, iniziarono a sorgere serie difficoltà soprattutto d’ordine finanziario. Fecero fronte alla situazione Silvestro Camerini e il comune cittadino per l’ente, evitandone la chiusura. Anche gli anni seguenti furono difficili per l’ente, ma si riuscì a evitarne la soppressione. Il punto di svolta venne con la pubblicazione nel 1890 della legislazione crispina sulle opere pie che, se si fossero trovate in difficoltà finanziarie rilevanti, tali da compromettere il raggiungimento degli scopi per i quali erano state istituite, potevano o rimanere autonome o fondersi nella Congregazione di carità, oppure, infine, unirsi con altra simile opera. Per fare fronte alle difficoltà del Fatebenefratelli si scelse di unirlo al l’ospedale, dopo che i Padri furono allontanati dal l’istituto. Con ciò vennero anche meno le rendite legate alla loro presenza, ma il Fatebenefratelli riuscì in ogni caso a disporre di un’entrata che ne consentì il funzionamento. L’ospe dale era
sue vicende. Cenni storico-critici e considerazioni sul futuro suo indirizzo, Padova, P. Prosperini, 1902. L’autore prestava con l’incarico di chirurgo primario la propria opera professionale presso l’ente che egli stesso descrive. Il suo intervento s’inserisce in un pubblico dibattito sulle sorti della pia istituzione. La provincia Lombardo-Veneta della Congregazione dei Fatebenefratelli aveva istituito un convento a Padova per ospitare i propri religiosi che studiavano medicina presso l’Università. Questa iniziativa era stata sostanzialmente imposta dalle autorità asburgiche che nel settembre del 1817 avevano vietato ai Fatebenefratelli di istituire autonomi corsi di medicina all’interno dei loro ospedali e avevano ordinato che tutto il personale sanitario della Congregazione frequentasse le due università del regno Lombardo-Veneto, Padova o Pavia. Il governo di Vienna aveva di conseguenza promosso l’istituzione del convento a Padova per favorire l’ospitalità di futuri studenti, appartenenti ai Fatebenefratelli, nel rispetto delle regole della Congregazione. Già nell’ottobre del 1817 era stato ordinato al governo centrale di Milano di reperire i fondi necessari a sostenere il nuovo convento, ma solo nel 1824 si arrivò alla concreta apertura del nuovo istituto. Per tutta questa vicenda si veda Adalberto Pazzini, Assistenza e ospedali nella storia dei Fatebenefratelli, Torino, Einaudi, 1956, in particolare pp. 97 e 482-485.