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Prigionia da Lero
Prigionia da Lero
Il capitano di corvetta Bruno Margarucci Riccini comandava l’Isola di Stampalia, dove erano circa 500 marinai. Dopo l’arrivo, il 20 settembre, di un contingente britannico fu sostituito dal capitano di corvetta Vittorio Daviso di Charvensod, comandante della 1a Squadriglia Motosiluranti, che aveva perso la sua unità per affondamento.(166) Il comandante Margarucci fu trasportato, il 24, a Lero da un mezzo britannico e prese parte alla difesa dell’isola. Fatto prigioniero, fu portato al quartier generale tedesco, dove già si trovavano il generale britannico Tilney e il capitano di vascello Baker sotto interrogatorio. Successivamente fu la volta dell’ammiraglio Mascherpa e, quindi, tutti furono portati in una casa greca con due sentinelle alla porta. Il 21 novembre fu imbarcato sul mercantile Schiaffino, che salpò alle 12 e portò 2700 prigionieri al Pireo, dove giunse verso le 13 del 22. Fu condotto nel campo di smistamento di Atene. Il 6 dicembre, su una tradotta sulla quale la gran parte dei prigionieri provenivano da Lero, partì per la Germania, dove giunse il 22 a Versell (Westfalia); il 12 gennaio 1944 era a Sidice, poi dal febbraio a Tschenstochau, il 13 agosto a Norimberga, il 6 febbraio 1945 a Gross Hesepe (liberato il 6 aprile), dove rimase fino al 4 settembre, giungendo ad Ancona il 12 settembre 1945.
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Va ricordato che la prigionia non ebbe termine con la cessazione delle ostilità, ma che alcuni prigionieri rimasero in Germania, in attesa del rientro, fino ad autunno inoltrato. Inoltre, al momento dell’abbandono del controllo dei campi da parte dei tedeschi e l’arrivo degli Alleati liberatori si verificarono situazioni confuse che provocarono l’uccisione di ex prigionieri italiani sia da parte di SS e ligi soldati tedeschi, sia da parte dei russi. Nella strage di Treuebrietzen, a sud di Berlino, il 23 aprile 1945, furono uccisi 117 prigionieri, usciti dal loro campo, presso alcune fabbriche, abbandonato dal personale di guardia e incontrati per caso da un reparto tedesco in ritirata. Fra essi anche 18 marinai, per la maggior parte catturati a Venezia. Uno dei sopravvissuti che raccontò il fatto era un marinaio.
(166) Stampalia fu catturata dai tedeschi il 22 ottobre, e il comandante Daviso fu fatto prigioniero, con gli altri ufficiali e portato in aereo ad Atene e, quindi, in campo di concentramento in Germania.
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Anche la liberazione finì per presentare inconvenienti e nuove frustrazioni. Dato l’alto numero di prigionieri presenti nei campi, era difficile trovare altre sistemazioni che non fossero… i campi stessi. Così coloro che avevano lasciato i campi, perché ormai incustoditi, spesso vi ritornarono per decisione delle truppe liberatrici. Ancora più traumatica fu la situazione per i prigionieri dei campi posti nella Germania orientale, dove la “liberazione” da parte dei russi non fu altro che una nuova prigionia, spesso anche più pericolosa della precedente. Le truppe russe che raggiunsero per prime i campi di prigionia erano, in genere, truppe di prima linea formate da asiatici (mongoli, chirghisi, kazachi, uzbechi) che erano assetati di alcool e di preda. I prigionieri furono spogliati anche delle ultime, miserrime cose in loro possesso. Le sentinelle, spesso ubriache, avevano il grilletto facilissimo e sparavano per un nonnulla lunghe raffiche di micidiali armi automatiche, di cui portavano le munizioni in lunghe cartucciere che dalle spalle attraversavano il petto. Gli orologi da polso tolti alle loro vittime coprivano le braccia fino ad oltre il gomito. Dall’URSS rientrarono circa 11 000 ex-IMI “liberati” dai russi e finiti in loro campi di concentramento.(167) La relazione dell’ammiraglio Brenta riporta la descrizione della liberazione del campo di Schocken. Il 20 gennaio 1945 giunse improvviso l’ordine di sgombero immediato. Per il suo precario stato di salute ottiene di rimanere nell’infermeria del campo, con alcuni generali ammalati e comunque immobilizzati. Alle 03:30 del 21 la colonna dei prigionieri italiani, con un gruppo di circa 90 ufficiali americani e un altro di ufficiali che avevano aderito alla repubblica sociale si incammina, a piedi, verso occidente. Il campo rimane senza sentinelle, ma con il pericolo che truppe SS, che costituiscono, in genere, la retroguardia, lo rastrellino. I prigionieri rimasti sono completamente privi di documenti e indossano divise molto simili a quelle tedesche; sono assistiti dalla popolazione polacca. L’ex direttore del collegio corrigendi, prof. Wasielevski Wazuav, assume di procurare e cucinare il cibo; viene inalberata la bandiera polacca e quella della Croce Rossa. Passano numerosi sbandati che compiono spietate razzie. Giunge l’eco dei combattimenti attorno a Thorn. Alle 23:30 del 24 una pattuglia russa,
(167) Occorre ricordare che alcuni dei campi di prigionia tedeschi, grosso modo fino all’Elba, furono “liberati” dalle truppe sovietiche. I prigionieri italiani subirono una nuova prigionia, se possibile, peggiore della precedente. Approfittando della vicinanza delle truppe americane che avevano raggiunto l’Elba, dal quale poi si ritirarono per decisione politica, molti di questi prigionieri, ridotti ormai alla disperazione, a rischio della vita attraversarono con mezzi di fortuna il fiume per raggiungere gli Alleati.
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al comando di un ufficiale, entra nella camerata dove i pochi rimasti erano stati concentrati. Subito dopo giunge la massa dei soldati che sono trasportati con ogni mezzo (carrozze, carrozzelle, carri e carretti agricoli). La soldataglia, ebbra di vittoria, effettua visite e controlli rapinando dapprima le valigie, quindi orologi, portasigarette, penne stilografiche, ecc. I prigionieri sono sospettati di essere tedeschi o loro spie. A mezzogiorno del 26 avviene il trasferimento, brutale e urgente nel paese di Schocken, dove è stato sistemato il comando tappa dell’Armata Rossa con un tenente colonnello. I prigionieri sono trattati con durezza dai commissari politici, quasi tutti ex volontari durante la guerra di Spagna. La prima notte la sistemazione è nel Consorzio Agrario, all’addiaccio; successivamente in albergo o in case private. Il 27 trascorre in continui interrogatori: tenente colonnello, avvocato militare, quindi un colonnello di stato maggiore dell’Armata del maresciallo Zukov. Quest’ultimo porta il saluto di Stalin e l’ordine di trattare i generali italiani come quelli russi. È previsto un soggiorno di venti giorni a Mosca per akkulturamento e successivo rimpatrio via aereo. Zukov richiede dichiarazioni scritte sul trattamento germanico e su quello russo; invia i corrispondenti di guerra per fotografare i prigionieri, invia la compagnia teatrale e l’autocinema. Il 3 febbraio nuovo interrogatorio da parte di un maggiore di S.M. Il 6, trasferimento in ambulanza a Wreschen (polacca Wrzeznia), a 50 km da Poznan, sulla linea ferroviaria di Varsavia. L’alloggio è una palazzina di una scuola sottufficiali, 5 per camera, con vitto inizialmente discreto, poi sempre più scadente per effetto degli abusi amministrativi e della corruzione. Giungono sempre nuovi prigionieri liberati (francesi, belgi, americani, inglesi, iugoslavi, lussembughesi, polacchi aderenti al governo polacco di Londra). Il 5, in un campo distante pochi chilometri, una sentinella uccide con una fucilata il marinaio Antonio Bottari, per aver trasgredito le norme di sicurezza. Il 6 marzo un ufficiale americano dà notizia della liberazione, il 21 gennaio, della colonna partita il 21, e della loro sistemazione, dal 29, a Wugarten. Giunge anche notizia dell’uccisione di alcuni generali, sia da parte dei tedeschi, sia da parte dei russi. Il 28 partenza in treno (60 vagoni merci a carrelli, scartamento russo) per Lublino con 1800 uomini di truppa e pochi internati civili di ambo i sessi. Si giunge il 30, sistemati in palazzine militari polacche in deficiente stato di manutenzione, 5 o 7 per camera, situazione particolarmente disagiata per i servizi, vitto sempre più scadente. L’arrotondamento del vitto avviene con generi polacchi, molto abbondanti al mercato, limitatamente a coloro che possono realizzare “zloty” vendendo quanto rimasto in proprio possesso. Il 1°
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