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Campi di concentramento tedeschi
Data la situazione italiana di non belligeranza con la Germania (la dichiarazione di guerra è del 13 ottobre 1943), a questo personale non fu riservato nemmeno il trattamento del K.G.F., KriegsGeFangene “prigioniero di guerra”, ma quello nuovo d’internato militare (IMI, Internato Militare Italiano), al quale non si applicava la Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra.
Campi di concentramento tedeschi
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Nati per esigenze interne dopo l’avvento del partito nazista al potere, durante la guerra, a seguito della gran massa di prigionieri militari (e civili) catturati, specie sul fronte orientale, il numero dei lager andò aumentando e, con la decisione di eliminare gli ebrei, furono istituiti anche campi di sterminio. Per i prigionieri di guerra la Wehrmacht aveva costituito gli Offizierslager, Oflag, per gli ufficiali, e gli Stalag o M-Stammlager (KriegsgefangenenMann-Schaftstammlager) per i sottufficiali e i militari di truppa, che, per la convenzione di Ginevra, potevano essere impiegati in lavori che non contribuissero direttamente allo sforzo bellico. In effetti il lager, dove non dovevano stare più di 10 000 prigionieri, doveva agire da campo base, da cui i prigionieri dovevano raggiungere le zone dove dovevano lavorare (fattorie, fabbriche, miniere, ecc.), così che si potevano avere fino a 300 campi o comandi di lavoro dipendenti. Data la decontrazione delle attività produttive per sottrarle, per quanto possibile, all’offesa aerea, come campi di lavoro furono utilizzate le stesse zone di impiego. I campi dipendevano dalle tre Forze Armate. La sorveglianza dei prigionieri era di solito affidata a reparti di riservisti o di ausiliari, a volte con estensione a personale straniero o agli stessi prigionieri. A seguito dell’attentato del 20 luglio 1944 contro Hitler, vi fu una completa riorganizzazione della materia, e i campi passarono alle dipendenze delle SS, lasciando al comando supremo della Wehrmacht solo la competenza delle implicazioni inerenti alla convenzione di Ginevra del 1929. Col tempo furono costituiti anche battaglioni di lavoratori edili e di lavoro. Ogni campo aveva un comandante tedesco e un “comandante”, “anziano”, “fiduciario” italiano, in genere nominato dai prigionieri, tenendo conto dell’anzianità di grado. I campi erano distinti da una numerazione in numeri romani da I a XXI, corrispondenti alle regioni militari (escluse la XIV, XV, XVI e XIX), e dall’indicazione Stalag, Oflag, Luftlager, Dulag(155) e lettera
(155) Durchgangslager, campo di transito dei prigionieri.
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(Stalag A), o Stalag e tre numeri (Stalag 326), Hag (campo di internamento per cittadini di stati nemici). I campi del Governatorato generale erano indicati da Stalag e tre numeri (Stalag 307). La Marina disponeva nella X Regione (a Westertimke, Amburgo) dei campi di Marine Dulag Nord, Marine Milag (per equipaggi delle navi mercantili), Marine Hag e nella XX regione militare (Gutenhafen, Danzica). Vi erano molti tipi diversi di campi di prigionia, dipendenti, fra l’altro da differenti organizzazioni. Fra gli altri: i campi di punizione della Wehrmacht (Straflager), di rieducazione delle SS (AEL) e di eliminazione a mezzo del lavoro delle stesse SS (Konzentrationslager, KZ, come Dachau). Gli ufficiali generali italiani furono messi nel campo 64/Z di Schocken (in effetti un campo satellite dell’Offiziers-lager, Oflag 64 di Altburgund, XXI Regione);(156) gli ufficiali superiori furono separati da quelli inferiori e i sottufficiali e i soldati furono separati dagli ufficiali e adibiti subito al lavoro. Hitler dispose che, per punizione, gli ufficiali fossero inviati in Polonia e assegnati ai campi peggiori, quelli già riservati ai prigionieri russi, che vi erano morti a centinaia di migliaia, decimati dai patimenti e dalle epidemie; anche in Germania agli italiani furono riservati i campi già occupati dai russi, poiché nella gerarchia dei prigionieri dei tedeschi se il russo occupava l’ultimo posto, l’italiano occupava il penultimo. Nessuno dei due poté godere, comunque, delle garanzie previste nelle convenzioni internazionali e dell’assistenza della Croce
(156) Nel campo furono inviati i seguenti ufficiali di Marina: ammiraglio di squadra Inigo Campioni (fino al 24 gennaio 1944); ammiragli di divisione Emilio Brenta (dal 22 settembre 1943), Lombardi (dal 23 settembre), Gustavo Strazzeri (dal 17 ottobre), Tarantini (dal 19 ottobre); contrammiragli Daviso (dal 21 settembre 1943), Luigi Mascherpa (dal 17 dicembre 1943 al 24 gennaio1944), Franco Zannoni (dal 19 settembre 1943 al 24 gennaio 1944); capitano di fregata, con compiti del grado superiore, Umberto Del Grande (dal 21 settembre); capitani di corvetta Riccardo Fonzi (dal 28 settembre al 12 ottobre 1943), Lanfranco Lanfranchi (dal 21 settembre). Il 24 gennaio 1944, Campioni e Mascherpa furono trasferiti in Italia e, a Verona, consegnati alle autorità fasciste, che li rinchiusero nel carcere giudiziario degli Scalzi. Qui, giunsero, successivamente, anche gli ammiragli Matteucci e Zannoni, e i comandanti Biscaretti e Negri, oltre a parecchi generali. L’8 aprile, assieme ai detenuti ingegner Burgo, Tarabili, Scorza, furono trasferiti al carcere giudiziario di Parma, sede del tribunale speciale per la difesa dello stato, per esservi giudicati. Il 24 aprile, Matteucci fu interrogato dal giudice istruttore, avvocato Cercosimo, che l’11 maggio gli comunicò il suo proscioglimento, in istruttoria, assieme all’ammiraglio Zannoni. Il tribunale condannò a morte gli ammiragli Campioni e Mascherpa, per il comportamento tenuto dopo l’armistizio. Alla richiesta telefonica fatta a Mussolini per sapere come comportarsi, questi rispose: “Fucilate gli ammiragli!”. La sentenza fu eseguita, a Parma, il 24 maggio 1944. I due ammiragli furono decorati di MOVM alla memoria.
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Rossa Internazionale. Alcuni militari italiani finirono anche nei campi di sterminio.(157) Gli internati, pur in precarie condizioni di salute e sottoposti a un regime alimentare che per i più giovani risultò durissimo da sopportare, furono più volte sollecitati dalle SS, dalle Forze Armate tedesche e dalle autorità della RSI, a scegliere di lasciare i campi per arruolarsi nelle Forze Armate della RSI o in quelle tedesche.(158) Pur non essendovi alcun collegamento fra i vari campi, la risposta fu per il 90% negativa.(159) In uno dei campi per ufficiali aderirono circa 160 dei 2000 presenti, in maggior parte vecchi, malati, invalidi; i giovani aderirono per fame.(160) Per dare un’idea dello spirito bisogna ricordare che a
(157) Tale sorte fu riservata ad alcuni appartenenti alle missioni speciali che furono considerati “internati politici”. È questo il caso, per esempio, del sottocapo radiotelegrafista Renato Bianco che, da Verona, fu trasferito a Dachau, poi a Buchenwald e infine a Bad-Ganderseim. (158) Secondo le ricerche di Schreiber più di 100 000 furono gli IMI che accettarono di collaborare, in parte andando a confondersi con coloro che, rimanendo IMI, furono impiegati nei battaglioni di lavoratori-obbligati. (159) Le ragioni del rifiuto furono molto complesse, e andarono dal fattore morale, a quello fisico, a quello opportunistico, alla stanchezza fisica e psicologica. Mancano studi al riguardo; un’analisi condotta dai sociologi militari Giuseppe Caforio e Marina Nuciari sulla base di 431 casi personali raccolti in referendum e interviste condotte fra il 1987 e il 1990 appare tardiva e sicuramente affetta da fattori correttivi, consci o inconsci dovuti al tempo trascorso. È comunque uno studio che può dare alcune risposte. (160) A titolo di esempio si riporta la narrazione dell’epopea di un “aderente”, l’aspirante sottotenente del Genio Navale di complemento Gaetano D’Arrigo, così come contenuta in una relazione del fratello presente nell’AUSMM. Mentre era in licenza, a Catania, avvenne lo sbarco alleato, e D’Arrigo rientrò a Pola, alla Scuola Sommergibili. Lasciata la città sull’Eridania, ne seguì le sorti fino a Fiume, quando riuscì ad abbandonare la nave caduta in mano tedesca. Il 15 settembre fu catturato e trasferito a Brema (21 settembre), poi a Varsavia (7 ottobre) e di nuovo a Brema (8 ottobre). Per sfuggire alla fame, al freddo e alle altre sofferenze della prigionia, il 10 gennaio 1944 aderì alla RSI; fu successivamente trasferito a Benjaminow (1° febbraio), Prezemyls (8 febbraio), Norimberga (21 marzo). Il 22 giugno fu trasferito in Italia, a Venezia. Rifiutò di giurare per la RSI e si allontanò; ricercato, accettò, il 22 luglio, l’incarico di 1° ufficiale di macchina sul piroscafo Addis Abeba, della Genepesca, che operava fra Venezia-Ravenna e VeneziaGrado. Il personale di bordo, compreso il comandante e l’ufficiale di macchina, cercò di dirottare la nave al Sud, ma il tentativo fu scoperto dalla scorta tedesca presente a bordo; l’equipaggio passò allora a provocare piccole avarie a bordo che comportarono, però, la permanenza in cantiere della nave, anche per parecchi giorni. Nella notte fra il 24 e il 25 agosto, in navigazione per Grado, la nave, alle 01:45, saltò in aria su una mina magnetica. D’Arrigo, salvatosi assieme al comandante e a un marinaio, rimase in mare fino al 27, quando, mentre stava approdando nei pressi del faro di Caorle, fu fatto segno a raffiche di mitra da parte di soldati tedeschi e, colpito alla testa, morì.
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Neribka (Polonia) vi erano circa 300 sottotenenti di prima nomina che non avevano avuto il tempo di prestare giuramento presso i reparti di destinazione perché appena giunti all’atto dell’armistizio; lo fecero con un’apposita cerimonia segreta organizzata all’interno del campo utilizzando la Bandiera di combattimento di un cacciatorpediniere che era stata salvata dagli ufficiali della nave facendola a pezzi.
Passaporto per lavoratori stranieri rilasciato a un marinaio italiano (Internato Militare Italiano).
A seguito dell’accordo fra Mussolini e Hitler, nell’agosto 1944 gli IMI vennero dichiarati lavoratori-civili e forzati a partecipare alla produzione bellica; così facendo altri 500 000 IMI furono adibiti al lavoro. Rimanevano ancora nei campi di concentramento circa 42 000 ufficiali. In una fase successiva fu posta l’alternativa, anche per gli ufficiali, del lavoro(161) e, quando la
214 (161) Così altri 28 000 uomini furono inviati ai Baubataillon.
situazione generale tedesca peggiorò ulteriormente, il lavoro per gli ufficiali divenne coatto, dando vita a ulteriori episodi di resistenza.(162) Con il progredire della lotta armata in Italia, nei campi tedeschi finirono anche appartenenti alla Resistenza catturati e vi fu una maggiore politicizzazione (vedasi presenza del rettore dell’Università di Padova, Lazzati, nei campi di Sandbostel e Wietzendorf, ove guidò la lotta contro l’adesione). La mancata adesione alla RSI si configurò come una lotta di Resistenza, perché affrontata scientemente come un combattimento, nel quale si può morire, senza cedimenti o alternative morali, in condizioni fisiche sempre più precarie, poiché a ogni rifiuto i tedeschi inasprivano le condizioni di vita degli internati. In questa lotta durata anche oltre la fine delle ostilità, per i danni riportati dai fisici degli internati, non si è potuto accertare il numero dei caduti: si parla di una cifra che oscilla fra i 30 mila e i 40 mila (17 generali e circa 40 000 tra ufficiali, sottufficiali e soldati),(163) cui vanno aggiunti moltissimi dispersi; molti rientrarono dalla prigionia solo per venire a morire nei sanatori di Merano, nel cui cimitero furono sepolti oltre 300 ex internati, e in altri ospedali. Il tenente di vascello Ugo Cacace, già prigioniero a Benjaminow e poi a Sandbostel e Fullen, morì per i patimenti subiti, nel 1946, poco dopo il rientro. Il cannoniere armaiolo Angelo Zanon, destinato alla Difesa di Lero, prigioniero in campi tedeschi dal 18 novembre 1943 al 31 luglio 1945, al rientro in Italia fu ricoverato in Sanatorio e morì il 26 agosto 1946 all’ospedale militare di Padova.
Il personale della Marina subì la prigionia nei lager tedeschi, come gli altri militari italiani. Secondo la documentazione ufficiale 2059 appartenenti alla Marina finirono in mano tedesca; il dato è palesemente inesatto poiché l’Albo d’Oro dispone di 1900 nomi di marinai caduti e dispersi in prigionia dopo l’armistizio. D’altra parte solo sul piroscafo Donizetti, affondato senza superstiti, ve ne erano oltre mille. La maggior parte di tale personale catturato proveniva da Pola, da Venezia, dalla Grecia e dal Dodecaneso e dalla Provenza.
(162) Dopo tutti questi interventi rimasero ancora 3000 uomini, irriducibili, inviati nei K.Z. e 21 000 K.G.F., prigionieri di guerra. In effetti, l’8 maggio 1945, al termine delle ostilità, vi erano 14 000 uomini ancora nei lager. (163) Secondo calcoli della Croce Rossa Internazionale, desunti dai Todesbücher (registri delle morti) di fonte tedesca, gli IMI ebbero 78 216 morti. Si ritiene che tali dati siano comprensivi dei deportati e lavoratori liberi civili. Secondo altri calcoli in Germania sarebbero deceduti circa 56 000 IMI e circa 35 000 deportati civili.
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