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Prigionia in Iugoslavia

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Prigionia da Lero

Prigionia da Lero

Prigionia in Iugoslavia

Alcuni dei prigionieri catturati in Grecia, nelle isole greche, in Albania e in Iugoslavia, furono trattenuti dai tedeschi in campi di lavoro in Iugoslavia. Non pochi furono gli italiani che riuscirono a fuggire dai treni che li trasportavano in Germania nel lungo periodo del trasporto; altri scapparono anche dai campi di lavoro e da quelli di prigionia. Spesso, però, la loro situazione peggiorò perché, in genere, gli iugoslavi considerarono gli italiani che si rifugiavano presso di loro come schiavi da adibire ai lavori più pesanti e li trattarono, se possibile, peggio di quanto non facessero i tedeschi. A questi si aggiunsero (se non eliminati direttamente nelle foibe) gli italiani fatti direttamente prigionieri perché colpevoli di azioni anti-iugoslave; fra essi vi furono anche alcuni partigiani non comunisti e alcuni componenti delle Missioni speciali, sia dei Servizi italiani, sia di quelli alleati. Campi di concentramento con prigionieri italiani erano a Dubrovnik, Nis, Serajevo, Spalato, Novigrad (lager 260), Mlava (lager Petrovana), Mostar, Knin, Belgrado dove si trovavano, nel settembre 1945, circa 3000 prigionieri italiani. Ancora nel 1947 vi erano prigionieri italiani in mano iugoslava.(168) Va ricordato che gli iugoslavi fucilarono alcuni ufficiali italiani che si erano schierati con le forze partigiane di Tito perché ritenuti colpevoli di crimini perpetrati durante il periodo dell’occupazione italiana della Iugoslavia.

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Il 7 dicembre, dopo che l’Isola di Samo fu catturata dai tedeschi, il marinaio Messori fu caricato sulla nave Leda, che aveva a bordo circa 3000 marinai di Lero e, assieme a 2300 soldati della divisione Cuneo, partì per il Pireo. La nave fu attaccata da aerei britannici senza esser colpita. Il 10 partì in treno merci, 42 uomini per vagone. Il 20, giunti in Serbia, a Petrovac, gli ultimi due vagoni furono staccati e i prigionieri furono condotti in due baracche prive di reticolati, con stufa a legna e letti a castello. Compito assegnato: costruire 100 km di una linea ferroviaria diretta verso il Mar Nero. Il cibo consisteva in mezzo chilo di pane bianco al giorno, caffè d’orzo tre volte al giorno, zuppa di cavolo con pasta la sera. A metà agosto alcuni operai tedeschi comunicarono agli italiani che sarebbero stati trasferiti in Germania al seguito di una divisione SS che si ritirava per non essere tagliata fuori dalle truppe russe che stavano

(168) Il cannoniere artigliere (Merini) Turcato Carlo Basilio, catturato a Sebenico dai tedeschi, fu da questi tenuto in Iugoslavia, ove scomparve, a Kirin, il 27 settembre 1945.

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occupando la Romania. Messori e altri quattro marinai decisero di raggiungere le montagne per unirsi ai partigiani, incontrarono un gruppo di cetnici e, per un malinteso, uno dei marinai fu ucciso; il giorno dopo la banda si scontrò con partigiani titini, e i marinai, approfittando del combattimento, si allontanarono unendosi, successivamente, a un reparto cossovaro-montenegrino della 1a Brigata proletaria. Con tale reparto prese parte agli scontri in Serbia, Montenegro e Macedonia. Nel marzo 1945 Messori era rimasto l’unico del gruppo iniziale di quattro marinai. Finite le ostilità, gli italiani furono riuniti a Belgrado ed elogiati per il loro comportamento da Tito e, quindi, avviati a piedi a Costolaz, località sul Danubio distante 40 km, da cui sarebbe avvenuto il trasporto aereo con idrovolanti verso l’Italia. Giunti a sera furono alloggiati in baracche che, ala mattina, si rivelarono essere un campo recintato e guardato da partigiani armati. Iniziò così una seconda prigionia. Il primo lavoro fu quello di sgomberare le rive del fiume dai cadaveri trasportati dalla corrente. Il comandante del campo era un giovane montenegrino che non esitava a uccidere personalmente per affermare il proprio prestigio. Il 23 maggio 1945 i prigionieri furono trasferiti in treno al centro minerario di Bor, a circa 15 km dalla Bulgaria. Qui lavorò in una miniera di rame che produceva circa oltre mille tonnellate al giorno di rame e un chilo al giorno di oro, nella quale lavoravano circa 25 000 persone, fra prigionieri e dissidenti. Dopo un certo periodo passò a lavorare nell’officina della miniera. Fra gli italiani vi furono dodici morti e parecchi feriti. Dal dicembre 1945 cominciarono a giungere i pacchi dell’U.N.R.R.A. Dopo le elezioni della primavera del 1946, con la schiacciante vittoria di Tito, il 16 aprile comparve al quadro degli annunci la comunicazione che chi poteva provare di aver combattuto in reparti partigiani sarebbe stato rimpatriato. Messori e altri otto prigionieri andarono a parlare con il comandante del campo, già vice comandante della 1a Brigata proletaria, che però rispose in maniera negativa alle loro richieste. Il 20 novembre gli venne comunicato che sarebbe stato rimpatriato e, il giorno dopo, in carri merci scoperti, sotto la neve, venne inviato a Spalato, dove giunse dopo due giorni senza mai aver mangiato. Furono imbarcati su una nave dopo essere stati depredati di tutto quanto poteva essere utile; Messori salì a bordo vestito di un pantalone rattoppato, senza mutande, con un giacchetto liso e con le calze senza le scarpe. La mattina dopo avvenne lo sbarco ad Ancona, nel porto pieno di gente. Il 24 novembre, con un treno passeggeri raggiunse Bologna. Qui scesero e i marinai furono inviati in treno alle capitanerie di iscrizione.

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