ricostruzione» che segna la conversione di Malaparte «alla Congregazione degli apoti, passando dalla militanza più accesa a un’iperoggettiva disamina»; uno smarrimento ideologico in senso opposto a quello «seguito sin dagli anni venti da giornalisti e intellettuali italiani, per il quale il paragone tra comunismo e fascismo serviva a innalzare quest’ultimo a quella dignità di grande rivoluzione che nessuno negava al primo»268.
2.5 Intellettuali e massa Giustizia e Libertà si è contraddistinta nel prendere sul serio il fascismo, perlustrandone gli spiragli culturali contendibili secondo quello che Bresciani chiama «il criterio “antimoralistico” di conoscere il nemico, per combatterlo con più efficacia»269. Malaparte ha colorito la genealogia di un coup d’État, è il momento di scoprire come Lussu immagina il rovescio dei regimi catilinari. In fin dei conti, i trattati combaciano negli intenti: l’ex direttore della «Stampa» si propone, semiserio, di vendere la sua opera ai governi democratici, come precauzione contro i cataclismi rivoluzionari (di destra e sinistra, non fa differenza), mentre il giellista interviene quando la profilassi e la prevenzione hanno fallito da tempo, quando va innescato il marchingegno, inesorabile, della resa dei conti. Quella che teorizza, dunque, non è una controffensiva: è azione palingenetica. Va chiarita subito la terminologia lussiana: «Comunque, insurrezione e guerra sono termini analoghi di una analoga equazione. […] ché la prima fonte del diritto non è altro che la violenza vittoriosa. […] Rivoluzione è il tutto, insurrezione è una parte»270. Questa scelta lessicale, confermandone l’impianto meccanico, ricorda il pensiero militare e dottrinario di Lussu. Per affrontare la mole gravosa della Teoria dell’insurrezione, pare utile scandirla in tre nuclei salienti a questa ricerca fra storia, politica e letteratura: la relazione fra manovalanza rivoluzionaria e ceti dirigenti, in primo luogo, per comprendere anche l’atteggiamento dell’autore, allergico agli intellettualismi; quindi
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Cfr. LUPO S., Il fascismo. La politica in un regime totalitario, Feltrinelli, Milano, 2013, pp. 368-369. Con «congregazione degli apoti» (lett. “coloro che non se la bevono”) Gramsci ha riecheggiato una lettera del 1923 di Giuseppe Prezzolini a Piero Gobetti; cfr. GRAMSCI A., Quaderni del carcere, volume. I (Quaderni 1-5), a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino, 1977, p. 128 (il primo quaderno è consultabile online all’indirizzo: https://it.wikisource.org/wiki/Quaderni_del_carcere). 269 Cfr. BRESCIANI M., Quale antifascismo?, cit., pp. 131, 149-150, 156; la citazione proviene da p. 156. 270 LUSSU E., Teoria dell’insurrezione, cit., p. 310.
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