soprattutto diventa una forma di legittima difesa408. Nel trentesimo capitolo, che chiude l’opera, il personaggio del colonnello Abbati, ormai bruciato («un uomo finito», si definisce lui) e prossimo alla follia, suggerisce un paragone esasperato ma significativo: «Non è la guerra di fanterie contro fanterie, di artiglierie contro artiglierie — assicura —. È la guerra di cantine contro cantine, barili contro barili, bottiglie contro bottiglie»409. Quell’ipnosi, a base di acquavite di pessima qualità, sembra trascinare i destini del conflitto. Secondo lo studioso, questa metafora cela il marchio industriale della mobilitazione: le cantine sarebbero equiparabili alle raffinerie chimiche o alle fabbriche di munizioni e propellenti, perché l’alcol — soprannominato «medicina» dai fanti per la sua valenza anestetica — è il combustibile spirituale essenziale alla macchina bellica410. Persino l’interventismo, nel quadro di Rossi, è decifrabile come una colossale sbronza411.
3.3 Fra «Classici» e politica, alle radici della Marcia Una delle scene a nostro avviso più toccanti di Un anno spezza la tranquillità di un momento di riposo: la morte ex abrupto del tenente Mastini, amico del protagonista dai tempi dell’università. Stanno ricordando le lezioni di Vilfredo Pareto, guarda caso alticcio come i graduati, e finiscono — sospesi fra la terra compatta dell’altopiano e la polvere mitologica di Troia — per rileggere l’Iliade in chiave ‘15‘18, stupendosi dell’assenza di liquori nel poema. Poi un cecchino sbriciola l’idillio: «Io ho dimenticato molte cose della guerra, ma non dimenticherò mai quel momento — rivela Lussu —. Guardavo il mio amico sorridere, fra una boccata di fumo e l’altra. Dalla trincea nemica, partì un colpo isolato. Egli piegò la testa, la sigaretta fra le labbra e, da una macchia rossa, formatasi sulla fronte, sgorgò un filo di sangue»412. È morto.
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Cfr. LUSSU E., Un anno sull’Altipiano, cit., pp. 36-38 per l’episodio, emblematico, del tenente colonnello dell’osservatorio di Stoccaredo che prescrive: «Contro le scelleratezze del mondo, un uomo onesto si difende bevendo. […] Uccidersi senza conoscersi, senza neppure vedersi! È orribile! È per questo che ci ubriachiamo tutti da una parte e dall’altra»; ivi, p. 37. 409 Ivi, p. 209. «Il caffè eccita lo spirito, ma non l’accende. I liquori l’accendono. Io mi sono bruciato il cervello — confessa Abbati —. Non ho, nella testa, che ceneri spente»; ivi, p. 210. 410 Cfr. ROSSI U., The Alcoholics of War, cit, pp. 83-85. 411 Cfr. ivi, pp. 89-90. 412 Cfr. LUSSU E., Un anno sull’Altipiano, cit., pp. 77-79; la citazione è a p. 78. Come divertimento, i due hanno immaginato gli eroi omerici alle prese con il cognac: «Anch’io rividi, per un attimo — sogna prima della fucilata —, Ettore, fermarsi, dopo quella fuga affrettata e non del tutto giustificata, sotto lo sguardo dei suoi concittadini, spettatori sulle mura, slacciarsi, dal cinturone di cuoio ricamato in oro, dono di Andromaca, un’elegante borraccia di cognac, e bere, in faccia ad Achille»; ivi, pp. 78-79.
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