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La proposta britannica di una conferenza

Belgrado quella sera stessa con tutto il personale della legazione18 .

La proposta britannica di una conferenza

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Nonostante la crisi internazionale il governo londinese era convinto che questa situazione non fosse troppo grave. Il 26 luglio 1914 il sottosegretario agli esteri Sir Arthur Nicolson telegrafò al ministro degli esteri Edward Grey, che stava trascorrendo il week-end in campagna, per suggerirgli di proporre alle potenze una conferenza durante la quale Austria, Serbia e Russia non avrebbero dovuto intraprendere operazioni militari.

Grey si affrettò a telegrafare la sua adesione all’idea di Nicolson e, alle 15 dello stesso 26 luglio, con un telegramma diretto agli ambasciatori inglesi presso le grandi potenze e la Serbia si proponeva una conferenza a Londra tra i rappresentanti di Parigi, Roma e Berlino. Il giorno successivo, tuttavia, il Ministero della Guerra britannico diede istruzioni al generale Shmith – Dorrien di presidiare tutti i punti vulnerabili nel sud del paese con l’ordine di prepararsi sia a subire sia a lanciare un’offensiva. Le risposte alla proposta alla proposta inglese furono piuttosto fredde: il Cancelliere tedesco, temendo una sconfitta diplomatica, non volle aderire in quanto sapeva bene che la Germania non sarebbe riuscita ad ottenere quello che desiderava, cioè l’assenso ad un attacco alla Serbia che riabilitasse il prestigio austriaco.

L’Italia aderì invece alla proposta, la Francia tentennò fra il compiacere l’ambasciatore tedesco e l’agire direttamente sulla Russia una volta stabilita l’intenzione dell’Austria-Ungheria a non effettuare annessioni, San Pietroburgo prese tempo. In buona sostanza la proposta di Grey fallì ma allarmò la Germania per la piega moderata che poteva prendere la crisi e il governo tedesco iniziò le sue pressioni sul quello Austriaco. Dopo la rottura delle relazioni diplomatiche fra Austria-Ungheria e Regno di

18 gesto che voleva dire guerra

Serbia, il governo tedesco, coerentemente con quanto stabilito il giorno precedente, il 26 luglio reclamò d’urgenza all’Austria la dichiarazione di guerra e l’inizio delle operazioni militari. Ciò allo scopo di scongiurare pressioni in senso contrario: bisognava cioè evitare che la crisi venisse risolta prima che le forze austriache fossero riuscite a occupare Belgrado. Il timore del ministro degli esteri tedesco Jagow era che, con lusinghe o con minacce, le altre potenze sarebbero potute intervenire e imporre una soluzione pacifica a Vienna.

Ancora sollecitato, il ministro austriaco Berchtold fece pressione sul capo di stato maggiore Conrad che sostenne di non essere pronto. Alla domanda su quando avrebbe potuto dichiarare guerra alla Serbia, Conrad fece notare che l’esercito non era ancora pronto ad agire, Berchtold rispose che la situazione diplomatica non avrebbe retto tanto a lungo e Conrad replicò che sarebbe stato necessario aspettare almeno fino al 4 o al 5 agosto e Berchtold fece presente che ormai la miccia era stata innescata.

28 giugno 1914 L’Austria dichiara guerra alla Serbia

Nonostante il parere negativo del capo di stato maggiore Conrad, il governo austriaco il 28 luglio ordinò la mobilitazione parziale, esclusivamente diretta contro la Serbia.

Risoluto ormai ad entrare in guerra al più presto, anche grazie alle promesse del governo tedesco che aveva assicurato il suo appoggio incondizionato, il governo austriaco si trovò nella necessità di chiedere l’autorizzazione a Francesco

Giuseppe. In un’istanza di Leopold Berchtold all’imperatore del 27 luglio, si osservò che la risposta serba, per quanto inutile nella sostanza, era stata redatta in modo conciliante e poteva suggerire all’Europa tentativi di soluzione pacifica se non si creava subito una situazione netta. Nel documento si fingeva anche la circostanza che truppe serbe, da piroscafi sul Danubio, avessero sparato su truppe austro-ungariche, e occorreva dare all’esercito quella libertà d’azione che era possibile solo in stato di guerra.

Francesco Giuseppe accolse l’istanza di Berchtold e ,alle ore 12 del 28 luglio, un telegramma con la dichiarazione di guerra partì per Belgrado. L’Austria dichiarò ufficialmente guerra alla Serbia, confidando nell’appoggio tedesco nel caso in cui il conflitto si fosse esteso.

Era iniziata la prima guerra mondiale, ma non molti se ne resero conto.

29 - 30 luglio Lo Zar mobilita le truppe

La sera del 28 luglio lo Zar Nicola II fu informato della mobilitazione austriaca e tramite il ministro degli esteri comunicò alla sua ambasciata che il giorno seguente avrebbe ordinato la mobilitazione generale nei distretti di Odessa, Kiev, Mosca e Kazan, tutti confinanti con l’Impero Austro – Ungarico. Il 29 luglio, mentre l’artiglieria austriaca teneva sotto tiro le fortificazioni Serbe, l’Impero Russo chiamò alle armi quasi sei milioni di uomini, una minima parte delle sue enormi riserve di uomini.

Lo stesso giorno l’ambasciatore tedesco a San Pietroburgo fece notare che la continuazione delle misure di mobilitazione russa avrebbe obbligato la Germania alla mobilitazione e che in questo caso sarebbe stato quasi impossibile impedire una guerra europea. Contemporaneamente, a Potsdam, si teneva una riunione fra Guglielmo II e alcuni suoi alti ufficiali e funzionari, ancora ignari della mobilitazione parziale russa, si discusse sulla situazione e il Kaiser rifiutò una proposta del Cancelliere Bethmann di offrire forti limitazioni della flotta tedesca in cambio della promessa di neutralità della Gran Bretagna. Rientrato nel suo ufficio, piuttosto avvilito, Bethmann trovò anche la notizia della mobilitazione russa.

Ad aggravare la posizione del Cancelliere, la sera stessa del 29, giunse a Berlino un telegramma dell’ambasciatore tedesco a Londra che informava che il ministro Edward Grey aveva affermato che se la Francia fosse stata coinvolta nella guerra la Gran Bretagna non sarebbe rimasta neutrale. A questo punto il Cancelliere si rese conto che il gioco stava diventando troppo pericoloso e, coerentemente con il volere di Guglielmo II, nella notte fra il 29 e il

30, telegrafò al suo ambasciatore in Austria ordinandogli, praticamente, un dietro front:

Noi siamo pronti ad adempiere ai nostri obblighi di alleanza, ma dobbiamo rifiutare di lasciarci trascinare da Vienna, con leggerezza e senza che i nostri consigli siano ascoltati, in una conflagrazione generale. 19 La mobilitazione generale russa, non era ancora operativa, ma si attivò non appena a San Pietroburgo si diffuse la notizia del bombardamento austriaco di Belgrado effettuato lo stesso giorno dalle chiatte sul Danubio. Nicola II, spaventato da un possibile conflitto con la Germania, si appellò direttamente al Kaiser tramite gli ambasciatori ottenendo la promessa, falsa, che la Germania avrebbe fatto di tutto per evitare la guerra. Nel tardo pomeriggio del 29 luglio, confortato dal telegramma del Kaiser, Nicola II inviò ai capi di stato maggiore l’ordine di evitare la mobilitazione generale e di dare corso soltanto a quella parziale. Successivamente lo Zar ricevette un altro telegramma di Guglielmo II che invitava la Russia a restare “spettatrice del conflitto austro-serbo” e offrendosi come mediatore fra Russia e Austria.

La proposta di moderazione convinse lo Zar tanto che alle 21:30 diede ordine di sospendere la mobilitazione parziale ma il capo di stato maggiore Januškević lo avvertì che ormai era troppo tardi per fare marcia indietro: il meccanismo era già in moto in tutto l’impero, anche Guglielmo II si trovò nella stessa situazione. Il 30, allorché giunse a San Pietroburgo voce che la Germania era in premobilitazione, lo Zar ricevette pesanti pressioni dal ministro della Guerra e dal ministro Sazonov per la firma dell’ordine di mobilitazione generale; Nicola II esitò, fin quando, convintosi della minaccia di un imminente attacco tedesco, si decise e alle 16 del 30 luglio lo Zar firmò l’ordine di mobilitazione generale, da attivarsi per il giorno seguente, 31 luglio. L’opinione pubblica russa era favorevole alla totale solidarietà verso gli slavi della Serbia e le speranze russe di servirsi della mobilitazione non per muovere guerra ma bensì come deterrente si dimostrarono illusorie.

19 L. Albertini, Vol. III, p.3

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