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Effetti socio-economici

rono in particolar modo paesi dell’Oriente, del Medio Oriente e dell’Asia (come la Cina, l’India, l’Iraq e il Libano) e anche africani (quali l’Egitto o la Cirenaica). Gli Alleati, soprattutto il presidente Wilson, si proposero di organizzare un nuovo sistema globale fondato sulla risoluzione delle controversie per vie pacifiche e sull’autodeterminazione dei popoli. In un discorso che tenne davanti al Senato degli Stati Uniti l’8 gennaio 1919, Wilson riassunse i suoi propositi in quattordici punti nei quali esprimeva il pensiero che dovesse esserci una “pace senza vincitori” poiché, a suo parere, una pace imposta avrebbe contenuto il germe di una nuova guerra93 . Wilson fu tra gli strenui sostenitori della formazione di una “Società delle Nazioni”, un organismo internazionale che scongiurasse altri conflitti. La Società fu formalmente istituita il 28 giugno 1919 ma il Senato statunitense votò contro l’ingresso degli Stati Uniti nell’organismo sostenendo invece una forte politica isolazionista del paese.

Effetti socio-economici

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La prima guerra mondiale fu condotta in modo totalmente diverso rispetto ai conflitti precedenti e produsse cambiamenti socio-economici di lunga durata. Si calcola che complessivamente furono 66 milioni gli uomini arruolati e spediti al fronte, che lasciarono a casa famiglie e imprese con ripercussioni sulla vita della società. La “guerra di massa” stravolse e accelerò lo sviluppo delle comunicazioni e l’industria, introdusse l’uso del mezzo aereo sia come macchina da guerra che come mezzo di trasporto per persone e merci. L’ingente uso di manodopera nelle catene di montaggio avvicinò i lavoratori alle ideologie più estremizzate che favorirono sia il clima rivoluzionario sia il timore delle classi

più abbienti di veder intaccati i propri guadagni, che li spinsero verso scelte conservatrici o autoritarie. La guerra foraggiava sia il “socialismo rivoluzionario”, visto come speranza di rinnovamento sociale, sia il “nazionalismo estremistico”, sinonimo di avanzamento nazionale. La guerra ebbe importanti effetti anche sul piano socio-economico di tutti i pae-

93 Di Nolfo, p. 7

si.

Gli assetti economici mondiali subirono un cambio radicale, con l’Europa che iniziò a cedere molte posizioni ai paesi extraeuropei, una tendenza iniziata però ben prima del 1914, ma che fu enfatizzata e accelerata dalla guerra e dai trattati di pace che seguirono. Gli enormi costi economici del conflitto obbligarono le nazioni europee a liquidare i propri investimenti all’estero e a chiedere prestiti ad altre nazioni, circostanza dalla quale gli Stati Uniti trassero enormi vantaggi. Nel 1917 Washington fornì prestiti al Regno Unito per un totale di 4 miliardi di dollari e nel complesso gli investimenti all’estero degli Stati Uniti passarono dai 3,5 miliardi di dollari nel 1914 a 7 miliardi nel 1919. Alla fine della guerra il centro finanziario mondiale si era spostato da Londra a New York. Il Giappone, che godette di analoghi benefici, assunse il controllo di diverse rotte commerciali nella zona del Pacifico e vide una espansione e diversificazione della propria base industriale, condizioni che gli permisero di diventare, per la prima volta nella sua storia, un paese creditore invece che debitore. Stati del Sud America, come Brasile e Argentina, sfruttarono il periodo bellico per rompere il vecchio schema che li vedeva esportatori di materie prime e importatori di prodotti finiti europei iniziando a sviluppare proprie basi industriali andando così a soppiantare parte dello spazio occupato dalle esportazioni delle nazioni europee. La ripresa economica degli Stati europei fu lenta, a causa di vari fattori nazionali, la Germania fu ostacolata dall’alto debito di guerra da pagare e dall’inflazione galoppante, la Francia dalla perdita dei capitali investiti nella Russia zarista, e internazionali, legati alle restrizioni al libero commercio e all’imposizione di alte barriere doganali negli Stati Uniti e altrove. Una vera ripresa economica si ebbe a partire dal 1924 ma le nazioni europee mancarono di spirito collaborativo e preferirono reggersi unicamente sulle proprie forze e possibilità, scelta individualista che facilitò l’esplosione della crisi economica conseguente al crollo della borsa del 1929. Poiché il centro di gravità dell’economia mondiale si era stabilmente spostato negli Stati Uniti, quando questi andarono in crisi trascinarono con sé il resto del mondo.

Anche la vita sociale aveva subito enormi strappi94 infatti ben 66 milioni di uomini erano stati inviati al fronte e i superstiti, al ritorno, trovarono condizioni disastrose:

• crisi economiche

• penuria di viveri • forti conflitti sociali, soprattutto nelle nazioni sconfitte, sfocianti spesso in scontri sanguinosi.

Il cameratismo nato tra i soldati al fronte fu spesso piegato a fini politici interni: • I Freikorps tedeschi, usati dal nazismo. • Black and Tans britannici, un corpo armato costituito con i reduci smobilitati alla fine del conflitto e impiegato per le azioni più crudeli e brutali durante la guerra d’indipendenza irlandese. • Arditi italiani, in parte volontari e in parte scelti tra i condannati a morte o a lunghe pene detentive, addestrati per le azioni più rischiose, moltissimi dei quali, a guerra finita, confluirono nelle formazioni dello squadrismo fascista.

Da un punto di vista sociale, tuttavia, la guerra non produsse solo effetti negativi in quanto trasformazioni già iniziate, ma che tardavano ad affermarsi, subirono un’improvvisa accelerazione, allentando la stretta del sistema di classe. Importanti furono gli sviluppi in materia di emancipazione femminile e in molti dei paesi belligeranti le donne videro il proprio ruolo sociale ampliarsi rispetto a quello tradizionale di “madri di famiglia”. Il richiamo al fronte di milioni di uomini rese indispensabile l’apporto della manodopera femminile in agricoltura ma anche, e soprattutto, nell’industria: in Austria-Ungheria, se nel 1913 solo il 17,5% degli operai dell’industria era donna, nel 1916 questa percentuale era salita al 42,5%, mentre nella Germania del 1918 la quota della manodopera femminile nelle industrie di tutti i tipi raggiunse il 55%, con orari e condizioni di lavoro pari a quelli degli uomini sebbene con un salario inferiore. La creazione di un gran numero di enti e uffici per gestire le nuove funzioni bu-

94 Di Nolfo, p. 46

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