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Gabriele D’Annunzio

Gabriele D’Annunzio

ca. Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863 da una

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famiglia borghese benestante. Terzo di cinque figli, visse un’infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Dalla madre, Luisa de Benedictis erediterà la fine sensibilità edal

padre, Francesco Paolo Rapagnetta , acquisì anche il cognome D’Annunzio da un ricco parente che lo adottò, il temperamento sanguigno, la passione per le donne e la disinvoltura nel con-

trarre debiti, che portarono la famiglia da una condizione agiata a una difficile situazione economi-

Reminiscenze della condotta paterna, la cui figura è ricordata nelle Faville del maglio e accennata nel Poema paradisiaco sono presenti nel romanzo Trionfo della morte.

Il giovane D’Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso, privo di complessi e inibizioni spesso senza confine e coerenza portato al confronto competitivo con la realtà. Ne è testimonianza la lettera che, ancora sedicenne nel 1897, scrive a Giosuè Carducci, il poeta più stimato nell’Italia monarchica, mentre frequenta il liceo. Nel 1897 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, una raccolta di poesie che ebbe presto successo. Accompagnato da un’entusiastica recensione critica sul una rivista romana il libro venne pubblicizzato dallo stesso D’Annunzio con un espediente: fece dif-

fondere la falsa notizia della propria morte per una caduta da cavallo. La notizia ebbe l’effetto di richiamare l’attenzione del pubblico romano sul romantico studente abruzzese, facendone un personaggio molto discusso. Lo stesso D’Annunzio poi smentì la falsa notizia, senza però assumersi le responsabilità dell’annuncio. Dopo aver concluso gli studi liceali, accompagnato da una notorietà in continua ascesa, giunse a Roma dove si iscrisse alla Facoltà di Lettere anche se non avrebbe mai condotto a termine gli studi. Gli anni 1881 – 1891 furono decisivi per la formazione di D’Annunzio e, nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano di Roma, diventata capitale del Regno dal 1870, cominciò a forgiarsi il suo stile raffinato e comunicativo, la sua visione del mondo e il nucleo centrale della sua poetica. La buona accoglienza che trovò in città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese, parte dei quali conosciuti dal poeta che fece parlare in seguito di una “Roma bizantina”.

La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante — ancora molto lontano dall’effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee — una novità “barbarica”, eccitante e trasgressiva. D’Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione “centro-periferia”, “natura-cultura” offriva alle attese di lettori desiderosi di novità.

D’Annunzio si era dovuto adattare al lavoro giornalistico soprattutto per esigenze economiche, ma attratto alla frequentazione della Roma “bene” dal suo gusto per l’esibizione della bellezza e del lusso, nel 1883 sposò, con un matrimonio “di riparazione”, lei era già incinta del figlio Mario, Maria Hardouin duchessa di Gallese, da cui ebbe tre figli. Il matrimonio finì in una separazione legale dopo pochi anni (anche se il poeta e la moglie rimasero in buoni rapporti), per le numerose relazioni extraconiugali di D’Annunzio, tra cui quella con Maria Gravina, da cui ebbe la figlia Renata. Tuttavia, le esperienze per lui decisive furono quelle trasfigurate negli eleganti

e ricercati resoconti giornalistici. In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente a fuoco i propri riferimenti culturali, nei quali si immedesimò fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive. Ma la donna viene presto messa in disparte dallo scrittore, che dall’aprile del 1887 guarda con grande passione alla nuova amante Barbara Leoni, destinata a restare il più grande amore anche al di là della loro storia durata cinque anni. Il grande successo letterario arrivò con la pubblicazione a Milano nel 1889 del suo primo romanzo, Il piacere. Tra il 1891 e il 1893 D’Annunzio visse a Napoli , dove compose Giovanni Episcopo e L’innocente, seguiti da Il trionfo della morte e dalle liriche del Poema paradisia-

co.

Frequentò anche il Chianti dove conobbe una nobildonna e passò un breve periodo presso il Fedino una nota villa del luogo. Sono in questi anni che si situa gran parte della drammaturgia dannunziana che è piuttosto innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese o del teatro dominanti in Italia e che non di rado ha come punto di riferimento la figura attoriale di Eleonora Duse. Dello stesso periodo sono anche le sue migliori opere poetiche, la gran parte delle Laudi, e, tra queste, il vertice e il capolavoro della poesia dannunziana, l’Alcyone. La relazione dell’artista con Eleonora Duse è stata celebrata a Firenze in un mo-

do molto originale. Alla nascita del quartiere fiorentino di Coverciano (sorto proprio ai piedi della villa dannunziana di Settignano), due importanti arterie stradali della zona vennero inaugurate in memoria dei famosi amanti, prevedendo inoltre un incrocio tra queste vie. Tra il 1893 e il 1897 D’Annunzio condusse un’esistenza movimentata che lo portò dapprima nella sua terra d’origine e poi in Grecia. Nel 1897 volle provare l’esperienza politica, vivendo anch’essa, come tutto il resto, in un modo bizzarro e clamoroso. Eletto deputato della destra, passò quasi subito nelle file della sinistra, giustificandosi con la celebre affermazione “vado verso la vita”, per protesta contro Luighi Pelloux e le “leggi liberticide” ed espresse anche vivaci proteste per la sanguinosa repressione dei moti di Milano da parte del generale Fiorenzo Bava Beccaris. Dal 1910 al 1915 è in Francia dove si rifugia per sfuggire ai creditori, anche se

lui dirà di essere in “esilio volontario”, ritornerà in Italia per le “radiose giornate del maggio 1915”. Da questo momento si tuffa nell’attività politica e sta sempre su posizioni interventiste partecipando successivamente alla guerra. Questo è un altro periodo esemplare per descrivere la personalità di questo autore, l’azione politica e militare sono aspetti che D’Annunzio vive per trasformarli in letteratura.

Il discorso pronunciato a Quarto, solenne occasione per la propaganda interventista; oltre ad ignorare totalmente i termini del problema dal quale l’opinione pubblica italiana era lacerata non ha nemmeno una strutta argomentativa forte e si risolve nel fluire di rievocazione letterarie di un passato e di artifici letterari.

Le azioni militari, al di là del coraggio e delle capacità fisiche dimostrate lo gratificano come realizzazione di un bel gesto per i riferimenti mitologici e per i moti rituali con i quali li adorna, il fascismo beneficerà del suo ruolo di matrice letteraria di legislatore e signore rinascimentale, che a Fiume ha l’opportunità di esercitare.

In questa dimensione d’inalterabile estetismo Gabriele d’Annunzio condusse anche l’ultima parte della sua esistenza in quel “Vittoriale degli Italiani” che per lui fu esilio e regno, dorato carcere, museo privato eretto a propria auto celebrazione in cui Mussolini lo rinchiuse.

Qui egli visse bel 17 anni, di quotidianità sempre collocata nella dimensione della Bellezza con rituali, decorazioni, lapidi e altri oggetti e ricordi in un atto di maniacale collezionismo. Tutto questo insinua parecchi dubbi sul suo buon gusto al di fuori dell’ambito squisitamente letterario. Il poeta mori il 1º marzo 1938, alle ore 20:05, mentre era al suo tavolo da lavoro. Ai funerali di stato, voluti in suo onore dal fascismo, la partecipazione popolare fu imponente. Il feretro era seguito da “...la folla innumerevole degli ex legionari, degli ammiratori, dei devoti alla sua gloria e alla sua fama...” È sepolto nel mausoleo del Vittoriale.

Gabriele d’Annunzio, la guerra e il suo narcisismo

D’annunzio rappresenta l’uomo di cultura che, pieno di sé, rimane attaccato al proprio credo cercando sempre e a qualunque costo la luce dei riflettori, riducendo al minimo i rischi per la propria persona. Anche la partecipazione del poeta alla guerra si può inserire in questo ambito, visto che pur avendo passato l’età della leva egli si arruolò ed, essendo un personaggio pubblico, fu sempre e solo usato per i discorsi d’incoraggiamento, spesso pomposi e incomprensibili dal suo pubblico, ai soldati mandati al massacro subito dopo il suo arrivo. Anche i suoi bollettini furono sempre altisonanti e privi di qualsiasi contatto con la realtà.

Egli di fatto non prese parte a nessuna azione militare e anche il “Volo su Vienna” fu organizzato ed eseguito praticamente a fine guerra quando le truppe austroungariche, in piena ritirata, erano incapaci di opporre una qualsiasi resistenza organizzata e, pur facendolo salire agli onori della cronaca, non fu di nessuna utilità pratica. Anche il suo rapporto con il fascismo s’inserisce in questo ambito: inizia come uomo d’azione, l’impresa di Fiume, ma vedendo i rischi che comportava essere uomo d’azione del fascismo si accontenta di diventare un letterato.

Fonti:

wikipedia Documentari sul fascismo della “Grande storia”

Salvatore Guglielmino, Herman Grosser, “Il sistema letterario, guida alla storia letteraria e all’analisi testuale!” Quinto Volume il Novecento, Editrice Principato I° Edizione dicembre 1989, II° Edizione maggio 1994, Edizione rossa

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