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L’attentato
al trono.
Sofia Chotek era lieta di accompagnare il marito in Bosnia e di celebrare l’anniversario lontano dalla corte di Vienna, dove veniva trattata con sufficienza, inoltre il giovane nipote del Kaiser von Osterreich pensava di sfruttare la visita per studiare una possibile annessione della Serbia ai territori imperiali5 . Per questo i nazionalisti serbi della “Mano Nera”6 considerarono l’erede al trono come il maggior ostacolo ai loro piani. Quando fu annunciata la visita dell’erede, i membri della “Giovane Bosnia”7. Si posero l’obiettivo di assassinare l’arciduca.
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L’attentato
Gli eventi qui trattati sono solo una possibile ricostruzione dei fatti visto che ancora oggi non è ben chiaro ciò che accade quel giorno a causa delle innumerevoli e discordanti testimonianze.
Il giorno della ricorrenza della battaglia della Piana dei Merli sette membri della “Giovane Bosnia”: Gavrilo Princip, Nedjeljko Čabrinović, Vasić Čubrilović, Trifko Grabeć, Danilo Ilić, Muhamed Mehmedbašić e Cvjetko Popović accettarono l’incarico di assassinare l’arciduca affidato loro dai capi della “Mano Nera. Tuttavia nessuno di loro era esperto di armi e fu solo grazie a una straordinaria combinazione di eventi che il gruppo ebbe successo. Alle 10:00 l’Arciduca, sua moglie e i loro accompagnatori, partirono dal campo militare di Filipovic, dove avevano effettuato una rapida rivista delle truppe che stranamente non seguirono il corteo. La colonna era composta da sette automobili Gräf & Stift Bois De Boulognedouble Phaeton cosi strutturata:
• nella prima si trovavano l’ispettore capo di Sarajevo e tre altri agenti di polizia; • nella seconda: Il sindaco di Sarajevo, Fehim Efendi Curcic; il commissario
5 piano della triplice corona 6 in Serbo: Црна рука / Crna Ruka fu una società segreta fondata in Serbia nel maggio del 1911 come parte del più ampio movimento nazionalista pan-slavo 7 in serbo Млада Босна Mlada Bosna fu l’organizzazione politico-rivoluzionaria che, con l’aiuto della società segreta Crna Ruka (o Mano Nera), pianificò ed eseguì l’attentato di Sarajevo
di polizia di Sarajevo, dottor Edmund Gerde; • nella terza: Francesco Ferdinando; sua moglie Sofia; il governatore generale di Bosnia Oskar Potiorek; la guardia del corpo di Francesco Ferdinando, il tenente colonnello conte Franz von Harrach; • nella quarta: il capo della cancelleria militare di Francesco Ferdinando, barone Carl von Rumerskirch; la damigella di Sofia, contessa Wilma
Lanyus von Wellenberg; l’aiutante capo di Potiorek, tenente colonnello
Erich Edler von Merizzi; il tenente colonnello conte Alexander Boos-
Waldeck; • nella quinta: Adolf Egger, direttore dello stabilimento Fiat di Vienna; il maggiore Paul Höger; il colonnello Karl Bardolff; e il dottor Ferdinand
Fischer; • nella sesta: il barone Andreas von Morsey; il capitano Pilz; altri membri dello staff di Francesco Ferdinando e ufficiali bosniaci; • nella settima: il maggiore Erich Ritter von Hüttenbrenner; il conte Josef zu Erbach-Fürstenau; il tenente Robert Grein.
Alle 10:15 il corteo passò davanti al primo membro del gruppo, Muhamed Mehmedbašić .
Costui si era piazzato alla finestra di un piano alto con un fucile, ma in seguito sostenne che non riuscì ad avere il bersaglio libero e decise di non sparare per non mandare all’aria la missione allertando le autorità. Il secondo membro, Nedjeljko Čabrinović, lanciò una bomba o, secondo alcuni resoconti, un candelotto di dinamite contro l’auto di Francesco Ferdinando, ma la mancò o, secondo altri, rimbalzò contro la macchina. L’esplosivo, evidentemente difettoso, pur esplodendo si limitò a danneggiare la quarta vettura e a ferire i suoi occupanti, un poliziotto e diverse persone che stavano nella folla. Čabrinović inghiottì la sua pillola di cianuro e si gettò nelle basse acque del fiume Miljacka, ma la polizia lo trascinò fuori dal fiume e venne duramente picchiato dalla folla prima di venire preso in custodia. La sua pillola di cianuro era vecchia o con un dosaggio troppo debole e non funzionò inoltre il fiume era
profondo solo dieci centimetri ed egli non riuscì ad affogarsi. Alcuni degli altri assassini, a causa di nervi poco saldi o perché pensavano che la missione fosse già stata compiuta, abbandonarono la scena. Arrivando al municipio per il ricevimento programmato, Francesco Ferdinando mostrò comprensibili segni di stress, interrompendo il discorso di benvenuto preparato dal sindaco Curcic per protestare: “A che servono i vostri discorsi, borgomastro? Noi veniamo qui in amicizia e la gente ci tira addosso delle bombe. È oltraggioso!”8
L’arciduca si calmò e il resto del ricevimento fu teso ma senza incidenti. Fun-
zionari e membri del seguito dell’arciduca discussero su come guardarsi da un altro tentativo di uccisione senza giungere a una conclusione coerente. Il suggerimento che le truppe di stanza fuori dalla città venissero schierate lungo le strade, sembra venne respinto perché i soldati non si erano portati le loro uniformi da parata alle manovre9. La sicurezza venne quindi lasciata alla piccola forza di polizia di Sarajevo con all’attivo, in quel momento, meno di una ventina di agenti in servizio. L’unica ovvia misura presa fu che uno degli aiutanti militari di Francesco Ferdinando prendesse una posizione protettiva sulla predella sinistra della sua autovettura, tutto ciò è confermato dai documenti fotografici della scena descritta. Mentre l’erede al trono pranzava con le autorità, i membri della Mano Nera rimasti si erano riuniti per cercare di capire cosa fosse successo, infatti le notizie si erano succedute in gran numero generando confusione sia negli attentatori sia nelle forze di sicurezza.
Una volta che la notizia del fallimento dell’attentato fu confermata gli attentatori decisero di abbandonare la città con l’idea di riprovarci in seguito. Uscito dal municipio Francesco Ferdinando decise di recarsi all’ospedale per visitare i feriti dalla bomba di Čabrinović, nel contempo, Gavrilo Princip era andato in un vicino negozio di alimentari a comperare del pane e del prosciutto, fermandosi anche a scambiare due parole con un amico, non affiliato alla Gio-
8 Fromkin, p. 156 9 scusa che per molti storici è la prova che l’attentato era stato previsto ma le forze di sicurezza austriache non vollero intervenire
vane Bosnia.
Uscendo vide, nei pressi del “Ponte Latino”, l’auto aperta di Francesco Ferdinando che tornava indietro in quando aveva sbagliato a svoltare. L’autista Franz Urban non era stato avvisato del cambio di programma e aveva proseguito lungo il percorso che avrebbe portato l’arciduca e il suo seguito direttamente fuori dalla città.
Avanzando verso il lato destro della vettura, Princip esplose due colpi della sua pistola semiautomatica. Il primo proiettile trapassò la fiancata del veicolo e colpì Sofia all’addome, mentre il secondo colpì Francesco Ferdinando al collo, dove non era protetto dal giubbetto antiproiettile che indossava. Princip sostenne in seguito che la sua intenzione era di uccidere il governatore generale Potiorek, e non Sofia. Entrambe le vittime rimasero sedute dritte sull’auto, ma morirono mentre venivano portate alla residenza del governatore per i primi soccorsi. Le ultime parole di Francesco Ferdinando dopo essere stato colpito vennero riportate da von Harrach come le seguenti
“Sofia cara, non morire! Resta in vita per i nostri figli!” (“Sopherl! Sopherl! Sterbe nicht! Bleibe am Leben für unsere Kinder!”).10
Princip cercò di togliersi la vita, prima ingerendo cianuro, e quindi con la sua pistola, ma vomitò il veleno apparentemente inefficace, e la pistola gli venne strappata di mano dai passanti prima che avesse la possibilità di esplodere un altro colpo.
Delle rivolte anti-serbe scoppiarono a Sarajevo nelle ore successive all’assassinio, fino a quando non venne ristabilito militarmente l’ordine.
10 Fromkin, p. 157.