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I danni di guerra
L’inizio
La conferenza di pace si aprì a Parigi, il 18 gennaio 1919 nella sala dell’orologio del Quai d’Orsay, sede del ministero degli esteri francese, con un discorso del presidente francese Raymond Poincaré. I dieci delegati presenti, i cinque capi di governo e i cinque ministri degli esteri delle maggiori potenze vincitrici, Stati Uniti, Italia, Francia, Gran Bretagna e Giappone trattarono le questioni più importanti e le risoluzioni pratiche. Il nuovo assetto politico e geografico dell’Europa fu discusso e definito dai quattro “grandi”: Thomas Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti, Georges Clemenceau, primo ministro francese, David Lloyd George, primo ministro britannico e Vittorio Emanuele Orlando, presidente del consiglio italiano, coadiuvati dai rispettivi ministri degli esteri, Robert Lansing, Stephen Pichon, Arthur James Balfour e Sidney Sonnino. La Russia, che per tre anni aveva combattuto a fianco delle potenze Alleate impegnando duramente la Germania era stata costretta, il 15 dicembre 1917, all’armistizio di Brest-Litovsk seguito dalla pace il 3 marzo 1918. Un comunicato ufficiale della Conferenza dichiarava che la
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sua rappresentanza non era esclusa, ma che “le modalità saranno fissate dalla Conferenza nel momento in cui esaminerà gli affari russi”. I paesi vinti, esclusi dai negoziati, furono ammessi solo nella fase conclusiva, per la consegna e firma dei protocolli.83 La conferenza, apertasi il 18 gennaio, fu un vero e proprio terreno di scontro tra gli alleati e, al tempo stesso, un modo per imporre alla Germania le peggiori condizioni di resa e per rendere gli sconfitti più “malleabili”. La Francia insistette per mantenere il blocco navale contro la Germania fino al momento in cui non fosse stato firmato il trattato.
I danni di guerra
Il 25 gennaio la Conferenza di pace nominò una commissione per la riparazione dei danni di guerra con il compito di esaminare l’ammontare della somma che ciascuno degli stati sconfitti avrebbe dovuto pagare per riparare i danni arrecati
83 Scottà, p. 25