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La conferenza di Pace

Turchia dovette ritirarsi sulle frontiere pre-belliche.

All’armistizio seguì l’occupazione di Costantinopoli e la successiva spartizione dell’Impero ottomano. Il 10 agosto 1920, a definire ulteriormente l’armistizio, seguì il trattato di Sèvres che però non fu mai applicato a causa dello scoppio della guerra d’indipendenza turca. • L’armistizio di Villa Giusti venne siglato il 3 novembre 1918, nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino a Padova, fra l’Impero austro-ungarico e Italia - Intesa. Tale armistizio stabiliva solo la cessazione delle ostilità e la smobilita-

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zione delle truppe e non prevedeva né la riconsegna dei prigionieri di entrambe le parti né eventuali indennizzi. Il governo italiano infatti contava, a guerra finita, di portare alla conferenza di pace “il patto di Londra” • L’armistizio di Compiègne, in francese Armistice de Rethondes, fu sottoscritto, in un vagone ferroviario nei boschi vicino a Compiègne in Piccardia, alle ore 11:00 dell’11 novembre 1918 tra l’Impero tedesco e le potenze Alleate. Poichè è stato l’ultimo ad essere firmato e applicato è considerato e riconosciuto come l’atto che segna ufficialmente la fine dei combattimenti della prima guerra mondiale.

La conferenza di Pace

La conferenza di pace di Parigi del 1919 fu una riunione internazionale, che vide i paesi usciti vincitori dalla prima guerra mondiale81, impegnati nel delineare una nuova situazione geopolitica in Europa e stilare i trattati di pace con le Potenze Centrali uscite sconfitte dalla guerra, sperando di evitare ulteriori conflitti.

La conferenza si aprì il 18 gennaio 1919 e durò, con alcuni intervalli, fino al 21 gennaio 1920. Da questi trattati la cartina d’Europa uscì completamente ridefinita in base al principio della autodeterminazione dei popoli, concepito dal presidente degli Stati Uniti d’America Woodrow Wilson, nel tentativo, in seguito rivelatosi fallace, di riorganizzare su base etnica gli equilibri del continente europeo.

81 Gli stati sconfitti non furono invitati a discutere

Infatti, nel tentativo di creare, sulle ceneri degli imperi multietnici di AustriaUngheria e Turchia, stati “etnicamente omogenei”, vennero creati ex novo stati quali la Cecoslovacchia, la Jugoslavia, destinati ad alimentare nuove tensioni ed instabilità, oltre ad esodi e conflitti di popoli e nazioni. Il contesto storico in cui si svolsero le trattative era però funestato dalle molte ombre del passato, dagli irrisolti problemi delle frontiere, dalla sicurezza internazionale e dai frementi nazionalismi non contenibili in un contesto che avreb-

be dovuto salvaguardare le e identità nazionali e minoranze. Le rivendicazioni rimaste in sospeso dopo la Guerra franco prussiana del 1870, la carica punitiva contro la Germania e la sempre più pressante paura di una “rivoluzione bolscevica” irrigidirono tutte le delegazioni, soprattutto quella francese, desiderosa di relegare la Germania in una posizione di non poterle più nuocere.

La reazione della delegazione tedesca

Dopo la fine della guerra la maggioranza della popolazione tedesca dava per scontato che si sarebbe arrivati ad una pace, basata sui quattordici punti di Wilson, già prima della fine del 1919, i tedeschi si aspettavano quindi un certo riguardo, nonostante poco tempo prima avessero imposto durissime condizioni alla Russia. Già nel novembre 1918 i tedeschi avevano scoperto, attraverso informatori, che gli alleati avrebbero fatto in modo che il peso e la colpa del conflitto fossero attribuiti in alla Germania e così intensificarono gli sforzi per negare o attenuare la responsabilità e quindi recuperare prestigio internazionale. Nonostante i dissidi fra gli alleati, l’appoggio statunitense alla Germania e il pericolo bolscevico, il capo delegazione Brockdorff-Rantzau non riuscì, nonostante diverse proteste, a scongiurare che alla Germania fosse data l’intera responsabilità della guerra e la condanna al pagamento degli indennizzi. Con la tagliola del blocco navale britannico e l’autoaffondamento della flotta tedesca a Scapa Flow, la Germania fu quindi “costretta” alla firma del trattato nonostante di aver anche valutato l’ipotesi di una ripresa dei combattimenti. Protagonista, con poca fortuna, delle discussioni di Versailles fu il presidente

statunitense Woodrow Wilson, che con i suoi Quattordici punti avrebbe dovuto ispirare i negoziatori dei trattati a dare all’Occidente una proposta per contrastare sia l’assolutismo e il militarismo degli Imperi Centrali sia l’internazionalismo leninista.

Ma questi quattordici punti, in cui si rivendicava l’importanza della nazionalità e dell’autodeterminazione dei popoli nello stabilire le nuove frontiere, si trovarono a dover competere con le diverse componenti nazionalistiche nei Balcani e con la necessità di creare stati “cuscinetto” contro la Russia bolscevica, con le rivendicazioni italiane sugli slavi e con le rivendicazioni e i risentimenti che i francesi, fin dall’epoca napoleonica, covavano nei confronti dei tedeschi. Lo stesso Wilson ben presto capì che il suo programma non sarebbe stati seguito dagli altri vincitori. In un incontro a Parigi con Raymond Poincaré, il 14 dicembre 1918, il presidente francese espose a Wilson, quasi con ultimativa chiarezza, l’idea centrale della presenza e dell’azione della delegazione francese alla Conferenza:

“la Germania doveva essere punita per tutto quanto aveva fatto con e durante la guerra ”82

Wilson fino ad allora non aveva mai parlato di “punizione” ma solo di preparare una situazione in cui la classe dirigente tedesca, aristocratica, autocratica e militarista non avrebbe potuto più nuocere a favore di una democratizzazione della nazione.

Una dura “punizione” avrebbe colpito - secondo Wilson - non l’autocrazia, bensì proprio gli sviluppi democratici che in quel momento il popolo tedesco stava faticosamente cercando. Nonostante ciò Wilson conosceva la storia “giacobina” della democrazia francese e nella sua risposta a Poincaré appoggiò la necessità di condannare e rendere “giusto castigo” alla Germania.

82 Scottà, p. 53

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