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Fronte Marittimo
Alle ore 15:00 del 4 novembre sul fronte italiano le armi cessarono di sparare. Quella notte, ricordò l’ufficiale d’artiglieria britannico Hugh Dalton presente sul fronte italiano:
“[...] il cielo era illuminato dalla luce dei falò e dagli spari di razzi colorati. [..] Dietro di noi, in direzione di Treviso, si sentiva un lontano ritocco di campane, e canti ed esplosioni di gioia ovunque. Era un momento di perfezione e compimento”69
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Era il 4 novembre 1918 e il comandante in capo dell’esercito italiano, maresciallo Armando Diaz, diede notizia all’intero paese della conclusione del conflitto firmando l’ultimo bollettino di guerra passato poi alla storia come il “bollettino della Vittoria”, che si concludeva con queste parole: “[...] i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza” Il giorno seguente furono occupate Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa. La città di Fiume, pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane come previsto da alcune clausole dell’armistizio, fu occupata in seguito agli eventi del 30 ottobre quando il Consiglio nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi, aveva proclamato l’unione della città all’Italia. L’esercito italiano forzò la linea del patto di Londra dirigendosi verso Lubiana, ma fu fermato poco oltre Postumia dalle truppe serbe.
Fronte Marittimo
Le operazioni navali nella prima guerra mondiale si svilupparono principalmente per l’esigenza di garantire sicurezza delle proprie vie di comunicazione marittima e di bloccare, o insidiare, quelle del nemico. In particolare le marine militari delle potenze alleate adottarono una strategia che puntava a controllare le aree utilizzate dai propri traffici marittimi e a imporre il blocco di quelli avversari. Le operazioni navali delle marine degli “Imperi centrali” furono invece caratte-
69 Gilbert, p. 595
rizzate dalla strategia della “flotta di potenza”: numericamente superate, le flotte di superficie degli Imperi Centrali non si impegnarono in scontri frontali con il grosso del nemico ma mantennero una minaccia “potenziale” cercando di usurare le forze avversarie, di forzarne il blocco e di insidiarne le rotte commerciali attraverso l’utilizzo di unità leggere, navi corsare e, soprattutto da parte tedesca, sottomarini. Le operazioni belliche coinvolsero, in maniera più o meno diretta e intensa, tutti gli oceani e gli specchi d’acqua principali del globo. Se il Mare del Nord fu teatro degli scontri a distanza tra la Hochseeflotte tedesca e la Grand Fleet britannica, nel Mar Mediterraneo le flotte combinate di Italia, Francia e Regno Unito si confrontarono con la marina austro-ungarica, praticamente asserragliata all’interno dei suoi porti sul Mar Adriatico, oltre ad impegnarsi contro le difese ottomane dello stretto dei Dardanelli. L’immenso Impero russo si trovò ad affrontare la Germania nel Mar Baltico e l’Impero ottomano nel Mar Nero mentre le poche navi tedesche a guardia delle colonie dell’Oceano Pacifico furono surclassate dalle più numerose flotte di Giappone e Australia. Anche l’Oceano Indiano e le acque del Sud America furono teatro di scontri tra le navi corsare tedesche e le squadre di incrociatori Alleati inviate alla loro caccia.
Infine l’Oceano Atlantico fu teatro della prima grande campagna sommergibilistica della storia, con gli U-Boot tedeschi impegnati contro il traffico commerciale diretto verso i loro avversari e intenti a confrontarsi con le forze congiunte di Regno Unito, Francia e, dopo il 1917, Stati Uniti.
Si aprono le ostilità
Con lo scoppio del conflitto avvenuto con la dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria alla Serbia, le marine militari dei paesi belligeranti si trovarono a dover fronteggiare le prime operazioni navali e, mentre Francia, Gran Bretagna, Russia, Germania e Austria-Ungheria mobilitavano le loro navi, altri paesi come Italia, Impero ottomano, Bulgaria, Grecia e Romania rimasero in un primo tempo neutrali, influenzando così le strategie dei belligeranti. Allo scop-
pio del conflitto Il contrammiraglio Whilhelm Soucho, comandante della Mittelmeerdivision tedesca, composta dall’incrociatore da battaglia Goeben e dall’incrociatore leggero Breslau, si trovava nel Mediterraneo. Il 3 agosto Souchon ricevette ordini per dirigere verso gli stretti e raggiungere la Turchia, per l’interesse della Germania di garantirsi l’amicizia dei turchi ancora neutrali, isolando, al tempo stesso, la Russia nel Mar Nero. L’ammiraglio austriaco Anton Haus, allo scoppio delle ostilità si preoccupò principalmente di difendere la sua flotta e assicurare la difesa delle coste austriache, soprattutto quelle più meridionali confinanti con il regno del Montenegro, alleato della Serbia, le cui artiglierie dominavano la base navale di Cattaro.
Motivo di preoccupazione per Haus fu anche la neutralità italiana. Nel caso di un intervento militare italiano a fianco dell’Intesa, la Regia Marina sarebbe diventata il nemico principale per la Kriegsmarine e, in quest’ottica, era necessario conservare il più possibile la flotta per tenerla pronta a contrastare un nemico più pericoloso. Il 6 agosto il primo Lord del mare, ossia il comandante della Royal Navy e dell'intero servizio navale, e il sottocapo di stato maggiore della flotta francese Schwerer, firmarono a Londra una convenzione navale che assegnava alla Francia la direzioni delle operazioni navali nel Mediterraneo. Le forze britanniche nel Mediterraneo sarebbero state sotto il comando dell’ammiraglio francese e sia Gibilterra sia Malta sarebbero state a disposizione dei francesi. Inoltre la flotta britannica nel Mediterraneo, sotto il comando di sir Archibald Milne, doveva fornire assistenza al rimpatrio delle truppe francesi dall’Africa. Così facendo i britannici lasciarono ai francesi la responsabilità nel Mediterraneo per concentrarsi invece a contrastare i tedeschi nel Mare del Nord, anche se la Mediterranean Fleet, formata da tre moderni incrociatori da battaglia, l’Invincible, l’Inflexible e l’Indomitable, oltre a quattro incrociatori corazzati, quattro incrociatori leggeri e quattordici cacciatorpediniere rese la zona di Malta e dell’Egeo orientale, seppur sotto comando francese, una zona di operazioni britannica.
Mare del Nord
Il Mare del Nord fu il teatro principale della guerra navale nel primo conflitto mondiale: qui infatti si fronteggiavano le più potenti forze navali dei due schieramenti, la Grand Fleet britannica e la Hochseeflotte tedesca; sebbene fosse opinione comune che le due flotte dovessero prima o poi affrontarsi in un grande scontro frontale, entrambi i comandi decisero invece di adottare una strategia attendista, sfidandosi in modo indiretto senza rischiare in maniera avventata il nucleo centrale delle rispettive forze. La Royal Navy impose subito uno stretto blocco a danno dei porti tedeschi: nell’arco di sei mesi 383 piroscafi furono catturati o affondati dai britannici mentre altri 788 furono obbligati a rifugiarsi in porti neutrali, privando gli Imperi Centrali di circa il 61% della propria flotta mercantile. I primi mesi di guerra furono dedicati da entrambe le parti a stendere vasti campi minati a difesa delle proprie basi ed a ostacolare il traffico mercantile nemico nel bacino. Le prime perdite navali furono causate in massima parte da mine: il 6 agosto 1914 l’incrociatore leggero britannico HMS Amphion urtò una mina tedesca e affondò portandosi dietro oltre all’equipaggio anche i prigionieri tedeschi del posamine che aveva deposto l’ordigno, 160 uomini in tutto, mentre il 27 ottobre seguente fu la dreadnought70 HMS Audacious ad affondare dopo aver urtato un ordigno al largo delle coste dell’Irlanda. Le operazioni di minamento e di ricognizione nel bacino fornirono subito l’occasione per scontri tra gruppi di unità leggere dei due contendenti: il 28 agosto 1914 una squadra di incrociatori britannici attaccò un gruppo di navi tedesche nella baia di Helgoland, affondando tre incrociatori leggeri nemici senza subire perdite. Il 22 settembre nel corso di un unica azione il sommergibile tedesco U-9 affondò, in rapida successione, al largo delle coste olandesi tre vecchi incrociatori corazzati britannici.
La squadra di incrociatori da battaglia tedeschi dell’ammiraglio Franz von Hipper, composta dalle navi più moderne e veloci a disposizione della Hochseeflotte,
70 Grande corazzata di origine inglese, assai veloce, con artiglierie monocalibro
fu ben presto impegnata in missioni di bombardamento della costa orientale dell’Inghilterra, più come forma di pressione psicologica che per infliggere danni materiali: il 3 novembre 1914 i tedeschi bombardarono la città di Yar-
mouth, perdendo sulla via del ritorno l’incrociatore corazzato SMS Yorc a causa dell’urto con una mina; il 16 dicembre gli incrociatori di Hipper bombardarono le tre cittadine di Scarborough, Hartlepool e Whitby, sfuggendo di poco alla reazione delle navi britanniche.
Il 24 gennaio 1915, invece, grazie all’intercettazione di un messaggio radio tedesco, gli incrociatori da battaglia britannici dell’ammiraglio David Beatty furono in grado di agganciare la squadra di Hipper prima che arrivasse in vista delle coste inglesi. Dopo uno scontro, Hipper fu in grado di ritirarsi e rientrare alla base, perdendo però il vecchio incrociatore SMS Blücher; dopo questa azione il Kaiser vietò ogni ulteriore uscita in mare delle unità pesanti della Hochseeflotte senza un suo specifico ordine. Per circa un anno e mezzo la situazione nel bacino rimase invariata, con solo sporadici scontri tra unità leggere delle due parti. Le cose iniziarono a cambiare all’inizio del 1916, quando l’ammiraglio Reinhard Scheer fu messo al comando della Hochseeflotte. Fautore di una strategia più aggressiva, Scheer progettò di logorare la Gran Fleet attirando, poco per volta, gruppi isolati di unità britanniche davanti alla sua intera forza di corazzate e promosse un ruolo più aggressivo per la flotta di sommergibili tedeschi. Il 24 aprile 1916 gli incrociatori di Hipper bombardarono le città di Yarmouth e Lowestof mentre le corazzate di Scheer appoggiavano l’azione, nell’attesa di affrontate eventuali distaccamenti britannici che si lanciassero alla caccia delle
navi tedesche impegnate nel raid; i due gruppi avversari passarono a meno di ottanta chilometri l’uno dall’altro, ma non entrarono in contatto. Nelle prime ore del 31 maggio 1916 l’intera Hochseeflotte tedesca prese il mare, nel tentativo di intercettare unità isolate britanniche in navigazione al largo delle coste danesi. L’intercettazione dei messaggi radio permise ai britannici di venire a conoscenza della sortita tedesca e l’intera Grand Fleet prese il mare sotto la guida dell’ammiraglio John Jellicoe. Nel pomeriggio del 31 maggio le due flotte si affrontarono nella battaglia dello Jutland: dopo un primo combattimento tra
gli incrociatori da battaglia di Hipper e Beatty, i corpi centrali delle rispettive flotte vennero a contatto. Con i tedeschi, in netta inferiorità numerica, che cercavano di rientrare alla base tallonati dai britannici, dopo una serie di complesse manovre e grazie all’approssimarsi della notte, Scheer riuscì a rompere il contatto ed a riportare la sua flotta alla base. La battaglia dello Jutland, il maggior se non per dire unico scontro navale della guerra, ebbe un esito contestato: anche se i tedeschi inflissero al nemico più perdite di quante ne subirono, la Grand Fleet perse 3 incrociatori da battaglia, 3 incrociatori corazzati, 8 cacciatorpediniere e 6.945 uomini, contro un incrociatore da battaglia, una corazzata pre-dreadnought, 4 incrociatori leggeri, 5 cacciatorpediniere e 3.058 uomini da parte tedesca, l’azione non pregiudicò l’operatività della flotta britannica, ancora considerevolmente più forte dell’avversario e pienamente in grado di mantenere il blocco delle coste della Germania.
Il mancato pericolo scampato allo Jutland convinse Scheer a non rischiare più l’intera Hochseeflotte in una singola azione e, il 18 agosto, l’ammiraglio prese il mare con la flotta quasi al completo per una nuova incursione contro le coste inglesi, ma l’avvistamento da parte dei dirigibili tedeschi di una vasta formazione britannica, convinse Scheer a riportare le sue navi alla base senza entrare in contatto con il nemico. Da allora, fino alla fine del conflitto, nel Mare del Nord si svolsero solo azioni su piccola scala. L’ultimo combattimento che vide impegnate navi principali si ebbe il 17 novembre 1917, quando una formazione britannica attaccò una piccola squadra tedesca nei pressi di Helgoland, ma lo scontro si rivelò non decisivo ed entrambe le parti riportarono solo danni leggeri.
La situazione rimase invariata fin verso gli ultimi giorni di guerra, quando ormai apparve chiaro che la sconfitta della Germania fosse solo questione di tempo. Il 29 ottobre 1918 fu dato ordine alla Hochseeflotte di prepararsi per un’uscita in mare al completo per cercare un’ultima decisiva battaglia, ma, per tutta risposta, gli equipaggi delle navi, il cui morale e disciplina erano a terra dopo due anni di inattività, si ammutinarono e presero possesso della flotta, estendendo la rivolta anche alle basi navali di Kiel e Wilhelmshave.
L’armistizio dell’11 novembre 1918 pose formalmente fine alle ostilità nel Mare del Nord.
Canale della Manica
Allo scoppio delle ostilità la Gran Bretagna non aveva truppe sul continente europeo, e il suo corpo di spedizione (BEF), al comando di Sir John French, doveva ancora essere radunato, armato e inviato al fronte al di là della Manica. Il 12 agosto le avanguardie del corpo di spedizione britannico attraversarono la Manica scortate da 19 navi da guerra. In dieci giorni furono sbarcati 120.000 uomini senza che una sola vita o una sola nave andassero perdute, non avendo la Kaiserliche Marine mai ostacolato le operazioni. Il ministero della marina tedesco era sicuro di riuscire ad impedire ai britannici di raggiungere i porti francesi e belgi, ma quando gli ammiragli comunicarono al capo di stato maggiore Moltke che avrebbero potuto fermare le truppe britanniche durante la traversata, questi si oppose osservando: “Non è necessario, anzi sarà tanto di guadagnato per noi se le armate occidentali riusciranno a sistemare in un sol colpo anche gli inglesi insieme ai francesi e ai belgi “71 Nonostante il canale della Manica fosse di importanza vitale per la BEF che combatteva in Francia, la Royal Navy non vi teneva navi da guerra di grandi dimensioni.
Lo stesso ammiragliato britannico non aveva basi da guerra navali nelle vicinanze del canale. La minaccia principale per i britannici era costituita dalla possibilità di un’azione in forze della Hochseeflotte tedesca, che, salpando dal porto di Helgoland con le sue 13 navi da battaglia, oltre a numerosi incrociatori da battaglia e centinaia di navi più piccole, avrebbe in pratica potuto distruggere ogni nave Alleata che si fosse avventurata nella Manica. La Hochseeflotte, infatti, sarebbe stata contrastata solo da sei incrociatori leggeri, costruiti nel 1898-1899, troppo antiquati per operare insieme alle nuove potenti unità della Grand Fleet.
La minaccia rappresentata dagli U-Boot non era tenuta in grande considerazio-
71 Gilbert, p. 53
ne dall’ammiragliato, visto che li considerava un tipo di arma inefficace, cosa pertanto condivisa dall’alto comando tedesco che vedeva nei sottomarini solo: “armi sperimentali le cui capacità di fuoco sarà influente”72 Tuttavia vista la capacità dei sottomarini ad attaccare i convogli e le navi, verso la fine della guerra la Royal Navy si pose il problema di interdire le azioni delle unità leggere e degli U-Boot che partivano dai porti del Belgio occupato. Benché i successi contro gli U-Boot della marina britannica si moltiplicassero, questi venivano prodotti ad una velocità pari a quella con cui venivano distrutti e colpivano le rotte di rifornimento britanniche attraverso la Manica rappresentando una continua minaccia alle vie di rifornimento della BEF impegnata sul continente. Per l’estate era poi previsto l’arrivo di numerose truppe americane con i relativi rifornimenti per cui occorreva chiudere, come dissero gli alti comandi:
“uno dei covi da cui i sommergibili nemici minacciano le comunicazioni e i rifornimenti”73 Gli attacchi vennero sferrati nella tarda primavera del 1918. Il primo raid venne compiuto dalla Royal Navy con l’obiettivo di bloccare l’accesso al porto della città di Ostenda, che veniva largamente utilizzato come base per gli U-Boot e per il naviglio di supporto leggero. Il vicino porto di Bruges fu oggetto di un doppio e contemporaneo attacco. Il 23 aprile 1918 tre vecchi incrociatori britannici furono affondati nel braccio di mare antistante la base dei sottomarini, ma il blocco durò solo pochi giorni in quanto i tedeschi rimossero due moletti collocati su un lato del canale, liberando così un varco per gli U-Boot con l’alta marea; in tre settimane i tedeschi riuscirono ad approntare una deviazione e i sottomarini ripresero indisturbati a pattugliare il mare del Nord e dintorni. L’incursione fu un fallimento ma l’opinione pubblica britannica si entusiasmò per il raid a Zeebrugge, mentre si interessò meno all’attacco al canale di Ostenda, che pure conduceva alla base dei sottomarini di Bruges. Tre settimane dopo il fallimento venne lanciato un nuovo attacco che ebbe maggior successo, con l’affondamento di una nave all’imbocco del canale, senza
72 Massie, p. 122 73 Gilbert, p. 506
riuscire però a chiudere completamente il passaggio.
Le navi corsare e l’inizio delle operazioni sottomarine
Fin dal 1914 la Gran Bretagna, forte della propria supremazia navale, tentò di colpire l’avversario, oltre sul fronte militare anche sul quello economico, imponendo un totale e completo blocco ai rifornimenti degli imperi centrali. Nel Mare del Nord, nel canale della Manica e nel Mediterraneo tutte le navi che portavano merci in Germania, anche se battenti bandiera neutrale, furono fermate e confiscate.
Da parte sua la Germania rispose, con un discreto successo, alla minaccia di una sortita in massa della flotta da battaglia nel Mare del Nord sia con la guerra sottomarina sia con nell’antica pratica della “guerra di corsa”74 . Il compito di disturbare il traffico mercantile fu affidato a navi piccole e veloci come l’Emden, il Karlsruhe, il Dresden e il Konigsberg. La posta in gioco non era tanto l’affondamento delle navi avversarie, quanto piuttosto il rendere poco sicure alcune importanti rotte mercantali, distogliendo, al tempo stesso, il maggior numero possibile di navi nemiche. Le navi che più di tutte resero onore alla guerra corsara, diventando per molto tempo furono l’incubo di tutti i mercantili, furono i due incrociatori leggeri Konigsberg e Emden. Il primo allo scoppio della guerra si trovava nel porto di Dar es Salaam, in Tanzania all’epoca possedimento tedesco. Sfuggito ad una grossa squadra inglese si rifugiò nel grande delta del fiume Rufiji da cui iniziò a minacciare il Madagascar e i possedimenti francesi oltre che a compiere operazioni di pirateria75 . Per avere ragione di questa nave le navi alleate spesero ben 6 mesi di blocco prima di riuscire ad affondarla, l’11 luglio 1915, nel suo covo dopo una dura battaglia di alcune ore. I marinai riuscirono però a smontare i pezzi principali per unirsi alle truppe tedesche presenti in Africa e continuare a combattere con coraggio e valore, tanto che solo 15 dei 350 marinai sopravvissero alla guerra. Più lunga e fortunata fu la carriera dell’Emden, del comandante Karl von Mul-
74 Dal termine “Patente di Corsa”, che definiva il ruolo del corsaro 75 Attaccando navi battenti ogni bandiera
ler, che faceva parte della squadra navale del Pacifico agli ordini dell’Amiraglio Maximilian Johannes Maria Hubert Graf von Spee ed era distaccato nel porto cinese, ma appartenente alla Germania, di Tsing - Tao. Allo scoppio della guerra Von Spee ricevette l’ordine di rientrare in patria e così fece, conscio tuttavia dell’importanza dei traffici mercantili della zona distaccò l’incrociatore nell’Oceano Indiano con l’ordine di caccia libera76 .
In 12 settimane l’Emden riuscì, da solo, ad affondare ben 71.000 tonnellate di naviglio mercantile oltre a creare danni a tutti i porti, grandi o piccoli, degli alleati.
La sua fine giunse solo il 9 novembre 1915 quando una flotta di navi inglesi guidate dall’incrociatore Sidney riuscì a far arenare, anche se molti storici propendono per un auto arenamento per salvare l’onore delle armi, sulla barriera corallina delle isole Cocos dove l’equipaggio resistette fino alla fine dei viveri prima di essere catturato. Dopo queste esperienze la flotta tedesca decise di continuare comunque la lotta corsara conscia anche dell’impossibilità di schierare potenti flotte. Gli ammiragli tedeschi cercarono di trovare un nuovo tipo di nave che potesse sopportare lunghe crociere e che non avesse bisogno di grandi quantità di rifornimenti: la soluzione furono gli U-Boot.
Oceano Atlantico
Sebbene alcuni rudimentali esemplari fossero stati usati durante la guerra civile americana77, la Grande Guerra fu la prima occasione in cui i sommergibili furono usati in massa contro le unità navali di superficie e, in particolare, la prima occasione in cui l’arma sottomarina fu rivolta contro il traffico navale mercanti-
le.
Allo scoppio della guerra la Germania disponeva, come del resto tutte le principali marine militari contemporanee, di una piccola flotta di sommergibili composta da 28 unità, inizialmente destinate alla posa di campi minati nelle acqua territoriali britanniche ed all’attacco di navi da guerra avversarie. Il 4 set-
76 da Emden History, su german-navy.de 77 http://www.nationalregister.sc.gov/charleston/S10817710107/S10817710107.pdf
tembre 1914 l’U-21 fu il primo sommergibile del conflitto a colpire ed affondare una nave da guerra, l’incrociatore leggero britannico HMS Indesiderata, mentre il 1º gennaio 1915 lo U-24 fu il primo ad affondare una corazzata, la HMS Formidable. Sebbene nei primi mesi di guerra fosserostate nove le navi affondate, di fronte alla perdita di cinque U-Boot, gli attacchi contro le unità da guerra nemiche si rivelarono in generale poco proficui, vista la maggiore velocità delle unità di superficie rispetto a quella di un sommergibile in immersione. Il 20 ottobre 1914, al largo della costa norvegese, il sommergibile tedesco U17 fermò, perquisì ed affondò il piroscafo britannico Glitra, primo mercantile colato a picco da un U-Boot nel corso del conflitto. L’impiego dei sommergibili contro il traffico mercantile era valutato in maniera negativa da parte del governo tedesco, in quanto le convenzioni internazionali in materia di guerra navale prevedevano l’affondamento delle unità civili solo dopo averle fermate, ispezionate per accertare la natura del carico ed aver concesso all’equipaggio il tempo di mettersi in salvo, tutte operazioni pericolose per un sommergibile, lento, poco armato e per nulla corazzato e quindi vulnerabile sia ad eventuali pezzi d’artiglieria installati sullo stesso mercantile attaccato, sia alla reazione di altre unità nemiche richiamate in zona tramite segnali radio. In aggiunta, le autorità tedesche erano riluttanti ad intraprendere una estesa campagna sommergibilistica indiscriminata contro il traffico navale per paura di alienarsi le simpatie delle nazioni neutrali, ed in particolare degli Stati Uniti.
Fu solo nei primi mesi del 1915, davanti alla prospettiva di un conflitto lungo, che il governo tedesco abbandonò molte delle restrizioni sull’uso dell’arma subacquea tanto che, il 4 febbraio 1915, le acque intorno alle isole britanniche furono dichiarate zona di guerra sottomarina indiscriminata, dove tutti i mercantili diretti verso porti nemici potevano essere affondati dai sommergibili senza alcun preavviso. Se nei primi sei mesi di guerra gli U-Boot avevano colato a picco mercantili per un totale di 43.550 tonnellate di stazza lorda, tra il 18 febbraio ed il 30 aprile la cifra fu di 105.000 tonnellate, per poi arrivare ad un totale di 748.000 t nel corso di tutto il 1915.
Il 7 maggio 1915 al largo delle coste meridionali dell’Irlanda il sommergibile U-
20 silurò ed affondò senza preavviso il transatlantico RMS Lusitania: morirono 1.201 passeggeri tra cui anche 128 cittadini americani. Questo ed altri episodi simili che costarono la vita a cittadini americani spinsero il governo di Washington ad inviare forti proteste a Berlino, minacciando l’interruzione dei contatti diplomatici. Il 24 marzo 1916, dopo che altri cittadini americani avevano rischiato di morire nell’affondamento del traghetto Sussex in servizio nella Manica, il cancelliere Theobald von Bethmann-Hollweg, in accordo con il Kaiser, ordinò alla marina di abbandonare la campagna di attacchi indiscriminati e di attenersi scrupolosamente alle regole delle convenzioni internazionali. Il 25 aprile Scheer richiamò il grosso dei sommergibili dall’Atlantico per tornare ad impiegarli contro le navi da guerra nel Mare del Nord. Tra l’agosto del 1914 ed il maggio del 1916 34 U-Boot erano stati affondati in combattimento, cifra però ampiamente compensata dalle 100 nuove unità entrate in servizio nello stesso periodo. L’insuccesso patito nella battaglia dello Jutland ed i gravi effetti provocati dal blocco navale degli Alleati convinsero il governo tedesco a riconsiderare la sua posizione sull’uso dell’arma subacquea. Il 6 ottobre 1916 fu autorizzata una nuova campagna su vasta scala ma attenendosi ancora alle regole internazionali: in quattro mesi gli U-Boot colarono a picco 516 mercantili per complessive 1.388.000 t al prezzo di sole 8 perdite, mettendo in seria difficoltà i traffici commerciali degli Alleati. Abbandonando ogni ulteriore remora, il 1º febbraio 1917, fu annunciata una nuova campagna senza restrizioni nelle acque britanniche: tra febbraio e giugno del 1917 gli U-Boot raggiunsero le 3.844.000 tonnellate di naviglio affondato e questa nuova campagna fu il pretesto definitivo per l’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco dell’Intesa, fatto che avvenne il 6 aprile 1917. La campagna sommergibilistica tedesca fu così efficace sia per via dell’alto numero di battelli impiegati (nel febbraio 1917 erano disponibili 152 U-Boot), sia per la nuova rotta adottata per arrivare nelle acque atlantiche: invece di passare a nord della Scozia, come nei primi tempi, i sommergibili tedeschi abbreviarono il percorso passando attraverso lo stretto di Dover, dove i campi minati e gli sbarramenti approntati dai britannici si erano dimostrati inefficaci. Questa tatti-
ca fecero crollare le importazioni britanniche, portando il paese sull’orlo del collasso.
Gli Alleati reagirono in vari modi agli attacchi degli U-Boot: furono adottate in via generalizzata le bombe di profondità ,approntate all’inizio della guerra, e furono introdotti apparecchi per la rilevazione dei sommergibili in immersione come l’idrofono ed i primi rudimentali esemplari di sonar. Alcuni mercantili furono trasformati in Q-ship, all’apparenza dei normali cargo ma dotati di pezzi d’artiglieria nascosti, per indurre il sommergibile ad emergere ed ingaggiare uno scontro di superficie nella speranza di tenerlo impegnato abbastanza da resistere fino all’arrivo di rinforzi sempre presenti nell’area. La misura che più di tutte permise agli Alleati di superare la minaccia subacquea fu tuttavia l’adozione della tattica dei convogli navali: i mercantili non erano più fatti navigare isolatamente, ma riuniti in formazioni fortemente scortate da unità da guerra e, verso la fine del conflitto, anche da unità aeree e di dirigibili. Sebbene l’idea fosse stata già proposta fin dall’inizio della guerra il comando della Royal Navy vi si era sempre opposto, non volendo disperdere un gran numero di unità di scorta per difendere i mercantili invece di impiegarle per dare direttamente la caccia agli U-Boot. Solo davanti alle alte perdite di mercantili ed alle pressioni del governo degli Stati Uniti l’Ammiragliato britannico si convinse ad adottare questa nuova tattica. L’approntamento di convogli navali così strutturati diminuì drasticamente i successi degli U-Boot, mentre il potenziamento dei mezzi offensivi delle navi scorta incrementò il numero delle perdite: tra l’agosto del 1917 ed il gennaio del 1918 il numero degli U-Boot affondati superò per la prima volta quello delle nuove costruzioni, 46 a 42.
Mar Mediterraneo
Il Mar Mediterraneo durante la prima guerra mondiale fu il teatro di un lungo scontro che coinvolse le marine Alleate di Francia, Gran Bretagna Italia e più avanti mezzi navali Giapponesi e Americani (questi ultimi però si limitarono a fare la scorta ai propri mercantili) contro la k.u.k. Kriegsmarine austro-ungarica, la Kaiserliche Marine tedesca e la Osmanlı Donanması ottomana. Il vantaggio delle
marine dell’Intesa fu subito evidente, in quanto con il blocco del canale d’Otranto e il blocco delle basi tedesche e turche nel Mar Egeo, consentirono di imbottigliare rispettivamente le flotte austriache e tedesche nel Mar Adriatico e nell’Egeo, consentendo ai convogli Alleati di navigare più o meno liberamente nel Mediterraneo collegando l’Europa alle colonie in Africa, possibilità invece quasi preclusa alla Germania. Le azioni principali degli Imperi centrali quindi si concentrarono soprattutto nel Mar Nero contro la flotta russa; in questa direzione è il tentativo degli Alleati di forzare, nel 1915, lo stretto dei Dardanelli, durante l’omonima campagna, in modo tale di aprirsi l’unico varco nel Mar Nero e aiutare l’alleato russo, in quel momento in grossa difficoltà. Successivamente la guerra nel Mediterraneo fu quasi interamente attuata da azioni di sommergibili austro-tedeschi nel tentativo di forzare i blocchi. In base alla convenzione navale tra le nazioni della Triplice Alleanza del 1913, la flotta tedesca doveva impedire il rimpatrio delle truppe francesi dai possedimenti africani. Coerentemente ai piani originali, il comandante Souchon, già in rotta verso le coste africane, applicò l’azione pianificata e, il 4 agosto, aprì il fuoco con il Goeben e il Breslau rispettivamente contro i porti di Philippeville e Bona. Le unità furono però intercettate da unità britanniche che iniziarono un inseguimento delle unità tedesche dirette verso lo stretto dei Dardanelli. Arrivate all’imbocco dello stretto, le due navi tedesche chiesero permesso di entrare in acque turche. Enver Pasha, il ministro della guerra turco, consapevole che acconsentire il passaggio nei Dardanelli alle navi tedesche avrebbe rappresentato un atto ostile nei confronti della Gran Bretagna che avrebbe sospinto la Turchia nell’orbita della Germania, diede il suo assenso all’entrata nello stretto alle due navi tedesche. Per non pregiudicare la neutralità della Turchia, le due navi vennero cedute, con un finto atto di vendita alla Turchia, ma a ciò non seguirono atti ostili e le due navi furono ancorate al porto di Istanbul. Nello stesso tempo l’Italia si mantenne neutrale, mettendo in questo modo in crisi le strategie nel Mediterraneo di Austria-Ungheria e Germania. Sul campo la Germania non avrebbe potuto contare sulle truppe italiane e sul mare gli austriaci non avrebbero potuto fronteggiare la flotta francese da soli, infatti nei loro piani li stati maggiori prevedevano di sfruttare le basi italiane come punto
d’appoggio per assaltare le coste francesi. Con la marina tedesca impegnata a nord, all’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa, la flotta austro-ungarica si trovò improvvisamente sola contro le forze navali Alleate e decise quindi di chiudersi all’interno dei suoi porti riducendo il fronte marittimo alla sola fascia costiera orientale dell’Adriatico e al
suo sbocco nel canale d’Otranto.
La flotta austriaca allo scoppio delle ostilità era quantitativamente inferiore rispetto alla Regia Marina, ma poteva avvalersi di un notevole vantaggio strategico derivante dalla diversa conformazione delle coste adriatiche nei due versanti. Le scelte strategiche del comandante della flotta austro-ungarica si basarono interamente su questo fattore di potenza, che per l’Italia costituiva viceversa una grave condizione di vulnerabilità anche per l’inadeguatezza delle difese costiere.
La prima operazione importante che la Regia Marina Italiana dovette affrontare fu il salvataggio di ciò che restava dell’esercito serbo dopo la sua rotta in seguito all’invasione della Serbia da parte delle truppe austro-ungariche. Durante le operazioni vennero trasportati circa 155.000 uomini dalla costa albanese e greca a quella italiana, in massima parte soldati, con una buona quantità di armi che furono poi impiegate sul fronte di Salonicco. Nessuna interferenza, vista la netta inferiorità di forze, venne portata dalla flotta austro-ungarica all’operazione,. Le operazioni nell’Adriatico ebbero gli episodi salienti nei tentativi da parte austro-ungarica di forzare il blocco del Canale d’Otranto creato dagli Alleati dopo l’entrata in guerra dell’Italia. Nel marzo 1915 i tedeschi decisero di inviare agli austriaci un certo numero di sommergibili che, in cambio, offrivano le basi navali di Pola e Cattaro. Uno di questi sommergibili, l’U26, l’U14 tedesco battente bandiera austriaca, affondò l’incrociatore italiano Amalfi poco dopo lo scoppio delle ostilità tra Italia ed Austria-Ungheria ma prima della dichiarazione di guerra tra Italia e Germania. La marina imperiale era più debole quanto a navi da battaglia, ma poteva contare sulle quattro moderne navi della classe Tegetthoff che si sarebbero contrapposte alle due italiane della classe Caio Duilio e alle tre della classe Conte di
Cavour. La flotta austriaca non aveva speranza di vincere in un confronto diretto, vista anche la sproporzione negli incrociatori e nelle unità di scorta, ma effettuò comunque varie azioni di interdizione contro la costa italiana, come il bombardamento di Ancona, e due tentativi di forzamento dello sbarramento di Otranto.
Ai tentativi di forzamento del Canale gli Alleati risposero con la pronta reazione delle forze navali dislocate a Brindisi e Valona. L’Italia aveva stabilito
una base navale sull’isola di Saseno e una forza navale, composta da incrociatori britannici e cacciatorpediniere francesi, era di base a Brindisi. Inizialmente la Regia Marina mantenne nell’alto Adriatico una presenza di unità pesanti, come l’incrociatore corazzato Amalfi e varie siluranti, ma dopo l’affondamento dello stesso Amalfi nelle fasi iniziali della guerra la presenza venne ridotta a MAS78 e sommergibili, concentrando tutte le unità di squadra tra Brindisi e Taranto. La guerra fu condotta anche attraverso sabotaggi, e come tale vennero classificate l’esplosione, il 27 settembre 1915 nel porto di Brindisi, della Benedetto Brin e l’affondamento della Leonardo da Vinci avvenuto nel porto di Taranto il 2 agosto 1916; sono stati però avanzati dubbi su queste ipotesi, mai provate. Gli italiani ricorsero a mezzi d’assalto speciali per tentare di forzare i porti avversari e i primi tentativi avvennero contro la base di Pola. Nel 1917 venne presentato un progetto di motoscafo atto a superare ostruzioni simili a quelle del canale di Fasana realizzate tramite due catene Galles a cui erano applicati ganci, che aggrappandosi alle ostruzioni, lo spingevano in avanti consentendone il superamento. I mezzi furono soprannominati “barchino saltatore”, ne furono costruiti quattro dall’Arsenale di Venezia, chiamati Cavalletta, Pulce, Grillo e Locusta, ma le diverse azioni, tra aprile e maggio 1918, non ebbero successo. Altre importanti azioni vennero messe a segno dai MAS che affondarono le due navi da battaglia la Wien, il 9 dicembre 1917, e la Szent István in quella che è nota come impresa di Premuda.
78 Il motoscafo armato silurante o motoscafo anti sommergibile, più conosciuto con la sigla MAS, era una piccola imbarcazione militare usata come mezzo d'assalto veloce dalla Regia Marina
Nel primo episodio il MAS 9, pilotato da Luigi Rizzo, penetrò nel vallone di Muggia lanciando una salva di siluri che affondarono la Wien e mancarono di poco la gemella Budapest colpendo invece la banchina. Nel secondo durante una missione di perlustrazione e dragaggio in alto Adriatico, i MAS 15 e 21, comandati dal capitano di corvetta Luigi Rizzo e dal guardiamarina Giuseppe Aonzo, si imbatterono in una forza navale austriaca costituita dalle corazzate Szent István e Tegetthoff, scortate da alcune cacciatorpediniere.
I due MAS si lanciarono al centro della formazione austro-ungarica puntando le due corazzate e lanciando le due coppie di siluri a loro disposizione. I due siluri del MAS 21 colpirono la Tegetthoff ma non esplosero, mentre i siluri del comandante Rizzo colpirono la Szent István che si capovolse per poi affondare.
I Dardanelli
Sul fronte orientale, nel 1915 le armate russe, sospinte dalle forze ottomane al di là dei confini che la Russia aveva tracciato a spese dei turchi nel 1878, erano in grossa difficoltà. Il granduca Nicola si appellò allora alla Gran Bretagna perché compisse un’azione di disturbo contro la Turchia, costringendola a richiamare a est parte delle sue truppe. I britannici su suggerimento di lord Kitchener e con l’appoggio del Primo Lord dell’Ammiragliato Churchill, propose di attaccare dal mare i forti turchi nei Dardanelli.
Gli argomenti a favore di un’azione nei Dardanelli furono peraltro molto convincenti: le navi da guerra britanniche e francesi potevano raggrupparsi nell’Egeo senza il rischio di essere attaccate, in caso di necessità sarebbero poi state a disposizione le truppe australiane destinate al fronte occidentale già in viaggio verso l’Egitto senza dover quindi richiamare truppe da occidente. Dato che il consiglio di guerra britannico pensava di poter riportare una veloce vittoria, il 19 febbraio 1915, le prime navi da guerra britanniche iniziarono a bombardare i forti turchi come parte preliminare delle azioni di sbarco. La campagna navale dei Dardanelli ebbe inizio il 18 marzo con la partecipazione di sei corazzate britanniche e quattro francesi.
I forti all’imbocco dello stretto erano per lo più stati messi fuori combattimento dai bombardamenti precedenti, quelli posti a controllo dei campi minati furono neutralizzati in meno di tre ore e le lunghe file di mine, poste all’ingresso dei Dardanelli, vennero dragate dalle corazzate via via che avanzavano. Ma a complicare i piani furono una ventina di ordigni posti parallelamente alla riva destra da un vaporetto turco appena dieci giorni prima: tre delle dieci corazzate calarono a picco e una quarta subì grossi danni. Nel primo giorno dell’attacco navale, le mine turche affondarono la francese Bouvet e le britanniche Irresistible ed Ocean, danneggiando gravemente l’incrociatore da battaglia Inflexible e le navi da battaglia francesi Suffren e Gaulois.
Nonostante queste perdite l’azione fu ad un soffio dal diventare successo, per questo il consiglio di guerra britannico, invece di tentare un nuovo attacco navale, decise di anticipare gli sbarchi terrestri per attaccare i forti rimasti in piedi. Kitchener, molto fiducioso, decise nello sbarco in forze, che però non portò ai risultati sperati, rendendo la spedizione un vero disastro per la Gran Bretagna. Il corpo di spedizione britannico ed australiano-neozelandese (ANZAC), subì gravissime perdite, tanto che le cinque divisioni impegnate inizialmente divennero sedici fino al forzato reimbarco.
Lo sforzo della Turchia fu grande e venne supportato dalla Germania attraverso la massiccia presenza di propri consiglieri militari, ma la vittoria fece emergere i militari come spina dorsale di quella che sarebbe diventata la Turchia laica del dopo Impero ottomano, con alla guida il generale Mustafa Kemal, che si distinse nei combattimenti di terra guidando anche personalmente alcune operazioni sul campo ed imponendosi all’attenzione sia dei suoi connazionali sia degli alleati tedeschi.
Da entrambe le parti venne fatto uso dei sommergibili, che da parte Alleata riuscirono nel bloccare il Mar di Marmara (nonostante la perdita di otto battelli) affondando tra l’aprile 1915 e il gennaio 1916 due navi da battaglia obsolete, un cacciatorpediniere, cinque cannoniere, nove navi da trasporto, sette navi da rifornimento e quasi 200 piccole imbarcazioni. La flotta turca, aveva il proprio punto di forza nelle navi, una volta tedesche
Yavuz, ex-Goeben e Midilli, ex-Breslau, che avevano fortunosamente raggiunto, inseguite da incrociatori britannici ,Istanbul ed erano passate, pur mantenendo equipaggio tedesco, nominalmente sotto bandiera turca. Il 25 aprile 1915, lo stesso giorno dello sbarco a Gallipoli, navi russe si portarono a largo del Bosforo e bombardarono i forti all’ingresso dello stretto. Due giorni dopo la Yavuz, scortata dalla corazzata pre-dreadnought Turgut Reis (ex SMS Weissenburg) della classe Brandenburg, s diresse verso sud per bombardare le truppe dell’Intesa a Gallipoli. Al tramonto furono avvistate, da un pallone frenato, mentre si schieravano. Quando la prima salva da 380 mm della Queen Elizabeth colpì le acque vicino alla loro posizione, la Yavuz si spostò vicino alle scogliere, dove non poteva essere raggiunta dai colpi nemici. Il 30 aprile, la Yavuz tentò ancora la missione di bombardamento, ma fu individuata dalla corazzata pre-dreadnought Lord Nelson che si era portata all’interno dei Dardanelli per bombardare il comando turco presso Canakkale. La nave britannica riuscì soltanto a lanciare cinque proiettili prima che la Yavuz si portasse fuori tiro. Dal punto di vista navale, non vi furono altri scontri diretti tra le forze di superficie dei due schieramenti prima del ritiro delle forze da sbarco Alleate.
Il 20 gennaio 1918, la Yavuz e la Midilli, sempre con equipaggio tedesco, lasciarono i Dardanelli sotto il nuovo comando del vice-ammiraglio RebeurPaschwitz. L’intenzione dell’ammiraglio tedesco era di attirare le forze navali dell’Intesa lontano dalla Palestina perché non potessero contrastare le forze turche nell’area.
Uscita fuori dagli stretti, nella sortita nota come la battaglia di Imbros, dal nome della baia nella quale si svolse, la Yavuz sorprese ed attaccò una piccola squadra britannica, priva della protezione di unità pesanti, affondando i monitori79 HMS Raglan e HMS M28 che si erano rifugiati nella baia non potendo sfuggire a causa della loro scarsa velocità. Rebeur-Paschwitz decise poi di avanzare verso il porto di Mudros, nell’isola di Lemno, dove la corazzata britannica predreadnought Agamemnon stava mettendo in pressione le caldaie per ingaggiare
79 speciale nave corazzata, adatta ad azioni nei fiumi o contro costa, ma assolutamente inadatta per velocità e qualità nautiche come unità di squadra
le navi turche.
Mentre procedeva la Midilli urtò alcune mine ed affondò, anche la Yavuz urtò tre mine e dovette essere arenata nei pressi dello stretto per evitare l’affondamento. La nave arenata venne poi attaccata sia dal Royal Naval Air Service, l’aviazione navale britannica, che da un monitore, la HMS M17 senza esito reale.
Il sommergibile HMS E14 fu inviato per distruggere la nave danneggiata, ma giunse troppo tardi, la vecchia corazzata Turgut Reis aveva già trainato la Yavuz a Costantinopoli, la Yavuz era inabilitata dagli estesi danni e le riparazioni andarono avanti dal 7 agosto al 19 ottobre. Da qui in poi non vi fu nessuna operazione di rilievo nell’area fino al termine delle ostilità.
Mar Baltico
Nel Mar Baltico sia l’Impero Russo sia la Germania adottarono una strategia prevalentemente difensiva. La flotta russa del Baltico era surclassata sia numericamente che qualitativamente dalla quella tedesca, che, tuttavia, aveva come compito primario il confronto con la Royal Navy nel Mare del Nord, potendo quindi destinare solo poche unità nelle acque baltiche. Entrambi i contendenti si dedicarono prevalentemente alla posa di ampi sbarramenti di mine navali ed a rapidi attacchi, con forze leggere, contro le coste nemiche per bombardare le basi navali e appoggiare le operazioni delle truppe di terra. Il Regno Unito fornì supporto al suo alleato inviando una piccola flottiglia di sommergibili nelle acque del Baltico. Di base a Tallinn e poi ad Helsinki, i battelli britannici furono molto attivi nel disturbare i traffici commerciali tedeschi
nel bacino mentre, al contrario, i pochi sommergibili russi operarono sotto forti restrizioni per evitare attriti con la neutrale, ma filo-tedesca, Svezia obiettivo di tutti i traffici commerciali della zona.
Le ostilità iniziarono subito dopo la dichiarazione di guerra, con incursioni di squadre di incrociatori leggeri contro i rispettivi porti principali; durante una di queste operazioni, il 26 agosto 1914 l’incrociatore tedesco SMS Magdeburg finì incagliato nei pressi dell’isola di Osmussaar, all’imboccatura del Golfo di Fin-
landia, e dovette essere auto affondato dall’equipaggio. Questo evento, apparentemente minore, si dimostrò un importante successo per le forze alleate: ispezionando il relitto, infatti, i russi rinvennero tre copie del libro codice, che i tedeschi erano convinti di aver distrutto, della marina tedesca. Una di queste fu subito inviata agli uffici di codifica dell’Ammiragliato britannico mentre un secondo a quello Francese, che da allora in poi furono quasi sempre in grado di decriptare le comunicazioni radio della Kaiserliche Marine. L’alto comando russo si dimostrò sempre molto prudente nell’impiegare le sue unità maggiori, destinandole prevalentemente alla difesa dei golfi di Riga e di Finlandia, per proteggere la capitale zarista San Pietroburgo. Squadre di corazzate ed incrociatori da battaglia tedeschi furono occasionalmente impiegate nelle acque baltiche, in particolare per appoggiare i tentativi di forzare le difese russe davanti Riga. Tra l’8 ed il 19 agosto 1915, una grossa squadra tedesca composta da otto corazzate e dall’incrociatore da battaglia SMS Moltke tentò di forzare lo stretto di Irbe, tra la Curlandia e l’isola di Saaremaa, dando luogo alla battaglia del golfo di Riga. Ben due distinti tentativi di dragare il canale dalle mine furono respinti dal fuoco delle batterie costiere russe e della corazzata Slava e la squadra tedesca si dovette ritirarsi dopo aver subito leggeri danni. La rivoluzione di febbraio del 1917 portò gravi danni al morale ed alla coesione degli equipaggi della flotta russa che perse progressivamente gran parte del suo potenziale bellico. Approfittando della situazione, la marina tedesca decise di compiere un nuovo tentativo di forzare il golfo di Riga e l’11 ottobre 1917 fu lanciata l’operazione Albion quando un contingente dell’esercito tedesco, massicciamente supportato dalle corazzate della Hochseeflotte, sbarcò nelle isole di Saaremaa, Hiiumaa e Muhu per neutralizzare le batterie costiere russe e permettere il dragaggio dei campi minati. L’operazione fu un successo, le corazzate tedesche poterono così penetrare nel golfo per affrontare le navi russe: il 17 ottobre le due squadre si affrontarono nella battaglia dello stretto di Muhu, conclusasi con la ritirata delle forze russe che persero nello scontro la corazzata Slava. Con la ritirata russa dal Golfo di Riga cessarono le principali operazioni belliche nel bacino: il 3 marzo 1918 il trattato di Brest-Litovsk ,tra gli Imperi centrali ed il nuovo governo bolscevico, pose fine alle ostilità sul fronte orientale. Una
delle ultime operazioni belliche nel Baltico, nell’aprile del 1918 permise ad un contingente tedesco (Ostsee-Division) di sbarcare ad Helsinki in appoggio alle guardie bianche finlandesi, impegnate in nella guerra civile contro i bolscevichi locali.
Mar Nero
L’arrivo della Goeben e della Breslau ad Istanbul fu molto importante nella decisione ottomana di entrare in guerra a fianco della Germania. Le ostilità nel Mar Nero si aprirono all’alba del 29 ottobre 1914 quando, senza dichiarazione di guerra, la flotta ottomana attaccò le principali basi russe nel bacino: due cacciatorpedinieri bombardarono Odessa, dove affondarono una cannoniera. La Breslau e l’incrociatore Hamidiye cannoneggiarono Feodosia e Novorossisk, mentre la Goeben aprì il fuoco su Sebastopoli, affondando un posamine ma venendo lievemente danneggiata dalle batterie costiere. Gli attacchi comunque provocarono pochi danni ai russi e la Flotta del Mar Nero compì, già nel pomeriggio del 29 ottobre, una crociera dimostrativa davanti al Bosforo. I rapporti di forza tra i due contendenti erano particolari: se la Goeben era singolarmente più forte e più veloce di qualsiasi vecchia nave russa, la Flotta del Mar Nero manteneva una notevole superiorità numerica e qualitativa rispetto alla flotta ottomana, dotata di poche unità veramente efficienti. Probabilmente proprio per questo, la condotta russa nel Mar Nero fu molto più aggressiva rispetto a quella tenuta nel Baltico.
Già ai primi di novembre del 1914 la flotta russa si mosse al completo verso le coste turche per stendere, davanti al Bosforo, campi minati e di attaccare il traffico mercantile tra i porti di Trebisonda e Zonguldak, principale linea di rifornimento delle armate ottomane impegnate sul fronte del Caucaso. Il 18 novembre, al rientro da una missione di bombardamento costiero, la squadra di corazzate russe incappò nella Goeben e nella Breslau al largo di Capo Saryc, la punta meridionale della Crimea: nel corso di un confuso scontro tra la nebbia, la Goeben mise a segno quattro colpi sull’ammiraglia russa, la corazzata Evstafi, ma anche l’incrociatore fu danneggiato da un proiettile di grosso calibro sparato dalla nave nemica e preferì rompere il contatto e ritirarsi.
Lo scontro convinse tedeschi e ottomani ad impegnare con cautela la Goeben per non esporla a rischi non calcolati e nel timore di perdere l’unico vantaggio che avevano sui russi. Il 26 dicembre l’incrociatore urtò due mine davanti Istanbul
riportando notevoli danni, aggravati anche dalla mancanza di moderni cantieri navali dove eseguire le necessarie riparazioni. Sfruttando l’inattività della Goeben, a partire dai primi mesi del 1915, la flotta russa intraprese diversi attacchi lungo la costa settentrionale dell’Anatolia, distaccando anche la corazzata Rostislav a Batumi per appoggiare le operazioni dell’esercito sul fronte del Caucaso. La Flotta del Mar Nero fu anche attiva
nell’appoggiare la campagna franco-britannica nei Dardanelli, cannoneggiando più volte le posizioni ottomane nel Bosforo. Il 3 aprile 1915 la marina ottomana subì un duro colpo perdendo una delle sue poche unità principali efficienti, l’incrociatore protetto Mecidiye, a causa dell’urto con una mina davanti ad Odessa. La situazione per gli Imperi centrali peggiorò poi alla fine dell’anno, quando entrarono in servizio due nuove corazzate russe, tipo dreadnought, la Imperatritsa Mariya e la Imperatritsa Ekaterina Velikaya, garantendo alla Flotta del Mar Nero una netta superiorità sull’avversario. Nei primi mesi del 1916 la Flotta del Mar Nero intervenne massicciamente in appoggio all’esercito russo sul fronte del Caucaso, bombardando ripetutamente le posizioni ottomane senza incontrare quasi opposizione dalle unità nemiche e flotta condusse anche una serie di vittoriose operazioni di sbarco lungo la costa anatolica, collaborando, tra febbraio ed aprile, agli importanti successi russi ottenuti nell’offensiva di Erzurum e nella battaglia di Trebisonda. Alla fine del 1916 la marina russa aveva ormai ottenuto il controllo del Mar Ne-
ro, contrastata solo da un pugno di sommergibili tedeschi di base a Varna e da occasionali uscite in mare della Goeben ma, il 20 ottobre, la Flotta del Mar Nero subì un duro colpo quando la corazzata Imperatritsa Mariya esplose, probabilmente a causa di un incidente, mentre si trovava all’ancora a Sebastopoli. La rivoluzione di febbraio del 1917 non pregiudicò il controllo russo sul bacino sebbene anche la Flotta del Mar Nero iniziasse a subire i primi cedimenti del morale degli equipaggi. Il 23 giugno 1917 vi fu un ultimo scontro in mare quando, davanti l’isola dei Serpenti, la corazzata Imperatritsa Ekaterina Velikaya mise in
fuga la Breslau prima che, nell’ottobre seguente, una tacita tregua mettesse fine alle operazioni. Con il trattato di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918 le ostilità ebbero termine e i tedeschi procedettero all’occupazione della Crimea. La Imperatritsa Ekaterina Velikaya e la nuova dreadnought Imperator Aleksandr III, ribattezzate rispettivamente Svobodnaya Rossiya e Volia, lasciarono la base abbandonando il resto della flotta ai tedeschi ma, durante il viaggio, l’equipaggio ucraino della seconda si ammutinò e riportò la nave in porto. Le vicende delle unità superstiti della Flotta del Mar Nero si fusero poi con quelle più ampie della guerra civile russa.
La resa e il destino finale delle flotte
Durante l’ottobre 1918, le truppe Alleate sul fronte occidentale stavano ormai avanzando inesorabilmente verso il confine belga sfruttando il caos interno della Germania e grazie alla netta superiorità di uomini e mezzi al fronte. Il 25 ottobre in Germania i giornali pubblicarono il telegramma, poi annullato, in cui si ordinava di “combattere fino alla fine”80. Indignato, il principe Max von Baden si recò dal Kaiser per chiedere le dimissioni di Ludendorff o, in caso contrario, offrire quelle del governo. Ludendorff andò a sua volta da Guglielmo II per domandargli di respingere ancora una volta l’offerta le condizioni dell’armistizio del presidente degli Stati Uniti Wilson e continuare a combattere. Ludendorff ebbe l’appoggio di Hindenburg e, cosa ancor più importante, del ministro della guerra Scheüch, ma, resosi conto dell’impossibilità di tale richiesta da parte dell’imperatore, Ludendorff diede le dimissioni. Il 26, mentre la Turchia negoziava la resa e l’Austria-Ungheria avviava i contatti con l’Italia, la flotta tedesca d’alto mare non fu più disposta a continuare la guerra. L’ordine di salpare che le era stato impartito per sferrare un ultimo attacco fece sobbalzare l’ammiragliato britannico che decodificò il messaggio, ma i marinai tedeschi si rifiutarono di ubbidire. L’ammiraglio Scheer tentò in ogni modo di convincere gli uomini a combattere ma i marinai non si lasciarono persuadere: per cinque volte fu dato l’ordine di salpare e per cinque volte l’ordine venne disatteso. Un migliaio di ammutinati vennero arrestati e in tal modo la
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flotta venne immobilizzata.
Il 28 ottobre, sulla corazzata Agamemnon al largo dell’isola di Lemno, i negoziatori turchi e britannici misero a punto gli ultimi particolari dell’armistizio che sarebbe entrato in vigore alla mezzanotte del giorno seguente. Le clausole imponevano alla Turchia di aprire i Dardanelli e il Bosforo alle navi da guerra Alleate e di accettare l’occupazione militare dei forti sugli stretti. Il 31 ottobre, nel porto di Pola, gli slavi meridionali presero in consegna le navi da guerra austro-ungariche che l’imperatore, Carlo I d’Austria, aveva ceduto loro credendo in questo modo di sottrarle alla cessione in vista dell’imminente armistizio. Un gruppo di incursori italiani, non informato del fatto, attaccò la corazzata Viribus Unitis affondandola e provocando, in quella nota come “impresa di Pola”, la morte di centinaia di marinai. La flottiglia del Danubio fu ceduta all’Ungheria e, infine, il 4 novembre entrò in vigore l’armistizio con l’Austria-Ungheria. Solo la Germania continuava a combattere anche se nella marina tedesca gli ammutinamenti si estendevano a macchia d’olio. A Kiel migliaia di marinai, molti operai e 20.000 soldati andarono, quello stesso giorno, a ingrossare le file dei 3.000 marinai ammutinatisi il giorno precedente. Molte migliaia dei marinai di Kiel si recarono a Berlino per innalzarvi la bandiera della sedizione, il 5 i marinai di Lubecca e di Travemünde dichiararono la loro adesione alla rivoluzione
e altrettanto fecero, il giorno seguente, i marinai di Amburgo, Brema, Cuxhaven e Wilhelmshaven.
Nella serata dell’8 novembre l’ammiraglio von Hintze raggiunse Spa, dove il governo tedesco e il Kaiser erano riuniti per discutere la resa, per comunicare all’imperatore che la marina non avrebbe più obbedito ai suoi ordini. Il giorno seguente la Germania firmò l’armistizio di Compiègne: le truppe Alleate occuparono il paese e la Hochseeflotte venne internata nella base britannica di Scapa Flow. Il 18 gennaio 1919 iniziò la conferenza di pace di Parigi, che avrebbe deciso le sorti della Germania, essendo evidente fin dall’inizio che la resa prevedeva la cessione delle navi ai vincitori, il 21 giugno, la flotta tedesca si autoaffondò a Scapa Flow. Il 22 giugno 1919 a Versailles i delegati acconsentirono alla firma del trattato tra i paesi vincitori e la Germania, che rifiutò solo la
clausola della dichiarazione di “colpevolezza”. Mentre i rappresentanti Alleati si stavano preparando a discutere questo nuovo gesto di sfida, arrivò la notizia dell’autoaffondamento della flotta e gli Alleati decisero immediatamente non solo di rifiutare qualsiasi modifica al trattato ma di concedere ai tedeschi solo ventiquattr’ore di tempo per sottoscriverlo. I tedeschi furono quindi obbligati a firmare il trattato con le umilianti condizioni di pace che fu ratificato da 44 Stati il 28 giugno. Le navi austro-ungariche erano cedute, già prima dell’armistizio, alle marine dei costituendi stati, che poi confluiranno nella Jugoslavia, ma dagli Alleati non venne riconosciuto un valore legale a questa cessione, tanto che quasi l’intera classe Tatra di cacciatorpediniere, tranne una unità, e la corazzata SMS Tegetthoff vennero assegnate all’Italia, alla Francia toccarono un cacciatorpediniere ed una nave da battaglia, la SMS Prinz Eugen, che verrà in seguito affondata come bersaglio, mentre al Regno Unito toccarono altre unità che vennero in seguito smantellate.
Anche alla marina ottomana fu intimato, sulla base del trattato di Sèvres, di consegnare agli Alleati la sua flotta da battaglia, ormai ridotta alla Yavuz ed a poche altre unità efficienti. I successivi sviluppi della guerra d’indipendenza turca e la sottoscrizione del nuovo trattato di Losanna del 1923 fecero tuttavia sì
che tale cessione non avesse luogo e le superstiti unità ottomane passassero quindi per intero al servizio della nuova marina militare turca.
• La storia – Le grandi Battaglie 26: pagine da 611 a 637 • Militaria Gallipoli • Storia illustrata della Prima guerra Mondiale da pagina 74 a pagina 77. • Collana “La biblioteca della Grande Guerra” di David Stevenson
• La Storia d’Italia - Volume 19: la crisi di fine secolo, l’età giolittiana e la prima guerra mondiale” la biblioteca della repubblica pagine 586 – 789 • “La Storia – Volume 12: l’età dell’imperialismo e la prima guerra mondiale” la biblioteca della repubblica pagine 672 – 831 • Diario illustrato della grande guerra” Corni Gustavo, 2015 • “Storia Illustrata della Prima guerra mondiale, Giunti, ,1999