4 minute read

Carabinieri, spie e sudditi di Paesi nemici a Treviso

Next Article
Bibliografia

Bibliografia

2.

IL «REGIME DEL SOSPETTO»:

Advertisement

INDAGINI DEI REALI CARABINIERI, SPIE E SUDDITI DI PAESI NEMICI A TREVISO

La classe dirigente italiana, già all’inizio del conflitto, prese coscienza del fatto che, se si voleva arrivare alla vittoria in quella che sembrava una guerra destinata a risolversi in breve tempo, era necessario, anzi, indispensabile, riuscire a ottenere la mobilitazione della popolazione intera. Fu scelto quindi di mirare al raggiungimento di quest’ultima mediante l’applicazione di nuove e rigide politiche autoritarie; tuttavia, ben presto, queste andarono ad acquistare dimensione e caratteri fino ad allora sconosciuti nel nostro Paese1 .

La convinzione di dover affrontare un conflitto di breve durata

portò il governo Salandra a sottovalutare l’urgenza di elaborare un piano di intervento adeguato, sostituendolo invece con metodi coattivi ed emanando una legislazione eccezionalmente restrittiva e lesiva delle libertà individuali:

La necessità divenne il fondamento della legge e il principio di legalità fu sostituito a quello di legittimità, in base al quale divenne legittimo quanto reputato essenziale per la difesa e la sicurezza dello stato. Le regole istituzionali vennero alterate: estesi poteri in materia civile passarono alle autorità militari, gran parte delle funzioni del legislativo furono delegate all’esecutivo2 .

Già dal maggio 1915, oltre che ai territori di frontiera e alle piazzeforti marittime, vennero dichiarate zone di guerra anche i paesi

1 In tutti gli stati belligeranti vennero accentuate, nel corso del conflitto, le misure coercitive e di repressione del dissenso sociale e politico, e venne anche estesa enormemente la sfera dei poteri militari; in Italia, però, questo fenomeno fu di una portata totalmente inedita e, come vedremo, registrò alcuni caratteri particolari. 2 Giovanna Procacci, Stato di guerra, regime di eccezione e violazione delle libertà. Inghilterra, Germania, Austria, Italia dal 1914 al 1918, in Bruna Bianchi, Laura De Giorgi, Guido Samarani (a cura di), Le guerre mondiali in Asia orientale e in Europa. Violenza, collaborazionismi, propaganda, Milano, UNICOPLI, p. 34.

e le province della costa adriatica3: tutto il Veneto, parte del Friuli e dell’Emilia-Romagna divennero così delle vere e proprie «zone franche, all’interno delle quali l’autorità politica centrale e periferica perdevano il proprio potere»4 .

Le autorità militari, al contrario, furono investite di poteri straordinari in questi territori: di loro competenza erano non solo le più tradizionali funzioni relative all’ordine pubblico e alla censura epistolare, ma anche la gestione della Mobilitazione industriale – che includeva una rigida sorveglianza degli operai occupati nelle fabbriche ausiliarie – e, più in generale, la giurisdizione sia dei territori occupati che delle zone di guerra. Qui esse detenevano, oltretutto, il potere legislativo, in aggiunta a quello amministrativo e giudiziario; i bandi (detti anche ordinanze) emanati dai vari comandanti erano in tutto e per tutto assimilabili alle leggi dello Stato, anzi, essi avevano addirittura la facoltà di derogare queste ultime, sancendo nuove norme e nuove proibizioni, attribuendo i reati più disparati ai Tribunali militari.

Nel corso della guerra venne dunque imposto ai civili un durissimo regime di controllo sociale, il quale prevedeva non solo una forte restrizione dei diritti dei cittadini, ma anche, fatto ben più grave, «l’obiettivo dell’annientamento del nemico […] condusse alla violazione dei principi del diritto delle genti, pur ribaditi alla conferenza dell’Aja del 1907. […] All’interno dei singoli paesi furono perseguitate intere categorie di cittadini: profughi, sudditi di paesi nemici, minoranze»5 .

Sorvegliare le persone potenzialmente pericolose e indagare su coloro i quali potevano in qualche modo ledere allo spirito patriottico

3 Con l’entrata in guerra dell’Italia vennero dichiarate zone di guerra le province di Brescia, Sondrio, Verona, Vicenza, Belluno, Udine, Padova, Venezia, Treviso, Mantova, Ferrara, Bologna, Forlì, Ravenna. 4 Giovanna Procacci, La società come una caserma. La svolta repressiva degli anni di guerra, in Bruna Bianchi (a cura di), La violenza contro la popolazione civile nella grande guerra. Deportati, profughi, internati, Milano, UNICOPLI, 2006, p. 293. 5 Giovanna Procacci, Stato di guerra, regime di eccezione e violazione delle libertà…, cit., p. 33.

e al morale di militari e civili, oppure venire a conoscenza di notizie sensibili provenienti dal fronte (come i medici e le infermiere degli ospedali, le donne che si univano in matrimonio con i soldati, o ancora, gli stessi addetti alla censura epistolare e telegrafica), divennero occupazioni abituali per le autorità locali e rientrarono appieno tra le nuove funzioni conferite a polizia, autorità militari e civili dalla legislazione eccezionale di cui si parlerà più nel dettaglio nelle prossime pagine.

Questo «regime del sospetto» agiva su tutti i livelli sociali –includeva, ad esempio, l’accertarsi che i sindaci neoeletti nutrissero sani sentimenti patriottici, così come richiedere informazioni personali nei riguardi dei vari candidati per un posto di lavoro come portalettere – e il timore che le spie del nemico si trovassero celate nella comunità andò ad occupare, talvolta ossessivamente, non solo il pensiero degli addetti alla pubblica sicurezza, ma anche quello degli stessi cittadini.

Come si vedrà in seguito, furono soprattutto gli stranieri di nazionalità nemica, considerati «nemici interni» nel vero senso della parola, in special modo coloro i quali parlavano la lingua tedesca, a scatenare la paura delle persone comuni. A ciò contribuì notevolmente la propaganda patriottica che, soprattutto in Italia, si impegnò molto nel porre l’accento «su elementi per così dire “negativi”, ovvero sul pericolo nel quale il paese e il singolo individuo potevano incorrere per la presenza di nemici occulti»6 .

Nei successivi paragrafi si andrà presentare e descrivere, tramite esempi che si sono rivelati essere molto numerosi, proprio la pervasività di tale «regime del sospetto» e del clima che, col proseguire del conflitto, si andò a diffondere tra la popolazione di Treviso e provincia: sorveglianza, indagini per carpire informazioni sulla «condotta morale e politica» di qualcuno, censura epistolare e telegrafica, campagna denigratoria e provvedimenti lesivi delle libertà personali contro i sudditi di Paesi nemici. Si è già visto in precedenza,

6 Ivi, p. 42.

This article is from: