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PREMESSA CON GIUSTIFICAZIONI l

CHI VUOL GUARDARE, LEGGE

Chi, invece, vuoi soltanto vedere, fa a meno della lettura, che è sempre un bvoro e talvolta una fatica.

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Mi torna alla mente la chiusa d'una lirica di Vincenzo Cardarelli, un poeta per il quale guardare era sempre leggere, e leggere pensare, operazione faticosa quanto e forse più dello scrivere. Dice, infatti, la chiusa: << Coraggio, guardiamo>>. Si tratta, e bisogna dirlo , d 'una esortazione a se stesso, non tanto rivolta quanto emessa , a mo' di sentenza, con risentita rassegnazione e degnazione soffusa d'un'ultima speranza; bisognava guardare, allora, ciò che restava del mondo a un uomo in declino, le cose, sempre disponibili , pazienti, benigne: « le cose non stanno che ad aspettare ». Bisogna anche dir e che l'amara, patetica, sentenza nasceva dal particolare stato d'animo , incurabilmente contraddittorio, d ' un poeta che nelle cose s'era rifugiato, un po' sempre, solo per evasione. Noi siamo in una diversa situazione , con altro stato d'animo, con altra materia di sguardo, con altre intenzioni.

Ma la poesia, quando è veramente tale , va così nel profondo che unifica , o almeno avvicina, realtà lontanissime e irriducibili se viste al livello della superficie: così scopre e dona ve rità ignorate, o dimenticate, o per qualche tornaconto accantonate.

Non sempre, ma neanche di rado , a guardare ci vuoi coraggio; ed anche a leggere. L'uomo simboleggiato dallo struzzo che ficca la testa nella sabbia per non vedere, in realtà non ha paura di vedere, bensì di gua rdare. Talvolta si tratterà, più che di paura, di pigrizia; talaltra, di indifferenza da orgoglio, e più ancora da presunzione; né si può esclu- dere l' apatìa da incapacità, da inettitudine congenita.

D'altra parte è vero, almeno quanto tutto il resto, che per guardare (e leggere ) l'autentica infinità di cose che bisog11erebbe guardare (e leggere) una vita sola, anche lunga, è troppo breve. Se andiamo a stringe re, l'esistenza, una volta nati , la festegg iamo scegliendo o la piangiamo per non aver potuto, saputo o voluto scegliere: nel bene e nel male. E quando abbiamo fatto una scelta, quale che sia , per accertarci che sia stata buona dobbiamo con- fermarla e wstcncrla ogni gio rno , oppure rinnegarla e sostituirla con un 'altra. Che lo ammettiamo o no, la scelta migliore, se non è rinnovata e alimentata, ha un bel potere mummificante, può trasformare in deserto la terra più fertile. Ora, guardare, leggere, equivale ad assicurarsi uno degli strumen ti più validi per la difesa delle nostre scelte, oggi così spesso sugge rite , g uidate , quando non imposte, anche per colpa d'un incessante, ossessivo, uedere. Il mondo vero, concr eto, che non è opera nostra, e che ci ospita, scompare progressivame nte dai nostri occhi, sepolto vivo in un capi llare sistema di lager coperti. Al suo posto, ci diluviano addosso le immagini di esso, ferme e mute o fumettanti, o in moto e sonanti, parlanti, urlanti; buone e anche ottime, cattive e anche pessime; in ogni caso, salve le debite ecce zioni , associate a una so rta di bel deli nquer e : quello che consiste nello strappare un assenso, invece di chiederlo e meritarlo, nello spacciare, in un certo incarto di verità, cose al più opinabili o decisamente arbitrarie. Inutile illudersi: ch i non legge, non guarda, vede e basta; e ch i vede soltanto, a lungo ed anche a breve andare può solo ricevere , e persi no credere di arricchirsi; in definitiva, si aliena a forza di subire; naturalmente, ed è il peggio, non lo sa.

Le immagini, si sa, sono scrittura, la più <t ntica ; ma se non fosse stato per superare le immagini non sareb be nata e cresciuta quella che oggi chiamiamo (( la scrittura )). La quale esprime, con la stessa stabi lità dell'immagine , il pensiero che dell'immagine è più profondo, più alto e più esteso; non solo, ma è più veloce della luc e che rende possibile la formazione, la propagazione e la recezione delle immagini. Perciò l'immagine ha sempre bisogno d'essere considerata come vera e propria scrittura, e pertanto d 'esse r letta, cioè guardata; e per lo stesso motivo essa ha bisogno , in talune circostanze, se vuoi esser ben guardata, d'uno scritto e della di lui rispettiva lettura. Avere a disp os izione , simultaneamente , pensiero divenuto immagine e pensiero tradotto in scrittura significa ricevere in condizioni di parità con chi trasmette: infatti, se alle immagini si può reagire con un semplice moto di gusto (o disgusto), allo scritto st e costretti a reagire, più o meno vigorosamente e positivamente, con una libera operazione di E non è la stessa cosa: in linea di massima, beninteso.

A questo punto, si direbbe che l'Autore sta chiede ndo al lettore la cortesia di compiere i1 suo dovere, cioè di fare i suoi propri interessi (in realtà , sa l ve le rituali eccezioni, le due azioni conve rgono sempre). E, tutto sommato, così è, anche se in modo un po' complesso.

La prima paura (paura, non timore!) di chi fa un libro d'arte non con riproduzioni e didascalie di raccord o, ma con riproduzioni e un discorso d 'un certo respiro, ad ogni buon conto persino ingenuamente impegnato, è che il lettore vada dritto alle riproduzioni lasciando perdere il discorso, o al massimo leggendolo, come si dice, in diago nale. Paura motivata, e variamente. Questo, però, giustifica soltanto la richiesta della lettura a titolo di cortesia; ma non ancora l'invito a considerare la medesima cortesia, eve ntualmente fatta , come se fosse insieme cortesia, adempimento d'un dovere e tutela dei propri interessi (culturali). La giustificazione dell'una e dell'altro si verifica in alcuni casi specifici, ca ratterizzati dal fatto che la paura di non esser letti si identifica sostanzialmente con quella di esser frai ntesi e mal giudicati a ragion (let teralm ente) non- veduta. Si tratta dei casi in cui le riproduzioni proposte sono il ris ultato d 'una ricerca e d'una scelta in qualche misura nuove, o inconsuete; bisognose, pertanto, ai fini di una adeguata considerazione e d'un motivato giudizio, d'un discorso scritto sui criteri teorici e pratici adottati. Tra questi casi rientra , senza forzature, il nostro.

Con ciò non vogliamo dar ad intendere che stiamo pe r annunciare la scoperta d'un nuovo mondo; ma non vogliamo neppure far pensare che abbiamo scoperto l'ombrello o il pane casareccio. No. E' che a volte capita, un po' a tutti , di passare per una strada percorsa e ripercorsa da venti, trenta o più anni, e di scoprire, ad esempi o, a Roma , qualcosa come " La Gatta >) di Via della Gatta; o qualcosa di meglio, o di peggio. Capita pure, al cont r ario, di recarsi in un certo posto per trovarvi a colpo sicuro qualcosa che inv ece non c'è, perché non c'è mai stato, e di stu pircene e addirittura di soffrirne.

Infatti , può capitare a chiunque di scoprire in un Museo un pezzo malinconicamente al suo posto da chissà quanti anni, considerato tanto degno di quel Museo quanto indegno d ' uno sguardo particolare, di quelli riservati ai pezzi di riguardo, a torto o a ragione pubblicizzati -e privilegiati dai visùatori. Può capitare a chiunque di recarsi qua o là, pregus tando la gioia di ammirare dal vivo un'opera apprezzata attraverso una riproduzione , e che si ha motivo di ritenere custodita in qualche raccolta pubblica o privata di ri l ievo, con l'unico risultato di acquisire alla propria cultura la constataz ione, pagata di persona, che l'opera non ha un posto al sole.

In questo libro le immagini dipendono dal testo, non viceversa; il discorso è più importante delle riproduzioni (non delle opere, a scanso di equivoci!). Per meglio dire: le immagini non fan testo; il testo non fa immagini; te sto e immagini vogliono e spe ran o, fermamente, di riuscirei, essere la formulazione esemplificata, il più possibile unitaria, d ' tma proposta che come tale, proprio come proposta, è nuo va, o ci sembra nuova.

Nel nostro caso, p er parlar proprio chiaro, l'evento più probabile è che un l( utente » del libro, poniamo un appassionato di tutto ciò che riguarda l 'Esercito Italiano, saltando il testo per andar dritto alle tavole non trovi ciò che, a suo legittimo e rispettabile parere, era ovvio che cercasse: diciamo una ripresa, con variazioni sul tema, del repertorio, più o meno ufficiale, che tradizionalmente qualifica il rapporto tra pittura e scultura e mondo delle Forze Armate; con quei temi, quei toni, soprattutto quelle firme , pressoché universalmente risaputi ed anche un tanti no scontati. No n è difficile prefigurare il quadro delle reazioni, più che comp r ens ibili ; ma non è facile condividerlo, sia pure a priori, sul piano delle suppos izioni.

La proposta è questa: avviare (o riprendere, forse) una ricerca unitaria e capillare, regione per regione, tendente a reperire tutte le ope r e d'arte ispirate all'Esercito e alla vita militare in genere , a selezionarle, classificarle, studiarle, per inserirle come un grande capitolo, o piuttosto come un grande libro , n ella Storia della nostra arte e di tutta la nostra eu ltura; ed anche per far le conoscere e godere a tutti in adeguate collocazioni. Spa r so, disperso, nascosto , ig n orato o comunque svalutato o sottovalutato, ma sicuramente esistente, e meno povero di quanto si creda, e importante , un ulteriore nostro patrimonio attende ancora in forze (fino a quando?) chi lo sottragga a una fine miseranda o al totale oblìo. La sua importanza deriva dal fatto che senza di esso la rilettura in atto d el capitolo " Esercito 11, anzi , del capitolo <• Forze Armate )) della nostra storia unitaria, non potrebbe esse re compiutamente effettuata. Questa rilettura è, come si sta rivelando, semp r e più necessaria; diciamo urgente. E non è un 'ese rcitazione scolastica, teorica in senso deteriore. Semmai, esercitazione sco lastica nel senso antico e ancora alto, altissimo, della locuzione; e teorica a livello della precisazione di alcuni principii vitali di cui può fare a meno solo chi ha sce lto di monre.

Ciò che off ri amo al lettore non vuole e non può essere che un saggio: alla lettera. Concediamo, fin d'ora, in tutta serenità e umiltà , la più ampia faco lt à di critica: all'idea madre del libro; ai c r iteri d i scelta, selezione , presentazione; ai giudizi, di valore o meno; soprattutto, alle carenze, ai limiti, ai salti di qualità, a certi accostament i , a certi ripudii, a certe indulgen ze ; a certe co n clus ioni, infine. Come può pe rmettersi di trarre conclusioni chi è pienamente consapevole di tentare un avvìo? Lo sappiamo, e bene. Si trattasse di statistica, diremmo che abbiamo provato un modulo di campionamento efo campionatura . Ma si tratta d'arte: che diremo? Niente: tutti gli inizi sono, spietatamente, all'insegna d'un'ipotesi di lavoro; d'una o di più. L'ipotesi di lavoro, scava e scava, non è che un atto di fede in cerca di verifica sperimentale; così come l'atto di fede, scava e scava, è un 'ipotesi dì lavoro (esistenziale) in cerca di conferma. sperimentale anch'essa, come concretamente risulta essere la santità.

Perciò, gentile utente di questo libro, sii lettore; ti verrà, forse, il desiderio, forse anche il bisogno, di guardare. Non solta nto i grandi fatti hanno e fanno storia. Anche queste modeste pag in e hanno una piccola storia e una ne fanno se si incontrano con te. Sono proprio persuaso che non potrei, senza comune danno , fare a meno di parlartene .

Leg gi, per cortesia. Grazie.

DIFFICOLT A D ' UN TEMA

Le prime difficoltà, anzi, le difficoltà in genere, specie quelle del lavoro intellettuale, sono a grappolo: si vede che son molte, ma bisogna analizzarle e contarle per sapere quante sono. E sono semp re più del previsto o del valutato a occhio . Così, accettando l'invito a seri vere un libro su li ' Esercito Italiano nel!' arte non pensavo certo al piacere d'una passeggiata in un parco; ma neanche a quello d'un'avventura in una regione così illusoriamente conosci uta e conoscibile, per il fatto d'esser stata non so lo scoperta ma anche esplorata, da incoraggiare quell'assassino eccesso di confidenza che sta all'origine, ad esempio, di tanti drammi dell'alpinismo. E' meglio, sempre, esser franchi. Ne uccide più la lingua che la spada, si dice; e si dice pure che ne uccide più la gola che la lingua. E la faciloneria quanti ne avrà fatti, ne fa e ne farà fuori? In tutti i campi. La gioviale madama ha fatto addirittura scomparire dei popolì.

L'Esercito Italiano nell'arte: un tema allettante, affascinante. Ma come svolgerlo, di dove incominciare, dove finire? Mi era propizia la delimitazione cronologica: dal 4 maggio 1861 , cioè dal giorno in cui il Regio Esercito prese il nome di Esercito Italiano, (< rimanendo abolita l'antica denominazione di Armata Sarda n, ai nostri giorni. Mi era propizia, inoltre, l'esclusione ovvia (fino a un certo punto) in partenza delle possibili infiltrazioni -VIII- nei comprensori della Marina e dell'Aeronautica. Restava, tuttavia, una vastità più eccitante che incoraggiante, ingrandita dal sospetto che sul tema specifico non vi fosse nulla, nonché di compiuto, di unitariamente impostato. Tale sospetto fu confermato da alcuni accertamenti preliminari.

Ho cominciato, dunque , col prendere in esame l'idea d ' una monografia. Mi sembrava una buona idea; ma appena accesa mi s'è spenta nel cervello al soffio brusco d'una semplice osservazione: sull'Esercito Italiano si possono fare (o rifare, doppiare) quante monografie si vogliano; sull'Esercito Italiano nell'arte, ora come ora, nessuna. E per molte ragioni, tutte valide.

La soluzione monografica mi avrebbe fatto correre tutti i rischi d'una selezione che mi avrebbe costretto a sfiancarmi in una ragnatela di vicoli, alcuni dei quali ciechi, a perdermi in un labirinto. La difficoltà oggettiva di certe scelte era aggravata dal fondato timore di privilegiare, se non proprio di favorire, questa o quella c< unità», questo o quell'artista, a scapito delle altre, degli altri. Affermare qualcosa è sempre, implicitamente, negare altre cose che uno diversamente schierato affermerebbe nel! 'identica circostanza; e che noi stessi affermeremmo in circostanze diverse. E non si tratta di c< relativismo ''; semmai, di amore della verità, di marcia di avvicinamento, per tappe, alla verità: una marcia 11 longa >> quanto la vita, quanto tutta la storia umana. Marciare, lo sanno tutti, equivale a lasc iarsi dietro, via via, i traguardi intermedi, che non sono l'obiettivo o che, uno dopo l'altro, non lo sono più: cioè, ancora e sempre, affermare a suon di negazioni, sia pure dialettiche, di distacchi.

Chi e che cosa avrei negato, scartato, tra tanti titoli, meriti, glorie, e con quale garanzia di retto giudizio?

D'altra parte, come alternativa ad un lavoro monografico non c'era che qualcosa di ancor più scoraggiante, e comunque irrealizzabile in tempi brevi: un catalogo, cioè sempre un elenco, più o meno ragionato, più o meno dottamente allestito. Neanche a pensa rct.

Anzitutto, nessuno mi aveva chiesto di fare un catalogo. In secondo luogo, e ben più decisivamen te, con quali criteri avrei potuto anche solo impostarlo? C'era un solo criterio possibile: il non- criterio, ovvero la constatazione e l'accettazione del fatto compiuto. Secondo questo non - criterio, adottato da molti nei più svariati campi, tutto ciò che esiste, co- munque e dovunque , è valuta to, o meglio è st imato , non in base ad un valore che gli si può attribuire oppure no, ma in base al fatto che es iste, che c'è : punto e basta. Chi valuta su basi diverse , oggi co me oggi rischia sempre più frequentem e nte d 'esse re incriminato di moralismo, d'integrismo e anche di integralismo: in alt re parole, è un uomo morto. te: anche se sono quadri, o comunque opere di pittura; an che se so no statue, o comunque opere d i scultura; ed anche se fi gurano ufficia lmente come opere d'arte A volte si fa troppo presto a parlare di certi manufatti come di opere d'arte. E a volte si giunge a farlo, addirittura, per timore o paura di offendere qualcuno o qualcosa, come se realizzare una c reazione artistica fosse obbligato r io e il non esse rci riusciti possa esse r pcrseguibilc come u n 'infrazione alla legge. Discorso antico, ma inesa uribil e e, quel che più conta, doveroso: co me tutti i discorsi doverosi, poi, feco nd o c sa lutare quanto am a ro e molesto. Un dis corso, comunque, c he ho dovuto aff rontare, e alla brava.

Concretamente, avrei dovuto sc hedar e tutto ciò che figura ufficialmente (spesso l'ufticialità è la sola garanzia d'esistenza) in racco lte e depo sit i d 'og ni tipo e misura sotto la voce « arti figurativ e l>, all'insegna sempre più vasta della pittura e della scu ltur a, co n un " co ntenuto )) riferibil e, esplicitamente o anche implicitame nte, a un punto- moment o dell'universo c hi ama to " Esercito Italian o n. Sul risultato della schedatura , poi , deterso il su dore, avrei apposto e imposto una grande inseg na di ce nte : L'Eurrito Ita liano nell'arti'.

Bene : aver potuto escludere con una certa t ranquillità e la monog r afia e il catalogo e r a già qualcosa; nel senso, al me no, che avevo evitato di trovarmi tra l'una e l'altro come tra Scilla e Cariddi, co n la prospettiva d'un bel naufragio. Sempre in metafora , dovevo però prendere il largo in mare aperto, a vela o anche a remi, in viaggio di esplorazion e. Fuor di me t afora, non mi restava che analizzare in lungo e in largo il tema da trattare, alla ricerca d 'un taglio, d'u na prospettiva, d'un crite rio , che mi consentissero di fare, senza pretese m a anche senza troppe rinunce, un lavoro r is pettabile e d'una qualche utilità. Perché di questo , in definitiva, si tratta: lavorare per portare un sia pur modesto contributo.

Una vera e propria diavol eria. Diabolico è, infatti , l'errore voluto, pe rseguito , co nsu mato co n lucida co nsapevolezza e determinazi o ne; ancor più qu ello cuci nato e dato in pasto al prossimo, sia pure lontano. Sal vo re star:tdo, evidentemente, a scanso di equivoci, che di e rrori è impastata la nostra vita, personal e e collettiva; ma (salvo restando) anche qu es to: che meno raramente di quanto non siamo disposti a credere (specie nei confronti altrui) si tratta di errori commessi a fin di bene, seco ndo la formula in uso.

Molte so no le opere dedicate all'Esercito e da esso, o ad esso, ispirate : ciò è indiscutibilc. Di sc utibil e è, però, che sia no tutte opere d'ar-

Mi sono dunqu e proposto di chiarire anzitutto a me stesso c he cos a avrei dovuto (c potuto ) intendere per •• Esercito Italiano H, per " arte n, ed infine per " Ese rcito Italiano nell'arte )). Tr e punti di meditazione, apparentemente chia r i, anzi, ch ia r issimi; tanto da far pensare alla meditazione medesima come ad un ozioso perdi tempo. In realtà, tre spunti in un o, che un a vo lt a presi mi hanno ben presto dato la sensazione di fare (a me stesso) un discorso (a l meno per me) nuovo.

Ora, poich é il discorso mi sembra tuttora (entro certi limiti) nu ovo ; e poiché solo alla sua luce questo li bro può essere in va ri a m isu ra accettato oppure rifiutato, ritengo opportuno, e giusto, sotto porlo alla co nside razi o ne ed al giudizio tuoi. lettore.

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