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IN DIVISA)) O MEGLIO << IN UNIFORME>>:
TUTTI UGUALI, MA CIASCUNO t QUALCUNO. LA LEZIONE DI QUINTO CENNI.
Da questo momento, tutti quelli di cui ci occuperemo saranno uomini contraddistinti, a vista, da un particolare, inconfondibile modo di vestire, che li qualifica come soldati, o meglio come militari .
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La pa rola " soldato '' è una delle tante parole- salamandre contro le quali non vale neanche il fuoco: perfettamente logica un tempo, oggi non lo è più; però riesce ancora ad esprimere, a comunicare Si tratta d 'una parola che nessuna incrostazione, nessun terriccio , nessuna corrosione può alterare, deformare, imbruttire: la sua ca r ica significativa trabocca di storia, e anche di leggenda, e di tanta storia e di tanta leggenda sprigiona i suoni e i colori, dai più cupi ai più accesi, dai più tetri ai più festosi. Si sarebbe tentati di collocarla tra le parole " magiche », nel senso poetico (ce ne sono molte, nella lingua viva); ma forse il suo giusto posto è tra quelle 11 sacral i ». Perciò, pur convinti che la parola « militare >> (nella quale un verbo all'infinito si scioglie fino all'identità in un aggettivo sostantivato) è più propria perché più verace, non ci sentiamo di passare per le armi la parola <1 soldato »; <ti contrario, nonché radiarla , ci piace mantenerla in illimitato servizio permanente effettivo.
Lo stesso discorso , no , ma un analogo discorso è lecito fare a proposito della denominazione relativa al t'estimento del soldato, o del militare: cioè, alla <c divisa », più propriamente detta <l uniforme » Il fatto stesso che il quadro delle discipline storiche comprenda ormai un nutrito, vigoroso e piuttosto affascinante setto re universalmente noto come Uniformologia >> rappresenta la miglio re conferma della necessità (tale è, ormai) di preferi re a « divisa» << uniforme » ogniqualvolta si parli o scriva su un piano scientifico o di ufficiaLità. Ma non si potrebbe, senza rischiare il ridicolo, inte r venire per correggere, o rettificare, ogni qua lvolta (e quante volte!) capita di sentir dire: .. Com'è che Andrea non porta la divisa? »; oppure: •c Vedessi Paolo quant'è bello in divisa!». E' significativo, a dire il vero, e giova so ttolinearlo, il bisogno di specificazione che a volte si manifesta nell'aggiunta dell'aggettivo " militare >> alla parola « divisa)); ma non ci pare più importante, ai fini del nostro discorso, della medesima agg iunta fatta, abbastanza comunemen te, per non ingenerare confusione tra una 11 rivista )) come periodico di cultura varia o specialistica, una <c rivista )> come spettacolo teatrale, ed una « rivista ))' appunto, cc militare >> . Tutto dipende , in linea di massima , da l particol;tre ambiente in cui un discorso che necessiti del concetto di « divisa » e della correlativa cc parola » nasce e si diffonde. Ma ciò che realmente conta è la presenza continua, è l'uso disinvolto e mai sostanzialmente rimproverato o sconsigliato del termine. Il quale, pertanto , sembra essere tuttora moneta (linguistica) buona. Perché?
Ci sia consentito di in trattenerci brevemente sulla spontaneità , e pertanto sulle radici che alimentano la legittimità di questo in terrogativo. Potremmo, infatti, senza incorrere in giudizi pesanti, giustificare l'uso (anche l' abuso) di certe parole per lunghi e lunghissimi tempi soltanto con l'abitudine, con la forza d'inerzia, con la comodità, oppu re con la moda e col plagio: inso mma , esclusivamente con fattori che rientrano, negativamente , nel complesso fenomeno della conservazione? Non potremmo farlo, e non lo facciamo. Certe parole tengo no anche per un fattore positivo che co- stringe al suo servizio tutti i fattori nega tivi, crea ndo una gross a cifra: tanto per azzardare una si mi litudine, alla stregua di un 2, o di un 7, o di un 9, posto alla sinistra di tanti zeri Questo fattore positivo è la carica di unità co ntenuta in quelle parole; l ' unità viene solo da un consenso, il più vasto possibile; un consenso è, volta a volta , la libera accettazione d'una cosa n ecessa ria ma solo in quanto appare come la migliore possibile-: e spesso si tocca con mano, poi, che appare perché è. La parola << di visa » non sarà propria qu a n to la parola « uniforme » ; ma intanto sup era altre parole come cc tenuta ))' << ves te » e, tornando indietro, cc.abito »; e non solo per esige nze scolastiche, o dotte, ma per ragioni di vita. Ci ve diamo costretti a considera re ciò che uno vede , quanto vede, quando dice « divisa » , « in divisa », e quando dice « uniforme », cc in uniforme ». E facendo questa considerazione siamo ulteriormente costretti a constatar e che la media degli uomini italiani quando dice, o solo pensa, cc un iforme », non può fare a meno di aggiunger e << alta ». Ness uno si azzarderebbe a dire o sc rivere cc in alta divisa » ; s i può dire o scrivere « in alta tenuta »; i n effetti, però, tutti pr eferia mo dire o scrivere c< i n alta uniforme »
Il Re - militare? No: il Re - soldato. Il poeta- militare ? Ma il poeta- sol dato , lo sanno tutti! E anche il Re « in divisa da soldato >>; il poeta « in (divisa) grigioverde » Il Re « in uniforme » (a nche il poeta) direbbe un 'altra cosa.
Non è una so ttile questio ne linguistica, filologica, o che altro a ciò somigli : non ci se ntiamo all'altezza di affron tarla come tale, a parte il fatto ch e bisognerebbe essere in diversa sede e che in ess a, al nostro posto, ci sarebbero le persone del caso, di dovere
E ', invece , se mpli cemente, una questione che quest ione n o n è. E' un insieme di cons id erazioni sul concreto, un insieme di constatazioni, talmente legate alla sostanza del nostro discorso che ci si sono attorcigliate alle dita al pr imo tirar di filo. Il senso che ad esse possiamo più attendibilmente dare, in una prima valutazio ne , è questo: la preferenza , nell'uso comune, accordata alle parole cc soldato» e cc divisa >> non discende da u n fatto di gus to: cioè non denota, non dimostra , la tendenza ad impiega re termini convenzionali per indicare una ripartizione altrettanto convenzionale degli uomini a seconda d ella loro collocazione esterio re , stando bene attenti al modo di vestire indispensabile per qualificare la collocazione medesima. L a preferenza denota, piuttosto, il bisogno di esprimere, senza notevoli equivoci, che determinati uomini, a un ce rto p unto de lla loro vita , entrano in una .dimensione diversa e che per questo motivo (no n viceve rsa) vestono diversamente: la preferenza, dunque, discende da un vero e prop rio giudizio esistenziale, che nella parola cc soldato » fa rientra re tutti, dal cappellone, dal bocia, ai generali, e nella parola cc divisa » co mpr ende tutte le p ossibili uniformi e tenute. Sarà forse spicciolo , u n po' sbrigativo , ma ci sembra so do , terra ben battuta; ribadendo, ci sembra.
Certo, gli ar tisti non si so no attardati, in ge nere , a provare la p azienza propria e quella altr ui con certe pedanterie a noi (s i direbbe) ca re; o perlomeno, se e quando l'han fatto si sono avvalsi della loro arma migliore , il laser dell'intuizione, per sorprendere e sistemare il problema nel suo rifu gio profondo, alle radici. A piedi, a cavallo, su un carro, oppure so tto una tenda, l'uo mo in divisa non è mai stato per essi (parliamo di artistt) un uom o tJestito alla militare invece elle in un'altra foggia : è sempre stato, invece, un soldato L 'abito fa o non fa il monaco? L'artist a risponde co n cretamente, con la sua opera , che l'abito non fa il monaco solo quando non deve farlo; in altre parole, quand o if personaggio rappresentato è uno che si è travestito da monaco, a questo o a quel fine, quando è lui che si è me sso l'abito per sembrare e solo per sembrare un monaco. In tutti gli altri casi, l'abito fa il monaco, e fa il soldato, in unione sostanziale con tutto ciò di cui è non solo rivestimento, ma anche insie me dei punti di apparizione, di manifestazio ne estetica
Accingendoci ad affrontare un cammino in compagnia di uomini tutti in divisa, di soldati, come abbiamo osserva t o aprendo il capitolo, il meno che potessimo coere ntemente fare era proprio parlare della divisa e del suo esse re, via via, vestito, pelle t'iva, comp onente della personalità , del soldato. Le reclute che, dopo esser partite da casa, sono partite anche dal Distretto hanno ormai raggiunto i reparti di destinazione. Dove sono? Che fanno? Come portano la divisa ? E (chiediamo venia) co"me sono portati dalla divisa?
Torniamo per qualche istante alle quattro scene di Baratti e leggiamole, in semplicità, nell'ordine loro dato dall'Autore. Consideriamo la trattazione dei protagonisti con particolare riferimento ai loro « panni >> : eccoli ancora << a casa loro » e « nella loro pelle » di lavoro, ordinaria; eccoli, subito dopo, nell'abito di nascita, nella pelle originaria ma non più ordinaria, sotto lo sguardo del medico; rieccoli nei vecchi panni ma prossimi al mutamento di pelle, già oscuramente condizionati dall'evento; guardiamoli , infine, nell'atto di chi si sente ormai in altri « panni » Anche in questa prospettiva, la sequenza è paradigmatica, e scatena un ' autentica rissa di pensieri. Tra la nudità e i vari modi non solo di vestire, ma di volere o dover vestire si svolge un pot ente capitolo dell'intera storia umana . E se vogliamo avvicinarci veramente al fenomeno (per rispetto dell'Uniformologia) << uniforme >> , se desideriamo veramente capire il valore - divisa, dobbiamo rispolverare e lucidare alcuni punti della nostra mente, forse anche alcuni del n ostro cuore, che sono un po' i corrispe ttivi di alcuni p unti di quel capitolo.
Dovrebbe essere ovvio che l'uo mo ha sentito il bisogno di coprirsi prima di quello di vestirsi; per un bel numero di ragioni, difesa inclusa D ovrebbe essere anche ovvio che il pudore non può essere una invenzione dello Scrittore biblico, del clericalismo di vario genere, religioso ed anche laico, o di tutti i gruppi di potere che si sono avvicendati e si avvicendano nel tempo e nello spazio, a vario titolo e con vari scopi: infatti, possiamo inventare, cioè trovare e scoprire, solo quello che già c'è; per cui il problema si sposta di qua, sempre più al di qua, ma non si risolve. Il pudore nasce giù, molto giù, è un fatto abissale, di t anta semplicità e potenza che ad esso possono (diciamo possono) far capo anche le radici capillari che alimentarono, prima del bi- sog no di vestirsi, anche quello di coprirsi; per un bel numero di ragioni, difesa inclusa. Dovrebbe essere ovvio; ma in realtà lo è così poco, sempre meno, che in definitiva i discorsi teorici in materia finiranno per estinguersi, sostituiti progressivamente, e sbrigativamente, da usi e costumi, dalla prassi
D 'alt ra parte, bisogna riconoscere che tra il bisogno di coprirsi e quello di vestirsi c'è un tale intervallo, e soprattutto un tale divario qualitativo, da costringerci a lasciare in pace le origini remote per non correre il rischio di str aripare dal nostro tema. Un tema , di per sé, sufficientemente complesso, e perciò così impegnativo sotto il profilo della semplificazione e della chiarezza, nonché della pertinenza, che a volerlo trattare con un minimo di rigore è necessaria la massima cura degli argmt.
Partiamo dal bisogno di vestirsi; quanto dire, dal bisogno di integrarsi aggiungendo alla propria persona fisica elementi tratti dalla natura, vegetale o animale; o prodotti, o riprodotti artificialmente, col proprio ingegno e coi propri strumenti. Integrarsi, perché? Le prime due rispo·ste, quasi istintive, suonano così: perché l'uomo ha avuto la sensazione, prima, e la coscienza, poi , di essere incompleto, manchevole di qualcosa che invece era posseduto dai vegetali e dagli animali; perché l'uomo fu plagiato inizialmente dai vegetali e dagli animali, e successivamente dai suoi simili passati più rapidamente dalla fase di « individuo » a quella di « persona», ed in questa spinti a differenziarsi, a rendersi più appariscenti, per: meglio primeggiare ed imporsi.
Le due risposte sono, in verità, ancor meno che due schemi; tracce , appunti, per due risposte.
L a prima evoca un tempo immemoriale di so litudini, di paure e terrori , di smarrimenti e disagi, di lunghi nascondimenti e di lunghe fughe, nel quadro di un sentimento di inferiorità senza scampo; tempo seguito, poi, lentamente, nelle sempre più ampie pause tra cataclisma e cataclisma, da un altro, contrassegnato dall'ammirazione- adorazione, dall'ammirazione - familiarità, dalla familiarità - immedesimazione e imitazione. Frasche e rami d'albero , foglie prima rozzamente e poi sempre più finem ente intrecciate o intess ute , fiori , resti d'animali morti (trovati morti); successivamente, pelli e trofei vari degli animali uccisi , più che in caccia, in una vera e propria guerra di sopravvivenza, preludio a quella di egemonia e dominio. In questa sequenza di immagini si può figurare , senza troppe prete se, il corso d el bisogno di vestirsi , e del suo soddisfacimento , in un intrico fitto di sollecitazioni che vanno dalla difesa dal caldo e dal freddo alla mimetizzazione guerresca , erotica, relig ios a , dai primi autocompiacimenti a quelli reciproci, lontan e anticipazioni del nostro inseguire (un po' più disincantato!) « una migliore qualità di vita » . Sperando che non risulti azzardato, ci pe rmettiamo di aggiungere un pensiero: il primordiale affiorare dell'arte poté manifestarsi nel corso del soddisfacimento del bisog no di vestirsi come bisogno di integraziOne. Si pensi ai colori e alla funzion e determinante che essi hanno sempre avuto e svolto nella vita dell'uomo: in pace come fonte di gioia , in guerra come schermo alla paura propria e come in centivo a quella del nemico , come auspicio di vittoria; in pace e in guerra come comunione profonda col resto del mondo, che è colorato, e con la luce , madre dei colori e dell'intera vita, che tutto porta a maturità, a compimento.
La seconda risposta evoca , invece , insieme a quel « tempo immemoriale » , un tempo storico all'infinito, dilagante a perdita d'occhio intorno a ciascuno di noi e a tutti noi quanti fummo, siamo e saremo da Adamo ed Eva in là: il tempo se nza tempo dell'uomo che, oltre ad essere incompleto, bisognoso d'integrazione, è plagiato, asservito, tiranneggiato; il tempo dell'uomo- schiavo. Corpi nei quali hanno attecchito mus chi e licheni; corpi invasi e colonizzati da insetti parassiti, o da microbi, bacilli, virus di piaghe e cancrene; uomini condannati alla punizione della nudità , oppure a ves tir si , senza possibilità di scelta, in certi modi, ciascuno dei quali, in base a precise convenzioni, marchia una condizione sociale; uomin i, infine, a schiere , a turbe , a s te rminate moltitudini, che non si vestono, ma sono vestiti dai dittatori, politici, economici, sociali, e pas- sano per tutte le strade d e l m ond o co me test imoni doloranti o festosi d ella lotta p er il potere nelle sue molteplici in carnazioni. In questa sequenza di immagini , invece, si può figurare, se mpre se nza troppe pretese , i l corso della ineluttabilità del farsi ves tire e de ll a ne cessità de l lasciarsi vestire; ma non in un intrico di sollec itazioni , bensì in un dramma di frustrazioni e co mpensazioni sulle cui svolte sarebbe , nonché impietoso, estremamente difficile qualunque giudizio.
L'uomo nudo (con buona pace d ei nudisti) non a vrebbe m a i fatto , non farebbe mai , storia; e neppure l'uomo soltanto coperto. Avrebbe realizzato , realizzerebbe, più unità; ma senza la moltepli cità , cioè se nza la vita , che è creatività; dunque , una unità di es tinzione, a ritroso, e di dispersione, in avanti.
E' il vestirsi, l'uomo che si veste , a far storia. Tra le risposte (( quasi istintive » alla domanda: « Inte grarsi , perché? » può essercene una meditata, filtrata, e dettata lentissimamente, quasi sillabando, dalla nos tra stessa natura , nel suo durare attraverso l'impiego , anche nel vestirsi , di tutto c iò che permette e garantisce la durata dei vegetali e degli animali. Questa risposta, nella quale confluiscono tutti gli elementi affiorati nelle due , ma in es trema sintesi, è proprio l< da due soldi » , scandalosamente puerile : << Per obbedienza completa alla legge della comunione. Di minerali , vegetali , animali , l'uomo si ciba; di minerali , di vegetali, di animali , l'uomo si veste » . In altra sede , non esiteremmo , coe ren temen te , a parlare di adempimento eucaristico. Dunque , un fatto religioso? ln un senso lato, tale da recepire tutto, anche il (( naturale >> e il << laico», sì; ne siamo convinti. Un fatto religioso, sacrale , se non proprio sacro. E , per prevedere e prevenire una eventuale, possiLile, abbi ezione di carattere « religioso » sul valore dello spogliarsi in contrapposizione a quello del v estirsi, diciamo subito che Francesco d'Assisi , dopo essersi spogliato, si vestì, volle vestirsi (una scelta, e che scelta!) in un certo modo che ancora si chiama (( francescano » ; e che volle tornar nudo solo per la cerimonia della morte corporale, nella quale si sarebbe reso, si sarebbe restituito, a Dio, non agli uomini, so tt o le due specie dell ' anima in totale libertà e della carne abbandonata alla necessità.
Chi abbia una certa dimestichezza con la storia delle armi, e particolarmente delle armature, avrà sicuramente fatto scoperte che non esitiamo a definire deliziose. E non stiamo pensando al valo re artistico (saremmo pur sempre nel sa cra/e e addirittura nel sacro) di tante decorazioni su scudi, corazze , elmi, else e via dicendo, molte delle quali famose, indirettamente , per non meno famose descrizioni drammatico- liturgiche di famosi poeti. Stiamo pensando al valore artistico di scudi, corazze, elmi, else, e di lance , spade, mazze , a prescindere dalle loro decorazioni effettive e dalle decorazioni in se stesse , in assoluto: al loro valore come pezzi di scultura, come opere di scultura , valore plastico, valore estetico, intatto dopo lo scadere delle ragioni pratiche della loro fabbricazione. Tutti questi oggetti richiamano, più o meno fedelmente, più o meno scopertamente, le str utture, a volte intime , le cariche espressionistiche, simbolistiche, surrealistiche , talora sbalorditive, degli alberi, delle rocce, delle acque, degli animati, delle stesse stelle, del sole e della luna. Non intendiamo dire, con questa osservazione , che a ciò si debba far risalire il loro valore; intendiamo dire, soltanto , che c'è comunione; che la dimensione non è diversa da quella in cui il cavernicolo si nutriva d'un animale, prima o dopo esser riuscito ad ucciderlo, tentando di graffirne la figura sulle pareti domestiche.
Sullo slancio, andiamo oltre: la dimensione esistenziale è quella stessa nella quale il cosiddetto artista moderno, d'avanguardia, intuisce e sceglie uno spaccato d'albero , le rivelazioni all'ingrandimento d'un microbo, d 'u na amèba, le con vulsioni incantate d'una qualunque materia sotto la fiamma ossidrica, li isola , li circonda d'una certa atmosfera e li propone come creazioni artistiche. Ed ha ragione; e, qualunque sia il suo cc credo », fa eucaristia , s ia pure inconsapevole, sia pure nolente.
Proviamo a ritagliare da armi ed armature di pregio le parti nelle quali più si addensa e prorompe la fo r za creati va de Il' artefice; s istemiamole, adeguatamente , dal clima didattico , storico- documentario , della maggior parte delle racco lte e dei musei , m ambienti predisposti e dichiarati per l'arte, poi stiamo a guardare e aspettiamo i risultati. Siamo buoni e giusti! Abbiamo visto per anni ed anni decame tri di tubi di plastica, eliche e spirali di metallo vario, esaed ri et altri oggetti es pos ti all'aria aperta, al nembo e al sereno, come opere d'arte offerte al godimento universale. Ebbene , tra quelli impegnati nel consenso e quelli scatenati nello scandalo , il buonsenso della gente è passato calmo, tranquillo, commentando a mezza voce una verità elementare : che a volte c'è più Arte fuori dell ' arte che dentro l'arte, e che, in fondo, tutto sta nel guardare, nel saper guardare; ed anche nel saper fare guardare . Un bel po' di qualunquismo, non lo possiamo negare; ma, nel profondo, anche un bel po' di senso dell'essenziale , del necessario, che se non è sempre l'attendibile, il credibile a prima vista, non è però , mai, l'inaccettabile, l'incredibile per assenza totale di un benché minimo potere di comunione. Alla luce di quanto abbiamo finora detto risulterà più centrato, più adeguato ed anche più degno, più rispettoso, il discorso sullo stato dei rapporti tra l'arte e le uniformi dell' E sercito Italiano. Eviteremo, intanto, di parlare dell'arte degli ideatori, disegnatori, realizzatori, delle << uniformi» , specie di quelle cc alte >> : essi appartengono alla nobile corporazione di quel li che oggi chiamiamo c< creatori di mode >> e per includerli dovremmo passare i confini. Eviteremo anche, ed è più importante, il pericolo di confondere, di impastare, la « creazione dei modelli >> con le opere di pittura e scultura nelle quali gli stessi modelli figurano, sostanzialmente uniti ai personaggi che se ne vestono, in una riproposizione creativa originale, d ecisamente autonoma: insom· ma, ogni volta come qmlcosa di nuovo. Quando un sarto- artista produce un'uniforme , è come se creasse uno schema unitario, immacolato, ideale , in cui dovranno rientrare uomini nessuno de i quali somig lia veramente all'altro. Quando , invece, un artista dipinge , disegna o scolpisce un uomo in dit ,isa, un soldato, è come se, in quel momento, gli facesse la divisa su misura, e non su misura esterna, ma su misura intima: quasi gliela facesse nascere dalla sua carne, dal suo sangue. Sono, evidentemente, due cose ben collegate ma in una profonda diversità . Il t 1estito del soldato nell' ar te rende giustizia all'uomo in divisa, al soldato, qual è nella realtà; e così con t ribuisce all'onore e all'esaltazione dell'uniforme in quel che essa è di più nobile e vero: simbolo di comunione, cioè di un 'u nità che si realizza, trasmettendosi da pe rsona a persona, per linee di forza interne, liberamente tese verso il fine di tutti e di ciascuno.
Tutto ciò non può e non deve esse re materia da Uniformologia; non può non essere , invece, pane e vino per l'arte. Per questa ragione, e solo per questa, sostanzialmente, non ci occupiamo dei tanti, e ben validi, padri di parziali e complete « collezioni » di figurini, modelli, soldatini) ad acquerello, tempera, olio, in legno, stagno, piombo, nelle quali ciò che co nta in maniera dominante è la « divisa » o << uniforme » o « tenuta», in prospettiva storico- documentaria e con finalità sempre culturali, ma in chiave didattico- dimostrativa. A scanso di possibili equivoci, ci asteniamo da citazioni, di autori e di opere, facili ad esser male interpretate; i cultori dell'affascinante materia ci potrebbero far da maestri; gli altri potranno trovare in appendice qualche indicazione bibliografica orientativa. Non si tratta di fuggire per la tangente; è questione di coerenza, se basta .
Ma per la stessa ragione siamo, in tutta coscie nza , obbligati ad occuparci d'un artista , un autentico Maestro, che come pochi in ogni tempo e in ogni luogo ha penetrato, nella bellezza, il senso profondo, la verità, dell'uniforme. Ci sia concesso: della divisa, dell'uomo in divisa, del soldato; del soldato a piedi e di quello a cavallo, del soldato di pianura, di monte, di mare, del deserto; del soldato in caserma, al campo, in guerra. Un fenomeno di passione, mestiere e ispirazione, che s i è scatenato in tutte le dimensioni in qualche modo collegate al servizio militare in genere e alla t'ita del soldato in particolare: ci riferiamo alle imma g ini di << guardie civiche >> e a quelle di « vivand iere ».
Non si può parlare di Esercito Italiano nell'arte senza soffe r marsi adeguatamente sulla solenne celebrazione dell'uniforme svolta per una vita intera da QuiNTO CENNI, e giunta alle più alte e intense manifestazioni proprio negli album di acquerelli originali custoditi dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito: quelli che da qualche tempo cominciano ad esser noti col nome di « Codice Cenni». Su di esso, il lettore potrà trovare in appendice una notizia orientatÙ'a, analogamente a quelle riguardanti alt ri Autori e le rispettive ope re. Qui ci fa comodo supporre che alcune conoscenze siano scontate; e soprattutto ci preme sfruttare al massimo le non molte pagine disponibili per saldare su bito il discorso già fatto in ques t a prima parte di capitolo , sostanzialmente fedele alla lezione del Cenni, pur se alquanto allargato, con quello che stiamo per fare riferendoci direttamente , attraverso le riproduzioni, ad alcuni testi particolarmente esemplari, almeno secondo noi.
Quinto Cenni, il Beltrame dell'Ottocento , famoso e meritarnente famoso, in Patria e fuori, per un 'opera congruamente apprezzata, ha corso un rischio molto simile a quello corso da Francesco Petrarca. Se, per un qualunque malaugurato caso, fossero andate in malora, disperse, le « Rime », c fosse rimasto il poema « Africa », da cui Egli sperava la gloria, il Poeta aretino oggi sa rebbe , per noi, un poeta fra i tanti. Limitando, e sia ben chiaro, l'accostamen to a l la sola qualità dei due rischi, ci sembra di poter dire che se fosse andato dispe rso il " Codice », e fosse rimasto tutto il resto, Quinto Cenni sarebbe sta to proposto per la storia nell'appropriato capitolo, con più moLeste, ben più modeste, crede nziali. Sempre rispettando certe proporzioni, si può dire che i due ipotetici , ideali, rischi, son stati corsi anche e soprattutto dalla cultura o, più concretamente, da noi. Con una doverosa precisazione, però: le immortali rim e amorose del Canzoniere sono assolutamente salve, potrebbero temere solo, come tutto e tutti, l'idiota tragedia nucleare; il c< Codice Cenni » non è ancora veramente salvo, c può temere cose infinitamente meno terribili. In cattiva salute, anche se non in condizioni da diagnosticare come gravi, ha bisogno d'essere ricoverato, presto, se non d'ur ge nza, in una grande clini- ca romana per libri , una clinica famosa che il mondo da molto tempo ci invidia. Affidato per tempo a buoni medici, potrà evitare sia l'amara esperienza dei ferri chirurgici sia quella della sala di rianimazione. Una volta rimesso in salute, restaurato a dovere, sarebbe prova di saggezza, di profondo amore per la cultura, e persino di accorta generosità, riprodurlo e diffonderlo in tutto il mondo, nella sua unità; perché il << Codice Cenni » celebra, ad acquerello, gli uomini in divisa, i soldati, d'ogni Paese, di tutta la T erra, coralmente nel senso più esatto, alto, universale del termine. E' certo un bene che alle sue pagine si sia attinto e si continui ad attingere , da varie parti, per abbellire, illustrare, onorare , con riproduzioni, pubb l icazioni, pareti domestiche e d'uffici, e persino almanacchi, calendari; ma è un bene solo con alcune, e fondamentali, riserve.
Anzitutto: una preziosa opera originale, inedita, un << unico >>, viene fattta conoscere a frammenti, sulla scorta di esigenze le più diverse, e di nessun criterio; e pertanto se ne rende gua e là un'immagine che di qui a qualche tempo finirà per essere scontata, inducendo a credere, anzi, a far credere in reciprocità, di conoscere un capolavoro che in realtà solo pochi , finora, hanno la fortuna di conoscere. La conseguenza è una sorta di sopruso sul << Codice >> e un vero e proprio torto alla reale sta tura del Cenni.
In secondo luogo: pur se non in modo rigoroso, schematico, il << Codice >> si svolge per sequenze, come un vero e proprio discorso, che per giunta ha il filo segreto, l'intimità dei << diarii ))' e in genere di tutto ciò che si fa senza la preoccupazione di renderne conto, sia in termini di puntuali t à della consegna, sia in termini di risposta soddisfacente a una domanda, specie se difficile Ora, spezzare, tagliare, le sequenze, significa svirilizzare e distorcere il discorso, distruggerne il vero e proprio incantesimo, senza una contro partita che giustifichi pagando, sia pure male. Se è vero che ogni pagina del « Codice >> vale in sé e per sé , al punto che alcune resistono bene all'isolamento dall 'insieme, è ancor più vero, però, che ogni pagma è la tessera preziosa di un mosaico; e i frammenti d'un grande mosalCo si accettano e si ammirano, non senza rimpianto, solo quando l'opera completa è andata, purtroppo, perduta; e non di rado, quando è possibile, se ne tentano ideali ricostruzioni. Sarebbe insolitamente interessante apprendere, 'un giorno, che si sta ricostruendo, coi frammenti, un'opera ancora esistente. Ma perché augurarselo?
Ed infine: il « Codice Cenni >> è l'unica opera nella quale un'arte vera, incontestabile, opera le sue sintesi creatrici sulla base d'una ricerca storico- documentaria affettuosa guanto accanita, rigorosa; sulla base, in altre parole, d'una visione uniformologica ben al di là del collezionismo, anche se non ancora propriamente «scientifica>> nella significazione attuale. Ma c'è di più: esso è l'unica opera nella quale, pagina per pagina, l'unità tra arte e uniformologia, come risultato d'un lavoro senza respiro , convive con il << racconto», quasi stenografico ma di grande efficacia, della storia del lavoro medesimo, delle sue fasi, dei suoi metodi , delle distrazioni, dei ripensamenti , delle ansie. Chi guardi solo dei frammenti, sia pure vistosi e d'una certa autonomia, non può assolutamente, in presenza dello << scritto », pensare ad una << storia >> : penserà, e nessuno potrebbe rimproverarglielo, a « didascalie»: e non è affatto la verità E ', al contrario, una leggera mistificazione; involontaria.
Fatte le riserve, disobbligata ma non proprio nel profondo la coscienza, guardiamo insieme, leggiamo insieme, i testi scelti.
La prima pagina, dominata da quel '' r86r Regno d'Italia», un po' malcerto, stanco, e dalla « comunicazione » della data , 4 maggio, in cui l < L'Esercito prende il titolo di EsERCITO ITALIANO » , anch'essa graficamente fiacca, non ci sembra tra le più felici del Codice: risulta un po' dura, legnosa, nella partizione delle inquad r ature, che peraltro è venata d 'indecisione (donde la malcelata forzatura) e nel ritmo degli elementi compositivi, buono ma non ottimo come nella maggior parte delle pagine cenniane; si riscatta nel colore, il cui tono in Cenni raramente scade Ma l'abbiamo scelta, oltreché per la datazione , per due motivi: perché evidenzia, proprio per via di certe « crepe n, ciascuno dei due fattori della sintesi di cui abbiamo discorso; perché rende efficacemente il senso dello sforzo attraverso il quale l'arte del nostro affiora, emerge, si stacca e si solleva dopo aver sciolto e assimilato i materiali .
Son successe tante cose, tutte importanti, c'è un nuovo Regno che deve farsi le ossa, qualunque iniziativa è di rilievo, bisogna prenderne atto, annotare, commentare, non farsi scavalcare e trovarsi in arretrato. Qualcuno potrebbe trovarlo un po' ossessivo Ma il Reg no è il Regno d'Italia, e Quinto Cenni è un romagnolo di Imola e Imola (tuttora) si sente, anche se in questo non è sola, un po' il cuore della Romagna : la presenza ai fatti non vale meno dell'aria e del buon cibo, sia solido che liquido. Ed ecco un bel .fiotto di date, come stappare una bottiglia di spumante : « AprileAllieui di Marina »; << 2 maggio - Riordinato il Collegio militare di Napoli » e siamo in Marina ancora; << 21 maggio - Creazione degli Armajoli Militari >>; « 31 maggio - Soppresso il Battaglione Cannonieri Guarda Coste dell'Elba (Ex Esercito Toscano))); « 9 giugnoSciolta la Compagnia Cannonieri Guardacoste dell'Isola del Giglio 11; poi, il << 12 giugnoRegg" Ussari di Piacenza >l : c'è un << Nuot' O beretto » per gli ufficiali e per i soldati, e c'è anche un N uouo Pennacclzietto 11 per i Kepì. Questo, con foga nonostante la rigida inquadratura , a capo di pagina. A piè di pagina, invece, con un'altra soppressione (quella degli Artiglieri Litorali di Napoli, in data 20 settembre), una coppia di confer me: << l luogotenenti di Stato Maggiore distaccati presso i Corpi mantengono la propria divisa>>; << Il Colonnello d'artiglieria G. di Revel passato al comando di una Brigata di fanteria, mantiene integralmente la propria uniforme ... l> ; mantenuta in piedi e << riorganizzata da Revel la Legione Cacciatori del Teuere >>; quindi, il (( 27 giugno - Nuova divisa dei Veterinari », il (( 24 novemb re - Nuovo Cappotto per Ufficiali >>; giù, proprio giù, infine, c'è posto per una nota in data 29 dicembre, riguardante il Cappellano Militare.
Tra queste notizie ingabbiate c'è, però, qualcosa che comincia a sciogliersi anche in questa pagina. Tra i due gruppetti in alto a sinistra, il primo è appena abbozzato e un po ' comicamente ,, in posa 11, ma il secondo gli fa immediato contrasto, non mostrando ma lasciando vedere, in scioltezza d'atteggiamenti da riposo, la te nuta di manovra. Sono, però , i due gruppetti al centro ad aprire uno squarcio di vita. Nel « Nuovo Uniforme», gli uomini del Re ggimento Guide sono didattici come figurini ed eleganti come indossatori, ma sono veri uomini e veri soldati: sono persone. E chissà perch é da destra e da sinistra sono come sorvegliati a vista da <c tipi » che sarebbero più a casa loro in una collezione; escluso il bersagliere c he porta ancora troppo umilmente il fez avuto in dotazione appena il 12 giugno di quell'anno. Risorse d'un artista, e d'un formidabil e t'mpaginatore come il Cenni, risorse istintive, ma non troppo, ché ci appaiono piuttosto sapienti: il misto di disinvoltura , vanità e fierezza in cui si evidenziano i sei personaggi comincia ad esaltare il disegno, pur così stilisticamente prezioso e risolto fin nei particolari, portandolo ben oltre il bisogno di illustrare un abbigliamento. Il colore fa il resto. Questa scena centrale soffre palesemente l'angustia spigolosa del riquadro , ma fa sentire prossimo un sommovimento liberatore, il colpo d'ala dell'arte.
Sulla seconda pagina, segnata 1887, lasciamo al lettore la cura dello << scritto n, che abbiamo condiviso a proposito della prima pagina solo al fine di ribadirne l'importanza; e speriamo che nessuno ce ne voglia.
Qui si passa dalla Milizia territoriale a quella comunale, passando per la figura ammantellata (più che per la mantellina) d'un capomusica; dalla Compagnia Presidi aria agli Alpini e alla Fanteria d'Africa. Ma non c'è segno di stanchezza, d'indecisione, in nes s un passaggio. Il ritm o con cui sono occupati gli spazi è gagliardo ma con una certa levità; l 'equilibrio tra c< scritto )) e c< disegnato >> e tra (< disegnato » e « acquerellato>> è sempre più ammirevole. Sei personaggi in gruppo, più due isolati, nella prima parte; tre coppie più due isolati, nella seconda; un isolato e due coppie atipiche nella terza. In tutto diciannove personaggi, e diciannove modi diversi di stare, di guardare, di poggiare i piedi, di tener le mani e le armi , di esser soldati con una divisa uguale a quella di centinaia e migliaia di commilitoni ma portata con partecipazione personale a un unico mondo. Partecipazione. c he si armonizza con le caratteristiche deJia specia lità di ciascuno, ed anche con quelle di ogni singolo temperamento e di ogni singolo carattere. Il Cenni, risaputamente, non indossò mai una uniforme; però frequentava tutti, tutti, gli ambienti militari; conosceva profondamente i soldati e profondamente li amava, così com'erano: perché amava l'Italia , perch é amava l' Esercito, perché amava gli uomini e particolarmen te gli italiani. Il uestire militare era per lui la sintesi del più bel vestire e del più bel servire; ma non in ch iave di estetismo, bensì in chiave di presenza piena, senza riserve, al suo momento storico. Lo abbiamo già accennato ma lo ribadiamo, a ragion veduta. Pu ò sembrare, qua e là, che il Cenni idealizzi, n el vero senso della parola, e il soldato e l'unifo rme; in realtà ciò non è che il risult ato d'uno sforzo tendente alla perfezione del suo lavoro di artista innamorato del mondo che interpretava. Osserviamo, a titolo di esempi, il contabile (primo in alto a sinistra), il Capitano della Compagnia Presidiaria (primo a sinistra in m ezzo) e l'Alpino d'Africa ( ultimo in basso a destra), così diverso dal fante che gli sta vicino. La divisa ti fà neJia misura in cui tu fai la divisa; tu e la divisa t•i fate a misura di tutto c iò che ha fatto voi e la divisa. Se Quinto Cenni non fosse stato Quinto Cenni, avrebbe fatto solo divise, tenute , uniformi , e le avrebbe messe addosso a pupazzi e figurini, sia pure elega nti, come addosso ad altrettanti manichini. E per dare più attendibilità, più lustro, al tutto, avrebbe fatto muovere pupazzi, figurini e manichini, alla stregua di marionette e burattini. II che non sa rebbe stato, assolutamente, male; solo che sarebbe stato qualcosa di molto, e molto! diverso. Forza, severità, eroicità, sare bbero servite so lo a pubblicizzare, a propagandare, un modo di vestire. Ma Quinto Cenni, su ciò non può esserv i un filo di dubbio, ha voluto festeggiare, cele brare, onorare, le Forze Armate; e c'è riuscito. Anche l'uniforme è per gli uomini, che sono sempre, nella dimensione umana, gli unici a conta re.
Un'altra considerazione, pm o meno entica. In questa pagina, l'unità risulta in modo decisivo dalla t'erticalità di tutto l'impianto: figurativo, grafico, impaginativo Lo « scritto » è anche qui un po' un s iste ma di quinte o di moderni divisori teatrali, non si scioglie compiutamente nel ritmo complessivo; ma non angustia, non molesta. Le figure, pur necessariamente in gabbie, hanno aria, so n libere, disinvolte: parlano, meditano, osserv ano , guardano lontano , come se tutte quelle siepi di parole non esistessero. Il fatto è significativo. Le due dimensioni di cui abbiam detto a proposito della pagina pre cede nte si vedono, anche in questa, senza l'aiuto scomodo delle << crepe » Una maturazione sicura prepara gra ndi risultati , frutti di straordinaria qualità. Per chi abbia una certa dimestichezza con le collezioni di figurini che dominano la didattica uniformologica, è normale pensare· alla verticalità come aJia dimensione principe di questo micromondo. E' una dimensione felice, generosa, esaltante; ma nel caso specifico è anche una dimen sione che rischia spesso la rigidità eccessiva, l'eccessiva mutezza, ed anche l'irrealtà L'orizzontalità, il volume, il rotondo, e la moltepli cità delle loro combinazioni col verticale, sono la compiuta espressione d'un compiuto mondo; olt retutto , obbedendo alla luce, lavorano per il colore, per i color i; arricchiscono i ritmi , fanno musica. La terza pagina ispira e co nferma un tale discorso.
A questo punto, una certa voce ci suggerirebbe di tacere, di lasc iare a ciascun lettore tutta la sua libertà di sguardo e di godimento; l'intimità gelosa in cui a volte la persona più ca ra diventa estranea, intrusa. Ma cercheremo di dire, in breve e a bassa voce, solo ciò che ci sembra essenziale perché non si verifichi una soluzione di continuità in questo lavoro di lettura in comune cui affidiamo, serenamente, qualche degna s peranza.
E' più forte di noi: s uggeriamo di lasciarsi invadere dal colore, dalla luce, dalla intensa musicalità di questa pagina, ma di non farsi subito suggestion are dalla solennità, dalla maestà, dei cavalli e dei cava lieri, dalla aristocraticità delle figure a piedi e in piedi, di finezza e di eleganza veramente de g ne di stupita contemplazione. Meglio immergersi , filtrando , nel sottofondo d ella pagi na , in tutto questo pullulare di materiali ch e presi uno a uno sono quel che sono, illustrazioni di dettagli , di cing hie , else, elmi, mostr e, gradi; ma che nell ' insieme sono ben di più, la terra viva, fumante, dalla quale son nate tutte queste persone. Ecco il più valido punto di dimostrazione di quant o abbiamo prima affermato. Qui il Poeta e Archite tto che fu Ma stro Cenni si permette persino (è romagnolo !) di staccare i piani con una geometricità che non solo non disturba la liquidità di tutta la composizione, ma la evidenzia. Traccia una linea di demar cazione, ma uno dei suoi ca valli gliene copre un tratto con la coda, collegando due campi, due ambienti con naturalezza, invece di invadere con comprensibile alterigia uno spazio d'altri. Colloca dove vuole, co n una facilità, con una creatività tale da mozzare il fiato , elementi tra loro contrastanti, pur se d ' uno stesso dominio, e di tale collocazione si se rve per creare uno scenario unico, infantile nel senso più alto e ricco del termine, d'una efficacia de corativa degna delle nostre migliori tradizioni. In questo scenario, i colori compiono grandi imprese: arrotondan o in lucenti volumi le groppe dei cavalli , qualifi ca no in toni epici le giubbe, gli elmi , i pantaloni , le spade; ma non distolgono dalla sacralità se mplice, quasi evocata n ella memoria, più che direttamente vista cogli occhi , di questi uomini che possono esser collocati sulla soglia d'un qualunque grande evento.
Pittura e grafica realizzano un connubio quale raramente è dato toccare a pupille s p alancate Non ci ri sulta che altri, oltre i grandi pittori che hanno creato battaglie e fatti militari in genere, possano insidiare a Quinto Cenni un primato in materia di uomini in divisa. E queste che abbiamo voluto offrire al lettore non sono che esemplificazioni, limitate di necessità, con rammarico; anche perché , in questa precisa sede , non avremmo potuto inserire pagine di album dedi cate ad Eserciti non itaiiani. Tra i quali , e pensiamo all'Album n. 13 , <' Le memorie », vi so no sequenze impressionanti per qualità , continuità ed anche pe r q uantità, con centinaia di personaggi che si susseguono , pagina dopo pagina , come in un interminabile poema si nfonico.
Una lezione , qu e lla di Quinto Cenni, che non avremmo , senza co lpa, potuto tacere, o illustrare senza adeguato impegno. Ci serva comunque; e particolarmente per capire quanto è vero che il capitolo Ese rcito va letto e riletto (per chi crede di conos cerlo) an che n ella chiave che l'arte fornisce per aiutarci a guardare meg lio il mondo e so prattutto noi stessi .
Una lezion e in tono minore, e per contrasto, viene dalla produzione artigiana d 'un certo livello: quella ch e, pur impostata in funzione commerciale , persegue risultati genericamente artistici e talvolta giunge, qua e là , in alcuni pezzi, a raggiungerli Questo tipo di produzione si ispira, quasi se mpre , direttamente all'uniforme , e d iseg na e colora, o modella e colora, per giurz gere ad una uniforme portata da un modello , cioè da una figura umana , o da un figurino, che proprio e soltanto l'uniforme qualifica, distinguendone l 'identità da quella di tutti gli a ltri. Ma non è questa la cosa più importante La cosa più importante è, invece, la concezione della fonte d'ispirazione, ossia dell ' uniforme , co me punto d'arrivo , come un fine, e dunque come un archetipo attivo; non , dunque , uno schema, inanimato, una cosa o un insieme di cose, ma una forza informatrice, che oltre a precisare l'appartenenza ad un << Corpo», ad una « Specialità », dichiara , e in un certo senso, crea, un tipo umano. E' la co n siderazione che chiameremo, convenzionalme nte , << popolare » dell ' uniforme: residu o tenace, e di non valutabile durata , della plurimille naria consuetudine che vuole per ogni categoria sociale un particolare modo di vestire.
Spiccatamente, trionfalmente, « popolare » ci è parsa l'opera di GASPARE CARLINO, ceramista siciliano, di Sciacca, nei quindici pezzi che abbiamo avuto modo di studia re presso l 'Ufficio Storico dello SME, e che proponiamo al lettore concentrati quasi in una minibacheca. La presentazio n e, giova dirlo , non è compiutamente adeguata sotto il profilo iUustrativo; ma i limiti del presente lavoro non consentivano di più. Valga com ' è.
Ed è, secondo noi, quanto basta per consentire al lettore una verifica personale delle nostre valutazioni, le stesse che ci consen t iranno, almeno lo speriamo, di farci perdonare l'e vasione. La gloriosa tradizione dei « pu p i >> siciliani ha aperto un varco all 'unifonnologia.
Questi di Carlino, infatti , per dirla alla sua maniera , 11 pupi >> sono. E dei /( pupi » hanno , salvo lo snodo delle articolazioni, tutto: lo sguardo- tipo, tra il << metafisico » e il disanimato , il portamento più << geometrico >> che rigido , braccia e gambe fedelissime ai canoni del « teatrino » (non far niente per poter far tutto), l'aria di scena e il piglio inconfondibilmente locale; naturalmente , ovviamente, i colori, il tono dei colori.
Dall'alto in basso, e da sinistra a destra , abbiamo questi archetipi: << Corpo degli Ingegneri Militari di S.M. 1752 » - « Ufficiale di Artiglieria (dell'Armata Sarda) 1820 » - << Artigliere (dell'Armata Sarda) I 7 33 >> - << UfficiaLe del Corpo Reale del Genio I 844 » - « Ufficiale del Corpo Reale degli Ingegneri I775 » - 11 Ufficiale delLo Stato Maggiore del Genio I8I6 » - << Ufficiale del Genio in Grande Uniforme I8I6 » - « UfficiaLe del Genio del Regno d'Italia 1865 » - « UfficiaLe dei Granatieri della Guardia I 883 >> - << UfficiaLe di Fanteria dell ' Armata Sarda 18I6 >> - « Carabiniere » - <c Reggimento Piemontese Ca valleria r836 >> - « Ufficiale del Genio in Grande Uniforme I937 » - 11 Ufficiale del Genio in Piccola Uniforme 1903 » - « Alpino>>
Ma in realtà , nessuno di questi archetipi riesce a dire qualcosa; o a farla. Sembrano tutti in attesa di chi li faccia muovere e parlare: del « puparo », appunto. E la cosa sta bene così come sta: rientra in un << canone », più che in una « maniera » , nello spirito della continuità più che nell'acquiescenza del convenzionalismo. Non significa irriverenza, meno che meno « sgarbo», o superficialità; piuttosto << considerazione » spinta ai limiti dell'eccesso; senza neppur pensare ad una miti zzazione dell'uniforme, possiamo, però, par-
!are di esaltazione di essa , in senso teatra le e (absit iniuria !) di teatt·o de lle maschere. Co n trionfalismo.
Salvando le ri s pettive dim e nsioni , e i rispettivi livelli creativi , queste valutazioni possono raggiunge re non poche opere d' arte n ell e quali l'uniforme sopraffà chi la porta, se mpre per uno stesso motivo: l'autore suppone c he non l'uomo abbia scelto l' uniforme, ma l ' uniforme abbia scelto l'uomo, facendolo col vestirlo di sé. I risultati non sono da rifiutare; però fanno rimpiangere il meglio che s i sarebbe potuto e che si potrebbe ottenere rovesciando la posizione. Si ricrea e si ripropone un mondo che così ormai appare per cristallizzazione, e che è beLlo; ma poiché è l'uomo che si può rinnovare e che può rinnovare, si rischia costantemente di ricreare e di riproporre , invece d'un mondo, un 11 modo », una < l maniera » . Si rischia , in parole povere, l'esaurimento fino alla sterilità. Non è impossibile, ma non è neppure facile, per cintenderci, poter disporre d'uno che sappia sprigionare (all a lettera) dall'uniforme , tutto quello che un Morandi è riuscito a sprigionare dalla bottiglia. E poi , per avere una uniforme - natura morta basterebbe ritagliare particolari da certe opere dei più grandi; diversamente bisognerebbe pur sempre rientrare, e rinchiudersi, nella dimensione propria dei « creatori di mode »
Non siamo troppo entusiasti dell ' operazione che va sotto il nome di <l distinzione dei piani », quando venga effettuata a sproposito (molte volte); ma quando ci vuole , ci vuole. E tanto ci basti per non andare incontro a fraintendimenti. Sul loro piano, i « pupi >> uniformologici di Carlino hanno dignità e validità , come e validità hanno sul piano loro le divise, le uniformi. L ' importante è che i piani , quando è necessario , si di s tinguano; soprattutto che non si confondano mai, perché confonderli non è mai necessario, ed è sempre nocivo. Quello che conta è l'uomo in divisa, non la divisa su un uomo. Lo abbiamo già detto, ma lo ripetiamo. A chiodo grande, martellate molte , quando non si dispone d ' un mazzuolo.