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L ' ESERCITO ITALIANO

No·rA N. i> - 4 MAGGIO 1H61.

Vista la Legge in data '7 marzo 1861, colla quale S. M ha aSJunto il titolo di Re d ' Italia, il sottoscritto rende noto a tutte le autorità, Corpi ed Uffici M ilitari che d'ora i n poi il Regio Esercito dot •rà pn·ndere il nome di Esercito Italiano, rimanendo abolita l'antica denominazione di Armata Sarda

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Tutte le relatire iscrizt'oni ed intestazioni, d1e d'ora in avanti occorra di fare o di rinnot •are , saran no modificate in questo senso.

La presente imerzione serve di partecipazione ufficiale

Con questo primo chiarim ento, su basi stori co - documentarie , tracciamo alle nostre spalle una bella lin ea di demarcazione: necessa ri a più di quanto non si a oppo rtuna , provvidenziale ed anche un tan tino comoda. Ora , precisa to i l ca mp o, non ci resta che scendervi

Per " Esercito Italiano )) ho creduto di non poter intendere soltanto ed esc lusÙ •amente ciò che dai più , ed a torto , s'intende: il nucleo permanente, effettivo , dell'organismo che alla denom in azione risponde; nucl eo qua l ifìcato su basi professionali, alla stessa stregua di altri ai quali si affidano e la possibilità e la continuità dei servizi fondamentali che garantiscono il libero sviluppo e la sicurezza d'un vero popolo.

Per " Ese rci to Italiano n ho creduto di dot •er inten dere, inve ce , l 'insieme dei cittadini e dei mezzi (a nche degli animali) aventi i requisiti indispensabili, che in pa ce, a turno, auicura no i servizi relativi alla difesa (sia specifica mente come dissuasione , sia estensit'amente come salt·aguardia e tutela del bene com une), e in caso di guerra, secondo le leggi e le consuetudini, nonché le necessità emerge nti , assicurano anche quelli re lativi all'offesa.

Ogni cittadino, infatti, ha per costituzione il dovere (che è anche, al tempo stesso, un diritto) di difendere a11che militar mente la Repubblica . Nasce spontanea, da questo fatto, una cons id eraz ione: il cittad ino che ad una delle scadenze previste per il tempo di pace, o in ci rcostanze belliche , viene chiamato alle armi, non viene, dal di fuori, preso, agguantato, e forzosamente ingaggiato da una " forza

Il M inistro della Guerra

M. FANTI

armata n; al contra r io, egli dù;enta dal di dentro, per la sua stess a struttura di cittadino, militare. Non è mai male ripetere certe cose ovvie, specie in tempi di negazione sistematica anche di cose ovvie, o di riduzione ad ovvietà di non poche vere e proprie pretese. Ogni cittadino è, in potenza o in realtà, anche forza armata. L'Esercito non ha né può avere consis tenza legittima se considerato e realizzato come qualcosa al di fuori del popolo; ancor meno come qualçosa da si tuar e sopra il popolo. E sso è dal popolo, nel popolo, per il popo lo (tutto intero): passa per ciascuno di noi, sto ri camente, co ncretamente.

Tutto ciò mi è semb rato, e mi sembra , molto importante. Noi diciamo che la Repubblica chiama alle armi, ma sottolineamo il fatto che essa impone il servizio militare. Più logico, e più giusto, tener se mpre presente (a proposito , ancora, di ovvie tà ) che tutti i doveri , la Repubblica , li impone , perché solo, es cl usivamente , così può garantire i diritti. Fondata, com ' è, sul lavoro, la Repubb lic a Italiana dovrebbe imporre anche il lavoro.

Questo che vuoi dire? Vuoi forse dire che tutto cala dall ' alto, come spesso si è tentati di giudicare? E' vero: una volta che uno Stato di diritto (autentico) è cos tituito ed avviato , i meccanismi (necessari) del suo funzionamento l i vediamo e non possiamo non vederli « in alto )> ; potremmo aggiungere che in effetti essi Jono, relati vame nte ai singoli cittadini, simbolicamente " in alto n Ma perché questo? Perché •c in basso )), una volontà (non un meccanismo) libera quanto la sua stessa natura umana consente, ha voluto e continua a l'Oiere, ininterrottamente, che così sia . Le applicazioni pratiche di una libera scelta non possono essere giudicate come una imposizione, in senso negativo e ostile, se non illogicamente e in malafede.

Perciò, anche il nucleo permanente, effettivo, dell'organismo che viene indicato con la denominazione di " Esercito Italiano )) , attinge , riceve, il suo valore da un altro valore, della cui forza vitale partecipa , si alimenta. Questo valore precede l'Esercito Italiano, e insieme lo circonda; gli dà la giusta identificazione, ne le git tima la necessità, lo cresce e gli delega l 'assolvime nto di alcuni compiti peculiari, tra i tanti ai quali la vita collettiva affida la sicurezza, il libero corso d eli 'esistenza dei singoli. Questo valore, lo sappiamo tutti, nasce dal libero confluire di cia!>...:uno di noi nell'unità del popolo italiano.

L ' Esercito Italiano , dunque, non può essere visto in dimensione aristocratica od oligarchica; meno che meno, in funzione di potere. Ma non può essere considerato neppure in dimensione populistica , demagogica, con fina- li smi ideologici di partito o fazione. Festeggiare, celebrare, esaltare l'Esercito Italiano sì può e si det'e: a patto, però, che ciò significhi festeggiare, celebrare, esaltare la realtà conc r eta (così come veramente è) dell'intero popolo italiano nel suo momento militare. Se si accetta questa condizione, è possibile accettare anche la proposta di un certo criterio di valuta· zione di tutti gli atti coi quali si festeggia, si celeb ra, si esa lta l'Esercito. Secondo questo crite rio, festeggiamenti, celebrazioni, esaltazioni, sono veri , autentici, oppure no, a seconda della dimensione 1n cui tendono a collocare l'Esercito medesimo; e, naturalmente, della effettiva co llocazione che contribuiscono a dargli.

Tale criterio, o ipotesi di criterio, è, però, applicabile anche alle manifestazioni festive, celebrative, esa ltative dell'arte? Sì e no.

Non si può negare che un artista è sempre figlio del suo tempo, della sua cu ltura, della sua civiltà; ma non si può negare neppure che molti artisti, anche grandi, hanno creato capolavori perdendo di vista, nel corso dell'opera, gli intenti iniziali ed anche quelli finali. In pratica, il genio è atipico, e usiamo la parola " genio » in senso non assoluto.

Dunque no.

La realtà delle cime è ìndiscutìbile; ma anche l'esistenza della montagna !o è. Ci sono i grandi e i grandissimi, personalità che siamo tentati di scontornare; ma c'è il periodo, il ciclo storico, il corpo , msomma , il blocco di produzione artistica.

Dunque sì.

Allora? Che cosa intendere, ai finì del libro, per " arte ll?

C'è una cosa che chiunque può dire senza correre gravi rischi: quel qualcosa di inafferrabile in virtù del quale fra tante opere soltanto alcune sono (( opere d'arte l> resta e resterà un mistero. Un mistero refrattario ad ogni definizione, ma che non cessa di farsi definire, incrementando il già impressionante patrimonio di analisi e descrizioni che rende sempre più ardui gli studi, e affaticando gli atleti della definizione almeno quanto gli stessi artisti. La storia dell'estetica è, tutto sommato, una storia di indicazioni, di desideri e di esigenze, di domande e di pretese, intorno al fenomeno umano forse più ambiguo: quello rappresentato dali 'incessante rifare, servendosi di materia e di non- materia, se stessi e il mondo, in nome d'una sorta di legge che comanda di creare. Una sorta di legge, aggiungiamo, abbastanza strana, così radicalmente positiva da far sorgere più d'un dubbio sulla sua stessa natura di legge. Tant'è vero che , p1U o meno da parte di tutti, si tende a considerare l'arte non come il frutto dell'obbedienza ad una legge ma come l'affrancamento da ogni e qualunque legge, come manifestazione di libertà assoluta. Questo, in fondo, è un modo di concludere un discorso, in un certo senso, solo per poter meglio vedere la possibilità di aprirne un altro, nuovo, più accettabile. E non solo nuovo, ma anche diverso. Lo dimostra il fatto che, mentre continuiamo a sfogare, anche nei confronti dell'arte, tutta l'esuberanza dei nostri istinti definitorii, spesso e volentieri investiamo i guadagni realizzati in questa attività nei più disparati settori della produzione intellettuale , lasciando l'estetica nella situazione d'un mondo ancora da esplorare, o sacro ad o o una recesswne cronKa.

Figurarsi se potevo pretendere di farmi prendere sul serio con un ennesimo discorso sull'arte wl malcdato mtento di approdare .td una mia definizione, c:: con la probabilità di darne, <.kntro una scatola nuova, una vcc.:h ia. Oltretutto, mi assillava, insistendo ndla considerazione obbligata de l rapporto tra l'espressione artistica c il suo " contenuto h (ne l mio caso, l'Esercito Italiano), il pensiero dt:ll'arte nelle sue ultime manifestazioni e nella giustificazione critica delle medesime. Anche a non voler co ndividere , ad affacciare riserve, come, a che titolo, ignorare?

Lasciando da parte il cinema, qualificato dal suo stesso nome e da tutte k implicazioni, oggi anche l'a rte delle immagini in <-Juiete è suggestionata e plagiata , più che generata, dalla fretta, dal bisogno, diventato abitudine, di co rrer e. Quando sì corre più per abitudine che per vera necessità, è come se si dicesse:: una se ri e dì " no! n : ,, no n a questo, " no '' a quest'altro e a quest'altro ancora. Ma non si può negare tutto! . on tutto è da negare : anche correndo, la storia è storia. Certo , il correre per vera fretta è strettamente legato a un bisogno di sintesi; e nel bisogno di sintesi, oltre alla so lle citazio ne di qualcosa di nuovo che possa nascere, c'è l'affermazione della volontà di " far presto'' · Far presto perché?

Quello che con parola ormai familiare, anche se spesso usata a sproposito, chiamiamo in arte " astrattismo 11 , è un fenomeno di sintesi, un voler •• far presto )) , e ridurre ridurre ridurre, per poter stringere e fermare Se uomini e cose ci passano avanti sempre più di corsa (in automobile, anche il paesaggio sfreccia , nulla è più quieto), che ci re sta, ormai, dì essi, al di fuori di ciò che resta dentro di noi? Niente. L'astrattismo sì sforza di registrare, interpretare e fissare, appunto, ciò che resta dentro dì noi. Un ' arte, una pittura e anche una scultura, che potremmo chiamare arte dei residut, dei resti; un 'a rte che non di rado appare come arte delle dejormazio11i, perché de- formati, alla le tt era, non in senso spregiativo, sono i segni rimasti d'una rea ltà che ci passa davanti corre ndo Ci de v'essere, al fondo di que sto fenomeno, l'esigenza di controbilanciare con si ntesi ai limiti del mistero l'eccesso di analisi c he oggi caratterizza la scienza in specie c la cultura in · genere. Alla luce dì queste consi- derazioni, anche l'arte a:.tratta è più rera, no fuori dalla realtù di quanto non si creda. L'uomo, tutto sommato, ttnta di imporsi alla realtà in cui è immerso solo per non perdere mai il contatto concreto con essa: minaccia di divorziar<.:, e divorzia, per accettare, dt:ntro di sé, libtramente, un matrimonio indissolubile fondato sulla parità dei coniugi. La storia, anche quella dell"arte, sembrerebbe farcelo dimenticare, di tanto in tanto, per svo lgere più energicamente, in un tempo il suo compito di rammentatore (tatrice ?)

Per non rigt:ttare senza giustificazione un simile giudizio, assoggettiamoci pazientemente al peso d 'un'altra breve considerazione.

Dai primi timidi , rabbiosi, oppure delicati segni graffiti sulle pareti d'una caverna, sulla co rteccia d'un albero , su su fino ai vertici del figurativo, del natura/ismo, che ha inteso fare l'uomo con l'arte? Ha inteso, via via, riprodurre, interpretare, rù ostruire il mondo così come lo andava vedendo e sperimentando sensibilmente. La sua esperienza si è andata progressivamente ampliando; non soltanto per opera della diversità della luce nelle varie stagioni e nelle alterne fasi del sole e della luna, ma anche per opera delle scope rte fatte negli spostamenti semp re più notevoli: donde i rapporti mutevoli, in co ntinuo arricchimento. tra " alto" c " basso li, tra " qua n c " là )) , tra " tondo)) e " non tondo "• tra •• verticale " e " orizzontale "· Sostanzialmente, i vitali inganni della lucc: e quelli non meno vitali della prospettiva, hanno n:so semp re meno facile il riprodurre e sen1pre più necessario l'interpretare. Quando, poi, i successi ottenuti nell 'opera di interpretazione hanno dato all ' uomo una cresce nte consapevolezza dei suoi poteri, l'arte è entrata in una sua grande stagione: quella della ricostruzione del mondo in una nuova unità, realizzata intimamente e proiettata all'esterno in fo r me dis eg nate, dipinte, sco lpite. Naturalmente , mo lteplici sono stati i modi del ricostruire, a tutto vantaggio della crescita d'una coscienza sempre più personale di poteri personali.

Così, lungo la sto ria, l'arte è stata sempre meno copia. poi, sempre meno interpretaz10 - ne, infine sempre meno ricostruzione del mondo com'è; o meglio, come sembra che sia realmente, perché così, alla superficie, appare più o meno nello stesso modo a tutti, o alla maggioranza. E quale altra stagione poteva seguire a quella della ricostruzione? La stagione, est r ema, del dubbio su ll a effettiva consistenza del mondo esterno, del cosiddetto mondo real e, dubbio seguìto dalla negazione. Negazione non assoluta, s'intende, perché assurda, velleitaria; negazione del mondo visibile come ,, materia)), come " argomento», e persino come " occasione,, dell'arte.

Oggi, pittura e scultura sono in una fase qualificata da un solo incentivo , o giustificazione, da un solo criterio opera t ivo: int,entare, creare; sostituire, avendone o mutuando in qualche modo le forze, " i[ n mondo col " proprio mondo>>; quantomeno, sostituire al modo empirico di t'ederlo e guardarlo, un modo di conoscerlo che non è logico, perché è intuitivo, ma somiglia abbastanza ad un modo filosofico, scientifico, di conoscenza.

Per completare la breve considerazione c 'è, però, da fare un 'osservazione che, se non distrugge il già detto, lo ricopre tuttavia con un " trasparente ,, sul quale sìamo liberi di ridimensionarlo, analogamente a quanto è possibi le fare con certe car te geografiche.

Le vicende dell'arte di cui abbiamo balbettato si stendono dalle origini ad oggi e ci superano in direzione del futuro, !asciandoci dove noi s iamo. Nel c< dove ,, in cui siamo, un ampio, oceanico ed intercontinentale presente, un presente planetario, sussistono e convivono tutte, nessuna esclusa, quelle vicende e i loro rispettivi risultati. Sia pure con qualche rischio, ci permettiamo di ricordare che nel momento preciso in c ui il primo astronauta stampava la prima storica orma umana sulla Luna, c'era forse sul la Terra chi sfregava energicamente tra di loro due p ezzi di legno per fare il fuoco. Rischio per rischio, ci azzardiamo a credere che in quel c< presente >> che ancora, finora, chiamiamo « futuro», ne avverranno di più belle.

Ora, l'arte ispirata a l l'Esercito e dall'Esercito , l'arte avente pe r contenuto l'Esercito , è della stagione figurativa; anche se non ce la se ntiamo di affermare che non può essere che figurativa. Valutaria ai fini di un giudizio per una scelta significa o, per essere più precisi, comporta il guardarla come tale, come figurativa, cercandovi però i misteriosi segni di riconoscimento comuni a tutti i possibili modi di fare arte, e ai loro risultati.

Chiedendo scusa del passaggio dal plurale al singolare, confesso di aver chiesto aiuto all'ovvietà, al senso comune (comune almeno come possibilità), insomma, al buonsenso Le opere d'arte» universalmente conosciu te e riconosciute, a volte con ritardi variamente motivati di secoli e millenni, che cosa hanno per essere quel che sono? M 'è sembrato di poter dare questa risposta. Le opere d'arte hanno qualcosa a prova di tempo e di spazio , di dive r sità tra individui e gruppi, tra stirpi e civiltà; al dì e al di là di ogni ragi?namento, esse SI 1mpongono come promoz10ne e come risultati concreti di unità; come profezie , insieme interpretazioni, sigilli, ed esortazioni, al dovere e al diritto di unità. Da quando abbiamo la memoria fino ad oggi , le opere d 'arte hanno un potere di testimonianza tra i più accettabili e accettati nei confronti della verità: quella verità che, facendoci personalmente liberi , ci dà la forza di fondare e di far crescere, dentro gli ingranaggi meccanici della necessità, la libera associazione umana. Tutto questo, nonostante la loro misteriosità, o forse proprio in virtù di essa; con tale co nsistenza da resistere a tutte le tempeste politiche e sociali, alle stesse rivoluzioni.

Che è? Un comodo, pratico , rinunciatario ripiego su un giudizio di fatto, per far pas- sare alla chetichella un qualche discutibile giudizio di valore estetico implicito in qualche mia scelta? Può essere, ma non secondo le mie intenzioni. Mi torna doveroso confessare anche questo: mi ha sempre colpito, direi religiosamente, l'imperiosità con la quale certe opt:re dissepolte da passati leggendari ci costringono a dire, senza troppe compli caz ioni mentali, " guesta è arte '': quasi professa ndo una fede, che possiamo chiamare estetica ma che in realtà ci apre, invadendoci e pervadendoci, spiragli sulla nostra essenza più profonda. Sembra, ogni volta, di ascoltare un invito a riqualificarci, attraverso un'ulteriore anamnesi spinta fino alle origini, su livelli perduti o sempre in pericolo di perdizione. conculcato, ma sempre cé!pace. recettivo, co me pochi altri. Di tali elementi e della loro validità , giudicherai liberélmente tu, lettore. sulla scorta delle pagine scr itt e e delle riproduzioni. L'opera d'arte de ve avere un seme. e un grembo o delle radici; deve venire da lontano e deve andare ancor più lontano, perché possa attraversare e interessare tutti i momenti di tutti gli uomini: non importa se nella proposizione d'una gavetta o di una battaglia, d'un alpino attaccato alla coda d'un mulo o d'un sabotatore che mina un ponte, di reclute sotto la doccia o d'un reparto in sosta, o di comba ttenti c he nostalgicam ente cantano. L'opera d'arte è certo un atto d i conoscenza; ma può esse re anche la negazione della possibilità di conoscere veramente. Ciò che conta è che ci nguardi, che possa, prima o poi, coinvolgerCI tutti. Specchio della vita, no: è troppo poco. ed è anche eguivoco; piuttosto, sorgente luminosa , variamente utilizzabile, ma sempre necessaria, s pesso provvidenziale.

In somma, ho cercato elementi di orientamento, nella estrema difficoltà di formulare un c riterio vero e proprio, analizzando i risultati di un suffragio universale ma gualitativo, inv ece che quantitativo, e commisurandoli ad un valore, come l'unità. malinteso, frainteso.

L'ESERCITO ITALIANO NELL'ARTE

Una volta chiariti a me stesso i due puntichiave, le conclusioni scaturivano dal di dentro, confluendo nella co nfigurazione del tema e indicandomi, non dirò una strada pronta ad essere percorsa. ma un tracciato. una pista transitabile.

Trattare un tema come " L'Esercito Italiano nell'arte '' poteva equivalere a questo: ricercare e sco prire (o riscoprire) tutto ciò che i momenti militari della vita del popolo italiano (unitariamente considerata) hanno espresso, attraverso la decantazione e l'esaltazione dell'arte, in ispirito di necessità e di libertà, proprio per assicurarlo alla storia della vita strappandolo a quella della morte.

L 'uo mo incontra , affronta ed attraversa la morte, ma sempre deciso a uscirne , a trionfarne. Se lo scopo del momento militare tipicamente critico, la battaglia, è la vittoria, esso non può essere che la vita. E non la vita gene- ricamente, e un po' astrattamente, di tutti quelli che restano e che si succedono, generazione dopo generazione (a turno, dovranno, tutti, morire) ma la vita di ciascuno, anche di chi muore in battaglia. E' inaccettabile , perché privo di senso comune , che un uomo sopporti di affrontare e sperimenta re la morte insieme al destino di sparire, di passare alla storia del nulla. Lo farà, forse, a fior di coscienza o nel su bconscio; ma nell'inconscio, n ell'abisso dove pullulano le sorgenti, no. L'uomo si batte sempre contro la morte, per la vita.

Tutto ciò è implicito in quanto detto a proposito dell'Esercito e del concetto estensivo, oltreché rigorosamente centrato, di esso. Creare e mantenere, con massicci finanziamenti, una organizzazione per la morte, è pura follia; farlo per la vita, nonostante tanti ed anche rispettabili pareri contrari , è realismo da buona salute. nonché indice di sagge zza. La morte - XVI non ha affatto bisogno dei nostri sforzi organizzativi c finanziari per svolgere efficientemente ed onestamente i suoi programmi. La vita, invece, sia pure in posizione subaherna a Chi ce l'ha data e ce la conserva, siamo, per quanto attiene all'umanità, noi. Non nuocerà ricordarlo, neppure in questa sede.

Da queste premesse, un logico e doveroso corollario: se la guer ra non è il solo fine, e neppure quello principale, dell'Esercito, non si può fare intorno all'Esercito Italiano nell' arte un discorso incentrato esclusivamente su opere ispirate a battaglie, duelli, assedi, morti sul campo. A parte tutto, si può esser tentati, in presenza di opere non d'arte, di forzare il giudizio per far tornare i conti del discor so medesimo. Bisogna, invece, puntare equilibratamente anche sulle opere ispirate agli scopi meno appariscenti, ma non meno veri, dell'Esercito; per intenderei: scongiu rare, attraverso la dissuasione, la guerra e tutto ciò che può provocar! a; addestrare e tener disponibili i cittadini alla difesa dalle molteplici calamità naturali che possono minacciare un popolo; co ntribuire, coi mezzi e nei modi specifici della sua realtà, allo sforzo incessante che il popolo compie, anche facendo leva sulle esigenze della difesa, per render sempre più vera e co ncreta la sua unità. Un discorso del genere richiede, in pratica, la ricerca, la illustrazione e l'interpretazione di opere d'arte nelle quali si esprima durevolmente uno qualunque dei molti momenti della t'ita dell ' Esercito: opere d'arte nate da questa vita, dall'interno, e non riferite daLl' esterno ad alcuni schemi, o archetipi, o mitizzazioni rettoriche, spesso deleteri, che la sostituiscono nella mente, nella coscienza e nel linguaggio di molti o forse troppi di noi.

Nella vita dell'Esercito avviene tutto quello che avviene in ogni altra vita: solo che avviene all'inseg n a di condizioname nti dichiarati, programmati e finalizzati in modo così svelato da far credere, illusoriamente, che nella vita u borghese», o " civile », le stesse manifestazioni si svolgano all'insegna d ella libertà. Non è poi così f acile, tanto per non dire che è impossibile, sapere fin dove scegliamo veramente e fin dove siamo, invece, scelti, in tante decisioni (ma questo è solo un << numeretto di

-XVII- richiamo » per la nota che ciascuno di noi può porre a piè di pagina o in fondo ad un capitolo della sua vita). Si può tranquillamente affermare questo: il ciclo che, dalla visita medica alla vestizione, dalla caserma al campo e all'eventuale prova del fuoco, passando per l'alzabandiera, il rancio, la libera uscita, il silenzio, le marce e via dicendo, racchiude la vita militare, è il ciclo biologico- storico di ogni esistenza trasposto in una particolare chiave. La pregiudiziale, o l'ostacolo, della <( disciplina », sempre meno riferibile in esclusiva alla vita militare e sempre più predicabile della vita senza aggettivi, in tutte 1e sue forme, lo dimostra anziché contestarlo. E lo dimostra in modo particolare il fatto che la di- sciplina, sempre ed oggi più che mai, è talmente consustanziale all'esercizio della libertà da apparirne, dentro il circolo della vita associata, come la prima ed ultima condizione o garanzia.

La verifica ha voluto un'appendice, non del tutto trascurabile: quella relativa alle forme d'arte da considerare, dal momento che l 'arte non ha veri confini e che nessuna forma d'arte può essere inclusiva o esclusiva delle altre. Mi è parso di dover circoscrivere il territorio della pittura e quello della scultura, comprendendovi, naturalmente, tutto ciò che rientra nelle due grandi classificazioni, peraltro in fase di crescita ed anche di osmosi. Anche questo era necessario dire, lettore.

Per Finire E Poter Cominciare

Tutto ciò che riguarda i limiti della ricerca e del materiale reperito e offerto, unitamente ali 'indicazione delle raccolte pubbliche e private di cui ci siam potuti avvalere, nonché alle note essenziali su autori e mostre, troverà giusto spazio in chiusura di libro.

Non possiamo, però, concludere questa premessa con giustificazioni senza avere almeno accennato ad una questione cui van collegati e certo linguaggio e certi atteggiamenti sui quali il lettore potrà avanzare delle riserve : la questione del rapporto del '' resto del mondo)) coi valori tipici dell'universo militare.

Si parla sempre più, oggi, a proposito e anche a sproposito, di demitizzazione. Nella maggior parte dei casi, sarebbe più semplice e più proprio parlar di verifica, o di ripensamento, oppure di ripensamento e verifica. Vi sono uomini e raggruppamenti per i quali tante verità e realtà politico- sociali, economiche, religiose , in cui credono e vivono centinaia di milioni di esseri pensanti, si fondano su miti. Questi miti sono una delle tante forme del male e pertanto vanno smascherati e distrutti: sostanzialmente, qui sta rutto il senso dell'operazione che va sotto il nome di demitizzazione, considerata dai suoi fautori ed artefici come una campagna di liberazione, di salvezza. Ma le centinaia di milioni di esseri pensanti che credono in quei e< miti », al punto da farne sostanza del loro vivere, non li considerano come forme di male ma come forme di bene, a volte come il bene; dunque, per essi la demitizzazione, !ungi dall'essere un 'operazione liberatrice, salvifica, è, caso per caso, un crimine, una meschinità, oppure soltanto qualcosa di ilare, di comico. Ce la prendiamo tanto con le parole, contrapponendole (nientemeno!) ai fatti, ma in definitiva con parole e per parole ci uniamo o ci dividiamo fino a massacrarci. Chi può dire quanto sangue grondi dalla parola '' demitizzazione )) ? E quanta carica mitica e mitizzante essa abbia tra le labbra di chi la pronuncia, troppo facilmente, come qualcosa di sacrale, di esorcistico, di libera torio ai più alti livelli razionali?

In verità, tutte le parole, per la loro e soprattutto per la nostra forza (o debolezza) di deriva, giungono a un punto storico, personale e collettivo, in cui perdono e fanno perdere le tracce del loro significato originario ed usua- XVlll- le medio , non dicono più nulla, o addirittura l'opposto di ciò per cui erano state create e immesse in c ir colo Ma basta ripensarle , verificarne il rapporto col messaggio loro affidato e tene r conto della verifica per ristabilire, almeno in parte, un equilibrio teorico e prati co minacciato o compromesso. La verifica si fa spalando tutto ciò che si è accumulato sopra ogni parola, fino a scoprire (alla lettera!) il vero significato. Ciò non significa che bisogna tornare indietro, mettersi fuori del proprio tempo, della propria cultura, ovvero alienarsi a ritroso, esse re " oscurantis t i )) , " reazionari n Ciò significa soltanto che bisogna riesaminare se stessi e la propria capacità di essere autentici, veramente liberi, attivi e non passivi, anzitutto scegliendo, formulando ed esprimendo attraverso il linguaggio, con le parole, le proprie decisioni dentro i propri pensieri. Fare una cosa simile ci porta a rovesciare le abitudini espressive e linguistiche in particolare. Invece di servirei automaticamente d 'un termine presuntamente facile, d 'un termine sovraccarico di se stesso fino a straripare di significati anche contraddittori, guardiamo a qualcosa (un oggetto, un concetto) e ce rchiamo di parlarne agli altri coi termini più adatti a non far sorgere dubbi su ciò che vogliamo, dicendo o scrivendo.

No, non credo d'essere impazzito. Parlando di E sercito, e di Esercito nell'arte, bisogna dissotterrare molte parole e prima d ' usarle bisogna liberarle dalle incrostazioni , dal terriccio, dalle varie patine, fino a quando non si ,, senta n, prima ancora di " vedere >J, che ciascuna di esse può anche per gli altri essere una parola vera, una parola- valore, perché è una paro la - fatto. Così facendo sarà meno difficile discernere opera d'arte da opera nond'arte. Anche l'opera d'arte, in realtà, è una parola - valore, una parola- fatto: espressione originale (nel senso di <<o riginaria n, « sorgente ll, l< na scen te '') e perciò perenne come tutto ciò che sta sempre cominciando, il principio, cioè la vita nella sua unità.

Ci sia consentita una esemplificazione, basata sulla considerazione di una delle manifestazioni più vistose, spettacolari, della vita dell'Esercito: la rit ,ista.

La rivista, espressa, riprodotta nel suo più immediato apparire agli occhi di chi la guarda, come ciò che è secondo una certa formula, cioè teat ro , coreografia, può essere una buona occasione per uno scenografo- pittore, che abbia qualità di colorista. Ma se essa è ricreata, rivissuta , nella sua sostanziale verità, da un vero artista, può essere l'occasione felice per la nascita d'un capolavoro Qual è la sostanziale verità della rivista militare? E ' il confronto tra la domanda dei capi e la risposta dei repa rti rela tivamente alla capacità di far corpo, alla compiuta unità del presentarsi e muoversi, di sfoggiare (tra l'ostentato e il lasciato intendere) una sicura potenza di suggestione per gli amici e di dissuasione per i nemici. I capi frugano sotto gli smalti dello spettacolo il grado di preparazione, di fiducia, di sicurezza, in una parola il potenziale difensivo- offensivo degli uomini- reparti. Gli uomini- reparti, a loro volta, possono essere o apparire tali, e fieri perché liberi, e in linea perché convinti; oppure au tomi, grintosi perché coatti, impeccabili perché alienati e via dicendo. Un artista che faccia una testimonianza di verità in questo senso , rendendo visibile il segreto, non solo trasforma in segno perenne d'un momento di 'storia una situazione in transito, ma collega, proprio attraverso la testimonianza e la mediazione, l'umanità dell'Esercito a tutto il resto del l 'umanità, nazionale e planetaria, all'umanità senza aggettivi: la sua opera sarà motivo di gioia anche per un eventuale nemico delle Forze Armate ritratte e qualificate dalla sua ar te. Al di là dello spettacolo, della festa (pe r chi guarda), dell'accertamento e della dimostrazione d'un grado di addestramento e di efficienza più o meno energicamente sotto lin eato a fini di propaganda o dissuasione, la (< rivista militare » appare nella sua più alta significazione: una sorta di sacra rappresentazione, in chiave marziale, del dramma libertà- disciplina nel quadro del passaggio- conquista dell'uomo sulla faccia della Terra.

L' esemplificazione è stata, forse, un po' lunga, e chiedo venia. Tutta colpa della precarietà degli stati d'animo nei confronti di ciò che attiene all'Esercito, anzi, alla vita militare in genere: fenomeno piuttosto rilevante sia dal punto di vista della parte direttamente in causa, sia da quello della parte decisamente ostile o pigramente neutrale. Occorre, è urgen te, una buona, salutare ,, rottura >> per una nuova via. Parole come " Patria ll, ,, onore l>, " dovere ll, ,, sacrificio >>; come " guerra » e « pace ll, " difesa» e '' offesa)); come « armi », " violenza » e " non- violenza ))' sono parole pesanti, importanti, decisive spesso nei confronti d'un modo di pensare e di spendere la vita e la morte. E a volte, i quadri o le sculture di autentici artisti, magari trascurati o solo benevolmente presi in qualche considerazione, fanno proprio pensare a discorsi nei quali a quelle parole si dà il valore gius to , né esuberante né reticente: un valore. La gloria non si dà su commissione, non si concede, non si improvvisa. La gloria è come la luce e il calore: dev'esserci sole, o fuoco, perché ci siano anch'essi; dev'esserci verità

Il discor so che resta da fare, lettore, fallo tu.

PARTENZA DA CASA, VISITA MEDICA, ABILI ARRUOLATI, IN GRIGIOVERDE.

Tutto viene di -lontano, tutto va lontano; nel tutto, col tutto, anche noi. Così il presente, per chi lo vive, per chi lo sa vivere, è sempre equidistante dal passato e dal futuro; cioè, per via del pensiero, e della memoria (che nell'uomo è ben più d'un meccanismo) da se stesso. Il passato spinge, il futuro attrae , ma dall'interno, non dall'esterno; siamo impastati di passato ma lievitati di futuro. Non ha nessuna importanza dire che l'uomo cresce in senso orizzontale, come non ha nessuna importanza dire che cresce in senso ver ticale; l 'uomo cresce perché è vivo, ed è vivo perché si può nutrire e si nutre, in tutti i sensi: il qua e il là, il sopra e il sotto, l'orizzontale e il t' erticale sono invenzioni, dobbiamo pur fare le carte , le piante, le mappe , per un viaggio così lungo dentro il tutto. Ciò che ha importanza, invece , e che ne ha tanta, è avere coscienza di tutte queste cose, saper leggere le carte, le piante , le mappe , dal principio alla fine , complete di passato e di futuro nella pienezza del presente. Infatti, a volte un 'azione, un gesto, una parola, ci appaiono , e non abbiamo bisogno di chiarirci il perché, forti, incontestabili e irriducibili, da imporci il riconoscimento e l'accettazione : si tratta di un'azione , d i un gesto, di una parola, in cui sembra condensarsi la storia intera a mi su ra di ciascuno d i noi. Chi non ha , da ragazzo, ammirato e un po' invidiato certe persone di età («gra ndi ))), specie se uomini di mare, o dei campi, o di montagna , che facevano o dicevano le cose più semplici (ma essenziali) come se fossero tali da influire sul corso del mondo? '' Il grano mi sembra un po' debole )) ; 11 Stanotte si mette a maestra le>>; (( S'avvicina la tormenta n: frasi di questo genere uscivano da una bocca a no1 vicin a , ma di dov e pr oven ivano ?

Presente vivo, attivo, è quello in cu1 SI nconosce, si seleziona e si sceglie tutto ciò che deve durare e trasformarsi incessantemente in futuro, sulla scorta del passato disponibile subito, in ogni punto, in ogni momento. Così per ogni singola persona, così per i popoli, così per l'inte ra umanità.

Così, pure , per ciascuno degli innumeri modi attraverso i quali ogni persona, ogni popolo, tutta l'umanità, realizzando il suo presente, rende testimonianza alla vita: così, dunque, per l'arte.

L'arte, poi , presenta alcune caratteristiche inconfondibili e, per un certo verso, curiose. In quanto attività che tende a fermare, a fissare, tutto ciò che di volta in volta è presente , essa è una grandiosa fabbrica di passato; ma in quanto, per la sua durata , essa continua ad essere presente, è una non meno grandiosa fabbrica di futuro. E qui il << futurismo>> non solo non c'entra , ma non ha possibilità alcuna di entrare : futurismo è uno dei tanti termini coi quali potremmo qualificare la tendenza di tutti gli esseri, ma di quelli umani in particolare, a sopravvivere, ad avere sempre un domani, in definitiva a non morire, quantomeno a non morire in assoluto. Il che non solo qualifica, ma giustifica e rende possibile il presente perenne in cui si risolve l'arte senza aggettivi, o con aggettivi che abbiano l'unico senso accettabile: quello uti le a certe partizioni che rendono più facile leggere le " carte))' le ,, piante)), le «m appe n

Vogliamo dire che l'arte è sempre una cosa portata in cresta da un'onda. Anche quando rappresenta, esplicitamente, un ,, inizio))' l'apertura di un ciclo, d'una storia , si sente che essa parte da un punto di a r rivo, che ha dentro (più che alle spalle) un altro intero ciclo, un'altra intera storia. Non è, né pretende di essere, un vero e postulabile criterio, ma anche da questo si distingue un'opera d'arte dalle altre opere: da quelle, ad esempio, destinate ad illustrare, e che fissano, in fondo, aspetti già fissi della realtà, da essa ritagliati e perciò quasi morti.

Vi è un momento in cui ciò che del mondo visibile (e invisibile) l'artista ha guardato, ricreato e riproposto è fermo, sta, perché proprio fermarlo, farlo stare, era uno dei fini che l'artista voleva raggiungere. In tale momento, quello stesso oggetto dell'amore creativo non riesce a cancellare dagli occhi e dall'anima di chi lo contempla un'impressione, un sentimento: che affiori da un lento, calmo , tumulto, e che, stando, sia di questo tumulto la pacificazione, la soluzione, senza, però, essere una vittoria su di esso; di esso, anzi, rappresenta ndo una spiegazione e anche una giustificazione. Forse è per la forza di persuasione esercitata da ciò che dice in silenzio, ovvero da ciò che si avverte attraverso ciò che si vede, che l'opera d ' arte ci dà, quando è autentica, tutto il mondo in un solo lembo di mondo; ed è, viceversa, per lo stesso motivo che un'opera non d'arte ci inchioda malamente a ciò c he ci mette sotto gli occhi .

Non ci succede qualcosa di analogo quando facciamo conoscenza con certi nostri simili, con certi uomini? Quello è magari assonnato (e ci sarà una ragione), impacciato, addirìttura· insignificante all'aspetto; ma ha tra le palpebre, nel taglio del volto, nel collo, tra le inflessioni della voce, qualcosa che sa di potenza tenuta a freno, ma pronta a scatenarsi in una emergenza; non riesce a nascondere, sotto la maschera d'apparizione, di scena, un intimo , paziente, profondo esercizio di pensiero. Questo, invece, straripa, subito in piena, riempie di sé l'ambiente, è sciolto, disinibito, impressiona; ma dagli occhi alle mani, al modo di collocare la sua figura nello spazio, tutto in lui denuncia superficialità di radici, esiguità di tronco e di rami, una segreta fragilità pronta, in un'emergenza, a rivelarsi senza ritegno. Ques to fa pensare solo a lui, perché porta solo se stesso; quello fa pensare a intere generazioni di uomini, perché sembra portare l'umanità.

Un 'opera d'arte non riuscirà mai a nascondere di dove viene e dove va, dove vuole andare: cioè le sue più remote ispirazioni, le sue più profonde, inconscie , spesso , aspirazioni. E tutto ciò che si intende compreso nelle parole " stile l>, '' maniera l> , ,, fattura>> , " tecnica '' o « mestiere >, , è solo la manifestazione, nel punto di visibilità, di ciò che si sente in presenza dell'opera, partecipando, più o meno , di ciò che ha sentito l'artista nel produrla. Si parla di carica emotiva, o d'altre forze, più o meno ignote o pseudo- note. Ma può trattarsi anche di sottile gioco d'intelligenza, con e pure senza l'ausilio di ciò che denominiamo, non genericamente, c, cultura '' o ,, preparazione n o addirittura '' specializzazione >>. In effetti, è un gioco sintetico che impegna tutta intera la nostra personalità: un gioco semplice, vale a dire l'opposto d 'un gioco facile, perché la semplicità è difficile da conquistare, ancor più difficile da conservare; quanto a trasmetter! a, dobbiamo confessare che, in tutti i campi, si riesce a proporla ali' ammirazione, assai meno all'adozione e alla assimilazione.

Fortunato chi può avviarsi in semplicità, perché evidentemente parte da un punto che è stato di arrivo, di felice arrivo. E' il caso nostro? Vediamo se la risposta può essere positiva.

La prima sequenza di questo saggio- proposta per una riscoperta dell'Esercito Italiano attraverso la lettura (o ri lettura) dei testi artistici che ne testimoniano e tramandano l'e popea si svolge attraverso quattro momenti dell' iscritto di leva: la partenza da casa; la t 1ÌSÙa medica; la consegna del corredo; la partenza dal distretto. Ce li racconta, per molti di noi potremmo dire che ce li ricorda , ce li rievoca, su mattonelle di ceramica invetriata, un ceramista pittore di Cattolica, in Romagna, oggi operante a Pesaro: BRuNo BARATI!. A proposito di lui e della sua opera, possiamo parlare di un vero e proprio ricupero di giovinezza, in ogni senso. Le mattonelle figuravano tra le opere esposte nella « Prima Mostra degli artisti italiani in armi n, ordinata dallo Stato Maggiore dell'Esercito e sistemata nelle sale del Palazzo delle Esposizioni a Roma: era la pri- mavera d e ll 'a nno 1942 . Di questa mostra ci occupe r emo più avanti, instaurando un confronto che riteniamo pro fi cuo con un 'altra mostra assai più recente: quella ospitata nel bimestre novembre- dicembre dell'ann o 1965 , sem pre a Roma, dal Circolo delle F orze Armate in Pa lazzo Barberini, promossa dal Ministero della Difesa all'insegna de cc Il soldato italiano ll, rassegna di arte figuratir •a conte mporanea e retrospettiva. u La colorazion e dei pannelli mi pare fossero di to no assai sereno e non con grandi contrasti di colore Passa var10 dai bruni ai rosa rdati, grigi, bluastri, vio lacei, sempre tra di loro complementari Non t'i sono nervosi passaggi e cìò lo può notare anche dalle foto stesse. Tutt o è fatto co n t •efature di colore. l fo ndi, cioè i se co ndi piani, le case, gli alberi, ecc., sono ottenuti sempre con lo stesso principio.

Qui , subito, dobbiam o, e con molto r ammarico, dire che le mattonelle di Baratti sono an date d isperse nel corso d egli eventi bellici e post- bellici : lo abbiamo appreso dallo stesso Baratti, cui ci siamo rivolti anch e per sapere se avrem mo o meno potuto contare su riproduzioni a colo ri , ma con esito negativo . Ab biamo lavo rato su fotografie in bianco e n e ro , cercando di far riviv ere le quattr o scene alla luce d ei delicati , po et ici colori che ci commossero tre nt aci nque anni fa: avemmo , i nfatti, durante una breve lice n za, la possi bi lità di gode rci qu ella mostra , per molti versi ese mpl a re. A sostegno e conforto personal e, ma soprattutto pe r venire incontro n eli 'unico modo possibile al lettore, abbiamo chiesto a Baratti di parlarci di quei colo ri. Ci ha risposto , per lettera, con parole che riproduciamo, per non sc iuparne la f resc hezza , il ca ndore, con la sbriga tività di tutti i riassunti.

Il paesaggio è tipico periferia e campagna di Pesaro città dor •e io vivo. Anche le case rispecchiano il nostro ambie n te per la forma e per il colore (qu est'ultimo anche se non si vede)

Non è, evi d e ntemente, molto, ma può giovare . Ci avvici niamo alla prima sce n a, raffigurante la Partenza da casa, disposti alla co ntemplazion e d ' un idillio ca mpestre , 11 assai sereno n , senza " g randi co ntrasti "• senza " ner- vas i passa gg i '' · Ma tutto questo clima di colore, come la temperatura mite in certe giornate decisive , non fa che evide nziar e, per contrasto, la calma dram maticità dei fatti : un legge ro sorriso so pra un a faccia appenata. Il fante in armi Baratti Bruno, poco più c he trentenne, u ri c hiamato ''• parte anch'egli per la prima volta coi tre di leva, ma è già un u a nziano )), ed è un artista: stempera ogni as prezza con la prima sap ienza della maturità e co n quella dei colori. Non pu ò compiu tamente mentire , però: il colo re è suo; i personaggi app arte n gono a se stessi e, tra di loro, l 'u no all'altro, per ché l 'intuizione , l'impianto, il disegno , insomma, la cos truzione , co n tutto ciò che compre nde , li ha staccati, ha tagliato i loro cordoni om bel ica li e li ha messi nel mondo. Non c'è gioia, e neppure quella che a buon titolo può chiamarsi serenità; non c'è n e ppure dolore. P azienza? Ra ssegnazione? Fatalismo? Diremmo, piuttosto, semplicità, realismo istintivo, sen so concreto, millenario, d ella vita ; quindi la forza e la vera, autentica , sole nnità c he distingu e g li attegg iamenti nec essa ri o come tal i assunti. Siamo n e l vivo di qu e lla che chia miamo sempre più diffusamente (e, i nvero , sempre più ge neri came nte) civiltà, o cultura, co ntadina: il mondo esiste ed è, più o meno, come ci appare; ha le sue leggi , le sue abitudini ed a nch e i suoi cap ricci , come il tempo , le stagioni. Dall a guer r a libera nos Domine! Ma se c'è, la guerra , si fa; e si parte. Si parte p er fare il soldato anche in tempo di pace, più o meno in tutto il mondo , c iascuno al modo del s uo paese : è sco mod o, ma può anche essere como do , vantaggioso; a tutto malandare, si conoscono luoghi e persone nuovi, si fa una cer ta espe ri enza, s i diventa più forti e anche più furbi; si diventa uomini. Una volta a Roma si dic eva : " Chi non è buono per il Re, n o n è buono neppure per la Regina ,, ; sicurame nte si sarà detto anche alt rove. Diventare uomini: che sig nifica? E ' un lungo discorso , ma si può far e in quattro parole: diventare u omini sig nifica diventare capaci di vive re umanamente in qualunque situazione, dalla più bella alla più brutta; sicuri di sé, ris pettosi e ri spe ttati; in grado di rendere feco nd e una terr a e una sposa. di crescere e difen- dere figli , culture , bestiame, sapendo sempre ciò che è buono e ciò che è catti vo, ciò che bisogna volere e ciò che non bisogna volere. Ma per diventare uomini bisogna partire, saper partire; specie se c'è la guerra. Ciascuno, però, parte a suo modo. Ed ecco , la soena ci propone tre gruppi umani, in ciascuno dei quali, non schema ticamente, ma poeticamente, si evidenzia un modo di partire, in sintonia con un modo di restare e di salutare il partente che ,, va a fare il so ld ato >>

Consideriamo intanto come la prima sensazione che si ha dell'insieme è di stupefazione, d'una sorta d'imbambolato stupo re che incanta e fonde quasi fino alla indiffe renzia zione gli elementi del primo e del secondo piano: esso semb ra accomunare tutti n personaggi a quello infantile, subito a destra. Non c'è un segno di distrazione: è un " momento >> di quelli che contano, un '' grande momento n . Ma in mezzo a tanta unità c'è una " rottura>>: all'altro pe rsonagg io infa ntile sfugge di tra le mani un uccello (co lomb a? Tortora? ) che si direbbe simbolico d 'una in evitabi le migrazione, e provoca un improvviso, delicato e un po' disperato slancio di ricupero. E in tanto i due fidanzati hanno già rotto l'incantesimo, fanno par te ormai del quarto piano della scena, il fondo campestre, dall'apparenza così banale e dalla sostanza pittorica così autentica che merita uno sg uardo ben attento.

Non lasciamoci incantare dalla prima impressione. Una profonda differenza esiste, ed è sapientemente, pur se candidamente, resa, sotto l'unit à dello stupo re. 11 primo partente, vicino a un bagaglio che già sa di zaino, percuote dolcemente co l palmo della destra la spal la della donna che, lo sguardo un po' assente, lontano , vuole e non vuole essere conso la ta; si sente già sola e non vuole prolunga re la sofferenza del distacco. Il giovane , dalla figura fine nella sua ineleganza, è di quelli che partono portandosi dietro tutto il loro mondo. 11 secondo partente, un po' più '' rustico>> e deciso , riceve di più: un rosario dalla madre troppo commossa per non essere costretta a nascondersi (la vediamo, infatti, di spalle); uno sguardo pieno di amore e le braccia da una ragazza di morbido viso e di tratto già materno; la mestizia non celata (l'unica !) della sorellina e qutlla pensierosa, piena di ·ricordi e di raccomandazioni, del padre. Egli è schivo , un po ' risentito , ma ha già imboccato la strada; a lui il suo mondo chiede di non essere lasciato a casa. Il terzo , se potesse, non partirebbe per restare con la ragazza del cuore; la quale, di spalle come la madre del secondo partente, dice tutto ciò che può dire coll'inclinazione del capo verso la mano destra dell'amato posata sulla sua spalla, e col braccio sinistro che sembra fare dolcemente da guida verso un angolo « fuori campo >> in cui celebra re il distacco nell'intimità. Lo sfondo si rarefà teneramente in progressione, ma tutto curato con molto affetto, quasi predisposto per i ricordi: due staccionate, un cancdletto tra due case, alberi, .alberelli, la strada che aggira una piccola collina , e un orizzonte, un fresco, profondo orizzonte.

Ci siamo di proposito intrattenuti sull'avvìo, permettendoci di suggerire una certa lettura, che !ungi dal voler esaurir e le possibilità del testo ne spera, invece, di stimola re e incoraggiare il segui to creativo nell'anima del lettore. In questa partenza sembra proprio che ci sia l'essenziale: il distacco da un mondo amato ed onorato fino a quel momento come un punto di arrivo. L 'eroico , l'epico, il grande o grandioso, tutte queste dimensioni vengono dopo; e la loro autentici tà , la loro verità, dipende strettamente dall'autenticità, dalla verità, della « povera>> dimensione d'origine. Ciò varrebbe anche se la partenza, il distacco , si riferissero al mondo fabbricato dalla << civilcà >> o ,, cultura » industriale; naturalmente, alle stesse condizioni, allo stesso prezzo spi r ituale. Infa tti, alla <c famiglia », alla « terra n, si può sostituire tutto ciò che riteniamo opportuno sosti tu i re ; a patto, però, che sia qualcosa di meglio, e di più, della " famiglia >> e della << terra >>.

La seconda scena, raffigurante la Visùa medica, ci spinge senza mezzi termini dentro tutt'altro ambiente, e vi ci rinchiude, lasciando sul fondo uno spiraglio appena sufficiente a farci intravvedere qualcosa di simile a ciò che ci si squaderna in primo piano. In gergo diremmo : « E ' già naja! >>; e aggiungeremmo,

" Che odor di vasellina! >> Eppur e. si consideri che cosa è riuscito a trarre il Baratti f-.tnte - artista da una materia valida tradizionalmente più come occasione bozzettistica, vignettistica, caricaturale ancor più che umor istica in senso proprio, che non come fonte d ' ispirazione poetica. Perché ci troviamo a godere ancora della buona poesia. Amiamo pensare che i tre personaggi nudi, i due visibili a piena figura e l'a ltro dal collo in sù. siano i tre u partenti >> della prima sce na. E' loro il piglio, il portamento; anche il lieve imbarazzo campag nol o c he si esprime rebbe attraverso un 'ar ia divertita se non avesse la rèmora di quel viso d'ufficia le medico, bonario, un po' paterno e intriso d'un misto di soddisfazione professionale e di umano compiacimento per la sa lute di cui chiaramente scoppiano i due giovanotti che. pur senza alterigia, lo fronteggiano . I nudi son trattati dal di dentro, senza ostentazioni stilistiche, cioè senza calligrafismi inutili e senza pudori inutili, puntando dritto sulla resa immediata del racconto. Dalla mano destra del medico spenzola il metro che ha misurato il torace, e semb ra proprio che non vi siano dubbi: u Abile a tutti i servizi, giovanotto! >> . Ma la ma n o si nistra poggiata sulla spalla risponde perfettamente allo sgua rd o non co nvenzionale: c'è un dialogo in corso. E mentre l'interessato diretto reagis ce con un pi zzico di fierezza, l'altro, al suo fianco, ascolta, è già tutto compreso della sua nuova co ndizion e. Due versioni , ent rambi attendibili, di Adamo nell'Eden , senza un filo di rettorica. I due sono: è anche, nella sua lieve goffagine, il medico. Quello cui stanno misurando l'altezza è il perfetto salame che ciascuno di noi è stato nella medesima occasione: innaturale, teso, preoccupato. Gli addetti alle schede sono tipici e volutamente tipizzati: si danno quel certo, ben noto, tono, ma sono veramente seri. Non ci deve sfuggire la pregevolezza senza pretese del fondo sfondato con accorgimento semplice e significativo , messo in opera con segni e leme ntari: laggiù c'è un altro spogliarello, c'è un altro (( partito >> che comincia la sua piccola (o grande?) avventura, acca nto a un altro personaggio di spalle che, vestito, sembra curvo sul lavoro.

Dove sono tutte le donne ddla prima scena? E la libera vastità del paesaggio? Sono di là. Ora la faccenda è tra uomini, per soli uomini: maschi , per la precisione; e siamo in caserma, il paesaggio tornerà al tempo del campo. Ma quanto ci sembrano ancora indifesi , questi prossimi difensori! Quanto sembra vero che partire, cominciare o ricominciare, è sempre un po' spogliarsi e sentirsi qualche tempo nudi in un mondo di t'estiti! Soprattutto quanto è bello trovarsi di fronte a un'opera d'arte piena d'umiltà, e aver voglia di ringraziare l'autore che con quella umiltà ci ha permesso di ritrovare in fondo all'anima grandi , solenni verità!

Nella terza scena, raffigurante la Consegna del corredo, si comincia a riuscire all'aperto. La composizione è molto equilibrata, con una musicalità, specie nei volti, che ricorda quella della partenza, e con una sottile ma forte unità discorsiva. La l( burba » che con la sinistra stringe il gavettino e co n la destra porge la borraccia s'inquadra parzialmente, col capo, nella apertura laterale sul magazzino e si integra coi due commilitoni in faccende, uno di spalle e uno di tre quarti, trattati come in miniatura (quello che ci appare ben visibilmente u scocciato >> è particolarmente felice di resa sobria e fresca). Il personaggio ammantato a sinistra, nostalgico e un po' misterioso, guarda il magazzino ma è richiamato da quel poco di c hiom a d'albero e di cielo che liberan o prospetticamente il cancello e il muro. Al centro de ll a co mposizione, chiusi dentro di essa ma g ià in moto, due (( trasognati » fanno pensare ad un co mmento silenzioso su ciò che sta accade ndo: un co mmento a due voci, una rassegnata ma non troppo, l'altra intonata a pensieri casarecci. Ad osservare attentamente la (( burba», curiosamente sacerdotale, e la recluta che ri ceve il corredo, con tanta naturalezza in ginocchio, si scopre una sorta di sacralità che fa da clima all'intero quadro: una sacralità laica, beninteso, ma vera. Spogliarsi per la visita medica è già un rito; ma la vestizione è qualcosa di più, nella liturgia del mutamento di co ndizione e di vita . La " burba >> lo sa già, il suo atteggiamento è già ,, di casa 1>, con un minimo di sufficienza e distacco; la recluta. col suo viso da ragazzino. quasi da bambino, lo intuisce e tutto in lui si svela, un misto di ansia, di curiosità, di gioia, di fretta d'essere in divisa)), dal momento che non potrà più stare " in borghese >> Ma a chi e a che pensa l'ammantellato? Anche il suo copricapo è diverso e lo porta diversamente. Così suggerisce una non inutile osservazione sugli altri tre copricapi; sono di una coerenza esemplare e completano i tre ritratti in modo tale che siamo certi d 'un fatto: non glie li ha messi in testa Barani, ma c1ascuno ha fatto da sé, e noi sap piamo tutti quanto personale sia il modo di mettersi e qualunque copricapo, spec ie nei momenti m cui ci comportiamo senza eccessivo controllo di noi stessi . Il copricapo del personaggio in ginocch io è d'un serio sbarazzino, ordinato ma con spontaneità ; quello del rassegnato ma non troppo è d 'u n deciso un po' ribelle , anzi, in ge rgo , un po' 11 strafottente >> ed anche un tantino sga rbato; quello del terzo personaggio è d'un riflessivo composto, con punte d'ingenuità.

Ci viene da chiederci : « Come porteranno, i nostri tre, la bustina? E il be rr etto a visiera? E l'elmetto?». Non dovremmo farlo, ma tant'è, lo facciamo: questa domanda, con o senza risposta, ci servirà per analogia a leggere insieme l'opera di Quinto Cenni, un artista che come pochissimi ha compreso ed espresso l'essenzia lità del rapporto, sia spo ntaneo che coltivato, tra un militare e la sua uniforme.

Ed eccoci alla conclusione del breve ma intenso e compiuto ciclo: la scena raf figurante la Partenza dal Distretto.

Qui conviene iniziare dal fondo, nel qual e tornano i motivi del cielo, del paesaggio suburbano con case e albe ri e, ormai lontani, quattro residui attori degli addii familiari: un padre, una madre, un maschietto che si sbraccia e una femminuccia incollata a una sbarra del cancello che chiude il co rtile. Il co rtile, con muriccioli coronati da filo spinato, è tutto in qua, sul davanti , è la sola realtà vera: quell'altra è anch'essa vera, non ancora sognata, ma pare che già lo sia. I saluti di dietro il cancello sono rivolti all'appena abbozzato ma vivo plotoncino marciante, dal quale un braccio si sporge a rispondere, a ricambiare. I cinque personaggi del gruppo in primo piano sono ormai come in un'isola, in un clima completamente diverso; non si accorgono, non posso no acco rgersi più di quei sa luti , perché sono alla seconda parte nza c pur in un breve volgere di giorni hanno impiantato dei rapporti, hanno acceso amicizie, hanno preso possesso d'una dimensione che è nuova ma non più in senso assoluto. Dunque, sono troppo presi dal loro saluto, che è altra cosa, non certo ad un livello superiore, ma sicuramente su un diverso piano, per curarsi dell'ultimo filo che li lega, caro ma pericoloso , a tutto ciò che hanno lasciato alla prima partenza. Soffermandoci su li 'insieme . saremmo tentati di osservare che il gruppo ç unificato , poeticamente, da un senso di mestizia: uno stato d'animo che non dà groppi alla gola ma insinua lento del malessere, del disagi o. Giova guardare uno ad uno i protagonisti della scena, e riguardarli insieme dopo avere constatato quanto in realtà il Baratti abbia, anche qui, posto in essere degli uomini ben differenziati tra di loro. 11 personaggio centrale, vero protagonista , ha neli 'insieme qualcosa di patetico: farebbe tenerezza , come si dice , se non fosse per una forza elementare che emana dalla sua figura non certo in linea ma ben salda sulle gambe, dai fianchi e dalle spalle di uno che porta e sa portare pesi (lo zaino, per lui, rappresenta una comodità). Questa forza elemen tare si conferma in quel berretto così giusto, app ropriato, in quel volto buono, quasi dolce , il volto d'un giovane se nza il minimo complesso, in quella mano che stringe smza bisogno di t' olerlo, porta da un braccio appena scomodato, vigoroso ai limiti della sproporzione. E' un momento, si vede, di ringraziamento per qualche attenzione, per gli auguri di " buona naja "• e di saluto in chiave di " arrivederci >> più che di 11 addio)). Il patetico nas ce, ci sembra, dalla disinvoltura, dalla naturalezza, co lle quali un uomo così < • piccolo >>, così << povero l>, si colloca in un mondo tanto più grande di lui; e anche dalla sicurezza di sé con la quale si accinge a sert'ire. Un altro autore, probabilmente un artista non -artista, non si sarebbe accontentato di così poco, avrebbe sicuramente calcato la mano, st rafatto. Ma forse non avrebbe ritenuto degna di ricreazione artistica una così comune , banale, situazione umana. Eppure, della pasta di questa recluta ci sembra siano stati, siano e debbano essere gli eroi, quelli sui quali un popolo può sicura mente contare nei momenti gravi. Della stessa pasta sembra essere il « distrettuale >> : tra i due c'è, ed è efficacemente, perché sobriamente, resa, una calma simpatia. Che cosa riserva, all'uno e all'altro, la vita? Guardate le loro braccia, le loro mani: quei due son capaci, insieme, di qualunque impresa. Ma potr ann o anche tornare a casa , a se rvizio ultim ato, per raccontare soltanto spicc iole e pac ifi che esperienze. Che fa , la << burba», un po' neutra , a sinistra, che sembra ve rsa re dal gave ttino ci ò c he resta d'una bevuta? Non ci appare c hiaro, ma è di quelli che non vogliono o non r iesco no a partecipare intensamente: certo, la bustina è calcata in modo caparbio, e tutto il suo atteggiamento è rigido. Subito dopo la sua te sta, quella d ' un 'altra << burba », in delicato ma netto contrasto: la bustina , sta bene, deve portarla , ma la fronte deve restare scope rt a; tanto , non è che una bustina sulle sop raccigli a riesca a truccare lo sguardo, che di smar rito è e di smarri to resta. Il personaggio che s'inqua dr a tra il <l nostr o » « distrettuale >>, co n qu el cappotto scuro sui pantaloni chiari a righe, somiglia a quello d ai pensieri casarecci ch e appare nella scena raffi g urante la Consegna del c.orredo: ha glì stess i pantaloni , un diverso copricapo, però. Sopr attutto ha pensieri diversi. Vorrebbe dire qualco sa, ma forse non ritiene necessario far sa pere che si preoccu pa della destinazione , o forse ancora di cose anche più importanti (per lui).

Ma la tenerezza che non fa il perso na gg io centrale, la fa, per tutti, quello più emarginato, più umile: se ne sta sui selci, pazientemente, in strettiss i ma compagnia d'una rustica sacchetta, senza salutare, se nz 'essere salutato, facendo, tra una gamba e i lembi d 'un pastrano , il suo dignitoso me stiere, che comporta, tra le varie fasi, quello di ingombrare. E' la valigia. Staccata dal contesto del quadro, circo nd ata d'una sua atmosfera, potrebbe esse re una ,, natura morta l>; non di quell e me- ritamente celebri, spesso autentici capolavori, mil una buona « natura morta >> : Valigia con sacclzetta. Di passaggio: ma perché continuiamo a chiama re " nature morte » certi pezzi ai quali tanti e tanti grandiosi parti invidia no la vita?

Ritornando, dopo la breve analisi , sull'alone di mestizia che semb ra , al primo sguardo, unificare poeticamente la composizione, diciamo , con maggior fon d atezza, che l'unità va spiegata diversamente: co n la già lamentata mancanza di ripr od uzi oni a co lori (negativamente) e col co ntr asto tra il tono dimesso della narr az ione e l'e ffettiva consistenza dei fatti e dei loro protago ni st i, quale risulta sul piano crea tiv o, irr obus tita ed esaltata probabilmente olt re le stesse spe ranze deli' artista.

Il forzoso bianco e nero elimina, se non la gioia, la letizia, certo la vivacità, la lucentezza dei paesaggi e in ge nere il supporto cromatico dell'espressività di tutte le figure ; itte nua la sca nsio ne de i piani; lascia al puro disegno ciò c he era stato affidato a nche al colore, evidenzia ndo quella che è sob ri età dell'azione , dei gesti, ai limit i di una eccessiva staticità.

Il contrasto tra tono narrati vo e consistenza dei fatti risulta invece, positivamente, fattore di unità proprio perché Baratti, scegliendo la te matica ha c reduto nella sua importanza e nella possib ilità di co municarla e farla accettare da g li altri; e a dire il vero, si tratta d'una tematica inc onsu eta. Ora , in arte , vale ciò che vale un po' se mpre nei nostri atti vitali riguardanti la co muni cazione oltreché l'acquisizione di coscienza personale: quello che è, presto o tardi appare, non si può celare che per poco ; quello c he non è, prest() o tardi scompare, non si può farlo es istere che per poco, con accorgimenti ed art ifizi . E ciò che è, anche in arte, si identifica con ciò in cui si crede, e con forza; ciò che non è si identifica, a volte, add irittura con ciò in cui 11on abbiamo cred uto ( noti cr(deremo mai.

Questa co nclusione, di nec essità sommaria, sul quarto « momento » del ciclo, può sostanzi alme nte valere per il ciclo intero. Ed è tanto più accettabile in quanto si riferisce a un'opera fornita in un tempo assai poco propizio ad una co ntemplazio ne ca lma, serena, degli uo- mini e delle cose, particolarmente di tutto ciò che riguardava l'Esercito, già nell'occhio del ciclone. Tempo di sconcertanti esaltazioni trionfalistiche da un lato , e di incoercibili, amarissime ribellioni dall 'altro : « Tutti ero i! », « Tutti co nigli e traditori! », « Tutti leoni! » e « Tutti imbelli! ». Con pochi in grado di affermare, a voce alta ma senza gridare incompostamente o insulsamente: << Tutti uomini , sempre! » .

Ci è sembrato, e ci se mbra sempre più, esemplare il fante ceramista- pittore Baratti Bruno che, in piena tempesta, ha la forza di raccontare , con un candore degno dei « Fioretti » francescani, quella che allora si poteva a buon titolo considerare una discesa nella fossa dei leoni. E di raccontarla in ispirito di verità. Gli « specialisti », gli « esperti >l, potranno esercitare nella debita sede il meglio della professionalità per un giudizio strettamente critico, e anche storico, in se n so ufficiale, sulle derivazioni, sullo stile, sulla tecnica di Bruno Baratti, collocandolo, sistemando/o. Diranno , con apparato critico, ciò che noi , in questa sede, cerchiamo di dire saltando le giustificazioni: non abbiamo senza ragione chiamato in causa il candore dei « Fioretti>>, implicando gli artisti che li hanno, con lo stesso can- dore , passati alla storia , sia direttamente e sia indirettamente, dipingendo e scolpendo (in sede più ampia si potrebbe aggiungere « e costruendo ») con quella cc povertà >>, con quella, sapientissima, •c umiltà >> Alle spalle e soprattutto dentro, Baratti ha secoli d'arte e millenni di cultura: si sente e si vede. Eppure , qualcuno, guardando le sue opere, ha parlato di « nai'f »; che è un complimento solo a patto che sul termine << na'if » non si equivoci come spesso succede . L'art e viene di lontano e va lontano. Si può essere natù' i quanto si voglia, ma se non si costruisce, se non si fabbrica, si fa un'arte fasulla, che si mette a sedere dopo un chilometro. Come chi parla e come chi scrive, chi dipinge ha delle responsabilità, in senso lato, globale. Il suo giudizio dev'e sse re pulito e se rio non meno della sua abilità. Ma noi non intendiamo prevaricare nei confronti dell'impegno assunto col lettore. Ci sembra che non avremmo più concretamente e felicemente saputo entrare in medias res di come , con un pizzico di fortuna (il ricupero di Bruno Baratti!) abbiamo potuto fare. La storia dell'Esercito Italiano, come quella di tutti gli eserciti, non può cominciare, in prosa e in poesia (la vera arte è tutta poesia), che con una cronaca di povere reclute.

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