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LA PULIZIA È SALUTE, ANCHE PER LE ARMI.
Avremmo dovuto far riferimento a questa tavola di QurNTO CENNI, raffigurante la cerimonia della « Doccia », fin dal II capitolo, là dove abbiamo cercato di proporre elementi di valutazione per la condizione storica dell'uomo nudo, dell'uomo coperto e dell'uomo t' estito, in funzione del nostro discorso sull'uomo in divisa o uniforme, del soldato. Ma abbiamo preferito puntare sull'efficacia del confronto diretto e inatteso, alla sprovvista, tra uomini nudi e uomini in div-isa, tra i due estremi del discorso medesimo, reso possibile dalla proposizione d'un testo in cu i questi estremi si integrano e fanno unità, a contrasto, sprigionando tra veli di delicato umorismo e di patetica serietà un buon getto d'acqua di tlerità.
Di cerimonia sì tratta, non c'è possibilità di dubbio; una cerimonia d'altro tempo, comportante una vera e propria operazione, ma sempre cerimonia. Del resto, oggi, per quanti vivono in zone raggiunte dal progresso (tra gli altri ci sono quelli che s'accontentano d'una pozzanghera) il complesso delle operazioni che rendono possibile la cerimonia (e non solo questa) è nascosto, perché si svolge altrove , per automatismi al coperto, ma c'è, e come! Cerimonia; cerimonia rituale. Tutto deve svolgersi nel più fedele rispetto della solennità di ciò che è doveroso e della festosità di ciò che si fa liberamente, spontaneamente, per convinzione se non per amore. In ogni cerimonia rituale, infatti, la solennità, o più propriamente la maestosità, attiene alla carica di obbligatorietà, religiosa o laica , di ciò che si svolge, e che si fa in comune; mentre la gioia, quando c'è, la vivacità, l'eccitazione, attengono al grado di comunione di chi partecipa. Chi le contesta, lo fa inscenando, a sua insaputa, una cerimonia alternativa bell'e buona; e se riesce ad abolirle, presto o tardi le sostituisce con altre di suo gradimento o comodo; quando non le con- testa e le abolisce proprio perché fanno concorrenza alle sue cerimonie, già ricorrenti.
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Insomma: le cerimonie ci vogliono, ma in realtà son volute, sì vogliono; perciò chi vi prende parte , in maggiore o minore misura ne gode, fa festa.
L'abluzione, ufficialmente o no, è sempre stato un fatto religioso . Il << bagnetto » che facciamo (o che facemmo, ohinoi !) ai figli, in restituzione di quel che fecero a noi i nostri genitori (senza offendere le madri, anche molti padri), nonostante il vezzeggiativo che, accentuando la festosità, sembra attenuare la solennità, è sempre un avvenimento, una vera e propria cerimonia. Così all'inizio, così durante, così al termine dell'esistenza. E' vero: non è ques t a la sede per un discorso sui riti, misterici e no, imperniati sul!'acqua che lava e purifica, pulendo, rinvigorendo e nobilitando il corpo dell'uomo. Ma come non invitare il lettore a tenerlo presente, questo discorso, come già fatto, nella lettura di questo così garbato Cenni , un testo sereno ma illuminante quanto insolito?
Consideriamo insieme l'impostazione della scena.
In primo piano, più di spalle che di tre quarti perché è sufficiente la presenza ben corposa, collocata in una posizione, l'addetto alla vigilanza: anzi , ,, la vigilanza». Subito dopo, l'insieme materiale ed umano del <<servizio» che occupa la maggior parte dello spazio ed è dominante al centro della scena; non di proposito, ma di fatto, quasi a significare che l'importanza di ciò che avv iene si concentra nella messa a disposizione e più ancora nella imposizione, appunto « rituale », dell'acqua. La pulizia è un dovere, fa parte della coscrizione obbligatoria . Sei di quelli che da bambini si chiamano (( nati puliti »? Tanto meglio per te: che goduria l O sei forse di queg l i altri, dei quali si dice, curiosamente , che (( sono nati sporchi >> ? Beh, abbi pazienza: meglio tardi che mai; farai l'abitudine e finirai per desiderare questo momento. I quattro, dal « vigilante >> in giù, sono benignamente seri; e proprio per questo, deliziosi. Si guardi quello che pompa: quanto crede in quello che fa! E quello che manovra la doccia? Solo un distratto potrebbe scambiarlo per un pubblico giardiniere intento ad innaffiare aiuole. Sì, è vero che se lo guardiamo coprendo con una mano i << nudi » somiglia a tanti che << innaffiano n come se salvassero un mondo dalla siccità; ma è anche vero che se lo guardiamo più attentamente ci accorgiamo dell'occhiata << d'ordinanza » che dà al primo dei <• nudi », in atto di chiedere, ci sembra, più acqua, o di osservare che « è troppo calda >> o << troppo fredda >> .
L'équipe del << servizio>> è in divisa; del capo bisogna dire veramente che è in uniforme, completa di mantello e di sciabola. La dimensione è perfetta, nelle sue allusioni. Sotto il vestito, e particolarmente sotto la divisa, bisogna che ci sia un corpo ben lavato Non ci si veste per coprire qualcosa che non deve esser visto, per ingannare con panni puliti il mondo in cui viviamo; ci si veste per crescere, qualificarsi, comunicarsi. La divisa va portata come una garanzia visibile di nitore invisibile ma esistente. La tua vita da soldato ti fa faticare e sudare, costringe il tuo corpo a gemere umori con particolare generosità E dunque, sotto la doccia, march! Non esattamente così, ma in un clima « così >> . D'altronde, per un soldato anche la salute è un valore da tenere costantemente « nei ranghi >> : conservarla, nei limiti delle proprie possibilità, è un dovere tra i doveri e l 'Esercito, mentre te lo impone, ti aiuta ad assolverlo, a compierlo. Sotto la doccia, march! Non si sa mai : non tutti i possibili nemici sono uomini; ci sono anche le bestie, nella specifica rappresentanza degli insetti. Difenditi, opponiti, con un corpo uscito ancor più giovane e splendente dai lavacri, alle insidie di tutti i parassiti del corpo e dell'anima. La disciplina ti libera anche in questo senso, in questa direzione.
Un cotale dispiegamento di mezzi e di Impegno, di organizzazione e di sapienza, che riempie il più dello spazio dell'intera sequenza, si riversa con tutto il suo ca ri co di se ri età sui sei di turno nel « servizio a nudo )) che è, qui, incontestabilmente, la pulizia del proprio corpo: un servizio pubblico , sociale, e solo così, ben di diritto, servizio militare (l'infinito aggettivato, che strumento espressi vo!). Dopo, sotto a chi tocca; i turni si susseguono, ci sono già entrati o ci entreranno anche quelli che stanno dall'altra parte, dietro il parapetto con tanto di pedana.
E i sei, deposte le vestimenta, fanno di tutto per non sembrare più quello che ancora restano e continueranno a restare (come tutti) ogni volta che saranno al centro di simili .attenzioni: bambini al rito del << bagnetto». Occupano un ristretto margine dello spazio che ci sta davanti , sono la conciusione del discorso figurato; ma in definitiva sono i protagonisti, non solo del contrasto, ma dell ' intera signifìcazione del testo: uno per uno.
In fondo , rapidamente ma efficacemente disegnato, c'è uno che << fa le forze>> , a braccia conserte, per fronteggiare la violenza del getto d'acqua non semplicemente da soldato, ma da intrepido soldato. Al suo fianco, ma volgendogli le spalle, c'è uno dei tanti cui, sotto la doccia, pizzicano gli occhi; e se li copre con una mano, ma tenendo il braccio in modo che a noi sembra si sia accordato col Cenni per farne cornice a mezza testa del << forzuto> >. Onestamente, questi primi due non sono molto reattivi. Ma eccolo, subito dopo, il « reattivo >> , uno di quelli che sotto la doccia << lavorano )) sul proprio corpo. Il Cenni del << Codice >> offre ben di più in materia di sfruttamento dello spazio; ma anche in questo caso non scherza e dà un piccolo saggio della sua capacità di disegnare su un coriandolo dicendo qualcosa di comprensibile se non proprio di chiaro. Il << lavoratore », stretto, << infilato >>, tra il secondo e il terzo personaggio in piedi, si china agguantandosi la gamba da detergere con presa ginnica; a dire il vero, potrebbe anche cercare il pezzo di sapone scivolatogli sul più bello. Ma quello che gli sta dinanzi come una piccola torre, << duro e piantato lì come un piolo», non se ne cura minimamente; è il più disinvolto , quasi indiffe- rente, l'unico, si direbbe, a sentire la faccenda come ordinarissima amministrazione; i suoi antenati sono forse nati nei pressi d'una cascata. Il quarto, anzi, il quinto, ancora più assente a tutto ciò che non sta in lui e per lui , se gode, la doccia; è un buongustaio dell'abluzione; e ci si compiace con tutto il corpo che il Cenni gli ha ben disegnato, non senza una dose di vanità. Il sesto riassume visibilmente la miscela psicologica sulla quale infuria l'acqua alla maniera e con gli effetti d'un fascio di luce: l'eccitazione d'un residuo pudore disturbato, con un senso di liberazione Iudica in cui la giovinezza si propone come ultima infanzia, un po' ·di gratitudine, un po' di sfida, un po' di beffa. Il tutto fa festa; accenna a danzare, infatti, istintivamente , quanto il tutto dei quattro in divisa fa, senza una grinza, << ordine chiuso>>.
Ci si pone, marginalmente ma non troppo, un problema, che giriamo al lettore. E' possibile che l'uomo abbia sentito il bisogno di lavarsi (non la curiosità e il piacere di bagnarsi) solo dopo essere stato, per un certo tempo , coperto, o addirittura solo dopo essere stato, per un certo tempo, vestito? E per amore del corpo o per amore dei vestiti? E' un grosso problema, con dentro una sorta di dramma in cui appaiono anche gli olii preziosi e i profumi, e che era ancora in cartellone per tutto il Settecento e l'Ottocento; con non quotidiane repliche nel primo Novecento. Un grosso problema, troppo più grande di noi
Qui ve ne sono posizioni e spunti risolutivi diversi. Alla nostra destra sembra si dica:
« Per godersi la divisa, bisogna spogliarsi, sentirsi nudi e indifesi, lavarsi e rivestirsi ». E sembra lo si dica in tono piuttosto perentorio, ma in atteggiamento di servizio, sia pure con vigilanza. Alla nostra sinistra sembra si dica:
« Per capire quanto si può esser liberi completamente nudi e indifesi sotto una buona doccia e godersi questa libertà; per capire quanto sia bello sentirsi puliti dalla testa ai piedi, bisogna portare la divisa , stare in divisa notte e giorno, persino dormendo. Appena ci saremo rivestiti, ci sentiremo nuovi di zecca ». Insomma, c'è chi non vede l'ora di spogliarsi e chi non vede l'ora di rivestirsi. Ma sì, è un pro- blema. Quante cose già risolte non restano , sostanzialmente, problemi?
Molti anni separano il mondo, candido e sornione, della doccia d i Quinto Cenni da questa « Pulizia alle ar:mi » di DARIO CEccHI. Quasi, o senza quasi, quanti sono quelli che separano il m:ondo dei primi anni Quaranta dal mondo d'oggi. O ancora di più? Comunque sia, il valore della testimonianza artistica ne esce incrementato. Anche questa << Pulizia alle armi », insieme ad altri due bozzetti ad olio , << Pratica d'armi» e <<Maschere antigas », che non abbiamo reperito , fu esposta alla Mostra romana del 1942. Fino a che punto è vero dire « trentacinque anni fa »? Fino a quando, crediamo, saremo noi a dirlo ; noi testimoni viventi di quelli e di questi giorni ancora, perché portati dalla planetaria ondata di marea che è riuscì ta a lambire e spruzzare le coste della Luna dopo aver fatto la doccia ai cinque continenti.
Il fatto è che dopo ogni flusso c'è il corrispettivo riflusso; e tutto il gigantesco, il colossale, il planetario, di certi atti storici, dopo aver sommerso le piccole cose, le operazioni elementari di tutti i giorni, si ritira e le scopre: così esse tornano ad essere, e ad essere al sole, non importa molto se là invece che qua e con le debite trasformazioni. Ciò che importa molto, sempre e dovunque, è il rapporto tra l'uomo e i suoi problemi e gli strumenti, visibili e invisibili, della loro soluzione.
Una << pulizia alle armi >> immaginata col pensiero rivolto alle armi d'oggi, in generale, sarebbe certo tutt'altra cosa. Ci vorrebbe ben altro che una camerata per scenario! E bisognerebbe evocare personaggi di ben diverso tipo. Roba, al limite, da laboratori scientifici, e da scienziati; in ogni caso, da officine e da tecnici specializzati ad alto e altissimo livello. Ma su quale terrazzo , o gradone, della terrificante piramide degli armamenti attuali? Giù, alla base de1 mostro, nello sterminato territorio che essa è , ci sono i milioni e milioni di uomini per i quali la <<pulizia alle armi >> consisterà sempre, sino alla fine, nel pulire e lubrificare il proprio corpo, una mitragliatrice, un fucile, una pistola, nell'affilare un coltello. Al dunque, l'uomo che deve difendersi perché gli eventi gliene impongono il dovere prima ancora di dargliene il diritto e i mezzi, finisce per situa rsi anzitutto psicologicamente nella tattica, non nella strategia. Specie in clima bellico, u armi >> significa cc le mie armi >> , (( la mia arma » : il potenziale su cui poter contare ai punti estremi per non socco mbere.
Di fronte a quest'opera di Dario Cecchi, di sapore decisamente 1915- 18 nonostante il tono e il gusto anni Trenta , vagamente « ermetico » , il nostro discorso diventa st ranamente c< facile »; sgorga e fila come una vena d'acqua sorgiva, sotti le sottile, in un lieve declivio erboso: scende dalla memoria, dalla nostra, così com'è sceso dalla memoria dell'Autore. Quanto diverso da quello, pur facile anch'esso, che abbiamo potuto fare sulla doccia del Cenni!
Il quale ha fatto, sì, anch'egli, come ogni artista, l'operazione dì memoria che è alla base di ogni creazione; ma ha fatto, in risultanza, opera da memoria più che di memoria. H a scelto una realtà « effettuale » e l'ha interpretata per tramandarla. Il Cecchi, invece, assediato da qualche particolare ricordo, lo ha dolcemente assecondato, ha soffiato basso sulla brace e ha cercato di ravvivare il fuoco. A quanto pare, è arrivato al « bozzetto» e ci s'è fermato, di proposito, perché s'è accorto di starei bene. Era la dimensione che voleva ricreare, giusta, precisa; ma non nella direzione degli elementi individuanti, a cominciare dai volti dei commilitoni fino agli oggetti di contorno; piuttosto in quella d'una particolare situazione umana , entro la condizione militare, qua li ficata da un clima di sogno, da un abban.dono attivo, da un rilassamento operante, vicino sempre epperò mai sulla soglia dell'otium di antica memoria. Chi ha vissuto certe esperienze, non avrà alcuna difficoltà ad accetta re queste notazioni dalla c< apparente » formulazione ermetica: la vita di caserma attraversava, lo ricordiamo anche noi , zone come di languore, di inspiegabili o spiegabilissimi struggimenti, che l'abitudine assorbiva in chiave di saggezza e travasava intimamente in meditazioni più o meno profonde a seconda dei soggetti interessati, o in fantasticherie brulicanti sotto la tenda di certo tipo di occupazioni. Una dì queste occupazioni era proprio la pu- lizia alle armi, programmata, ad orano, ma considerata e vissuta in un clima di « tempo libero » mi generis , ad una generica e non eccessivamente chiara insegna di <c libertà » Ciascuno dì noi potrebbe spiegare anche in più d'un modo il fenomeno: ma sarebbe, più che una spiegazione, una rievocazione, la ricostruzione d'un momento personale entro la vita comunitaria; ancora il fatto, non la sua sp1egaz10ne.
Giova, però, se non tentare appunto una spiegazione, respingerne subito una tra le possibili: quella c he, riallacciandosi al discorso da noi fatto, lo traviserebbe capovo lgendone addirittura la sostanza. La pulizia alle armi proprie, di reparto e personali, o <<individuali » che dir si voglia, si svolge nel clima che abbiamo evidenziato, e lo alimenta, perché (secondo la spiegazione che respingiamo) essa catalizza, con un processo da manuale, la genesi di tutti i sentimenti negatit•i nei confronti delle armi: dall'indifferenza e dal fastidio all'odio, e all'amore fanatico, passando per la noia, la nausea, la trascuratezza punitiva. Non co-ncordiamo. Concedendo le eccezioni, com'è giusto, noi crediamo che il soldato italiano abbia sempre considera to la pulizia alle armi come una faccenda domestica, di famiglia: una delle tante che si sbrigano secondo un rituale automatico, sta ndardizzato , ma non per disamore, per apatìa o per tic; piuttosto, al contrario, per la carica di tranquillità che danno sempre le azioni intimamente ritenute necessarie perché produttive, non perché obbligatorie. La padronanza artico lata, capillare, dei gesti da compiere, inoltre, assicura della bontà del lavoro che si compie, anche se, mentre lo si compie, si discorre, si fantastica, si canta Nessuno ce ne voglia: la donna di casa non si comporta diversamente nel quotidiano disbrigo delle sue faccende; borbotta, o strilla, o ride, o canta, o coccola qualcuno dei pensieri preferiti, ma senza che l'esecuzione del lavo r o ne soffra.
Un testo che ci proponesse la <• pulizia alle armi » in altra prospettiva e significazione, rischierebbe seriamente di camparsi in aria, di campirsi nel vuoto di tutto ciò che è falso: la rettorica lo renderebbe persino ridicolo.
Questo di Cecchi, invece, si raccomanda proprio per la sua serietà alla buona : diciamo all'italiana, a mo' di elogio. La scena è vista come dietro un velario, il velario della memoria rinfocolata ma non sino alla fiammata; e di tutto ciò che si vede dietro un velario ha la delicata poeticità e la forte suggestione. Si noti subito l'atmosfera in cui si ritrovano e tengono anche i segni- appunti per figure non sviluppate, la te sta un po' più cresciuta e quel vagheggiamento di fisionomia che non riesce a spuntare dal margine destro del quadro. E' una bella giornata: il ricordo d'una bella giornata. Cos'è il tenero che spalanca, attraverso la finestra, la camerata? Un mare - cielo, un cielo- mare; o soltanto un fondale onirico su cui meglio proiettare, a dolce luce, l'evocazione intensamente nostalgica dei quattro commilitoni irresistibilmente risucchiati dall'aperto? Può essere anche tutte queste cose insieme; l 'i mportante è che esso diventa il segno di tutta la composizione. Lo sentono i due sicuri, concentrati ma rilassati, che, con tanto di manuale a portata di mano, fanno toletta al fucile mitragliatore. Lo sentono i due seduti e placidamente, da « anziani», assorti in conversazione. Lo sente quel cc tutto soldato >> in piedi , con le piattaforme ad angolo e tra le ginocchia il suo « paziente » sotto gli esperti sondaggi dello scovolino. Lo sente chi guarda, chi legge, perché è l'elemento di paragone per la pazienza che anche a lui comunica la scena. Ecco, la pazienza. Chi vuole ripercorrere la sua vita fino ai giorni e alle situazioni in cui visse e condivise con i più diversi esemplari del nostro popo l o questa t' irtù in lento declino? Da non confondere, sia chiaro, con le imitazioni cui van dati altri documenti d'identità: come la pigrizia, l'indolenza, la pavidità, la viltà. Ora, chi non è disposto a sottoscrivere ogni affermazione che ribadisca, se non un primato, un'egemonia, certo una nostra posizione di avanguardia, di testimonianza perenne, in materia di pazienza come virtù? E proprio nelle manifestazioni semplici, elementari, in quelle non- eroiche, cioè non ai confini tra vita e morte. la vera pazienza, la pazienzavirtù, si rivela. Si può, diciamo si può, diventare eroi per forza; ma non si può assolutamente essere pazienti per forza. E se il paziente è un eroe in potenza, l'eroe può anche essere un paziente.
Anche il testo di Dario Cecchi è da collocare tra quelli che raccontano la vita dell'Esercito Italiano su moduli senza pretese, a volte apparentemente dimessi fino alla sciatterìa, ma all'insegna d'un vero sforzo conoscitivo, d'un sincero amore, d'una onestà, anche artistica, incontestabile.
Poiché parliamo di pulizia alle armi , in chiave d'igiene, non sarà fuor di luogo considerare che anche l'arma arte trae un grande giovamento per la sua salute e per la sua efficienza da una cura costante della sua pulizia.
Lo sporco, per essa, è sempre rappresentato dalla rettorica, dalla falsità; e dalla presunzione, dalla megalomanìa.