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PROSA E POESIA INTORNO ALLE MARMITTE:

L' « ASSAGGIO » E LA DISTRIBUZIONE DEL RANCIO.

Della vita da soldato, di quella personalmente vissuta, ciascuno potrebbe prendere a narrare cominciando da un certo momento, particolarmente forte per lui ma non altrettanto per altri. La precedenza nell'ordine cronologico conta solo dentro certi limiti, per una media di persone , e varia a seconda dell 'ora d'arrivo e di effe t tiva aggregazione. Ciò che invece conta senza restrizioni di sorta, lasciando il segno per tutta la vita, è la novità del momento, la sua portata di annuncio, il suo « filo >> capace di tagliare in due, silenziosamente, senza dolore ma anche senza pietà, il mondo di prima, con le sue abitudini, le sue predilezioni , il suo codice, sempre un po' sommario e non di rado individualistico, dei diri t ti e dei doveri. In altre parole , mutando un giovane in << UOmO »

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Per alcuni tutto cominciò dalla prima << sveglia >>: naturalmente sorvoliamo , per mancanza di ad eguato spazio , sugli eventi affini alla << sveglia » , ma non regolamentari e soprattutto fuori orario , come « il salame » ed il << presentatàrm! » La << sveglia » : pensandola , a distanza, s ulla scia della tradizione romantica, una volta si cantava <<Non sarà più la mamma l che mi sveglia , la mattina, l suonerà la trombettina l sulla porta del quartier »; una volta, cioè, quanti secoli fa? Commentandola, da vicino, faccia a faccia , la Musa dettava, sulle note del meravi g lioso <<segnale » : << La sveglia alla mattina ... » con quel che segue. Ma tra i due poli opposti, il ruotare del mondo della prima << svegli a » era pieno di sussulti e sballottament i. Sicuro! V e ramente, a tutti gli effetti: << Sveglia! » La libertà è finita. Non tutti, ma molti di quegli « alcuni » compresero più in là negli anni quanto dovevano a quel torrenziale sa]iscendi di note scelleratamente limpi- de e penetranti che face vano correre persino le prime luci del giorno: quanto dovevano proprio in materia di vera e falsa libertà. Dividere con tutti gli altri il tempo e lo spazio, i lavandini e i gabinetti , il caffè , e rispettare coralmente i tempi dell'adunata, aveva significato ben più di ciò che talora si vuol intend ere, in modo sciatto e un poco volgare, con la massima: << Impara ,a campare». Aveva significato, piuttosto, l'impossibilità (pratica! )' d'es ser liberi da soli, contrastando indiscriminatamente gli altri solo perché tali, o ignorandoli.

Per altri , tutto cominciò dalla prima << libera uscita », in ferreo collegamento con la prima « ritirata ». Dapprima tutto quel doversi curare delle scarpe, dei bottoni, della bustina, dei consigli e degli ammonimenti ricevuti per un regolamentare comportamento; poi la cappa di piombo del dover camminare , salutare, parlare, bere, essendo ormai il soldato Tale (prima il cognome, poi il nome) , ma soprattutto essendo le Forze Armate, l ' Esercito, il Reggimento per il signor Colonnello, il Battaglione per il signor Maggiore, la Compagnia per i l signor Capitano, il Plotone per il signor Tenente, ed anche per il Sergente, nonché la Squadra per il Caporale; infine l'incubo dell'orario e del « segnale », grazioso ma decisamente mesto, e che si può anche non sentire. « Lascia la bionda 1 che passa la ronda l ritirati, cappellon! l Tutte le sere così! » Tremendo, per certuni, quel « tutte le sere così ! » . La bionda, poi, c ' era più nella canzoncina che nella realtà; ma ronda c ' era per davve ro, e la sentinella e il capo - posto, anche a volerlo, non potevano scherzare.

Per altri ancora , tutto cominciò dal primo « silenzio » . A proposito di questi , si è sempre ritenuto trattarsi di nostalgici, di temperamenti cosiddetti poetici, di « mammoni ))' di « deboli >> , nella cui tenerezza le note del celebre << motivo n, autentico capolavoro anche nella semplice edizione d'ordinanza, affondavano come lame calde in pani di burro. Strano! A noi risulta , sulla base d'una solida esperienza personale ed interpersonale, che « il silenzio » sia stato l'initium della storia militare proprio per i cosiddetti << duri », quelli della prosa, della vita scomoda, per i quali la notturna era la voce di un ordine, d'un vero e proprio comando , però dato con voce dolce, carezzevole, e pertanto tale da essere apprezzata dal « romantico '> che si sveglia in fondo al cuore d'ogni « duro » in procinto d'addormentars i : quando c'è buio, o gran penom.bra, al coperto, è inutile far la faccia feroce ai sentimenti. Comunque sia stato, o sia, un fatto è certo : tra i momenti della vita da soldato, quello del « silenzio >> è particolarmente prodigo di echi, di risonanze; sulle stesse solitudini che scava, isolando, getta ponti in tutte le direzioni, e così finisce per unire, integrare, dilatando il mondo che chiude. Possibile che non ci siano testimonianze artistiche della sua importanza, reale e mistica, di ciò che ha sempre significato? Intendiamo tes t imonianze a degno, adeguato livello.

Noi non ne abbiamo trovato, purtroppo. Del resto, coi limiti di tempo e spazio entro i quali abbiamo dovuto pensare e concretare, il più unitariamente o il meno rapsodicamente possibile, questo saggio - proposta, non potevamo aspirare, o pretendere, ad una pur vagheggiata compiutezza. Non abbiamo trovato testimonianze adeguate, nella prospettiva dichiarata in apertura , di molti altri « momenti ». Per esser più precisi : di alcuni abbiam trovato solo << documentazioni », (< illustrazioni » ; di altri abbiam trovato, ma non abbiamo potuto raggiungere , le testimonianze cercate, vere opere d'arte, anche se non capolavori; di altri ancora , niente, neppure tracce. Eppure continuiamo a restare, giudiziosamente e non senza caparbietà, dell'avviso che sia possibile reperi re , attraverso una capillare ricerca, le opere d'arte necessarie ad un completo poema figurativo sulla vita dell'uomo ita l iano in divisa, del soldato italiano. Se ne possono reperire quante basterebbero per una grande Mostr a e persino per una grande Galleria (o Esposizione permanente): un vasto spazio in cui, non solo l'Esercito, ma anche le altre Forze Armate italiane , tutte le Forze Armate di tutto il popolo italiano, potrebbero ininterrottamente essere presenti nella dimensione dell'arte , quasi in una loro seconda, non meno vera, realtà

A titolo di fedeltà a un impegno, preveniamo una possibile osservazione e precisiamo, nel meri t o , la nostra posizione. Con la sola opera di GIOVANNI FATTORI si potrebbe raccontare, più o meno compiutamente, il ciclo della vita del soldato italiano; ed altrettanto si potrebbe fare, quantunque non allo stesso livello, con l'opera dello stesso Q ui NTO

CENNI

Sull'arte del Fattori avremo modo di intrattenerci più avanti, in una ce r ta sede che ci consentirà di valutare anche la sua tematica, e il modo di svolgerla , in relazione ai fini di questo saggio- proposta. Quanto al Cenni, ci torna doveroso confermare che la copiosa produzione dedicata proprio ai motivi del nostro impegno, non ci sembra che raramente ai livelli dell'arte del c< Codice>> . Inoltre, entrambi i due maestri raccontano di un tempo che, pur essendo nostro, comincia ad esser lontano, ad avere sempre più va lore di introduzione così che le loro opere vanno considerate come capi toli, non tra i primissimi, ma certo tra i primi dell'intero << libro >>. Accettando la possibile osservazione e por t andola alle sue logiche con seguenze , fini remmo per fare quel che in realtà finora s'è fatto e che, invece, vorremmo proprio si finisse, si cessasse, di fare: cioè, bloccare, inchiodare la produzione artistica ispirata ali 'Esercito I t aliano , e la relativa storia, ad un manipolo di nomi ed alle rispettive opere, in parte, peraltro, già acquisiti alla storia della pittura preromantica e romantica, a prescindere dall'impor t anza che possono o meno avere per l'Esercito in quanto particolare dimensione del popolo italiano.

Chiusa questa parentesi, procediamo, in direzione di un « momento» del quale non ha tanto importanza dire se è stato, o meno, quello da cui, per alcuni, " tutto cominciò ))' quan- to, piuttosto, che è, incontestabilmente, un momento centrale per tutti: quello del << rancio », all'insegna emblematica delle marmitte.

Le marmitte non sono soltanto, nel mondo soldatesco, il corri$pettivo delle pentole in quello familiare : sono anche questo, ma racchi u so , come nucleo, in una diversa qualità, dentro ben dentro, nel cuore di essa. Le marmitte sono, simbol icame n te e d i fatto, un valore << pubblico», nella misura in cui le pentole sono, anch'esse simbolicamente e di fatto, una realtà « privata »

Nelle pentole si condensano, in sintesi nutritiva (quanto semplice e insieme folta, piccola e ampia, universale, la pienezza di questo aggettivo!), le capacità e le possibilità socioeconomiche tradizional i e nuove , quelle etologiche, e persino quelle religiose, dei nuclei familiari, regionali, e d'i n tere aree culturali omogenee. La sintesi nutritiva di queste capacità e possibili t à sigilla una serie di scelte che han fini t o per trasformarsi in vere e proprie insegne, in documenti di identità che non di rado fondano e difendono egemonie, rivendicazioni, orgogli e gelosie. E tanto , perché queste scelte sono insieme effetti e cause di un modo di vivere che deriva da un lungo e cocciuto sforzo di verifica e di collaudo di affinità con l'ambiente sposato, di osmosi con esso, nonché di proporzione ed equilibrio tra le aspirazioni, i des ideri , e le concrete disponibili t à . << La cucina di m amma >> o « la cucina d i m ia moglie >> o, riassun tivame nte , << la cucina di casa » , co n riferimento costante anche a cer te pentole un po' ammacca t e, un po' affumicate anche se lustre, son frasi che si prestano, giustamente , a giudizi di varia natura, anche umoristici, se prese in superficie, scaricate. Ma se ricondotte alle fonti, se lasciate cariche, possono anche giustificare qualche preoccupazione in quanti hanno a cuore le sorti d'un mondo , come i l nostro , impegnato in un sempre più aspro conflitto tra e collet t ività, tra privato e pubblico, tra molteplicità e unità. Nelle pentole familiari si cuocciono , a fini nu tri t ivi in ogni senso, anche i pe ricol i d'un modo di concepire e vivere l'intimità, l'autonomia, la libertà, così esclusivamente e preclusivame n te da rendere necessario il moltiplicarsi delle leg- gi cui si affida la possibilità di convivenza di uomini e cose troppo diversi tra loro per non polverizzarsi nel caos. E il moltiplicarsi più o meno seft,aggio delle leggi è già preludio al caos: lo è sempre stato, lo sarà sempre. Non per darci la zappa sui piedi rispolverando certe memorie, ma solo per puntellare solidamente il discorso, ci rifacciamo a una « questione di pentole>> coinvolta in ben altre questioni, ma a ragione ben veduta e con un giudizio di impressionante sinteticità: quel << mangiatori di sego >>, sparato come una pallottola di tiratore scelto contro nemici di allora , poteva essere metaforico, simbolico, e violentemente offensivo , solo perché, con un metro alimen t are, giudicava una cultura, addirittura una civiltà.

E la stessa ormai nostrana « polenta », non comincia solo ora ad essere messaggera di unità su scala veramente interregionale? Persino i cc crauti >> sono in marcia di rivincita.

Eh la pentola! Quando si dice « la pentola >>

Quando, invece , si dice << la marmitta », è come se si varcasse una frontiera Addio, piccola patria di profumi, sapori , stimoli ed eccitamenti, di fumanti lusinghe dorate, candide, sanguigne, sia pure goduti solo di tanto in tanto, a scadenze domesticamente stor iche, infantilmente attesi e virilmente onorati! Si entra nel regno dei « tubi >> , delle << pallottole », della « colla», dell' << acqua cotta >>: in imperiosa sintesi, della « sb ob b a >> . Eppu re . ..

Sarà anche ve ro, anzi, è senz'altro vero che, per il solo fatto d'essere legati alla giovinezza di ciascuno di noi, certi passaggi d'invisibili confini finiscono per esser ricordati con piacere, con gioia, ed anche con nostalgia, influendo su un giudizio che spesso si configura , nel suo insieme , in modo con trastante, o almeno assai diverso da quello dato << allora>>

E ' difficile, però , negare che, alla d ista nz a giusta , sufficiente per una stima già storica, si potrebbe, teoricamente e praticamente, isolar si dal senso d i piacere, di gioia nostalgica, ed esprime re un giudizio identico o molto simile. La marmitta è il corrispettivo, in termini di nutrizione, nei confronti della pentola, di ciò che la lingua è, in termini di vita di relazione, di comunicazione, nei confronti del dialetto.

E se, com 'è possibile e compre nsibile, il rapporto può sembrare azzardato, ricordiamo quanto costi a moita gente (ancor oggi) masticare Lingua nazionale invece di lingua materna; non meno, decisamente, dì quanto sia costato e costi a molta alt ra il passaggio dalla pentola alla marmitta.

Una piccola, necessaria, parentesi: il nostro dis corso va riferito, ovviamente, al << tempo >> storico e artistico che inquadra la materia trattata. Tante e tante cose sono mutate. Se, come speriamo, questo nostro modesto avvìo incoraggerà qualcuno all'impresa auspicata, in una prospettiva di necessità più ampia il « rancio >> passerà dal passato prossimo al passato remoto; mentre, intanto, la « mensa» aspetterà chi ne faccia materia d'arte.

Vinte le prime resistenze, constatato che l'appetito è veramente il miglior condimento, la marmitta comincia a saper di umano e ciò che intorno ad essa si svolge comincia a saper di cerimonia. Tra brontolii, mugugni , parole intere o a mezzo, occhiate d'ogni calibro e portata, la realtà comunitaria si fa strada, cresce, si fa consisten te. Mangiare è necessario di per sé; mangiare insieme le stesse cose lo diventa inizialmente per forza, ma può continuare ad esserlo solo per amore. Dalla disponibilità a lasciarsi trasformare, dentro, un 'obbedienza a denti stretti in aperto consenso , si può misurare la capacità di diventare c;eri soldati in quanto, anzitutto, veri uomini Anche il rancio docet: e queste non sono chiacchiere. Occorre, però, essere vigilanti , perché il rancio non è detto che debba essere cattivo. La cerimonia si svolge, quando è completa, in due tempi, il primo dei quali è talmente importante, talmente decisivo, da restare stampato a fuoco nella mente di tutti coloro che ne hanno potuto avere esperienza: parliamo dell'assaggio. 11 secondo tempo, non val neppure la pena di dirlo, è totalmente riempito dalla distribuzione.

Sul tema << rancio >> abbiamo trovato un éerto numero di testi, alcuni dei quali piuttosto validi, artisticamente. Ci siamo soffermati, però, su questi che proponiamo al lettore, perché entrambi, ciascuno nell'ambito suo proprio, hanno) almeno a nostro avviso, una ca- rica espressiva che va oltre il valore della loro compiutezza, .e l'hanno ad integrazione per contrasto: come la prosa e la poesia, appunto, che non ci siamo peritati di incomodare nel titolo. Sarebbe interessante sapere se esistono testi sui momenti che circondano, precedono e seguono la cerimonia del rancio: la c< corvéespesa », la preparazione del minestrone o della pastasciutta , la lavatura di gavetta e gavettino con terra e acqua, e quella, epica, delle marmitte. Se fossi pittore, mi ricorderei, con un bel salto mortale all'indietro nel tempo, d'un « fante universitario>> di mia stretta, intimissima, conoscenza, già con la barba (ma nera lucente invece che bianca), intento a rifinire con una mezza cc gillette >> la disincrostazione d'una marmitta degna dì Polifemo: testa in giù, dentro il mostro sacro con tutte le spalle, avrebbe potuto far pensare, per la vaga somiglianza con un simoniaco dantesco, che esercitasse, uno tra tanti, la compravendita del <<s acro pasto » nei giorni più fortunati e propizi. Ma chi ci pensa più?

11 testo dedicato all'assaggio lo abbiamo scovato (bisogna proprio dire così) tta le decine di migliaia di cartoline che formano la singolare « raccolta» posseduta e curata dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito: ne è autore GwsEPPE NovELLO e l'originale si trova presso la Sezione milanese dell'Associazione Nazionale Alpini. E' un <<pezzo" apparentemente, come si dice, senza pretese, una « vignetta » umoristica la cui efficacia si affida a segni, più che sobrii, essenziali, sbriga ti vi; ma non è affatto un << pezzo » qualunque, e merita d'esser gua rdato, letto , con cura.

Tutto ciò che abbiamo detto sulla marmitta, sulle sue signifìcazioni, ed anche quello che abbiamo detto sulle tappe del rancio, è ormai « arrivato>>. Ma c'è ancora un residuo affanno, come se la strada non fosse ancora veramente percorsa per intero. E infatti, la distanza tra la bocca della marmitta e quella del Comandante non la misura e non la percorre, nella sua quasi inesistenza, la prima cucchiaiata di << brodo >> : la misurano e la percorrono, alla stregua del le grandi distanze, i cucinie r i. Siamo in parete, sul " liscio l>: o quello getta una corda, o son pasticci. Il primo personaggio da considerare è proprio quello che dovrebbe gettare la corda della salvezza definitiva: un autentico, « vero >> personaggio, e tutt'altro che da << vignetta» intesa nel senso più svalutato. Solido, poderoso , diverso solo di grado da tutti gli altri « veci», sta piantato a gambe larghe davanti alle marmitte come davanti a due da strigliare e magari da punire: sì, non c'è dubbio, assaggiare è giudicare un intero ciclo di lavoro fondamentale per l 'intera comunità, quindi egli come giudice deve stare e come giudice, in effetti, sta . Ma guardiamo meglio: quale strano contrasto tra l'imponente impianto della figura e la grazia con la quale una bella manona regge il cucchiaio che quasi scompare! Il braccio destro è in posizione da compiuta etichetta conviviale, si vede che fa di tutto per portare mano e cucchiaio all'altezza delle labbra, come si conviene, in sintonia con la serietà del rito. Ma il braccio sinistro s'è cacciato soldatescamente dietro la schiena, quasi a puntellare istintivamente la mole che preme sulle ginocchia e dolcemente le piega. Il comandante è un « vecio » come i suoi alpini, ha la loro grinta, ma anche il loro formidabile appetito: e s'intuisce. Rinuncerebbe a un po' di posa (quel tanto che basta, però indispensabile) , ma deve tutelare i diritti degli altri. Già! perché quelli che lo circondano sono, anch'essi, suoi alpini, ma sono i cucinieri; gente maledettamente in gamba, ma qualche volta un po' troppo. Il rancio sarà una << sbobba » ma dev'essere una « buona sbobba » . Tutte cose che i cucinieri sanno bene, anzi benissimo. Guardiamo l'uomo di sinistra: non si sente tranquillo. Non è veramente fermo, sta per muoversi, per fare qualcosa, non si capisce che, ma qualcosa. Le sue braccia proseguono, in grande, con le spalle, lo stesso « circonflesso » appena accennato del sopracciglio; anche le gambe; non sarà fifa, ma non è certo sicurezza, spavalderia; neanche se teniamo conto del fatto che la mano destra tiene il mestolo , né più né meno , come un randello. Che anzi , proprio questo fatto maschera, sotto un gesto abitudinario, familiare, una forte apprensione . Evidentemente c'è sotto qualcosa , e qualcosa che assolutamente non va. Basta guardare at- tentamente, alla nostra destra, in secondo piano, quella figura veramente « audace n di uomo dall'apparenza minacciosa e, in primo piano, l'altra, mirabile di sintesi espressiva, di uomo che trascina, aggrappato con tutt'e due le mani alla maniglia, una marmitta di rincalzo. Che sta per fare, o che vorrebbe fare , l'audace? L'atteggiamento, con quel pugno sinistro chiuso, parrebbe quello d'uno che sta guardando un avversario da coprire di botte: il che, ovviamente, non può essere, è assurdo. E allora? Secondo noi, nessun dubbio che l'atteggiamento non è pacifico: della rabbia c'è, anche se fortemente annacquata dì ansia, neutralizzata da eccesso di tensione. Il vecio pensa: <l Vediamo se anche stavolta ha il coraggio di dire " Ottimo! " e di inghiottire senza fare almeno una smorfia. Accorto se n'è già, ma deve anche dirlo che il rancio è cattivo: e non per colpa nostra, semmai degli ingredienti che ci danno, noi non possiamo fare miracoli». Oppure pensa un'altra cosa: « Sta a vedere che avrà il coraggio di dire che è cattivo, dopo la sgobba ta che ci è toccato fare. Sù , sù, bello! dacci un po' di soddisfazione: tant o è naja per tutti ». Tutto sommato, pensa tutti questi pensieri insieme. E' il primo della fila per la distribuzione e pensa anche, forse, a qualcosa che non· riuscirebbe mai a dire, qualcosa di grosso . Dietro di lui c 'è uno cui l'appetito soffoca ogni reazione : sembra schifato, ma è solo un realista incallito. Il personaggio - chiave è però quello di scorcio in primo piano, che ha tutta l'aria di chi si volta di scatto, perché ha sentito qualcosa o s'è improvvisamente ricordato di qualcosa. Forse il comandante ha già fatto qualche osservazione, ha tJÌSto qualche corpo estraneo; il che spiegherebbe meglio lo stato d'animo de!l'audace minaccioso, rid ucendo il tutto alla rappresentazione d'uno che cerca di vedere il l< corpo estraneo» per potersene difendere in tempo. Forse il trascinatore di marmitta, uno di quei mezzi colossi che parlano cantando con cristalline voci tenorili, aveva dimenticato, del tutto o quasi, di mettere il sale, o di capare riso o pasta prima di met t er giù. A t e, lettore!

Non si può guardare una scena simile senza sorridere e goderne in più o meno santa semplicità. C'è dentro un intero mondo , e tanta parte di tutti noi. C'è, in una di quell e ese mplificazioni artistiche cui giunge spesso l'umorismo, con so rpr ende nti risultati, la « prosa l> del momento nutritivo dell 'es istenza, con tutti i sottintesi, ma anche con tutte le chiarezze d'un dis co rso intorno alle difficolt à estreme del mangiar e insieme le stesse cose, specie quando c'è mo tivo di dubitare che siano cose del tutto buone Vera a r te, ve r a vita.

Il testo dedicato alla distribuzione del rancio lo dobbiam o ali' affettuosa premura dello stesso autore del ciclo iniziale sui momenti dell'iscritto di leva: BRUNO BARATTI. E' , anzi , purtroppo, era un pannello in ceramica, un a piastra esposta anch'essa alla Mostra romana del 1942. Ne riproduciamo forse l'unica foto esistente, anch'essa in bianco e nero , rinviando , per la considerazioni del caso , a quanto detto nel primo capitolo.

Diciamo subito, sempre sorridendo, ma stavolta a fior di labbra: << Marmitta torna pentola ))' rifacendoci, senza irriverenza alcuna, al << Zolla ritorna cosmo >> di Arturo Onofri. Meno frequentemente, ma torna anch'esso, nella memoria , così com'era ricor so nella vita, il senso forte , maschio eppure venato di strane delicatezze , de lla poesia del rancio. Sarà stato il gusto dell'appartarsi in solitudine con la gavetta tra le mani , per intimi colloqui sognati; o quello de llo stare a gruppi affiatati , selezionati, per liberi scambi di pensieri e battu te; o anche quello, veramente goduto, di un cibo trovato ottimo perché di stribuito nel mezzo d 'una faticosa marc ia , e innaffiato con un gavettino di << quasi buono », o con una razione di grappa. Sarà stato quel che è stato, volta a volta; e nella memoria tutte queste cose insieme. L a poesia si sco n ta con la prosa; ma la prosa dà diritto alla poesia . In ogni tipo di vita; perché non in quella da soldati? Specie all'aperto, al campo o nei suburbii non ancora devasçati dalle ruspe, marmitta torna pentola e gavetta e gavettino e borraccia tornano << servizio >> familiare. Invece di dire, intitolando il capi tolo, « prosa e poesia intorno alle marmitte >>, avremmo anche potuto dire << guerra e pace intorno alle marmitte » Nel primo testo abbiamo potuto leggere d'una cer- ta gue rra ; qui lc::ggiamo, 10 tutta l'estensione del termine, pace.

Proprio la pace ci sembra che BARATTI abbia ricuperato , attraverso la poesia, dal profondo d ' un mom ento che possiamo dir e tutt 'al tro che magico, ma non tutt'altro che misti co. Non capita spesso, ma capita, nell a vita da soldati come in ogni altra vita, di r icevere la nostra parte di cibo e di guar darla e co nsumarla pensando a quanto vale il cibo per ogni creatura; a che cosa esso è, che cosa sign ifica, che cosa rappresenta, che cosa costa, che cosa non è stato e sarà cos tret to a fare l'uomo per averne il diritto e l'effe ttiva disponibilità. E non è necessario pe nsare alle guerre, alle stragi, da Caino in poi Chi h a soffe rto, alme n o una volta, la fame, può com prendere bene ce rte cose. Ecco, in questa opera di Baratti c'è una rappresentazione del rancio non come fatto ovvio, scon tato, ma come fatto trasfigurato, però in p erfetta aderenza alla realtà . Guardi amo l' impianto forte, so lido, per volumi, dell a co mposizione, la sicurezza calma che spira da tutte le figure, compresi i tre colombi, la marmitta e la stessa gavetta che, di fianco , le si sposa Gli sguardi e gli orientame nti dei gesti conve rgono sul cibo per il tram ite del suo contenitore, facendon e il cen tro della sce na. Ma questa , pur nella sua com p atta unità, ben inscrivibile in un archetto, è non solo sca nd ita, ritmicamente, ma liberata, anche spazialmente oltreché intimamente , alitata creativamente , da ciascuna figur a, auto noma pur nelle strette co nnessioni con le altre.

Anzitutto, la figura del cuciniere suggerisce una valutazi one partico lare , che fa leva sulla posizione occupata (di tre quarti , così d a lasciare solo intuire il viso attraverso il profilo del lato destro lascia to filare dalla fronte in giù dopo averlo fatto uscire dal tiepido dei capelli giovanili) e su lla morbidezza della trattazione, che al naturale levigato della ceramica aggiu nge una preziosa animazione di panneggio, squisitamente pittorica. L'accento dell' Autore ci sembra posto sul se rvizio che il cuciniere rende più che su l cuciniere stesso. Una sorta di voluto 11asco11dimento, che ric orda quello della m adre di uno dei partenti , nella prima scena, rappresentata di spalle per con- sentirle di meglio nascondere la commozione. In evidenza, la mano che tiene, non con tanto « mestiere )), il mestolone.

Di fronte al cuciniere, stagliato in controcanto più che in contrasto tonale, di colore, quello che prende il rancio, che ricet'e il servizio. Un volto mansueto, usuale, soffuso, più che illuminato di bontà << naturale » : il classico u buon carattere ,, capace di gratitudine e di normale contentatura. E ', con ogni probabilità, uno di quelli che abbiamo guardato partire, porta già la divisa con estrema disinvoltura, e si appresta a mangiare con la stessa semplicità con la quale lavora e dorme. Non si può non notare l'amabilità con la quale viene incontro al commilitone che lo serve facendo aderire il bordo della gavetta all'orlo della rÌ1armitta, perché tutto « vada a finire dentro " · Nel suo sguardo e nel suo atteggiamento globale è chiaramente implicita la continuità della sua esistenza attuale nei confronti di quella trascorsa nel clima domestico. E' uno di quelli che alla << naja » portano e portano gene rosamente. Diritti, tutti; pretese, nessuna. Tra le due teste e le due mani, e, sì l tra il mestolo da svuotare e la gavetta da riempire, c'è non solo assenza di ostilità, non solo pace, ma dialogo , silenzioso ma fitto, efficacissimo. L'assaggio, se c'è stato, dev'essere andato bene, oppure non ha lasciato strascichi. Il rancio, dopotutto , non è un banchetto dì nozze: è rancio; può essere cattivo, e può essere anche buono. Come d matrimonio assimilato dalla ca nzonetta al « mellone ,, che, con buona pace di venditori e consumatori, « può uscire bianco e può m·cìre anche rosso '' · Due filosofie, spicciole, ma sode; c soprattut to senza vera malignità.

Intorno a due esemplari umani di tal genere, come intorno a tutti i " puliti » , niente paura , in pace; quanta , invece, con ogni probabilità, in guerra. Ecco qu a i due colombi , dipinti a soffio , fatti d ' aria: che hanno di meno della loro illustre collega picassiana? La firma , e basta. Di deliziosa fattura, creano, tra i piedi dei soldati e il piede del pannello, uno spazio- momento di limpido lirismo. Né giova che quello di sinistra sia come impennato, alla maniera d'un galletto, più che d'un colombo; e che quello di destra stia palesemente in attesa della " mestolata '' di mangime; né che entrambi siano lì per motivi decisamente prosastici. Sono poesia, sono il sottofondo mirabilmente spirituale che Baratti impiega per meglio esprimere il valore delle cose materiali. D'altronde, il terzo colombo, perché e su che vola? Per la gioia di volare e per la necessità (se fosse possibile) di predare: come tutti i re e i sudditi dell'aria. Ma intanto vola, ad ali aperte. Sul rancio: sulla distribuzion e del rancio. Su due semplici soldati e su una marmitta fumante. Vola. Come l'arte, quando c'è, che ha bisogno solo delle sue ali, e di qualcosa da cui attingere il nutrimento.

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