UFFICIO STORICO DE LLA MARINA MILITARE
MARI ANO GABRIELE GIULIANO FR I Z
lA flOTTA COM( STRUMfNTO DI POliTICA
Nfl PRIMI O(CfNNI DfUO STATO UNIJARIO ITAliANO
Copyright 1973 by Ufficio Storico Marina Militare
UFFICIO STORICO DE LLA MARINA MILITARE
MARI ANO GABRIELE GIULIANO FR I Z
lA flOTTA COM( STRUMfNTO DI POliTICA
Nfl PRIMI O(CfNNI DfUO STATO UNIJARIO ITAliANO
Copyright 1973 by Ufficio Storico Marina Militare
L'Ufficio Storico è lieto di pubblicare questa interessante indagine condotta dagli Autori - pro/. Gabriele e prof. Frizsull' impiego della marina militare italiana al servizio della politica nazionale - interna, estera, coloniale - nei primi decenni di vita dello Stato unitario, non con l'intento di lumeggiare problemi di storia navale riferiti ad episodi bellici, ma con quello di porre soprattutto in luce i compiti che ricadevano sulla Marina nei tempi di pace. Ed erano compiti primari e difficili, che si ponevano nel contesto dei gravi problemi interni e internazionali di uno Stato nuovo, con una posizione geografica peculiare. Essi potevano riguardare, da un lato, la stessa unità nazionale, troppo recente per non essere fragile e, dall'altro, le ambizioni di un Paese giovane che, non ancora consolidato, si trovava a vivere la sua prima stagione internazionale in un}età caratterizzata dalla politica di potenza.
E poiché la Marina fu costantemente presente, così come poté, a tutti gli appuntamenti di vario tipo che le vicende del Paese le proposero, è parso naturale che anche questo studio trovasse degnamente posto tra le pubblicazioni dell ' V fficio Storico.
Roma, Ottobre 1973
li Direttore dell'Ufficio Storico M.M. Ammiraglio di Squadra CARLO PALADINIA poche settimane di distanza dalla scomparsa del Cavour, il nuovo ministro della marina gen. Menabrea nominava (luglio 1861 ) una commissione di studio incaricata di presentare un piano del naviglio ( l ), cui venivano sottoposti otto punti, dei quali i primi due si riferivano alla protezione del commercio e alla custodia dei porti e delle coste in tempo di pace. In realtà, a questi due scopi ovvi per qualsiasi flotta un altro se ne aggiungeva, quantunque non esplicitamente dichiarato e forse adombrato sotto il punto 8 ( « Servizi speciali»): quello di facilitare le comunicazioni lungo la penisola quasi totalmente unificata dopo gli eventi del 1859-60, comunicazioni che costituirono per diversi anni un grave problema.
Il modo in cui il nuovo Stato era sorto sulle rovine degli organismi politici preesistenti, gli interessi locali perturbati, il forte disequilibrio economico tra regione e regione (2), l'incertezza degli ordinamenti provvisori, il malcontento diffuso ovunque e sfociato nel sud in un brigantaggio difficile a sradicarsi, tutto ciò rendeva oltremodo precario l'ordine pubblico e richiedeva rapidità negli spostamenti dei reparti armati da inviarsi a
(l) Cfr. M. GABRIELE: La politica navale italiana dall'unità alla vigilia di Lissa, Milano, 1958, pagg. 130 e 134.
(2) «Nel cerchio della nuova vita economica comune, ciascuna regione entrava con la sua struttura differente, con un grande e netto divario di posizioni iniziali, per le attività produttive, da regione a regione. Dalla unificazione non sorgeva un paese ricco, perché nessuno dei precedent i stati italiani era ricco, ma notevole era il distacco tra le diverse parti dell ' Italia riunita, nella possibilità di sopportare i gravissimi crescenti oneri per le difficoltà finanziarie del nuovo regno» (A. FRACCACRETA: Sulla economia del Mezzogiorno, in «Annali del Seminario di Giurisprudenza dell'Università di Bari», II (1928), pag 39).
la sicurezza delle popolazioni delle vaste rone annesse al regno testè proclamato. Sia la conformazione geografica del paese, sia soprattutto l'insufficienza ( 3} ed il pessimo stato della rete stradale, specie nel centro-sud, rendevano disagevoli e pericolose le comunicazioni terrestri: né si poteva ancora contare sulla nascente rete ferroviaria ( 4 ). Si rese quindi indispensabile ricorrere ai trasporti marittimi, usufruendo in primo luogo dei mezzi della marina mercantile nazionale (5), noleggiando poi numerosi natanti di società di navigazione straniere ( 6 }, infine impiegando varie unità della flotta militare per i trasferimenti di autorità, di truppe, di privati e di materiale militare e civile (7 ).
Ma la principale preoccupazione del governo in quei primissimi anni dell'unità restava quella dell'ordine pubblico, al cui mantenimento la marina da guerra dovette contribuire notevolmente, soprattutto in due campi: la lotta contro il brigantaggio mediante la sorveglianza delle coste meridionali e la repressione della pirateria nelle acque sicilial)e. Tale servizio, subordinato agli inizi del 1861 alle necessità belliche (blocco delle piazzeforti ancora in mano dei Borbonici} ed intensificato in seguito, fu svolto dalle unità della flotta parallelamente ai normali compiti di polizia marittima: caccia al contrabbando, controllo delle merci trasportate dalle navi, ricerca e cattura dei bastimenti rubati. La marina militare vi impiegò numerose unità delle 79 in forza (8) alla proclamazione del nuovo regno, particolarmente il naviglio sottile.
( 3) Si vedano, ad esempio, le deplorevoli condizioni della viabilità nelle province ex ·pontificie, in G. FRIZ: Le strade dello Stato pontificio nel XIX secolo, in «Archivio economico dell'unificazione italiana», serie I, vol. XVI, fase. l, Roma, 1967.
( 4) Alla fine del 1861, esistevano in tutto il regno 1.566 km di ferrovie in esercizio, compresa l'unica linea di grande comunicazione, la Milano-Bologna-Ancona, entrata in funzione a metà novembre di quello stesso anno: v. REGNO D'ITALIA - MINISTERO DELLE CoMUNICAZIONI: Sviluppo delle ferrovie italiane dal 1839 al 31 dicembre 1926, Roma, 1927, pagg. 11 e segg.
(5) Incrementata di quasi 6000 unità per circa 650.000 tonn. nel decennio 1862-71 con le sole costruzioni dei cantieri italiani (v. relazione
La pirateria nei mari della Sicilia, pur non costituendo un fenomeno di notevoli dimensioni, specialmente a paragone di quanto avveniva nell'entroterra dell'ex regno borbonico, tuttavia diede luogo ad inconvenienti abbastanza seri, specie nel primo anno dell'unità. Si trattava, è vero, di semplici episodi di delinquenza locale, che non avevano nulla a che fare con l'at-
del dir. gen. della Marina Mercantile G. Comandù in «Rivista marittima», luglio-agosto 1886).
(6) M. GABRIELE: LA politica navale, ecc., cit., pag. 276.
(7) Se ne possono reperire numerosi esempi in A.C.R.M., buste 78, 79, 80, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 92, ecc.
(8) Al 17 marzo 1861 la Marina Militare italiana, sulla carta, contava:
N. 2 corazzate: la Terribile e la Formidabile, entrambe da 2700 tono. e 30 cannoni, la prima in allestimento e la seconda in costruzione;
N. l vascello ad elica: il Re Galantuomo, da 3800 tonn. e 64 cannoni, che era il vascello a vela Monarca della flotta napoletana, opportunamente trasformato;
N. 9 pirofregate: di cui 5 in attività di servizio, la Maria Adelaide (3549 tono. e 32 cannoni), il Duca di Genova (3515 tono. e 52 cannoni), il Vittorio Emanuele (3415 tono. e 52 cannoni), il Carlo Alberto (3200 tono. e 52 cannoni) e il Garibaldi (3680 tono. e 54 cannoni): l'ultima proveniva dalla marina borbonica, le precedenti da quella sarda: altre 4 erano in costruzione: il Principe Umberto e il Principe di Carignano (ambedue da 3501 tono. e 50 cannoni), la Italia (3680 tono. e 54 cannoni) e la Gaeta (3980 tono. e 54 cannoni);
N. 3 pirocorvette di primo rango: delle quali una sola era efficiente, la Principessa Clotilde, della marina sarda, da 2182 tono. e 20 cannoni, mentre le altre due erano in costruzione o in corso di trasformazione: la San Giovanni, da 1780 tono. e 20 cannoni, e la Magenta da 2552 tono. e 20 cannoni;
N. l corvetta ad elica di secondo rango, ancora in costruzione, la Etna ( 1524 tono. e 10 cannoni), già napoletana;
N. 8 cannoniere ad elica: la Confienza e la Vinzaglio, da 262 tono. e 4 cannoni ciascuna, la Montebello, la Varese, la Curtatone e la Palestro, tutte da 215 tono. e 4 cannoni, la Veloce e la Ardita, da 274 tono. e 4 cannoni ciascuna: le prime quattro ex sarde, le altre ex toscane;
N. 2 avvisi da 269 tono. e 2 cannoni, il Calatafimi e il Ferruccio, provenienti dalla Botta garibaldina della Sicilia (v. GABRIELE: Da Mar· sala allo Stretto, Milano, 1961, p. 279);
tività dei barbareschi nel Mediterraneo durante il primo terzo del XIX secolo: per lo più le manifestazioni della nuova criminalità marittima, dovute soprattutto alla carenza delle forze terrestri dell'ordine e circoscritta quasi esclusivamente al golfo di Castellammare, al litorale agrigentino e a talune zone del canale di Sicilia, consistevano in assalti rapidi e improvvisi, sotto co-
N. 6 trasporti a vapore: due ex siciliani, il Vittoria (2060 tonn., 2 cannoni) ed il Washington (1400 tonn., 2 cannoni), e quattro già sardi, tutti armati con due pezzi ciascuno: il Volturno da 1935 tonn., il Conte di Cavour da 1470 tonn.; e il Dora e il Tanaro, entrambi da 1100 tonn.;
N. 11 fregate a ruota di secondo rango: delle quali una inutilizzabile, la Roberto proveniente dalla marina delle Due Sicilie, da 1400 tonn. e 6 cannoni; le 10 efficienti erano le ex sarde Governolo ( 1700 ton n., 10 cannoni) e Costituzione (1600 tonn., 10 cannoni); l'ex siciliana Tiikery da 962 tonn. e 8 cannoni; e le ex napoletane Fulminante (1141 tonn. con 10 cannoni), Ettore Fieramosca e Guiscardo da 1400 tonn., Archimede ed Ercole da 1306 tonn., T ancredi e Ruggiero da 1168 tonn., tutte armate con 6 pezzi;
N. 7 corvette a ruota di secondo rango: 4 provenienti dalla marina di Napoli, con 3 cannoni ciascuna: Stromboli, Palinuro e Stabia da 580 tonn. e Miseno da 597 tonn. (ma la seconda e la terza erano inutilizzabili); e 3 già appartenenti al regno di Sardegna, armate con 4 cannoni ognuna, la Mozambano da 900 tonn. e la Tripoli e la Ma/fatano da 800 tonn.;
N. 8 piroscafi a ruote, di cui il primo non disponibile perché in corso di trasformazione: gli ex napoletani Peloro da 292 tono. e 3 cannoni, Aquila (376 tonn., 5 cannoni), Sirena (354 tonn., 3 cannoni) e Garigliano (330 tonn., 4 cannoni); gli ex sardi Authion (500 tonn., 3 cannoni), Ichnusa ( 450 tonn., 2 cannoni) e Gulnara (id.); e l'ex toscano Giglio, da 250 tonn., armato con 2 pezzi;
N. 2 avvisi a ruote, con 2 cannoni ciascuno, il Baleno da 195 tonn. e il Weissel da 300 tonn., già sardo il primo e siciliano l'altro;
N. 7 trasporti a ruote, tutti provenienti dalla Botta garibaldina della Sicilia, con due cannoni ciascuno: gli inutilizzabili Franklin (800 tonn.) e Piemonte (720 tonn.) e gli ancora efficienti Lombardo, da 729 tonn., l'altra nave dei Mille, e poi il Cambria (1949 tonn.), il Rosalino Pilo (925 tonn.) e la nave Indipendenza (1600 tonn.);
N. 6 rimorchiatori a ruote, uno soltanto dei quali era armato con 2 pezzi, lo Oregon da 188 tonn., già siciliano; gli altri erano gli ex pontifici San Pietro e San Paolo, da 110 e 80 tonn. rispettivamente, catturati ad Ancona (v. GABRIELE: L'industria armato-
sta, effettuati di solito mediante normali imbarcazioni da pesca: ne erano vittime i battelli di piccolo cabotaggio, i pescatori, ed in genere gli abitanti locali. Solo di rado a questi piccoli malviventi - tra cui ex marinai borbonici, ex appartenenti alla disciolta marina di Garibaldi, « picciotti » e delinquenti comunisi aggiungevano, approfittando dell'occasione, dei legni più gran-
riale nei territori dello Stato pontificio dal 1815 al 1880, in «Archivio economico dell'unificazione italiana>>, serie I, vol. Xl, fase. 3, Roma, 1961, pag. 41), gli ex napoletani Rondine e Antelope da 154 tonn. ciascuno, e l'ex sardo Luni da 151 tonn.;
N. 24 navi a vela, che comprendevano:
N. 3 fregate di primo rango: una proveniente dalla marina del regno di Sardegna, il San Michele, da 2400 tonn. e 30 cannoni; e due provenienti dalla flotta del regno delle Due Sicilie, la Regina (2908 tono., 50 cannoni) e la Partenope (2583 tonn., 30 cannoni);
N. 2 corvette di primo rango, entrambe con 20 cannoni, l'ex sarda Euridice da 1400 tonn. e l'ex napoletana Caracciolo da 1642 tonn.;
N. 4 corvette di secondo rango, la sarda Iride (725 tonn., 12 cannoni) e le napoletane Valoroso (600 tonn., 14 cannoni), Zeffiro (594 tonn., 14 cannoni) e Cristina (762 tonn., 12 cannoni);
N. 6 brigantini, dei quali i primi tre ereditati dalla marina borbonica e gli altri tre da quella sabauda: il Tronto, il Generoso e l'Intrepido, ognuno da 640 tono. e 18 cannoni; ed Eridano ( 450 tonn.), Colombo ( 400 tonn.) e Daino ( 480 tonn.), con 10 pezzi ciascuno;
N. 5 trasporti, di cui tre ex sardi, Des Geneys ( 1400 tono., 4 cannoni), Aurora (600 tonn., 10 cannoni) e Azzardoso (400 tonn., 2 cannoni), uno ex toscano, il Feritore (150 tonn.), ed uno ex siciliano, il Benvenuto (280 tonn.): questi ultimi due disarmati;
N. 2 golette, la già toscana Argo, da 180 tonn., e la già sarda Vigilante, da 150 tono.: entrambe senza pezzi di artiglieria a bordo;
N. l bovo, disarmato, il Lampo) già appartenente al granducato di Toscana;
N. l cutter ex napoletano, lo Sparviero, da 1.37 tonn. con 2 cannoni. Mentre dunque le unità iscritte nei ruoli figuravano essere 97 con una stazza complessiva di 112.726 tonn. ed un armamento di 1166 pe7.zi, in realtà quelle in efficienza di servizio erano soltanto 79, per 77.031 tonn. e con 745 cannoni. Questo divario tra la forza teorica della flotta da guerra italiana e quella effettiva rimarrà a lungo: ancora al lo gennaio 1866, contro 103 unità da guerra registrate, per 186.869 tonn. e con 1398 cannoni, il naviglio effettivamente utilizzabile contava soltanto 84 navi con la stazza complessiva di 133.526 tonn. e 1125 cannoni (MALDINI: I bilanci della Marina d'Italia) Roma, 1884, vol. I, pagg. 66-71 ).
di provenienti dalla Grecia, dall'Albania, da Malta, dalle coste africane. Non pertanto la situazione, nella primavera del 1861, era tanto peggiorata da interdire alla navigazione commerciale lunghi tratti delle acque territoriali dell'isola e da suscitare vive lagnanze da parte dei danneggiati e di tutte le popolazione costiere.
Quando fu sciolta (9) la squadra che aveva operato in quei mari agli ordini del Persano durante la campagna garibaldina, l'amm. Albini, assunto il comando della divisione navale in Sicilia, dovette provvedere dapprima ad imbarcare un equipaggio della marina su uno « scorridore » (battello costiero armato), il Sicilia, per scorta alle imbarcazioni civili dirette verso le zone pericolose (l O) e a distaccare scialuppe armate in perlustrazione in altri punti, non potendo fare di più per mancanza di naviglio idoneo ( 11 ).
(9) Tra il 23 marzo e il l" aprile: la data esatta non è certa {v. GABRIELE: La politica navale, ecc., pag. 281, nota 11).
(lO) Il 20 aprile. Il giorno sresso l'Albini ne dava comunicazione al contramm. Di Ceva, comandante generale della marina in Sicilia {A.C.R.M., busta 78, reg. copiai. corrisp. varia). Ibidem si possono leggere le istruzioni impartite al comandante dello « scorridore »: « sorvegliare il più vigilantemente possibile sulla navigazione tra Capo S. Vito e Capo S. Gallo, prevenire o reprimere atti di pirateria ripetutamente commessi in tali paraggi. Visitare tutte le barche, battelli, paranzelle, specialmente di notte. Confrontare i ruoli coll'equipaggio, vedere se le carte sono in regola; nei casi di sospetto scortare il battello in quistione sino a Capo S. Gallo e consegnarlo alla Barcaccia ivi di Crociera, ed in assenza di questa, sino a bordo della Maria Adelaide o del legno stazionario. Dare scorta ai legni che in quei paraggi lo richiedessero, non uscendo però dai limiti predetti S. Vito e S. Gallo. Accorrere ave si vedesse un battello assalito e procedere alla repressione ed arresto nel modo più energico. Di giorno percorrere tutta la costiera del golfo di Castellamare, osservare i battelli tirati a terra, riconoscere se possono servire alla pirateria commessa, se abbandonati dai padroni, metterli a mare e consegnarli al porto di PaJermo o 3lle Autorità di Castellamare ... Se manca l'acqua ed ha bisogno far cucina a terra non lasciare allontanare la gente e commettere guasti e disordini nelle proprietà».
(11) Lettera dell'Albini al Di Ceva in data 24 aprile (ibidem): « ... non sl tosto avrò ai miei ordini cannoniere, o piroscafi leggieri appropriati a quel servizio, nulla trascurerò per procurare la sicurezza della navigazione in quelle acque ».
Il ripetersi degli atti di pirateria malgrado tale sorveglianza indusse il ministero ad accedere alle richieste dell'Albini e a spedire da Genova a Palermo le due cannoniere ad elica Veloce e Ardita, munite di 4 cannoni ciascuna, mentre le autorità locali invitavano i naviganti a provvedere nel frattempo con « fucili, spingarde, cannoni ed altre armi per la propria difesa» (12). Alle due unità leggere, appena arrivate, venne ordinato di procedere immediatamente ad una crociera di perlustrazione nei due settori minacciati, l'una da Marsala a Trapani e l'altra da Trapani a Palermo (navigando naturalmente soltanto a vela per risparmiare il carbone): intanto l'Albini stesso, con la pirofregata Maria Adelaide, il cui armamento di 32 pezzi era per l'epoca ed in quelle acque più che ragguardevole, compiva la circumnavigazione dell'isola ( 13 ).
Se in un primo momento la presenza delle unità da guerra sembrò scoraggiare i pirati e si ebbe una diminuzione della loro attività, poco dopo, tuttavia, non appena fu rallentata la vigilanza ( 14 ), gli atti di delinquenza marittima ripresero a manifestarsi qua e là, costringendo la marina a riprendere le crociere e ad estendere la sorveglianza alla costa meridionale della Sicilia (15): questa volta parteciparono alle operazioni di pattugliamento anche la cannoniera ad elica Confienza e la corvetta a ruote Tripoli. Purtroppo, i risultati non furono del tutto soddisfacenti e l'Albini se ne doleva con il comandante del dipartimento marittimo meridionale, lamentando la carenza della sor-
( 12) A.C.R.M., busta 80, cart. maggio. Si erano avuti dei reclami anche da parte del console inglese a Palermo, per essere state assalite e depredate due barche dell'industriale britannico Ingham Whittaker di Marsala.
(13) A.C.R.M., busta 78, reg. copiai. corrisp. varia: istruzioni ai comandanti delle cannoniere; busta 80, cart. maggio: autorizzazione del ministero a che l'Albini compisse la progettata crociera intorno alla Sicilia.
(14) A metà giugno la Veloce venne spedita a Pantelleria, dove si sarebbero svolte le elezioni politiche, a disposizione del governatore di Trapani: ibidem, cart. giugno.
(15) A.C.RM., busta 79, fase. Rapporto Ardita; fase. Dispacci telegrafici, ecc.; busta 80, cart. luglio.
veglianza a terra, che sarebbe stata molto più efficace di quanto non potesse essere, per forza di cose, quella dal mare (16).
In agosto, venne assegnata alle crociere anche la cannoniera ad elica Palestro, che per altro accusava inconvenienti alle macchine (l 7 ). Dopo qualche altra manifestazione sporadica, la pirateria siciliana andò diminuendo nei mesi successivi, a mano a mano che veniva potenziata la vigilanza sulle spiagge, dando cosi ragione all'Albini, le cui unità erano state sottoposte all'usura di un continuo, faticoso pattugliamento, apparentemente senza pratici risultati, se non quello di dare, con la loro presenza, conforto morale e senso di protezione ai naviganti.
Più efficace fu, nel medesimo periodo, l'azione della marina diretta a prevenire eventuali sbarchi borbonici nell'isola, sia mediante le ricognizioni costiere, sia con il trasporto veloce di reparti di truppe da un punto all'altro del litorale. Molto spesso, in verità, gli allarmi erano infondati o ingigantiti dal timore, con il risultato di far correre inutilmente le navi e di sottoporre gli equipaggi a strapazzi non necessari: ma tanta era la paura nelle autorità piemontesi, che si vedevano « bande armate » dappertutto.
(16) Lettera dell'Albini al Tholosano in data 26 luglio: « Eppertanto atti consimili si vanno commettendo sulle coste di Sicilia senzaché bastino i pochi mezzi a disposizione per prevenirli. Queste piraterie non sono atti di pirati di mare, bensl di comuni assassini che da terra s'impadroniscono delle barche peschereccie e gettansi poco al largo per sorprendere i legni di cabotaggio in calma od inaccorti. La sorveglianza del litorale è il miglior rimedio a questo male, per mare poco o nulla si può che moralmente. Il dipartimento Meridionale non manca di piccoli vapori atti pure al servizio di crociera e possono coadjuvare per la parte loro, mentre non bastano quelli che ho per la costa di Sicilia » (A.C.RM., busta 78, reg. copial. corrisp. varia); lettera dell'Albini al DelJa Rovere, Luogotenente del Re per le provincie siciliane, in data 28 luglio: «Mi è grato rilevare... che S.E. si degnava ordinare una rigorosa perlustrazione da parte di terra, essendo mio avviso che una tale disposizione gioverà molto di più che qualsiasi altro ad estirpare quei malfattori, che infestando le coste di Sicilia non son gente di mare, ma bensl gente, la quale si stacca dal litorale nelle occasioni del delitto soltanto» (ibidem).
( 17) Rapporto dell'Orengo, comandante della Palestro, all'Albini in data 19 agosto: A.C.R.M., busta 79, fase. Rapporti
Più vero e più grave il pericolo rappresentato dal contrabbando delle armi destinate ai « briganti»: per reprimere il quale la marina dovette sorvegliare non soltanto le coste siciliane, ma quelle di tutta la penisola, nell'Adriatico a partire dall'Abruzzo e nel Tirreno dal Lazio in giù. Ad Ancona venne spedita la fregata a ruote Ettore Fieramosca in completo assetto di guerra; i piroscafi armati Tanaro e W ashington perlustravano il litorale occidentale: ne conseguì un rallentamento dei tentativi borbonici di introdurre clandestinamente nel regno, per mezzo di tartane o altri natanti leggeri, sia direttamente, sia attraverso lo Stato pontificio, i rifornimenti diretti alle bande. Del ritorno della situazione alla normalità e del contributo dato dalla marina a tale opera si dava atto da molti negli anni immediatamente seguenti (18).
( 18) Si veda, ad esempio, la lettera che il presidente della Camera di commercio di Cagliari indirizzava alt•Albini il l • ottobre 1864: « approfittando della bella occasione della presenza in questa rada della Squadra Italiana si fa un dovere di farne un omaggio alla medesima, persuasa la Camera che tanto più diventerà forte e fiorente il Commercio d'Italia, quanto più potente è la Marina dello Stato che dapertutto ne protegge e ne guarentisce i diritti» {A.C.R.M., busta 163, prat. 3 ).
Quantunque la crisi dell'estate 1862, che ebbe nome da Aspromonte, non abbia avuto le caratteristiche di un avvenimento marittimo, tuttavia anche la marina militare del nuovo Stato unitario vi ebbe la sua parte, naturalmente non fondamentale, bensl limitata ad alcune unità e a qualche esponente della Marina: e se fosse possibile conoscere con precisione in che cosa tale parte sia consistita e il retroscena di talune azioni poco chiare, potrebbe aversi una luce più chiara sugli avvenimenti di quell'infausto mese di agosto.
Aurelio Saffi, nell'introduzione al XIII volume degli scritti mazziniani ( l ), spiega il viaggio di Garibaldi in Sicilia nel luglio del 1862 con il noto progetto di una spedizione in Grecia, dal cui fallimento sarebbe poi scaturito il nuovo programma dell'azione su Roma. A sostegno di questa tesi, il Saffi riporta una lettera di uno dei Mille, Ergisto Bezzi, data 13 luglio 1883. Il Bezzi scriveva tra l'altro: « Caduto il Ricasoli e salito al po« tere il Rattazzi, pareva che questi volesse mantenere la pro« messa del suo predecessore ( 2) e allora il Generale andò a «Torino. Sembra che il Rat:tazzi menasse pel naso il Generale.
« Il re gli fece invece, per mezzo di un intermediario di sua fi« ducia, la proposta di una spedizione in Grecia. Il re scrisse « una lettera a Garibaldi colla quale gli offriva i mezzi , e chiedeva « di quanto abbisognasse. Quella lettera fu letta da Garibaldi «alla presenza di Missori e d'altri; anzi il Generale chiese a « Missori che somma doveva domandare, e questi rispose: -
(l ) G. MAzzrni: Scritti editi e inediti, a cura di A. SAFFI, Roma, 1884, vol. XIII, pagg . CXXIV.CXXV.
(2) Relativamente all'eventuale formazione di corpi armati di volontari, ecc.
« Domandate un milione -. Garibaldi prese la penna e scrisse:
« - Mi dia Vostra Maestà trentamila lire per poter mandare
« in Grecia alcuni miei ufficiali per verificare e preparare; poi
«mi faccia trovare a Catania 10 mila fucili, 10 mila camicie
« rosse e l O mila paia di scarpe, con una fregata a mia disposi-
« zione -. Né Missori, né altri seppero mai la risposta del re.
« Garibaldi pochi giorni dopo partì da T orino per Caprera, ac-
« compagnato da Missori, Manci, Guerzoni, Corte e qualche al-
« tro che non ricordo. A Caprera si fermò tre o quattro giorni;
« poi salpò con essi per Palermo. Credeva forse di trovare in Si-
« cilia quanto avea chiesto al re, od altro che noi tutti ignoriamo,
« perché ei non disse mai nulla a' suoi ufficiali presenti; ma quel-
« lo che ho inteso asserire più volte e da Manci e da Missori, e
« che questi mi ripeteva anche ieri, si è che Garibaldi non avea
« mai, né lungo il viaggio, né prima, parlato di Roma. Anzi Mis-
« sori mi assicura che il grido di " Roma o Morte " non venne
« da lui, ma sibbene da qualcheduno della folla in una dimo-
« strazione; ed egli rispose: "Sì, Roma o Morte"; ed una volta
« accettato l'appello, e visto l'entusiasmo suscitato, fu costretto
« ad andare avanti ... Io e con me molti altri opinano che il re
« mancasse alla promessa, secondo il solito, e che Garibaldi si
« gettasse allora in quella impresa. E bisogna credere che sia
« così, perché non è possibile ammettere che se Garibaldi avesse
« avuto intenzione, prima, di fare un tentativo sopra Roma, fos-
« se andato in Sicilia ad incominciarlo, mettendosi così in un
« sacco alla mercè del Governo; quando invece, se si fosse pre-
« sentato nelle Romagne, il tentativo avrebbe potuto riuscire, e
« come piano militare, e per elementi migliori, e per la facilità
« di avere aiuti dall'alta Italia, nerbo dei volontari. No, non è
« possibile che pensatamente Garibaldi abbia commesso un cosl
« enorme errore, militarmente parlando: fu portato là da cir-
« costanze estranee e fu poi trascinato su quella via, come si dice,
«da forza maggiore ... Ma, disgraziatamente, documenti non ve
« ne sono. Garibaldi li possedeva, e deve aver scritto una sto-
« ria documentata de' fatti, che intendeva si pubblicasse dopo
« la sua morte; e Manci, per mezzo di Basso, ne lesse diverse
«pagine. Ma ... e di quella storia e di que' documenti nessuno sa « più che ne sia successo ... ».
In che misura sia attendibile questa versione dei fatti è difficile accertare, sia per le affermazioni discutibili che essa contiene, sia perché la lettera sembra esporre più opinioni che prove, sia infine per l'emergere dei particolari in un tono da leggenda dagli incerti ricordi dello scrivente dopo più di un ventennio: ma assai probabilmente si può ritenere che nella sostanza sia esatta ( 3 ). Comunque, a prescindere dalla maggiore o minore fedeltà della ricostruzione del Bezzi, qui compare la prima fregata fantasma, che Garibaldi avrebbe atteso dalla marina regolare. Intorno a tale fregata, in realtà, non vi è poi nulla di concreto, anche se è possibile che l'amm. Persano allora ministro della marina, uomo notoriamente vicino alla persona del re, abbia ricevuto da fonte autorevole un invito a mettere l'unità da guerra a disposizione di Garibaldi ( 4 ). Al riguardo non si può
(3 ) Di questo parere è anche R. MORI nel suo importante studio La questione romana, vol. I , Firenze, 1963, pagg. 128-130 .
( 4 ) Naturalmente, poss ibile, non provato. Infatti, non prova che il Persano abbia ricevuto l'ordine di mettere a disposizione di Garibaldi una fregata per una spedizione nel Montenegro -e non più in Greciala lettera del D'Azeglio al Persano datata Comero, 3 luglio 1862, in cui si legge: « Relativamente alla nuova spedizione sul Montenegro, se si raduna una forza, e che voglia partire apertamente per andare a far la guerra ai Turchi, mi pare evidente che, essendo noi in pace colla Porta, non possa permettersi. Quanto all'andarsene alla spicciolata, a ogni modo non si può impedire, onde il problema si risolve da sé ... »
(Lettere di Massimo D ' Azeglio a Carlo di Persano, Torino, 1878, pag. 145).
Appare evidente che il D ' Azeglio risponde ad un ' altra lettera del Persano contenente richieste di consiglio: ma della nave, proprio, non vi è parola. E chi, eventualmente, avrebbe dato l'ordine al ministro della marina? Non certamente il Presidente del Consiglio, sia perché se ne avrebbe ben altra documentazione, sia soprattutto perché in questo caso il Persano non avrebbe domandato consigli per sapere se doveva obbedire o meno. Rimarrebbero il re e Garibaldi: il primo che avrebbe potuto far capire, anche senza esporsi esplicitamente, che non gli sarebbe dispiaciuta la prospettiva di un colpo di mano garibaldino sulle rive orientali dell'Adriatico, da sostenersi più o meno apertamente; il secondo che, memore della esperienza del '60 ma immemore dd fatto che nonostante tante belle
non rilevare che un'iniziativa del genere avrebbe esposto il governo italiano in un'assunzione di responsabilità che sarebbe stato poi difficile declinare, al punto che rimane da chiedersi come mai, e se, anche da parte di Vittorio Emanuele II, il progetto avrebbe potuto avere un inizio di attuazione.
Che però un'idea- della Grecia, o del Montenegro, o addirittura di Roma - sia frullata nella mente inquieta del re, un'idea fondata su un'eventuale azione di Garibaldi, appare effettivamente probabile: una prova indiretta se ne può dedurre dalla strana vicenda che sembra si sia svolta tra il generale, ormai avviato attraverso la Sicilia alla volta dello Stretto di Messina, e il contramm. Albini, comandante delle unità navali regie dislocate sulla costa orientale dell'isola. Anche qui si tratta di una fregata, di una nave di linea di prima classe, che costituisce il secondo vascello fantasma di quella calda estate siciliana. La narrazione dell'episodio si trova nel Chiala (5): « .. .il Re e
« quelli fra i ministri che conoscevano gli alti segreti... pensaro-
« no... di agevolare a Garibaldi il modo di togliersi anzitutto dal
« mal passo in cui si era cacciato, compromettendosi cosl aper-
« tamente per un'impresa su Roma, e gli fecero offrire, per
« mezzo del Albini, una fregata regia che da
« Catania avrebbe trasportato lui e il suo stato maggiore in quel
« qualsiasi porto del Regno, che meglio gli fosse piaciuto, sem-
« preché egli si fosse deciso a lasciare la Sicilia; dal porto che
« avrebbe eletto, il Generale avrebbe poi potuto, a suo talento, « recarsi a Caprera o fuori d'Italia. La lettera dell'Albini giunse
« in mano del Generale mentre questi si trovava a Leonforte me« ditando il modo di entrare in Catania senza incontrarsi nelle
parole non aveva mai ottenuto dal Persano neppure una barca, avrebbe potuto fare delle avances per chiedere all'amico di allora - Garibaldi era davvero stranamente convinto che Persano fosse suo amico - una certa condiscendenza per le diserzioni dei volontari o addirittura per la cessione di una nave. Dal tono della lettera citata, tuttavia, sembrerebbe che ai primi di luglio si fosse ancora assai lontani da una fase concreta e che si discutesse soltanto di prospettive e di ipotesi.
(5) L. CHIALA: Giacomo Dina e l'opera sua nelle vicende del Risorgimento Italiano, Torino, 1889, vol. Il, pag. 126
« truppe inviate per impediglierlo. Egli rispose tosto all'Albini
« essergli gratissimo "per l'esibizione sua gentile ", di cui ap« profittava volentieri: mandasse la fregata a sua disposizione « ad Acireale, al nord di Catania ».
Questo, però, avveniva dopo Ferragosto, quando la situazione andava ormai precipitando, e poté costituire un ulteriore elemento di confusione e di incertezza. Certo si è che Garibaldi, sfruttando probabilmente anche il pretesto offertogli dall'Albini, avanzò ancora lungo la costa orientale, ma non pér recarsi ad Acireale, ché la sera del 19 agosto si trovava alle porte di Catania. Se qualche unità della flotta regia lo stava aspettando davvero più a nord, doveva aspettare invano e questo tentativo di soluzione falliva goffamente. Si era forse sperato di risolvere la situazione spinosa facendo sparire Garibaldi all'improvviso, nel clima di quei giorni arroventato dalla passione: ma si dimostrava così di non aver capito assolutamente nulla delle condizioni ambientali e psicologiche nelle quali andava sviluppandosi il tentativo garibaldino e di non aver saputo prevedere le naturali reazioni del protagonista. Se si era creduto che Garibaldi fosse soltanto una marionetta da far sempre muovere, dire e disdire a piacimento, questa volta si era sbagliato in pieno: il generale, oltre tutto, non poteva permettersi di perdere la faccia ancora una volta, dopo la penosa smentita del giugno precedente , circa l'idea di attaccare il Trentino ( 6 ), dopo aver inseguito- se così fu - n miraggio di un'avventura balcanica delusa all'ultimo momento, e infine dopo aver fatto proprio pubblicamente il grido del popolo di Marsala (7).
E poi, dove mai avrebbe dovuto andare Garibaldi? Anche se si fosse fidato dei maneggioni « che conoscevano gli alti segreti», che cosa gli veniva offerto da costoro? Di imbarcarsi con
( 6) Si allude alla nota lettera di Garibaldi al T ecc h io in data 3 giugno 1862, che suscitò tama indignazione tra i democratici e indusse il Crispi a scrivere al generale l'amara lettera del 7 giugno successivo.
(7) Che in quella occasione venne chiamata da Garibaldi « terra di felice augurio», in ricordo dello sbarco dell'l l maggio 1860, donde aveva preso il via la fortunata avvenrura garibaldina in Sicilia (cfr. CHIALA, op. cit., vol. II, pag. 114).
il suo stato maggiore e di lasciare la Sicilia per Caprera o per un porto estero: ora, escludendo la Francia e i porti dell'Africa settentrionale controllati dai francesi, la Spagna, l'Austria, la Turchia e le sue dipendenze, la Grecia, non rimaneva che Malta: ma fra Caprera e Malta era facilmente intuibile che la fantomatica nave avrebbe fatto rotta per la prima, assai più facilmente controllabile da poche unità italiane o francesi (8). E allora, in questo pietoso giuoco di tentennamenti e di piccole scappatoie, come stupirsi se anche l'offerta di una nave della flotta regia poté diventare per Garibaldi un utile elemento di distrazione dell'avversario, una normale ruse de guerre per ingannarlo e per prendere tempo, allontanandolo dal vero obbiettivo del generale, Catania?
Istruttiva e caratteristica rimane comunque l'incerta pre· senza di queste fregate della regia marina, elemento non discordante nel quadro generale del momento: Garibaldi avrà forse una nave per andare in Grecia, ma il governo non ne sa nulla, anche se al ministro della marina sono state fatte delle aperture; per salpare alla volta della Grecia Garibaldi si reca in Sicilia - e a questo proposito sarebbero valide, tanto per la Grecia quanto per Roma, quasi tutte le controindicazioni di cui scrive Ergisto Bezzi nella sua lettera citata, poiché camicie, scarpe e fucili avrebbero avuto pur sempre bisogno degli uomini mentre il ministro della marina parla di spedizione nel Montenegro; nella Sicilia occidentale Garibaldi, dal momento che l'impresa ellenica non appare attuabile, si converte alla conquista di Roma, forse d'accordo con Vittorio Emanuele che intriga alle spalle del proprio governo; lo stesso re e alcuni ministri, in· fine, spaventati dalle minacciose reazioni francesi, cercano di portar via l'ingombrante generale a bordo di una nave della flotta regia, nel sempre generoso tentativo di salvare la propria faccia, buttando a mare quella di Garibaldi. Non c'è che dire, dal solo accenno all'ipotetico ruolo di queste navi fantasma emerge
(8) Cosl si riteneva a quell'epoca. Nel 1867, dopo la fuga di Gari-· baldi, in seguito alla quale venne aperto un procedimento penale militare marittimo, non se ne sarebbe stati più tanto sicuri.
un bel pasticcio di cose dette e non dette, di promesse accennate e non mantenute, di indecisioni, di giochi d'azzardo, di ambizioni mutevoli e disordinate: un pasticcio degno in tutto e per tutto dell'oscura e poco onorevole vicenda di Aspromonte. Fin dal l o agosto era apparso chiaramente che Garibaldi non intendeva recedere dalla conclamata intenzione di marciare sullo Stato pontificio. Il 3 agosto con il noto proclama del re, erano state condannate le « colpevoli impazienze» e le « improvvide agitazioni », ma al tempo stesso il sovrano aveva dato assicurazione di conoscere i propri doveri verso il Paese ed aveva fatto comprendere pubblicamente che, se mai, il metodo e il momento scelti da Garibaldi erano discutibili, ma non i suoi fini. E poiché in passato il governo di Torino era stato costretto ad analoghe prese di posizione all'unico scopo di garantirsi un minimo di respiro e di margine di manovra di fronte alle Potenze, Garibaldi e i garibaldini sottovalutarono gli avvenimenti, allo stesso modo che avrebbero sottovalutato tutti i passi successivi del governo. Ed invece, fin dai primi giorni di agosto, aveva luogo un intenso movimento di trasporti militari per trasferire a Napoli e a Messina forze regolari dell'esercito (9); in-
(9) Scorrendo la corrispondenza del Comando generale del dipartimento marittimo settentrionale, da Genova, al Comando del materiale, si apprende, per esempio, che nel grande porto ligure avrebbero dovuto imbarcarsi il l" agosto 700 uomini della brigata «Ferrara» sulla Costituuone per Palermo; il 2 e il 3 agosto, 500 uomini del 21" reggimento di fanteria sul Plebiscito e l'intero 3" fanteria sul Ville de Lyon; il 7 ancora sul Plebiscito due compagnie del 45" e sulla Indipendenza sei compagnie del 4", mentre un'altra compagnia dello stesso reggimento avrebbe preso imbarco sul Ville de Lyon; il giorno 9 la Indipendenza, in partenza per Messina, prendeva a bordo altri 500 uomini con cavalli e muli, e la Costituzione ne imbarcava 700 per Napoli; tra il 14 e il 15 sul Brésil prendevano posto 825 soldati del 57" fanteria con muli, cavalli e carriaggi, con destinazione Messina, e 874 militari, con salmerie, dei reggimenti u·, 45" e 46" diretti a Napoli; affluivano intanto all'imbarco anche altri elementi del 20• e del 22" fanteria, mentre il 19 la Costituzione e il Cavour lasciavano Napoli per Genova con 800 ungheresi a bordo, evidentemente in relazione al disegno di allontanare dall'Italia meridionale reparti che potevano risultare particolarmente sensibili al fascino di Garibaldi (dr. A.U.S.M., busta 91, fase. 3).
fatti le pressioni francesi e la posizione del governo Rattazzi erano tali che questa volta bisognava agire sul serio.
Chi, però, non ne sembrava molto convinto, era il gen. Elisio Cugia, spedito d'urgenza in Sicilia per fronteggiare la situazione, mentre una squadra navale al comando del contramm. Albini, mantenendosi tra Messina e Catania, incrociava sulle rotte che i garibaldini avrebbero dovuto percorrere per passare lo Stretto. Il gen. Cugia, a Palermo, tentava in tutti i modi di calmare le acque e di svolgere opera di pacificazione, ma senza molto successo, tanto che il 20 agosto, dinanzi al precipitare della situazione, si vide costretto a proclamare lo stato d'assedio in tutta l'isola: immediatamente dopo, a Torino ne venne decisa la sostituzione ( 10). A prenderne il posto fu designato il ministro della marina, amm. Persano, che la mattina del 22 partì per la Sicilia, lasciando il suo dicastero, interinalmente, nelle mani del ministro della guerra, conte Petitti ( 11 ). Le misure militari deliberate dal governo prevedevano l'invio del gen. Cialdini nell'isola per arrestare Garibaldi, e il blocco della costa siciliana orientale da parte della squadra navale al comando del contramm. Albini, onde assicurarsi che le camicie rosse non riuscissero a passare in caiabria. Qualora poi, nonostante tutto questo apparato di forze, Garibaldi fosse ugualmente sbarcato
(10) V. CHIALA, op. cit., vol. II, pagg. 114 e segg.; P. FEA: IL generale Efisio Cugia, in «Nuova Antologia », anno XXIII ( 1873 ), fase. luglio, pagg. 636-672, afierma che all'annunzio della sua sostituzione il Cugia avrebbe scritto: « ...ringrazio d'aver mandato il generale Cialdini: mettetemi in disponibilità; le colpe ricadranno sopra di me; il tempo mi giustificherà»; il Cugia, secondo il Fea, avrebbe salvato Palermo dalla guerra civile grazie al suo controllato modo di agire, come gli diede atto un deputato siciliano durante la discussione del novembre '62 sui fatti di Aspromonte, alla Camera dei deputatL
( 11) La comunicazione della sostituzione temporanea del Persano è in una circolare dello stesso giorno 22, n. 2212, ma l'o.d.g. del Comando generale della marina è in data 24 agosto, n. 68: se ne veda il testo in A.C.R.M., busta 88, cart. agosto.
sul continente, il Lamarmora, con truppe adeguate, avrebbe dovuto fermarlo sulla via di Napoli (12).
Ma quali ordini aveva la flotta? Quando ci si persuase a Torino che la linea giusta non poteva essere che quella di arrestare Garibaldi, il ministro della marina avrebbe affermato pubblicamente - lo si vedrà in seguito - che erano stati dati «ordini chiari ed espressi » allo scopo di « impedire ogni sorta di evasione dal porto di Catania »: ma prima, allorché le unità della flotta regia stavano incrociando nello Stretto, che valore potevano avere le parole degli ordini e delle istruzioni, nell'atmosfera di incertezza e di confusione psicologica che dominava? Si potrebbe sostenere che i militari non devono discutere gli ordini, ma unicamente eseguirli: tuttavia le circostanze ed i precedenti immediat i non erano tali da incoraggiare l'obbedienza pronta ed ass oluta. Nessuno aveva dimenticato che proprio in quelle stesse acqu e, due anni prima, la marina militare di uno Stato italiano avrebbe potuto e dovuto fermare Garibaldi, ed era stata lodata e premiata per non averlo fatto ( 13 ); così pure era noto a tutti l'operato del Persa no durante l'estate del 1860 nei riguardi degli ufficiali napoletani e ognuno ricordava come la crociera sullo Stretto fosse stata condotta dai borbonici in maniera molto comprensiva delle esigenze di Gatibaldi, con il risultato di vedere grandemente facilitato il proprio inserimento nella nuova marina militare dello Stato unitario ed il rispetto delle promesse di pro-
(12) Cfr. GABRlELE: La politica navale, ecc., cit., pagg. 305-306. Si veda anche: 1862 - La prima crisi dello Stato unitario, in «Atti del secondo convegno siciliano di storia del R isorgimento », Palermo, 1962.
( 13) «Garibaldi, che al suo valore aggiunge la corruzione e l'ajuto dei Comitati e di altri sommi a lei ben cogn.iti, ha potuto senza opposi· z.ione sbarcare sopra le coste della Calabria alla vista dei Forti e dei vascelli Reali. D tradimento dell'Officialità è cosa ormai notoria. Quando gli Officiali che erano sopra i Bastimenti in crociera allo Stretto di Messina erano avvertiti dai loro soldati dello sbarco, rispondevano che erano Pesca tori e si allontanavano e tornavano per distruggere le Barche quando erano vuote. .. » (Pio Capranica al card. Antonelli Segr. di Stato, da Napoli, in data 28 agosto 1860: A.S.R., Miscetl. di carte politiche e riservate, busta 134, fase. 4856: è pubblicata in appendice in M. GABRIELE: Da Marsala allo Stretto , cit., pagg. 285-286).
mozione elargite senza parsimonia, le une dal Persano anche per conto di Cavour, le altre da Garibaldi stesso (14 ). Su rutto, poi, sulle esitazioni, sui tentennamenti, sui tradimenti, era discesa, risanatrice e nobilitante, la grande ala tricolore della causa nazionale, del motivo sacro dell'indipendenza italiana: le disobbedienze dei militari erano così divenute degne della gratitudine del Paese, le diserzioni si erano trasformate in manifestazioni di eroismo: tutto questo perché era stato solennemente affermato che tali azioni, riprovevoli in sé, erano state compiute per favorire l'unificazione nazionale, per ricongiungere al regno di Vittorio Emanuele le terre meridionali ancora separate, per ricostituire l'I tali a.
Ma la liberazione di Roma non costituiva forse una causa altrettanto sacra, sufficiente a giustificare e forse anche a nobilitare qualche nuovo strappo alla disciplina militare? Roma, la capitale naturale della penisola appena unificata, verso la quale si levavano ogni giorno infiammate promesse; Roma, additata come irrinunciabile meta degli italiani tutti, valeva bene - doveva valere - ogni sforzo possibile, per conquistarla per mezzo dei volontari di Garibaldi, per facilitarne la conquista da parte degli altri italiani, costretti da una divisa e da una disciplina a recitare la parte che, in quel momento, faceva comodo al governo. A quel governo che forse, come in altre precedenti occasioni, si poteva supporre connivente, alla luce interessi supremi dalla Nazione, ma obbligato dal giuoco delle proprie alleanze a dimostrarsi, a parole, ossequioso ai voleri del potente alleato transalpino.
Questi ed altri analoghi ragionamenti potevano non sembrare vaniloqui, nell'atmosfera confusa dell'agosto 1862, quar. do gli ufficiali della marina militare unitaria recentemente costi tuita si trovarono sullo Stretto per fermare la marcia dei garibaldini. Oltre tutto, essi avevano di fronte il più famoso, il più fulgido eroe dell'empireo risorgimentale, e sarebbe bastata una certa mancanza di impegno per non assumersi la responsabilità
gravissima di aver arrestato un movimento di liberazione nazionale: e se era vero che il re ed alcuni ministri andavano addirittura pensando di mettere una nave a disposizione di Garibaldi, un eccesso di zelo sarebbe parso veramente fuori posto.
Quanto poi agli « ordini chiari ed espressi » che potevano provenire dal Persano, è lecito avanzare qualche dubbio, considerata la natura dell'uomo. Due anni prima, per esempio, in quelle medesime acque dello Stretto, lo stesso Albini si era trovato in una penosa situazione di incertezza, dopo aver ricevuto le istruzioni segrete che l'amm. Persano, da Napoli, gli inviava a Messina in data 8 ago:;to 1860 (15); né più tardi, nei giorni tristi di Lissa, si potrebbe sostenere che il Persano abbia dato prove particolarmente luminose di chiarezza, fino al famoso casolimite del trasbordo dalla nave ammiraglia all'avvistamento del nemico, che determinò ulteriore disorientamento nella squadra italiana e fu probabilmente una delle concause dell'insuccesso.
Certamente nell'estate del 1862, fosse o meno colpa del Persano, non mancarono gli elementi di confusione: il più grave
( 15) L'Albini comandava la stazione navale sarda sullo Stretto, mentre i garibaldini si preparavano a forzare il passaggio guardato da una squadra navale borbonica: e le istruzioni del Persano dicevano che bisognava proteggere la spedizione di Garibaldi, ma al tempo stesso astenersi dal compiere atti di aggressione. La perplessità dell'Albini era perfettamente comprensibile: egli non aveva ai suoi ordini che due unità, le fregate Vittorio Emanuele e Carlo Alberto, mentre i napoletani disponevano di un'intera flotta, dislocata tra le coste siciliane e quelle calabre proprio allo scopo di impedire il passaggio dei volontari (dr.
GABRIELE: Da Marsala allo Stretto, cit., pag. 177). Il 12 agosto l'Albini pertanto scriveva al suo superiore: «Nelle istruzjoni segrete in data 8 volgente da Napoli sull'incarico che mi prescrive di assumere il comando della stazione di Messina, la S.V. Ill.ma m'ingiunge di proteggere la spedizione del Generale Garibaldi, ma senza farmi mai aggressore; ora la spedizione del Generale in questo momento è lo sbarco in Calabria e per proteggerlo mi sarebbe impossibile di mantenere un'attitudine che non fosse positivamente aggressiva, quindi essendo mio intendimento di tenermi strettamente con la massima esattezza agl'ordini del mio Capo, io sono a pregarla di favorirmi sul prvposito quei maggiori chiarimenti che valgano a togliermi da ogni incertezza... » (A.C.R.M., busta 81, cart. agosto).
fu senza dubbio, per la flotta, la latitanza del ministro della ma rina nei giorni cruciali della crisi.
La campagna estiva della squadra navale al comando del contramm. Albini prevedeva opportune manovre ed esercizi di navigazione a vela e a vapore da effettuarsi nelle acque della Sicilia; alle consuete esercitazioni militari si univa così una funzione politica che gli avvenimenti dell'agosto dovevano porre in piena evidenza. La scarsa popolarità del servizio militare e della disciplina prevista dagli antiquati regolamenti della marina, nonché l'attrazione esercitata da Garibaldi che agitava la Sicilia in procinto di marciare su Roma, diedero luogo a numerose diserzioni dalle navi della squadra nei porti dell'isola ( 16 ). La campagna di istruzione, andava trasformandosi in una missione politico-militare, e la squadra dell'Albini si trasferiva nello Stretto, dove eseguiva una serie di crociere a ridosso della costa siciliana, per controllare gli avvenimenti e bloccare le iniziative garibaldine: nuove unità venivano a raggiungere ed a rinforzare la formazione navale ( 17).
(16) Fin dal maggio precedente era divenuto preoccupante il fenomeno delle continue diserzioni: v. Istruzioni emanate a Napoli dall'Al· bini il 4 maggio 1862, in A.C.R.M., busta 86, cart. maggio Cfr. anche (ibidem, registro degli ordini della corvetta Zeffiro sotto h data del 27 maggio) una circolare diramata ai comandanti di tutti i legni armati: « ... tale rilassatezza nel servizio ... si manifesta principalmente nelle continue diserzioni che avvengono tra gl'incLvidui di bassa forza, nelle ripetute mancanze di presentarsi a bordo, scaduta l'ora della licenza Ad un tale stato di cose è forza portare riparo». Ma nell'agosto si trattava di ben altro: coloro che abbandonavano le navi regie erano nella quasi totalità giovani desiderosi di entrare a far parte delle schiere garibaldine, la cui recente epopea faceva presa sugli animi: tuttavia, quale che ne fosse il motivo, il numero deJle diserzioni era talmente elevato, che il 10 agosto l'Albini si vedeva costretto a chiedere di poter far celebrare a terra una parte dei numerosi processi (A.C.R.M., busta 83, reg. prot. partenza); dodici giorni dopo, risulta che nella sola flottiglia dei novizi e mozzi {tre corvette a vela, tre brigantini e un trasporto) gli assenti ammontavano già a 22 da quando le unità avevano gettato l'ancora a Palermo (ibidem).
( 17) Il 14 agosto, ad esempio, il Comandante generale del dipartimento marittimo settentrionale scriveva al Comandante del materiale, a
Proclamato dal gen. Cugia il 20 agosto lo stato d'assedio in tutta la Sicilia, il Persano partì il 22, come si è detto, per sostituire il Cugia e per assumere, evidentemente, il comando della squadra navale. Nominalmente, il dicastero della marina non rimaneva scoperto, essendo stato assunto ad interim dal Petitti, ministro della guerra: di fatto, però, il processo burocratico di sostituzione fu lento, troppo lento, specialmente date le circostanze, poiché passarono due giorni prima che si attuasse il provvedimento (18). Cosl, mentre soltanto il 24 agosto venne emanato l'O.d.g. n. 68 del Comando generale della marina con cui si attuava il provvedimento della sostituzione, e il Persano non arrivò a Messina che il giorno 26, nel frattempo Garibaldi, durante la notte tra il 24 e il 25, aveva già passato lo Stretto infischiandosene della presenza delle unità da guerra dell'Albini, senza essere arrestato né intercettato, e la spedizione rivoluzionaria si trasferiva dalla Sicilia nel continente, navigando da Catania a Melito su una rotta tutt'altro che peregrina. Il blocco del porto di Catania, anche se effettuato con poche navi ma seriamente, avrebbe impedito senza dubbio l'evasione garibaldina: ma tra le more burocratiche e le infelici scelte dei tempi per le sostituzioni ed i viaggi, sta di fatto che la marina militare era rimasta senza guida diretta proprio nel momento in cui avrebbe dovuto e potuto svolgere un'azione decisiva.
Giunto Garibaldi in Calabria, la situazione politica subiva un ulteriore tracollo: il 29 gettava l'ancora nella baia di Napoli la squadra francese dell'amm. Rigault de Genouilly, partita improvvisamente da Ajaccio: il medesimo giorno avveniva l'episodio di Aspromonte.
Da Messina il Persano, ansioso di mostrarsi energico ed inflessibile, toglieva il comando delle loro navi ai comandanti delle fregate Duca di Genova e Vittorio Emanuele, Giraud e
Genova, rusponendo che la cannoniera ad elica veloce e la corvetta a ruote Tripoli passassero «sotto gli ordini del Comandante della R. Squadra d'Evoluzione per essere impiegate nella vigilanza del litorale dell'Isola e in altre occorrenze eU R. Servizio» (A.U.S.M., busta 91, fase. 3).
(18) V. prec. nota 11 a pag. 26.
Avogadro, infliggendo loro gli arresti di rigore in fortezza e deferendoli al giudizio di un Consiglio di guerra. Il 29 l'ammiraglio ne dava clamorosamente comunicazione alla squadra con questo edificante ordine del giorno diretto da Messina agli equipaggi:
« Equipaggi della Squadra, « debbo dolorosamente annunciare che i due Comandanti «del Duca di Genova e Vittorio Emanuele, ebbero tolto il Co« mando, e passeranno agli arresti di rigore in fortezza per subir «consiglio di guerra, in conseguenza della riprovevole loro tra« scuragine nello impedire ogni sorta di evasione dal porto di « Catania non ostante gli ordini chiari ed espressi ricevuti a tal «riguardo. Son sicuro che voi tutti il cui principio predominante « si è lo illeso onor militare, siete del riprovevole recente ac« caduto al pari di me sopraffatti; accaduto che quantunque agli «individui soltanto imputabile, e non giammai al nostro ono-
« revole corpo che più di una fiata diè prova di valore, e me-
« ritossi dal Re , e dalla patria lodi e riconoscenza , pur non ostan-
« te pesar gli deve non poco sull'animo sensibile di chi veste
« la onorata nùlitare nostra divisa. Fidiamo quindi nell'avvenire,
« e guidati sempre da quelli onorevoli sentimenti di disciplina,
« valore ed attaccamento al Re, e rispetto allo Statuto Nazio-
« naie speriamo non mancare novelle azioni, e più favorevoli an-
« cora di gloria nelle quali avremo più fortunata occasione di
« far sempre più brillare la militare scintilla istintiva negli ita-
« liani tutti, e massime poi nei marini. E poiché attualmente lut-
« tuose circostanze interne c'impongono il dovere di frenare le
<< agitazioni troppo moleste all'ordine pubblico, così confidando
« intieramente su ciascuno di voi son sicuro che sapremo far
« rispettare quelle leggi che formano il cardine d'ogni ordine so-
« ciale, ed in tal guisa renderei utili al Re, ed allo Stato » ( 19 ).
I due ufficiali, trasportati a Genova in stato di arresto sulla corvetta Malfatano (20), vennero poi giudicati da un collegio
(19) A.C.R.M., busta 88, cart. agosto.
{20) Cfr. in A.U.S.M., busta 91, fase. 3 , il telegramma di Persano da Napoli al Comando Marina Genova: (( I due comandanti del V iltorto
composto da loro superiori e colleghi, ed assolti, mentre altri ufficiali della marina che si erano particolarmente distinti ( 21) furono nominati in un o.d.g. del Comandante della squadra, contramm. Albini, del 24 novembre 1862. All'Albini stesso, che con le sue aperture e le sue offerte aveva contribuito ad aumentare il disorientamento e la confusione negli animi, nulla fu imputato: né la cosa desta meraviglia, se si suppone che dietro le sue avances vi fosse addirittura la volontà del monarca.
E così nell'ufficialità di marina non ebbero a lamentarsi capri espiatori, se non temporanei: tutti uscivano indenni da questa tipica storia all'italiana: assolti e riabilitati gli imputati maggiori, una volta calmate le acque, di definitivo restavano solo gli encomi per coloro che si erano «distinti ». Forse una valutazione equa delle circostanze indusse i severi giudici militati alla comprensione, e si pensò, legittimamente, che la recente tradizione del '60 poteva aver ingenerato una certa confusione negli ufficiali circa il grado di prontezza e di zelo che era opportuno usare nell'obbedire agli ordini.
Quanto al Persano, si premiò da sé: si autopromosse da vice-ammiraglio ad ammiraglio il l o dicembre 1862, mentre il governo di cui faceva parte era già dimissionario (22).
Ben diverso fu invece il trattamento riservato ai volontari garibaldini. Dopo che lo stesso Garibaldi, ferito, era stato tradotto nel golfo della Spezia, trattenuto a bordo più a lungo del necessario per motivi di polizia e isolato da qualsiasi contat-
Emanuele e del Duca devono arrivare a Genova in istato d'arresto sul Mal/atano. V.S. procederà a loro riguardo secondo gli ordini già mandati »; ibidem, alrro dispaccio del ministero, da Torino, alla stessa destinazione: «Comandanti Duca et Vittorio giungeranno costì in arresto col Malfatano »: entrambe le comunicazioni sono in data 30 agosto.
(21) Baldisserotto, Pucci, Sanminiatelli. Era stato il comando della VI divisior.e dell'esercito, di stanza a Messina, a segnalare al ministero della marina, con un'apposita relazione di lode, gli ufficiali e gli equipaggi della cannoniera Veloce e dei piroscafi Plebiscito e T ukory (A.C.R.M., busta 86, cart. novembre).
(22) Sull'episodio e sullo scandalo che ne seguì, cfr. GABRIELE: La politica navale> ecc., cit., pagg. 179-180, 192.
to (23 ), ebbe inizio tra i prigionieri garibaldini la cacCia ai disertori della marina militare.
In un primo momento, almeno, è probabile che le intenzioni fossero molto severe. Forse i dirigenti della marina militare erano -o si sentivano - impegnati ad emulare le esecuzioni capitali con cui si era illustrato l'esercito, poco onorevoli esecuzioni di ragazzi entusiasti che avevano seguito Garibaldi attratti da un motivo ideale.
A Genova fu costituita un'apposita commissione di sotruffìciali, che doveva « recarsi nei forti... ove sono detenuti i prigionieri garibaldini, onde riconoscere se fra i medesimi trovinsi disertori dei Corpi della R. Marina » (24 ). La commissione dei sottufficiali partl da Genova il 26 settembre per assolvere al proprio compito, che portò al riconoscimento di tre presunti
(23) V. tele gramma cifrato del Comandante della divisione di Genova al Comando del porro di La Spezia in clara 2 settembre: « Comu· nichi Comandan te Battaglione che in attesa ordini et istruzioni precise domandate da Comando questa Divisione eserciti massima sorveglianza se Garibaldi sia sbarcato al Varignano o al Lazzaretto. Nessuna comu· nicazione persone senza ordine ministeriale » (A.U.S.M , busta 91, fase. 3). Il giorno prima, lo stesso comandante della divisione di Genova aveva scritto al comandante del dipartimento marittimo settentrionale: « Il Ministero ordina che Garibaldi non sbarchi sino ad aspettare ordini per cui la prego darne avviso. Questa sera pare che voglia farsi qualche dimostrazione, ma dessa non sarebbe che dopo le sette, però la Polizzia (sic!) non è ancora ben certa di ciò » (ibidem).
(24) Comandante del dipartimento marittimo settentrionale a Comando del personale, Genova, in data 25 settembre 1862: A.U.S.M., busta 91, fase. 3. Fin dalla settimana precedente i criteri di composizione della commissione stessa erano stati opportunamente finalizzati, come risulta chiaramente da quanto scriveva, il 18 settembre, il coman· dante del dipartimento marittimo settentrionale all'Albini: « ... alcuni Sotto-Ufficiali del Corpo Reale Equipaggi, scelti tra i più avveduti, devono essere spediti al più presto possibile nei Forti ove si trovano detenuti i prigionieri Prego quindi V.S. Ill.ma di compiacersi ordinare che sette Sotto-Ufficiali della R. Squadra da Lei comandata (uno per bastimento) siano designati per tale incombenza e posti a disposizione del Comando del Personale per essere, unitamente ad altri Sotro-Ufliciali della Caserma, mandati, per ora, prima nel Forte dei Ratti e poi in quello di Vado» (A.C.R.M., busta 88, cart. settembre).
disertori di marina tra i prigionieri garibaldini (25), sul cui destino finale, peraltro, non si sono rintracciati elementi certi. Né risulta se qualche altro infelice giovane marinaio sia stato riconosciuto in diversa occasione dalla medesima o da un'altra commissione inquisitrice come disertore per essere andato con Garibaldi ed essere divenuto, pertanto, « reo di ribellione e di tradimento » sulla via di Roma.
Certo è che anche per la marina la pagina di Aspromonte, tra documenti scomparsi ( 26) e maneggi poco chiari, risulta confusa e triste.
(25) Tali Gardella o Galea, Rambosio o Ambrosia, e Cameron. Il 27 ottobre l'Udirore di marina Annovazzi scriveva in proposito al Comandante del corpo R. equipaggi: «Il primo sostiene di essere Gardella Giovanni fu Francesco, d'anni 24, da Palermo, di professione facchino, e dice di essere stato preso prigioniero a Catania il 17 agosto scorso, quando faceva parte della truppa del Generale Garibaldi, ed afferma che egli non fu mai antecedentemente ascritto a qualsiasi Corpo Militare, per cui è certo che egli fu per errore scambiato col Galea, perché risulta a quest'Ufficio che il vero Galea, marinajo nel Corpo R. Equipaggi, disertore d'al Re Galantuomo, sta detenuto nelle carceri di Napoli a disposizione di quel Signor Uditore di Marina, e per cui il Gardella sarà a cura dello scrivente rimesso alla disposizione di quest'ufficio di Questura. Ammette l'altro di essere D'Ambrosia Giuseppe di Pio, d'anni 22, marinajo del Corpo R. Equipaggi e di essere disertato dalla R. Pirofregata Garibaldi in rada presso Palermo, e di aver fatto parte delle bande del Generale Garibaldi al Campo di Firenze, e quindi ad Aspromonte, dove sarebbe stato preso prigioniero. Lo scrivente sta ultimando l'istruttoria per rimetterlo all'Uditore di Napoli per essere sottoposto al giudizio del Consiglio di Guerra ordinario marittimo del Dipartimento, ove la diser· zione avvenne, ovvero per sottoporlo al giudizio di questo Consiglio Superiore di Ammiragliato come reo di ribbellione e di tradimento secondo le definitive risultanze processuali. In quanto al Cameron Angelo, furono iniziati gli ani, ma non essendo ancora arrivato in queste carceri, non si è potuto dar corso ulteriore » (A.U.S.M., busta 91, fase. 3: dove si trovano anche altre carte del settembre, ottobre e novembre 1862 sullo stesso argomento, e soprattutto sulla ricerca del latitante Cameron).
(26) Tra l'altro, non è possibile reperire gli atti del giudizio istruito a carico del Giraud e dell'Avogadro.
Tra il '62 e il '65, sebbene non fossero completamente scomparsi gli elementi di pericolosità che avevano caratterizzato il primissimo periodo dell'Italia unita, destinati a permanere minacciosi finché la guerra del '66 e l'occupazione di Roma del '70 non permisero alla marina di contare su una situazione nuova, profondamente e favorevolmente modificata, tuttavia il governo fu più raramente costretto a ricorrere alla flotta per compiti connessi con la politica interna.
Nell'Adriatico, fino a quando gli italiani non controllarono anche Venezia, la posizione strategica rimase debole e la possibilità di una efficiente sorveglianza del litorale, anche ai fini interni, molto ridotta: tanto che ancora nel settembre del '65 il ministro Angioletti, inviando al Vacca le istruzioni per la crociera che l a divisione , navale al comando di quel contrammiraglio stava per iniziare, includeva nel programma anche una visita intirnidatoria ad Aulone, in Albania, « donde negli anni passati si è temuto imbarcare di briganti per le Provincie Napoletane » (l). Con gli agitatori che effettivamente talvolta sbarcavano di nascosto sulle coste adriatiche, venivano più spesso dal mare contrabbandieri e pirati, vecchia piaga che soltanto la presenza prolungata di consistenti forze navali in servizio di polizia poteva stroncare deftnitivamente.
Nel Tirreno, sebbene la situazione fosse migliorata in Sicilia, dove già nell'agosto 1862 le misure di protezione disposte a difesa delle navi commerciali potevano essere ridotte, le relazioni marittime con lo Stato pontificio rimasero cattive, a causa
(l) A.C.R.M., busta 167, doc. 29, prot. ris. arrivo (Aulone sta per Valona).
del contrabbando di materiale da guerra che unità da cabotaggio pontificie continuavano saltuariamente a far pervenire ai briganti. La sicurezza della navigazione commerciale, però, grazie anche all'opera della marina militare, andò aumentando sempre più: alla vigilia della terza guerra d'indipendenza, le rotte italiane erano ormai divenute assai meno rischiose che non negli anni precedenti. Anche l'attività di polizia costiera delle unità militari leggere aveva sempre meno occasioni di dirigersi contro pirati e sempre più contro contrabbandieri. Per la repressione del contrabbando ordinario, generalmente l'intervento di navi da guerra veniva richiesto dalle autorità doganali caso per caso, con apposite istanze (2).
Mentre dunque andavano rarefacendosi, nel corso del primo quinquennio degli anni '60, gli interventi della flotta in servizio d'ordine nei mari della penisola, a mano a mano che la situazione interna migliorava in un graduale e faticoso processo di normalizzazione, la politica navale del nuovo Stato era volta, tra dissidi e incertezze, ad aumentare la consistenza della flotta, l'efficienza delle formazioni e delle singole unità e la capacità professionale degli equipaggi ( 3 ). Prettamente militati fu-
(2) Si può ricordare, ad esempio, il caso del piroscafo Giglio, che normalmente faceva servizio tra Genova e La Spezia, il quale fu r ichiesto il 31 dicembre 1865 dalla Direzione compartimentale delle gabelle di Genova, affinché prendesse il mare recando a bordo un ufficiale e un drappello di finanzieri, allo scopo di ricercare e fermare la goletta Rosa che era partira da Livorno per Genova con carico sospetto. L'unità venne prontamente concessa, ma non riuscì a sorprende re la Rosa. Di nuovo, su istanza della medesima Direzione delle gabelle, il Giglio fu concesso per una missione che lo portò a metà febbraio 1866 a fare una gita lungo la costa della Riviera orientale affine di impedire un nuovo tentativo di contrabbando di tabacco»: a bordo aveva il solito drappello di finanzieri e questa volta riusd a fermare un battello sospetto e a rimorchiarlo a Sestri Levante, ricevendo le congratulazioni ed i ringraziamenti del ministero delle finanze (A.C.R.M., busta 8, pacco 65, cart. Giglio, rimorchiatore). Per quanto precede, v. anche la lettera dell'Albini al comandante del brigantino Eridano in data 6 agosto 1862 (zbidem, busta 88, cart, agosto).
(3) Cfr. GABRIELE: La politica navale, ecc., cit., parte II, capp. IIIIV. Iniziata dal Cavour fin dal 1860, proseguita dai ministri Menabrea,
rono, nel 1863, gli scopi dell'attività della flotta, che con una squadra armata in campagna di istruzione nel Mediterraneo occidentale, al comando del contramm. Provana, poi con un viaggio della medesima squadra in Portogallo ed infine con una rivista navale a Napoli. curò l'addestramento degli uomini nei limiti imposti da un'esosa economia ( 4 ). L 'anno seguente, l'attività fu ancora più inre:1sa nel campo dell'armamento, con la lunga missione della squadra di evoluzione a Tunisi al comando dell'Albini. che impegnò per cinque mesi alcune tra le migliori unità della marina, con la crociera della flottiglia dei novizi e mozzi
Persano e Cugia, la politica deJ potenziamento qunntitativo e qualitativo della marina militare portò in un sessennìo la lloua italiana, dalle 97 unità per 133.000 wnn. e con un totale di 1.166 cannoni esistenti sulla carta alla data della proclamazio:1e del regno (di cui però erano realmente efficienri solranto 79 unità per 77.000 tonn. e con 745 pezzi), ad un complesso reorico di 103 navi da guerra per 187.000 tonn. e con l AOO cannoni alla del 1• gennaio 1866, della qual forza erano effettivamente utili 8-J unità per 133.526 tonn. e con 1.125 pezzi. Più che dal raffronto di tali cifre, il miglioramento della flona risulta dal rafforzamento delle unità a \ apore ed in particolare delle corazzate, dalla omogeneizzazione del nucleo fondamentale delle navi da battaglia, dal superamento insomma della debolezza estrema insira in quell'accozzaglia di navi eterogenee che figuravano nel primo quadro dd naviglio del regno. A partire dal ministero Persano si era cercato, c si era in parte riusciti a costiruire una flotta abbastanza dotata di unità adatte alle forme nuove di combattimento che si stavano affermando. Nei riguardi della preparazione degli uomini, però, la politica del sessennio fu assai carente, eccetto che nel periodo del ministro Cugia: insufficienze si registra\·ano a rutti i livelli (\'. A.C.R.M., buste 155, 160, 162, 16.3, ecc.: in particolare si veda il « Rapporto della applicazione dei nuovi Regolamenti » inviato al ministero dal contramm. Provana l'Il settembre 1863, in A.C.R.l\1., busta 164, reg. copialettere corr. Ministero). Il naviglio, in sostanza, poté essere migliorato più facilmente che non gli equipaggi. La potenza della marina, auspicata dal Cavour e dal Menabrea, progredita decisamente con il Persano e il Cugìa, non continuò ad accrescersi dopo la caduta del governo Minghetti e soprattutto con l'avvento del Lamarmora e dell'Angiolettit: i risultati se ne videro poi a Lissa.
( 4) « :-\avigherà sempre alla vela, né permetterà che si accendano le macchine se non in caso di estrema necessità » si legge nelle istruzioni inviate al Provana dal ministero (A.C.R.M., busta 155, pacco 11).
e con gli esercizi delle operazioni di sbarco nel golfo della Spezia: durante le quali manovre, malgrado la scarsezza di ufficiali e la scarsa preparazione di quelli in servizio, le non perfette condizioni di molte navi e gli insoddisfacenti risultati delle esercitazioni di evoluzione tattica e di tiro , si fecero tu ttavia dei progressi nell'azione diretta ad amalgamare e ad affiatare gli equipaggi (5).
La flotta ritornò alla ribalta della politica interna con la missione in Sicilia nella primavera e nell'estate del 1865. La divisione era all'ancora a Siracusa, al comando del contramm. Vacca, quando, il 27 marzo, ricevette l'ordine di procedere alle consuete esercitazioni nelle acque di Messina e di Palermo, prendendo a base Messina, il cui porto era ritenuto sicuro, mentre a Palermo le navi avrebbero potuto sostare soltanto con tempo favorevole ( 6 ). Lo spostamento delle unità da guerra verso le due città più importanti della costa sette ntrionale dell'isola era stato suggerito al governo dalla situazione interna siciliana, nel presupposto che le navi avrebbero dovuto svolgere indirettamente già con la loro sola presenza un'azione intirnidatrice e, qualora la situazione precipitasse, avrebbero affiancato l'opera delle truppe e della polizia al fine di garantire la sicurezza ed il mantenimento dell'ordine pubblico. Parecchie grosse bande operavano, infatti, nelle zone interne e con la loro opposizione alle forze governative offrivano un punto d'appoggio agli elementi politicamente ostili all'autorità dello Stato unitario, i quali potevano tentare di sfruttare il disordine per provocare movimenti rivoluzionari, il cui incubo turbava da cinque anni i sonni dei pavidi governanti.
Diverse crociere vennero effettuate in aprile lungo le coste siciliane dalla divisione navale, con manovre ed esercitazioni ed approfittando dell'opportunità per compiere rilievi dei vari porti
(5) Cfr. GABRIELE: La politica navale, ecc., cit., pagg. 214-222.
(6) Lettera del ministero al Vacca in data 27 marzo 1865 {A.C.R.M., busta 167, doc. 13, prot. ris. arrivo).
e ancoraggi (7): nel maggio la formazione raggiunse Palermo, sede della Luogotenenza generale dell'isola, allora affidata al gen. Medici. E a Palermo , il 13 maggio, il Medici scriveva al Vacca per segnalargli di essere venuto a conoscenza di voci allarmanti, secondo le quali in quella notte stessa si sarebbe verificata un'insurrezione nella città e nelle campagne circostanti. Come già in altre analoghe occasioni, il Medici era stato incaricato di dirigere le operazioni militari al fine di un pronto ristabilimento dell'ordine, e pertanto, pur dichiarandosi scettico sulla veridicità delle voci correnti, chiedeva la collaborazione delle truppe da sbarco della marina ( 8 ). La sera del 13 e la notte sul 14 trascorsero nell'attesa dello scoppio del moto insurrezionale: il Vacca, chieste istruzioni a Torino, aveva ricevuto l'ordine di prestare la massima cooperazione al gen. Medici ( 9 ); tutte le forze governative restarono all'erta, ma non accadde nulla. Al mattino seguente il prefetto di Palermo ne dava comunicazione al ministero degli interni (l O) e, alla luce dei fatti, si constatava come avesse avuto ragione il Luogotenente generale e come le autorità civili, al solito, non avessero visto che fantasmi.
( 7 ) Lettera del ministro Angioletti al Vacca in data l O aprile 1865 (A C.R.M., busta 167, doc. 14, prot. ris. arrivo).
( 8 ) «A dir il vero mi sembra inverosimile un tentativo di tal sorta, ma il minimo fatto potendo in questo paese facile ad esaltarsi, prendere forti proporzioni, potrebbe accadere allora ch'io dovessi ricorrere a domandare a V.S. Ill.ma la cooperazione delle Truppe da sbarco da Lei dipendenti» (leuera personale confidenziale del Medici a Vacca in data 13 maggio: A.C.R.M., busta 167, doc. 16 prot. ris. arrivo).
{9 ) Telegramma contramm. Vacca a ministero: «Probabile insurrezione in Palermo Generale Medici ha chiesto cooperazione mia Divisione attendo ordini » (A.C.R.M., busta 167, ali. al doc. 17 prot. ris. partenza ) L'immediata risposta del ministero fu la seguente: «Dia Generale Medici ogni cooperazione. Passi da domani in poi Suoi telegrammi Ministero Firenze » {ibidem, ali. al doc. 17 pro t. ris. arrivo).
{lO) « Palermo al tutto tranquilla. Spirito pubblico rialzato. Panico ieri cessato. Timidi sì convinsero esistenza forze e prontezza autorità. Notevole come cittadinanza ogni colore si strinse Governo, si mostrò pronta. Divisione Navale accorsa quartieri numerosissima nella notte. Spontaneamente unitisi alla medesima studenti. Parola Governo diretta calmare paure esagerate accolta con rutta deferenza. Generale Medici
Dalla metà eli maggio sino ai primi di agosto l'opera della divisione navale in sostegno alle autorità governative che dovevano assicurare l'ordine interno delle province meridionali, subì un'interruzione. Stante la mancanza di pericoli urgenti, le unità restarono impegnate in manovre ed esercitazioni: quindi , a fine maggio , la divisione raggiunse Alger i per una visita di cortesia in onore di Napoleone III ( 11) e a giugno, a ranghi ridotti, si trovava a Napoli ( 12).
perlustra i contorni. Avvenire dirà se falso allarme dato per stancare o per scopo ritirarsi. Banda Morreale che Carabinieri inseguono non più vista da ieri. S'ignora direzione. Fisionomia paese tornata normale. Autorità Governo prevalente» (ibidem, copia all. al doc. 17 prot. ris. arrivo).
( 11) Vittorio Emanuele II voleva far giungere il suo saluto a Napoleone III al termine di un viaggio dell'imperatore in Algeria. 11 ministro Angioletti inviava istruzioni al contramm. Vacca in via urgentissima il 20 maggio: <• S.M. vuole fare cortesia Imperatore Francese ordina Divi· sione Navale muova immediatamente per Algeri, o\·e a\·uto udienza presenti Imperatore saluti S.M. e dica essere ella mandato espressamente. Colà quindi attenderà partenza Imperatore che scorterà per breve tratto e dopo commiato diriga Napoli toccando due giorni Cagliari». Il giorno seguente il ministro ribadiva le istruzioni precedenti, raccomandando all'ammiraglio di lasciar capire a Napoleone III che la missione era stata ordinata per il solo scopo di onorare la sua partenza da Algeri e insisteva sulle manifestazioni di cortesia da tributarsì all'imperatore, rammentando il comportamento della squadra francese quando il re d'Italia si era recato a Napoli nel 1862. La divisione salpò senza indugio ed arrivò nella rada di Algeri il 24 maggio. L'incontro tra l'Imperatore dei francesi e gli ufficiali della marina italiana fu particolarmente cordiale: Napoleone III si mostrò commosso e ricambiò nella stessa giornata la visita salendo a bordo dell 'a mmiraglia italiana, passò in rivista gli stati maggiori, si trattenne a lungo con alcuni ufficiali, visitò tutto il bastimento e al momento di accomiatarsi ripeté al comramm. Vacca «di essere ben lieto di ritrovarsi in mezzo agli italiani a' quali intendeva dare con questa visita un attestato di simpatia ».
L'indomani, ad una colazione a bordo dello yacht imperiale Aigle, Napoleone sedette tra Mac Mahon e il Vacca; e quando la divisione italiana accompagnò a Philippeville l'imperatore, scortato anche dalla squadra del Bouet de Willaumetz, la fregata Italia teneva nella formazione il posto d'onore a destra dello yacht imperiale. Da Philippeville Napoleone III mandò all'amrnìraglio italiano una graziosa lettera di ringraziamento, invitandolo a non attendere oltre, dovendosi egli tratte-
Ma una situazione gravemente tesa stava determinandosi in Sicilia in quei giorni: per il diffondersi del colera che fece in quell'anno molte vittime nella ( 13 ), si accusava il governo di non aver preso le misure necessarie a scongiurare l'epidemia. La paura del terribile morbo e le mormorazioni degli scontenti - numerosi nell'isola, sia pure per motivi diversiche approfittavano di qualsiasi occasione per sollevare contro il governo l'opinione pubblica isolana, avevano nuovamente prodotto uno stato di agitazione veramente pericoloso. Non si trattava, questa volta, di vaghe paure ingigantite dalla cronica pavidità delle autorità locali e del governo, ma di una reale tensione della quale era difficile prevedere con esattezza gli eventuali sviluppi. « Le condizioni dell'isola di Sicilia per l'esaltamento della popolazione, stante la tema dell'invasione del cholera, richiedono le maggiori cure da parte del Governo » era giustamente detto nelle istruzioni che da Firenze, nuova capitale, il ministro Angioletti inviava al comandante della divisione navale ancorata a Napoli il 2 agosto, ordinandogli di trasferirsi a Messina con le sue unità ( 1 4 ). Era stato stabilito che il ministero
nere alcuni giorni a Costantina. Terminata così la sua missione, la divisione salpò per Cagliari, dove gettò l'ancora il 29 maggio. Un singolare, ma significativo strascico di questo episodio si ebbe più tardi, nell'agosto, quando il Vacca si lamentò con il ministero che le decorazioni offerte all'ammiraglio e agli ufficiali superiori francesi non fossero state ricambiate ( documenti relativi aHa missione in A.C.R.M., busta 167, prot. ris. arrivo e partenza).
(12) A.C.R.M., busra 167, doc. 19, prot. ris. arrivo.
(13) Sul colera in Italia in quell'anno cfr. REGNO n'ITALIA - MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E CoMMERCIO - Statistica del Regno d'Italia: Sanità pubblica - Il cholera-morbus nel 1865-1866-'67, Firenze, 1867-18ì0; e G. FRIZ: La popolazione di Roma da! 1770 al 1900, in « Archivio economico dell'unificazione italiana» serie II, vol. XIX, Torino, 1972, pagg. 101, 109, 112.
{14) Ministro Angioletti al Vacca in data 2 agosto 1865: A.C.R.M., busta 167, doc. 21, prot. ris. arrivo. Per il rifornimento di combustibile il ministro suggeriva di fornire le fregate « di carbone a Reggio onde vuotare quel deposito che deve sopprimersi »: ma fu obbiettato che lo scalo a Reggio per i rifornimenti avrebbe contribuito ad aumentare le
degli interni avrebbe provveduto nell'isola ad assicurare l'ordine pubblico e le misure igieniche essenziali, mentre la marina avrebbe dovuto assolvere al servizio di controllo sanitario per mare. Il ministro riconosceva che, dato lo scarso numero di navi di cui disponeva il contrammiraglio, non era possibile organizzare un vero e proprio cordone sanitario: tuttavia la divisione avrebbe dovuto assicurare il rispetto delle leggi sanitarie nei principali porti dell'isola e rassicurare con lo spiegamento « dell'imponente forza marittima >> la popolazione contro la violazione delle leggi sanitarie; come porto di stanza, su cui gravitare, si assegnava alla formazione quello di Siracusa, da cui però le unità avrebbero dovuto muovere in continue crociere di controllo sugli altri porti.
Il compito della marina non appariva agevole, dovendosi visitare i natanti, controllare l'applicazione delle misure igieniche e contemporaneamente tenersi pronti ad appoggiare l'azione delle autorità di terra per mantenere tranquilla l'isola. Il Vacca procedette per Messina, ma appena arrivò, il 7 agosto, si rese conto che la situazione presentava notevoli caratteristiche di pericolosità: la Sicilia era pervasa da una vera e propria psicosi dell'invasione del colera e il terrore dell'epidemia era fonte di turbamento. A Messina il popolo appariva assai depresso, e non a torto: tuttavia, come il contrammiraglio scriveva in una comunicazione riservatissima al ministero (15), era facile notare l'azione sobillatrice della « parte esaltata e sovversiva la quale coglie le occasioni per spingere il popolo aa eccessi e violazioni delle leggi >>. Era anche colpa delle autorità, se la situazione dell'ordine pubblico appariva tanto deteriorata: !l Vacca le accusava di incapacità, divise come erano e incerte fra le idee di prudenza e i propositi di energica coercizione. L'uso della forza per imporre alla gente il rispetto e l'ordine era per il comandante della divisione il metodo migliore da seguire, specialmente dopo gli ultimi eccessi che erano stati commessi da popolani esaltati
diffidenze della popolazione siciliana, la quale temeva che con il carbone le navi imbarcassero anche i bacilli della malattia.
contro le autorità sanitarie e contro l'edificio della Deputazione di Salute: «ora questo popolo minaccia il Governo e le pro« prietà , facendosi scudo di un supposto avvelenamento che il « governo manda alle popolazioni, e che una volta fu portato « dal Minghetti , un•altra volta dal Persano, ora si sparge por« tato dalla Divisione ». L'eccitazione popolare era giunta a tal punto, che i cittadini si armavano e si organizzavano in gruppi e presidiavano i loro quartieri, impedendo il passaggio ad ogni estraneo , per timore che portasse il contagio: ciò aveva dato luogo a violenze, intorno alle quali si era stabilità l'omertà, essendosi diffusa la convinzione , soprattutto negli strati più ignoranti della cittadinanza, che bisognasse difendersi prima di tutto dalle stesse autorità governative.
Nel telegramma di risposta del ministero, si avvertiva il Vacca che « si temono disordini pretendendo siciliani l'isola« mento assoluto dal Governo proibito » ( 16 ); il contrammiraglio veniva autorizzato a dividere le sue forze ove lo avesse ritenuto opportuno, ma con l'esortazione ad agire sempre di concerto con le autorità militari e politiche, per assicurare il mantenimento dell'ordine pubblico.
Nel corso del mese , si ha notizia della presenza della divisione a Catania e a Siracusa , sempre per esplicare il servizio sanitario marittimo: avendo deciso il governo di ordinare la quarantena per tutti coloro che giungessero in Sicilia dal continente, toccava alla divisione provvedere a che tale ordine venisse osservato, ed è soprattutto alla necessità di imporre l'obbedienza a questa misura che si deve attribuire il dislocamento delle unità navali sulla costa orientale siciliana , in modo da poter controllare il traffico di cabotaggio che si svolgeva in prevalenza lungo il litorale e che gravitava quindi sugli approdi dello Stretto. Il Vacca fece del suo meglio, ma probabilmente si dimostrò un po' troppo zelante e provocò qualche lamentela , a giudicare dal dispaccio
( 16 ) Telegramma urgente dell ' Angioletti al Vacca in data 10 agosto 1865 e lette ra riservata id. id. in pari data: A.C.R.M., busta 167, docc. 24 e 25 prot. ris. arrivo.
inviatogli dal mtrustero il giorno 12 (17), in cui lo si invitava a non agire di propria iniziativa.
Il terrore dell'epidemia, come si è detto, era spesso un pretesto per sfogare il malumore del popolo sommamente malcontento della nuova amministrazione dello Stato unitario, e forse più a questo pericolo che non alla necessità di controllare i battelli in arrivo si devono le numerose richieste di navi rivolte dai prefetti al comando della divisione: il Vacca, dal canto suo, essendo responsabile del servizio sanitario marittimo per tutto il litorale dell'isola, cercava di farsi sentire dai prefetti proclamando un atteggiamento intransigente e raccomandando di « mantenere il rispetto delle leggi da qualunque parte si minacci di violarle » (18 ).
Non si sono potute rintracciare , per q•Jesto periodo, altre notizie importanti in relazione all'impiego della divisione nelle acque della Sicilia durante l'epidemia di colera: ma risulta che il Vacca si trattenne a Siracusa fino alla fine del mese di settembre. Le istruzioni del ministero del 20 settembre e del l o ottobre che gli ordinavano di recarsi nelle acque greche, erano infatti indirizzate a Siracusa ( 19) e si può presumere che nel settembre, quando l'Angioletti decise di far eseguire alla divisione quello che doveva essere un giro di istruzione, la situazione siciliana, sia dal punto di vista sanitario, sia da quello dell'ordine interno, fosse notevolmente migliorata. Il colera era ancora virulento in vari centri, specie dell'Italia meridionale, ma la sua pericolosità era ormai in fase decrescente, salvo in qualche punto: se ne trova indirettamente notizia nelle istruzioni inviate dal ministero alla fine di ottobre, in cui, ordinandosi al comandante
(17) «Limiti la sua azione ad appoggiare le disposizioni date dal prefetto quando ne viene regolarmente richiesto senza prendere iniziativa sua » (dispaccio del 12 agosto, A .C.P. M., busta 167, doc. 27 prot. ris. arnvo.
(18) Lettere del 13, 14 e 17 agosto in A.C.R.M., busta 167, doc. f, prot. ris. arrivo e partenza.
(19) A.C.R.M., busta 167, doc. 29, prot. ris. arrivo
della divisione di recarsi con le sue unità ad Ancona, per far conoscere quella città agli ufficiali e per risollevare il morale della popolazione, depresso per la recente epidemia, lo lasciava libero di scegliere la rotta e gli scali, ma gli proibiva di toccare Brindisi, dove il morbo infuriava ancora (20).
Quel che era stato tanto temuto e non si era poi verificato tra il 13 e il 14 maggio 1865, il movimento insurrezionale in Sicilia, scoppiò invece con violenza di gran lunga maggiore a Palermo nel settembre dell'anno successivo, cogliendo di sorpresa tanto il governo quanto le autorità locali (l). Sui fatti svoltisi nella capitale siciliana alla fine dell'estate del 1866 esiste una copiosa letteratura, sia dell'epoca (2), sia posteriore (3 ), e molto può ritenersi acquisito dalla corrente conoscenza storica: meno
( l ) La fulminea estensione iniziale del moto, infatti, venne favorita soprattuttO dalla scarsissima consistenza delle forze disponibili in Palermo : 450 uom ini di truppa mobile di linea (granatieri, reparti del l o• deposito, del 69" e del 70.), di cui circa un centinaio di soldati addestrati, il resto reclute di II categoria delle classi 1842, '43 e '44; una bat t eria di 6 pezzi da 8 riga ti con 168 uomini, dei quali una sessantina istru i ti . gli altri reclute; 520 armati tra guardie dei dazi municipali e pompieri; 410 elementi di polizia e carabinieri; 250 guardie doganali; 80 allievi dell'istituto « Garibaldi »: in tutto 1.878 uomini , comprese 400-500 reclute. Gli armati asserragliatisi nel Palazzo reale insieme al gruppo delle aurorità militari e civili ammontavano a rirca 600 (PAGANO: A.vvenimenti del 1866. Sette giorni d ' insurrezione a Palermo, Palermo, 1867, pagg. 83 e 86).
(2 ) G. CroTTI: Cenni storici sugli avvenimenti di settembre 1866, Palermo, 1866; T. MERCADANTE: I fatti di Palermo nei sette giorni di anarchia desunti da fonti ufficiali, Palermo, 1866; P. MESSINEO: Le sette giornate di Palermo, Palermo , 1866 ; F VARVARO POERIO: Storia di sette giorni . Cenni storici degli avvenimenti seguiti a Palermo nel settembre 1866, Palermo, 1866; V . MAGGIORANI: Il sollevamento della plebe di Palermo e del circondario nel settembre 1866; G. PAGANO: op. cit.; ed altri.
(3) Importante, tra i moderni. lo studio del BRANCATO: Origini e caratteri della rivolta palermitana del settembre 1866, in « Archivio storico siciliano», serie III, vol. V, Palermo, 1953.
noti, nei particolari, sono gli aspetti della partecipazione della marina militare alle operazioni di riconquista della città ( 4 ). Dopo gli avvenimenti di quell'anno infausto - Custoza, Lissa e le susseguenti vicende - alla prima notizia dell'esplosione del furore popolare tra la popolazione palermitana , il governo era certo di poter contare sulla marina ancor più che sull'esercito: sebbene il morale di quest'ultimo non fosse tanto depresso quanto ritenevano, o speravano, i mazziniani (5), tuttavia la flotta appariva più sicura. alcuni allarmi, poi rientrati, e quantunque si fosse manifestato il grave rifiuto di un ammiraglio srimato, quale il Pro vana, di assumere il comando in capo ( 6 ), benché infine gli ufficiali superiori si accusassero a Yicenda della sconfina e la stampa e l'opinione pubblica, esacerbate dalla delusione sofferta, si scagliassero contro la marina, in ultima analisi, però, la situazione non era così grave come si sarebbe potuto supporre. Le diserzioni erano state poco numerose, gli ufficiali si prendevano cura dei loro uomini, controllando il vitto che veniva loro fornito e preoccupandosi delle loro condizioni di vita, i servizi sanitari stessi, già tanto carenti, erano migliorati (7): non vi era quindi nella flotta un'ostilità e una
(4) Cfr. \Y/. GHETTI: La Marina nei moli di Palermo del 1866, in « Rivista marittima », 1962, giugno; c M. GABRIELE: La marina mi/tIare alla riconquista di Palermo (settembre 1866), in « Nuovi quaderni del Meridione», n. 16, Palermo, 1966.
(5) Nell'agosto il Mazzini scriveva: « L'esercito è irritato e, maneggiato a dovere, si smembrerebbe e, credo, non rifarebbe Aspromonte » (Lelfere di Giuseppe Mazzini ad Andrea Giannellt, Firenze, 1878, vol. II, pag. 264 ).
(6) L 'episodio (: assai noto: il ministro della marina Deprctis telegrafò al Provana 1'8 agosto in questi termini: «Il Governo lo ha nominato Comandante in Capo. Il Go,·erno in questi momenti supremi confida nella sua devozione al Re e nel suo patriottismo. Feccia immediatamente sue proposte». L'ammiraglio rispose lo stesso giorno: «Alla vigilia delle ostilità sono pronto ad imbarcarmi come semplice Comandante, non assumo Comando in Capo» (A.U.S.M., cassetta 51, vecchia collocazione).
(7) A.C.R.M., busta 174, fase. Principe Umberto. Sulle condizioni sanitarie a bordo delle unità della marina militare in quegli anni, dr.
divisione, tra ufficiali ed equipaggi, che potesse far ritenere giustificata una previsione di rifiuto aU'obbedienza quando se ne fosse presentata l'occasione.
Alla metà di settembre, la prima divisione della squadra di operazioni, composta in gran parte da unità di legno ereditate dalle marine regionali italiane, era concentrata a Taranto, sotto gli ordini del contrammiraglio Augusto Riboty, futuro ministro della marina, che si era condotto onorevolmente a Lissa e aveva fama di essere uomo di polso. A lui giunse il 16 settembre l ' ordine urgentissimo di salpare per Palermo: ma, nell'affannosa confusione del momento, al ministero ci si era dimenticati che il Riboty non era in possesso della cifra e che quindi non poteva decifrare il dispaccio del Depretis ( 8 ). Chiarita la situazione e continuando la pioggia dei telegrammi (9), la for-Za navale prese il mare nelle ore antimeridiane del giorno 17 (l O).
rapporto del medico capo degli ospedati di bordo della squadra all'amm. Albini in data 20 luglio 1864, in A.C.R.M., busta 162, pacco 41.
( 8 ) A.C.R.M., busta 174 , fase. Corrispondenza Ministero. Il primo telegramma del Depretis arrivò al Riboty alle ore 14 del giorno 16: l'ammiraglio rispose immediatamente (disp. 113): «Non avendo cifra non comprendo suo telegramma. Scriva se crede con dizionario telegrafico di bordo»; qualche ora dopo, non ricevendo risposta, insisteva (disp. 114 ): « Non si comprende dispaccio urgentissimo alle due pomeridiane d 'oggi. N on si ha ci fra a bordo. Attendo ordini ».
( 9 ) Ibide m : alle 19,36 arrivò il telegramma urgente spedito da Firenze alle 18,45: «Già spediti altri disp:1cci con telegrafo di bordo. Urge affrettare partenza»; aUe 21 ,52 quello inviato alle 21,05 : «Prego dirmi se riceve ne dispaccio con dizionario telegrafico di bordo >>; alle 7,30 del giorno 17 un terzo sollecito, mandato da Firenze aUe 2,30: « Affretti partenza e faccia tragitto a ruttO vapore alla massima sollecitudine». Dal canto suo il Riboty, alle 20,30 del 16, avendo finalmente ricevuto gli ordini , faceva preparare ie navi alla partenza con la maggiore rapidità possibile e ne dava conferma, con disp. 115, al ministero : «Assicuro partenza questa notte o alba domattina >>; contemporaneamente trasmetteva a Napoli, al comando in capo del 2• dipartimento marittimo: « Prima divisione muove da questo porto ».
(10 ) Salparono per prime le corazzate Re di Portogallo e Principe Umberto, alle quali seguirono, a mano a mano che furono pronte, le f regate Maria Adelaide, Duca di Genova, Gaeta, Garibaldi, Carlo Alberto
Intanto , gli avvenimenti a Palermo erano precipitati. Nella mattina del 16 i rivoltosi si erano impadroniti della città, mentre le autorità politiche e militari , 'tsserragliatesi nel Palazzo reale, tempcstavano Firenze di richieste di aiuto, che cessarono bruscamente quando gli insorti tagliarono i fili del telegrafo. Gli assediati ebbero tuttavia il tempo di ricevere dai prefetti di Messina e di Napoli l ' annuncio della partenza dei primi rinforzi ( 11 ).
Così , mentre la divi sione navale era in navigazione a tutto vapore. giungevano a Palermo , nelle prime ore del mattino del 18 , due unità della marina militare, salpate da Napoli alla mezzanotte tra il 16 e il 17: la corvetta T ancredi, ex-napoletana ( 1.168 tonn .. 6 cannoni) e. il trasporto Rosalino Pilo (925 tonn., 2 cannoni ). che per la sua scarsa velocità aveva proceduto a rimorchio dell'altra unità: recavano a bordo un migliaio di soldati del 52o fanteria. Queste due navi ebbero parte rilevante nelle vicende del giorno 18, come risulta dal rapporto del cap. freg. Carlo Felice Baudini, comandante del T ancredi , al contrammiraglio Riboty ( 12 ) :
« Rassegno a codesto comando della R. Squadra il detta« gliato rapporto sull'operato, da che io fui spedito dal comando « in capo del 2o Dipartimento Marittimo per venire in soccorso « della guarnigione di Palermo infine al momento dell'arrivo del« la R. Squadra. Partii da Napoli sulla mezzanotte dal 16 al 17 « p.p. e diressi per Palermo, avendo a bordo 148 uomini del 52°
e la corvetta San Giot•anni CRANDACCIO: Storta delle marine mtlitarz ztaliane dal 1750 al 1860 e della marina militare italiana dal 1860 al 1870, Roma, 1886, vol. II , pagg. 228 e 301). Come punto di riunione era stabilito il golfo di Palermo.
( 11) PAGANO, op . cii., pagg. 86-99.
( 12) A.C.R.M. , busta 174 , fase: Corrispondenza Mini st ero: « Ra!>porto sull'operato della R. Corvetta nella gio rnata del 18 sette mbre sulla rada di Palermo», del cap. frcg. C.F. Baudini all'Amm. Riboty, in data 20 settembre 1866, n. 284, con 5 allegati ( 1•. ordine al Rosolino Pilo di carbonare e ritornare a Napoli; 2• e 3°, dispacci e richiesta di viveri al Comando militare di Messina; 4 , telegrammi cifrati per il ministero e per il comando del II dipartimento marittimo con informazioni sulla situazione di Palermo; 5· , rapporto per il comando del II dipartimento marittimo sull'operato delle due unità a Palermo).
«reggimento fanteria, e scortando il Rosalino Pilo con circa 900
« uomini dello stesso reggimento. Il Rosalino Pilo non potendo
« far più di 4 miglia e Y2 di cammino, fu da me tratto a rimor-
« chio fino a Palermo dove arrivai sulle 8 a.m. del giorno 18.
«Appena giunto nelle adiacenze del porto, si presentarono a me
«un luogotenente della capitaneria del porto, un capitano di Piaz-
« za e parecchi ufficiali di diverse armi, per farmi edotto delle
« condizioni in cui versava la piazza e città di Palermo, la quale
« da più giorni si trovava in mano ai rivoltosi i quali scesi in massa dal borgo di Monreale avevano invaso la città, si erano
« impadroniti del Municipio ed assediato le autorità politiche
« e militari nel Palazzo Reale, il quale non aveva a presidio che
« 600 uomini con 6 cannoni e difettava grandemente di muni-
« zioni da guerra e di viveri. La città mi si disse essere in mano
« a quanto vi ha di triste in Sicilia e mi si volle assicurato che i
« rivoltosi potessero ascendere a 90 mila ( 13 ). La guarnigione
<< erasi ridotta in piccole proporzioni nei casali del porto, nella
« Viccaria e nel forte di Castellamare, mentre che un presidio
« di circa 3 8 uomini sosteneva ancora il palazzo delle Finanze.
« Ed infatti all'avvicinarmi del porto, vidi fare un fuoco vivissi-
« mo dalli insorti appiattati nei giardini circostanti alla Viccaria,
« e dalle case che formano la testa del borgo di S. Lucia sul largo
« della Viccaria e più specialmente dalla chiesa di S. Lucia.
« L'insorti erano provvisti di vecchi cannoncini montati so« pra fusti marini (cannoni che furono poi presi dai Bersaglieri)
« e minacciavano direttamente la Viccaria ed il porto. Pochi col<< pi di cannone avrebbero bastato per aprire breccia nelle mura
« di circonvallazione della Viccaria, il cui presidio in numero di « 600 uomini non avrebbe bastato certo per respingere lo at« tacco degl'insorti ed a mantenere in freno i 2000 condannati «che mi si assicurava avessero già tentato anch'essi la rivolta. Il «porto poi era più seriamente minacciato, perché mentre respin-
{13 ) Cifra palesemente esageratta. E' eccessivo anche il numero di 25.000 riportato dal GHETTI (art. cit., pag. 14): forse è abbastanza vicina al vero la cifra di 15-20 mila uomini, a cui fanno riferimento vari scrittori e molte testimonianze.
« geva lo attacco sullo stradone che mena a S. Lucia, avrebbe
« potuto essere preso alle spalle dalle falde del monte Pelle« gnno.
«Codesti dati io li ebbi concordi da quanti vennero a bordo
« al mio giungere in porto. Senza titubare io risolsi di oppormi
« con quanto avevo di forze per proteggere la Viccaria ed il Por-
« to, e tenere in freno i rivoltosi minacciando con qualche colpo
« di cannone i giardini ed i campi che stanno in quelle adiacen-
« ze. In conseguenza io m'imbozzai sulla boa più foranea del
« porto , presentando il fianco sinistro al borgo S. Lucia, e co-
« minciai il fuoco a granate dirigendo qualche colpo alla testa
« del borgo e tirando in arcata sui giardini e campi radenti la
« Viccaria. Assunsi su di me gravissime responsabilità. L'immi-
« nenza del pericolo me l'impose indeclinatamente. Ad ogni costo
« io volli protetta la Viccaria e salvo il porto quale rifugio per le
« truppe della guarnigione e per base di operazione di quelle
« forze che il governo avesse creduto di mandare per domare la
« rivoluzione. In pari tempo sapendo che le truppe non aveva-
« no viveri ordinai al Rosolino Pilo di consegnare al presidio del
« porto tutti i viveri che aveva a bordo non conservandone pet
« sé che i1 quantitativo necessario per 4 giorni, essendo che ave-
« vo deciso di respingerlo a Napoli dopo avere imbarcato col-
« l'opera del suo equipaggio il carbone che gli era necessario. A
« mia volta io ravvitagliai per due giorni il forte di Castellamare
<<dove v'erano 400 condannati e circa 200 uomini di presidio,
« mandandogli inoltre quantità di capellozzi fulminanti di cui la
« truppa difettava, come pure consegnai mtte le mie munizioni di
« cartucce a palla per fucili di fanteria al distaccamento che avevo
« portato con me, il quale n ' era poco provvisto.
« Allo scopo poi di tutelare lo sbocco dello stradale che dal
« porto conduce a S. Lucia ed alla Viccaria feci sbarcare i due
<< cannoni da 17/c I. R. montati sopra affusti a ruote del Rosalino
« Pilo e li feci consegnare al Maggiore comandante il battaglio-
« ne del 52° fanteria, mentre che sbarcavo tutta la mia compa-
« gnia da sbarco con due cannoni sotto gli ordini del Sottotenente
« di Vascello Sig. Porcelli a cui davo per consegna di mettersi
« sotto gli ordini del succitato ufficiale superiore più anziano
« fra gli ufficiali del presidio, e con consiglio di fare subito una
« forte barricata con cannoniere per proteggere lo stradale con
« i cannoni.
« Siccome poi la posizione s'andava aggravando ad ogni
« momento e poiché vociferavasi della resa a discrezione del Pa-
« lazzo Reale e che inoltre il Governo non poteva essere edotto
« della gravissima situazione in cui versavano i suoi rappre-
« sentanti, essendo il telegrafo in mano agli insorti: e che il bi-
« sogno di viveri non ammetteva ritardo, assunsi sopra di me di
« costringere la compagnia Florio, perché avesse fatto partire
« senza dilazione due piroscafi , l'uno per Messina con un mio
« ufficio a quel Comando Militare, nel quale ufficio io doman-
« davo immediato soccorso di viveri, mentre che gli spedivo due
« telegrammi in cifre , l'uno per il Ministero e l'altro per il co-
« mando del 2"' Dipartimento Marittimo; ed il secondo piroscafo
« lo diressi per Napoli con un mio rapporto al sopracitato Co-
« mando poiché temetti che il Rosolino Pilo non potesse partire
« atteso il tempo minaccioso sopravvenuto in quell'andare. La
« compagnia Florio non frappose ostacolo in proposito ed i ca-
« pitani dei piroscafi Leone ed Archimede si prestarono all'uopo
« con tutta energia e devozione al Governo.
« Il Rosalino Filo, a cui sulla sera avevo fatto facoltà di « non partire atteso il cattivo tempo, volle tentare di ricondursi
«a Napoli avendo a bordo 10 feriti di fanteria, se non che so-
« praggiuntegli alcune avarie nelle caldaie dovette retrocedere
<< nella notte. E qui mi cade in acconcio di portare a conoscenza
« di codesto Comando della Regia Squadra quanto io ebbi a « lodarmi della condotta del suo comandante Luogotenente di « Vascello Sig. Miloro Antonio, il quale non pretermise ener<< gia ed attività, secondandomi in tutte le disposizioni che lo « riflettevano con rara intelligenza ( 14 ).
(14 ) Quesro ufficiale aveva tra gli insorti un fratello, il quale, preso prigioniero con le armi in pugno, morì poco dopo per le ferite riportate in combattimento (GHETTI, art . ci t., pag. 15 ) : «Fortunatamente» annotava A.V. Vecchi « perché così tolse d ' impaccio noi, suo fratello e se stesso ».
« Durante il giorno io feci fuoco a larghissimi intervalli di « tempo, essendo che la Regia Pirocorveua era poco provvista
« di munizioni da guerra tolte ad impresrico dall'Ettore Fiera<< mosca al momento della partenza, poiché da meno di 24 ore
« il Regio Legno era uscito dal bacino di 1\apoli. Fu mia cura il
« fare meno male possibile ai caseggiati da dove non vedevo far
« fuoco sulla Viccaria e sullo stradale del porto, e diressi quasi
« tutti i colpi nei giardini e nei campi.
« Sulle 4 p.m. cessai il fuoco e mi ormeggiai per la notte sul-
« la boa di ormeggio, mantenendo però lo zaffarancio di combat-
« timenro. Nella notte ordinai un servizio di due lance armate in
«perlustrazione, affinché impedissero ogni traffico col porto e
<< sul litorale della città poiché mi si era asseverato essere atteso
<< un rinforzo di malviventi di Ustica.
« Nella notte sul giorno 19, imbarcato sopra il piroscafo
« Milano, giunse un Battaglione di Bersaglieri che feci subito
« scendere a terra, e nel mattino, visto all ' orizzonte lo apparire
« della Regia Squadra, sospesi ogni qualunque mio ulteriore prov-
« vedimento e venni rosto a bordo del Legno Ammiraglio a ripe-
« tere a voce quanto nell'interesse del Governo e della città stes-
« sa di Palermo io avevo creduto di assumere su di me per im-
« pedirc più grave danno ed oggi ne rassegno dettagliato rap-
« porto per iscritto, essendo che quello da me spedito al Coman-
« do del zo Dipartimemo 1v1arittimo fu dettato in momenti in
« cui essendo io l'ufficiale più in grado di quanti stavano ancora
« a difesa delle posizioni occupate dal Governo e libere nelle loro
« comunicazioni non potè essere un sunto completo di quanto io
« feci e ordinai, essendo che ad ogni minuto io ero ricercato per
« disposizioni ed ordini e per ricevere tutte le comunicazioni che
«militari e cittadini credevano di dovermi riportare nell'inte« resse generale del Governo e della città ».
Cosi il primo aiuto era venuto dalla marina, il cui imervento tempestivo, anche se effettuato con forze modestissime, era stato assai efficace sul piano psicologico, rianimando il morale degli assediati, e notevole sul piano tattico, impedendo la liberazione dei detenuti da parte degli insorti. Si dimostrava pertanto come la flotta, in politica interna, costituisse la forza mobile più
immediatamente impiegabile in situazioni di emergenza e l'unico strumento logistico capace di permettere il trasferimento celere di reparti terrestri a distanza. Tali effetti positivi dovevano accre· scersi il giorno 19 , con l'arrivo della divisione Riboty , anche se fu vano il primo tentativo dei governativi del Palazzo reale di porsi in contatto con essa ( 15 )
Le unità da guerra, appena giunte, erano state disposte con le fiancate parallele alla riva, per tenere la città sorto la minaccia dei cannoni. Ma da terra non erano venute azioni ostili e le imbarcazioni della squadra avevano potuto far la spola indisturbate fra le navi alla fonda e la zona portuale controllata, tra le caserme dei Quattro Venti e quelle di Castellamare. In tal modo furono rapidamente sbarcate armi e munizioni, viveri ed uomini: il forte di Castellamare ricevette dei cannoni di rinforzo e le truppe trasportate dal continente presero terra. Alle l O l'amm. Riboty sbarcò per effettuare una ricognizione, accompagnato dal cap. freg. Emerico Acton, comandante in seconda della nave ammiraglia Re di Portogallo. Un'ora dopo presero terra un battaglione di marinai ed uno di fanteria di marina, insieme ad una aliquota di artiglieria da sbarco: si trattava delle forze che, unitamente a quelle di altre specialità dell'esercito, avrebbero dovuto tentare , appena possibile, di rompere il cerchio che assediava Palazzo reale. Due unità, il T ancredi e il Duca di Genova, accompagnate da imbarcazioni minori, sorvegliavano la costa
(15 ) <<L'arrivo della flotta >> scrive il PAGANO (op. cit., pagg. 114· 118 ) << ave va confortato gli animi abbattuti della gente rinchiusa al Palazzo Reale e fu loro primo pensiero porsi in relazione con essa>>. Ma la sort1ia, rentata per l'Olivuzza, via dei Lolli, largo San Francesco di Paola, da un gruppo di armati al comando del cap. Fallardi, non tiu· sci: quasi tutti i militari caddero o furono catturati dagli insorti. Allora, « perduta la speranza di collegarsi sulla sinistra colla flotta, si avvisò il comrammiraglio della g ravità delle cose. Coll'acido di limone scrissero · sulla carta: - Abbiamo vi veri per due giorni, munizioni da guerra per due , pensate ad unirvi con noi -. Erano otto messi travestiti i mandati e uno solo riuscì. li Riboty aveva risposto: - Vengo - », Cfr. analoga narrazione presso il RANDACCIO: Storia delle marine militari italiane, ecc., cit. , vol. II, pag. 303.
durante le operazioni di sbarco, che non incontrarono il minimo ostacolo: secondo il Ghetti la presenza della flotta ebbe un effetto assai deprimente sugli insorti, che cercarono di scendere a patti attraverso la mediazione del console francese ( 16 ).
Depressi o no, sta di fatto tuttavia che gli insorti stessi, come avevano resistito valorosamente nelle prime ore della mattina alla sortita del drappello che da Palazzo reale intendeva raggiungere il porto, cosl bloccarono un tentativo dei bersaglieri, a mattino inoltrato, e, nel pomeriggio, un più impegnativo sforzo di tutte le truppe disponibili. Questa seconda azione venne condotta al comando dell' Acton, che il Riboty aveva nominato comandante delle forze da sbarco, e che nella sua relazione così riferiva ( 17 ):
«Nominato dalla S. V. al comando delle truppe da sbarco, « mi recai nelle ore del mattino del 19 a terra, per mettermi « di concerto col maggiore più anziano che trovavasi al co«mando delle truppe che bivaccavano ai Quattro Venti.
«Assistetti al primo attacco dato in Scinà dal 24° battaglio« ne bersaglieri comandato dal maggiore Brunetta, il quale giun« se in piazza Ruggero Settimo ove prese tre piccoli pezzi di
(16) Si veda il cit. art. del GHETTI: «Le oscure murate delle fregate, immobili, con le volate dei cannoni chiaramente visibili fuori dai portelli; l'incessante movimento delle imbarcazioni; lo sbarco di truppe di mare cominciano ad influenzare i rivoltosi. Circola voce che si tratti della flotta britannica con a bordo un principe borbonico per il uono di Sicilia. Ma i colori delle grandi bandiere nazionali, vivaci nel translucido mattino, sono perfettamente visibili ed il comitato rivoluzionario pensa che sia ora di far sondaggi, a mezzo del console di Francia, per una tregua o capirolazione che riconosca belligeranti gli insorti c assicuri l'impunità». Circa tali contatti dei rivoltosi con il console di Francia, cfr. anche il rapporto del 22 settembre del console stesso, pubblicato da F. BRANCATO (op. cit.).
(17) A.C.R.M., busta 174, Corrispondenza Ministero: «Rapporto del capitano di fregata Emerico Acton, comandante del corpo di sbarco, al contrammiraglio Riboty, comandante della r divisione della Squadra Operazioni, Palermo, 25 settembre 1866 ». Si veda anche il rapporto finale dell'amm. Riboty al Depretis ministro della marina, pubblicato dal RANDACCIO, op. cit., vol. II, pagg. 301-306.
<<artiglieria agl'insorti e si ritirò nelle prime posizioni (18). Al« lora invitai il predetto signor maggiore a voler fare mangiare
« e riposare la sua gente mentre io avrei fatto eseguire lo sbarco
« dei marinai e soldati di fanteria marina dei Regi Legni che « già trovavansi in pronto e tentare da poi di fare un attacco « per aprire la comunicazione con le Autorità di Palazzo Reale «percorrendo via Scinà, piazza San Francesco di Paola e porta «d'Osimo.
«Alle riuniti i due battaglioni di marinai e fanteria «marina con dieci pezzi da sbarco(19), in rutto 1.170 uomini, « sul viale del mole , sotto dirotta pioggia, presi il comando della << spedizione, avendo anche sotto i miei ordini il 24o battaglione
« bersaglieri comandato dal bravo maggiore Brunetta che fian« cheggiava l'artiglieria da sbarco la quale marciava in testa, « una frazione del 5° battaglione granatieri e parte del 19° di « linea. Allo sbocco della piazza della Viccaria, ricevuti a fuci« late dagl' insorti, tirammo alquanti colpi a granata e traver« sammo hl via Scinà recevendo il fuoco dalle case e dalle can-
( 18 ) Derro ma gg iore Brunetta così scriveva nel suo proprio rap· porto al contramm. Riboty, da questi ritrasmesso a Firenze, al mini· stero: « Questa mattina uscii dal locale della 3 ' casa ove stetti bivaccando la notre, e col battaglione in colonna serrata marciai verso il Corso Scinà fino alla sua imboccatura sulla piazza della Vicaria. Colà giunto, ricevuto a fucilate dalle prime case di corso Scinà , feci marciare avanti la r compagnia, e colle altre feci delle diversioni verso Santa Lucia e a lato della Vicaria. La l ' com!)agnia rispondendo ai fuochi obliqui che venivano dalle case del corso , si portò fino alla piazza Ruggero Settimo ricono scendo terreno e vidde che l'insorti respinti si rifugiavano dietro la barricata di via Le altre compagnie mantennero un vivo fuoco cogli insorti nelle case, ed arrivarono a scassinarne parecchie venendo a corpo con gli insorti. Mi ritirai in buon ordine avendo preso agli insorti numero tre piccoli pezz i di artiglieria, e mi ritirai in quartiere; ebbi in questo attacco n. 3 feriti gravemente e qualcuno leggero. Ufficiali e soldati dimostrarono molto valore e non ho che ad encomiarli tutti... »
(A.C.R M., busta 174, fase Corrispondenza Ministero).
(19 ) Secondo il GHETTI ( art. cit. ), il quale fonda il suo racconto sui ricordi dell'allora tenente di vascello A.V. Vecchi che in quella cir· costanza comandava l 'artiglieria , i pezzi presi agli insorti dai bersaglieri q ue lla mattina sarebbero stati 14: 7 sezioni di 2 pezzi ciascuna.
« tonate delle vie trasversali d'onde i granatieri sloggiavano gl'in« sorti proteggendo cosl il nostro fianco. Sul largo Ruggero Set« timo fummo accolti da un fuoco micidiale, ricacciammo gl'in<< sorti dietro alle barricate di porta Maqueda e nel Giardino In-
« glese e corremmo attaccare il convento di San Francesco
« di Paola, facendo ritirare gl'insorti da porta Carini, via Stabile, « Villa Filippina, occupando il largo San Francesco di Paola
« e strada Pignatelli.
« Mancate però le munizioni. avendo vari obici resi inser« vibili e 42 morti e feriti, cioè due morti, quattro feriti del « 24° bersaglieri e 36 di marina, tra i quali i capitani di fante-
« ria marina signori Bcuf ( 20) e Di Palma ed il luogotenente di « vascello signor Colonna; bagnate le poche munizioni, ordinai
« di riprendere le primitive posizioni senza che gl'insorti osas« sero inseguirei (21 ).
« La sera si rinforzarono i posti che guardavano le falde « di monte Pellegrino e si rilevarono gli avamposti dai Quattro «Venti, occupati fino dal giorno 16 dai granatieri con compa« gnie di marinai e di faati di marina. Feci provvedere le grandi « prigioni di viveri per due giorni, munizioni e due obici da « sbarco ».
Si può concludere che la giornata del 19, nonostante ogni sforzo del corpo di sbarco, non presentava un bilancio attivo, come era inevitabile che fosse, data la scarsezza dei mezzi a disposizione del governo. Non rimaneva che attendere l'arrivo dei rinforzi preannunciati , mantenendosi sulla difensiva.
( 20) « Tra gli ufficiali » narra il Vecchi « è feritO per primo il capitano del Real Marina Beuf con una palla nell'omero destro. Andò da Acron per avvertirlo; ma Acton dtmostrandosi angustiato di cosa che sembravagli prematura, gli disse con calma imperturbabile: - Eh! Se cominciamo adesso ad esser feriti, che sarà tra un'ora? Vada al suo posto -. Beuf obbedì; ma ritornò poco dopo: - Questa volta ho anche una palla nella gamba -. Era vero, in meno di cinque minuti era stato ferito due volte» (GHETTI, art. cit. ).
( 2l) Il rapporto del maggiore Brunetta cosl proseguiva: « Uscito in tes[a alla colonna comandata dal signor colonnello cavalier Acton, aveva davanti di me l'artiglieria di Marina, e prendemmo pure il corso
Gli inserti controUavano sempre la città ed anzi l'insurrezione si estendeva nel contado, mentre gli assediati di Palazzo reale continuavano ad aspettare la liberazione con un certo sconforto, derivato dalla crescente scarsità di viveri e di munizioni e dalla constatazione del fallimento delle operazioni intraprese per venir loro in soccorso. Inoltre, la sera del 19, al rientro della colonna Acton, si era ri levato che gruppi di rivoltosi, calati dal monte Pellegrino, erano stati sul punto di aggirarla e di tagliarla fuori dalle sue basi ai Quattro Venti.
La presenza della flotta, con il timore di un bombardamento generale della città, agiva per altro come deterrente sugli insorti, distogliendoli , quando anche ne avessero avuto l'intenzione e la forza, da attacchi diretti contro il porto. Il R iboty, infatti, nella giornata del 20 settembre, preoccupandosi dei n -
Scinà ove con fuochi nelle case cominciammo ad occupare la piazza Ruggero SeHimo, cacciando l'insorti dietro le loro barricare in via Maqueda, O\ è face,·ano un fuoco micidiale. Continuai a marciare verso il largo di San Francesco di Paola e comb attevo i fuochi che uscivano dal con\"ento di San Francesco e dalle case anigue; mi portai fino sul piazzale, protetto sempre dai fuochi dell'artiglieria, e mi provai a battere gl'insorti i quali erano barricati in via Stabile, Porta Carini, e Villa Filippina, sostenni un fuoco accanito, essendomi trovato avvolto, fino a che, mancando le munizioni ddl'artiglieria, il signor cavalier Acton, comandante la colonna, mi ordinò la ritirata; i bersaglieri pure erano quasi sprovvisti di munizioni. ln questo combattimento ebbi due bersaglieri morti e quatrro feriti, come l:t mattina il battaglione si portò coraggio· sameme. Mi faccio lecito far ossen•are alla S.V. Ill.ma che per congiungersi a Palazzo Reale occorrono forze, le quali marcino divise in sguerriglie (sq uadriglie? ), ed abbiano ad arrivare contemporaneamente nei diversi punti occupati dagli insorti dalle strade di Giardini Inglesi, Marina , Porta Strada di Ferro, Olivuzza, Mome Pellegrino , via di Monreale e via Serra di Falco, poiché in tal modo si giunge in città all'improvviso senza passare pelle contrade ove il fuoco riesce di poca utilità per noi e molto micidiale». Nel rapporto finale dell'amm. Ribo t y al ministro della marina, cit., la fase conclusiva delle operazioni del 19 era cosl esposta: «Se non che, giunti a porta Maqueda verso le 5 pomeridiane, dovettero indietreggiare, riuscito essendo impossibile il penetrare fra forti barricate vigorosamente difese, e costrutte con tale destrezza ed accorgimento che non posso in coscienza affermare che gente popolana e facinorosa avesse potuto dirigerne la costruzione».
fornirnenti di carne e di viveri freschi, aveva ordinato la requisizione di buoi nella campagne ed aveva spedito a Trapani la corvetta San Giovanni per venovagliamento; ma soprattutto, messo in allarme da movimenti avversari che potevano far temere un attacco sul forte di Castellamare, aveva cercato di organizzare la base di sbarco e di attacco per i rinforzi. Aveva ordinato al Duca di Genova di controllare il movimento delle imbarcazioni private disponendosi alla fonda all'imboccatura del porto; a sud-est aveva fatto imbozzare la Princtpe Umberto} a sostegno del fronte meno munito dello schieramento: l'ordine dato all'unità era quello di sparare con i cannoni sulle case dalle quali fossero partiti colpi contro le forze governative e contro le postazioni dell'artiglieria. Può darsi che tali movimenti delle navi da guerra avessero contribuito a diffondere nella cittadinanza la paura di un imminente, indiscrirninato bombardamento dopo l'insuccesso delle forze da sbarco (22): ma in realtà non sembra probabile che i responsabili della flotta abbiano veramente pensato ad un'azione del genere, anche perché si era consapevoli che non tutta la popolazione parteggiava per i rivoltosi. Il 20 settembre trascorse quindi relativamente tranquillo, nella preparazione del grande attacco generale che doveva essere sferrato la mattina seguente. Nel corso della giornata arrivarono, narra il Pagano, « il 31 o bersaglieri da Napoli e spezzoni del 19o di linea. In sul pomeriggio da Livorno tre battaglioni del 53o di linea, il 24° bersaglieri (23) e i generali Angioletti e Masi, quello comandante la l 0 3 divisione attiva e questi la brigata Umbria »; contingenti molto più importanti erano annunciati in arrivo per la notte e per l'indomani. Appariva ormai evidente alla marina che il giorno successivo la situazione sarebbe stata
(22) Cfr. PAGANO, op. cit., pag. 118: « Dicevasi che per l'insuccesso delle truppe da sbarco a bordo della flotta era stato discusso se doveasi bombardare la città Fortunatamente non furono aggiunti altri nomi nella storia d'Italia a quei che erano già pei fatti vergognosi di Custoza e di Lissa ».
( 23) Veramente, a quanto risulta dai rapporti precedentemente ci· tati, il 24" bersaglieri si trovava già a Palermo ed aveva preso parte ai combattimenti del giorno 19.
affrontata dai militari di terra con il massimo impegno, scartando qualsiasi forma di accordo con gli insorti, nella precisa volontà di domare con la forza la rivolta.
Alle 4,30 pomeridiane, allorché giunse il gen. Angioletti, che era sta t o ministro della marina, l'amm. Riboty gli cedette il comando generale delle forze di terra ed aveva messo a sua disposizione quelle di mare. L'Angioletti prese alcune misure per rendere più sicure le posizioni di partenza (24) e convocò per la sera una riunione dei capi militari sulla nave ammiraglia del Riboty, la Re di Portogallo. In tale consiglio di guerra egli espose il proprio punto di vista sulle operazioni che dovevano portare alla liberazione degli assediati del Palazzo reale ed alla ticonquista della città: due colonne, al comando di lui stesso e del gen. Masi, sarebbero avanzate, rispettivamente, sulle zone di via Libertà-Lolli e dell'Olivuzza per condurre l'attacco nel cuore dell'abitato. Contemporaneamente, ad evitare sorprese, le forze da sbarco sotto gli ordini dell'Ac ton avrebbero presidiato la zona dei Quattro Venti, mentre reparti di granatieri avrebbero rastrellato le propaggini del monte Pellegrino per impedire eventuali aggiramenti. La flotta, nel corso di tali operazioni, avrebbe dovuto garantire un efficace sostegno dal porto, sia effettuando un'azione massiccia di fuoco, da parte di lance ed imbarcazioni a vapore appositamente armate sotto il comando del tenente di vascello Francesco Ruffo di Scilla. sia compiendo una particolare azione diversiva alla foce del fiume Oreto. Le
(24) Cfr. cit. rapporto dell'Acton, che dal pomengg1o del 20 prendeva ordini -direttamente dall'Angioletti: «Il giorno 20, clovendo giunger rinforzi per via di mare , ordinai di requisire dei buoi in campagna, ed essendo stato informato che i ribelli avrebbero tentato attaccarci dal lato di monte Pellegrino, dove infatti si vedevano alcune squadriglie, distaccai due compagnie, una del 24• battaglione bersaglieri ed una di fanteria marina, per perlusuare la campagna. Verso le 4 V2 p.m. giunse il tenente generale Angioletti che mi ordinò di rilevare il 24• battaglione bersaglieri e fare occupare tutti i posù durante la notte dai marinai e fanteria marina, tenendo pronri due pezzi da sbarco che all'alba doveano marciare sotto ai suoi ordini, rendendomi interamente responsabile della difesa dd molo e dei Quattro Venti ».
barche a vapore e le lance, divise in gruppi, sarebbero entrate in azione contemporaneamente poco prima dell'attacco generale, aprendo il fuoco d'infilata sulle vie Lincoln, Toledo. Cavour e attraverso porta Felice: in tal modo si sarebbe realizzata una pressione continua sugli insorti, che avrebbe efficacemente appoggiato l'azione delle colonne di attacco. L'azione diversiva alla foce dell'Oreto era prevista allo scopo di in1pedire, sia la fuga degli insorti di città, sia l'arrivo di rinforzi ad essi dalla campagna (25).
Le operazioni decisive del giorno 21 ebbero inizio all'alba, quando la fregata Gaeta, al comando del tenente di vascello Carlo Cerruti, trasferitasi dall'ancoraggio dì Villa Giulia sulla sinistra del fronte a mare, aprl il fuoco sulla foce dell'Oreto. II compito dell'unità venne agevolato dall'opportuno arrivo, alle 8 antimeridiane, di tre battaglioni del 54" reggimento di linea, che vennero sbarcati direttamente sulla spiaggia di Romagnolo, « perché si tenessero sulla linea del fiume Oreto, sulla destra della posizione di Palazzo Reale , in modo da circuire interamente la città e togliere agl'insorti. .. che potessero sfuggire per le strade di Bagheria e di Misilmeri » ( 26 ).
(25) GHETTI , art àt L'amm. Riboty, nel più \·olte citato rapporto al ministro della marina, riporta gli orclini del gen. Angioleni per la flotta come segue: « All 'alba doveva richiamare alla via di mare l'attenzione della città con far fuoco su di essa dalla parte del fiume Orero ed àbbattere il ponte degli Ammiragli e quello della strada ferrata posti entrambi nella medesima direzione da mare, nello scopo di non permettere o1i malvi\·enti di rifugiars: nelle campagne nel caso di una disfatta, come pure d'impedire il continuo arrivo di gente armata proveniente dalla Bagheria ».
(26) PAGANO , op. cit , pag. Cfr. clisp. del 21 settembre al comandante della Gaeta: « Il Luogotenente Generale Angioletti fa conoscere che due altri battaglioni di truppa dovranno essere diretti sulla sinistra dell'attacco, cioè sulla desrra del fiume Oreto per prendervi posizione e respingere energicamente chiunque volesse uscire dalla città e prendere la campagna da quella parte. Mettendosi a cavallo ognuno di una delle due strade che ivi esistono e bene apposrati possono rendere grandi servizi» (A.C.R.M., busta 174, fase. Gaeta.
Con queste mosse preliminari, tutro era pronto per il grande attacco generale. Le colonne d'assalto, rinforzate oltre il previsto dai contingenti che continuavano ad arrivare (27), scattarono sulle direttive previste: quella del gen. Masi giunse combattendo fino all'Olivuzza verso le ore 11, ed allora l' Angioletti sferrò l'attacco su tutta la linea, sbloccando dai Quattro Venti le forze da sbarco al comando dell' Acton per impiegarle contro le posizioni dei rivoltosi ai Quattro Canti di Campagna.
L'Acton stesso così descrive l'azione nel suo citato rapporto:
« Il mattino del 21, ricevuto il rinforzo della compagnia
« da sbarco della Garibaldi, aumentando così le forze di marina
« sotto i miei ordini a 1.250 uomini, distaccai i due pezzi della
« Gaeta comandati dal sottotenente di vascello signor Lugaro
« Enrico sotto gli ordini del generale Masi per seguire quella co-
« lonna; ordinai a due pezzi della Garibaldi con quattro avan-
« treni e 12 operai di marciare con la colonna del generale An-
« gioletti.
«Alle 9Y2 a.m., quando queste colonne erano partite, oc-
« cupai il convento di Santa Lucia e gli sbocchi del borgo senza
<< trovare resistenza, facendo alquanti prigionieri.
« Stabilite le barricate e lasciate due compagnie e 4 pezzi,
« feci ritornare la mia gente per mangiare il rancio che allora
« scendeva da bordo. In questo frattempo il maresciallo dei ca-
« rabinieri dovendo scortare munizioni al Palazzo Reale ed aven-
« do pure ricevuto ordine di mandare 4 pezzi di rinforzo alla
(27) Il rapporto di arrivo del comandame del Conte di Cavour all'ammiraglio, datato dalla rada di Palermo 21 settembre, riferiva che il giorno 18 ad Ancona era stato diramato l'ordine di imbarcare truppe per Messina, dove il comandante dell'unirà doveva presentarsi al gen. Adorni per rice,•ere ordini circa la destinazione di sbarco della truppa.
A Messina il suddetto generale « prescrisse rotta Palermo a Cavour, Voltumo, Europa, Cairo, Governolo e ai comandanti di quei legni lasciai lettere da rimettersi dal capitano del porto di Messina al loro giungere»
Tutti i mezzi navali e le truppe disponibili all'imbarco dovevano con· fluire su Palermo: « Fu ordinato inoltre di sbarcare il 59" Infanteria al molo vecchio di Palermo, il 60" nel golfo di Sonora vicino a Bagheria».
Il Cat.:our era preceduto d1 14 ore dal Vittorio Emanuele, che aveva imbarcato truppe a Brindisi (A.C.R.M., busta 174, fase. Cavour e Volturno).
<< colonna del generale Angioletti, feci partire questo convoglio
« sorto la scorta di due compagnie di marina comandate dal ca« pitano Cesaraccio e dal luogotenente di vascello signor Co« scia. I quattro pezzi erano sotto gli ordini dei sottotenenti di «vascello signori Devoto e Belzini. Questa scorta dopo di avere
« consegnate le munizioni prese parte insieme ai 6 obici da « sbarco comandati dai sottotenenti di vascello signori Musti, «Devoto e Belzini all'attacco della barricata di porta Maqueda.
« li sottotenente di vascello signor Belzini veniva ferito mortai« mente {28), restavano pure morti un marinaio e un soldato, « oltre due feriti.
«Ad un'ora p.m. un ordine del Luogotenente Generale An-
« gioletti, scritto alle ore 11 Y2 m'ingiungeva di marciare in avan-
« ti sulla direzione di porta Maqueda; nel medesimo istante il
« maggiore del 31 o fanteria di linea domandava soccorso pel
« convento di San Francesco di Paola , dove si trovava circon-
« dato dai rib elli che occupavano tutte le case circostanti ed
« una formidabile barricata a porta Carini.
« Lasciai a guardare le posizioni dei Quattro Venti due com-
« pagnie e due obici da sbarco e con le poche forze che ancora
« mi rimanevano diressi per porta Maqueda; trovatala già occu-
« pata dai nostri, girai per piazza Sant'Oliva sul convento di
« San Francesco di Paola, di dove le truppe che lo guardavano
« domandavano soccorso. Respinti i ribelli da tutte le posizioni
« circostanti sotto un fuoco micidiale attaccai la barricata di
« porta Carini, dove il bravo luogotenente di vascello signor
« Grandville fu il primo all'attacco e ferito gravemente conti-
« nuò a combattere alla testa della sua compagnia. Ottenuto il
«mio scopo di liberare il convento di San Francesco, presi posi-
« zione, mentre due compagnie prendevano altre due barricate
<<e si demoliva quella di porta Carini.
« Le nostre perdite furono di 25 uomini tra morti e feriti ». Dopo mezzogiorno, la situazione degli insorti andò precipitando. Le forze governative avevano raggiunto il Palazzo reale ed era stato ristabilito il coll-egamento con la flotta, tanto ac-
canitamente contrastato dai rivoltosi. Nel corso del pomeriggio, mentre l'organizzazione armata dei ribelli si sfasciava e nelle loro file si moltiplicavano le diserzioni, alcuni colpi di mano condotti con decisione restituivano praticamente alle truppe il pieno controllo della città. La vittoria veniva a confortare l'intransigenza dei capi militari, che avevano sempre rifiutato di trattare con gli insorti e che a maggior ragione si mostravano ora sordi ad ogni appello all ' umanità e decisi ad una sanguinosa rappresaglia. La rivolta viveva le sue ultime ore in un ' atmosfera di disgregazione: « nella notte » scrive il Pagano « le bande di campagna cercarono scampo fra le tenebre e rimasero in città i soli disperati e i pochi i1lusi )) (29).
Si può dire che nella notte tra il 21 e il 22 tutto fosse ormai finito. « The insurrection is over » comunicava la mattina seguente a Londra il console inglese a Palermo Goodwin ( 30 ), testimone impassibile della tragica vicenda, con lo stesso imperturbabile distacco con cui, sei anni prima , aveva commentato le fasi della conquista garibaldina della città e la sollevazione del popolo corro i borbonici ( 31 ). Con gli ininterrotti arrivi dei piroscafi che durante la notte e in mattinata sbarcavano sempre nuove truppe, la superiorità delle forze governa-
(29) Op. cit., pag. 130.
(30 ) Il giorno 18 , Mr. Goodwin aveva riferito stringatamente al Foreign Office lo scoppio dell'insurrezione: « My Lord, since the 16th this c ity· has been tbe scene of insurrection. A large body of armed men carne in and occuped the main and cross streets and seized the gates and held them all day long. Next moming they attacked the Hotel de Ville and kept up the attack aU day In the night the building was evacuated and taken possession of by the insurgents. Three palaces have been sacked. No English molested. The Prefect and the Syndac are in the royal palace. Barricades are erecting in tbe T oledo: cannonades from the palace ineffectual ». Il testo completo del breve messaggio con cui il console annunciava la fine detla rivolta era il seguente: << The :insurrection is over and the King authority restablished. In two hours this forenoon the troops drove out the rebels and took possession of the town amidst general applause. Much damage has been done to the town and same injury to the villa of Mr. Ingham » (P.R.O.L ., London, Foreign Of/ice, 45-95).
(31 ) GABRIELE , Da Marsala allo Stretto, cit., passim .
tive era divenuta schiacciante. All'alba del 22 giunse anche, sulla Stella d'Italia, il tenente generale Raffaele Cadoma, che assunse la carica di commissario regio straordinario per la capitale siciliana e per la sua provincia. Alle 9 i regolari, già padroni di tutto l'abitato, davano inizio alle operazioni di rastrellamento. È sintomatico che, mentre il Riboty faceva eco alle altisonanti vanterie dei militari, in relazione all'attività del 22 (32), il co· mandante Acton non riferisse nulla di particolarmente glorioso, ma soltanto azioni di ordinaria amministrazione (33 ). Del resto, è anche significativo al riguardo come quest'ultimo, riferendosi agli avversari, li designasse costantemente con l'appellativo di « insorti», ed invece l'ammiraglio , uniformandosi al vocabolario dell'esercito, li chiamasse « briganti », « malfattori», « infami malviventi ».
L'operato della marina nella giornata del 22 risulta dall'ultima parte del rapporto del Riboty:
« .la città di Palermo è messa all'ordine mercè l'energico
« operato delle truppe coadiuvate dalle nostre compagnie da « sbarco e dalle Regie Navi della flotta. Quest'oggi alle 5 11:! il « signor generale Cadorna, Regio Commissario Straordinario che «giunse con la Stella d'Italia all'alba di questa rnane, à preso « stanza nel Palazzo Reale rendendosi i dovuti onori al suo «sbarco.
« Le compagnie marinari sonosi ritirate sui propri bordi, la « squadra ha spento i fuochi alle macchine, da per tutto segue << la tranquillità, danni insignificanti furono resi ai fabbricati, « immensi ai malfattori.
« Questa notte parte d'ordine del Regio Commissario la « pirofregata Carlo Alberto con due battaglioni di fanteria per « sbarcarli uno a Girgenti e l'altro a Trapani per tranquilliz« zare quelle popolazioni pacifiche dalle scorrerie di piccole
(32) «Truppe sbarco fanno prodigi» (dal cit. rapporto al ministero).
(3 3) « Il 22 a mezzogiorno tutti i posti furono rilevati dal 57° di linea, al quale consegnai i prigionieri, 9 muli e feci ritorno a bordo».
«bande di brigami (34). Giunse da Napoli il Peloro con mu« nizioni del T ancredi e fu rinviato di nuovo. Giunse l'Europa « con carbone, il Flavio Gioia con viveri. Tutti i bastimenti giun« sero con truppe, eccetto il Vittorio Emanuele, l'Indipendenza « e il Cairo.
« Domani prenderò ordini dal Regio Commissario per in« viare a Livorno vari piroscafi e licenziarne altri chiamati al « regio servizio ... Si è stabilita la comunicazione con Termini « mercè del rimorchiatore Vittorio Emanuele e si spera domani « stabilirla direttamente con questa città. Circa l'operato della « squadra e del personale distintosi per atti di eroico valore, « sarà oggetto di un mio circonstanziato rapporto che sottomet« terò alla S. V. al più presto possibile (35), non omettendo in-
(34) Cfr. anche l'ordine del Riboty al comandance della Garibaldi in data 22 settembre, per trasportare un altro battaglione a Trapani (A.C.R.M., busta 174, fase. Principe Umberto).
(35) V. ibtdem le proposte dell'ammiraglio per gli ufficiali distintisi nelle operazioni. Esse furono: l) caphano di fregata Emerico Acron, ufficiale in seconda del Re di Portogallo e comandante delle truppe da sbarco, proposto come ufficiale dell'ordine mìlìtare di Savoia « pel raro valore dimostrato nell'attacco delle barricate della città di Palermo »; 2) capitano di fregata Carlo Felice Baud.ini, comandante del T ancredi, proposto come ufficiale dell'ordine mauriziano « perché trovatosi solo col bastimento di suo comando salvò da certa rovina la città di Palermo impedendo che i rivoltosi si rendessero padroni delle prigioni, liberando gli assassini che le popolavano»; 3) capitano di fregata Francesco Ruggiero, capo di S.M. della squadra, proposto a cavaliere di S. Maurizio e Lazzaro « pel zelo e indefesso lavoro da lui dimostrato nel secondare il Comandante in Capo dell'Armata navale »; 4) luogotenente di vascello Cnrlo Cerruti, comandante della Gaeta, proposto per una menzione onorevole «per l'indefesso zelo dimo:;trato nelle varie azioni »; 5) luogotenente di vascello di Clavesana, comandante del Duca di Genova, parimenti proposto per la menzione onorevole perché « incaricato della polizia e della sorveglianza del porro, nonché al soUecito sbarco dei materiali e viveri dell'armata, spiegò in tale operazione tutta la maggior attività possibile»; 6) sotto tenente di vascello Filippo Narducci, ufficiale di S.M. della squadra, proposto per la medaglia d'argento al valor militare perché « intrepidamente diresse i molti lavori necessari a maggiormente assicurare la resistenza del forte di Castellammare, ed essere stato
« formarla che le nostre compagnie da sbarco ebbero proporzio« natamente con le truppe di terra da deplorare maggiori per« dite » ( 36 ).
« Infine le sommetto che per essersi mostrati casi di co« lera nei due battaglioni provenienti da Napoli, partiranno que« sta notte col Conte di Cavour per quella rotta. Il ferale « morbo che attaccò qualche altro soldato e marinaro (37) sem« bra non volersi promulgare ».
al fuoco con diversi pezzi da lui fatti montare con mezzi di bordo e con non dubbio pericolo della vita»; 7) luogotenente di vascello Francesco Ruffo di Scilla, proposto per la menzione onorevole « per avere con sangue freddo e valore diretto nel giorno 21 le barche incaricate di secondare le truppe nei suoi attacchi ».
(36) Le forze della marina ebbero complessivamente a lamentare 9 morti e 57 feriti, secondo quanto riferisce l'Acton nel suo cit. rapporto. Il 27 settembre il ministero premeva presso il comandante della divisione navale per avere l'elenco delle perdite: «Grande orgasmo per feriti o morti fatti Palermo. Faccia telegraficamente conoscere almeno uf. ficiali feriti e morti. Invii sollecitamente rapporto ( A.C.R.M., busta 17 4, fase. Corrispondenza Ministero). Il Riboty rispondeva: « Uffiziali Grandville, Belzini, Beuf feriti gravemente; Palma di Cesnola, Colonna, Francescani leggermente. Totale 8 morti, l dubbio, l disperso, 57 feriti • (ibidem). La differenza di un'unità in più si riscontra anche nell'analisi delle perdite che in un altro rapporto, del 25 settembre, l' Acton presentava al Riboty, distribuendo i dati per nave: Re dì Portogallo, un morto, un ferito scomparso (si crede assassinato) e 14 feriti; Principe Umberto, un morto, uno scomparso (morto o prigioniero) e 15 feriti; Maria Adelaide, un morto e 11 feriti; Gaeta, 8 feriti; Duca di Genova, 6 feriti; Garibaldi, 3 feriti; Carlo Alberto, un morto e 3 feriti; San Giovanni, un morto (ibidem, fase. Principe Umberto). Sette morti e 60 feriti, tra i quali 6 uffiicali, è pure la cifra che riporta il RANDACCIO (op. cit., vol. II, pag. 306 ). Il totale delle perdite subite dalle forze governative di terra e di mare, a quanto riporta il CroTTI (op. cit., pag. 99), ammontò a 53 morti, di cui 7 ufficiali, 255 feriti, dei quali 20 ufficiali, e 24 dispersi.
(37) Una rieomparsa del colera si era già manifestata tra le forze armate sul continente (dr., per Barletta, il rapporto n. 97 del cap. vasc. Ruggiero al comando squadra di Ancona, in data 12 settembre, in A.C.R.M., busta 174, fase. Garibaldi); quando l'epidemia si manifestò nuovamente a Palermo tra le truppe, il R.iboty dovette constatare che il lazzaretto locale non era assolutamente attrezzato per fronteggiare la situazione: anzi, chiedeva aiuto alla squadra, che aveva le unità già ca-
Soffocata la rivolta, innumerevoli proclami e ordini dd giorno di esecrazione per i « ribaldi » e di ringraziamento per la prode condotta delle forze armate si incrociavano, sia da parte dei comandanti (38), sia da parte delle a1,1torità locali, che tripudiavano per lo scampato pericolo (39). L'ordine del giorno indirizzato dall'amm. Riboty al corpo di sbarco diceva: « Equipaggi, « il sottoscritto comandante la squadra si fa premura di « esternare al signor comandante le compagnie di sbarco, a
riche di feriti di tutte le armi: «E così» scrive l'ammiraglio «ebbi il dispiacere di veder morti alcuni degli attaccami senza che loro fosse apprestata assistenza di sorta, e giacenti su dura paglia ». Alcuni generi di rifornimento per l'organizzazione sanitaria furono recati di urgenza dal trasporto W ashington, che faceva la spola rea Napoli e la capitale siciliana.
(38 ) A chiusura del suo cit. rapporto, l'Acton aveva scritto: «Tutti gli ufficiali , marinai e so ldati si batterono col più grande valore con un nemico non degno di loro , sopportando gravi fatiche con molta abnega· zione. lvli fo un dovere d ' informare la S.V . che il Luogotenente Generale Angioletti mi ha esternata la sua soddisfazione per la condotta te· nuta dagli uomini dd Corpo Regi Equipaggi e Fanteria Marina, coi due obici souo i suoi ordini immediati. Vado superbo di avere avuto il giorno 19 sotto ai miei ordini il 24" battaglione Bersaglieri comandato dal bravo maggiore Brunetta, il quale ci è stato di guida e di esempio. in una guerra affatto nuova per noi. Una lode va pure tributata al sottotenente dei volontari signor Giacomo Magliocco, che pratico dei luoghi fu sempre alla testa della colonna nel detto giorno. Devo infine segnalare alla S.V. l 'as sistenza avuta dal Corpo Sani tario che ha seguito le operazioni curando i feriti tanto della J\.iarina che dell 'Esercito sul luogo stesso ddl' azione »
( 39 ) Il 3 ottobre G. Trigona, assessore anziano del comune di Palermo, scriveva a nome del sindaco al Riboty, pregandolo «a nome della Giunta municipale e del Consiglio a voler accogliere e far gradire all'in· tera squadra sotto i suoi ordini il sopracennato voto di ringraziamento, come quella che recò i più pronti ed i più efficaci aiuti alla Città»; l'aromi· raglio rispondeva a sua volta che « grato... si fa interprete di tutti i suoi dipendenti, i quali sono superbi di aver dato braccio forte a liberare cosl vasta e bella città da un 'orda di malvimenti ingordi di rapina, e di aver offerto all ' Italia il sangue di valorosi compagni che gareggiando di zelo e patriottismo con il bravo Esercito ànno tranquillizzato oneste famiglie »
(A.C.R.M., busta 174 , Co"ispondenza Ministero )
« tutti gli uffiziali, sottouffiziali, marinai e soldati che ad es;;e «appartenevano, l'alta sua ammirazione per il modo somma« mente valoroso che, insieme coi soldati del regio esercito, ten« nero nel reprimere il moto di brigantaggio del quale questa « disgraziata città fu per parecchi giorni teatro, essendo soggio« gata dai più infami malviventi, nei quali queste immonde fra« terie avevano soffiato tutto il loro livore, e consigliato il mas« sacro e la rapina. Voi siete stati terribili nella pugna, gene« rosi nella vittoria. Affamati, avete dato il vostro pane ai vinti « che lo erano forse meno di voi. Il sottoscritto è più che mai « orgoglioso di esservi capo » ( 40 ).
Tuttavia, malgrado le proposte di ricompense, a cui si è accennato, e malgrado gli altri riconoscimenti ( 41 ), si ha l'impressione che la marina pa.rtecipasse in tono minore al trionfo dei « buoni »: certo, non si trovò nella triste necessità di dare un notevole contributo all'opera di repressione, trovandosi soprattutto alle prese con i problemi logistici connessi con il trasporto delle truppe e del materiale necessario ad ammalati e feriti. Il Riboty, d'altra parte, appariva ansioso che le sue unità lasciassero la rada di Palermo, dove erano esposte alle traversie del maltempo e ai rischi delle epidemie, e dove le navi da guerra finivano per fungere da navi ospedale e da bastimenti da trasporto, quando non dovevano essere impiegate per operazioni di polizia costiera e per dare la caccia ai fantasmi. Il 27 settembre l'ammiraglio scriveva al ministro, per informar!o del servizio delle unità militari e mercantili e della salute degli imbarcati:
« Colgo questa occasione per raccomandarle lo stato de« gli equipaggi di questa squadra che sono sforniti di vestiario <<d'inverno, e che se lunga pezza deve durare in queste acque
( 40) RANDACCIO, op. cit., vol. II, pagg. 232-233.
( 41) Riconoscimenti, per altro, di natura puramente morale, giac· ché, per esempio, quando il Riboty chiese che agli ufficiali impegnati a terra verùsse corrisposto il soprassoldo di sbarco, il ministero lo concesse, ma defalcando, per i 4 giorrù, l'ammontare del diritto al trattamento di tavola per gli ufficiali imbarcati {lettera del Depretis all'ammiraglio in data 1• ottobre, in A.C.R.M., busta 174, fase. Corrispondenza Ministero).
« sarebbero mal garantiti, singolarmente nelle attuali circostanze
« igieniche; mi permetto farle rispettosamente osservare che la
« presenza della squadra si rende quasi superflua giacchè non
« trattasi, ora che l'ordine è stabilito, della presenza di varie
« corvette a ruote od elica che sotto gli ordini del Regio Com-
« missario Straordinario possano stare tranquillamente nel por-
« to, soprassedere agli imbarchi e sbarchi di truppe e fare se
« occorre quelle crociere necessarie alla sicure:.za della Sicilia.
« La rada, come V. S. conosce, è sufficienterrente esposta e le
« fregate che più o meno hanno sofferto dei danni a Lissa per
« la guerra, o in Ancona per cattivi tempi, sarebbero malsi-
« cure in queste acque ... In questo momento ricevo ordine dal
« Regio Commissario Straordinario di spedire un bastimento in
« crociera nel canale di Malta per dei bastimenti sospetti che
« diconsi trasportare Borbonici ad infestare l'isola; non avendo
« corvette a mia disposizione che la San Giovanni sola , la quale
« trovandosi col luogotenente di vascello signor Coscia attac-
« catodi cholera non ho creduto spedirla per non incontrare dif-
« ficoltà nelle comunicazioni dell'isola , spedisco invece la Gaeta
« per eseguire la crociera ordinata ... » ( 42 ).
Effettivamente- a parte infondati e ricorrenti allarmila marina militare non aveva più nulla da fare a Palermo.
Il 3 ottobre fu firmata la pace con l'Austria, che le unità navali dovettero solennizzare con salve di cannone e gran pa-
{ 42 ) Ibidem , fase Gaeta , è reperibile l'ordine del Cadorna, datato Palermo 27 settembre, come pure le istruzioni del Riboty al comandante dalla Gaeta: « Dal Regio Commissario Straordinario mi viene ordinato d'inviare un bastimento in crociera nel canale di Malta ove si dubita siasi imbarcato un certo numero di Borbonici colà rifugiati con la intenzione di effettuare uno sbarco in questa isola, e vuolsi aver veduti quattro piccoli legni che si suppone contengano i rifugiati stessi»: di conseguenza alla Gaeta veniva ordinato di andare a Trapani, dove si trovava la Carlo Alberto, e di trasmettere a quest'ultima unità l'ordine di incrociare per 4 giorni nel canale di Malta, mentre la Gaeta stessa doveva stabilire un collegamento con i semafori ed i posti di osservazione costieri tra Licata e Marsala, controllando i movimenti di qualsiasi natante sospetto.
vese ( 43 ). Subito dopo, cominciarono a partire le truppe e le navi ( 44 ); il giorno 6, « in vista delle condizioni politiche in cui entra oggi il Regno d'Italia» (45), venne diramato dal ministero della marina l'ordine di scioglimento della squadra. Si era avuta la pace: ed era stata precisamente quella « povera pace» che era stata temuta dal Ricasoli dopo Custoza e prima di Lissa ( 46 ): d'altronde, si doveva riconoscere che il risultato finale era quasi superiore a quanto sarebbe stato giusto sperare, data la debolissima capacità contrattuale, al tavolo della pace, di un paese che aveva subito, in una guerra aggressiva, dure sconfitte per terra e per mare, che era assai poco sostenuto dall'alleato trionfante, e che per di più, durante le trattative del delicato periodo armistiziale, aveva dovuto registrare e soffocare nel sangue la rivolta di una delle sue maggiori città (47).
A prescindere dagli aspetti internazionali, all'interno del paese, tra accuse, recriminazioni e processi , non regnava dav-
( 43) Ibidem, telegramma n. 34 del 3 ottobre: « Non appena ricevuto dispaccio telegrafico uffiziale della pace faccia fare centouno colpi cannoni tutti i bastimenti, la grande gala bandiere, comunichi questo ordine a navi sua dipendenza distaccate in altri siti Isola perché facciano altrettanto »; e successivo telegramma n. 196: « Oggi alle due pomeridiane fu firmato il trattato di pace fra l'Italia e l'impero d'Austria colla cessione della Venezia. Voglia fare eseguire le salve indicate col telegramma precedente».
( 44) l bidem1 fase. vari.
(45) Ibidem, fase. Corrispondenza Ministero} disp. del 6 ottobre del comandante Bracchetti , per il ministro , al Riboty.
( 46) Così il Ricasoli nella famosa lettera del 13 luglio 1866 da Bologna, con la quale intimava al Persano di agire e di ottenere succéssi militari, « altrimenti ci coglierà l'armistizio, la vergogna per le nostre armi e dovremo fare una povera pace... • (GUERRINI, Lissa, Torino, 1908, vol. II, pag. 357).
( 47} Il 13 ottobre il Menabrea, ambasciatore a Vienna, scriveva al Visconti Venosta, ministro degli esteri: « ... il faut qu'on se persuade que nous avons obtenu beaucoup car c'était difficile traiter et de faire valoir prétentions pendant que l'Autriche occupait Venise et le quadrilatère; que la vie de Napoléon semblah en danger; que nous étions sous le poids des souvenirs de Custoza et de Lissa, et qu'à cela se joignait l'insurrection de Palerme » (Are h. Visconti V enosta 1 Santena, 52 b, fase. 0/16}.
vero una situazione di pace: e meno che mai poteva regnare a Palermo, dove la reazione imperversava, singolarmente accanita, da parte dei militari. Costoro parevano decisi a dare in Sicilia una dimostrazione di energia spietata e di assoluta intransigenza, traendo aspra vendetta di «quel moto finito», come ormai lo definiva il Mazzini: ne fa fede la lunga , inutile battaglia del Ricasoli contro gli ambienti dell'esercito per evitare che gli insorti venissero giudicati da tribunali militari appositamente costituiti ( 48 ). Così Palermo ebbe il tribunale eccezionale, e con ciò lo Stato unitario, rinverdendo i fasti dell'Aspromonte e delle operazioni contro il brigantaggio meridionale, aggravò il solco della diffidenza e dell'incomprensione che si era venuto a creare in Sicilia dopo le speranze e le ingiustificate illusioni del1860.
Quanto all'azione della flotta nel corso del triste episodio, c'è da rilevare che allo scoppio del movimento rivoluzionario, essendo le forze governative ridotte assai a mal partito, l'intervento delle unità da guerra ebbe a risultare di primaria utilità per bloccare l 'estendersi dell'insurrezione, per sostenere il fronte a mare a Palermo e per mantenere la testa di ponte sulla riva senza cedere agli insorti né il carcere della Vicaria né il forte di Castellamare. Decisi va fu, a tal proposito, la tempestività dell'arrivo della divisione, la quale, pur non trasportando una forza d'urto capace di avere la meglio sulla rivolta, ne condizionò gli sviluppi sul piano operativo fin dal suo primo appa· rire nella rada. I cannoni delle unità navali minacciavano direttamente la città e gli insorti non avevano nulla da opporre. È possibile che la presenza della marina da guerra abbia esercitato una certa influenza anche sugli eventi politici, puntellando la posizione precaria dei governativi che si irrigidirono nella resistenza e determinando, per contro, una certa irresolutezza negli insorti, tra le file dei quali il processo di sfaldamento, politico e militare, cominciò ancor prima della « grande battaglia » del giorno 21 settembre. Dal punto di vista militare, importanza
( 48) Se ne ritrovano ampie traccie nei documenti dell'Archivio Ricasoli di Broglio.
notevole ebbero quelle 48 ore nel corso delle quali -a parte il primo intervento del T ancredi e del Rosalino Pilo - si esaurì la spinta offensiva della rivolta, tra il fallito tentativo del corpo da sbarco del giorno 19 e la interlocutoria giornata del 20. Certo non si può attribuire un valore determinante all'intervento della marina, per quanto efficace e tempestivo, poiché è certo che l'insurrezione sarebbe stata soffocata in ogni modo, prima o poi, dalle forze governative, con la loro pesante superiorità militare sulle disorganizzate e composite milizie rivoluzionarie. Non si reperiscono documenti da cui desumere con quale spirito e con quali sentimenti gli uomini della flotta affrontarono il combattimento: ma non riesce difficile immaginare cosa doveva avere nell'animo il comandante Miloro, il cui fratello combatteva dall'altra parte e morl di ferite. o la gente che ritornava da Lissa e si trovava a dover far fuoco su una città italiana. Nella difficile e penosa circostanza, comunque, la disciplina militare non venne mai meno: ed è importante rilevare che, sebbene fanti da sbarco e marinai avessero subito nei combattimenti delle perdite proporzionalmente più elevate di quelle dei reparti dell'esercito, nei rapporti dei capi responsabili non traspaiono né una particolare animosità contro gli avversari, né un desiderio di rappresaglie, ma piuttosto quasi un'imbarazzata aspirazione ad allontanarsi quanto prima possibile da quell'infausto teatro di guerra civile.
Anche se formalmente operante su un piano internazionale, l'attività della marina militare durante l'estate del '70 può essere considerata appartenente alla sfera della politica interna, nella quale, infatti, rientrava ormai, sia da un punto di vista storico, sia come presa di posizione ufficiale, la cancellazione di quanto restava dello Stato pontificio dalla carta politica della penisola.
Sebbene soltanto ai primi di settembre, dopo Sédan e dopo la scomparsa dell'unico pericoloso sostenitore del potere temporale, il ministero Lanza abbia deciso in linea di massima di procedere all'occupazione del Lazio e di Roma, soprattutto allo scopo di non lasciare ad altri il merito della compiuta unità d'Italia, tuttavia le misure destinate a porre in atto tale volontà politica erano già predisposte da tempo. Ora, se per terra l'enorme superiorità delle forze destinate ad affrontare le poche migliaia di uomini dell'esercito papale (l) assicurava una immediata ed incruenta riuscita all'invasione che si progettava, sussisteva per altro, almeno fino a tutto agosto, il pericolo che attraverso l'unico porto rimasto al papa, quello di Civitavecchia, potessero giungere aiuti stranieri a complicare ulteriormente la soluzione della questione romana. Era dunque necessario neutralizzare preventivamente la piazzaforte (2), e ciò non poteva essere conseguito se non per mezzo della flotta.
(l) Cfr. G. FRiz: Burocrati e soldati nello Stato pontificio (18001870), in « Archivio economico dell'unificazione italiana », serie II, vol. XX, Torino, 1972, pagg. 72.
(2) Non era un compito molto impegnativo. Civitavecchia era una mediocre piazza marittima: le sue fortificazioni, tanto quelle del fronte a terra quanto quelle del fronte a mare, erano ormai vecchie e di scarso
Ma le condizioni della flotta all'inizio del 1870, in conseguenza della politica di « economie fino all'osso » propugnata da Quintino Sella, erano tali da menomarne gravemente l'efficienza. Disarmata la squadra che agli ordini del principe Amedeo di Aosta aveva compiuto alla fine del '69 una crociera nel Mediterraneo orientale (3 ); ridotta e quasi annullata l'attività degli arsenali; inviato in gran parte anticipatamente in congedo il personale; sospesa la chiamata della classe di leva del 1849; diminuita la disponibilità di carbone per i pochi servizi rimasti in essere; revocati i rifornimenti per le artiglierie, le costruzioni navali e gli armamenti; soppressi ospedali marittimi, uffici idrografici, divisioni del dicastero e persino - insignificante economia -la banda musicale della fanteria marina: il bilancio del ministero, ridotto a 15 milioni annui, divenne l'ultimo per importanza tra i bilanci delle principali marine europee ( 4 ).
valore protettivo: gli ultimi rifacimenti di una certa importanza risalivano al 1841, quando il princ. di Meuernich aveva persuaso il governo pontificio a riattarle; in seguito eraoo state ancora restaurate in alcuni punti dal gen. Oudinot, quando vi era sbarcato con le truppe francesi nel 1849, e dal geo. De Failly nel 1867. Le artiglierie della fortezza si erano arricchite di 35 obici lasciati dal gen. Dumont, sembra d'ordine dell'imperatrice Eugenia, prima di partire nell'agosto. La guarnigione contava circa un migliaio di uomini, tra zuavi, cacciatori indigeni, quattro sezioni di artiglieria da campagna, mezzo squadrone di dragoni ed un nucleo di gendarmeria (v. G. GoNNI: Le cronache navali dell'anno 1870, a cura dell'Ufficio Storico dellà Marina Militare, Roma, 1932, pagg. 63-64).
( 3) Non erano rimaste armate, oltre al naviglio sottile, che la fregata Duca di Genova, stazionaria a Tunisi, e le quattro vetuste unità della divisione stazionaria nell'America meridionale, la fregata Regina, la corvetta a ruote Fulminante e le cannoniere Ardita e Veloce, tanto malandate che di esse una sola sarebbe riuscita più tardi ad attraversare l'Atlanùco e a tornare in patria (GABRIELE, La politica navale, ecc., dt., pagg. 482 e scgg.).
( 4) La Commissione che riferl al Parlamento sul bilancio della marina all'inizio del 1870 tracciava un quadro deprimente dello stato fallimentare in cui, dopo tali provvedimenti di economia, versavano il naviglio e il personale: le fregate e le corvette a ruote e ad elica erano vecchie di vent'anni e più, deboli per l'armamento superato, scarse di velocità, divoratrici inutili di carbone; le unità tipo Castelfidardo, seb-
Per altro gli avvenimenti interni e internazionali avrebbero dovuto in breve portare lo stesso ministero Lanza, che aveva praticamente annullato la flotta, a farla rivivere per imperiose necessità nazionali. Già il 28 marzo, nel timore di un'insurrezione mazziniana , venne ordinata per il l o aprile la ricostituzione delle squadra del Mediterraneo disciolta il 15 dicembre precedente, da formarsi con 8 unità (5), agli ordini del contramm. Isola e che avrebbe dovuto provvedere con sei navi a trasportare rinforzi di polizia nel meridione e a mantenere crociere di vigilanza nelle acque siciliane, lasciando una corvetta a ruote (la Ettore Fieramosca) e un avviso (il Gulnara) a prestare servizio stazionario, rispettivamente a Palermo e a Cagliari. A giugno, in vista degli sviluppi della situazione, il ministro Acton ordinò all'amm. Isola di lasciare le coste della Sicilia e di incrociare lungo il litorale del Lazio, allo scopo di impedire un'eventuale nuova spedizione garibaldina contro lo Stato pontificio: mentre la pomposa denominazione di «squadra del Mediterraneo», inadeguata alle reali forze della formazione, veniva cambiata in quella più modesta di « squadra in legno ». Ad estate inoltrata, fu precipitosamente costituita una divisione navale corazzata, formata dalla Roma, dalla San Martino e dalla Ancona richiamata dalla « squadra in legno », nonché dall'avviso Messaggero; gravi difficoltà si opposero all'appron-
bene abbastanza recenti , abbisognavano di urgenti e importanti lavori di raddobbo ; mancavano le corazzate moderne; gli avvisi erano cosl antiquati che non si poteva farne conto per il servizio di esplorazione; i trasporti erano vere « tartarughe)>; le sole buone unità di linea erano le fregate corazzate Roma, Palestro, Principe Amedeo, ma in disarmo; gli equipaggi non arrivavano a 8.000 uomini e quasi tutti adibiti a servizi di custodia e di arsenale; gli ufficiali erano in lunghi involontari congedi o tristemente inattivi nelle sedi dipartimentali. « Continuare in questa condizione di cose » concludeva la relazione della Commissione « è impossibile: è ora di decidere se dobbiamo avere oppure no una marina militare» (GoNNI, op. cit. , pag. 14).
(5) La fregata Italia, nave ammiraglia; la fregata Magenta; la corazzata Ancona; le corvette a ruota Guiscardo e Fieramosca; gli avvisi Gulnara ed Aquila. Della squadra era chiamata a far parte anche la fregata Duca di Genova, già armata e di stazione a Tunisi.
tamento eli tale formazione ( 6 ), il cui comando venne affidato al contramm. Del Carretto.
Intanto, tra la fine di luglio e i primi di ago sto, le truppe france si stanziate a difesa dei territori papali furono ritirate e si imbarcarono a Civitavecchia: il giorno 8 la bandiera imperiale venne ammainata sul forte michelangiolesco. Il Mazzini, arrestato in Sicilia il 13 agosto, fu rinchiuso a Gaeta. Garibaldi era bloccato a Caprera da una flottiglia di piccole unità al comando del cap. freg. Nicastro. All'inizio eli settembre, decisa ormai l'azione su Roma, venne intensificata la sorveglianza dei due temuti personaggi (7).
La divisione corazzata dell'amm. Del Carretto, la quale nel frattempo, completato alla meno peggio l'armamento (8), era stata mandata ad affiancarsi alla « squadra di legno » nel Tirreno non appena era giunta a Firenze la notizia che una formazione austriaca incrociava in quelle acque (9), venne disciolta,
(6) L'arsenale era ben lontano dal poter soddisfare adeguatamente alle esigenze delle operazioni di armamento , cosl che si dovette ricorrere alla vecchia Darsena di Genova ed all'antico cantiere della Foce, con dispendio di tempo e di energie. Il deposito reali equipaggi non aveva uomini a sufficienza per fornire il pers onale delle quattro unità, e si fu costretti a far affluire da Venezia un contingente di 300 marinai, oltre ad una compagnia di fanteria marina.
(7) V. disp. telegr. in data 8 settembre: al prefetto di Caserta, « Raccomando massima vigilanza custodia Mazz ini. Sua fuga in questi momenti creerebbe seri imbara7.zi Governo» e al prefetto di Sassari, « Raccomando massima vigilanza custodia Garibaldi. Sua presenza continente darebbe gravi imbarazzi Governo. Partecipi pure comandante Nicastro questa raccomandazione» (GoNNI, op. cii., pagg. 52-53).
(8) Permaneva infatti la carenza del personale, nonostante che fosse stata cffetruata la chiamata alla leva della classe 1849, sospesa all'inizio dell'anno, ed inoltre fossero state richiamate le classi 1846 e 1845, quest'ultima già posta in congedo illimitato.
(9) Era composta dalle fregate Habsburg, Dandolo e Novara e dalla cannoniera Kerka ed era comandata dal commodoro Misolssich. La presenza della divisione navale austro-ungarica fu per altro temporanea: le unità imperiali e regie, passate dalle acque dell'Elba a far rotta lungo le spiagge laziali, senza nemmeno fare scalo a Civitavecchia, misero la prua su Napoli e di 11, per Messina, fecero ritorno a Pola (GoNNl, op. cit., pag. 46).
per dar luogo alla costituzione di una squadra corazzata su due divisioni, così formata:
Prima divisione:
Corazzate: Roma, nave ammiraglia, Ancona, Re di Portogallo, Formidabile, Castelfidardo, Affondatore;
Avviso: Messaggero.
Seconda divisione:
Corazzate: Principe di Carignano, ove era imbarcato il ' comandante in sottordine, San Martino, Terribile, Messina, Varese;
Avviso: Vedetta.
Navi logistiche:
Piroscafi: Authion e Plebiscito per le comunicazioni;
Trasporti: Cambria (carbonaio), Città di Genova, Città di Napoli, W ashington (per gli approvvigionamenti);
Cisterne: due, per il servizio dell'acqua. Un totale di navi di 55.000 tonn. di dislocamento, di 8.500 cavalli vapore, con 150 pezzi abbastanza moderni e 5.000 uomini di equipaggio; si deve però notare che tutte queste unità, armate in fretta, navigavano con personale ridotto rispetto alle tabelle di armamento, mentre alla « squadra in legno>>, che aveva ceduto alle corazzate i suoi elementi migliori, venivano a mancare complessivamente 700 uomini.
Alla squadra venne preposto il contramm. Del Carretto con le funzioni di vice-ammiraglio ( 10); in sottordine, comandava la seconda divisione il contramm. Martini. Il raduno della squadra fu completato <1l largo di Porto Santo Stefano nella notte sull'll settembre: le navi da guerra rimasero n per due giorni, occupando gli equipaggi in esercitazioni di tiro e in si-
{10 ) La nomina dell'amm. Del Carretto con le mansioni del grado superiore venne a porre fine ad una incresciosa e indecorosa disputa, poiché il governo, in un primo tempo, aveva stabilito di affidare la squadra al Riboty , ormai a riposo da due anni: il che aveva suscitato il ri · sentimento e le aspre rimostranze dei vice-ammiragli in servizio, nessuno dei quali, per una ragione o per l'altra, era stato ritenuto idoneo a quel comando.
mulacri di sbarchi e provvedendo a completare il rifornimento di carbone, in attesa dell'ordine di partire per Civitavecchia.
I piani prestabiliti dal governo Lanza per l'attacco allo Stato pontificio prevedevano tre direttive di attacco delle forze armate partecipanti all'operazione: da nord a sud per il corpo del gen. Cadoma, con punto di invasione a Ponte Felice; da sud a nord per la divisione Angioletti, con ingresso da Ceprano; e da nord-est a sud-ovest per la divisione Bixio concentrata ad Orvieto e destinata ad operare di concerto con la flotta per il blocco e l'investimento di Civitavecchia. Ora, mentre all'alba del 12 settembre i reparti di terra avevano ricevuto l'ordine di sconfinare, l'amm. Del Carretto continuava ad essere tenuto all'oscuro dei movimenti cui avrebbe dovuto prender parte. Il 12, udito un insolito cannoneggiamento proveniente dalla direzione di Civitavecchia, mandò due unità in esplorazione e seppe che si trattava di esercitazioni di tiro compiute da una fregata inglese ( 11 ). Il 13 spedì in ricognizione l'avviso Vedetta e il piroscafo Plebiscito e non ebbe alcuna notizia. Allora, di sua iniziativa, nelle prime ore della notte seguente salpò da Porto Santo Stefano e fece rotta su Civitavecchia, il cui faro venne avvistato alle 4,30 a,.m. del giornq 14.
Compiute alcune evoluzioni davanti al porto, la flotta diresse per Porto Clementine, dandovi fondo poco prima di mezzogiorno: l'ammiraglio scese a terra e finalmente riuscì a prendere contatto con il Bixio a Corneto. Colà furono presi gli ultimi accordi per coordinare l'azione di investimento e l'eventuale bombardamento della città pontificia: i tre tempi dell'azione sarebbero stati:
l) dimostrazione di forza delle corazzate dinanzi alla piazzaforte;
( 11) Si trattava della Defence, al comando di sir Nowel Salmon, inviato dall'Ammiragliato britannico a Civitavecchia per- porsi a disposizione del papa, qualora questi avesse voluto trasferirsi da Roma a Malta o alle Baleari; nel porto si trovava anche un'unità francese, la Orénoque, agli ordini del cap. freg. Henry Briot de Crochais, con analoghe istruzioni da parte dell'imperatrice reggente.
2) attesa dell'esito dell'intimazione di resa che il Bixio avrebbe inviato al comando della piazza;
3) eventuale apertura del fuoco sui bastioni a nord-ovest della città,. tra il mare e la strada litoranea.
Ritornato il Del Carretto a bordo della Roma, la squadra salpò alle 1,30 ed alle 9 del giorno 15 era schierata a semicerchio davanti all'avamporto.
Mentre giungeva a Civitavecchia un parlamentare del Bixio ad intimare la resa della piazzaforte, le unità da guerra compivano al largo una serie di evoluzioni e di esercitazioni a fuoco che erano destinate a far colpo sulla cittadinanza e sulla guarnigione. In effetti, malgrado l'opposizione del maggiore D'Albiousse che comandava gli zuavi, il consiglio di guerra riunito dal col. Serra comandante della, piazza decise infine, alle 9 di sera, di arrendersi, soprattutto allo scopo di evitare il bombardamento della città, alle condizioni stabilite: immediata partenza dei contingenti stranieri; incorporazione delle truppe indigene nell'esercito italiano conservando grado e soldo; mantenimento della corvetta pontificia Immacolata Concezione a disposizione del papa.
Così, il 16, Civitavecchia cadde senza spargimento di sangue. L'opera della marina in tale circostanza fu senza dubbio determinante, per l'azione intimidatoria svolta sui pontifici dallo spettacolo di potenza dato dalla flotta: non pertanto, all'epoca, essa non venne ufficialmente affatto riconosciuta ( 12).
(12 ) In nessuna delle pubblicazioni apparse negli anni successivi sulla campagna del 1870 si parla della partecipazione della marina militare ; lo stesso Cadoma, nel suo volume La liberazione di Roma nell'anno 1870 e il Plebiscito, Roma 1889, vi accenna appena con cinque righe a pag. 31. All'epoca , si ebbe soltanto l'o.d.g. del Bixio alle sue truppe, che riconosceva testualmente: « La resa di Civitavecchia, principale nostro obbiettivo, non è che in piccola parte opera nostra; all'aspetto formidabile della nostra flotta sono dovuti i primi onori del fausto avvenimento... )>; ed un tardivo messaggio del re al ministro Acton, in cui si diceva: « Esprima ai comandanti di Dipartimento, agli Ammiragli Del Carretto e Martini, agli Stati Maggiori ed equipaggi della Squadra corazzata la mia alta soddisfazione per la prontezza con la quale si è organizzata la flotta, che si trovò all'ordine ovunque occorreva, dando
La seconda divisione, agli ordini del Martini, parù l'indomani 17 per Gaeta; il Del Carretto e le altre unità rimasero a Civitavecchia fino al 28 settembre, quando, terminato l'imbarco dei mercenari papalini, salparono anch'esse lasciando nel porto soltanto la corazzata V arese a sorvegliare le mosse della francese Orénoque ( 13 ).
A fine anno la squadra andò in disarmo, tranne una fregata e un avviso destinati a scortare a Cartagena « el rey don Amedeo » ( 14 ).
una prova dei sentimenti di cui sono animati pel servizio del Re e della Patria. In questa congiuntura la Marina ha pienamente corrisposto alla mia fiducia ed a quella della Nazione» (GoNNI, op. cit., pagg. 78-79).
(13) La fregata britannica Defence, a crisi conclusa, era salpata per Malta.
(14) Erano la Principe Umberto e il Vedetta. Il principe Amedeo d'Aosta, vice-ammiraglio e ispettore della marina italiana, era stato eletto re di Spagna dalle Cottes di Madrid e prese imbarco a Napoli sulla Numancia il 26 dicembre, per andare a prendere possesso di quel trono, sul quale per altro assai poco sarebbe rimasto.
Unificata politicamente la penisola in seguito alle fortunate vicende del 1859-1860, la fusione reale delle diverse regioni estranee le une alle altre, sia sul piano economico e sociale, sia su quello psicologico, costituiva un arduo compito che avrebbe richiesto gli sforzi di più generazioni. E sulla precaria situazione interna si innestava una congiuntura internazionale minacciosa e pericolosa per il giovane Stato, impossibilitato a difendere i confini assurdi che gli erano stati attribuiti dal modo stesso della sua formazione, e costretto invece a seguire una po· litica di rivendicazioni territoriali e di guerre aggressive. Miseria, disordine, confusione all'interno; all 'estero un arrischiato giuoco d'azzardo di alleanze, di equilibrismi, di minacce talvolta ridicole e di angosciose parate; e tutto ciò da compiersi da una classe politica modesta e divisa, dopo la scomparsa dell'unico personaggio eccezionale cui l'unità in massima parte era stata dovuta: questo il quadro, questa la situazione di fondo, a cui è indispensabile riferirsi nell'esaminare i problemi marittimi e gli elementi formativi della marina italiana nei primi decenni postunitari.
Al 17 marzo 1861 le prospettive navali del regno che nasceva poggiavano su basi nettamente sfavorevoli. C'era anzitutto la posizione geografica del paese, ad esigere imperiosamente che la politica marittima del nuovo Stato venisse impostata, e i relativi problemi affrontati, con la massima urgenza: cosa di cui il Cavour, per quanto assillato da ben più gravi questioni, si era reso perfettamente conto (l). Ognuno dei mari che circondano
(l) Nella nota preliminare al bilancio della marina nel 1861 il Cavour dichiarava: «Il sottoscritto, preposto all'amministrazione delle cose di
la penisola costituiva un tema a sé per lo sviluppo della politica marinara del paese: e l'esempio degli altri Stati europei doveva stimolare l'attività degli italiani in questo campo , particolarmente quello della Francia , che dalla decadenza degli anni della Restaurazione si era rapidamente risollevata, costruendosi, con una flotta potente, un poderoso strumento di ingerenza negli affari mediterranei e mondiali (2 ) . La guerra del 1859, d'altra parte, aveva richiamato all'evidenza l'elevata potenzialità di una marina, anche piccola, ma efficiente, contro l'infelice prova data in Adriatico dalle navi disordinatamente speditevi dal governo
mare di uno Stato collocato in mezzo del Medit.!rraneo, ricco di invidiabile estensione di coste e di una 'lumerosa popolazione marittima , sente il dovere di date il più ampio sviluppo alle risorse navali del paese valendosi degli elementi di forza che ha trovato nelle nuove provincie ,. (MALDINI, op. cit., vol. I, pag. 183 ). Era stato del resto il Cavour che l'anno precedente aveva sentito la necessità di erigere in ministero autonomo l'amministrazione della marina , che nel regno sardo aveva vagato da questo a quel dicastero: unita prima alla Segreteria della guerra, poi (1850) al ministero di agricoltura e commercio, quindi (26 febbraio 1852) al ministero delle finanze, per ritornate nel maggio seguente alle dipendenze del ministero della guerra.
(2) Fu il ministro Portai. armatore bordolese, a dare inizio alla ripresa nel 1825: e i primi effetti si videro cinque anni dopo, nella spedizione di Algeri (cfr. R. JouAN: Histoire de la Marine Française, Paris, 1950, pagg. 268 e segg.). La resurrezione della marina da guerra della Francia è poi soprattutto legata al nome dell 'amm. Lalande: già dal 1830 , da comandante di unità, egli aveva fatto applicare gli alzi ai pezzi della sua Resoiue, vedendosi in seguito addebitare dzl ministero il costo delle artiglierie « deteriorate »; nel 1832 pubblicò il suo primo trattato di tattica navale; nel 1838, ottenuto il comando della squadra francese del Mediterraneo, persegul energicamente il suo scopo di migliorate ed innovare la tattica, curando le condizioni di vita degli equipaggi, allenandoli e preparando le sue navi per la guerra soprattutto con il perfezionamento della loro efficienza offemiva: nella quale attività si pose talvolta clamorosamente in contrasto con il suo ministro, al punto che, di sua iniziativa, fece sparare alla squadra in un solo mese tutti i colpi che, secondo le istruzioni ministeriali, avrebbero dovuto bastare per le esercitazioni di due anni. In tal modo le forze navali da lui preparate divennero uno strumento bellico potentissimo, come si dimostrò a Tangeri nel 1844 e poi a Mogador.
di Torino (3 ): ma permaneva tuttora nelle concezioni strategiche piemontesi una radicata mentalità terrestre, che induceva a sottovalutare l'urgenza dei problemi marittimi, mentre le facili glorie navali di Ancona, di Gaeta e di Messina, regalando alla marina un prestigio sproporzionato, ne avevano nascosto l'effettiva impreparazione. In queste circostanze, con una dirigenza poco versata in questioni navali, con una popolazione troppo occupata, nella sua profonda miseria, a trovare i mezzi per tirare avanti giorno per giorno, con l'eredità di una flotta numerosa sulla carta, ma raccogliticcia e antiquata, con un personale scarso e mal diretto, senza basi adeguate, senza cantieri importanti , soprattutto senza una tradizione marinara che non fosse quella - retorica e inutile - delle repubbliche medievali e di Roma antica, il nuovo Stato unitario doveva affrontare una situazione estremamente difficile, soprattutto per la diversità dei problemi che, nei diversi settori e con pari urgenza, si presentavano.
Di tali settori, quello che si proponeva come il più pericoloso e il più importante al momento, era senza dubbio l'Adriatico. Tanto la situazione internazionale, quanto la manifesta aspirazione dell'Italia al completamento della sua unità, imponevano la priorità di una politica marittima che tenesse conto delle esperienze del '59, della potenzialità del nemico e dell'avversa condizione geografica. Quest'ultima era invero assai sfavorevole per l'Italia: l'immenso golfo costituito dal mare interno, già soggetto per intero alla sovranità della Serenissima ( 4 ), era, sl, chiu-
(3) Mentre il trasferimento delle navi italiane sul teatro della guerra fu assai tardo, e le navi stesse ben poco poterono operare a causa di guasti alle macchine e di deficienze tecniche - inconvenienti che si sa· rebbero potuti evitare se il governo sardo avesse precedentemente condotto una più adeguata politica di preparazione navale al conflitto imminente - la squadra francese, conquistandosi una base in un'isola nemica, chiuse dalla parte del mare le coste venete e costrinse le forze austriache ad asserragliarsi nei porti, con la preoccupazione di un possibile sbarco alle spalle del loro fronte terrestre.
( 4) La pretesa della repubblica di Venezia di tenere soggetto rutto l'Adriatico costitul uno dei cardini della sua politica marinara fin dal
so a sud da chi possedeva Brindisi, ma presentava sempre maggiori vantaggi per gli austro-ungarici, a mano a mano che si risaliva verso nord. Di fronte alla costa occidentale, esposta alle offese in tutta la sua lunghezza perché compatta e priva di insenature e di porti, salvo quello, insufficiente , di Ancona, si estendeva la costa dalmata ricca di ottimi rifugi , con migliaia di isole e isolotti a copertura di riparati canali attraverso cui delle formazioni navali avrebbero potuto manovrare af sicuro per linee interne, con una catena di munite basi già stabilite e la possibilità di valorizzarne innumerevoli altre con la costruzione di poche opere opportune. Su questo grande arco di litorale, da Venezia al confine turco, operava la giovane marina austriaca, priva anch'essa di tradizioni marinare, ma ricostituita e potenziata dopo il '60 dal danese Dahlerup e poi dall'arciduca Massimiliano, che erano riusciti ad amalgamare il composito personale, formato, oltre che da austriaci e da ungheresi, da tedeschi, danesi e dalmati , ed a migliorare la qualità dei quadri, già riconosciuta durante la breve guerra del 1859 dai loro stessi av-
1200 e continuò ad essere accampata dai veneziani fino al XVII secolo. Per oltre cinquecento anni la Serenissima, dichiaratasi padrona assoluta del mare interno, impose pedaggi alle navi che vi navigavano, reprimendo ogni opposizione da parte degli anconetani e di altri rivieraschi, i cui commerci venivano intralciati e rovinati da tali taglie (cfr. CESSI: Storia della Repubblica di Venezia , Milano-Messina, 1946 ). « Bientòt toutes !es puissances » - Scrive uno storico francese - « reconnurent ce dro it de souveraineté. Les exemples sont fréquents de demandes adressées à la Seigneucie pour obtenir le libre passage de grains, de ma.rchandises , de munitions, et souvent elle fit des concessions; mais elle se montra toujours jalouse d'interdire la navigation du golfe aux batiments de guerre, et ne laissa échapper aucune occasion de constater et de soutenir son privilège à cet égard. Meme à une époque où la république était déjà fort déchue de sa puissance, et où d'autres nations avaient une marine bien autrement respectable que la sienne, en 1630 , le Sénat ne voulut pas permettre que l'Infante Marie allat de Naples à Trieste escortée par l'armée navale du roi son frère, et la priocesse dut se résigner à demander le passage sur la flotte de Venise » (Du SEIN: Hìstoire de la marine de tous /es peuples, Paris, 1879 , t. I, pag. 442 )
versari (5 ). L'installazione dell'arsenale a Pola, voluta dall'arciduca Massimiliano nel '54 , aveva ulteriormente potenziato quell'imprendibile base; si stava ponendo rimedio alle deficienze quantitative e qualitative del materiale navigante, con l'impostazione e l'armamento di nuove unità corazzate ( 6 ), che andarono a costituire il nucleo della flotta da battaglia. Si profilava il pericolo che un ulteriore rafforzamento dell'impero austro-ungarico sulla costa adriatica orientale, unito al costante sviluppo dei traffici mercantili austriaci , conducesse al soffocamento di ogni attività italiana in quelle acque e ad un disastroso squilibrio strategico nella prossima probabile guerra. Per contro, qualora la giovane marina militare italiana si fosse rafforzata al punto da eliminare ogni elemento di minaccia austriaca in Adriatico , tutto quel mare, per mancanza di potenze concorrenti, sarebbe potuto cadere sotto l'effettivo predominio dell'Italia ed i confini marittimi del regno si sarebbero ridotti di almeno un terzo , permettendo l'apertura di altre proficue direttrici di espansione.
Ben altra appariva invece la situazione nel settore tirrenico. Diverse anzitutto erano le condizioni geografiche, per essere il Tirreno un mare largamente aperto a sud e a nord-ovest, onde la possibilità di difendere le estese coste peninsulari non
( 5 ) « Les officiers de l'escadre autrichienne » si legge presso }URIEN DE LA GRAVIÈRE, che aveva comandato la squadra francese in quella operazione << étaient pleins d'ardeur , c'étaient déjà les vaillants officiers qui devaient tr iompber à Lissa. Ils demandaient à tenter une sortie, et à nous faire lever un blocus qui les humiHait. L'archiduc ne crut pas qu'il fUt sage d'aventurer une flotte qu'on avait eu tant de peine è créer et que l'Autriche, si elle la perdait, ne se déciderait jamais à reçonstruire. n préfera s 'inspire r de l' exemple des défenseurs de Sébastopol, et appliqua tous ses soins à nous in terdire l' approche de la ville » (La marine d'auiourd' hui, Paris, 1872, pag. 157).
( 6) Nel dibattito alla Camera italiana del giorno 6 luglio 1861, sul progetto cavourriano di far costruire in America due corazzate per la marina del regno , al Menabrea che esponeva la situazione di inferiorità di fronte all'Austria in tale settore, il Bixio ebbe ad obbiettare che, se il nemico costruiva delle corazzate, tanto meglio: « ce le prenderemo (A.P .C. , 1861, l " periodo, pag. 1841).
poteva poggiare sull'ipotesi di un controllo degli accessi. Ma so. prattutto quel che vi caratterizzava la situazione navale era la presenza della potente flotta imperiale francese , la seconda del mondo, all'avanguardia nella tecnica marittima, sostenuta da una tradizione secolare e da una politica ambiziosa, tale da preoccupare gravemente persino l'Inghilterra (7 ). Nei riguardi della Francia il nuovo Stato italiano era chiaramente impossibilitato ad assumere qualsiasi atteggiamento meno che amichevole, sia per l'enorme estensione delle indifendibili coste, sia per la schiacciante superiorità francese sotto ogni aspetto, tecnico, numerico, qualitativo, di mezzi e di uomini. Non restava al giovane regno che tenersi rigorosamente al di qua delle rotte che congiungevano la Sardegna con la Liguria e con la Sicilia , nelle acque di casa, evitando qualunque motivo di frizione con il potente vicino e cercando di conservarne la protezione e l'amicizia. Non si poneva poi alcun problema immediato nei confronti della Spagna, non soltanto perché ormai questa aveva rivolto da più secoli la sua politica marittima all'Atlantico , ma anche per l'esistenza, tra la sfera navale italiana e quella spagnola, del diaframma costituito dalla zona delle rotte francesi per l'Africa settentrionale ( 8 ).
(7) Allarmata dal varo della prima nave da battaglia in ferro , la Gioire, avvenuto nel 1858 , la Gran Bretagna si era affrettata ad imitare la sua pericolosa vicina impostando la Wa"ior . L' applicazione del vapore alle navi, che, secondo il Palmerston, aveva tramutato la Manica in un ponte ( << steam bas bridged the Cbannel »), aveva contribu ito ad aggravare la psicosi dell 'in vasione , così da far orientare il Regno Unito, in quel decennio degli anni '50 che segnò un declino del prest igio marittimo britannico, verso una politica di difesa delle coste contraria ai principi tradizionali nelsoniani e basata sulle fortificazioni stabili : la cosiddetta politica del « brick and mortar del mattone e del calces truzzo (dr. MARDER: The anatomy of British Sea Pow er, New York, 1940, pagg 66-67).
(8) Tuttavia la presenza spagnola nel Mediterraneo non fu considerata trascurabile , perché la possibilità di un ' intesa tra la Spagna ed un ' altra nazione avrebbe potuto ess.!re assai pericolosa, obbligando l' Italia a dividere le sue forze navali. Appunto in rapporto a un tale ipotetico evento, fu presente a lungo nella dirigenza italiana una tendenza alla creazione di una flotta abbastanza potente da equiparare la potenzialità offensiva delle marine spagnola e austriaca sommare.
Lo scacchiere mediterraneo meridionale, infine, si presentava come quello nel quale, al di là delle preoccupazioni immediate, erano maggiori le possibilità future per la nuova marina italiana. Al sud, lungo i litorali della Sicilia, stavano per riattivarsi quelle rotte attraverso cui fino a quattro secoli prima erano passati i più importanti traffici mondiali. Il canale di Suez non era stato ancora aperto, ma ci si stava già lavorando, e la certezza che il taglio dell'istmo era imminente apriva ampie prospettive di imponenti sviluppi commerciali per un paese posto dalla natura al centro delle nuove vie di comunicazione marittima verso l'oriente. Con il possesso pieno di uno dei due soli passaggi tra il bacino occidentale e quello orientale del Mediterraneo, lo stretto di Messina, e con il controllo parziale del secondo, il canale di Sicilia, controllo suscettibile di rafforzarsi molto con l'occupazione dell'antistante sponda africana, l'Italia era nata come Stato unitario proprio nel momento più propizio per sfruttare la posizione geografica e strategica chiave della penisola. Per altro la spinta verso Tunisi, che sembrava imporsi come obbiettivo primo alla politica navale del nuovo regno, era destinata ad urtare contro forti opposizioni: e la maggiore di queste, agli inizi degli anni '60, poteva venire appunto da quella Gran Bretagna che aveva appoggiato il movimento indipendentista e unitario dell'Italia principalmente in funzione antifrancese (9) e che non avrebbe tollerato che una nazione, per quanto debole, acquisisse il completo dominio di un passaggio obbligato di importanza mondiale.
Esisteva ancora un'altra grande potenza le cui navi comparivano a volte nel Mediterraneo, ma era fondamentalmente estranea a quel mare e la presenza saltuaria delle sue unità da guerra,
(9) Cfr. The letters of Queen l'ictoria, London, 1907, vol. III, pag. 545; StG:-/ORETTI: LA politica inglese dura11te la crisi risolutiva dell'unità d'Italia, in «Rassegna storica del Risorgimento», Roma, 1923, fase. II , pagg. 280 e segg.; SILVA: Il Mediterraneo dall'unità di Roma all'Impero italiano, VII ediz., Milano, 1942, pagg. 295 e segg.; RENOU· VIN: Histoire des relations internationales, Paris, 1954, t. V, pagg. 328 e segg.
giustificata formalmente con motivi di rappresentanza (l O), non aveva altro significato se non quello di manifestare debolmente le sempre vive aspirazioni russe ad uno sbocco marittimo meridionale libero dall'impedimento degli Stretti turchi.
Tale essendo la situazione geografico-strategica, si doveva prevedere che, se la politica navale italiana in un immediato futuro avesse dovuto dedicarsi alla preparazione dell'inevitabile conflitto con l'Austria ( 11), in un avvenire più lontano si sarebbe necessariamente rivolta verso sud e verso oriente.
Fuori del Mediterraneo, la presenza navale italiana era, nella primavera del 1861, presso che nulla, come lo era stata quella delle marine militari degli Stati preunitari durante i primi sei decenni del XIX secolo, nel corso dei quali si erano registrate alcune mtsstom sarde nell'Atlantico e nel Pacifico ( 12) ed una
( 10) Cosl nell'ottobre 1859 Palermo era stata toccata da una squadra russa al comando del granduca Costantino, diretta a Nizza per rendere onore all'imperatrice vedova (GoNNI: Le cronache navali dell'anno 1859, a cura dell'Ufficio Storico della Marina Militare, Roma, 1931, pag. 80); e nel 1863 aveva attraversato il Mediterraneo la fregata Degla, partita da Kronstadt «per recarsi a Tolone e di lì fare scorta a S. M. il Re di Grecia (Giorgio I di Danimarca) sino all'approdo nei suoi staù,. A.C.R.M., busta 164, reg. copiai., corrisp. col ministero).
( 11) E' noto che tra il 1861 e il 1866 la politica estera italiana oscillò continuamente tra l'aspirazione a Venezia, che voleva dire una nuova guerra con l'Austria, e l'aspirazione a Roma, che significava rottura con la Francia. Nonostante le dei liberali, il governo mirò costantemente a Venezia, soprattutto sotto l'influenza di Vittorio Emanuele Il, avverso ad ogni contrasto con l'ex alleato e tendente alla realizzazione di una « combine simile a quella del '59.
(12) Cfr. LEVA: Storia delle campagne oceaniche della R. Marina, Roma, 1936, vol. I, pagg. 11 e segg. La corvetta Euridice compì due missioni in Sud America nel 1836-38 e nel 1846-48; ue la fregata Des Geneys (1835, 1841, 1843); altre crociere vennero effettuate dalle corvette Aurora, nel 1847, e San Giovanni, nel 1849, e dai brigantini Daino, tra il 1845 e il 1847, e Colombo, nel 1844-48 e nel 1858. Notevole il viaggio del briganùno Eridano, che, tra il 1842 e il 1845, condusse una lunga campagna oceanica al comando del Persano, raggiungendo Tahiti e le isole Hawai e ritornando poi a Genova sempre per la rotta del capo Horn; lo stesso Eridano effettuò un'altra crociera nel 1848-51. Tutta que-
crociera della flotta napoletana sulle coste del Brasile nel 1843 (13), seguita da un viaggio di istruzione della fregata a vela Urania l'anno successivo ( 14 ). D'altra parte le rotte oceaniche ad est e ad ovest dell'America meridionale erano frequentate dalle navi mercantili italiane ( 15 ), fin da quando, ancora nel periodo napoleonico, aveva avuto inizio una notevole corrente migratoria, soprattutto di liguri, verso quel continente e in particolare verso la zona dell'estuario del Rio de la Plata. Pertanto, a partire dal 1861, la marina italiana prese a mantenere nelle acque sud-americane almeno un'unità di stazione, affinché l'appoggio dei consoli in difesa degli emigrati, nelle instabili con-
sta attività marinara fu senza dubbio assai utile, ma non servì a sviluppare le conoscenze militari né l'esperienza bellica della marina sarda, anzi contribuì ad ingenerare nei quadri « l'illusione che la capacità nautica bastaSse ad una flotta da guerra » (GU.ERRIN1 , op. cit., vol. l, pag. 102).
( 13) Si trattava della scorta della principessa Teresa Cristina di Borbone, che andava sposa all ' imperatore del Brasile don Pedro IL La principessa prese imbarco sulla nave :unmiraglia della flotta brasiliana, la Constituci6n , inviata a Napoli, con la scorta di due corvette, a prelevarla per condurla nella s ua nuova patria. Nove unità napoletane, e cioè quasi l' intera flotta borbonica, al comando dell'amm. De Cosa, accompagnarono la sorella di Ferdinando II nel suo viaggio attraverso l'Atlantico: erano tre grandi fregate a vela, il Vesuvio, nave ammiraglia, la Partenop e e la R egina, una fregata a vapore, il Ruggero ; tre fregate a vela di secondo rango, la Isabella, la Urania e la Amalia; la corvetta a vela Cristina e il brigantino Ge11eroso. Le unità napoletane restarono a Rio de Janeiro per tutta la durata dei festeggiamenti nuziali, rientrando in Italia per Natale (LEVA, op. dt , vol. I, pag. 16).
(14) Cfr. D'ALESSANDRO: Viaggio marittimo ad ttso d'igie11e navale con la fregata " Urania ", Napoli, 1846.
( 15) Per diversi anni la marina commerciale italiana figurò al quarto posto nei traffici dei porti del Perù e nella zona dei grandi fiumi, Rio de la Plata, Rio Paraguay e Rio Paranà , i trasporti fluviali erano praticamente quasi tutù in mano di italiani. Se il movimento locale dei natanti italiani era notevole, scarsa era stata per altro, nella prima metà del secolo, la presenza commerciale marittima delle bandiere degli Stati preunitari nel traffico ttansoceanico: dr. al riguardo M. GABRIELE: L'armamento italiano sulle rotte atlantiche (1800-1860), in « Anuario de estudios americanos », a cura della Escuela de Estudios Hispano-Americanos, Sevilla, 1968, t. XXV, pagg. 295-324.
dizioni politiche di quei paesi, risultasse efficiente. Poco dopo la proclamazione ufficiale del regno, venne destinata come stazionaria a Montevideo la corvetta a vela Iride di 725 tonn. con 12 cannoni, agli ordini del Roberti: questa fu sostituita nel 1863 dalla corvetta a ruote, ex napoletana , Fulminante, di 1141 tonn. con 10 pezzi, al comando del Martini. L'anno seguente, essendo state inviate laggiù altre due piccole unità ( 16 ), il cap. freg. Mattini assunse il titolo di Comandante superiore della stazione navale al Plata e potè fronteggiare validamente le agitazioni verificatesi durante la guerra del Paraguay ( 17 ).
Fu nel 1865 che la politica navale italiana nelle acque del nuovo mondo ebbe ad affermarsi con un provvedimento assai importante, l'istituzione della divisione dell'America meridionale, che rappresentò un tentativo di riunire in una sola e più potente formazione le unità inviate in quei mari australi, per im-
(16) Il rinforzo consisteva nella vecchia fregata a ruote di secondo ordine Ercole , già della marina borbonica, di 1.306 tonn. e con 6 cannoni, e nella cannoniera ex-toscana Veloce, di 274 tono., armata da 4 pezzi.
(17) Passato il potere in Uruguay dal partito dei blancos a quello dei colorados , appoggiato dalla flotta brasiliana , ne segul un lungo periodo di lotte, durante il quale le navi italiane ebbero a prestare assistenza a connazionali e a cittadini di altre nazioni minacciati nei beni e nella vita . Tra l'altro , la Fulminant e sbarcò a Montevideo un distaccamento di fanteria di marina in occasione del passaggio dei poteri presidenziali allo scopo di assicurare il mantenimento dell'ordine e ne ottenne una lettera di ringraziamento dal presidente uscente , grato ai marinai italiani perché avevano assolto il loro compito mantenendo una stretta neutralità tra le parti in conflitto; quando la provincia argentina di Corrientes fu occupata dalle truppe del generale paraguayano Lopez, nell'ottobre 1865 , la cannoniera Veloce condusse su per il fiume un convoglio di navi noleggiate e cariche viveri , in aiuto agli italiani e agli stranieri danneggiati dalla guerra, 0ffrendo a chiunque volesse porsi in salvo la po ssibilità di imbarcarsi sotto la protezione della sua bandiera, il che procurò alto prestigio alla nostra marina ; la medesima cannoniera, dopo il bombardamento di Paysandù , accorse al soccorso della città colpita, aiutando la popolazione senza distinzioni di nazionalità, per la quale operazione il comandante dell'unità Calmi e il medico di bordo ricevettero un particolare elogio (LEVA, op . cii., vol. I, pagg. 22 e segg .).
primere maggiore impulso e per coordinare organicamente l'attività politico-marittima da esse esplicata. La decisione del governo italiano venne provocata dalla situazione politica in quel continente, dall'aumento continuo degli interessi nazionali in quei luoghi, dove l'attività degli emigrati presentava favorevoli prospettive e sembrava suscettibile di futuri sviluppi economici e forse anche politici , e infine dalle pressanti richieste degli agenti diplomatici e consolari, i quali segnalavano analoghe iniziative da pane delle altre potenze e sottolineavano l'opportunità della presenza della bandiera italiana nei porti che ricadevano sotto la loro sfera di azione (18 ) . << I gravi disordini» scriveva il 31 agosto 1865 il ministro della marina Angioletti al suo collega degli esteri « dai quali è continuamente turbato l'ordine pubblico nell'America meridionale fanno sentire ai numerosi sudditi nazionali colà stanziati il bisogno d'una protezione più efficace per parte dei nostri bastimenti da guerra; e la distanza considerevole alla quale c;i trovano i comandanti delle nostre forze navali in quei mari richiedendo che sia resa meno stretta la loro dipendenza dal Ministero e che siano ad essi conferiti
( 18) V. disp. del ministro italiano a Lima,. Migliorati, al ministero degli esteri in data 13 agosro 1865: « ...è mio dovere osservare all'E<;cellenza Vostra che lo stato continuo di rivoluzione in questi paesi crea continui pregiudizi ai R. Sudditi qui residenti i quali hanno sempre più frequenti motivi di fondati reclami. L'Inghilterra, la Francia, la Spagna e gli Stati Uniti, le quali potenze assieme riunite non hanno certamente tanti interessi come l'Italia da proteggere in questa Repubblica mantengono qui costantemente legni da guerra. Non crederei decoroso che il Governo di Sua Maestà il quale qui mandò un rappresentante di grado superiore a quelli della Francia e dell'Inghilterra voglia esporlo a dere inutilmente dilazionate le risposte alle giuste domande sporte a favore dei regii sudditi: e che essi voglia lasciar andare depredati impunemente del frutto dei loro sudori e delle loro privazioni. Rinnovo pertanto l ' istanza perché se già non si è a ciò provveduto sia immediatamente surrogata la fregata Prir1cipe Umberto in queste acque (l'unità aveva toccato il Callao durante una crociera), essendo come ho avuto l'onore di esporlo molte volte nella mia corrispondenza di somma necessità di appoggiare colla forza i reclami e le domande di indennità che le anormali circostanze di questo paese rendono ogni giorno più numerose e più fondate» (A.C.R.M., busta 8, cart. Divisione America Meridionale).
più ampi poteri; il sottoscritto crede, in conseguenza, conveniente aumentare il numero dei legni in quelle acque estendendo così l'attuale stazione del Plata a tutta l'America meridionale, e formare dei bastimenti destinati a servire in quelle acque una divisione navale, il comando della quale verrebbe conferito a un contr' ammiraglio » ( 19 ). Costituita la divisione, si ebbero difficoltà per arrivare alla nomina del comandante: dopo che due contrammiragli, il De Boyl e il D'Aste, l'ebbero rifiutata preferendo di essere messi a riposo anzi che spediti agli antipodi, il terzo designato, il Riccardi, volentieri o malvolentieri, l'accettò e si accinse a partire: effettivamente, la lontananza del settore operativo, le difficoltà della missione e le gravi responsabilità da assumersi non rendevano desiderabile la destinazione.
In ogni modo, a novembre, il contrammiraglio Riccardi, preso imbarco sulla fregata Regina, salpò da Napoli e, scortato dalla cannoniera Ardita - o piuttosto trascinandosela faticosamente dietro (20)- attraversò l'Atlantico ed arrivò nel gennaio del 1866 a Montevideo.
Con le forze assai scarse a sua disposizione, il Riccardi doveva affrontare dei problemi estremamente complessi: da un lato gli era difficile distogliere dall'estuario del Rio de la Plata un'unità, poiché la situazione locale assorbiva tutte le possibilità della divisione per la difesa degli interessi dei connazionali (21)
(19) Ibidem.
(20) La Regina, infatti, fu costretta a rimorchiare la cannoniera per vari tratti durante la traversata dell'oceano. Soltanto dopo Rio de Janeiro il Riccardi potè lasciar andare per suo conto la Ardita, dato che di U in poi la rotta era più facile, seguendo la costa (ibidem).
(21) Proseguendo la guerra paraguayaoa, le unità ebbero numerose occasioni di intervenire: nel febbraio 1866 le cannoniere fecero rilasciare un piccolo bastimento italiano, il Marinetta, sequestrato da una unità da guerra argentina; poco dopo ottennero il rilascio di altri mercantili nazionali trattenuti dai paraguayani.i.. nel marzo vennero fatti liberare due marinai della Ercole arrestati, pare arbitrariamente, dalla polizia argentina a Buenos Ayres ed alcuni cittadini italiani imbarcati a forza, per essere arruolati, sopra una nave brasiliana (LEVA, op. dt, voi. I, pagg. 37-39).
e dall'altro appariva non meno urgente la necessità di far comparire la bandiera nel Pacifico (22); né il contrammiraglio poteva avvalersi della Magenta) pervenuta a Montevideo nella primavera dell865, poiché questa corvetta parti nel febbraio seguente, diretta al Giappone, proseguendo il suo periplo navale, e due mesi dopo era salpata precipitosamente anche la Principe Umberto di ritorno dal Callao e richiamata in Italia: cosl che, rimpatriata la Fulminante) spedita la vecchia Ercole nel Pacifico (23 ), la formazione italiana si trovò ridotta a tre sole unità, una soltanto delle quali abbastanza efficiente (24 ).
Alle insistenze del Riccardi per avere qualche altra nave, il ministero, pur promettendo vagamente di mandare la corvetta Principessa Clotilde) ma non prima della fine dell'anno, in ultima analisi se ne lavava le mani e diceva all'ammiraglio di arran-
(22) Le istruzioni del ministero lasciavano al Riccardi ampia facoltà di decidere personalmente circa la dislocazione delle navi a seconda delle necessità; tuttavia suggerivano: «il Comandante in Capo farà in modo che i bastimenti da lui dipendenti visitino di tempo in tempo i principali porti dell'America Meridionale e più frequentemente Rio de Janeiro e Lima ,. (A.C.R.M., busta 8, cart. Divisione America Meridionale); e il ministro Migliorati premeva dal Perù, mentre il conflitto ispano-cileno in corso reclamava la presenza di un'uni tà nel porto di Valparaiso (ibidem). Fin da due anni prima era stata richiesta invano la presenza delle navi da guerra nell'America centrale, sulle coste del Salvador, del Guatemala e del Nicaragua {A.C.R.M., busta 2).
(23) La vecchia unità a ruote, per altro, non riuscl ad arrivarci. Partita il 29 marzo dalla capitale dell'Uruguay, trovò avverse condizioni di mare nel canale di Magellano e fu pertanto costretta a rifugiarsi alle iso le Falkland per riparare le avarie. Ripreso il mare ed imboccato nuovamente il terribile stretto, vi subì un nuovo incidente che danneggiò in grave maniera il vetusto scafo, cosl che si trovò obbligata a rientrare faticosamente a Montevideo (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 42).
(24) Per vecchia che fo-;se, la Regina poteva ancora incutere rispetto con le sue quasi 3.000 tonn. di stazza e i 50 cannoni di cui era armata. Nata come fregata a vela della marina napoletana, a vela aveva attraversato l'Atlantico 22 anni prim:1 e forse per questo precedente, raro tra le navi italiane, era stata scelta: ma, sebbene vi fosse stata montata dopo il '61 una macchina a vapore, era sostanzialmente rimasta un bastimento velico e ne conservava le caratteristiche superate dai tempi.
giarsi (25): giungendo, a un certo punto, a scrivergli chiaramente che poteva restare in Atlantico , o passare nel Pacifico, purché la smettesse di dar fastidio (26 ).
Malgrado fosse in tal modo abbandonato a se stesso senza speranza di aiuti , e sebbene nessuno dei suoi bastimenti presentasse delle spiccate caratteristiche di potenza, tuttavia il Riccardi riusd a raggiungere gli scopi che gli erano prefissi, e cioè quelli di ovviare alle violenze contro i connazionali, da parte di privati o di fazioni fortunatamente sprovviste di mezzi navali. n fatto che l'ammiraglio italiano non avesse ai suoi ordini che legni a vela o muniti di macchine di ben poca efficienza non importava molto, dal momento che non si trattava di combattere per mare contro formazioni avversarie, ma solamente di operare nell' estuario o lungo il corso dei grandi fiumi, dove anzi lo scarso pescaggio delle unità risultava vantaggioso. Montevideo, base della divisione, pur non disponendo di un porto molto attrezzatoma sempre preferibile ai bassi fondali di Buenos Ayres -, appariva adatta, per trovarsi al centro della zona di. lDaggior densità degli emigrati e per avere abbastanza facili comunicazioni con la costa brasiliana e con quella argentina, nonché, attraverso i fiumi, con le piaghe interne, anch'esse abitate da connazionali, dell'Argentina e dell'Uruguay. Da Montevideo, poi, non era eccessivamente difficoltoso nemmeno il lungo viaggio per il Pa-
{25) «Faccia come crede, lei meglio del Ministero può decidere» {lettera del ministro Angioletti al Riccardi in data 12 marzo 1866: minuta in A.C.R.M., busta 8 , cart. Divisione America Meridionale).
{26) Ibidem, lettera del ministro Angioletti al Riccardi in data 19 aprile 1866: « La Divisione sotto i suoi ordini è costituita pel servizio generale lungo tutte le coste dell'America meridionale, senza distinzione particolare di regioni... per conseguenza la S. V. è in facoltà di trasportare il comando non solo nel Pacifico, ma in quali altri paraggi stimi conveniente la presenza di esso (la sottolinea tura non è nel testo). Se poi si desse il caso ch'Ella sentisse il bisogno di commettere alla Regina una spedizione qualunque, e che nel tempo stesso non stimasse conveniente abbandonate il Plata, allora converrebbe che si adattasse ad un trasporto temporaneo della sua residenza comunque questo potesse riuscire incomodo».
cifico, da effettuarsi sempre sotto costa, con l'appoggio, al largo, della base britannica amica delle isole Falkland e con l'unico trano arduo dello stretto di Magellano. Cosl, con modica spesa, il governo italiano sperava di mantenere in quegli anni il controllo della situazione in quelle regioni dove era indispensabile la presenza della nostra bandiera: ed è innegabile che il Riccardi e il suo stato maggiore, operando con i mezzi di cui potevano disporre, unendo ad un'intensa attività militare una prevalente e accorta azione diplomatica, intervenendo con energia o con tatto a seconda delle circostanze e mantenendo soprattutto una rigorosa neutralità nelle faccende interne dei singoli Stati, riuscirono ad assolvere in maniera encomiabile il compito affidato loro, proteggendo efficacemente i connazionali tra i sussulti rivoluzionari e le lotte sanguinose delle popolazioni locali ed affermando nel sud dell'America latina il prestigio della marina della neonata . . . naz10ne unuana.
All'infuori delle acque dell'America meridionale, la flotta italiana non ebbe occasione di far registrare la propria presenza in altri mari extra-mediterranei , durante quei primi anni dopo l'unità. Vi fu un momento, durante la guerra di secessione ame· ricana, nel quale parve prendesse forma l'idea di inviare un'unità militare italiana nel Messico, in coincidenza con l'accresciuto interesse della Francia a tale paese. E la circostanza della guerra di secessione, con le connesse vicende navali legate al blocco marittimo degli Stati confederati, offriva un pretesto valido per mandare a Vera Cruz -o comunque nei Caraibi - una nave da guerra italiana. Il Messico, fatto oggetto di particolare attenzione da parte di Napoleone III , era diventato, proprio a causa delle ambizioni francesi, un argomento abituale di molte conversazioni internazionali. A Londra, l'ambasciatore d'Italia, Massimo D'Azeglio, giocando a biliardo con lord Palmerston, introdusse nella conversazione un cauto sondaggio circa l'idea di una modesta presenza navale italiana nelle acque messicane, e gli inglesi si trovarono d'accordo. Ma da Parigi, malgrado gli sforzi del Nigra e nonostante la modestia del progetto, venne una decisa opposizione: la Francia non gradiva alcuna attiva coopera-
zione italiana, per poco significativa che fosse, nell'area messtcana, e cosi non se ne fece nulla (27 ).
La prima crociera effettuata dalla marina militare italiana per presentare al mondo la bandiera del nuovo regno sarebbe stata effettuata soltanto nel 1866-68: il viaggio di circumnavigazione della corvetta Magenta, al comando del cap. freg . Vittorio Arminjon, con scopi dichiaratamente scientifici e in via subordinata diplomatici e commerciali. Di tale missione e dei risultati che consegui sarà detto in seguito.
(27) V . .i rapporti del D'Azeglio e del Nigra, rispettivamente ambasciatori d'Italia a Londra e a Parigi, in D.D.I., serie I, vol. l, pagg. 481, 497, 501, 502 e 546.
Il momento storico nel quale era nato lo stato unitario italiano, con lo sgretolamento del vecchio regno borbonico di fronte all'impresa garibaldina , era caratterizzato da una accentuata rivalità navale anglo-francese. I britannici, tradizionali dominatori dei mari, erano in buona misura ossessionati dalla minaccia francese, reale o supposta che fosse. Dovunque, soprattutto nel Mediterraneo, essi temevano un aumento della potenza e della pericolosità navale francese, anche quando solamente con uno sforzo della fantasia sarebbe stato possibile immaginare piani di penetrazione e intenzioni recondite di insediamento da parte del governo di Parigi.
Una delle zone nella quale gli inglesi tendevano forse a soptavalutare il « pericolo francese » era in quel tempo lo Jonio. Londra vi controllava le isole Ionie ·e la Francia anche se talora presente, non vi aveva reali mire precise su obiettivi immediati. Ma l'Ammiragliato britannico diffidava, e nel novembre 1860, in una memoria riservata sulle isole Ionie , l'ammiraglio Martin, comandante in capo della Mediterranean Fleet, aveva scritto:
« Io credo che sarebbe cosa saggia dare le isole Ionie alla Grecia, od a qualsiasi altra potenza europea, eccetto la Francia. Ma piuttosto che permettere che cadano sotto la Francia, io fortificherei Corfù e la terrei: almeno fino a quando l'Inghilterra non si sia assicura to il possesso di Candia ».(l). Questo atteggiamento,
(l) « Naval and Military considerations with reference to the Ionian Islands - Confidential » , in P.R.O L., Admiralty , I, 5733, fase. 834. Le isole Ionie avevano costituito il principale punto d'appoggio per l'espansione del Uoyd austriaco durante il dominio inglese ed avrebbero continuato ad esserlo anche dopo la cessione dell'arcipelago alla Grecia, non solo perché la Gran Bretagna considerava l'impero austro-ungarico come
che aveva trovato consenso a Londra, non era nuovo, e si inquadrava in un atteggiamento intransigente nei confronti di ogni prospettiva di aumento del potere navale francese nel .Mediterraneo: lo stesso che avrebbe condotto gli inglesi -l'anno dopoad opporsi all'idea che si potesse cedere la Sardegna al Papa in cambio di Roma.
Tenuta lontano dall'intransigenza inglese ogni potenziale \:oncorrenza navale francese, restavano solo l'Inghilterra e la Turchia a competere con l'Italia negli anni '60 per conseguire nei mari della Grecia una posizione di influenza e di prestigio. Austria e Russia , che pure avrebbero potuto aspirarvi, apparivano distolte da altri problemi. La Grecia stessa, in condizioni di cronica instabilità, in preda a disordini endemici nella maggior parte del suo territorio e con una situazione politica interna ben poco migliorata dal cambio di dinastia avvenuto nel 1862, orientava il suo atteggiamento internazionale quasi esclusivamente sulla protezione inglese, divenuta ancor più importante con l'ascesa al trono del nuovo re filo-britannico, e sul costante odio ami-turco. Quanto alla Turchia, questa osservava con estrema diffidenza tutto ciò che avveniva in Egeo, nel timore che l'odiatissimo greco trovasse nuovi appoggi per ulteriori rivendicazioni. Più delicata, per l'Italia, era la situazione nel mare Jonio, dove le coste greche continentali poste a breve distanza, e ancor più quelle delle isole di Cefalonia e Corfù - cedute dalla Gran Bretagna alla Grecia nel 1864 dopo un cinquantennio di diretto dominio inglese - erano potenzialmente in grado di controllare gli accessi all'Adriatico e la rotta Brindisi-
il suo tradizionale alleato sul continente, ma soprattutto perché il governo britannico vedeva di buon occhio il predominio commerciale austriaco a preferenza di un'evenruale affermazione francese o di altri: dr. GABRIELE, La polìtica navale, ecc., cit., pag. 321. Per quanto segue, circa l'opposizione britannica ad un'ipotetica cessione della Sardegna, cfr. la lettera dell'ambasciatore a Londra, D'Azeglio, a Cavour, in data 4 marzo 1861, in D.D.I., serie I, vol. I, pag. 26; v. anche, ibidem, pagg. 189 e 503-505; e A.P.C., 1861-1861, 3° periodo, vol. V, Roma, 1881, pag. 2787; nonché il lavoro del Srorro.PlNTOR: Intorno alle voci di cessione dell'isola di Sardegna, Milano, 186L
Taranto per noi vitale, e dove il traffico mercantile austriaco del Lloyd, detentore del monopolio delle comunicazioni commerciali locali, si opponeva alle ambizioni marinare del nuovo regno. La prevalenza del commercio austro-ungarico creava inoltre, di riflesso, ulteriori motivi di preoccupazione, per l'eventualità che l'impero danubiano fosse spinto in un immediato futuro ad un maggiore potenziamento della sua marina militare per proteggere i suoi crescenti interessi nella zona: onde la necessità di tentar di stabilire un'influenza italiana nella Grecia occidentale e specialmente nelle isole. Fin dal settembre 1861, del resto , il Mamiani, scrivendo al Ricasoli da Atene dove si trovava in missione diplomatica, sottolineava l'opportunità e l'urgenza di intensificare i rapporti con il regno ellenico, particolarmente quelli commerciali marittimi (2).
quadro delle relazioni marinare italo-greche, nel 1863 venne armata una divisione navale - con manifesta esagerazione definita << squadra del Levante » - che agli ordini del Vacca visitò i porti del Mediterraneo orientale, mentre gli interessi e l'attività della marina mercantile italiana in quel settore erano nettamente in ascesa: la missione ebbe buon esito, malgrado un lieve incidente che al Pireo raffreddò i rapporti, fino allora mantenutisi abbastanza corretti, con gli austriaci della divisione dell'ammiraglio Tegetthoff i vi ancorata (3 ). L'anno se-
(2 ) Tra i suggerimenti del Mamiani, quelli che riguardavano la marina erano i seguenti : « l. Comparsa frequente della nostra bandiera fra la Grecia e Costantinopoli. H o già ricordato a V. E. come Russia, Francia e Inghilterra provvedono di maniera che sempre un qualche loro da guerra stanzia nel Pireo... 3. Alla recente convenzione postale far' seguitare, dove sia possibile, una istituzione di corse periodiche di battelli a vapore italiani al servizio sl del co mmercio e sì delle poste, moventi da Ancona per Alessandria od altra parre notabile dell'Oriente, ma toccando sempre alcun punto della Grecia >> (D.D.I., serie I, vol. I, pag. 351).
(3 ) Le relazioni tra italiani e austriaci nel porto ateniese si mantennero all ' inizio assai buoni, aiutando il fatto che diversi ufficiali dell'ex marina napoletana erano passati in quella austriaca e dalla austroungarica provenivano tutti gli ufficiali veneti della divisione italiana, cosl che le relazioni personali tra questi e quelli erano numerose e di vecchia
guente, a fine estate, si trovava nelle acque di Corfù una flottiglia di unità sottili, che al comando del Montemayor compiva una crociera per l'istruzione dei novizi e dei mozzi: e verificandosi nell'isola delle beghe di non molta importanza tra pescatori greci e italiani ( 4 ), il Montemayor segnalò al ministero l'opportunità di inviare una unità maggiore, per proteggere gli interessi italiani nella zona, magari istituendovi una stazione navale (5). Trovandosi a corto di navi in assetto , in conseguenza della politica di stretta economia seguita alla caduta del gabinetto Minghetti, il governo non poté spedire che la vecchia fregata a ruote di secondo rango Governolo al comando del Cafiero: essa avrebbe dovuto fare scalo a Corfù , indi procedere per Patrasso, allo scopo di far rispettare la bandiera italiana, mantenendo però una rigorosa neutralità nella lotta tra le fa-
data (GUERRINI, op. cit , vol. I , pag. 295). Ma quando il Vacca, in occasione di una festa a bordo della sua ammiraglia, il Re Galantuomo (l'ex borbonico Monarca), fece inserire tra gli stemmi delle città italiane posti ad ornamento anche quelli di Venezia e di Roma, l'amm. Tegetthoff gli indirizzò una protesta scritta e diede ordine ai suoi di cessare qualsiasi familiarità con gli ufficiali italiani. Il Vacca rispose all'ammiraglio austriaco con una lettera conciliante, sottolineando che la festa non aveva alcun carattere · ufficiale ed affermando di non aver pensato alla possibilità che lo stemma di Venezia potesse influire sui rapporti esistenti tra le due marine. Per la diversa valutazione dell'e!>isodio e per il giudizio sull'operato del Vacca, dr. LuMBROSO: Il processo all'ammiraglio Persano, Roma, 1905, pag. LXXXII.
( 4) Si trattava di una disputa di poco conto: si erano verificati attriti tra un gruppo di pescatori italiani ed elementi locali, dovuti a gelosia di mestiere, non ingiustificara da parte dd corfioti, che dopo tutto erano in casa loro: sembra che il principale ostacolo ad una soluzione pacifica della vertenza fosse proprio l'atteggiamento tracotante assunto dagli italiani, che, sentendosi spalleggiati dal loro console , si abbandonavano ad ulteriori provocazioni. Il rappresentante consolare italiano a Corfù, Viviani, scriveva appunto il 1° settembre 1864 al ministro della marina, ringraziando ed esprimendo l'augurio che la presenza delle navi da guerra nazionali avrebbe avuto un salutare effetto (A.C.RM., busta 2, cart. 10).
(5) Il comandante della flottiglia novizi e mozzi appariva anche allarmato dall'arrivo di una cannoniera greca: v. rapporto del Montemayor al ministero in data 13 settembre 1864, ibidem.
zioni locali ( 6 ). Giunto alle Ionie, il Cafiero ebbe a ridimensionare la portata della questione dei pescatori e propose di ripartire subito: per altro il console italiano a Corfù, Viviani, ne chiedeva l'ulteriore permanenza, e dal Cafiero e dal Montemayor venivano inviati al ministero rapporti contraddittori sulla situazione ( 7 ). Soltanto il 18 ottobre la flottiglia dei novizi e mozzi levò l'ancora, mentre a Torino veniva presa la decisione di spedire al Pireo una nave da guerra importante, a causa della instabilità e della pericolosità della situazione ad Atene segnalata dal console italiano nella capitale greca, Della Minerva. Fu mandata una delle maggiori unità che si possedessero, la pirofregata Italia di 3.680 tonn., munita di 54 cannoni, con istruzioni di proteggere gli interessi nazionali, di osservare e riferire: e soprattutto di non intederire minimamente negli ingarbugliati affari interni della Grecia, mantenendo buoni rapporti con le navi di altri Stati presenti nelle acque elleniche, anche con quelli di potenze che non avevano ancora riconosciuto il nuovo regno italiano ( 8 ). Placa tesi le acque, sia a Corfù, sia ad Atene, il Governolo fu fatto rientrare il 7 novembre e la fregata Italia proseguì la sua missione con carattere di normale stazione navale.
Più importante fu la crociera compiuta nell'autunno 1865 dalla divisione di evoluzione un'altra volta al comando del Vacca. Secondo le istruzioni impartite dal ministro Angioletti il 20 settembre 1865, la formazione, che praticamente comprendeva
( 6) Cfr. ibidem le istruzioni del ministero al èomandante Ca fiero.
(7) Cfr. ibidem i rapporti del Montemayor del 21 settembre e del 3 ottobre, in cui si dipingeva a fosche tinte l'orizzonte politico locale; la lettera del console Viviani al Lamarmora in data 11 ottobre; e la re· lazione del Cafiero del giorno 20 ottobre.
(8) « la S. V. manterrà le più amichevoli relazioni con i Comandanti delle altre stazioni navali estere che troverà al Pireo, il governo di tutte essendo in buone relazioni con le diverse potenze marittime, spe· cialmente la Francia e l'Inghilterra (nella minuta appare cancellata «la Russia •). L'Austria e la Spagna non avendo riconosciuto il nostro Stato la S. V. si limiterà verso i bastimenti di tali potenze ad usar loro solamente tutte quelle cortesie che sono di uso generale nelle relazioni internazionali» (A.C.R.M., busta 2, cart. 10).
tutte le maggiori unità della flotta in armamento, avrebbe do- 1, vuto visitare Malta, Taranto e Corfù, rientrando poi ad Ancona dopo aver toccato le coste albanesi ( 9 ). Svoltasi regolarmente la t maggior parte della crociera, il 28 ottobre la divisione si trovava alle isole Ionie, quando ricevette da Firenze l'orçljpe di fermarsi a Corfù, poiché un incidente di una certa gravità, verificatosi ad Atene ai danni del vice-console italiano in quella città, Malavasi , richiedeva la presenza delle navi da guerra italiane nelle acque greche (10 ) . Si presentava alla marina l'occasione di dare per la prima volta una dimostrazione di forza ( 11 ) e di conseguire un'affermazione del prestigio nazionale, premendo sulle autorità elleniche in maniera amichevole e riservata, ma non priva di energia, per ottenere il riconoscimento dei nostri diritti e il risarcimento dei danni subiti. In un primo momento il governo di Atene appariva restio a dare soddisfazione, così da far esternare al Della Minerva i più fieri propositi , che andavano fino alla rottura dei rapporti diplomatici e persino all'occupazione di
(9) Testo delle istruzioni in A.C.R.M., busta 167, doc. 29, prot. ris. arrivo.
{10) li console Della Minerva aveva telegrafato: « Mercredi soir Vice Consul italien sorti de la Chambre des Députés suivait la foule allant directement chez lui désarmé inoffensif, fut frappé blessé à la rete par le Directeur de Police et ses agents maJgré qu'il ait décliné sa qualité d'Italien. }'ai dernandé destitution et punition coupables. En prévision difficulté ou tergiversation, je prie V. E. de laisser Escadre à Corfou. Vos instructions pourraient lui arriver lundi avant son départ ». Pertanto al Vacca si ordinava di trattenere il grosso della formazione a Corfù, spedendo a Patrasso l'avviso Peloro e la fregata Principe di Carignano, quest'ultima a disposizione del console (A.C.R.M., busta 167, doc. 35, prot. ris. arrivo).
(11) «Ai Greci» -scriveva il console Della Minerva all'amm. Vacca lo stesso giorno - « bisogna incutere il rispetto colla forza, poiché essi non rispettano che i forti. I Greci non sono ancora convinti che noi siamo uno stato potente e forte che può essergli utile ma nel tempo stesso incomodo se offeso. A questo solo prezzo è l'influenza in questo paese e presentandosi l'occasione non bisogna lasciarla sfuggire» (A.C.R.M., busta 167, doc. 37, prot. ris. arrivo).
qualche pegno territoriale ( 12 ). Il 7 novembre il Vacca comunicava al console la partenza delle navi da Corfù, assicurandolo che era perfettamente d'accordo con lui sulla maniera di risolvere l'incidente. La Principe di Carignano andò dunque al Pireo ( 13 ) e il suo arrivo fece un « ottimo effetto ma non sciolse il nodo della questione nel senso da noi voluto » (14 ); il 14 il Vacca, in ottemperanza agli ordini, salpò con il resto della divisione Patrasso, lasciando a Corfù la sola Gaeta , mentre il governo italiano , per l'eventualità di una lunga stazione della flotta nelle acque greche, mandava all ' ammiraglio, per mezzo del Dora, un supplemento di 54.000 razioni di viveri. spedendo anche l'avviso Etna a sostituire il Peloro. in cattive condizioni. Continuava per altro ad essere molto difficile ottenere seduta stante le richieste soddisfazioni da un paese i cui governi si succedevano freneticamente, nel pauroso marasma della situazione politica , tanto che le notizie venivano superate dagli avvenimenti: caduto il ministero Deligeorgis, i gabinetti Bulgaris e Comoundouros erano durati appena due giorni ciascuno. Il 25 novembre , con il ritorno del Deligeorgis al potere, la questione delle riparazioni fu risolta rapidamente, anche per la mo-
( 12) Cfr. dispaccio del Della Minerva al ministero degli esteri in data 3 novembre: « Non soddisfazione. Ammiraglio mandi bastimenti Patrasso. Se bisogno lo chiamerò Pireo » (A.C.R.M., busta 167, doc . .38, prot. ris. arrivo); altro dispaccio del medesimo, del giorno seguente: « Le cose continuando così, domani sera chiamerò la fregata ... E' mia intenzione proporre al R . Governo che sia fissato un termine perentorio dopo il quale la Legazione dovrà imbarcarsi sulla fregata Sarebbe a mio avviso preferibile che la squadra occupasse militarmente qualche Isola o qualche punto de!Ja terraferma come Patrasso fino a ricevere la chiesta soddisfazione... ,. (ibidem, doc. 40, prot. ris. arrivo).
(13) Ibidem, doc. 9, prot. ris. partenza. Nel porto di Atene si trovavano, a quanto segnalava il console, un vascello inglese, una corvetta turca, un avviso francese, una cannoniera austriaca, una corvetta e una cannoniera prussiane.
{ 14) V. lettera del Della Minerva al Vacca in data 12 novembre (ibidem, doc. 41, prot. ris. arrivo).
derazione delle richieste italiane (15). Il 30, lasciando la Principe di Carignano in stazione navale a Patrasso, e spedendo il San Martino in bacino a Malta per riparazioni, l'amm. Vacca salpò per Ancona con le rimanenti unità al suo comando ( 16 ). Trascorso il mese di dicembre nel porto adriatico, l'ammiraglio, che nel frattempo aveva dovuto discolparsi presso il ministero dall'accusa di aver imprudentemente espresso ai greci l'auspicio di « nuove conquiste da farsi con l'aiuto dell'Italia », le quali parole avevano suscitato un vespaio in Turchia ( 17 ), riprese il mare 1'11 gennaio 1866. Gli era stato prescritto di condurre la sua divisione lungo le coste dalmate, allo scopo di impratichire gli ufficiali « con i passaggi che si trovano tra le numerose isole di quel litorale », con la raccomandazione, però, di « regolarsi in modo da evitare la possibilità di vedersi costretto da forza maggiore ad ancorare in porti Austriaci » ( 18 ). Pur-
(15) Il Della Minerva telegrafava il 26 novembre: « Affaire Malavasi terminée ce matin à nocre satisfaction » (A.C.R.M., busta 167, doc. 49, prot. ris. arrivo).
(16) Erano: Italia, Gaeta, Etna e Peloro (ibidem, doc. 52, prot. ris. arrivo).
(17) Cfr. GABRIELE, La politica navale, ecc., cit., pagg. 339-345. Si trattava di una lettera inviata dal Vacca al direttore di un giornale di Corfù, in risposta ad un anicolo inneggiante alla fraternità itala-ellenica, nella quale lettera pare fosse co:ntenuta la frase incriminata. La missiva, per altro non pubblicata dal giornale corfiota, sarebbe pervenuta al governo greco e quindi venuta a conoscenza dei turchi, i quali protestarono vivacemente a Firenze con una nota del 7 dicembre dichiarando che « l'attention la plus sérieuse de Son Excellence le Ministre des Affaires Etrangères est appclée sur l'attitude qu'aurait prise en cette circonstance Mr. l'Amiral Vacca, attitude si peu en harmonie avec les sentiments d'aroitié et de bonnc inrelligence qui règnent heureusement entre la Sublime Porte et le Gouvernement <le Sa Majcsté le Roi Victor Emmanuel »
(A.C.R.M., busta 167, doc. 51, prot. ris. arrivo). Malgrado la difesa del Vacca, che negava la paternità della frase, il ministero ebbe ad ammonirlo: « In altra occasione la S. V. si asterrà dal parlare in nome d'Italia e del Paese, perché queste frasi adoperate da un alto funzionario del Governo dimostrano che il Governo stesso lo ha autorizzato a pronunziarle od a scriverle » (ibidem, doc. 54, prot. ris. arrivo).
( 18) Ibidem, doc. 53, prot. ris. arrivo.
troppo, il Vacca non riuscì a seguire dette istruzioni, e dal suo forzato approdo in Istria, dove fu obbligato a rifugiarsi per le condizioni del mare, nacque il cosiddetto « fatto di Fasana »: episodio che scatenò al parlamento italiano le ire del Bixio, per aver l'ammiraglio salutato con le salve prescritte la bandiera austriaca del forte del porto in cui era ospitato, ricevendone regolarmente in risposta il saluto ( 19 ).
Oltre che nel mar Jonio e nell'Egeo, un vasto campo si presentava alla marina italiana più ad oriente. in tutti quegli approdi in cui la nostra flotta mercantile, di cabotaggio e di altura , stava ponendo le basi di un cospicuo movimento commerciale, ripercorrendo tradizionali rotte storicamente ben note ed incrementando un'unità già iniziata fruttuosamente da1le marine commerciali di taluni Stati preunitari. A pochi anni di distanza dalla proclamazione del regno, già appariva necessario stabilire una stazione navale nel mar Nero, alle foci del Danubio, a protezione degli interessi nazionali in quella regione , che nel primo quinquennio degli anni '60 erano notevolmente aumentati (20). In quel tempo, stazionario a Costantinopoli era il piroscafo a ruote Authion di 500 tonn. e 3 cannoni, con ran go di avviso, che però in realtà , più che assicurare la presenza della bandiera nei porti del Levante , serviva a fornire un appoggio c un mezzo di comu-
(19) Cfr. GuERRI:>:I, op. cit., vol. I, pagg. 294-295 e 448-449. I documenti relativi sono reperibili in A.P.C. , sessione 1865-66, vol. I, Fireme, 1866, pagg. 1380 c segg. e in A.C.R ..\1., busta 8, affari diversi e movimenti, e busta 167, doc. 57 e 62, prot . ris. arrivo.
(20) Si veda l'interessante relazione che il ten . di vasc. Carcano, comandante dell'avviso Authto11. im•iava al ministro Angioletti il 21 giugno 1865 da Bi.iriikdere sul Bosforo, il cui testo è riportato per intero in GABRIELE , LA politica navale. cit., cap VIII, nota 77, pagg. 351-35.3. Vi era dettagliatamente illustrata la situazione ddle numerose navi italiane - più di .300 all'anno - che navigavano nel basso Da nubio e che mancavano completamente di un'adeguata protezione contro le prepo· tenze altrui, specie dei greci, e di un efficiente aiuto nelle faticose ma· novre di alaggio dei natan ti contro corrente: vi si suggeriva che, al pari delle altre potenze, le quali mantenevano alle foci del grande fi ume oltre una dozzina d i unità da guerra, anche l'Italia vi im·iasse un basti· mento stazionario.
nicazione al console che per spostarsi sul Bosforo non disponeva nemmeno di un modesto caicco. Quando, nel luglio del 1865, giunse l'ordine che l'avviso compisse ogni bimestre una crociera di quindici giorni in mar Nero e alle bocche del Danubio, il Greppi protestò immediatamente presso il ministero degli esteri, rivendicando l'unità come indispensabile alla rappresentanza diplomatica e ribadendo l'opportunità di inviare altra nave nella zona danubiana (21 ). Ma il ministero della marina non ritenne di accogliere la richiesta, così che, essendo l' Authion trattenuto a Costantinopoli dal console, non vi furono per quell'anno altri viaggi di unità militari iraliane nel mar Nero. In autunno, in sostituzione dell'Authion, venne inviato in Turchia un altro avviso, più piccolo c più vecchio, il Gulnara, del quale assunse il comando il medesimo ufficiale ai cui ordini l'Auth;on aveva operato. All'incirca nello stesso periodo, giungevano a Firenze sollecitazioni all'invio di uno stazionario o alalmeno di una nave in missione anche da Smirne, dove il console Berio lamentava la com pleta assenza della nostra bandiera da guerra in quel porto, tanto frequentemente visitato da numerose e potenti unità straniere, specialmente austriache (22): anche in questo caso, tuttavia, il ministero tergiversava, a causa della politica di economia che teneva disarmate la maggior parte delle navi, e soltanto nell'aprile del '66 poté mandare a Smirne la decrepita corvetta a vela I ride, entrata nei ruoli della marina sarda trent'anni prima.
Nei primi mesi del 1866, scottante la situazione sulle coste romene a seguito della caduta dell'ospodaro di Moldavia e Valacchia, principe Cuza, il ministro della marina, Angioletti, decise di stabilire una stazione naya}e permanente sul basso Danubio per mezzo del piroscafo a ruote ex borbonico Sirena di 354 tonn. con 3 cannoni, al comando del Sanminiatelli.
(21) Cfr. lettera del Greppi al Lamarmora in data 5 luglio 1865 e comunicazione del 1-t luglio del ministero degli esteri a quello deUa marina (A.C.R.M., busta 8, cart. Sirena - A\'Viso (Danubio) .
• (22) A.C.R.M., busta 8, can. Relazioni e corrispondenze coi R. Consoli all'Estero. Le richieste si protrassero per tutto il primo trimestre del '66.
L'unità, entrata in bacino a Napoli il 15 marzo, fu rapidamente armata e partì 1'11 aprile per il Bosforo, dove arrivò il 20. Ma la nave non raggiunse mai la stazione destinatale, poiché alla fine del mese, essendo imminente lo scoppio della guerra con l'Austria, venne urgentemente richiamata in patria unitamente al Gulnara (23 ).
Così nei primi anni dell'unità si era debolmente tentato in Levante e più energicamente in Egeo e nello Jonio di presentare la bandiera italiana e di assumere la protezione dei ragguardevoli interessi politici e commerciali del paese nel vicino Oriente. I gravi problemi interni e internazionali che monopolizzavano l 'attenzione del governo non permisero che l'azione della marina avesse l'ampiezza necessaria, ma , nonostante la scarsezza dei mezzi, si cercò di fare il possibile per difendere il prestigio del nuovo Stato nelle acque del Mediterraneo orientale.
Si è già accennato alla lunga crociera effettuata nel 1864 dalla squadra di evoluzione, al comando dell'amm. Albini, nelle acque tunisine. Fu in quella occasione che per la prima volta venne presa in considerazione dal governo dello Stato unitario l'eventualità di dover compiere operazioni militari di sbarco sulla costa africana settentrionale e furono redatti i relativi piani. La Tunisia, come è noto, aveva compiuto nei primi sei decenni del XIX secolo un lungo cammino dal vassallaggio della Sublime Porta, formalmente riaHermato ancora nel 1827 e nel 1855 a Navarrino e in Crimea, verso una sostanziale indipendenza del governo del Bey, sostenuta dalle nazioni europee, soprattutto dalla Francia, e verso un ammodernamento dello Stato beylicale che, comportando notevoli spese, ne aveva gravemente deteriorato il bilancio con un conseguente inevitabile aumento della pressione fiscale. Il malcontento della manifestatosi con agitazioni sempre più preoccupanti, sfociò nei primi mesi del '64 in aperta ribellione (1). Ma, fin dal primo quarto del secolo, esistevano importanti interessi i tali ani nel!'Africa del Nord (2) - in età preunitaria, Stato sardo e regno delle Due
{l) Cfr. G. GANIAGE: us origines du protectorat fratl{ais en Tunisie (1861-1888), Paris 1959, pagg. 224-229. Si vedano anche: O. ANTINORI: Lettere sulla Ttmisia, Firenze, 1867; A. O'KELLY DE GALWAY: Etudes politiques sur le royaume de Ttmis, Bruxelles, 1871; N. FAUCON: La Tunisie avant et depuis l'occupation française, Paris, 1893; P. GRANDCHAMP: Documents relatif à la révolution de 1864 en Tunisie, Tunis, 1935; M. EMERIT: La révolution tunisìenne de 1864, in « Revue tunisienne », 19.39, pagg. 221-239; G. GoRRINI: Tunisi e Biserta, Milano, 1940.
(2) V. CHIALA: Pagine di storia contemporanea. Dal 1858 al 1892, II ediz., Torino, 1895. fase. 2°, pag. 94.
Sicilie vi avevano anche compiuto dimostrazioni navali - e tali interessi erano andati aumentando con l'incremento della colonia italiana a Tunisi (3 ): quando dunque, nel mese di aprile, si cominciò a temere dai commercianti, nella quasi totalità europei, e si intensificarono gli allarmi delle rappresentanze consolari, arrivò tra i primi appelli quello del console italiano Gambarotta, che il giorno 21, prevedendo imminenti gravi disordini e conoscendo l'incapacità del governo tunisino a contenerli, chiedeva al ministro degli esteri Visconti Venosta l'urgente invio' di navi da guerra a protezione dei concittadini ( 4 ).
Essendo ripartita da Tunisi la fregata a ruote T ukery) con la quale il console era ritornato alla sua rappresentanza (5) e non essendovi pertanto in porto alcuna unità italiana, il governo di Torino spedì immediatamente la fregata ad elica Garibaldi) agli ordini del cap. di vasc. Acton, con in sottordine la
(3) La consistenza della colonia italiana in Tunisi si aggirava presumibilmente intorno alle 8.000 unirà al principio degli anni '60: cfr. al riguardo G. FrNOTTI: La Reggenza di Tunisi, Malta, 1856; U. PERUZZI: Tunis et l'Italie, la question tunisienne au point de vue italien, Firenze, 1881; T. W. REID: The land of the Bey, London, 1882; cap. G. CAPPELLO: La spedizione francese in Tunisia, Città di Castello, 1912, pag. 2; G. DE LUIGI: Il Mediterraneo nella politic:J europea, Napoli, 1925, pag. 141; W. L. LANGER: European Alliances and Alignments 1871-1890, New York, 1931 (ediz. ital. L 'Europa in pace, Firenze, 1955, vol. I, pag . 351).
(4) A.C.R.M., busta 2, cart. F, doc. 8: « Insurrection bédouine menace sérieusement le Bardo. Tunis est en alarme. Forces du Gouvernement insuffisantes et en désordre. J'ai permis au bateau à vapeur italien aller prendre des troupes du Bey à Susa; il est rentré hier et part aujourd'hui pour Cagliari. Vaisseau Anglais est en rade. Gouvemement Français a envoyé exprès barque à Bona précédemment porter dép&:he. Enfin la situation est assez grave et la colonie très inquiète. Envoyez au moins une frégate sans retard et un autre batiment à Susa qui est entièrement sans troupes ».
(5) Il console Gambarotta aveva già diretto la rappresentanza italiana a Tunisi, come agente consolare, nel '52 e nel '54; quindi vi era ritornato, in qualità di console di I classe, nel maggio del 1863 (GANIAGE, op. cit., pag. 43).
corvetta Etna, comandante Di Suni ( 6 ). Dalle istruzioni ricevute dall'Acton emerge come in un primo momento si ritenesse al ministero della marina che la situazione si sarebbe normalizzata in breve e come il governo non intendesse impegnarsi a Tunisi in un'azione di notevole ampiezza, e nemmeno preve-
(6) Si vedano in A C.R.1\1., busta 160, pacco 35, le istruzioni impartite all'Acton dall'amm. Albini e dal mlnisuo della marina Cugia. Il primo disponeva, in data 22 aprile: «Alle ore 4 a.m. di domani la S. V lascerà questo golfo, e prenderà sotto vapore la direzione di Tunisi, dove è chiamato per proteggere i sudditi italiani minacciati da grave rivoluzione di beduini. Tosto giunta in Tunisi ella si concerterà col console di S. M. per i mezzi di protezione da accordare ai nostri connazionali. La R. piro corvetta Etna è posta sotto i di Lei ordini ma con libertà di manovra per la traversata urgendo la presenza di R. legni su quell'ancoraggio. Atteso la qualche mancanza di carbone nella sua provvista, la S. V. resta autorizzata di approdare a Cagliari dove vado a telegrafare perché le tenghino pronte 100 tonnellate di tale combustibile, che imbarcato con la massima sollecitudine, si riporrà in moto per la sua destinazione. Ho luogo di credere che in meno di 24 ore potrà compiere tale operazione. Se il R. console di S. M. lo credesse opportuno uno dei due R. legni potrà stanziare in Susa Durante la di Lei permanenza fuori della squadra Ella continuerà a curare l'istruzione militare e marinaresca. Procuri anche che il contegno dello Stato Maggiore ed equipaggio sia tale da far onore al paese ed alla bandiera »; il ministro Cugia prescriveva due giorni dopo all'Acton giunto nel frattempo a Cagliari: «Ella avrà ricevuto dal vice ammiraglio istruzioni di rendersi sollecitamente in Tunisi per proteggere i R. sudditi minacciati da una sollevazione dei beduini per cui la popolazione europea corre rischio d'essere lesa nella pertUrbazione dell'ordine in questa Reggenza. Ella come venne segnalato pard la notte stessa colla corvetta Etna messa sotto i suoi ordini con libertà di manovra durante la navigazione; importa pertanto che confermatale questa missione sia munita di norme circa la sua esecuzione. La S. V. coi legni sotto il suo comando continua a far parte della R. squadra e corrisponderà con essa per quanto concerne il servizio non inerente ai particolari urgenti della missione di cui è incaricata, che potessero rendere necessaria la sua corrispondenza diretta col Ministro. La S. V. si metterà in relazione col console generale di S. M. in Tunisi che ha patenti di agente diplomatico in tutta la Reggenza. Concerterà con esso quanto possa tornare utile ad una protezione efficace della bandiera in tutti i porti del littorale ove fossero compromesse la vita e gli averi dei
desse di dover inviare in seguito altre navi. Tuttavia, tre giorni soltanto trascorsero e l'atteggiamento del gabinetto Minghetti parve mutare radicalmente, sia che il ministero intravvedesse più gravi minacce nella ribellione dei beduini (7), sia che fosse impressionato dall'arrivo in acque tunisine di forze navali fran-
nazionali anzitutto nonché degli europei, e ciò con tutti i riguardi dovuti alle leggi internazionali, ma senza lasciare ledere i diritti della nazione e dei sudditi che rappresentano. Concerterà se è il caso di spedire in altri porti l'uno dei bastimenti con istruzioni conformi alle presenti. Ricovrerà a bordo queJle persone che il Regolamento o l'umanità le fanno debito ricettare e che dal R. console vengano munite di regolare licenza ... Per il tempo che durerà questa sua missione protettiva dei sudditi nella Reggenza lascio la S. V. essere giudice tosto che Ella abbia acquistato convinzione, poggiata sui fatti che presenzia, della meno necessaria presenza dei legni sotto il suo comando in quei paraggi, ritorni l'uno o tutti due alla squadra cui appartengono, essendone solo per urgenza distaccati temporariamente. Quando creda il caso farà conoscere al sig. console il manifesto desiderio del ministero contenuto nel precedente paragrafo, affinché, salvo imperiosa necessità non ponga ostacolo alla partenza dei legni. Occorrendo il caso di estendere la protezione della bandiera del consolato e dei sudditi fuori tiro dei legni Ella vedrà come agiscono le grandi potenze estere ed in correlazione a condizioni non compromettenti d'accordo con R. console e colle autorità del Bey potrà se fà d'uopo mandare a terra anche un distaccamento. Si ignora qui ancora la entità e genere di rivoluzione che agita la Reggenza epperciò non si può scendere a più precisi dettagli: il ministero scrivente non dubita della sagacità e fermezza, non disgiunta da prudenza di cui va dotata, perciò sulle norme generali citate le lascia facoltà di agire, astenersi, o ritornare secondo le circostanze».
(7) «In quanto alle informazioni» avev<t riferito l'Acton nel suo primo rapporto del 26 aprile « che ho potuto raccogliere dal Comandante (di una nave inglese) sulla rivoluzione, posso ora soltanto riferire che qui la si giudica di una certa gravità. Tuttavia la Capitale, e la Goletta sono nelle mani del governo; i beduini che tengono la campagna in numero assai grande secondo le voci del paese, rubano nei paesi vicini, e minacciano la città guardata solo da pochi carabinieri, ai quali dovettero essere pagate in tutta fretta le paghe arretrate , al punto che la sera del 24 vi fu un momento di grande apprensione nel paese. n Bey intanto si è ritirato al Bardo insieme alla troppa che ha potuto raccogliere (A.C.R.M., busta 160, pacco 35).
cesi e britanniche (8), sia infine che, pur nella costante preoccupazione dei due poli fissi della politica estera italiana in quei giorni, Roma e Venezia, fosse apparsa ai governanti chiara l'urgenza e la necessità di affermare in Nord Africa un'influenza voluta dalle condizioni geografiche e dall'entità degli interessi nazionali in gioco (9).
Il 27 aprile, pertanto, il ministro della marina ordinava all 'Albini di salpare per Tunisi con le pirofregate Maria Adelaide e Duca di Genova e con la corvetta Magenta, mentre il piroscafo a ruote Sirena era richiamato a Genova per servire al collegamento con la squadra in partenza per l'Africa ( l O). Le istruzioni del ministro degli esteri Visconti Venosta, che per mezzo appunto del Sirena raggiunsero l'ammiraglio a Tunisi il 3 maggio, esprimevano le vedute del governo sul problema: nessuna ambizione territoriale, né desiderio di insediamenti sull'altra sponda del canale di Sicilia, ma unicamente l'intenzione di proteggere i sudditi italiani e, al massimo, una vaga aspirazione a partecipare alla « legittima influenza » spettante all'Europa e in particolare all'Italia: il tutto , naturalmente, da conseguirsi con la massima prudenza e nel quadro di una perfetta intesa internazionale ( 11 ).
(8) « .ieri alle due p.m. avea ancorato qui la piro corvetta inglese Pelican , e più tardi il vascello Cheance, il cui fu quasi contemporaneo al mio... Nel momento in cui scrivo una fregata a ruote francese àncora in questa rada ... » (ibidem).
(9) Cfr. GABRIELE, LA politica navale, ecc., çit., pag. 376.
(lO) A.C.R.M., busta 2, cart. F, doc. 6 (minuta).
(11) «La S.V. Ill.ma » - si legge nelle istruzioni - «nell'agire d'accordo col R. console e coi comandanti delle forze inglesi e francesi, avrà costantemente di mira che il governo del Re non tende ad assicurarsi speciali vantaggi nella Reggenza, ma ad esservi partecipe della legittima influenza che in paese sl vicino e dove sono sl grandi i nostri interessi, deve competere alla nazione italiana, ma poiché la circostanza può essere opportuna ad ottenere dal Bardo la fortunata soluzione di molte controversie da molti anni pendenti, le quali le saranno esposte àal R. console, cosl la di lei presenza nella rada della Goletta, e l'uso eventuale di forze italiane potranno ottenere risultati di positiva utilità. Nella cvn•. plicazione generale però delle politiche cose, e nella concorrenza degli
Cosl, dalla fine di aprile, la squadra di evoluzione si trovava sulla costa africana: il grosso - due fregate e due corvette -a Tunisi, il Garibaldi a Susa a rilevare la meno importante Etna e il Sù·ena a Biserta: una settimana più tardi, la Magenta andò a Sfax. Nel porto di Tunisi erano presenti due vascelli francesi ed uno inglese, e già vi si era delineato un contrasto tra il contrammiraglio francese D'Herbinghem e il comandante britannico Woadhome, in quanto il primo pareva propenso ad adottare, appena ce ne fossero i mezzi, la maniera forte nei confronti del Bey, il secondo si opponeva: in effetti le unità europee non disponevano ancora di forze da sbarco in quantità sufficiente. Analogo disaccordo esisteva tra le rappresentanze diplomatiche delle due nazioni ( 12). Ma col passare dei giorni, mantenendosi incerta la situazione e sembrando che i francesi
interessi francesi e inglesi a Tunisi per cui ragguardevoli forze di quelli stati furono subito rkolte Goletta, egli è rigorosamente necessario che la S. V. Ill.ma non solo si mantenga con quei comandanti in ottimi rapporti ufficiali e privati, ma agendo nello stesso modo di essi, non proceda da solo ad atti politici e militari di maggior vigore e di diversa specie, nei quali potrebbe per avventura mancarle l'immediato o successivo concorso degli altri comandanti. In una parola l'Italia, volendo tutelare a Tunisi i propri interessi e l'influenza legittima, riconosce appieno lo stesso diritto negli alleati suoi e non ama d'esercitare azione singolare per esclusiva utilità » (A.C.R.M., busta 2, cart. F, doc. 9). Sulla personalità e circa le idee del Visconti Venosta, ben rivelate dal documento, dr. F. CHABOD: Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari, 1952, vol. I, pagg. 563-599.
( 12} In un rapporto inviato dal console Gambarotta al ministero degli esteri in data 4 maggio si legge: « La position des Bédouins est toujours la mème. Le Consul français insiste pour la démission du Kasnadar, le Bey s'y refuse e résiste fortement. Le conilit entre les Consul de la France et de l'Angleterre est toujours très vif: ce dernier a déclaré par écrit ne plus s'opposer à l'abolition de la Constitution: il a cependant protesté con tre toute atteinte à la Convention récente Anglo-Tunisienne »
(A.C.R.M., busta 2, cart. F, doc. 15). Sugli atteggiamenti dei rappresentanti consolari europei durante tutta la ribellione, cfr. C. Tul.lli: Le Royaume tunisien et /es représentants des puissances étrangères à Tunis, Bòne, 1864.
si preparassero veramente a uno sbarco, l'Albini, appoggiato dagli allarmati messaggi del Gambarotta, chiese rinforzi ( 13 ).
L'aggravarsi della ribellione era reale: a Susa, l'Acton, l' 11 maggio, aveva dovuto prendere a bordo i residenti italiani ed altri europei, la cui sicurezza non appariva più sufficientemente garantita dalle autorità beylicali, e il 18, a bordo del Garibaldi, i rappresentanti consolari italiano, inglese, spagnolo e statunitense firmavano una dichiarazione congiunta in cui si denunziavano il disordine e il pericolo regnanti nella città ( 14 ). Tuttavia, ad uno sbarco di reparti armati europei continuava ad essere assolutamente contrario il Bey, il quale adduceva a pretesto la forte reazione che un provvedimento del genere avrebbe suscitato nei turchi, ansiosi di riaffermare la loro teorka sovranità sulla regione: ed effettivamente giunse poco dopo a Tunisi una formazione navale ottomana di tre unità con a bordo il commissario imperiale Haidir Effendi: a un certo punto si temette persino l'arrivo di truppe del Sultano (15).
Per tutto il mese di maggio, la situazione restò fluida: tranquillità nella capitale, incertezza nelle province (16); propensione francese all'intervento diretto, opposizione britannica,
(13) Telegramma urgente dell'Albini al ministero della marina in data 7 maggio: «Stato Reggenza allarmante, rinforzi navi, carbone et (ibidem, doc. 18).
(14) A.C.R.M., busta 160, pacco 35. Tra gli europei rifugiatisi a bordo del Garibaldi era anche il vice console inglese con 190 cittadini britannici, oltre molti francesi, spagnoli, austriaci ed ebrei tunisini, 427 persone in tutto (A.C.R.M., busta 2, cart. F, docc. 29, 36, 64, 65; busta 159, pacco 27; busta 160, pacco 33).
Ù5) Rapporto dell'Albini al ministero in data 24 maggio: « L'ammi· raglio Herbinghem era anche molto inquieto su certe notizie pervenutele di una possibile spedizione di truppe ottomane nella Reggenza. Egli è deciso di non permetterne lo sbarco nel caso fosse per avvenire in questa rada, fino ad ordini del suo Governo» (A.C.R.M., busca 2, cart. F, doc. 42). E il giorno seguente « il fatto di invio di truppe da parte della Porta pare sicurissimo» {ibidem, doc. 44).
(16) Rapporto Albini a ministero, del 18 maggio: «Situazione gene· rale la stessa Tunisi tranquilla, costa situazione allarmante » (ibidem, doc. 37).
neutralità italiana ma con un progressivo avvicinamento al punto di vista della marina napoleonica. L'unica misura che avrebbe potuto migliorare di colpo lo stato delle cose, il licenziamento del primo ministro tunisino Kasnadar odiatissimo dalla popolazione perché ritenuto responsabile della pressione fiscale, misura costantemente prospettata dagli europei come indispensabile, urtava contro l'irremovibile rifiuto del Bey, sospettoso di tutti e in special modo dei francesi: i quali intanto con l'arrivo di due vascelli, il Ville de Paris e il Castiglione, della corazzata Gloire e dell'avviso Caton, avevano portato ad una forza imponente la loro squadra, comandata dall'amm. Bouet de Willaumetz ( 17). Ad un ragguardevole livello erano ormai arrivate anche le forze navali italiane, con il giungere della pirofregata Italia, comandante Vitagliano, con a bordo due compagnie di fanteria da sbarco, del trasporto Rosalino Pilo, della vecchia fregata a ruote Archimede, comandante Bertelli, che a fine maggio imbarcò a Sfax 60 connazionali, e di qualche altra unità minore (18 ) Tra italiani e francesi i rapporti erano estremamente cordiali, tanto che le due squadre si servivano della medesima nave-avviso, alternativamente italiana e francese, per comunicare con i rispettivi governi attraverso il telegrafo di Cagliari ( 19 ): ma per non essere trascinato dalla marina amica in una decisa posizione antibritannica, l'Albini sollecitava istruzioni a Torino (20). Dopo un
(17) Particolarmente ostile alla Francia era l'opinione pubblica nella Reggenza: mentre era viva la simpatia della popolazione per gli inglesi: v. i rapporti del comandante Racchia spedito lungo la costa orientale con il Messaggero, in A.C.RM., busta 160, pacco 35. Pare che i britannici favorissero -o per. lo meno fingessero di non vedere - il contrabbando di munizioni da Malta per i ribelii, che nel luglio successivo venne accertato anche da un'unità italiana, il Tanaro (A.C.R.M., busta 162, pacco 41).
(18) A.C.RM., busta 159, pacchi 27 e 31.
( 19) Disp. dell'Albini al ministero in data 26 maggio: « Visitato Ammiraglio Francese, combinato servizio piccoli legni corrispondenza telegrafica con Cagliari avvece di Sirena parte domani sera Caton che ripartirà da Cagliari con risposte telegrafiche due Governi » (A.C.R.M., busta 2, cart. F, doc. 47).
(20) Ibidem, doc. 49.
oscuro messaggio del giorno 27, che non poté essere interpretato a dovere per gli errori di cifratura che conteneva; le direttive del ministero giunsero esplicite il 1° giugno, raccomandando all'ammiraglio la massima prudenza ed invitandolo a non dipartirsi dall'accordo con tutte le altre forze navali presenti a Tunisi (21 ).
Ai primi di giugno l 'insurrezione dei beduini dilagava dappertutto, salvo che nella capitale, e dal console Gambarotta e dal comandante della squadra di evoluzione venivano inviati a Torino dispacci fortemente pessimistici: Sfax in mano ai ribelli con le autorità beylicali rifugiate a bordo del Magenta,· Susa disertata da tutti gli europei; l'intera costa orientale in fiamme; munizioni maltesi in gran copia distribuite alle popolazioni ribelli; atteggiamento violentemente xenofobo degli indigeni ovun-
( 21) I hidem, doc 60: « La posmone della Reggenza molto prossima aUe coste del nostro St:tto, e l'esteso numero di connazionali che vi si trovano raccolti dà un grandissimo interesse a tutto quanto in cotesto paese si svolge. Il governo di S.M. non ha nessun preconcetto pensiero d'invasione e di conquista, ma non può assoluramente vedere di buon occhio la politica che tende a far sì che la Sublime Porta riacquisti a Tunisi quella preponderanza che aveva altra volta e che gli ultimi trattati hanno grandemente scemata. Quindi la S.V. d'accordo con l'ammiraglio francese impedirà qualunque sbarco di truppe ottomane sul territorio della Reggenza, a meno che non trattisi di uno sbarco fatto di comune accordo tra l'Italia, la Francia, l'Inghilterra e la Turchia ... Il governo di S.M. vedrebbe anche mal volentieri un intervento armato di altra potenza qualunque nel territorio della Reggenza, e però mentre la invito a condiscendere senza esitazione a qualunque richiesta di sbarco le venga fatta dal Bey o dall'ammiraglio francese, la S.V. è autorizzato a mettere a terra le compagnie di sbarc0 se senza preventivo concerto vedrà che la Francia e l'Inghilterra mettessero a terra le loro Intanto sia nell'intelligenza che il governo del Re in via diplomatica ha domandato alla Francia e all'Inghilterra d'intervenire con uno sbarco nelle cose della Reggenza, e portar termine di comune accordo ai disordini che vi avvengono, e cosl sparagnare dispiacevoli future complicazioni. Quindi, conformemente al mio telegramma, la S.V. proporrà ai comandanti le forze navali di Francia e d'Inghilterra uno sbarco comune ma nel caso di rifiuto la sua linea di condotta sarà quale più sopra la si è tracciata ». Il giorno seguente il Cugia informava l'Albini che sarebbe stata inviata ancora un'altra unità, la fregata corazzata Maria Pia (A C.R.M., busta 160, pacco 35)
que, eccetto che nei confronti degli inglesi (22). Il giorno 8 il ministro Cugia comunicava all'Albini che la questione runisina cominciava a preoccupare vivamente il governo ed accennava all'eventualità di uno sbarco, per studiare le modalità del quale e le relative probabilità di riuscita era inviata sul posto una missione di tre ufficiali (23 ): diveniva quindi palese il mutato
(22) Il comandante del Messaggero, Racchia, cosl riferiva all'ammiraglio dopo la missione sulla costa orientale compiuta nella prima settimana di giugno: « In mezzo ad uno stato di cose sl deplorabile, è strano oltre ogni dire, e degno di osservazione il modo tranquillo con cui il console di S.M. britannica continua a risiedere a Susa nella sua abitazione. Mi venne assicurato che trovandosi egli seduto sulla pona della sua casa, fumavasi tranquillamente un sigaro, una colonna di due o trecento insorti schiamazzanti e minaccianti passavano appunto per quella strada a lui davanti; riconosciutolo per il console inglese con segni di simpatia e rispetto lo salutarono dicendogli, state tranquillo con voi siamo buoni amici, e ciò appunto mentre erano avviati a commettere atti di oltraggi e violenza verso gli ufficiali rappresentanti di Italia e Francia. Il console di Spagna, sig. Pistoreni, de ve la vita alla velocità suo destriere ... (A.C.R.M., busta 2, cart. F, doc. ì2).
(2.3) Ibidem , doc. 75: « .il governo del Re è vivamente preoccupato della piega che da un giorno all'altro può prendere cotesta rivoluzione. Risoluto a garantire la vita e gli interessi di cotesta colonia italiana, come risoluto a non permettere che sulle coste tunisine poco lungi dalle coste dello Stato si stabilisca con preponderanza e senza controllo qualunque altra potenza, specialmente l'ottomana , il sottoscritto le spediva ieri un telegramma col quale le ingiungeva di formulare un progetto pel caso che uno sbarco armato fosse necessario. Vista la piega religiosa e gene· rale che ha preso la rivoluzione, la S. V. comprenderà bene che non è possibile pensare ad uno sbarco altrimenti che con un corpo di truppe regolari, salvo il caso di urgenza e di concerti collettivi con i comandanti delle altre potenze Nel progetto sopra indicato la S.V. indicherà quali punti della Tunisia crederebbe più convenienti sia strategicamente, sia per l'importanza relativa alle nostre coste, di occt11pare; il numero delle truppe che stimerebbe necessario per mantenere le posizioni da OCCU· parsi; il tempo ed il modo più adatto a procedere al detto sbarco. Ella terrà presente in questo progetto la necessità di garentire la nostra colonia, e che nessuna mira di conquista ha il governo di S. M. Questo pro· getto che la S. V. è invitata a formulare non deve per nulla variare la sua line di condotta, quella cioè di a,oire sempre di cÒncerto con l'ammiraglio francese e col console di S. M., facendo pressione sul Bey perché
atteggiamento del numstero Minghetti, che per la prima volta sembrava accostarsi ai progetti francesi. L'Albini però, posto dinanzi alla concreta prospettiva di dover effettuare lo sbarco, dimostrò un vivo disagio e cominciò ad esternare le preoccupazioni causategli dal diffondersi di un'oftalmia epidemica tra i suoi equipaggi ( 24 ), a sottolineare la decisa posizione contraria degli inglesi (25), ad enumerare i pericoli dell'azione (26), a
adotti quei provvedimenti che valghino a ristabilire l'ordine, e specialmente cercare di ottenere la dimissione del Kasnadar, causa prima dell'attuale rivolgimento ». I tre ufficiali spediti in missione erano il maggiore di stato maggiore Agostino Ricci, già precettore del principe Umberto, il capitano di artiglieria Milani e il capitano del genio Bettolo; il primo di essi, veniva suggerito all'Albini, avrebbe potuto esser nominato capo di stato maggiore della speruzione.
( 24 ) V. te!. dell ' Albini al ministero in data 12 maggio: « Ottolmia sull ' Italia avendo preso larghe proporzioni minaccia diventare epidemica, ho ordinato partenza per Spezia avendo a bordo numero centoventi oltre una quaranta circa altri bastimenti squadra, bisogna preparare locale per centosettanta ammalati ; ho creduto spedirne avviso anticipato perché subitaneo arrivo non aspettato non allarmi» (A.C.R .M., busta 2, carr. F, docc. 79, 80, 82 , 8.3). Dalla fregata Italia, a tutto il giorno 23, vennero in realtà sbarcati a causa dell'oftalmia ben 220 uomini (A.C.R.M., busta 159 , pacco 31 )
(25 ) Un messaggio dell 'Acton da Susa all'Albini, ritrasmesso da questi al ministero, diceva: « Ieri poi nelle ore pomeridiane giunse ben anche su questa rada la fregata corazzata inglese la Resistance provveniente da Malta. Il suo comandante è venuto a vedermi ed in discorso egli mi disse che la politica del suo governo era quella di lasciare le condizioni del paese tali quali sono, ristabilendosi come è da sperare la tranquillità. Rilevai perciò che essi sono contrari ad ogni idea di interveato, opinioni che sottometto alla S. V. Ill.ma per le considerazioni che crederà del caso nelle gravi attuali condizioni in cui versa la Tunisia)) ( A.C.R.M., busta 2, cart. F , doc. 81 ) E l' Albini stesso, in una lettera al Cugia in data 15 giugno, aggiungeva: « Mi pare di non aver mai taciuto a V. S. ciò che seppi dall'ammiraglio sul riguardo ai suoi dubbi sulla pol!tica equivoca qui dell'Inghilterra, e ciò che da parte dell'Inghiherra si sospettava sulle intenzioni della Francia, in vista di che non saprei pertanto comprendere, come si possa stabilire cordiale accordo tra Noi, Francia ed Inghilterra per un'azione comune qui, nel solo scopo di proteggere i reciproci nostri connazionali, ed interessi commerciali» (ibidem, doc . 86).
(26 ) Ibidem: « poco credendo poter fidare sull'opera di uno sbarco da parte degli equipaggi dei R. Legni, crederebbesi più conveniente ed
prendere tempo (27), infine a porre in evidenza la necessità che qualsiasi decisione in merito venisse ponderata e discussa con oculatezza estrema. Quando, il 20, arrivò a Tunisi il commissario Bosio, mandato dal ministero della guerra per provvedere ai servizi amministrativi delle truppe eventualmente attese, l'ammiraglio, d'accordo con il console Gambarotta, decise addirittura di impedirgli per il momento di iniziare la sua attività (28).
efficace quella di un corpo di truppe regolari ... Credo che uno sbarco preventivo, quando non fatto con molte forze, a mo' d'occupazione del paese, non farebbe che maggiormente compromettere la posizione, e non riuscendo a sedare il disordine, lo renderebbe sempre maggiore, facendolo pure cambiat;e di carattere, siccome in parte è avvenuto a Susa e a Sfax, dove il sospetto 'Solo di una discesa di Europei ha tosto risvegliato il fanatismo religioso monsulmano, e dato alla rivoluzione in que' luoghi il terribile carattere religioso, che prima non aveva, credo insomma che uno sbarco preventivo con forze non sufficienti altro non sarebbe che segnale di massacri. In questo momento di sospetti è certo necessaria la maggiore prudenza, e le vie di fatto devono essere riservate per il solo caso di evidente pericolo. Riassumo il contenuto di queste prime osservazioni col riaccennare alla S. V. quanto immenso danno potrebbe credo arrecare alla Colonia nostra, ed agli Europei tutti l'invio di un corpo d'armata, col solo intento di proteggerli, quando il medesimo non fosse talmente forte da poter occupare il paese ».
(27) Ibidem: « Il delicatissimo incarico di sopra ordinato, ed il quale io confesso ero ben !ungi di prevedere, non è certamente di quelli ai quali si possa prontamente rispondere, e nel riservarmi a studiarvi, credo però conveniente affacciare sul proposito alcune considerazioni ».
(28) Disp. del Gambarotta al ministero degli esteri a Torino, in data
21 giugno: «Une occupation forcée sans le consentement du Bey, quoique combinée à Paris expose la Colonie à des dangers réels, et dans ce cas il est prudent de la faire retirer de suite. Une occupation faite avec le consentement du Bey ne sera pas sans dangers, mais la Colonie pourra ètre garantie contee le fanatisme par quelques troupes qu'il sera facile de faire arriver à Tunis pendant la nuit. Le Bey désire de préference l'occupation italienne convenue à Paris et à Londres, mais avant il veut voir le résultat de l'envoi imrninent de ses troupes dans l'intérieur. Il n'a pas été question de tout ceci avec les Consuls français et anglais: il est donc utile et prudent, à mon avis, que M. Bosio n'exécute qu'au plus tard possible les ordes reçus . Le Comte Albini envoie aujourd'hui un bàtiment à Cagliari pour tenir ce meme langage au Ministre de la Marine: le major Ricci en fait autant avec le Ministre de la Guerra»; disp.
Il ricevimento di queste comunicazioni a T orino e la continua richiesta di ordini e di precisazioni da parte dell'Albini e del console indusse il governo a tentare di dissipare l'impressione di imminente pericolo che si era prodotta a Tunisi nei suoi rappresentanti civili e militari. In un certo senso, però, le preoccupazioni di costoro apparivano abbastanza giustificate dalla realtà della situazione tunisina, essendo chiaro che nel complicato gioco franco-inglese e nelle duplici trame intessute dalle due potenze nella capitale del Bey, non c'era alcun posto per le manovre dì una terza potenza, per di più tanto minore, la quale pretendesse di condurre una propria azione indipendente. La presenza delle marine da guerra complicava le cose ai danni dell'Italia, poiché l'importanza di certi fattori strategici marittimi che forse avrebbe potuto non essere valutata esattamente dai funzionari diplomatici, non poteva certamente sfuggire agli ufficiali di marina dei due Stati più potenti del mondo sul mare. Il 22 , il ministro Cugia rassicurò con un telegramma l'Albini ( 29): « ... Approvo pienamente la di lei condotta anche riguardo il Commissario Bosio. Nulla ò da venire ad aggiungere alle sue istruzioni. Stia sicuro che il governo non farebbe partire truppe senza preavviso ... »; e mentre si intrecciavano al Bardo i tentativi di pressione sul Bey da parte dei vari rappresentanti consolari e si offrivano mediazioni allo scopo di trattare con i ribelli , il maggiore Ricci da un lato e l'arnm. Albini
dell'Albini al ministro Cugia, in pari data: «Giunto commissario Bosio con dispaccio commendatizio ministro di guerr1 sua incombenza non essendo di narura da compiersi celermente e la notizia di una spedizione di truppe bastando da se sola a far che nasca conflagrazione contro cristiani in un momento che il governo dice sperare venga riconosciuta sua autorità e lavora a tale scopo; ho creduto prendere sulla mia responsabilità invitare il signor Bosio a sospendere ogni suo incarico per evitarne le imminenti serie conseguenze. Prego governo sospendere qualsiasi partenza truppe e materiale per Tunisi perché oltre al grave inconveniente accennato sono anche certo della risoluzione presa dall'ammiraglio francese di respingere qualunque invio di truppe per occupazione di qual· siasi nazione a meno di concerti presi col suo governo ... » (A.C.R.M., busta 2 , cart. F, docc . 95 e 97).
(29) A.C.R.M , busta 2. cart. F, doc. 98, ali. f. 8.
dall'altro sottoponevano ai ministeri della guerra e della marina i piani che separatarnente avevano preparato.
La memoria militare del primo ( 30) prevedeva l'impiego di due reggimenti di fanteria, un battaglione di bersaglieri, una batteria campale, una compagnia zappatori e diversi distaccamenti di specialisti vari, in tutto una forza di circa 4.000 uomini (31 ), i quali avrebbero dovuto operare lo sbarco sotto la copertura e con l'appoggio della flotta. Il Ricci così proseguiva:
<< ••• nel concetto dello scrivente (lo sbarco) ha in massima « bisogno di due antecedenti che ne caratterizzino e ne deter« miruno bene l'azione militare.
« Tali antecedenti sono:
« l o - Un concerto politico colle altre potenze europee « o quanto meno con la Francia. Uno sbarco progettato all'in« fuori di quest'ultima condizione è senz'altro un fatto irn« possibile.
« 2o - Una convenzione in cui virtù il Bey accetta o do« manda egli stesso l'intervento.
« Lo scrivente esponeva già nei suoi dispacci anteriori « quali erano le ragioni che gli faceano sentire la convenienza « di tali antecedenti. È facile vedere però come la _ seconda delle
(30) Ibidem, doc. 106: « Memoria militare per l'eventualità di uno sbarco di truppe italiane destinate ad occupare Tunisi » (manoscritto).
( 31) Evidentemente il Ricci, prima di partire per l'Africa, aveva concordato con il ministero la probabile consistenza del corpo di sbarco: infatti, il numero previsto nel piano corrisponde esattamente a quello del corpo che, agli ordini del geo. Ambrogio Longoni, era in preparazione a Genova, e che, secondo quanto ha pubblicato il CAPPELLO (op. cit., pagg. 2-3, nota), doveva comprendere appunto due rgt. di fanteria, il 49° di guarnigione a Faenza e il 67° di stanza ad Alessandria, ed inoltre H 9" btg bersaglieri di Milano, la I batt. del 5° rgt. di artiglieria stanziato a Genova, la 10a cp. del I genio zappatori di Casale, un distaccamento del treno di armata, un distaccamento del corpo di amministrazione e un distaccamento di RR. CC. (M. GRosso: La Tunisia nel 1864 ed una mancata spedizione italiana, in «Rassegna italica », 1932, giugno). Agli ufficiali destinati al corpo di sbarco era stato distribuito un vecchio opuscolo (del 1828) di un console sardo a Tunisi, Gaetano Palma di Borgofranco, con una carta della regione ed una pianta della capitale un po' più recenti (GANlAGE, op. cit., pagg. 147 e 255).
«due condizioni ora esposte non possa essere considerata come «una condizione sine qua non di uno sbarco. Proponendosi in« fatti il governo italiano con tale operazione la protezione della « numerosa colonia nazionale minacciata dallo stato di rivolta « in cui si trova tanta parte della Reggenza verrebbe affatto a « mancare il suo scopo, ove vincolasse la propria azione alla con« dizione di un assenso che al momento voluto potrebbe forse <<essere negato. Giova pertanto il prevedere anche l'eventualità «di uno sbarco eseguito senza il consenso del Bey. Uno sbarco «però eseguito in qqest'ultima condizione di cose portando seco «come probabile conseguenza la lotta contro tutti gli elementi, «_qùando si volesse dare ad esso uno scopo più o meno perma« nente, vorrebbe esser fatto con mezzi assai più consistenti di « quelli proposti, poiché dovrebbero esser proporzionati alle « passioni di razza e di religione che sarebbero sollevate da tal « fatto, non che alla mole materiale stessa dell'impresa il cui «primo oggettivo sarebbe la conquista e la sottomissione di «una grande città. Tunisi ha un perimetro di 9 Km., la sua «popolazione si fa ascendere fino a 140.000 abitanti, cifra che «non fu però mai constatata. L'elemento moro è rappresentato
«in essa per più di 100.000 individui, il rimanente sono ebrei
«ed europei, questi ultimi 15.000 circa, più della metà ita-
« liani; fra gli europei predomina l'elemento siciliano e maltese
«canaglia in gran parte, gli ultimi specialmente, che potrebbe
«ricevere il soccorso dei rivoltosi che i più moderati non esi-
« tano a far ascendere alla cifra di 50.000 cavalieri .
« Quando dunque uno sbarco dovesse aver luogo colla forza
« indietro accennata senza il consenso del Bey lo scopo asse-
« gnato a tale operazione t:J.On potrebbe esser che quello di fare
« una punta su Tunisi , stabilirsi ivi in una posizione ben scelta
« onde dar tempo alla numerosa colonia italiana di porsi in
« salvo alla Goletta colla parte asportabile dei propri averi e
« prendendo quindi consiglio dagli avvenimenti mettendo fra
« le possibili eventualità quella di rifugiarsi sulla Goletta stessa
« quando il fatto dell'intervento producesse quella generale rea-
« zione nazionale -e religiosa che dai pratici delle cose del Paese
« è preconizzata come inevitabile.
« Ritirato e concentrato il corpo di spedizione alla Go-
« letta vi si potrebbe mantenere in una posizione offensiva·
« difensiva per un tempo indefinito anche contro tutte le forze
« insurrezionali della Reggenza senza alcun pericolo di averne
« ad essere smossa. È però facile osservare come sia difficil-
« mente prevedibile la realizzazione di un ' ipotesi siffatta. Difatti
« perché essa fosse attuabile facilmente converrebbe esser sem·
« pre disponibile nella rada di Tunisi il corpo di spedizione e
« gettarlo a terra nel momento opportuno, laddove tenendo
« conto del tempo necessario a trasmettere l'avviso che dovrebbe
« provocarne l'imbarco, di quello necessario all'imbarco ed alla
« traversata il corpo di spedizione arriverebbe molto probabil-
« mente quando il periaolo a cui doveva parare sarebbe già scon-
« giurato o il fatto che doveva impedire sarebbe già consumato.
« Supponendo il corpo di spedizione già imbarcato a Genova
«come è stato fissato, dovrebbero passare almeno sei giorni dalla
« trasmissione dell'avviso al suo arrivo nella rada di Tunisi.
« Emerge da ciò che ove uno sbarco debba aver luogo onde pa-
« rare ad un pericolo immediato ed urgente che minaccia la
« colonia europea, esso non pouebbe essere effettuato che colle
« truppe già esistenti in rada sulla nostra squadra ed il corpo
« di spedizione di terra non pouebbe giungere che a fatti com-
« piuti ».
In tale eventualità, si chiedeva il Ricci quale avrebbe potuto essere il modo di impiego del corpo: nel caso che la marina
già avesse fronteggiato da sola la situazione, il corpo stesso avrebbe potuto prenderne il posto, ma nell'ipotesi conuaria, qualora cioè la marina fosse stata costretta a ritirarsi alla Goletta, ne avrebbero potuto seguire conseguenze sconcertanti. Comunque, tuttavia, il Ricci si diceva convinto dell'inevitabilità dello sbarco:
« ...È però indubitabile » - continuava - « che ove uno
« sbarco debba aver luogo per parare ad un pericolo urgente
«nella colonia , esso sarà fatto cogli elementi attualmente in rada
« sulla flotta. In tal caso la parte devoluta al contingente italiano
« sarebbe la difesa di una parte dell'abitato europeo della città
«di Tunisi ed evidentemente qpella che è meglio ·aderente al « regio console italiano ».
Dopo aver alluso all'esistenza di una pianta della città abbastanza buona, eseguita in Francia alla scala di l: 5000, il Ricci ribadiva la necessità, nel caso di una operazione collettiva di sbarco, che fosse redatto un piano comune idoneo ad eliminare i malintesi che nascono in simili occasioni dalla eterogeneità degli elementi destinati a prendervi parte, e rendeva noto che un piano del genere era già stato studiato dai tre capi di S. M. delle squadre italiana, francese ed inglese sotto la presidenza del contramm. D'Herbinghem.
La relazione del Ricci passava quindi ad esaminare l'importanza dei compiti che avrebbero dovuto essere affidati ai membri della colonia europea, allo scopo di metterli in grado di opporre, ove necessario, una prima resistenza in attesa dei soccorsi del corpo di sbarco:
« Le misure preventive a prendersi sotto tale rapporto do« vrebbero versare sui punti seguenti:
« l) Sull'armamento, riconoscendo se esso sia completo « nella colonia come si osserverà e se il munizionamento vi cor« risponda, si accenna, come cronista, la voce che in questo mo« mento di ricerca di armi molti dei coloni abbiano vendute le «loro armi agli arabi; se tale voce fosse vera non avrebbe il « suo riscontro che in quell'altra asseverata con maggiore sicu« rezza, che il governo del Bey abbia fatto altrettanto della pol<< vere dello Stato. Quando si notassero delle deficienze, vi si «potrebbe provvedere facendo un deposito di armi e munizioni « al R.o consolato facendole venire dall'Italia, ove non se ne « trovino nella squadra.
« 2) Sui punti di riunione dell'elemento colonio, assegnan« do a ciascuno di quelli un uomo energico per dare le provvi« denze necessarie a prendere la direzione del combattimento.
« 3) Sullo stabilimento di un centro dirigente che unisca «l'azione parziale dei diversi consolati, affine di ottenere quella «unità relativa d'azione che è possibile ottenere fra elementi « spesso così diversi, unità però che ove venisse affatto a man-
« care potrebbe compromettere gravemente la sorte della co-
« lonia stessa ».
Il Ricci dichiarava a questo punto di non illudersi sulla facilità dell'operazione, anche nella più favorevole ipotesi, quella cioè di uno sbarco da effettuarsi con il consenso del Bey:
« Uno sbarco sulla costa tunisina eseguito nelle condi-
« zioni di un concerto europeo ed anche col consenso del Bey
« e nelle condizioni di forze esposte in capo della presente me-
« moria non vorrebbe essere considerato come un fatto scevro
« affatto di difficoltà all'infuori delle amministrative. Qualun-
« que sia l'influenza del Bey sulla parte cittadina dei suoi sog-
« getti, influenza che i fatti attualmente in corso non possono
« non avere esautorata in gran parte, è però fuori di dubbio per
« quanti pratici del paese lo scrivente ebbe ad interrogare, che
« uno sbarco di truppe europee fatto anche col consenso del
« Bey non potrebbe non destare sul Paese una agitazione che il
« sentimento religioso e qualche influenza esterna potrebbero
« far anche degenerare in una rivolta più o meno generale colla
« quale bisognerebbe contare. È poi indubitato che l'elemento
« arabo attualmente in stato d'insurrezione sarebbe ancor meno
« disposto del cittadino ad accettare un intervento armato che
« fatto col consenso del Bey non potrebbe non essere giudi-
« cato che come un atto di ostilità contro di essi. Si è per ciò
• « che lo sbarco e lo stabilimento del corpo di spedizione sul
« territorio tunisino, eseguiti anche nelle migliori condizioni già
« esposte vogliono essere condotti in modo da poter far fronte
« a tutte le eventualità più o meno probabili, ispirandosi a que-
« sta verità di fatto difficilmente impugnabile: che un'opera-
« zione di tal materia avrà a passare effettuandosi per due crisi
« successive ben distinte le quali ambedue potrebbero dar luogo
« all'impiego della forza in più o meno larga misura.
« Tali crisi sono:
« l: L'effetto primo che produrrà lo sbarco sull'opinio-
« ne del paese moro, effetto che potrebbe anche tradursi in qual-
« che atto di resistenza più o meno importante.
« 2: Il lavorio di reazione nazionale e religiosa che pro-
« durrà nel Paese la presenza di truppe straniere che potrebbe
« manifestarsi un giorno o l'altro con una sommossa più o meno «combinata dell'elemento moro cittadino coll'elemento arabo «insorto.
« Ecco le due crisi alle quali militarmente parlando si deve « preparare il corpo di spedizione a tener testa ed è in previ« denza di esse che vogliono essere studiate le disposizioni per « il suo sbarco e per il stabilimento nella Reggenza. Siffatte di« sposizioni abbracciano nel concetto dello scrivente i punti
« seguenti:
<< l: Sbarco ed occupazione della Goletta.
« 2: Marcia su Tunisi.
« 3: Stabilimento a Tunisi.
<< 4: Servizio di sicurezza e organizzazione.
« 5: Servizio amministrativo.
« 6: Disposizioni diverse.
« Sbarco e occupazione della Goletta: la Goletta è per « Tunisi ciò che è il porto di Malamocco e gli altri punti della « laguna per Venezia. L'occupazione della Goletta rappresenta
«per un corpo europeo che occupa Tunisi un punto di approdo
« facile e sicuro , una base di approvvigionamento assicurato, un
« sito di deposito per ogni specie di materiale, una località atta
<< allo stabilimento dei diversi suoi servizi, un punto di ritirata
« sicuro e finalmente la chiave della comunicazione fra la costa
« e la città sia mediante la navigazione del lago, sia per mezzo « della strada di terra che per Cartagine lega Tunisi alla Go« letta. Aggiungendo a questi vantaggi la sua postura topogra« fica sopra un istmo d'un accesso ristrettissimo e perciò la sua « difendibilità con un pugno di uomini contro forze immensa« mente superiori, si avrà un'idea dell'importanza della Goletta ».
Seguivano informazioni sulla efficienza delle difese a terra , fondate su antiche fortificazioni spagnole, le quali, a giudizio del magg. Ricci , non avrebbero resistito nemmeno dieci minuti al fuoco di una nostra fregata. Lo sbarco alla Goletta, quindi, appariva privo di difficoltà, tanto che sembrava consigliabile di non usare, nell'effettuarlo, troppa violenza, piuttosto alla sorpresa e facendo precedere lo sbarco del corpo di spedizione da un colpo di mano di un distaccamento della
marina: tale reparto sarebbe poi rimasto a presidiare la posizione, mentre il corpo di spedizione avrebbe marciato su Tunisi. Quanto a questa seconda fase, « la marcia su Tunisi »proseguiva il Ricci - « si fa utilizzando la doppia via di mare «e di terra, questa come la principale, quella come la seconda<< ria e con uno scopo speciale. Per la via di mare verrà condotto
« il battaglione bersaglieri, una frazione della compagnia del ge« nio, e sarebbe conveniente l'aggiungervi due compagnie della
« fanteria di Marina. Queste due compagnie sarebbero desti-
« nate ad impadronirsi del fronte della cinta di Tunisi che ha
«la vista sul campo destinato al corpo di spedizione. Questo
« colpo di mano richiedendo una certa pratica dei luoghi si sono
« destinate ad eseguirlo due compagnie di Marina perché in pre-
« visione di tale eventualità si potrebbero far scendere a terra
« travestiti i due comandanti di esse per riconoscere i luoghi. Il
« rimanente del corpo di spedizione seguirebbe la via di terra.
«La partenza dalla Goletta sarebbe combinata in modo da po-
« ter arrivare a posto poco prima dello spuntare del giorno. Le « truppe che partono per la via di mare hanno per ufficio:
« l: Guarantire il quartiere europeo della prima conse« guenza che potrebbe originare a danno della colonia l'impressio« ne che farebbe lo sbarco sulla popolazione mora.
« 2: Sorprendere di rovescio il fronte della cinta di Tu« nisi che ha la vista sul luogo destinato all'accampamento del « corpo di spedizione ».
La località proposta per lo stabilimento a Tunisi era quella chiamata « il Belvedere », sita in posizione leggermente sopraelevata, a settentrione della capitale. Il Ricci aggiungeva numerose considerazioni particolari, illustrando minutamente tutti i motivi che suggerivano tale scelta, in relazione allo scopo della spedizione, e cioè la difesa del quartiere europeo, ed esponendo le ragioni per cui riteneva preferibile rinunciare ad occupare la Kasbah, della quale consigliava piuttosto di smantellare le fortificazioni, affinché non costituissero una potenziale minaccia contro le nostre truppe.
Per quanto concerneva il quarto punto, sicurezza ed organizzazione, il Ricci avrebbe preferito che venissero allenta-
nate dalla città anche le poche truppe indigene che vi erano stanziate e che fosse organizzato un servizio di polizia da parte degli occupanti, al fine di non rimanere sorpresi da eventuali manovre di contrattacco.
L'amministrazione poteva infine trovare alla Goletta il luogo adatto per sistemarvi magazzini, depositi ed ospedali e procedere nella stessa Tunisi ai necessari approvvigionamenti di legna e di carne.
Nelle finali «Disposizioni diverse», l'estensore della memoria suggeriva di stipUlare una convenzione militare con le forze del Bey, provvedendo a farvi includere la smilitarizzazione dei punti che potevano risultare pericolosi per le truppe italiane, nonché delle clausole che contemplassero forniture di generi e di materiali al corpo di spedizione da parte della Tunisia, sia a pagamento, sia a titolo di indennizzo. Raccomandava altresì di ben definire le posizioni del console e del comandante militare, per prevenire possibili contrasti i quali, diversamente, sarebbero potuti sorgere in merito alle rispettive attribuzioni e competenze. Nella chiusa, dopo aver accennato alle misure sanitarie che era opportuno fossero previste dagli organizzatori, il maggiore Ricci annotava, riguardo al problema delle comunicazioni, che « esiste nel Paese un telegrafo elettrico che unisce
«la Goletta a Tunisi e al Bardo, ma essendo di proprietà di « una compagnia francese e quasi infeudato al console di quella « nazione , sarà forse utile spedire una certa quantità di filo ed « altro materiale per stabilirne uno per il servizio nostro uri« lizzando i pali di quello già esistente ».
L'altro progetto, quello dell'amm. Albini (32), consigliava invece una spedizione militare con obbiettivi più vasti dal punto di vista territoriale, ed accennava anche , a un certo punto, all'eventualità di uno stabilimento politico.
«Premetterò in primo luogo» - vi si legge- «cadendo «su ciò d'accordo con la memoria del Cav. Ricci, che uno sbarco
{32) «Progetto di occupazione militare per protezione dei sudditi italiani residenti neJla Tunisia)) (manoscritto): A.C.R.M., busta 2. cart. F, doc. 107.
« isolato per parte nostra di un corpo d'armata senza un con-
« certo politico con altre potenze riesce un fatto impossibile. La <<presente rivoluzione unicamente basata sopra vessazioni go-
« vernative non ha, per vero dire, fino ad ora seriamente rninac-
« dato, tanto ·più nella capitale, né la vita né le sostanze di nes-
<< suno, e se a Susa e a Sfax gli Europei hanno abbandonato la «città, ritirandosi sui legni in rada, ciò fu per misura di precau-
<< zione anziché per effetto di imminente pericolo, ed infatti come
« avrebbero potuto essi imbarcarsi se di fermo proposito i mori
«avessero attentato alla loro sicurezza personale, mentre non
« eranvi forze per proteggerli in tale loro migrazione da terra?
« Nulla porta del resto ad essere pienamente convinti che la co-
« lonia europea si& seriamente esposta e minacciata la vita dei
« nostri connazionali dalle orde rivoltate, e se vi ha motivo di
« temere, si è .da parte della truppa del Bey, vera accozzaglia
« di mascalzoni, i quali privi di quello spirito di disciplina a
« cui deve informarsi un corpo militare, difficilmente ubbidireb-
« bero all'ordine di porsi in campagna, e potrebbero quando se
« ne presentasse l'opportunità tentare il saccheggio, ma in tale
« contingenza credo basterebbero a ridurli all'inazione le risorse
« militari combinate delle flotte, sul cui riguardo caddero d'ac-
« corda gli ammiragli ... Eppoiché le operazioni di guerra di un
«corpo d'armata italiano debbono unicamente poggiarsi sulla
<< necessità di garantire la colonia dai pericoli cui potrebbe sot-
« tostare in un momento di generale rivolta da parte dei mori,
« credo sia indispensabile ripartire le forze di quel corpo fra i
« vari punti della costa, ove le nostre ricchezze commerciali con-
« sistenti in considerevoli capitali (in olio che uniti a vari altri
« generi vuolsi ascendino a 22 milioni) hanno bisogno di essere
« tutelate. Ed egli è perciò che oltre ad occupare Tunisi quale
« sede del corpo surriferito, dovrebbesi parimenti guarnir di
« truppe le città di Susa e Sfax, centri e depositi importanti di
« merci, e luoghi maggiormente soggetti agli effetti del fanati-
« smo religioso, che colà vi suttrova cause di fermentazione.
<< Queste città hanno anche bisogno di essere tenute in ri-
« spetto e le loro coste attigue vigilate perché poste in vicinanza
« delle isole di Sicilia e di Malta, nella prima delle quali potreb-
<< bero i rivoltosi avventurarsi in scorrerie e ricevere aiuti dalla
« seconda, che abbonda in gentaglia di mala fede, che si var-
« rebbe di tale luttuosa circostanza per esercitare atti di pira-
« teria a cui essa è purtroppo propensa per indole e tradizione «di paese.
« E qui cade forse in acconcio esporre la convenienza di « avere in isquadra alcune cannoniere, quattro almeno per le
« missioni di crociera contro i pirati o contro i partigiani che
« tentassero eseguire un qualche sbarco in quei paraggi allo scopo
« di rafforzare le bande insurrezionali. Essi legni, stante la loro
<<debole pescagione, potrebbero spingere le loro escursioni mol-
« to a terra, ed all'evenienza proteggere a Susa e Sfax la discesa
<< a terra delle nostre forze, qualora ci venisse militarmente con« trastata.
« Quanto ai mezzi di rifornirli di carbone, verrebbe stabi-
« lito a Susa un piccolo deposito di 200 o 300 tonnellate di tale
« combustibile, o meglio ancora si terrebbe a loro disposizione
« in quel luogo un legno trasporto con la stessa quantità di car-
« bone. Altre considerazioni farebbero sentire la necessità di
«non lasciar sprovvista di truppe la costa orientale della Tuni-
« sia, cioè quelle che emergono dal fatto che un intervento stra-
« niero armato, riuscendo male accetto a queste popolazioni, « produrrebbe nel compiersi il suo contraccolpo ovunque, con « degli effetti tanto maggiori per quanto non avrebbesi potuto
« discentrarne lo sforzo: ora come ottenere siffatto sconcentra-
« mento senza richiamare d'improvviso e con simultaneità l'at-
« tenzione degli indigeni sui vari punti del loro litorale?
«E qui manifesterebbesi l'opportunità di suggerire anche « l'occupazione della città di Hamamet in caso che il corpo di « armata fosse destinato a soggiornare a lungo in questa reg« genza, essendo quel luogo poco discosto dal golfo di Tunisi ed
« un mezzo di facile comunicazione tra gli arabi insorti ed i mori
« di quella città, a cui si rannoda con un tratto di paese tutto « m p1anura.
<< E non sarebbe neppure da considerarsi che questa gente, «la quale difetta di capi intelligenti, troverebbe un elemento di «debolezza nell'imperioso bisogno di suddividersi in bande mal
«guidate, per combattere attacchi eseguiti in varie località? Esa-
« minata la quistione sotto il punto di vista strategico, passerò
« ora a trattarla nei suoi dettagli logistici, !imitandomi a questo
« riguardo ad accennare le disposizioni che precederanno la di-
« scesa a terra del suddetto corpo, le quali per la loro indole
« tutta tecnica marina, e perché rilevanti dalle attribuzi oni dj
« un comandante di forze navali, debbono emanare dalla auto-
<< rìtà di questo comando. Sarà però d'uopo prima di diffon-
« dermi sulle operazioni relative a questo sbarco, che io ritorni
« alquanto indietro e stabilisca con la scorta delle premesse a
« qual forza complessiva dovrà ascendere il corpo in parola , non-
« ché il modo di suddividerlo, per poter fornire ai punti strate-
« gici della reggenza un conveniente contingente. Ritenuto per-
« tanto insignificantissimi i mezzi difensivi del go verno del Bey , «in caso di opposizione al nostro intervento, ed illusorio l'aiuto
« che potrebbe derivare dal di lui assenso giacché non conva-
« lidato dall'opinione pubblica del paese, non mi soffermerò a «far distinzioni di sorta tra queste due ipotesi, ma subordinerò
« invece la forza del corpo di spedizione. al puro fatto di garan-
« tire sovratutto la vita dei nostri connazionali fino a che altre
« nazioni civili vengano esse pure associarsi a quest'opera urna-
« nitaria ovvero il governo del Re creda di dare a questa occu-
« pazione un carattere politico.
« Riferendomi adunque a quanto più sopra esposi , il corpo
« di spedizione non dovrebbe a mio avviso essere minore di
«dieci mila uomini circa e si comporrebbe nel modo seguente:
« N. sei Regg.ti fant.a uomini 7800
« » tre Batt.i Bers.i id. 1500
« » tre Batterie Camp. id. 600
« » due Comp.e Zapp.i id. 240
« T o tale uomini
«Ripartiti come in appresso:
« N . 4 Reg.i fant.a
« >> 2 Bat. Bersag.
« » l Batteria Camp.
10140
) )
« » Y2 Batt. Bersag. (250) Susa
« » l Batteria Camp. (200) uomini (1810)
« » Y2 Cornp. Zapp.i (60)
«N. l Regg. Fant. (1300) l
«N. l Regg. fanteria (1300) ì
« » Y2 Batt. Bersag. (250) Sfax
« » l Batteria Camp. (200) 'uomini (1810)
« )) Y2 Comp. Zappatori (60)
« Compagnia sbarco della Squadra Goletta solo da loro occupata.
« Ometto di assegnare alla città di Hamamet il suo contin-
« gente per le ragioni più sopra addotte, in forza delle quali
«considero il corpo precedentemente citato come destinato solo
« a scongiurare un pericolo imminente per la colonia, ed a so-
« stenere un primo urto in attesa di rnaegiori rinforzi dal con-
« tinente. Stimerei però provvida misura il tenere in quel punto
« una cannoniera per imporre con la sua presenza agli abitanti,
« ed eseguire nelle vicinanze quella crociera di cui più sopra feci «cenno.
« Giunto nella rada di Tunisi, Susa e Sfax il corpo di spe« dizione, di notte se nell'intento di prender per sorpresa quelle
« piazze o di giorno qualora si debba sottomettere di viva forza, « procederebbesi salvo impedin1enti di tempo al loro immediato
« sbarco coi mezzi e nell'ordine sotto indicati facendo assegno « sopra sei barche piatte che dovrebbesi ricevere dai nostri ar« senali, unitarnente a due piccoli vapori rimorchiatori, nonché « ad una sola barca a vapore, non potendosi chiedere la seconda, « per trovarsi essa attualmente sul Principe Umberto ».
A questo punto segutvano i dettagli tecnici sulla distribuzione delle truppe nelle imbarcazioni, stabilendo che lo sbarco avrebbe dovuto essere effettuato in cinque spedizioni successive, composte ciascuna di tre gruppi nella rada di Tunisi e di uno solo a Susa (:d a Sfax: il sostegno della marina sarebbe stato dato a Tunisi dalle navi-avviso e nelle altre due località dalle cannoniere. Era previsto che a Susa. in caso di resistenza , operasse con l'artiglieria di bordo anche il Garibaldi) mentre a
Sfax, dove il basso fondale impediva al Magenta di avv1cmarsi abbastanza alla costa, si riteneva sarebbe bastato l ' intervento delle due cannoniere. Le frazioni del corpo di sbarco destinate ad operare nei tre centri avrebbero dovuto essere trasportate sul luogo in tempo per poter effettuare contemporaneamente l'attacco. Qualora invece, secondo quanto era stato suggerito dal magg. Ricci, fosse stato deciso di sbarcare soltanto a Tunisi , l'Albini sottolineava che l'operazione doveva esser portata a termine con grande rapidità« onde non dar campo alle passioni di esaltarsi» e per non permettere « ad altri interessi ... di commuoversi e provocare una resistenza». Quanto al tempo occorrente per lo sbarco, l'Albini lo prevedeva in cinque ore per mettere a terra il contingente di truppe da lui indicato per Tunisi e in tre ore per il contingente previsto dal Ricci e per gli sbarchi che secondo l'ammiraglio avrebbero dovuto effettuarsi a Susa e a Sfax. ·
Nel mese di luglio l ' Albini spedl il maggiore Ricci a compiere un'escursione ricognitiva della costa tunisina orientale sul « Messaggero », al cui comandante Racchia era affidato l'incarico di esplorare meglio gli approdi dei maggiori centri abitati: non è possibile accertare se l'ammiraglio ritenesse veramente indispensabile l'acquisizione di ulteriori dati in materia o se volesse piuttosto allontanare per un po ' l'incomodo ufficiale di Stato maggiore, la cui missione, raccomandata come « top secret », era venuta subito a conoscenza di tutti, nuocendo alla popolarità dell ' Italia tra gli indigeni (3 3 ). Dalla ricognizione risultò, da parte del Ricci , un ridimensionamento (33) Cfr. istruz. dell'Albini all'Acton in data 3 luglio : «Esso Uffiziale ... deve conservare il più perfetto incognito »; e al Pucci, in pari data, ove si diceva che il Ricci er.a incaricato « di una particolare missione e deve conservare il più grande incognito» (A.C.RM., busta 162, pacco 41). Per altro, precedentemente, l'ammiraglio, adducendo di non avere alloggi disponibili a bordo, aveva inviato la missione del ministero della guerra a sistemarsi in città, con quale vantaggio per la segretezza si può immaginare (A.C.R.M., busta 2, cart . F, docc. 108, 109).
della pericolosità della situazione ( 34) e da parte del Racchia un esame minuzioso delle diverse località in cui uno sbarco era possibile ( 35 ).
Mentre i due ufficiali eseguivano la loro missione come se fosse giunto realmente il momento di tradurre in realtà i loro piani di occupazione, a Tunisi le cose andavano cambiando. In effetti, soltanto i francesi continuavano a spargere voci allarmistiche, propalando notizie di sconfitte subite dalle truppe del Bey ad opera dei rivoltosi e, a quanto pare, sobillando questi ultimi (36): onde si venne a verificare un progressivo di-
(34) Ibidem, doc. 119: «Relazione di escursione sulla Costa Orientale fatta sul Messaggero», allegata al rapporto dell'Albini al Cugia in data 13 luglio. Il Ricci notava il disaccordo tra le popolazioni more della costa e i beduini dell'interno, accomunaù soltanto da una provvisoria solidarietà contro il malgoverno del Kasnadar; sottolineava il carattere puramente passivo dell'opposizione delle città orientali al Bey; manifestava il suo scetticismo sulla possibilità che il governo tunisino riuscisse a riprendere il controllo della regione; deplorava i coloni per il loro esagerato allarmismo, gli ebrei per la loro avidità . i francesi per i loro intrighi, e rivelava come in effetti l'unico desiderio manifestato dai nativi fosse quello di ritornare, con l'aiuto britannico, sotto un effettivo potere turco. Quanto alla parte più strettamente militare, il Ricci scartava lo sbarco a Sfax, del tutto impossibile nelle ore notturne, e confermava l'opportunità di prender terra a Susa, a Monastir, a Hamamet ed eventualmente anche a Media e nell'isola di Gerba.
(35) Ibidem, doc. 116: «Relazione sul viaggio di perlustrazione eseguito sulla costa orientale Tunisina ». Nel rapporto del Racchia, assai dettagliato (una cinquantina di pagine con allegate varie piante di città, riprodotte in GABRIELE, La politica navale, ecc., cit., pagg. 471-472), si esaminavano particolareggiatamente le topografie degli approdi, lo stato delle fortificazioni, l'entità delle forze difensive ed il loro armamento e munizionamento, lo stato d'animo degli abitanti, infine tutti i fattori che avrebbero potuto facilitare o intralciare le operazioni. Anche il Racchia, d'accordo con il Ricci, segnalava che a parer suo gli europei della Tunisia, come pure i loro rappresentanti diplomatici, si erano lasciati prendere dal panico e che la situazione era ben lungi dall'essere cosl tragica come veniva descritta.
(36) Cfr. rapporto dell'Albini del 20 luglio sui poco chiari traffici dei francesi con i ribelli; e altro rapporto in data 27 luglio, in cui si legge: « ...si vuole assolutamente far credere dal Console Francese che
stacco degli italiani dalle posizioni della marina napoleonica, di pari passo con la distensione prodottasi presso i gabinetti europei, i quali cominciavano, in luglio, a sdrammatizzare la situazione. Questa tendenza si accentuò in agosto, quando i francesi accantonarono ogni idea di sbarco ( 3 7 ), essendo stata eliminata qualsiasi possibilità di ristabilimento di un effettivo potere turco ed essendosi tranquillizzati gli inglesi circa le mire dei loro vicini d'oltre Manica, mentre le forze del Bey andavano sottomettendo, l'uno dopo l'altro, i vari centri della ribellione. Per gli italiani, in agosto, il problema si riduceva a non perdere prestigio nel delicato momento del ritiro delle unità da guerra europee dalla Reggenza e a risolvere nella maniera più vantaggiosa le venenze in sospeso con lo Stato tunisino. Nel porto di Susa, il giorno 17, si trovavano già cinque mercantili italiani pronti a riprendere i traffici non appena il commercio venisse riaperto (38 ): e dalla normalizzazione l'Italia non poteva che essere favorita, sia per l'interesse economico della colonia nazionale in Tunisia, sia dal punto di vista politico di Torino, una volta svanita l'ipotesi dello sbarco e dissipato il pericolo di trovarsi di fronte ad un deprecabile fatto compiuto da parte di altra nazione più potente.
Vi fu ancora, in settembre, una lunga serie di trattative, circa la precedenza delle partenze delle navi da guerra, risolta con il criterio delia contemporaneità: onde nella mattinata de] 23 le unità europee salpavano dalla rada, !asciandovi pochi
gli arabi non accetteranno concessioni di sorta dalla pane del Bey Non è più un mistero che il signor di Bauval sia in corrispondenza diretta coi rivoltosi i quali fomenta e mantiene in attitudine ostile... vuole e dice chiaramente che la politica del suo governo deve dominare su quella delle altre potenze essendo la Francia paese confinante della Reggenza ... » (A.C.R.M., busta 2, cart. F, docc. 121, 128).
(37) Una nota del ministro degli esteri francese Drouyn de I'Huis esortava ai primi di agosto il Bey a concedere riforme mantenendo l'indipendenza del suo paese ( v. rapporto dell'Albini al ministero in data 10 agosto, ibidem, doc. 146).
08) A.C.R.M., busta 162, pacco 40.
bastimenti stazionari (39}: la questione tunisina del 1864 era chiusa ( 40).
Questo rilevante episodio di politica svolta mediante l' opera della flotta è il primo caso importante di impiego della marina militare come strumento di politica da parte del governo nazionale italiano. Non solo infatti le navi da guerra avevano eseguito ottimamente il loro compito di proteggere la vita e gli interessi dei connazionali, ma lo Stato aveva tratto motivo di prestigio dalla presenza navale lungo le coste settentrionali del-
( 39) La convenzione stipulata a bordo della Maria Adelaide il giorno 20 tra l'Albini, l'ammiraglio francese, il commissario turco e con la mediazione del commodoro inglese, stabiliva: « Programme de départ des escadres française, italienne et turque fixé pour Vendredi 23 septembre à 11 h. et demi. Le Vice Amiral Bouet Commandant en Chef de l'escadre française indiquera qu'il fait le segnal à son escadre d'allumer les feux en issanr un pavillon jaune au grand mat. L'Amiral italien (era en mème temps le mème signa! à son escadre. La frégate turque devra aussitòt allwner les siens. Lorsque chacune cles escadres sera prete à marcher, le pavillon national sera hissé au grand mat du batiment de son commandant en chef. Lorsque la frégate turque sera prete à marcher, elle hissera le pa\·illon turc au mat de misaine. Lorsque les cscadres étant prètes l'Amiral Bouet fera ammener le pavillon français hissé au grand mat, cela signifiera qu'il signale à son escadre d'appareiller. Le mème signal sera fait par le Vice Amiral italien et aura le mémc signification pour son escadre. Les deux escadres alliées à l'exception cles Commandants en chef appareilleront, alors pendant que ce mouvement s'exécutera la frégate turque devra lever son ancre et faire route vers le large. Les Commandants en chef appareilleront lorsque la frégate turque passera par leur travers. Les escadres alliées attendront \eur commandant en chef en dehors du Cap Carthage. L'Amiral Français laisse en rade de Tunis la frégate l'Invincible et l'avis l'Actif. L'Amiral italien la corvette Etna et l'avis Sirène qui se trouve actuellement à Susa» (A.C.R.M., busta 2, cart. F, doc. 180, all.).
( 40) Quindici giorni dopo, il 6 ottobre, l'esercito del Bey riportò a Kala Srira un successo che parve definitivo, su un campo di rivoltosi; la repressione venne completata nei mesi seguenti (GANIAGE, op. cit., pagg. 260-270). Il Kasnadar conservò, a dispetto di tutti, il favore del Bey e rimase al potere ancora per un decennio, fino all'ottobre del 1873 (v. E. DESFOSSÉS: Aflaires d'Orient. LA disgrace de Sidi Moustapha Khasnadar, ancien prermer ministre de LL. AA. Ahmed, Mohamed, Essadock bevs de Tunis, etc., Paris, 1875).
l'Africa, imponendo agli indigeni il rispetto della giovane nazione da poco affacciatasi sul mare di Sicilia e che appariva decisa a far valere i propri diritti nello stile delle grandi potenze.
La lunga dimostrazione navale italiana del 1864 non aveva nulla in comune con le passate spedizioni di piccole squadre sarde e napoletane contro i porti barbareschi: questa volta il massiccio intervento della flotta nazionale aveva apertamente denunziato un interesse del nuovo Stato mediterraneo per ciò che accadeva in Tunisia, con il preciso significato politico di stabilire l'influenza italiana e di impedire che altri sfruttasse senza ostacoli la a proprio vantaggio.
La marina militare, che si produceva per la prima volta in una missione politico-navale tanto impegnativa e delicata, aveva alle spalle un paese sproporzionatamente più debole di quelli - Francia, Inghilterra - con cui avrebbe potuto trovarsi a dover competere: ed appunto perciò la spedizione era stata un successo, essendo servita ad affermare che l'Italia, sia pure ancora in fase di formazione e di consolidamento, considerava già Tunisi come zona di suo precipuo interesse.
Quanto al problema se vi fosse realmente nel governo Minghetti il desiderio di occupare la Reggenza, questo esula dai limiti del presente studio ( 41 ). Certo, una tale eventualità era stata contemplata a Torino, ma solamente come una delle ipotesi verso cui gli sviluppi della complessa questione avrebbero
( 41) Basti accennare che, nella seduta del 18 settembre 1879 al Senato, il Pepoli ebbe ad affermare che nel 1864 la Tunisia era stata offerta all'Italia da Napoleone III e che il Minghetti aveva trascurato di approfittare dell'occasione (DE LuiGI, op. cit., pag. 142; CAPPELLO , op. cit., pag. 2). Ora, se nelle sfere diplomatiche può essere apparsa ad un certo punto come realizzabile la spedizione, il che non è nemmeno dimostrato, non ci sembra che negli. ambienti della marina, presente sul posto e più di tutti sensibile all'importanza della questione, si nutrisse l'illusione di poter attuare una politica di conquista. Al riguardo, cfr. GABRIELE, La politica navale, ecc ., cit., nota 109 a pagg. 430-431, e le opere alle quali si è fatto riferimento (SILVA, Il Mediterraneo dall'unità di Roma all'impero italiano, eit., pag. 329, e CHABOD, Storia delta politica estera, ecc., cit., pagg. 541-542).
potuto sfociare. I piani di sbarco che si sono con i passeggeri entusiasmi che qualche ufficiale può aver provato per l'idea di una conquista , non significav ano che il governo si fosse deciso per un ' azione militare. Il gabinetto Minghetti, fino a tanto che la situazione politica internazionale lo rese necessario, tenne aperta la porta ad una simile possibilità; vi rinunciò non appena la questione fu chiusa; e i piani vennero accantonati per non improbabili eventualità future.
L'annosa questione d'Oriente ritornava alla ribalta internazionale nel luglio 1875, in conseguenza della sollevazione dei contadini cristiani dell'Erzegovina contro i proprietari maomettani. La nuova fase acuta coincideva con il rinnovato interesse che veniva dedicato agli affari balcanici da importanti forze politiche alle corti di Vienna e di Pietroburgo: la relativa stasi che si era determinata nella rivalità austro-russa per la penisola balcanica, dopo l'accordo dei tre imperatori del 22 ottobre 1873, dava luogo ora, con l'insurrezione dell'Erzegovina, a prospettive di movimento. I moti sembravano offrire largo campo di manovra alle ambizioni del gruppo panslavista che, arroccato dietro la figura del generale lgnatiev, ambasciatore a Costantinopoli, premeva per rendere più attiva e più aggressiva la politica estera di Pietroburgo, puntando sull'obbiettivo più immediato e più agevole: la dissoluzione dell'intero settore settentrionale dei domini ottomani in Europa. Al tempo stesso, anche qui in contraddizione con la più cauta politica del ministro degli esteri, circoli militari austriaci premevano sull'imperatore per estendere alle spalle della Dalmazia i confini meridionali dello Stato e per contendere alla Russia, fin dove fosse possibile, l'eredità balcanica del « grande malato » turco (l). Il quale malato, probabilmente, avrebbe avuto ancora forze sufficienti a risolvere sul piano militare i propri problemi interni, se in
(l) Gr. LANGER, op. cit., pagg. 103-113. Il viaggio dell'imperatore Francesco Giuseppe lungo la frontiera turca, nell'aprile del 1875, fu la manifestazione più appariscente dcUe non troppo nascoste intenzioni austriache, che l'esercito aveva sostenuto fin dai tempi del Radetsky, dopo !a guerra di Crimea.
tali problemi non si fossero immischiate irreversibilmente, ormai da molti anni , le altre potenze (2).
Il vivo interesse che le nazioni europee avevano portato al teatro balcanico fin dagli inizi del movimento insurrezionale trovava ulteriore alimento nell'estendersi della sommossa , che impegnava in misura crescente la Turchia (3 ), mentre gli Stati minori della regione- Serbia, Montenegro, Grecia- prendevano o annunziavano misure militari che potevano preludere ad un allargamento del conflitto. Inoltre, il gioco politico veniva condotto tortuosamente in un'Europa priva di punti fermi, di alleanze sicure e di intese non fluide: lo stesso accordo dei tre imperatori non costituiva un elemento definitivo di stabilità , quando nella congiuntura balcanica due dei tre contraenti tentavano di affermare , in concorrenza tra loro, una propria politica egemonica. D'altronde, l'inquieta pace del continente, avvelenata dalle reciproche diffidenze, era stata turbata nella stessa primavera del 1875 da un acuto momento di tensione francotedesca, che aveva fatto addirittura temere la guerra, preoccupando le cancellerie in misura forse eccessiva rispetto al pericolo reale. Il Foreign Office, a sua volta, era alle prese con questioni complesse e difficili, come quella dell'assetto dell'intero bacino orientale del Mediterraneo, dove la situazione si presentava in fase di peggioramento, con la pressione russa sempre più insistente, con il fermento delle rivalità di razza e delle nuove nazionalità, con le ambizioni specifiche dell'Austria e generiche di altri. La decadenza ottomana minacciava di precipitare
(2) A proposito dell'insurrezione divampata in Bosnia e in Erzegovina , osservava il Bonghi: « Certo la Porta è uscita da cimenti simili vittoriosa più volte, in varie parti del suo desolato impero... e i popoli giunti a liberarsi dalla suggezione sua non vi riuscirono se non per aiuti stranieri. .. » (in « Nuova Antologia», XXX (1875 ), settembre, pag. 198).
( 3) Mentre venivano operati concentramenti di trup.[x: turche, anche la squadra navale ottomana fu richiamata da T unisi ed inviata nell'Adriatico, per essere impiegata in crociere di blocco , dirette ad impedire ogni afflusso di armi e di uomini nei Balcani per via di mare: preoccupazione, questa, accentuata dal fatto che nelle città dalmate soggette all'Austria si erano costituiti comitati a favore degli insorti.
fatalmente verso sbocchi incontrollabili e sfavorevoli agli inte· ressi britannici , e di fronte a tale pericolo non è da stupirsi se Londra preferiva l'occupazione austriaca della Bosnia e dell'Erzegovina, nell'autunno 1875, alle nuove avventurose prospettive aperte dall'agitazione in corso in Serbia e nel Montenegro ( 4 ). Elementi contraddittori <:aratterizzavano la posizione italiana (5). Da un lato le aspirazioni austro-ungariche sulla Bosnia e sull'Erzegovina favorivano le fantasie dei neobalbiani, che speravano di risolvere attraverso una politica di compromessi e di compensi i problemi relativi a,i territori italiani restati sotto il dominio austriaco dopo la terza guerra d'indipendenza: queste idee apparivano senza dubbio suggestive, poiché nella situazione di debolezza militare e di sostanziale isolamento dell'Italia apparivano come le sole capaci di far conseguire al paese, senza guerra, taluni ingrandimenti territoriali, sui quali di quando in quando tornava a divampare la mai sopita fiamma irredentistica (6). Per altro, l'eventualità di una discesa dell'Austria-Ungheria nei Balcani era motivc di preoccupazioni politiche e strategiche consistenti: un consolidamento della duplice monarchia nel mondo slavo avrebbe posto probabilmente un freno alle tendenze delle nazionalità in seno all'impero absburgico e avrebbe finito con il rafforzare il vecchio nemico contro cui si era faticosamente e fortunosamente affermata l'indipendenza italiana. Sull'Adriatico, poi, le conseguenze di un aumento della pressione austriaca apparivano assai gravi e davano luogo a considerazioni economiche e militari preoccupanti, che tendevano alla richiesta di una operazione di riequilibramento sulle coste meridionali di quel mare. La ventilata occupazione austriaca della Bosnia e dell'Erzegovina apriva tuttavia una prospettiva - quella della rettifica
( 4) Cfr. anche « Nuova Antologia », XXX ( 1875), dicembre, pag. 888.
(5) Si veda un'analisi retrospettiva della questione in AnRIACUS: Da Trieste a Valona. Il problema adriatico e i diritti dell'Italia, Milano, 1918.
(
6) Gli an ti-austriaci, per altro, erano ormai ridotti agli « estremi gruppi democratici ... più turbolenti che numerosi» (SALVEMINI: La politica estera dell ' Italia dal 1871 al 1915, II ediz., Firenze, 1950, pag. 25).
della frontiera nord-orientale - accarezzata da tempo anche nelle sfere governative (7), sebbene le richieste che si sperava di poter avanzare fossero molto più caute e più modeste di quelle che venivano agitate sulla stampa democratica. Ed è interessante rilevare da tutta una serie di indizi - l'atteggiamento della stampa, le confidenze riservate di taluni responsabili della politica estera, la faciloneria con cui parte dell'opinione pubblica diede credito all'ipotesi che nell'incontro di Venezia dell'aprile 1875 tra Vittorio Emanuele e Francesco Giuseppe d si fosse intesi per una rettifica della frontiera - quanto fosse diffusa in Italia la convinzione che bastasse aspettare il momento opportuno per giungere a un accordo con l'impero austro-ungarico circa le terre irredente: wait and see, aspettare e vedere, ma con l'intima persuasione che sarebbe venuto il giorno nel quale sarebbe stato possibile mettere in atto la brillante operazione politica del baratto delle regioni irredente con il consentimento all'espansione absburgica nei Balcani. Eppure, da parte austriaca una parola chiara era venuta, nella primavera 1874; con la lettera inviata dal conte Andrassy, cancelliere dell'impero austriaco, all'ambasciatore a Roma conte Wimpffen, in data 24 maggio, si era inteso da parte imperiale porre un punto fetmo alle aspirazioni irredentistiche italiane: e non si può negare che la -lettera - da leggere e da trasmettere in copia ai ministri
(7) Cfr. SALVEMINl, La politica estera della Destra, in «Rivista d'Italia», XXVII (1924), vol. III, pagg. 346-370, e XXVIII (1925), vol. I, pagg. 60-82 e 186-210. Vi si riporta come l'ambasciatore italiano a Vienna, Di Robilant, scrivesse al ministro degli esteri Visconti Venosta, in data 4 marzo 1874, che bisognava stare attenti, al fine di « giunto il momento trovarci in posizione da cavar dagli eventi quel profitto, che parrà più conveniente, e che ragionevolmente potremo rar di ottenere»; e come il medesimo ribadisse più esplicitamente il proprio punto di vista nel rapporto del 4 luglio successivo: <<Gli ottimisti sperano ... l'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina .. . Io confesso che dal canto mio desidererei per molte ragioni vedere ciò effettuarsi: e principalmente perché si presenterebbe cosl la propizia ed anzi la sola desiderabile occasione, di ottenere alla nostra volta l'annessione all'Italia di quelle terre la cui popolazione è della nostra stessa famiglia, e che nessuna soluzione di continuità da noi divide».
italiani - fosse estremamente esplicita. Vi si assicurava che l'Austria-Ungheria non riconosceva alcun movimento popolare inteso a rivendicare le terre italiane recentemente perdute nelle guerre contro l'Italia, e vi si dichiarava che l'imperia! regio governo si attendeva un identico atteggiamento da Roma, visto che l'impero non avrebbe potuto accettare mai senza guerra la rinuncia a terre e a sudditi rivendicati da altre potenze in nome del principio di nazionalità ( 8 ). Nulla di più logico, del resto, data la struttura dello Stato austro-ungarico. Malgrado una tale ferma presa di posizione, però, le ricorrenti speranze dei neo-balbiani (se cosl si possono chiamare) esponenti della politica estera italiana continuavano ad affacciarsi di tanto in tanto e la rivoluzione in Bosnia-Erzegovina parve a qualcuno confortare quelle speranze (9).
Ma l'annessione all'Austria delle regioni insorte nella penisola balcanica avrebbe prodotto una sostanziale modifica dell'equilibrio adriatico e, quindi, prescindendo dal problema delle terre irredente, avrebbe cambiato i rapporti di peso tra .i paesi rivieraschi. La marina italiana era stata sempre cosciente di dò ed aveva pertanto seguito con molta attenzione, nella primavera del 1873 , il viaggio del generale Kuhn, ministro austriaco della guerra, lungo la costa dalmata, alla ricerca di un nuovo porto militare da istituire in luogo di Sebenico per controbilanciare la
(8) V. il testo completo del documento in SANOONÀ: L'irredentismo nelle lotte politiche e nelle contese diplomatiche italo-austriache, Bologna, 1932, vol. I, pagg. 106-111, il quale però dimentica di citare il SALVEMINI, La politica estera della Destra, cit., in cui era già stato riprodotto l'imponante documento a pagg. 65-66 della 23 puntata.
(9) Cfr. amb. Di Robilant a ministro Visconti Venosta in data 7 agosto 1875: «A me pare s'abbia da parte nostra a stare molto attenti a questa faccenda, poiché sarebbe per noi un'occasione forse unica di migliorare le nostre frontiere in Val d'Adige e sull'Isonzo »; e poi, il 12 suet:essivo: « potremmo più tardi pretender alla parte nostra»; e ancora un accenno, il giorno dopo, alla parte dell'Italia nello « spartimento della torta»: tutti cit. dal SALVEMINI, La politica estera della Destra, cit., pagg. 197-198 e 200 della .3• puntata.
decisione italiana di valorizzare Taranto (l O). E' da rilevare che in quello stesso anno i risultati degli Studi condotti dalla commissione per la difesa delle coste presieduta dal gen. Menabrea ave,vano portato alla decisione di insistere sulla base di T aranto ( 11 ), ma di subordinarne l'armamento all'eventuale disponibilità di fondi, il che equivaleva in pratica a rimandarlo alle calende greche. La politica navale austriaca veniva seguita più con attenzione che con preoccupazione, sebbene la flotta imperiale e regia avesse ormai raggiunto una consistenza non trascurabile ( 12 ). Qualora quella flotta avesse potuto usufruire di nuove basi sulla costa adriatica orientale e le posizioni dell'impero su quel litorale avessero avuto un'ulteriore espansione, l'Italia avrebbe dovuto cercare un compenso a sud, intorno alla zona del canale d'Otrarùo, sulla sponda opposta alla nazionale, per effettuare un'operazione di contenimento. La questione della
(10) Le ragioni principali dell'iniziativa austro-ungarica, secondo il rapporto del 21 maggio 1873 dei console italiano di Fiume al ministro degli esteri, ritrasmesso dall'Arto m al ministero della marina , erano le seguenti: « l. La risoluzione presa dal governo italiano di creare uno stabilimento marittimo in Taranto. - 2. I timori che l'Austria ha della propaganda separatista slava per cui vuol essere parata ad ogni eventualità ed avere un punto dove concentrare con facilità e sicurezza le sue forze» (A.U.S .M., busta 109, fase. 1).
( ì1) Si esprimeva la speranza - così il verbale del 25 giugno - che il porto pugliese « debba prestare a noi servizi analoghi a quelli che Malta presta agli Inglesi ». I verbali delle sedute della sessione estiva (19 -25 giugno 1873) della commissione mista per la difesa generale delle coste sono reperibili in A.U .S.M ., busta l 09, fase. l: essa era presieduta ·aal gen. Menabrea e composta dai luogotenenti gen. Cosenz e Longo, dal vice amm. De Viry, dal contramm. Isola, dall'ispett. del genio navale Mattei, dal magg. gen. Parodi, dal cap. vasc. Bucchia e dal luogotenente vasc. Pescetto, segretario.
(12) Secondo quanto pubblicav a la «Rivista marittima» (1875 , IV, pag. 396 ), la marina militare austro-ungarica risultava composta da undici navi corazzate, tre fregate, otto corvette, cinque cannoniere, una .torpediniera, cinque brigantini, due avvisi, due yachts, dieci trasporti, òl.tre a due monitori fluviali del Danubio (questi ultimi per altro definiti « deformi » e « di pochissimo momento » nel cit. rapporto del comandante dell'avviso « Authion »).
porta adriatica, del resto, era stata dibattuta negli ambienti della marina fin dai primi anni dell'unità e non erano mancati accenni all'utilità del possesso di Corfù ( 13 ). Ma negli anni '70 la marina, in Italia, non poteva avere un peso paragonabile a ·quello dell'Ammiragliato inglese sulla formulazione della politica del paese, per cui le considerazioni strategiche erano nate a restare confinate nei circoli della flotta. Pertanto, al momento in cui la rivoluzione scoppiava nei Balcani, non vi era nella politica estera italiana un'effettiva propensione a chiedere compensi nell'Adriatico meridionale, neppure come alternativa al Trentino.
« A noi bisogna la pace e la vogliamo con ogni schiettezza» affermava il Mamiani nell'agosto 1875 ( 14 ), facendo eco al ministro degli esteri: tale era la politica del governo, come era stato confermato ancora una volta, proprio in quei giorni, dal dibattito alla Camera sugli incidenti avvenuti in Dalmazia tra operai italiani e slavi (15). Era una pace disarmata, e come tale ben poco utile ad usarsi come strumento di potenza. Persino l'invio di qualche unità della flotta nel Levante - minimo atto
(13) Cfr. GABRIELE, La politica navale, ecc., cit., pagg. 319-346.
(14) Nell'articolo Il fatto e il da farsi degl'Italiani, in «Nuova Antologia», XXX (1875), agosto, pag. 755.
(15) Il 23 novembre 1875 il deputato Manfrin aveva sollevato in Parlamento la questione, lamentando gli incidenti accaduti sul tronco ferroviario Siverich-Spalato e chiedendo una energica protesta presso il governo di Vienna, il quale, a parere dell'oratore, avrebbe avuto interesse a sostenere gli italiani contro gli slavi, invece di tollerare persecuzioni e cacce all'uomo. La portata degli incidenti era stata sufficientemente ridimensionata dall'oratore successivo, il deputato Maldini, che conosceva per· sonalmente assai bene le province dalmate e i loro problemi e che aveva colto l'occasione per chiarire che in Dalmazia, ad ogni buon conto, malgrado i trascorsi di Venezia, «nessun partito e forse neppure una qualche individualità pensa ad una unione con l'Italia». Infine il ministro degli esteri Visconti Venosta, citando il rapporto del 16 agosto dell'ambasciatore italiano a Vienna, aveva dichiarato che l'operato delle autorità austriache era stato del tutto regolare ed aveva sottolineato che « le più amichevoli relazioni» correvano tra Roma e Vienna (A.P.C., sessione 18741875, vol. VII, Roma, 1875, pagg. 4635-4643; un cenno è anche in SANOONÀ, op. cit., pagg. 115-116).
che anche le potenze minori non mancavano di effettuare come manifestazione di presenza- veniva impedito da considerazioni di ordine economico (16), certo valide ma non tali da rendere autorevole la parola del paese. E forse non tutti i torti aveva Ludovico Cisotti - malg rado la distorsione profess'ionale che lo induceva a scagliarsi contro le « inconsulte economie » dei bilanci militari - quando lamentava: « Quella soverchia fiducia nella pace doveva pur venir meno vedendo tutte le grandi potenze militari, compresa l'Austria-Ungheria, per solito assai misurata nelle spese, attendere con istraordinaria attività e con enormi somme agli armamenti ed alle opere di difesa» (17). Tali polemiche portavano acqua al mulino dell'opposizione, che accusava gli uomini della Destra di inettitudine e di atteggiamenti dimessi in campo internazionale, trascurando spesso di tener conto delle diflìcoltà obbiettive che la situazione economica italiana portava con sé. Il governo, comunque, continuava la propria politica di neutralità e, fin dove possibile, di buoni rapporti con tutti, persino con i turchi che chiedevano aiuto nella repressione di eventuali contrabbandi dalle coste italiane in favore degli insorti balcanici ( 18 ).
(16) «Noi in Oriente, per ragioni di economia, non abbiamo legni da guerra»: dichiarava il Visconti Venosta alla Camera il 24 novembre 1875 (A.P.C., sessione 1874-1875, cit., vol. VIII, pag. 4657).
{17) CrsoTTI: Stato militare dell'Italia nell'anno 1875, in «Nuova Antologia», XXX ( 1875), novembre, pagg. 538-564 e dicembre, pagg. 745-769. L'Autore vi denunziava, tra l'altro, i «gravissimi problemi intorno alla difesa peninsulare » che avrebbero dovuto preoccupare i respon· sabili perché condizionavano radicalmente anche le operazioni dell'esercito. In precedenza, nello stesso anno (ibidem, agosto, pagg. 911-925), il Q. sotti aveva esaminato gli armamenti di Francia, Germania, Russia e Inghilterra e delle altre potenze europee ed aveva constatato che, a parte i notevoli armamenti delle prime quattro grandi nazioni, a partire dal 1868 anche l'Austria era andata lentamente riorganizzandosi nel campo militare, mentre in Italia, dove si spendeva meno che in ogni altro paese citato, si era rimasti paurosamente indietro.
(18) Il 12 agosto 1875 il console turco in Ancona, AsChelim, aveva richiesto la collaborazione della locale capitaneria di porto, poiché « il Governo Imperiale teme che dalla costa d'Italia più prossima al luogo dell'insurrezione si cerchi di far pervenite agl'insorti armi, munizioni e
Anche il discorso della Corona del 6 marzo 1876 seguiva il solito cliché della politica governativa, imbevuto di ottimismo formale sulle possibilità di risolvere per via pacifica, attraverso l'applicazione riforme già annunziate, la questione bosniaca (19). Se non che nel frattempo nei Balcani la situazione era andata sempre più degenerando. La nota Andrassy aveva finito per essere accettata da tutti, anche se « come il male minore » ( 20 ), ma la formale adesione delle potenze garanti per la Turchia al piano di riforme proposto dal ministro viennese degli esteri non aveva sciolto l'intricato viluppo di interessi internazionali che si era formato intorno alla rivolta anti-turca: per cui all'iniziativa di Vienna erano seguite altre iniziative diplomatiche destinate ad ostacolarsi e a farsi fallire a vicenda, manifestazioni palesi di quella che il Langer chiama la «crisi del concerto europeo » ( 21 ).
Quando, in Italia, la Sinistra sall al potere, la penisola balcanica era alla vigilia di nuovi drammatici avvenimenti e tutto il Levante era in agitazione. Il nuovo governo Depretis, con il Melegari agli esteri, non dava, della situazione internazionale e degli interessi italiani, un giudizio diverso da quello preceden-
soccorsi di uomini». Le istruzioni in proposito del ministro della marina, Benedetto Brin, al comandante del porto di Ancona, io data 25 agosto successivo, dicevano: « La R. Prefettura di Ancona ha già ricevuto dal Ministero dell'Interno istruzioni circa l'eventualità di imbarchi destinati a portare soccorsi alla insurrezione di Erzegovina. A detta dovrà quindi rivolgersi il Console ottomano, ove creda di avere comunicazioni in proposito e colla medesima starà . codesta Capitaneria in rapporto per quanto riguarda la sorveglianza da informando sempre il Ministero di quanto sarà per fare». In pari data il ministro degli esteri ringraziava quello della marina per i provvedimenti presi allo scopo di impedire « imbarchi d'indole sospetta, che sembrassero destinati a portare soccorsi all'insurrezione in Erzegovina» (A.U.S.M., busta 109, fase. 3 ).
( 19) Cfr. A.P.C., Discussioni generali 1876, vol. I, pag. 6. ·
(20) Cosl il redattore della Rassegna politica della «Nuova Antologia », XXXI ( 1876) febbraio, pagg. 442-446.
(21) LANGER, op. cit., vol. I, pagg. 119-132.
te (22); tuttavia, dopo i fatti di Salonicco, del 6 maggio (23 ), e di Costantinopoli, del l O maggio, ritenne di dover fare qualche cosa ed inviò unità da guerra nel Mediterraneo orientale a fianco di quelle delle altre potenze (24 ). Le cose intanto, con Serbia e Montenegro inarrestabilmente lanciate verso la guerra, andavano precipitando.
La presenza di unità della marina militare italiana nel Levante permetteva al paese di conseguire un minimo di affermazione di prestigio che, pur non essendo da sopravalutare, era certamente maggiore di quello che si sarebbe ottenuto con l'assenza completa. Le navi da guerra stazionarie servivano a dare maggior tranquillità alle colonie nazionali (25), a raccogliere
(22) SALVEMINI, La politica estera dell'Italia, ecc., cit., pag. 33; SALVATORELLI: LA Triplice Alleanza. Storia diplomatica 1877-1912, Milano, 1939, pag. 29; ecc.
(23) A Salonicco fu spedita la fregata « Maria Pia », il cui arrivo, secondo un rapporto del console italiano, in data 16 maggio, «è stato per la colonia italiana un desiderato conforto»; detta colonia, sempre a quanto riferiva il console, « è la più importante e numerosa delle altre straniere in questa città; abbiamo qui dunque grossi interessi materiali da salvaguardare». Il rapporto è in A.C.R.M., busta 190.
( 24) « il Governo ha creduto di dare immediatamente gli ordini necessari ai comandanti le nostre divisioni navali in Oriente perché siano pronte a proteggere le colonie italiane che sono numerose in quelle contrade, gl'interessi, le proprietà, le persone dei nostri concittadini e di coloro che vivono colà sotto la protezione della nostra bandiera »: cosl il ministro degli esteri Melegari in risposta all'interrogazione del deputato Rasponi sui fatti di Costantinopoli, il 31 maggio 1876 (A.P.C., Discussioni generali 1876, vol. II, pag. 1151). Il 19 maggio, nel dibattito sull'interrogazione del deputato Massari circa i fatti di Salonicco, il Melegari aveva fatto notare che i marinai italiani erano presenti a Tessalonica insieme a quelli greci, turchi, germanici, francesi ed austriaci (ibidem, vol. I, pagg. 600-601 ).
(25) Nel suo rapporto da Kavala, in data 17 giugno 1876, indirizzato al comando della squadra, il comandante dell'avviso Authion •, E. Grandville, scriveva: « Nella città la colonia italiana si compone di una trentina di persone. Essa è la più importante dopo la greca ed in caso di complicazioni la presenza di un nostro bastimento aumenterebbe considerazione e prestigio per il nostt:o paese ... In caso di agitazione seria non credo che un bastimento avviso basterebbe ad impedire eccessi. men-
notizie di prima mano (26), talvolta a facilitare rapporti di collaborazione (27): e dalla presenza di pochi bastimenti non si poteva pretendere di più. Eppure, queste misure di poco conto
tre questi potrebbero esser trattenuti dalla presenza di un bastimento di una certa forza, d'una corvetta tipo « V arese » od anche tipo « Cara.cciolo ». Questa popolazione, come del resto tutte le popolazioni ignoranti si lascia piuttosto intimorire dalla punizione istantanea che da quella che può arrivare, e perciò poca influenza in un momento critico avrebbe la bandiera nostra alzata sopra l'edificio consolare o. sopra un piccolo bastimento se i turbolenti non fossero intimoriti dalla probabilità di una reazÌone efficace e subitanea» (A.C.R.M. busta 190: ibidem sono puré reperibili altri rapporti di analogo tenore, da Lemno, Volo, Salonicco, ecc., inviati dai comandanti delle singole unità sparpagliate nell'Egeo al comando squadra di Besica).
(26) Cfr., ad es., la lettera del ministro della marina al comandante della Vedetta a Costantinopoli, dell'11 maggio 1876, in cui lo si invita a raccogliere notizie dirette « sul numero delle navi dell'lmperial Marina Turca, sulla loro qualità e potenza, sulle misure adottate e sulle intenzioni manifestate dal Governo Ottomano a riguardo dei suoi armamenti navali , in presenza degli eventi ... sorti in Oriente» (A.U.S.M., busta 109, fase. 5). E' da rilevare che in precedenza le informazioni si erano avute spesso di seconda mano, tramite gli inglesi e gli stessi turchi: dr. lettera di Artom al ministero del 12 gennaio 1875, con cui si trasmettono studi politico-militari intorno ai paesi ottomani nel Mar Nero, avuti da lord Uoyd, late ambassador a Costantinopoli e del Gran Visir Alì Pascià (ibidem, fase. 3 ). Circa le valutazioni della « Kolnische Zeitung », secondo cui la Turchia sarebbe stata in quel momento la più forte potenza navale del Mediterraneo, dr. «Rivista marittima» del gennaio 1876, pag. 130, dove si obbiettava che il giornale tedesco aveva tenuto conto soltanto dei fattori materiali, ignorando affatto quelli morali.
(27) Ibidem, fase. 5: «Dopo i casi del maggio 1876 le Potenze inviarono legni delle loro marine rispettive nei porti Ottomani. Col governo germanico, poi, l'accordo ha assunto forme ancor più concrete»: nel senso che alle navi da guerra italiane venne delegato il compito di assistere e proteggere anche i sudditi tedeschi che si trovavano nei centri marittimi e nelle zone coperte dalle stazioni (il ministro degli esteri al ministro della marina, in data 17 maggio 1877 }. Sulle crociere è stazioni navali del biennio della nostra marina militare in Levante, v. A.C.R.M., busta 194: « Rapporti annuali 1876 e 1877 della Squadra permanente •·
bastarono a dare il via ai moniti solenni (28), alle invocazioni di pace, alle voci allarmistiche. L'8 giugno il deputato Massari interrogava il Presidente del consiglio « intorno alle notizie che corrono di straordinari provvedimenti militari... armamenti straordinari che sarebbero progettati ed anche decretati: si parla dell'invio ulteriore di altre navi nei mari d'Oriente; si parla perfino della formazione di un campo di osservazione nelle nanze di Brindisi», e terminava auspicando una politica pacifica e dignitosa, mai azzardata. Il Depretìs smentiva, chiarendo che il solo provvedimento deciso dal governo consisteva nel distacco a Salonicco di una divisione nav ale della squadra stanziata nelle acque di Napoli; e in particolare era falsa la notizia circa il campo di il governo non aveva la minima intenzione di praticare una politica di avventure (29).
Nel frattempo, la congiura militare che aveva portato sul trono di Costantinopoli il nuovo sultano, il 29 maggio, aveva determinato una situazione di incertezza e di turbamento - non per nulla questo Murad V sarebbe stato dichiarato pazzo, e deposto, il 31 agosto successivo - che contribuì a decidere i serbi alla guerra. La nota Andrassy e il seguente memorandum di Berlino, con le nuove proposte sulle riforme dell'impero ottomano, erano riuscite ad impedire l'estendersi dell'incendio nei Balcani. Il quesito era se la Turchia avrebbe superato quest'altra prova, o se sotto la pressione di tante forze interne ed esterne il decrepito Stato si sarebbe dissolto: non era poi tanto peregrina ' l'ipotesi di un crollo generale della compagine statale ottomana, ed in tal caso le conseguenze per l'Italia, non abbastanza inse-
(28) «L 'Italia non ha interessi né forze bastanti per immischiarsi più che tanto in tanta incertezza di avvenimenti, nelle cose della Turchia»: così il Bonghi, sulla« Nuova Antologia», XXXI (1876), giugno, pag. 421.
(29) A.P.C., sessione 1876, vol. II, pagg. 1366-1370. Il Depretis, deplorando l'allarmismo, raccontò tra l'altro che un suo amico, scrivendogli, lo « scongiurava d'impedire che il Governo assumesse l'incarico di portare un corpo di truppe nelle province insorte dell'Impero Ottomano coll'incarico di reprimere l'insurrezione; cosicché si è perfino pensato che J,lila parte del nostro glorioso esercito dovesse rimpiazzare quei famosi giannizzeri. .. » (pag. 1368).
rita nel gioco delle potenze, non potevano essere favorevoli. Purtroppo, « in politica, amico di tutti equivale spesso ad amico di nessuno » ( 30 ), e gli avvenimenti successivi si sarebbero incaricati di dimostrare la verità di considerazione) in rapporto al non splendido isolamento italiano.
Nell'intento di accentuare quanto più possibile la presenza 1 navale in Levante, il comandante in capo della « squadra permanente », vice ammiraglio De Viry, distribul le crociere e le stazioni tra le navi, che furono disperse in una serie di missioni tra le isole dell'Egeo e le coste dell'Asia Minore. I compiti affidati ai comandanti delle unità erano essenzialmente due: realizzare, mostrando la bandiera, una cauta presenza dell'Italia, soprattutto nelle località in cui esistevano colonie nazionali, e raccogliere informazioni di ogni genere, d'indole politica, economica e militare: compiti che furono, nella generalità dei casi, assai scrupolosamente ed intelligentemente eseguiti dagli ufficiali in comando (31).
Durante la medesima estate del 1876, poi, una molto più interessante missione fu svolta da unità della marina militare lungo le coste dell'Adriatico meridionale e dello Jonio, nell' ambito dell'area strategica gravitante sul canale d'Otranto, zona che, già naturalmente importante, diventava di giorno in giorno di crescente attualità strategica, a mano a mano che si delineava il pericolo di un ulteriore rafforzamento austriaco sulla sponda adriatica orientale. Considerando infatti secondo un'ottica mediterranea i problemi marittimi del paese, la « bocca dell'Adriatico » veniva a costituire uno dei più importanti avamposti « contro gli insulti di qualunque Potenza mediterranea o che nel Mediterraneo abbia un punto d'appoggio» (32): ed il problema
(30} CATALUCCIO: La politica estera di Visconti Venosta, Firenze, 1940, pag. 77; SILVA, Il Medite"aneo, ecc., cit., pag. 317.
(31) Tipico, oltre che interessante esempio delle relazioni compilate {>uò considerarsi il « Rapporto sull'isola di Creta », in data 24 agosto 1876, del Trucco, comandante dell'avviso Messaggero (A.C.RM., busta 190).
(32) VECCHJ: strategia navale d' Italia, in «Nuova XXXI (1876), aprile, pagg. 801-820.
centrale, per l'Italia, contro una minaccia proveniente da Levante, consisteva appunto nell'essere in grado di impedire a un nemico di risalire l'Adriatico. « Allora » scriveva nella primavera del 1876 il Vecchj «conviene sbarrargliene l'entrata, attelandosi a battaglia nel Canale d'Otranto, là dov ' è più stretto il passo, dove scorgonsi dal mare egualmente le scoscese montagne di Valona in Albania, e le armoniose linee di Capo Santa Maria ·» ( 3 3 ).
Tutto ciò presupponeva l'istituzione di un grande arsenale militare marittimo a Taranto e la creazione di un'efficiente piazza navale a Brindisi: e il discorso andava integrato con la considerazione che, esaminando il problema dal punto di vista opposto, cioè dall'ipotesi di un conflitto con una potenza adriatica, il controllo del canale avrebbe significato in partenza l'imbottigliamento nel mare interno delle forze navali avversarie e la riduzione della frontiera di guerra marittima , per l'Italia, a meno di un terzo.
Tali riflessi apparivano di estremo interesse negli ambienti della marina e, sia pure con un minor grado di sensibilizzazione, in quelli militari in genere. La soluzione del problema della boe· ca dell'Adriatico portava direttamente a prendere in considerazione il controllo dello stipite orientale della porta marittima, da consegtiirsi mediante l'occupazione di determinati punti costieri e insulari. Ed è interessante notare che, un anno prima che si discutesse a livello diplomatico di un'eventuale azione italiana in Albania, sia stata eseguita l'accennata missione militare marittima mista (marina-esercito) sul litorale epirota e albanese, in relazione alla scelta dei punti più convenienti per operare uno sbarco ed effettuare un'occupazione, nonché sulle linee generali dell'operazione da eseguirsi.
Il delicato incarico venne affidato al capitano di vascello Vittorio Arrninjon, del quale si è già fatto il nome quale comandante della Magenta e al maggiore Osio dello Stato maggiore.
L'Arminjon aveva assunto il 20 luglio 1876 il comando della seconda divisione della squadra permanente, imbarcandosi sulla
nave ammiraglia Castelfidardo ed avendo in sottordine le altre due corazzate Conte Verde ed Ancona. Preso a bordo il magg. Osio, egli visitò con la Castelfidardo, durante i mesi di agosto e settembre, l'isola di Corfù e i porti di Prevesa e di Durazzo, eseguendo un'accurata r icognizione di tutto quel tratto della costa adriatica orientale che interessava la zona nevralgica del canale d'Otranto ( 34 ). La relazione comune che fu redatta dai due ufficiali, dopo alcune considerazioni generali sulla ricerca dei punti più idonei a permettere la penetrazione verso l'interno, trattava diversi aspetti del problema in esame (35):
«
« Della scelta del punto di sbarco.
« In paesi come l'Albania e l'Epiro, dove le linee di co« municazione sono determinate in modo assoluto dal terreno
« stesso e dove sono affatto impossibili le comunicazioni late-
« rali, la scelta del punto di sbarco vuole essere basata anzitutto « sull'obbiettivo che si vuole raggiungere.
« Dal rapido esame che precede, è facile vedere che uno « sbarco su quelle coste non potrebbe tendere che ad uno dei
« tre seguenti punti di arrivo: Scutari, l'altipiano di Ochrida, «]annina. La posizione di Scutari, che dà accesso alle valli della « Movacca e del Drino, sarebbe la base necessaria di operazione
« per un corpo di truppe che volesse operare verso il Mon« tenegro e la Bosnia, o verso l'altipiano di Cossovo al cuore « della Turchia europea. I punti di sbarco per questo corpo sa« rebbero Antivari o Durazzo. Dall'altipiano di Ochrida pas« sava la via Egnazia dei Romani; e passano tuttora le più di-
(34) Cfr. GIORGERINl e NANI: Le navi di litzea italiane (1861-1961), a cura dell'Ufficio Storico della marina militare, 1962, pag. 62. Più particolarmente risulta che a Corfù la Castelfidardo fece scalo una prima volta il 29 agosto , insieme all'altra unità italiana Garigliano, e una seconda volta, sempre insieme al Garigliano, il 5 settembre {A.M.E.R., Grecia, Serie politica, 1° settembre 1876; A.U.S.M., busta 109, fase. 3).
(35) Il testo completo del rapporto è reperibile in A.M.E.R., Eredità Crispi: «Relazione presentata dal Capitano di Vascello comm. Arminjon e dal Maggiore di Stato Maggiore cav. Osio sulla ricognizione operata sulle coste d'Albania - Brindisi, 8 settembre 1876 ».
« rette comunicazioni tra la costa dell'Adriatico e la Macedo« nia. Durazzo ed Avlona (Valona) sarebbero dunque i . punti di « partenza di chi volesse operare in Macedonia e verso il golfo «di Salonicco. L'altipiano di Jannina è il punto dominante del« l'Epiro da dove partono le diverse strade della Tessaglia, del« l'Albania e dell'Epiro; è la chiave di tutte queste provincie; « e chi volesse rendersene padrone o mantenervisi per lo meno «qualche tempo, dovrebbe immediatamente occupare Jannina.
« Le vie più brevi pe.r giungervi partono da Avlona, Butrinto, « Gomenizza, Parga e Prevesa.
« Vi è un sentiero che lungo la costa mette in comunica« zione i diversi punti di sbarco; ma esso non è praticabile che « in estate, e si svolge attraverso montagne di difficile accesso, « oppure lungo i terreni paludosi e malsani che si stendono alle «foci dei fiumi. Ad ogni modo un'operazione qualsiasi, lungo
« la costa, non corrisponderebbe certo a nessun concetto mili-
« tare e sarebbe assolutamente da evitarsi.
« In ultimo e qualunque fosse il concetto di una spedizione
« in queste provincie, giova ricordare le seguenti parole del
« Beaujour nel suo bellissimo lavoro Voyage militaire dans l'Em:..
« pire Othoman: " .. .les troupes auraient de la peine à marcher
« qu'elles · trouveraient des obstacles à chaque pas, dans les
« montagnes des défilés étroits, dans les vallées des terrains inon-
« dés, partout des chemins très mauvais, pratiqués dans des
« gorges ou élévés sur des chaussées. Elles ne pourraient pas
« meme se procurer des vivres ... ". Né mancherebbero le posi-
« zioni difficili a conquistarsi: nella valle della Vojussa "au
« fond de chaque coude il y a des positions très fortes, qu'on
« ne pourrait emporter si elles étaient défendues ". Ma forse
«una spedizione sulle coste d'Albania e d'Epiro potrebbe essere
« ispirata da ben altro intento.
<< Le tracce che ancora rimangono lungo quelle coste del-
« l'antica. dominazione vençta; le stesse tradizioni che noi ab-
« biamo ereditato da quella grande ed avveduta repubblica; il
« bisogno che si farà ogni giorno più urgente per l'Italia di es-
« sere padrona dell'Adriatico> potrebbero forse suggerire di li-
« mitare le operazioni in Albarua od in Epiro alla presa di pos-
<< sesso di qualche punto importante del littorale. Senza dubbio, « sarebbe questo il miglior risultato che potrebbe ricavare l'Ita.
« lia da spedizioni siffatte; e lo si otterrebbe evitando tutte le
« gravi difficoltà di operazioni militari nell'interno, e tutte le
«altre più gravi che verrebbero dopo, qualora l'Italia si deci·
« desse a stendere il suo dominio su popolazioni ancora mezzo
« barbare, e così diverse dalla nostra razza, per religione, per
« tradizioni, su paesi dove tutto sarebbe a fare e che rappre·
« senterebbero certo per anni ed anni e forse per sempre un
« onere inutile nel bilancio dello Stato.
« Le posizioni che corrisponderebbero meglio alle esigenze
« della politica italiana ed a quelle della nostra futura gran·
« dezza militare e commerciale sono Prevesa, Avlona, Durazzo
« e Corfù.
« Corfù è senza dubbio la chiave dell'Adriatico e, come la «definiva H Beaujour, "l'anneau qui unit la Grèce à l'Italie ".
« Poche ore di distanza la separano dalle coste dell'Albania e
« d'Epiro; ed essa ci sarebbe assolutamente necessaria come si-
« curo rifugio per la nostra flotta, come grande scalo, come «centro a cui dovrebbero far capo i nostri possedimenti nel·
« l'Adriatico. I suoi 72.000 abitanti sono un misto di Italiani e
<<di Greci: ma il fondo vero della popolazione è prettamente
« italiano; la repubblica veneta vi è ancora ricordata con vivis-
« simo affetto; e qualora l'Italia sapesse dare al commercio del-
« l'isola uno sviluppo corrispondente alla sua posizione nel-
« Adriatico, non ha dubbio che esso riuscirebbe facilmente ed in
« breve tempo a stabilirsi solidamente. S'aggiunga a ciò che
« il governo greco non vi è troppo gradito; cospirano a suo
«danno, più che la sua stessa inettitudine, le memorie antiche
« di Venezia e le recenti della ricchezza e potenza inglese... Al
« 1864 l'isola fu dichiarata neutra, ed il governo greco ha di-
« ritto di tenere nella cittadella non più di sette cannoni, non
«più, cioè, di quanto occorre per rendere i saluti alle navi da
« guerra. Gl'Inglesi hanno distrutto, prima di partire, le belle
« fortificazioni che avevano eretto sull'isola di Vido, dirimpetto
« alla città di Corfù; i Greci non vi hanno che una guarnigione
« di 300 uomini circa, tra fanteria, artiglieria, e gendarmi; e la
« buona riuscita di attacco sostenuto da navi corazzate, sarebbe
« non solo sicura, ma facile.
<< Rimane la quistione politica, le cui difficoltà, non giova
« dissimularlo, assumerebbero certo un carattere assai grave e
« delicato, stanti le inevitabili gelosie dell'Austria e dell'Inghil-
« terra ed i diritti riservatisi da quest'ultima; difficoltà alla cui
« soluzione potrebbero tuttavia concorrere, con l'aiuto efficace,
« i grandi avvenimenti che si stanno maturando in Oriente.
« Punti di partenza dall'Italia. Forza e composizione del « corpo di spedizione.
« Il porto che dalla sua stessa posizione sarebbe indicato
« come punto di partenza della spedizione è senza dubbio Brin« clisi; ma, sia per affrettare il concentramento ferroviario delle
« truppe, :;ia per facilitare le operazioni d'imbarco , sia infine
« per rendere possibile il segreto, sarà forse conveniente stabi-
« lire parecchi punti di partenza, scegliendoli negli arsenali e
<< nei principali porti del commercio, sia nell'Adriatico che nel
<< Tirreno, e combinare le cose in modo che le diverse navi di
<< trasporto e la flotta di battaglia potessero trovarsi a giorno e
« ora stabilita in un dato punto di convegno.
« In tal caso, determinata la forza che deve prendere im-
<< barco in ciascun posto , sarebbe certamente ottima misura far-
« vi affluire per tempo il necessario materiale, stabilendosi al-
« l'occorrenza speciali depositi i quali funzionerebbero poi da
« Distretti principali di mobilitazione.
« La natura del terreno che rende difficile qualunque movi-
« mento ed impossibile un grande spiegamento di forze; la man-
« canza di comunicazioni laterali; la povertà dei luoghi , consi-
« glierebbero di mantenere la forza del corpo di spedizione nel
« minor limite consentito dallo scopo che si vuoi raggiungere.
« La mancanza di vie carreggiabili esigerebbe che l'artiglie-
« ria, destinata a seguire le operazioni nell'interno, fosse tutta
«organizzata a batterie di montagna; sarebbero poi necessarie
« altre batterie di maggior calibro per armarne qualche posizio-
« ne in riva al mare a difesa del punto di sbarco, o quelle altre,
« nell'interno, che si giudicassero utili ad occuparsi.
« Dovrebbero essere organizzate speciali compagnie di zap« patori per la costruzione delle strade. Queste compagnie do« vrebbero agire alle spalle delle truppe che avrebbero per man« dato di migliorare e mantenere le vie di comunicazione tra il « mare e l'interno
« I trasporti non potrebbero farsi che a dorso di mulo; e « bisognerebbe pensare in tempo ad organizzare speciali colonne
« di treno per tutti i servizi , compresi quelli delle ambulanze, a « provvedere il numero necessario di ed a stabilire «un conveniente modello di basto.
« In alcuni punti della costa, riuscirà forse difficile procu« rarsi acqua sufficiente; e sarebbe quindi necessario dotare il «corpo di spedizione di condensatori per la produzione dell'ac« qua distillata.
« Naviglio di trasporto. Flotta di battaglia
« Dallo Studio per trasporti di truppe per via di mare pub-
« blicato dal Ministero della Marina nell'agosto 1875 si può ri-
« levare che la nostra Marina mercantile offre mezzi acconci per
« il trasporto di un corpo di spedizione.
« Giova poi ricordare che le nostre truppe, una volta sbar-
« cate , non potrebbero fare che ben scarso assegnamento sui
« prodotti dei luochi, e che sarebbero quindi necessari conti-
« nui invii dall'Italia di bestie da soma e da macello, di viveri,
« di munizioni, di effetti d'arredamento e d'equipaggiamento; la
« condotta stessa delle operazioni richiederebbe un continuo
« scambio di comunicazioni col Governo e probabilmente an-
« che rinforzi di uomini , e converrebbe quindi noleggiare per
« tempo alcuni bastimenti incaricati esclusivamente sia del ser-
« vizio postale della spedizione, sia di tutti quegli altri servizi
« che potrebbero difficilmente richiedersi alla nostra Marina da
<< guerra, già quasi insufficiente per numero di navi alla sua
« speciale missione militare.
« In ultimo sarebbe assolutamente necessario procurarsi
«una flottiglia di cannoniere corazzate o piccole popowske (36)
(36) Queste « popowske » erano delle piccole batterie galleggianti circolari, del d iametro di 30-37 metri, così chiamate dal nome dell'inge-
« aventi da due a tre metti di immersione capaci di operare
« efficacemente su Prevesa ed in generale sui punti del litto-
·« rale ...
«Dalle pagine che precedono risulta ad evidenza che la
« prima condizione su cui vuoi essere basato l'intero concetto di
<< siffatta operazione è quello dell'assoluta padronanza del mare:
«ora, per quanto calcolo si abbia ragione di fare sul valore della
« nostra Marina, non si può certo sperare ch'essa possa, senza
« alcuna alleata, far fronte da sola a due potenze marittime, una
« delle quali di prim'ordine, collegate contro di lei. S'aggiunga
«che nessuno dei porti d'Albania e d ' Epiro presenterebbe un
« sicuro ricovero alle nostre corazzate, in quanto che sarebbe im-
« possibile stabilire in quei posti, difese atte a tener lontano il
« nemico. Le navi costrette a rimanere unite per presentare un
« corpo sufficiente di difesa, non potrebbero prestare al corpo
«di spedizione quell'operosa assistenza che gli sarebbe tanto
« necessaria; e per ultimo le sorti stesse della spedizione, prin-
« cipalmente basata sulle sue comunicazioni con l ' Italia, potreb-
« bero dipendere, pgni giorno, dalle sorti di un combattimento
« per mare. S'aggiunga inoltre la breve distanza che separa Pola
« da Venezia, e si vedrà che sulla stessa costa italiana, la nostra
«squadra non potrebbe trovare alcun punto di appoggio, né una
« buona base di operazione. Occorrerebbe quindi assolutamente
<< rendere Brindisi capace di ricoverare la nostra flotta e quella
« dei nostri possibili alleati; ed a tale scopo: sbarrare la bocca
« della gran rada tra le isole Petagne e la partenza, lasciando
« un'apertura non maggiore di 150 metri; scavare il fondo del
« porto interno e della piccola rada fino ad avere una profon-
« dità d'acqua di 10 metri; collocare all'entrata due torri coraz-
« zate armate di grossi cannoni ed acconcie batterie di siluri
« semoventi; mantenere nel posto una stazione di lancia-siluri
gnere russo Popov che ne sarebbe stato l'inventore. Tali batterie erano corazzate ed erano adibite alla difesa costiera nonché usate per opera· zioni sotto costa: cfr. « Joumal of the R. United Service Insùtution >t, vol. XX, n. LXXXV; «Rivista marittima», IX (1876 ), aprile, pagg. 125133, luglio, pagg. 110-127, novembre, pag. 265.
« e di torpedini; accumularvi approvvigionamenti di carbone;
« stabilire a sufficiente distanza dal mare magazzeni per la flotta
« e per l ' esercito. Questi lavori potrebbero essere compiuti in « tempo sufficientemente breve. Siccome poi, anche dopo ciò, « il porto di Brindisi non sarebbe completamente al sicuro dai
« pericoli di un cannoneggiamento a distanza per parte dei le« gni corazzati , sarebbe indispensabile iniziare contemporanea« mente anche i lavori del porto di Taranto, stabilendovi un pie« colo arsenale di riparazione, aprendo la comunicazione col « mare interno e difendendo il passo con batterie di lancia-si« luri. Tanto Brindisi quanto Taranto dovrebbero poi esser pro-
« tette dal la to di terra ». ·
Il punto più importante del documento era indubbiamente quello riguardante la necessità « che si farà ogni giorno più urgente per l'Italia di esser padrona dell'Adriatico»: necessità che gli estensori del rapporto intendevano interpretare in chiave di controllo marittimo dell'imboccatura meridionale di quel mare , escludendo l'opportunità di un ' avventura nell'interno dei Balcani. Detto scopo poteva essere conseguito assicurandosi il possesso di alcuni punti strategicamente importanti del litorale orientale : Prevesa, Valona , Durazzo e C-orfù. Il programma massimo indicava tutti questi obbiettivi , ma tra le righe si faceva comprendere che per il programma minimo sarebbe stata sufficiente Corfù. Le difficoltà politiche che potevano provenire da Vienna e da Londra erano segnalate, ma probabilmente sottovalutate: eppure, negli ambienti della flotta avrebbe dovuto essere ben nota la regola costante di condotta dell'Ammiragliato britannico, di non permettere mai che il controllo delle due coste di uno- stesso importante passaggio marittimo fosse assunto da una stessa potenza.
In ogni modo, il disegno del nuovo sistema di basi che doveva costituire il baluardo della frontiera navale italiana alla bocca dell'Adriatico appariva interessante ed efficiente, anche se troppo ampio. Da Durazzo a Prevesa la costa albanese-epirota sarebbe stata praticamente controllata dalla marina italiana, che avrebbe trovato in Valona l'altro cardine della porta adriatica e in Corfù la grande base navale da integrare a Taranto. In tal
modo non solo il canale d'Otranto sarebbe caduto in pieno nelle zone di influenza delle piazze navali di Valona e di Brindisi, ma tutti gli accessi allo stretto sarebbero stati battuti agevolmente dal raggio d'azione immediato di Durazzo, di Prevesa, di Taranto e di Corfù. Infine, la posizione italiana nello Jonio, integrandosi all'arco Siracusa-Taranto, avrebbe dato luogo ad un nuovo equilibrio navale nel Mediterraneo centrale, decisamente più favorevole per la marina italiana, militare e mercantile.
Meno interessanti risultano i cenni tattici, da cui però risulta come ci si rendesse conto che l'azione aveva bisogno di un'accurata preparazione, anche per la sistemazione delle basi per la flotta da battaglia, la quale in caso di intervento austriaco si sarebbe trovata priva di adeguati punti d'appoggio nel territorio nazionale. Minimo era invece l'accenno ai problemi ed agli insuperabili ostacoli che potevano sorgere da un non improbabile intervento britannico, a meno che uno dei presupposti dell'impresa non fosse - ma non era detto - il consenso di Londra: tanto più che proprio in quei giorni, il console italiano di Corfù segnalava al ministero degli esteri di Roma che circolavano nelle isole voci tendenziose circa le intenzioni del governo Depretis ( .3 7 ).
(37 ) V. rapporto del console italiano nelle isole Ionie al ministro degli esteri, in data 13 giugno 1876 (A.M.E.R , Grecia, Serie politica, n. 88): «Si fa qui un grande discorso della concenm.zione fra Brindisi e Bari di grosso nerbo di truppe italiane, che si fanno ascendere a 30.000 soldati: è piaciuto ad alcuno susurrare che queste truppe potessero essere colà accantonate onde trovarsi pronte, al orimo cenno, per invadere la Grecia e le isole Jonie per conto dell'Inghilterra, che si preconizza qui, senza più, amica ed alleata dell'Italia, e quest'ultima ligia all'intutto della politica antirussa. Si aggiunge che questa occupazione militare della Grecia fatta dagli Italiani per conto dell'Inghilterra, è assai vicina esecuzione e si deplora che gli Italiani dovessero rivolgere le loro armi contro la Grecia cui ci legano tanti interessi e tanta simpatia ed in favore dei Turchi. Queste voci hanno una vera consistenza e non saprei più cosa dire o fare per smentirle: qui sono avidamente letti i giornali Italiani, non sarebbe egli forse utile di inserire in uno dei nostri più accreditati periodici, qualche articolo che smentisca la voce della concentrazione delle truppe Italiane nel littorale Adriatico? Lascio questa idea alla prudente appreziazione dell'E. V .... ».
Sembra comunque che l'idea fondamentale del discorso geo-militare impostato dall' Arminjon e dall'Osio - sebbene teoricamente valida e come tale destinata ad essere più volte ripresa in seguito - al momento in cui veniva formulata presentasse un interesse secondario per la politica estera italiana. Come per il passato, nonostante le chiare prese di posizione di Vienna, ci si ostinava a continuare a sperare in una annessione pacifica di terre irredente. All'inizio dell'autunno, una ripresa delle agitazioni irredentistiche diede luogo ad una violenta polemica giornalistica. Da parte governativa si tentò invano di attenuarla ( 38 ), ché anzi, con l'intervento dello stesso Garibaldi, essa era destinata ad inasprirsi ulteriormente (39). Queste circostanze, e qualche apertura tentata dal governo italiano verso altre potenze europee per affermare che qualsiasi annessione territoriale dell'Austria-Ungheria avrebbe modificato l'equilibrio, offrirono l'occasione al conte Andrassy di ribadire duramente il proprio atteggiamento durante un colloquio avuto con l'ambasciatore italiano Di Robilant il 16 ottobre 1876 ( 40).
( 38 ) n ID10.1Stro dell ' interno Nicotera inviò ai prefetti dell'Italia centro-settentrionale la seguente circolare, datata 15 ottobre 1876: «Alcuni giornali Italiani ed altri Austro-Ungarici hanno sollevato la questione del Trentino, attribuendo al Governo del Re intendimenti che non ha ed incoraggiandolo ad atti che non sono nelle sue intenzioni. Mentre il paese s ta traendo i maggiori possib ili benefici dallo stato pacifico in cui si trova ed attende più che ad altro a migl iorare il suo interno ordinamento, è bene che non sia distratto da alcuna politica preoccupazione. Prego quindi la S. V. di sorvegliare attentamente la pubblica stampa di codesta provincia e di usare all'uopo della sua autorevole influenza, perché non si diffondano voci erronee in cosi grave e delicato argomento, riferendomi con premura su quanto sia meritevole di attenzione» (copia in A .M.E.R., Austria-Ungheria , Se rie politica 1867-1888, n. 5564).
(39 ) SANDONÀ, op cit. , vol. I, pagg. 130-140.
( 40) Il testo integrale del colloquio è reperibile in A.M.E.R., Archivi di Gabinetto, « Serie completa dei documenti confidenziali relativi alla questione dì Bosnia ed Erzegovina (17 ottobre 1876-27 ottobre 1878) >>, serie politica, n. 550; per la versione austriaca del medesimo colloquio, che sostanzialmente concorda con la relazione del Di Robilant, si veda il telegramma cifrato e segreto n. 52 di Andrassy a Gravenegg, incaricato d'affari austro-ungarico a Roma, in data 17 ottobre 1876, riportato dal
In questa fase appariva dunque chiaro che la tensione italoaustriaca era motivata sia dalla campagna irredentistica di taluni organi di stampa della penisola, sia dalla nostra pretesa di compensi per la politica balcanica di Vienna. Forse, un diplomatico più duttile o più informato del Robilant avrebbe potuto tentare di approfondire maggiormente l ' accenno sfuggito al ministro degli esteri austro-ungarico circa un consentimento, o addirittura un « appoggio» . ad eventuali compensi che ritalia avrebbe potuto trovare in Oriente o a Tunisi: in particolare, sarebbe stato interessante conoscere se per <<Oriente » si poteva intendere anche l'Albania o Corfù, o punti sulla costa orientale adriatica tra Durazzo e Patrasso. D'altra parte, almeno in quel momento, qualcosa di vero doveva pur esserci nel possibilismo di Andrassy, a patto che non si parlasse di Trento e Trieste, se tre giorni dopo, il 19 ottobre, il ministro ripeteva un'altra volta all'ambasciatore che l'Austria « non sarebbe stata contraria a secondare i desideri italiani >>, se l'Italia avesse cer-
SANDONÀ, op . çit ., pagg. 141-142. n ministro degl i e steri austriaco fu estremamente categorico : «Di Trieste, dissemi , facciamone astrazione. .. ogni discussione al riguardo sarebbe superflua. In quanto al Trentino.. . noi siamo animati dal più vivo desiderio di mantenere ottimi rapporti con voi, ma precisamente per ciò sono costretto a dichiarare che ove, per una ragione qualunque , venisse a verificarsi il caso, che spero non succederà, perché faremo quanto dipenderà da noi per evitarlo, avessimo ad acquistare qualche territorio nuovo , non perciò ci ra sseg neremo a cedervi una parcella qualunque del territorio situato al di q ua della comune frontiera stabilita dal Trattato con Voi stipulato. Neppure un villaggio cederemmo, ed ove ci vedessimo minacciati di un 'aggressione non l'aspetteremmo ». Il Di Robilant cosl continuava: « Dissigli essere autorizzatO a lealmente dichiarargli: che essendo venuto a nostra conoscenza che a Reichstadt si era convenuto eventualmente di un ingrandimento dell' Austria mediante annessione della Bosnia , avevamo informato alcuni governi amici, che noi considereremmo quell'eventualità, ove venisse a verifiçarsi, siccome contraria ai nostri interessi: poiché verrebbesi in tal maniera ad aumentarsi ancora con nostro danno la già esistente preponderanza dell'Austria nell'Adriatico. TI Conte Andrassy oppugnò questo punto di vista, dicendo di non potere capire come un aumento di territorio dietro la costa che l ' Austria-Ungheria già possiede , possa aumentare la potenza marittima. A questo ragionamento io g li contrapposi l'opinione
cato un compenso « a Tunisi o altrove » ( 41 ). Da questo, però, ad affermare che nel 1876 l'impero austro-ungarico sarebbe stato disposto a concederci, a titolo di indennizzo per la propria probabile avanzata in Bosnia ed Erzegovina, un rafforzamento nell'Adriatico meridionale, ci corre molto.
sempre manifestata dal partito militare qui, essere necessario pel sicuro e proficuo possesso della Dalmazia che le terre a cui essa s'appoggia facciano parte della Monarchia. Questa considerazione è stata tante volte ripetuta nei p!ù competenti circoli militari che in verità il Conte non trovò a proposito di confutarla intieramente e si limitò a dirmi: che sino a quando la Bosnia e l'Erzegovina resterebbero terre Turche, l ' Austria non avrebbe alcun bisogno di annettersele, ma che il giorno in cui dovrebbero costituire da per sé uno stato autonomo o far parte di uno stato slavo, n comincerebbe il pericolo per la Dalmazia, e l'Austria non potrebbe fare a meno di garantirsene assicurandosene il possesso». A chiusura del suo lungo rapporto, l'ambasciatore italiano concludeva: (t Primo - Non v' ba dubbio per me, che ogni qualsiasi ulteriore discussione, anche soltanto teorica, intorno al nostro diritto di ottenere, in compenso di un ingrandimento dell'Austria in Oriente, una porzione di territorio Austriaco ove si parla la nostra lingua, condurrebbe senz'altro ad una quasi immediata rottura delle relazioni. Il Conte Andrassy mi accennò di nuovo che ove credessimo ci fosse necessario un compenso, lo potremmo trovare in Oriente, a Tunisi per od altrove: e su questo terreno l'Austria non sarebbe aliena dall'appoggiare le nostre pretese. Secondo - Che ove noi intendessimo di fronte ad una qualche eventualità, da soli o con l'appoggio di altre Potenze, lasciare il campo della discussione teorica , per passare su quello della rivendicazione effettiva, permettendo la formazione di bande di volontari allo scopo di invadere territori Austriaci, od affermando in altro modo le nostre pretese, ciò sarebbe senz'altro considerato come un casus belli, «et du moment où l'Italie montrerait d'erre décidée à aJtérer à son profit la frontière actuelle avec l'Autriche, nous nous mettrions en mesure de la modifier au nOtre •: queste sono le sue testuali parole. In sostanza il Conte Andrassy ci ha posto il dilemma: o coll'Austria o contro l'Austria. Se coll'Austria, rinuncia esplicita a qualsiasi zspirazione ad annettersi nuovi territori abitati da Italiani, ed in tal caso continuazione dei vantaggi che nelle questioni generali ed in particolare in quelle che hanno tratto agl'interessi del cattolicismo, può assicurare l'alleanza sincera e leale dell'Austria. Se contro, l'appoggio dell'Austria ai partiti a noi avversi e la guerra anche, al primo momento che essa lo ravviserà opportuno per lei ».
E' certo tuttavia che il tempo non lavorava per Roma e che, se si fosse voluta tentare una politica più disinvolta, si sarebbe dovuto esser pronti ad avanzare le eventuali richieste di compensi alternativi tempestivamente, in una situazione internazionale ancora fluida. La stessa « russofilia » della Corte italiana, che nell'autunno del 1876 aveva preoccupato lord Salisbury ( 42), non avrebbe costituito un problema per Vienna, dal momento in cui le fosse stato possibile raggiungere un'intesa con Pietroburgo.
Questo momento venne nei primi mesi del 1877. La convenzione militare del 15 gennaio (trattato di Budapest), integrata con l'accordo politico del 18 marzo successivo, sanzionava una nuova intesa austro-russa per l'estensione delle rispettive zone di influenza nel Balcani ( 43 ). A questo punto, la carta italiana perdeva quasi ogni valore nel gioco di Vienna, e la grande debolezza militare dell'Italia ( 44 ), priva inoltre di sostegni nel campo internazionale, propiziava una nuova e più ferma chiusura austriaca circa eventuali ambizioni di Roma nel settore adriatico. Dopo il « no » decisissimo su Trento e Trieste, stava per venire il veto sulPAlbania. Dato che non era un mistero la valutazione data da taluni ambienti militari italiani sulla utilità strategico-navale del controllo del canale d'Otranto, e sebbene una simile aspirazione non fosse ancora stata fatta propria dai responsabili della politica estera italiana, ci si rendeva conto a Vienna di quello che avrebbe comportato, in termini dì potere marittimo, quella prospettiva: la consegna delle chiavi dell'Adriatico nelle mani della marina italiana. Ciò non poteva essere permesso e ad ogni buon conto si pensò di metterlo in chiaro alla prima occasione. ·
L'ostilità e la diffidenza che il governo di Roma si era meritato, agli occhi degli austriaci, per la pretesa dei compensi e
(42) SALVATORELLI, op. cit., pag. 36-37.
(43) LANGER, op.cit., vol. I, pagg. 183-185.
( 44) Anche nel discorso della Corona del 20 novembre 187 6 fu fatto esplicito cenno dell'urgente necessità di potenziare le forze armate di terra e di mare {A.P.C., Legislatura XIII, Discussioni, vol. I, pagg. 6-7).
la lunga diatriba irredentistica, ebbero modo di manifestarsi quando il ministro degli esteri Melegari, tramite l'ambasciatore Di Robilant, fece proporre a Vienna, il 20 giugno 1877, « un'azione comune» per salvare il popolo montenegrino dall'invasione turca. Subito si pensò nella capitale danubiana che la proposta nascondesse un'intenzione italiana di ingerirsi nelle questioni balcaniche e di porre a nord dell'Albania un punto d'arresto all'avanzata dell'impero sulla costa adriatica. Le reazioni furono del tutto negative: Andrassy rivendicò al suo paese « il diritto di intervenire al momento che avrebbe ritenuto opportuno» ( 45), mentre pubbliche dichiarazioni al parlamento e palesi preparativi militari diretti, a titolo precauzionale, contro le nostre frontiere, gettavano nella preoccupazione i responsabili della politica estera della penisola, che si affrettarono a ncercare i buoni uffici di Londra e di Berlino ( 46 ).
(45) SANDONÀ, op. cit., vol. l, pagg. 167-168.
(46) Cfr. lettera del Melegari all'ambasciatore a Berlino, De Launay, in data 30 giugno 1877: Dalle recenti dichiarazioni fatte alle Camere di Vienna e di Pest, non meno che dalle informaziòni che ci pervengono da varie parti ci pare di poterei formare un concetto abbastanza esatto della posizione che quel Governo ha preso rispetto alle cose d'Oriente. Avendo avuto occasione di far conoscere questo nostro concetto al R. Ambasciatore a Londra, stimo opportuno ripetere a V. E. le istruzioni date a Londra. Lei non mancherà di esprimere in confidenziali colloqui l ' opinione che il Governo Italiano si è fatta della politica del Gabinetto di Vienna nella questione Orientale. Così non le mancherà il mezzo di far sentire che noi non abbiamo mai cercato di creare delle difficoltà alla politica del Conte Andrassy... Noi però non possiamo nascondere le apprensioni che ci ispira una politica di cui non si riesce a determinare chiaramente il programma e che può introdurre dei radicali mutamenti verso l'Italia. Non è infatti da supporsi che il Gabinetto di Vienna abbia rinunciato all'occupazione di territori turchi ... Se il Gabinetto di Vienna ... sorte dall'inazione noi sappiamo che tale sarebbe m lui la convinzione di nuocere ai nostri interessi da fargli prendere, simultaneamente all'ingresso delle sue milizie in Turchia, dei provvedimenti di precauzione anche verso l'Italia L'influenza del Gabinetto di Berlino potrebbe spendersi utilmente a sventare dei pericoli... che noi non provocheremo e che facciamo ogni sforzo per allontanare» (A.M.E.R., Germania III, Posiz. Arch. 1156).
Intanto, però, una nuova polemica giornalistica era divampata sulla stampa dei due paesi, offrendo nuova esca agli austriaci per accusare gli italiani di mirare all'Albania. Il 21 luglio, in un incontro con l'ambasciatore di Vienna, barone Haymerle, il Melegari si affannava a smentire le voci relative alle aspirazioni italiane e offriva così il destro al rappresentante austriaco di dichiarare categoricamente quale fosse il pensiero del suo governo al riguardo (47). Al chiaro veto posto dal suo interlocutore, il Melegari rispondeva negando di avere riserve mentali e çercando all'estero autorevoli avalli alla sua buona fede: e per il momento l'incidente fu chiuso. La questione doveva ormai ritenersi definita, nel senso che l'Italia, vi avesse pensato o no, non avrebbe occupato l'Albania ( 48): questo, per Vienna, era un punto fermo. Il compenso albanese all'Italia era quindi già diventato un miraggio prima ancora che se ne parlasse nei colloqui londinesi dell'ambasciatore Menabrea con Disraeli e durante il viaggio del Crispi a Berlino nell'ottobre successivo ( 49). L'offerta all'Italia di occupare quella regione - se di offerta si può parlare - era
(47) Rapp. di Haymerle al conte Andrassy, in data 21 luglio 1877: ((Tanto meglio, perché noi non potremmo ammettere un cambiamento a nostro danno nell'Adriatico. L'Impero austro-ungarico conta 36 milioni di abitanti e non ha che questo sfogo sul mare, noi non possediamo che la quarta parte delle coste, voi ne tenete la metà; non lasceremo quindi nemmeno sorgere l'idea che l'altra quarta possa passare nelle mani di una potenza che possiede già tutta la riva opposta: sarebbe tanto che strangolare l'Adriatico» (SÀNDONÀ, op. cit., vol. I, pag. 166). La risposta del Melegari era stata: « Benché a me sembri che voi austriaci coi vostri porti siate attualmente più padroni dell'Adriatico di noi, . vi ripeto che non pensiamo ad altro che ai nostri affari interni». ·
( 48) Anzi, ad un certo punto corse la voce che l'avrebbero occupata addirittura gli austriaci. Cfr. quanto scriveva G. Di Bruno, console generale d'Italia a Trieste, al ministero degli esteri in data 2 agosto 1877: « Non devo in questa occasione nascondere a V. E. che v'ha qui chi crede che il Governo Austro-Ungarico pensi" di occupare anche qualche punto dell'Albania. Se questa opinione abbia qualche fondamento io l'ignoro, è però bene che il Governo del Re tenga presente anche la possibilità di un tale avvenimento per quanto possa parere strano » (A.M.E.R., Austria-Ungheria, Serie politica 1877-1878).
( 49) SALVEMINI: La politica estera dell'Italia, ecc. cit., pagg. 36 e 39.
vanificata in partenza dall'opposizione austriaca, che rendeva imprendibile la pelle dell'orso albanese: con tali premesse, infatti, i consigli elargiti sia da Bismarck, sia da lord Beaconsfield, andavano ridimensionati nei limiti di chiacchierate astratte, visto che né Berlino, né Londra erano disposte ad impegnarsi veramente per sostenere a Vienna la rimozione del veto ad un aumento della posizione italiana nell'Adriatico.
Vale la pena di ricordare che il « no » dell'impero sarebbe stato ribadito nuovamente, in termini inequivocabili, nel 1878, quando Andrassy ordinò al barone Haymerle di iniziare con Roma un discorso tendente ad ottenere il consenso italiano, comunque non condizionante, all'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina. Il nostro governo non aveva avuto neppure la possibilità di avanzare pretese sulla costa orientale dell'Adriatico, che queste erano state contestate e respinte prima ancora che venissero ufficialmente formulate: cd è singolare che, una volta scontata l'impossibilità di attuazione, fossero terze potenze, Inghilterra e Germania, ad indicare come sbocco delle richieste italiane l'Adriatico, coprendo in tal modo il rifiuto di sostenere le vere aspirazioni dell'Italia sulle Alpi. D'altra parte, la fragilità interna e la debolezza militare del paese rendevano assurda ogni idea di ricorso alla forza, ché anzi -lo si è visto- era proprio la prospettiva di un confronto sul piano militare ad impaurire i responsabili della politica italiana. La verità era che il paese era isolato, e questo traspariva già da una lettera dello « sciocco Melegari» (50) al De Launay in data 3 agosto 1876, nella quale si cercava di ottenere dalla Germania, visto che essa aveva degli impegni con l'Austria, almeno un benevolo intervento perché la relatività di forze nei riguardi dell'Italia non peggiorasse ancora (51).
(.50) Cosl definito dal Crispi nei noti articoli sulla « Riforma» del 21 e del 31 luglio 1878 (riportati in SANDONÀ, op. cit., vol. I, pagg. 172173 e 205-210; cfr. anche CHIALA, Pagine di storia contemporanea, cit., vol. I, pag. 290, e SALVATORELLl, op. cit., pagg. 35-37).
(51) V. lettera del Melegari al De Launay in data 3 agosto 1877: Si des engagements antérieurs du Cabinet de Be-rlin l'empechaient maintenant de prendre notre parti non pas contre l'Autriche mais pour éviter
Il Congresso di Berlino sarebbe venuto presto a collaudare la validità internazionale della formula « amici di tutti », vale a dire di nessuno. Un paese fragile e debole, esposto con le sue frontiere difficili ad ogni sorta di invasioni per terra e per mare, discorde e in crisi all'interno, disorganizzato militarmente, non poteva sperare di più conducendo una politica di isolamento. I rapporti con la Francia non erano peggiorati, ma neppure sensibilmente migliorati, e da Parigi veniva una controindicazione insuperabile, in termini di forza, alla ricerca di un compenso a Tunisi. Coloro che avrebbero approvato tale compenso, Austria e Germania, non intendevano però certamente impegnarsi a fondo per sostenere la pretesa italiana, ed è evidente che accennavano a Tunisi solo per togliersi dai piedi le incomode richieste di Roma per Trento e Trieste e per prevenire un'ipoteca sull' Albania o su punti strategici nell'Adriatico meridionale. Nominare Cipro, poi 1 come aveva fatto il barone Haymerle in una sua lettera personale e segreta all'Andrassy (52), aveva il sapore di una boutade, tenuto conto degli interessi britannici, di quell'Inghilterra cui si negava da parte italiana l'assenso al progetto di lega mediterranea nei primi mesi del 1878 (53) e che in definitiva non poteva considerare favorevolmente nessuna seria prospettiva di espansione navale dell'Italia. In una congiuntura internazionale caratterizzata per noi dalla perdita della fiducia austriaca - ossia dall'indebolimento di uno dei pilastri della politica estera di quel periodo - non restava che la poli-
que l'équilibre de forces qui est déjà à notre désavantage ne soit encore troublé en faveur de notre voisin, nous devrions quant à nous ne prendre plus conseil que des circonstances... On persiste à croire à Lonàres que l'entrée des Autrichiens en Bosnia et Herzégovina a été concerté dès le début entre les trois empires et qu'elle n'a été retardée que par des raisons secondaires Tout ceci n'est donc pas clair et nous devons nous attacher à le débr ouiller afin de ne pas etre pris à l'improviste au moment où nous serions appelés à prendre notre place autour du tapis vert d'une conférence européenne » (A.M.E.R., Germania III, Posiz. Arch. 1156, Copialettere).
(52) SANDONÀ, op. cit., vol. I, pag. 194.
(53) Cfr. LANGER, op. cit., pag. 221.
tica delle « mani pulite » ossia, come più incisivamente la definl il Salvemini, quella dello « sciacallo debole e sciocco »(54). Ai di un'affermazione imperialistica, anche di minima portata, il risultato era lo stesso.
Il progetto di chiusura marittima dell'imboccatura adriatica, ,di cui allo studio, che si è riportato, dell'Arminjon e dell'Osio, restava pertanto un'aspirazione, irrealizzabile quanto suggestiva, di taluni ambienti militari (55)
(54) In La politica dell'Italia, ecc , cit., pag. 46.
(55) Lo stesso Crispi, parlando a Berlino con il principe di Bismarck nell'ottobre 1877, avrebbe affermato: «Noi non sapremmo che farcene di una provincia turca sull'Adriatico» (SALVEMINI, La politica estera dell'Italia, ecc., cit., pag. 36).
Nel momento in cui nasceva lo Stato unitario italiano, una rivoluzione di portata capitale interveniva a caratterizzarne gli impegni e le responsabilità marittime, in una dimensione nuova che ne condizionava l'avvenire. E questa dimensione era due volte nuova, nei riguardi della tradizione recente del Regno di Sardegna e nei riguardi dei grandi cicli della storia navale.
Lo stato piemontese, pur con la sua efficiente marina militare e mercantile che si muoveva nel solco delle glorie di Genova, non aveva né una politica estera direttamente connessa con i problemi marittimi, né una mentalità portata a comprendere ed a valorizzare l'opera della flotta. Teso verso le ricche pianure della valle del Po, il governo di Torino incontrava, nella sua funzione di stato regionale, limiti naturali ed invalicabili in campo marittimo, e se alcuni provvedimenti dalla realizzazione lenta - come il trasferimento della marina militare da Genova a La Spezia - poterono indicare in alcune sfere governative -e soprattutto nella persona di Cavour - una certa sensibilità per le esigenze della flotta, anche quella sensibilità non ebbe modo di uscire dalla dimensione secondaria che le questioni marittime avevano nell'economia generale della politica torinese.
Ma su tale realtà di fondo, ancora una volta provata dagli episodi della guerra navale del 1859, si era innestata, nella congiuntura storica decisiva per la causa dell'unità italiana, la vicenda garibaldina del 1860. Già la rivoluzione di Firenze aveva portato al di là degli Appennini la piattaforma politica dello stato unitario, aprendo prospettive nuove, forse impreviste; ma con l'Italia a Palermo, tutta la vecchia realtà politica regionale crollava, ' e lo stato piemontese era chiamato ad assumere un ruolo nuovo, che derivava non tanto dalle tradizioni e dalle ere-
dità dei singoli stati precsistenti, quanto soprattutto dal potenziale inedito di una nuova nazione protesa sul mare e al mare indissolubilmente legata da una realtà geografica che nessuno poteva ignorare. Il nuovo stato nazionale, pur con le sue debolezze interne ed esterne, denunciava necessariamente, per il solo fatto di esistere, ambizioni notevoli e non illegittime. Esse erano nelle cose, per cui la nuova entità politica avrebbe avuto comunque una politica navale - forse nemmeno per vocazione o per libera scelta -ogni qualvolta essa fosse stata presente come nazione in un rapporto politico od economico internazionale.
Ma questa politica navale, che fu l'ultimo sogno di Cavour, non ebbe la gran ventura di venir impostata e condotta per un tempo sufficiente dall'uomo che l'aveva intuita e che forse avrebbe potuto inserirla felicemente nel nuovo grande ciclo che la imminente apertura del Canale di Suez prometteva alle talassocrazie mediterranee. Perché nel momento in cui l'Italia diveniva uno Stato unitario, la politica internazionale si muoveva di nuovo intorno ad una tematica mediterranea come intorno ad uno dei suoi principali parametri, e la situazione geografica del grande mare interno chiamava subito a compiti di responsabilità rilevanti la nuova potenza italiana (l).
L'Ammiragliato inglese - e con esso la politica di Londra - se ne era reso ben conto nel momento decisivo della crisi del 1860. E due considerazioni avevano probabilmente inciso sulle scelte britanniche: la prima, che il nuovo regno avrebbe costituito un contrappeso a levante, nei confronti dell'espansionismo francese, capace di contribuire efficacemente allo stabilimento di un equilibrio marittimo mediterraneo inedito e più soddisfacente; la seconda, che la nuova nazione avrebbe avuto bisogno per molto tempo di un appoggio navale inglese, per le sue lunghe coste aperte sul mare, e sarebbe risultata pertanto particolarmente sensibile alla presenza della Mediterranean Fleet nella base di Malta. Forse anche per questo, nel famoso
(l) Cfr. GABRIELE, La Sicilia e il Mediterraneo nel 1860, in « n Vdtro », n. 89, agosto-settembre 1960; ID., Da Marsala allo Stretto, cit., pagg. 187-234.
telegramma di lord Russell all'ambasciatore britannico di Tòrino, Hudson, del 27 ottobre 1860, si affermava che « Il governo di Sua Maestà Britannica è costretto a riconoscere che gli Italiani sono i migliori giudici dei propri interessi », e ci si rallegrava della « .. .lieta prospettiva di un popolo inteso a costruirsi l'edificio delle proprie libertà ed a consolidare la propria indipendenza » (2).
Essa significava, ovviamente, la presenza di un nuovo interlocutore sulle frontiere navali di Parigi, un interlocutore che avrebbe anche potuto diventare un competitore, nella misura in cui fosse stato in grado di sostenere con forza adeguata le proprie ambizioni, fatalmente destinate a rivaleggiare, nel grande bacino interno, con quelle francesi. L'Ammiragliato di White Hall -e con esso il governo di Londra - avrebbe dovuto controllare soltanto una di quelle ambizioni: evitare che l'Italia avesse ad insediarsi anche sulla sponda tunisina del canale di Sicilia, ed ottenere in tal modo un eccessivo, anche se potenziale, peso militare marittimo nell'area nevralgica del Mediterraneo centrale, sui passaggi obbligati della rotta per Suez.
Per le stesse ragioni le prospettive navali che derivavano dall'unificazione italiana non potevano tornare gradite al governo di Parigi. Già la separazione della Sicilia da Napoli, stando a quanto pensava il generale Rouget avrebbe fatto si che « il Mediterraneo, invece di essere un lago francese, come lo vollero Luigi XIV ed i suoi successori, diverrebbe un lago inglese, protetto da Gibilterra, Malta, Corfù, Messina, Augusta, Siracusa, che sono i più belli porti d'Europa. Allora addio all'Algeria, addio ad ogni influenza sull'Egitto, sull'Arcipelago e la Grecia, sui mari di Marmara, Nero, e di Azof, ecc. » (3 ). Dal
(2) AGRATI C., Da Palermo al Volturno, Milano 1937, pag. 533.
(3) Il generale Carlo Filangieri, principe di Satriano, a Francesco II, 1° ottobre 1859, in R. MosCATI, LA fine del Regno di Napoli, Documenti borbonici del 18.59-60, Firenze 196'0, pag. 121. In relazione alle voci che correvano circa aspirazioni britanniche a basi in terra siciliana al tempo della spedizione dei Mille, si può ricordare la ferma lettera di Garibaldi agli ufficiali della crociera inglese nelle acque della Sicilia, che fu pubblicata sulla ginevrina « Espérance » il 31 maggio 1860 e dal settimanale « Fleet Times »,
che si evince che le naturali direttrici di espansione italiane, una volta raggiunta l'unificazione nazionale, si sarebbero comunque fatalmente scontrate con quelle francesi.
Facendo attenzione alla geografia e ponendo orecchio ai colonialisti francesi, era anche possibile prevedere quale sarebbe stata, con ogni probabilità, la prima zona di frizione diretta. Algeri era già stata definita «un impero, un impero a due giorni di distanza da Tolone » nel 1838, dalla « Revue des deux Mondes »; nel 1868 sarebbe stato lanciato il vaticinio dd grande Nordafrica francese: «Possa venire presto il giorno nel quale i nostri concittadini, troppo rinserrati nella nostra Francia africana, strariperanno nel Marocco e nella Tunisia, e fonderanno finalmente quell'impero mediterraneo, che non sarà soltanto una soddisfazione per il nostro orgoglio, ma sarà anche certamente, nella futura situazione mondiale, l'ultima risorsa della nostra grandezza » ( 4 ). L'impatto si sarebbe avuto intorno alla zona di Tunisi, proprio in quell'area nevralgica del Mediterraneo centrale, nella quale l'interesse inglese non avrebbe coinciso totalmente con quello italiano. Tra il 1864 e il 1882 se ne sarebbero viste, infatti, le conseguenze.
Ma andiamo con ordine. Il generale Menabrea, primo successore di Cavour al dicastero della Marina, aveva già indicato nel 1861 il livello delle ambizioni navali italiane. La flotta avrebbe dovuto essere organizzata su due potenti squadre, in grado
organo della marina militare inglese. Garibaldi scriveva: «I nemici dell'indipendenza italiana calunniano la vostra grande nazione; le attribuiscono il pensiero odioso di speculare sulla nostra eroica impresa e di voler spigolare un giorno su questo campo di gloria irrorato dal sudore dei patrioti e dal sangue dei martiri. Se è cosl, se la Sicilia, che in questo momento è la più italiana delle nostre provincie confederate, non facesse che scambiare il dispotismo borbonico contro un protettorato interessato, l'Inghilterra non sarebbe più la sorella dell'Italia e la terra classica della libertà
( 4) PREVOST-PARADOL, nella sua France nouvelle, Paris 1868 (riportato da SILVA, Figure e momenti di storia italiana, cit., pag. 397); quasi le stesse parole avrebbe usato nel18841'« Economiste Français »a chiusura di un articolo richiamato in « Biserta: porto militare •· su « Rivista marittima», 1885, I, pagg. 158-62.
di fronteggiare, l'una la marina austriaca, l'altra la marina spagnola: questa avrebbe dovuto essere dislocata nel Tirreno e l'altra in Adriatico. Ciascuna squadra avrebbe dovuto essere composta da unità abbastanza numerose e abbastanza potenti per assolvere il compito ad essa affidato. L'indicazione del ministro - contenuta nelle istruzioni per il lavoro di una commissione di studio da lui nominata (5) - risentiva, ovviamente, della congiuntura internazionale, caratterizzata, pér quanto riguardava i rapporti delle predette potenze con l'Italia, dalla loro detisa ostilità e dal loro rifiuto di riconoscere i fatti compiuti che si erano svolti nella penisola; l'idea che l'Italia dovesse disporre di una potenza navale capace di fronteggiare efficacemente- anzi, di controbattere con successo - le forze marittime riunite della Spagna e dell'Austria fissava intanto un primo obiettivo preciso, destinlito a fungere da filo conduttore per la prima politica navale italiana. Tale obiettivo significava che fin dall'inizio della vita nazionale dello stato unitario si riteneva che il posto dell'Italia nella graduatoria delle potenze navali doveva essere alto, collocandosi subito dopo le grandi nazioni marittime - Gran Bretagna e Francia - che avevano impegni mondiali da sostenere ed imperi coloniali da controllare. Nel Mediterraneo, il regno d'Italia doveva puntare, quindi, ad esprimere una potenza navale ragguardevole, pari a quelle riunite di Spagna e d'Austria per comprimerne sul mare eventuali velleità sul piano dei conflitti locali se non pure di esercitare nei loro confronti una qualche potenziale minaccia ( 6 ); ma questo non era tutto: disponendo di una forza importante, l'Italia avrebbe potuto inserirsi nella grande politica, facendo pendere, volta per volta, la bilancia navale dalla parte di quella, tra le due massime potenze protagoniste e rivali, a fianco della quale si fosse schierata.
(5) Composta dal vice ammiraglio Serra, dal contrammiraglio Mantica e dal capitano di vascello Ricci.
(6) Sarebbe stato sempre possibile, in caso di necessità e se le circostanze lo avessero consentito, riunire insieme le due squadre ed acquisire in tal modo un decisivo vantaggio sull'una o sull'altra delle flotte potenzialmente avversarie cui si faceva riferimento; questo, almeno, in teoria.
Ciò detro, corre subiro l'obbligo di sottolineare che tali discorsi avrebbero avuto senso soltanto se il potere navale in parola fosse stato davvero costruito. In realtà, come la somma degli stati regionali italiani preesistenti non dava il nuovo stato, così la somma delle vecchie marine non poteva dare una nuova grande marina, se non sulla carta. Le tradizioni vicine erano modeste, gli uomini anche, le navi eterogenee e scarsamente utilizzabili per impananti operazioni di squadra. Pur tenendo conto di qualche possibile esagerazione congeniale al tono acre di una polemica politica - in cui va inquadrato l'intervento dell'ex luogotenente di Garibaldi - non si può non ricordare che il Bixio - criticando il « quadro comparativo delle forze marittime spagnuole, austriache ed italiane», pubblica to da alcuni giornali - scriveva nel 1861 « che il quadro generale della marina presentato dal generale Menabrea non è cosa seria, e che tutto al più un ammiraglio, con tutto il materiale che il ministro dice di avere, formerebbe appena una flotta di sei bastimenti» (7).
In effetti, la prima flotta italiana. al momento dell'unificazione, disponeva sulla carta di molte unità . ma così diverse come età e concezione, che la potenza reale della nuova marina risultava assai difficile da stimare ( 8 ).
Si aggiunga a dò l'incoerente politica delle basi, che consistette in un primo tempo nell'accentramento dello sforzo principale su La Spezia, ignorando altre scelte ben più significative ai fini di una efficace presenza mediterranea.
(7) Vedi la lunga lettera del Bixio al direttore de« Il Movimento» di Genova, pubblicata il 23 dicembre 1861, riportata anche dal MALDlNI, op. cit., vol. I, pagg. 185-89.
(8) Secondo il MALDINI, cit., vol. I, pag. 86, le navi della prima flotta del regno d'Italia « potevano costituire un qualche utile elemento di difesa marittima, non mai però sufficienti al nostro paese, nè in via assoluta per se stesso , nè relativamente alle forze navali di altri paesi anche di secondo ordine». Lo stesso riporta più avanti (vol. I, pag. 145, riproducendola da Archives diplomatiques, Paris 1863, pag. 79) la sentenza con cui il tribunale di commercio di Marsiglia negò la restituzione di due unità che avevano appartenuto alla flotta borbonica, il « Sannita » e la « Saetta », definiti « l'un hors d'usage, et l'autre... un simple yacht de plaisance ».
Ad esempio, le possibilità offerte dalla base di Augusta, che avrebbe portato la marina a gravitare direttamente sui passaggi obbligati del Mediterraneo centrale e sulle rotte più importanti del bacino, furono trascurate dal Governo di Torino. Anche la base di Taranto fu considerata all'inizio quasi esclusivamente in funzione di un conflitto con l'Austria, e non di una politica estera aperta, capace di sfruttare fino ip fondo le possibilità offerte dal potere navale italiano (9).
La scelta di Spezia come stabilimento principale dello Stato, se era stata validissima per il regno di Sardegna, lo era meno per quello d'Italia. La base ligure, così periferica alla rotta Gibilterra-Levante, così lontana dalle coste dell'Africa .e dal teatro marittimo dei contrasti con l'Austria, non poteva sostituire, almeno ai fini di una politica mediterranea, né il Mezzogiorno, né la Sicilia. Ben lo si vide nel 1864, in occasione della prima azione condotta dall' I talia nello stile delle grandi potenze, quando si prospettò l'eventualità di trasportare una forza da sbarco
(9) L'idea che, oltre a La Spezia ed a Venezia, occorresse un terzo punto d'appoggio per le forze navali era stata ripresa a fine 1868, durante il dibattito al Parlamento sul bilancio della marina; in quella occasione si era parlato di un « terzo arsenale... stabilito verso l'estremo confine meridionale italiano, per avere nel Jonio un porto avanzato dal quale dominare i due bacini del Mediterraneo», e il 3 dicembre il ministro Riboty aveva accettato un ordine del giorno tendente ad istituire un arsenale marittimo a Taranto, anche se si riteneva fosse « da abbandonarsi ogni idea di costruzioni monumentali, limitandosi soltanto a lavori di assoluta indispensabilità »,in« Rivista Marittima>>, 1869, pag. 603. Per Augusta, inutilmente il presidente della Società Nazionale locale, Francesco Blasio, aveva scritto al contrammiraglio Albini il 4 maggio 1861, segnalando i vantaggi della base: la lettera rimase negli archivi della divisione navale e non fu nemmeno trasmessa al Ministero (GABRIELE, La politica navale dall'unità ecc., cit., pag. 121). D'altra parte era un ex ministro della marina, il generale Menabrea, che in quei tempi esprimeva l'idea che l'Italia potesse patire dal mare gravissime sciagure, ma che non per questo avrebbe cessato di esistere: se si fosse perduta la parte peninsul are del paese, l'importante era che si conservasse l'esercito nella valle del Po, perché esso avrebbe avuto ancora la speranza di riconquistare il perduto; cfr. l'intervento del predetto in A.C.R., Carte Depretis, busta 9, fase. 25, dove sono pure considerazioni del gen. Longo sulla posizione e la rilevanza strategica de La Maddalena.
a Tunisi e ci si rese conto che le truppe, imbarcandosi. in Liguria, avrebbero dovuto stare tanto tempo in mare che l'intera Europa ne sarebbe stat.a informata prima del loro arrivo a Tunisi.
Ma nemmeno nel settore della marina mercantile, per il quale gli « elementi di forza » acquisiti nelle provincie ·meridionali non erano solo geografici (l O), si comp l, o si potè compiere uno sforzo importante. Sebbene la prospettiva ·di un collegamento diretto col Mar Rosso rilanciasse su scala mondiale l'importanza economica dell'antico mare chiuso, i porti meridionali non furono valorizzati ( 11 ), né si condusse una adeguata politica di sviluppo della flotta commerciale e dei traffici.
E tuttavia fin dall'inizio la marina ebbe un peso sulla politica estera italiana. Esso era destinato a crescere sempre più, nei decenni che seguivano l'unificazione nazionale, a mano a mano che le vicende internazionali avessero evidenziato il valore determinante degli equilibri marittimi per la vita del nuovo Stato.
E' certamente interessante il collegamento, che si cercò di stabilire fin dal 1861, tra le possibilità d'impiego della flotta e l a politica intern azionale. In un paese nel quale ancora appariva pacifico che la difesa delle coste dovesse essere affidata principalmente alle forze di terra, si concepiva già la marina come un mezzo di azione militare e politica. In questo senso il ministro Menabrea, trattando per la già citata commissione di studio il tema in tempo di guerra, faceva comprendere che le forze navali avrebbero potuto essere utilizzate per effettuare uno sbarco in un'area precisa, operazione per la quale occorreva
(10) Cfr., per tutti, V.D. FLORE, L'industria dei trasporti marittimi in Italia, vol. II, Roma 1970.
(11) Malgrado le previsioni dell'ammiraglio Martin, comandante della Mediterrancan Fleet, che ai tempi dell'impresa garibaldina aveva scritto a lord Clarence E. Paget, all'ammiragliato londinese, che si doveva prevedere che la Sicilia, sotto un buon governo, avrebbe reso i suoi porti liberi e invitanti come quello di Malta, il quale, di conseguenza, ne sarebbe stato esautorato (vedi il rapporto n. 57 del14 giugno 1860, in P.R.O.L., Admiralty, I, 5733, fase. 470).
esplicitamente. prepararsi ( 12). Ove si ponga mente che il progetto di uno sbarco italiano sulla costa orientale dell'Adriatico - un progetto ritornante, destinato ad essere ripreso più volte, ma mai attuato - veniva proprio in quel tempo trattato, a livello del presidente del Consiglio, e del ministro della marina, dal generale Klapka ( 13 ), impegnato ad organizzare con l'aiuto italiano una sollevazione magiara contro l'Austria, il collegamento appare evidente. Nel quadro di una lotta comune contro Vienna, la flotta italiana avrebbe dovuto sbarcare sulla costa croata o dalmata gli esuli ungheresi ed un corpo italiano di truppe regolari o di volontari; in tal modo lo schieramento austriaco sarebbe stato aggirato, mentre l'insurrezione avrebbe divampato in Ungheria e l'esercito italiano avrebbe attaccato gli austriaci nel Veneto; la flotta avrebbe minacciato Venezia e Pola (14 )...
Certo, alla luce del senno del poi, può non essere agevole attribuire importanza a simili fantasticherie. Ma è importante notare che alla fine del 1861 esse potevano in qualche misura apparire credibili; anche le recenti esperienze italiane del1860 erano state straordinarie, e positive per la marina. Non ci si rendeva conto che esse erano state anche facili e fortunate, né si era avuta l'esperienza di Lissa: la superiorità navale italiana in Adriatico appariva pertanto un assioma, sul quale si poteva immaginare di costruire una politica comune di guerra tra italiani e ungheresi.
Ed è curioso che quando, l'anno sucoessivo, il ministero Rattazzi mostrò di rinunciare all'avventura anfibia nei Balcani, in coincidenza con il riconoscimento del regno d'Italia da parte della
( 12) «Per fissare le idee, potrebbesi prendere per oggetto l'attacco d'una posizione determinata, e dietro questa far stabilire il numero e la qualità delle navi » (A.P.S. Sessione 1861-62, vol. II, Firenze 1870, pagine 1768).
( 13) Ex Ministro di Kossuth, teneva a Ginevra le fila degli esuli ungheresi.
(14) D.D.I., Serie I, vol. I, pagg. 327 e 448-49.
Russia e della Prussia, una interpellanza· alla Camera riprende sse l'improbabile voce della cessione di porti adriatici alla Russia ( 15).
Una tale eventualità avrebbe costituito una limitazione pericolosa al potere navale italiano in Adriatico - peraltro sopravalutato- e come tale doveva venire decisamente respinta. Al contrario, avrebbe dovuto essere lo stato italiano a considerare assai presto l'esigenza di un rafforzamento della propria posizione in Adriatico ed a recepirla addirittura come una costante di lungo periodo - una volta definita con chiarezza dal punto di vista strategico navale - nella propria politica estera.
Un'altra costante per la politica estera italiana sarebbe venuta ancora dalla marina, in quello stesso periodo. Questa volta sarebbe stato di scena il Mediterraneo centrale. Durante la crisi tunisma del 1864 , di cui si è parlato, il contrammiraglio Albini, comandante della « squadra » italiana, di stazione nelle acque del beylicato, aveva ordinato che l'avviso Messaggero ( 16) compisse un viaggio di esplorazione e di informazione lungo le coste orientali della Reggenza. La nave era al comando del capitano di fregata Carlo Alberto Racchia ( 17 ), il
(15) 1110 luglio, da parte del deputato Massari. Vedi R. MoRI, L ' Italia e il processo di unificazione germanica, (conferenza all'8• riunione italotedesca degli storici), in Le relazioni italo-tedesche nell'epoca del Risorgimento, Braunschweig 1970, pag. 25. Per l'abbandono dell'impresa nei Balcani, cfr. ID., La questione 1omana, cit., pagg. 99-105. Si può anche ricordare, in proposito che nei documenti austriaci relativi alla guerra navale del 1866 è traccia del timore di uno sbarco sulle coste dalmate da parte di volontari italiani e delle misure assunte in proposito: cfr. Crenneville a Philippovich, teleg. 2673 del 16 giugno 1866 da Vienna (volontari sbarcherebbero in Dalmazia con navi inglesi) e Tegetthoff all'arciduca Alberto, rapporto del 18 giugno successivo da Fasana (misure di difesa contro presunti tentativi di sbarco di volontari italiani), in A. FILIPUZZI, La campagna del 1866 nei documenti militari austriaci. Le operazioni navali, Padova, 1966, pagg. 61-62.
( 16 ) Questo esploratore veloce era stato varato nel maggio dell'anno precedente in Inghilterra.
( 17) Raggiunse il grado di vice ammiraglio - il massimo concesso a un ufficiale di marina italiana tra Lissa e la prima guerra mondialee fu ministro per la marina dall'8 dicembre 1892 al 15 dicembre 1893.
quale a Mediah fece conoscenza con il comandante di una nave idrografica inglese, la Fire/ly, ivi ancorata in rada.
In tale occasione il Racchia, oltre a poter vedere i lavori idrografici della Firefly ed a correggere in conseguenza diversi errori sulle proprie carte, ricevette interessanti informazioni dal collega britannico. Ne riferiva cosl all'Albini: « non posso a meno
« di esporre alla S .V. una osservazione deJla più alta importanza
«che quel sagace ufficiale inglese, da più anni occupato in questo
« genere di lavoro ebbe a fare sopra un punto della costa di questa
« Reggenza la quale realmente pare contenere in se tutti elementi
« di poter diventare un giorno uno stato ricco e potente.
« Se gettiamo infatti lo sguardo sopra la costa
«della Reggenza che -da Capo Farina estendesi fino alla frontiera
«Algerina, potremo facilmente osservare indicati due considere-
« voli laghi; orbene quello situato più a Greco e più vicino alla
«spiaggia di mare precisamente fra Capo Bianco e Capo Zabib
« è iaie da potere con poca spesa diventare uno dei migliori, e
« più sicuro ed esteso porto d'armata del Mediterraneo e di tutta
« l'Europa. Prendendo infatti una carta a gran scala osserviamo
« che un piccolo tratto di terra separa questo lago dal mare, per
« cui basterebbe rompere tale barriera che certamente non oppor-
« rebbe grande difficoltà essendo per la maggior parte composta
« di sostanza areno-argillosa, e farvi un canale che non arriverebbe
« a 1.000 metri di lunghezza per mettere in comunicazione il
«detto lago col Mediterraneo, orbene questo lago conta non meno
«di 8 miglia in estensione Est ed Ovest per circa 6 miglia Nord
« e Sud ed in tutta l a sua superficie anche a poca distanza dalla
« spiaggia si ha una profondità variabile di 8-7-6 e 5 braccia .
«L'acqua di questo piccolo mare interno è perfettamente salata .
«Tutto all'interno sono piccole montagne che non oltrepassano
« 1.000 piedi in altezza dal livello del mare e con dolce inclina-
« zione vanno terminando con una estesa pianura alle rive del
« lago medesimo. La terra fertile oltre ogni dire ed abbondante
«in sorgenti d'acqua dolce. A poca distanza al SO di tale lago
« salato trovasi un'altro lago ben poco inferiore in estensione
«ma .d'eccellente acqua dolce, ivi trovansi in media da 7 a 6 piedi
« di profondità d'acqua, un tortuoso e sufficientemente profondo
« canale mette in comunicazione tra loro questi due laghi, il se-
« condo dei quali sembra che sia formato ed alimentato da un
« considerevole scolo d'acqua dalle montagne che tutto lo circon-
« dano eccetto verso quel lato che appunto si unisce al primo lago
« mediante il testè indicato canale. Bacini di carenaggio e di rad-
<< dobbo scavati sui due lati del canale che metterebbe in comuni-
« cazione diretta il 1° lago col Mediterraneo, vasti magazzini, of-
« ficine, quartieri e fabbricati tutto all'interno di questo piccolo
« mare renderebbero questo il più formidabile e sicuro porto d'ar-
« mata che esservi possa.
« L'intelligente comandante del Firefly che personalmente
<< ebbe ad esaminare queste importanti località molti anni fa· mi
« ha .. assiourato che domanderebbe autorizzazione al suo governo
« per visitarlo nuovamente, ed intendend osi anzichenò della arte
« idraulica, egli mi accertò che dietro vari studi, e calcoli fatti a
« tal proposito ebbe a conchiudere che con mezzo milione di lire
« sterline, cioè dodici milioni e mezzo di franchi potrebbesi con-
« vertire· in vero porto di il suddetto lago, spesa ben tenue
« se si considerano i sommi vantaggi politici, strategici ed econo-
« miei che riceverebbe la potenza marittima, cui riuscisse un gior-
« no possedere tali località. Situata a 120 miglia dalla Sicilia, a 150
«.dalla Sardegna una flotta i vi concentrata sarebbe in possesso
« del passaggio al canale di Malta e perciò terrebbe nelle sue mani
« le sorti di mezzo Mediterraneo. Il Bey di Tunisi, preoccupato tre
« anni or sono della necessità di possedere un porto sicuro per
«le suè navi da guerra, fece appello al governo inglese, onde ve-
« nire fornito d'ufficiali e di ingegneri di quella nazione, per stu-
« diare il progetto statogll appunto presentato di convertire quel
«lago cioè in un sicuro e stupendo porto, ma non sentendosi il
« governo della Reggenza in caso di far fronte alle spese a tal
<< uopo occorrenti ne fu dimessa ogni idea. Io credo tale quistione
« così vitale ed interessante per l'avvenire del nostro paese che
« non esito punto a rendere di questo informata la S.V. persuaso
« che nella sua sagacità saprà apprezzare e misurare tutta l'im« portanza di quanto vengo ad esporle» (18).
La descrizione della zona dei due laghi, idonei a divenire una importante base navale, COJ?Sente di identificare l'area di Bisetta, su cui i francesi avevano già fin da allora mire che non potevano non preoccupare la marina italiana. E infatti il comandante della squadra d'evoluzione scriveva subito al ministro della marina - 1'8 giugno, mentre il rapporto del Racchia era del 7riportando le accuse britanniche ai francesi. Gli inglesi - scriveva l'Albini- sostenevano« che la Francia tenda ad occupare nella Reggenza dei punti importanti, a mo' d'esempio Biserta, onde essere in possesso del suo magnifico lago che vorrebbe ridurre in arsenale nello scopo di signoreggiare il Mediterraneo. Non ho certamente dati per poter decidere sulla più o meno probabilità di simili congetture, ma stimo però opportuno segnalarle a V.S., avendo il governo mezzi sicuri onde essere messo al corrente della vera posizione delle cose » ( 19).
Si può quindi affermare che due filoni di politica internazionale, provenienti da una matrice navale, venivano ad inserirsi fin dai primi anni di vita unitaria tra le ambizioni del nuovo stato. Entrambi - l'imboccatura adriatica e Biserta - nascevano da prospettive geografiche assolutamente sconosciute alla vecchia politica di Torino, ed erano il portato di problemi e di aperture nuove, che trovavano base e significato nelle propaggini estreme delle provincie meridionali. A sud est, il possesso della costa occidentale del canale d'Otranto poneva, da un lato, il problema della difesa del litorale italiano e sosteneva, dall'altro, l'ambizione ad un punto d'appoggio sulla costa orientale, con l'obiettivo di ottenere il controllo della porta marittima dell'Adriatico.
A sud-ovest, analogamente, la potenziale minaccia di un'altra potenza che potesse avvalersi di una base navale come Biserta face-
(18) «Relazione del viaggio fatto lungo il litorale orientale della Reggenza di Tunisi », del comandante Racchia al contrammiraglio Albini, comandante in capo della Squadra d'evoluzione, 7 giugno 1864 (A.C.R.M., busta 2, cartella F, doc. 72).
(19) Ibidem, doc. 74.
va nascere il problema della difesa della Sicilia e di rutto il bacino meridionale del Tirreno, suggerendo, per contro, l'aspirazione ad una posizione privilegiata sulle due sponde del canale di Sicilia. E tale posizione , integrata al possesso diretto dello stretto di Messina, avrebbe potuto condurre ad una ipoteca navale italiana sul Mediterraneo centrale e sulla rotta Gibilterra-Suez.
Le reazioni negative a simili aspirazioni si delineavano subito. Ad est l'espansione marittima italiana avrebbe incontratoin tempi e luoghi diversi e per motivi diversi - l'opposizione dell'impero austro-ungarico, della Grecia , della Russia e della Turchia; ad ovest quella della Francia; dovunque, sul mare, quella britannica (20).
Negli anni intorno alla terza guerra dell'indipendenza, l'Italia incominciò a mettere gli occhi sulle coste africane e albanesi, chiedendo una base nella vicina Tunisia (Biserta) e un'altra sul litorale adriatico orientale (Valona o Dulcigno).
Il Mori ha rinvenuto nelle carte dei Savoia a Cascais un progetto del 1869, che avrebbe dovuto servire per trattare una alleanza italiana con gli imperi centrali, e che conteneva le richieste italiane: tra di esse, oltre al confine al Brennero e all'Isonzo ed a rettifiche nella valle del Roja, facevano spicco Bisetta e uno stabilimento marittimo nell'Adriatico meridionale (21). Le due basi navali, a parte la funzione di copertura sui punti più esposti dei confini marittimi del regno, avrebbero dovuto costituire il fondamento di una politica mediterranea di potenza. Sotto questo profilo, esse si presentavano in maniera assai diversa dalle altre richieste del programma che abbiamo ricordato , tutte relative
(20) MORI (L'I t alia e il processo di ttnificazione germanica, ci t., pagina 30) ricorda che nel 1867 il governo di Parigi vietò alla marina italiana di vigilare sulle navi nazionali nelle acque algerine, per cui si ebbero anche passi diplomatici; il console italiano a Corfù , cav. Viviani, scrivendo il 23 agosto 1864 al ministro degli esteri, aveva sottolineato la « azione deprimente esercitata dall'Inghilterra per sostituire la marina propria alla jonia »,in« Rivista marittima», 1868, pag. 271; ecc.
(21) Cfr. l'intervento del MoRI, in Le relazioni ila/o-tedesche nell ' epoca del Risorgimento, cit., pagg. 120 e 122.
ad integrazioni- più o meno legittime, più o meno moderate (22) -del territorio nazionale: Biserta e Valona erano fuori d'Italia e significavano un nuovo momento nella politica estera italiana. Del resto, l'annessione di Roma al regno aveva chiuso un ciclo. Il Risorgimento era finito, l'unità nazionale raggiunta. I motivi ideali che avevano (Ommosso le generazioni delle guerre e delle rivoluzioni italiane del sec. XIX, malgrado le frangie irtedentiste e i problemi che esse agitavano ancora, non potevano avere più il significato di prima. Con la capitale a Roma un nuovo ciclo si apriva. Nell'epoca degli imperialismi più esasperati, anche l'Italia avrebbe tentato di interpretare un qualche ruolo nuovo, cercando di fare il proprio gioco tra i giochi delle grandi potenze, in un orizzonte più vasto e più pericoloso. E in questo tentativo di recitare subito una parte nella politica mediterranea, la marina militare avrebbe dovuto avere una importanza fondamentale. Ma all'Italia mancarono le forze. Al di là delle fantasticherie e dei segni che i ricordi lontani di Roma potevano evocare dal passato , la cruda realtà di un paese povero e sprovveduto ebbe il sopravvento sull'ambizione. Per lunghi anni, la flotta italiana attraversò una crisi particolarmente grave se si riflette che furono quelli gli anni in cui essa avrebbe dovuto sostenere, nell'interesse generale del paese, la politica estera. .
Il ministro della marina Riboty aveva già affermato nel 1868: «Non vi ha nessuno che ponga in dubbio che il nostro paese, per la sua posizione geografica, per l'immenso sviluppo delle sue coste , per le numerose e ricche sue isole. per il suo esteso commercio, e finalmente per le sue tradizioni, non sia paese eminentemente marittimo. E oggimai, che dal lato del mare più che da quello di terra devesi provvedere onde sia garantita la sua indipendenza vulnerabile in tutta l'estensione del suo litorale, c'incombe l'obbligo di mantenere una forza navale capace di raggiungere siffatto scopo tanto vitale per la nostra esistenza. Epperò potrassi compendiare il mandato della marina militare dello Stato nella seguente fonnola: proteggere gl'interessi marittimi della nazione
e costituirle una giusta influenza nella bilancia della politica europea » (23 ).
Quali fossero i punti d'attacco per affermare tale «giusta influenza », lo abbiamo visto. Ma sarebbe stato impossibile sostenerla se la marina militare non avesse ricevuto stanziamenti adeguati, ciò che non era compatibile con le condizioni finanziarie del paese e con le altre necessità urgenti e gli altri obiettivi che i governi italiani si trovavano davanti. E infatti, le spese per la marina- espresse in lire 1959 affinché il confronto abbia un qualche significato - si erano mantenute in media poco al di sotto dei 20 miliardi all'anno dal 1861 al 1866, ma subito dopo avevano preso a diminuire, fino a scendere al di sotto degli 8 miliardi nel 1870 (24); dal1871 al1874 si erano mantenute tra gli 8 ed i 9 miliardi, per poi risalire gradualmente fino ai 12,6 miliardi del 1880 (25).
Gli anni '70 videro, come si è già riferito, il fallimento dell'immatura prospettiva di un'espansione strategica italiana verso Valona e la costa adriatica di fronte alla Puglia, come pure delle velleità di approccio politico-militari verso isole greche, verso Cipro, verso punti del Levante e dell'Asia Minore controllati dalla Turchia. Il periodo era destinato a concludersi disastrosamente nel
(23) Le dichiarazioni del Riboty, dell'8 febbraio 1868, sono riportate in <<Rivista macittima », 1869, pag. 591.
(24) Nella relazione al disegno di legge presentato dal ministro della marina al Parlamento il 16 marzo 1869 si fissava la forza navale occorrente a 20 navi di linea ed a 62 minori; tali indicazioni erano accompagnate da queste considerazioni: «Non giova illudersi: continuando nell'attuale ordinamento della nostra marina militare, mantenendo gli stabilimenti marittimi come sono, e conservando gli stanziamenti nei limiti attuali, le nostre forze navali sono condannate all'impotenza », A.C.R., Carte Depretis, busta 9, fase. 25. Nel dibattito il D'Amico dichiarò che «se si vuole avere una marina produttiva, bisogna spendere di più; altrimenti è meglio smettere e dichiarare al paese e all'Europa che non esiste una marina italiana, e che noi aspettiamo che le nostre finanze rifioriscano prima di ristabilire il bilancio della marina»; Augusto Riboty, il ministro, a sua volta affermò - con definizione incisiva - che « il bilancio attuale è un tisico al terzo stadio»(« Rivista Marittima •, 1869, pagg. 671 e 673).
(25) Vedi la tabella a pag. 199.
1881, con l'occupazione francese di Tunisi, che liquidava la grande speranza italiana di insediarsi sulla costa africana più prossima alla Sicilia. T ali insuccessi avevano una matrice politica e una matrice militare, l'una e l'altra legate a doppio filo con la debolezza della flotta. ·
Inutilmente nell'aprile 1873 il ministro della marina riprendeva considerazioni del Bucchia e del Mattei, già espresse anni prima, secondo le quali « in date evenienze di guerra europee l'Italia, sfornita di una marina militare, potrebbe in un'alleanza aggiungere un elemento di debolezza agli amici suoi, costituire per loro un pericolo anziché far ridondare le proprie armi a vantaggio comune» (26). Senza poter giocare la carta della flotta (27), il governo di Roma si trovava regolarmente impaniato in una situazione di squilibrio tra l'esigenza di condurre un'attiva politica mediterranea e la forza reale della marina. Sebbene durante gli anni '70 si fosse avuto l'imprevisto exploit del Duilio, esso era stato accompagnato da tali polemiche e riserve che una coda di incredulità sull'effettivo valore bellico della corazzata era pur sempre rimasta, a dispetto di talune esagerazioni strumentali (28 ); e poi, il Duilio non era una flotta. E infatti, malgrado le spesso ritornanti velleità di presenza nel Mediterraneo e nel Levante (29), malgra-
(26) A.C.R., Carte Depretis, busta 9, fase. 25.
(27) La èrisi investl anche la marina mercantile, il cui tonnellaggio complessivo si mantenne durante gli anni '70 intorno al milione di tsl, senza dinamica espansiva, prendendo poi a diminuire, nel decennio successivo, sempre più: dr. FLORE, op. cit.; E. DEL VECCHIO, Di Robilant e la crisi nei rapporti maritlimi italo-francesi, ecc.
(28) Ve n'è un'ampia crestomazia in B. BRIN, La nostra marina militare, Roma, 1882, specie pagg. 15-20; basti per tutte la citazione del senatore americano Bonjean, che nel marzo 1880, discutendo questioni relative alla marina, aveva affermato: «Il solo Duilio della marina italiana potrebbe distruggere tutta la nostra flotta». Per dati sulle corazzate della classe Duilio. cfr. G. GxoRGERINI ed A. NANI, Le navi di linea italiane, cit., 3a ediz., Roma, 1969, pagg. 155-76.
(29) Vedi le carte della squadra del Mediterraneo fino al 1878 e l'archivio della squadra permanente (crociere in Oriente) in A.C.R.M., buste 75 e 188, 189, 190, 191, 192. E' curioso, se mai, che dette velleità · non abbiano portato mai a preveder un impegno serio in Egitto, là dove
do il varo del Dandolo ( 30 ), il timore della potenza navale italiana non avevà certo fermato i francesi sulla rotta di Tunisi, nell'aprile del1881.
L'impatto della vicenda di Tunisi fu assai forte in Italia . Dalle prospettive irrealistiche di affermazioni imperialistiche mediterranee, classe politica ed opinione pubblica passarono al polo opposto. Dalle coste indifese si levava minaccioso il fantasma dell'invasione dal mare, alimentato anche da talune discussioni circa il punto migliore per effettuare uno sbarco in Italia, che si svolgevano sulla stampa militare francese. Né più confortanti risultati davano le manovre navali che si svolgevano nel Tirreno e che parevano confermare l'estrema difficoltà, per la flotta italiana, di prevenire, in uno specchio d'acqua troppo ampio per i mezzi del tempo, una eventuale iniziativa anfibia francese su un punto qualunque del litorale ( 31 ).
l'area del canale di Suez avrebbe dovuto costituire obiettivo primario, anche indipendentemente dalle possibilità di insediamento effettivo che poteva avere - da sola o in condominio - una potenza politica, economica, militare e navale come l'Italia.
{30) La corazzata scese in mare a La Spezia il 10 luglio 1878.
(31) Nel 1882 il capitano di vascello Martinez aveva sostenuto la necessità di potenziare Gaeta per coprire una minaccia diretta sulla capitale {G. MARTINEZ, Sopra un punto importante della difesa delle coste d'Italia, ecc., in marittima», 1882, II, pagg. 33-37 }. Le manovre del 1883 e del 1885 - le prime « a quadri e partiti contrapposti », le seconde operative con base a La Maddalena - dimostrarono l'impossibilità di garantire una copertura ad una incursione navale , o ad una minaccia di sbarco, su un arco di coste che andava da Ventimiglia a Trapani; le grandi città tirreniche - Genova, Livorno, Napoli , Palermo, Cagliari - restavano sotto la minaccia di un bombardamento. La stampa militare francese dibattev;t la capacità di invasione marittima delle forze armate francesi e se, in particolare, convenisse ·attaccare la riviera di ponente, di concerto con l'esercito, o Spezia, o non piuttosto Livorno, che avrebbe potuto aprire la via ad un grande successo strategico, ecc. (Cfr., tra gli altri, G. DI SUNI, La difesa delle coste; La difesa marittima dell'Italia giudicata in Germania; O. T., L'invasione france.se per Livorno; tutti in «Rivista marittima», 1883, rispettivamente I, pagg. 23-33; III , pagg. 85-120; IV, pa· gine E poi ancora , O. T., Appunti sulla capacità d 'invasione marittima della Francia; Mezzi di trasporto marittimo della Francia; D. Bo-
La nuova situazione aveva suggerito al Marselli un interessante articolo che comparve sulla « Nuova Antologia » del l o luglio 1881. In esso si prendeva atto di quanto era successo e, in chiave marittima, si suggeriva una linea destinata ad essere recepita subito dopo dalla politica estera italiana. Vale la pena di riportarne - per quanto già noto (3 2) - il brano più significa ti vo: « Poiché la forza delle cose trascina l'Austria-Ungheria verso Salonicco e la Francia a distendersi lungo la costa settentrionale dell'Africa, e poiché non è in potere dell'Italia di opporsi in pari tempo all'uno e all'altro fatto, a quale dei due può acconciarsi con suo minor nocumento, e però quale essa deve contrariare risolutivamente e quale aiutare persino, per assicurare lo scambio dei servigi? Basta gittare gli occhi su d'una carta del bacino del Medit erraneo per intendere subito che il pericolo maggiore che l'Italia possa correre si è di vedere la Francia stabilirsi sulla costa settentrionale dell'Africa, dirimpetto e a poca distanza da quella di Sicilia, che è la nostm sentinella avanzata, e che in caso di guerra potrebbe diventare una sentinella perduta. L'Egeo è un mare lontano, ma le acque che penetrano fra Marsala e il Capo Bon formano uno vero stretto siciliano. I pericoli derivanti dalla occupazione di questo stretto per parte di una grande potenza marittima, qual è la Francia, sono ben altrimenti gravi di quelli che potrebbero scaturire' dalla dilatazione fino a Salonicco di una potenza marittima di secondo ordine ».
Erano evidenti le conseguenze di questa scelta. Il posto dell'Italia sarebbe stato al fianco degli imperi centrali e contro la Francia ed i suoi alleati, in una prospettiva di politica internazionale di lungo periodo, nella definizione della quale si doveva riconoscere una grande importanza alla componente navale. E' agevole trovarne la conferma in due ordini di eventi: il primo riguar-
NAMICO, La difesa dello Stato; in« Rivista marittima», 1884, I, pagg. 5-25; III , pagg. 447-60; II , pagg. 383-405 e III , pagg. 47-81; Biserta: porto militare, ibidem, 1885, I , pagg. 158-62; ecc.).
(32) Cfr. M. GABRIELE, Le convenzioni navali della Triplice, Roma, 1969, pag. 13; in quello stesso mese Bismarck affermava essere «il Mediterraneo sfera di espansione naturale del popolo francese (SALVATORELLI, cit., pag. 56).
da la nuova dimensione delle spese per la flotta, il secondo l'atteggiamento amichevole e accattivante di Roma nei confronti di Londra.
Per quanto si riferisce alle spese per la flotta, i bilanci della marina segnarono una brusca impennata a partire dall'occupazione francese di Tunisi. Operando il confronto su dati omogenei espressi in lire 1959, si rileva che le spese si triplicarono, mentre tà il 1880 e il 1890 il dislocamento globale delle unità in servizio si raddoppiò, con un aumento corrispondente del personale , mentre la spesa per tonnellata di unità in servizio si incrementava di quasi un terzo: la tabella che figura alla pagina che segue, e che si riferisce a tutto il periodo di cui ci occupiamo, appare, in proposito, assai interessante ( 3 3 ).
L'aumento delle spese navali aveva un duplice scopo: da un lato quello di apprestare i mezzi necessari a fronteggiare la Francia e a coprire dal mare le minacciate coste del paese, dall'altro quello di offrire un sostegno alle manovre del governo di Roma verso la Gran Bretagna e verso gli alleati della Triplice onde avere aiuti in campo marittimo.
Preparata fin dall'anno una intesa mediterranea anglo-italiana venne ad integrare, nel 1887, il primo rinnovo della Triplice., che garantiva - entro i limiti accettabili dagli imperi centrali - gli interessi mediterranei dell'Italia {34 ). Ma l'intesa con la Gran Bretagna nasceva nell ' equivoco di una doppia interpretazione, che secondo Roma avrebbe implicato impegni assai più cogenti di quanto ritenesse Londra; nè i successivi tentativi di Crispi, divenuto presidente del consiglio e ministro degli esteri nell'agosto 1887, sortirono miglior effetto: il secondo accordo per il Mediterraneo, del dicembre 1887, riguardava soprattutto il Levante e non forniva all'Italia quelle garanzie marittime che essa così ansiosamente cercava.
(33) La tabella è tratta da G. FIORAVANZO, La marina militare nel suo primo secolo di vita (1861-1961), Roma, 1961, pagg. 52-53.
(34) Vedi GABRIELE, Le convenzioni navali della Triplice, cit., pagine 32-43; R. MoRI , La politica medite"anea di Crispi, in «Storia e Politica »,aprile-giugno 1972, pagg. 145-79 .
Con ogni probabilità, la tendenza britannica a non impegnarsi formalmente ed a lasciarsi aperta la via per non trovarsi a dover sostenere fino alla guerra il governo di Roma derivava anche dalla valutazione negativa che si dava della situazione strategica e delle forze navali italiane. La « lunga linea delle coste italiane » apriva un problema militare marittimo di assai difficile soluzione per una flotta: l'attaccante avrebbe avuto il vantaggio di scegliere il momento e il punto più idonei per sferrare un attacco nelle condizioni migliori perché poteva raggiungere successi immediati d'ordine psicologico e militare, sia bombardando una grande città del litorale, sia sbarcando una forza d'assalto in un punto qualsiasi della costa; in più, aveva la possibilità di provocare uno scontro con la flotta italiana, obbligandola a uscire per combattere in difesa di una città costiera attaccata, ed a farlo nelle peggiori condizioni, quando l'opinione pubblica già reagisse ne_gativamente all'inevitabile sorpresa iniziale. Inoltre, l'ammiragliato Iondinese non aveva una grande opinione circa l'efficienza della marina militare italiana. A più riprese, i circoli navali britannici avevano espresso un giudizio negativo sulle capacità belliche della flotta, ritenendosi che le navi maggiori avessero sacrificato le esigenze della difesa per ottenere una maggiore velocità e che nel complesso fossero troppo poco protette e troppo diverse come tipi le une dalle altre; si prevedeva, quindi, in caso di conflitto, una lotta senza speranza da parte italiana (35). Nè le speculazioni giornalistiche e politiche imbastite intorno alle «paure navali » del 1888 - che avevano fatto sperare agli italiani una disponibilità inglese largamente sopravalutata (36) - migliorarono la situazione: l'ambasciatore britannico, nel dicembre 1888 ebbe a dichiarare apertamente al ministro della marina, Benedetto Brin, che « l'Italia faceva meglio
(35) Capitano di fregata C. Candiani, addetto navale italiano a Londra, al ministro della marina, rapporto del 1° aprile 1888, A.U.S.M., busta 126, cartella 3.
(36) Cfr. GABRIELE, Le convenzioni navali della Triplice, cit., pagine 51-67.
a non contare sull'assistenza dell'Inghilterra per la difesa delle sue coste» (37).
Intanto, nemmeno gli approcci verso gli alleati avevano successo. Troppo lontana la Germania e troppo debole ancora la flotta· tedesca, il solo aiuto in Mediterraneo avrebbe potuto venire dagli austriaci. Crispi spiegò in proposito un notevole attivismo, che però insospettì e preoccupò Vienna, la quale non si lasciò trascinare ad accordi navali. Fallito un primo tentativo all'inizio del 1888, lo statista siciliano tentò nel maggio successivo un successo di prestigio, approfittando delle cerimonie per l'apertura dell'Esposizione di Barcellona: erano state invitate rappresentanze delle marine militari italiana, inglese ed austro-ungarica, ed il Crispi propose chè le navi italiane ed austro-ungariche arrivassero a Barcellona simultaneamente, per dare un « carattere politico » alla manifestazione, cui anche gli inglesi avrebbero potuto successivamente aderire. Ma Kalnoky non fu d'accordo, e il disegno crispino fallì completamente ( 38 ). L'idea di una precisa intesa marittima con gli austro-ungarici fu di nuovo ripresa l'anno seguente, ma senza che si arrivasse a concludere nulla, anche se, mano a mano che le proposte ed i sondaggi si susseguivano, anche i particolari della eventuale collaborazione si chiarivano o - quanto meno - si approfondivano. Restava però, costante, il rifiuto a un impegno preciso, definito da una convenzione navale, da parte di Vienna. I motivi erano vari, e toccavano aspetti della politica internazionale come di quella navale: per quanto riguarda quest'ultima, restava la convinzione
(37) MARDER, cit., pag. 143.
(38) MoRI, La politica mediterranea di Crispi, cit., pagg. 157-60. Anche la «debole soddisfazione», offerta in cambio dal Kalnoky al Crispi, della visita della squadra austro-ungarica in alcuni porti italiani del Tirreno (Genova, La Spezia, Napoli) «svanì presto quando si venne a sapere che della flotta asburgica facevano parte le corazzate « Custoza » e « T egetthofl », nomi cari all'orgoglio asburgico, ma rievocatori in Italia di tristi eventi. Il Prefetto di Genova e il Comando della Spezia avvertirono Crispi che la visita di queste navi in porti italiani avrebbe dato luogo a manifestazioni di ostilità, se non addirittura ad una sollevazione popolare e richiesero in forma pressante che si disdicesse la già annunciata visita »
che l'inferiorità militare e strategica della marina italiana nei confronti di quella francese non avrebbe potuto trovare adeguato compenso nell'aiuto che poteva dare la flotta austriaca; quest'ultima, per contro, avrebbe dovuto affrontare un'avventura rischiosa lontano dalle sue basi, in una condotta di guerra d'alto mare, diversa da quella di copertura costiera, ad essa congeniale per tradizione e preparazione.
Gli anni '80 si sarebbero chiusi con un nulla di fatto, per l'Italia , in tema di accordi navali capaci di assicurarle un migliore rapporto di forze nel Mediterraneo, rispetto alla minaccia francese. Roma aveva scelto - tra le sue iniziali ambizioni di espansione marittima - la linea che a suo tempo era stata indicata dal Marselli, ma in dieci anni di tentativi non aveva ottenuto nulla di concreto, nè dalla Gran Bretagna - che pure aveva interessi analoghi (39)- nè dagli alleati, con i quali pure ci si era impegnati nel 1888 a fornire importanti rinforzi di truppe per il fronte terrestre del Reno.
Gli ultimi tempi del gabinetto Crispi furono caratterizzati dalla irritazione ncn più contenibile dello statista siciliano, che lo induceva sempre più a cedere al desiderio di « rompere i piatti », col risultato di indebolire ulteriormente la posizione italiana, sia nei confronti di Vienna - se non proprio di uscire dalla Triplice, il Crispi certo pensò di affermare il concetto della reversibilità delle alleanze - sia nei confronti di Londra, che sottovalutava pervicacemente - secondo il presidente del Consiglio - il pericolo che veniva da Biserta e dal progressivo rafforzamento della base al servizio della potenza navale francese ( 40).
(39) Cfr. ibidem, pagg. 168-69. Tuttavia lord Salisbury ebbe a dichiarare all'ambasciatore di Francia a Londra, 1'11 novembre 1889: «noi abbiamo una politica ben nota e spesso affermata, quella del mantenimento della pace in Europa e dello status quo in Mediterraneo. Noi siamo con quelli che difendono la stessa politica ed i cui interessi sono simili ai nostri » (Documents politiques français, I , VII, n. 504, riportato da. G. VoLPE, L'Italia nella Triplice Alleanza (1882-1915), Milano, 1939, pag. 118).
(40) Vedi MORI, La politica meditemJnea di Crispi, cit., pagg. 168-79. In particolare, ciò che mandava in bestia gli italiani era che gli ambienti
Nell'avvenire prossimo, gli stessi problemi sarebbero rimasti insoluti. E insieme ai vecchi nodi, nuovi ne sarebbero venuti al pettine, evidenziando sempre più il peso determinante che la situazione marittima mediterranea avrebbe avuto sulla politica italiana. Lo sforzo diretto a potenziare la flotta nazionale sarebbe andato di pari passo con quello di retto a procurarsi alleati navali . Questo motivo di fondo sarebbe stato caratteristico della politica di Roma , costantemente in ansia per la minaccia che le veniva dal mare . Nello stesso tempo , come era logico, sarebbe cresciuto ancora il peso della marina sulla politica estera dd Paese. Sarebbe cresciuto fino al punto che uomini della marina - Benedetto Brin e Costantino Enrico Morinsarebbero giunti ad assumere direttamente le massime responsabilità di governo per la conduzione degli affari internazionali.
dell ' ammiragliato ritene ssero - come l'ambasciatore Tornielli comunicò da Londra il 28 gennaio 1891 - che la costruzione di un porto militare a Bisetta avrebbe addirittura indebolito, invece di rafforzarlo, il potere navale francese nel Medi terraneo, e questo perché ne avrebbe complicato gli impegni.
LA FLOTTA COME STRUMENTO DI POLITICA COLONIALE E DI PROTEZIONE DELLA EMIGRAZIONE E DEL COMMERCIO
Pervenuta per ultima, tra le nazioni europee, al conseguimento dell'unità e dell'indipendenza, l'Italia fu conseguentemente anche l'ultima ad accostarsi ad ambizioni coloniali. Alla fine degli anni '60, tuttavia, tra aree direttamente o indirettamente occupate dalle potenze colonizzatrici e territori dichiarati sfere d'influenza dei maggiori Stati mondiali, non era rimasto molto da spartire; né esisteva nel nuovo regno una diffusa consapevolezza del problema coloniale. D'altronde, gran parte della penisola stessa si trovava in condizioni tali, che ogni sforzo del paese, piuttosto che alla colonializzazione di terre lontane, avrebbe dovuto concentrarsi nel miglioramento di quelle regioni, dove «cominciava l'Africa», come ebbe a dire alla Camera dei deputati Giustino Fortunato, parlando del Mezzogiorno. In effetti, una volta scomparso Cavour, per l'intero decennio seguente la politica fu condizionata da due scopi territoriali immediati: l'acquisizione del Veneto e di Roma, a completamento del ciclo risorgimentale. Soltanto quando quelle due mete essenziali fossero state raggiunte, si sarebbe potuto parlare seriamente di colonie.
Mancava poi completamente, nell'Italia di recente unita, una classe sociale che assumesse l'iniziativa di intraprese coloniali o i cui interessi fossero tali, da spingere lo Stato su quella via (l). Mancavano anche tutti quei presupposti economici che erano stati - ed erano ancora in quegli anni - strumenti di propulsione delle potenze coloniali (2}: l'economia non
(l) Cfr. R. CIASCA: Storia coloniale dell'Italia contemporanea, II ediz., Milano, 1940, pagg. 27 e segg.
(2) Tra la copiosa bibliografia esistente in argomento, si vedano: P. LEJlOY-BEAULIEU: LA colonizzazione presso i popoli moderni, Torino, 1897;
era sviluppata, l'agricoltura era arretrata e non in grado di esportare, l'industria era insufficiente allo stesso fabbisogno interno e non richiedeva neppure ingenti quantità di materie prime, salvo forse il carbone di cui era tributaria della Gran Bretagna. Anche l'attività commerciale era modesta , scarsamente sostenuta da una marineria mercantile dedita soprattutto al cabotaggio a vela. Mancava infine un potenziale migratorio qualificato, capace di crearsi oltre i confini una nuova patria in terre g iuridicamente vacanti; l'emigrazione italiana appariva piuttosto desiderosa di trovare all'estero mercati già costituiti e una sicurezza di impiego delle proprie braccia che non poteva avere in patria.
Negli anni '70, del r·esto, appariva già in fase decrescente la spinta che aveva mosso nei decenni precedenti gli Stati grandi colonizzatori: « la ricchezza cresceva » con moto rapido e generale. La via al mare era libera ed aperta a tutte le nazioni; la teoria prevalente del libero commercio non chiudeva all'attività umana nessun territorio ... » (3 ): e tra Bismarck che dichiarava nessuna colonia valere le ossa di un granatiere di Pomerania, il partito di Gladstone che riteneva l'Inghilterra giunta al limite della sua espansione mondiale, e infine la Francia che si dibatteva nel disordine conseguente alla disfatta ( 4 ), sembrava che per i tre grandi paesi fossero venute meno le ragioni che in passato li avevano sospinti all'occupazione di territori in ogni parte del globo. Solo più. tardi il movimento avrebbe ripreso vigore: ed allora anche per l'Italia, dopo un faticoso avvio del
C. DE LANNoY, VAN DER Histoire de l'expansion coloniale des peuples européens, Paris, 1907-1911; G. MoNDAINI: Storia coloniale dell'epoca contemporanea, 1916; N. NALDONI: LA politica economica coloniale dell'Europa nell'età moderna, Roma, 1930; DE CAT ANGELINO A.: Le problème colonia!, 's-Gravenhage, 1932.
(.3) CIASCA, op. cit., pag .31.
(4) Cfr. A. ZIMMERMANN: Kolonialpolitik, Leipzig, 1905; J. R. SEELEY: L'espansione dell'Inghilterra, Bari, 1928; P. GAFFAREL: Notre expansion coloniale en Afrique del 1870 à nos joùrs, Paris, 1918; G. HANOTAUX, A. MARTINEAU: Histoire d es colonies françaises et de l' expansion française dans le m onde, Paris, 1929.
consolidamento interno, con l'enorme dilatarsi dell'emigrazione sarebbe venuto il momento di tentare le vie della conquista. Prima ancora dell'unificazione, si erano avuti in Italia progetti per fondare colonie (5): il regno delle Due Sicilie aveva aperto trattative con il Portogallo per esaminare la possibilità di trovare oltre oceano un luogo di deportazione per i propri condannati; il regno di Sardegna, sollecitato dalla sua amministrazione carceraria, era stato indotto fin dal 1852 a prendere in considerazione l'eventualità di stabilire una colonia penale ( 6 ); tra il 1858 e il 1860 erano state avanzate proposte al Cavour (7) per l'acquisizione di basi sulla costa occidentale del Mar Rosso e per la costituzione di una colonia agricola sarda nella regione dei Bogos, da parte di missionari quali mons. Massaia e il padre Stella ( 8 }. Due anni più tardi, al tempo dell'alleanza dinastica della casa Savoia con quella di Braganza con il matrimonio tra re Luigi di Portogallo e la principessa Maria Pia figlia di Vittorio Emanuele II, il governo di Torino, riprendendo il progetto borbonico di alcuni anni prima, aveva avviato dei contatti con Lisbona al fine di ottenere una concessione nell'Africa australe, contatti che non portarono ad alcuna conclusione per il levarsi allarmato dell'opinione pubblica portoghese contro la
(5) V. il cit. volume del CIASCA, pagg. 16-17.
(6) Molti particolari al riguardo in G. GoRRINI: I primi tentativi e le prime ricerche di una colonia in Italia (1861-1882), pubblicato in appendice a BRUNIALTI: Le colonie degli italiani, nel IX vol. della « Bibl. di scienze politiche e amministrative», s. II, pagg. 521-545; così pure presso G. MoNDAINI: Manuale di storia e legislazione coloniale del Regno d'Italia, vol. I: Storia coloniale, Roma, 1927, pagg. 5-11.
(7) L'interesse del governo sabaudo per quella regione africana si era già manifestato sin dal 1854 con l'istituzione di un vice-consolato a Khartum: dr. Ant. Brun Rollet e i primordi del consolato sardo a Chartum, in «Rivista coloniale», 1926.
(8) C. CESARI: I nostri precursori cÒloniali, Roma, 1928; A. BLESSICH: Lineamenti di storia missionaria contemporanea in Africa orientale, in« Atti del III Congresso di studi coloniali», Roma, 1937, vol. IV, pagg. 377 e segg.; R. TRUFFI: Precursori dell'impero italiano, Roma, 1937; ed altri. Sul Massaia in particolare, cfr. L. DEI SABELLI: Storia di Abissinia, Roma, 1938, vol. III, pagg. 104-108.
pretesa italiana di conseguire non soltanto il possesso, ma anche la piena sovranità su un'eventuale enclave nell'Angola o nel Mozambico. Come si vede, alla base di tutte le proposte del tempo in materia coloniale era l'intento di stabilire oltremare un luogo per deportarvi buona parte dell'esuberante popolazione carceraria (9), sull'esempio di Roma antica, dove la deportatio e l' exilium erano stati utilizzati per colonizzare regioni spopolate e barbare, e più ancora sull'esempio contemporaneo della Gran Bretagna e della Francia: la novità dell'iniziativa italiana consisteva soprattutto nel fatto che al governo di Torino e di Firenze, poi di Roma, era assolutamente indifferente l'ubicazione del territorio da occuparsi e la sua natura, cosl che, successivamente, vennero intavolate trattative a tale scopo relative alle isole Nicobare (lO), alle Maldive e a Socotra ( 11) nell'oceano Indiano, a località varie dell'Indonesia, della Nuova Guinea, delle Fi-
(9) Sul problema, allora di attualità, della deportazione dei criminali, cfr. M. BELTRAMI ScALIA: La deportazione e il codice penale, in appendice al volume di L. CARPI: Delle colonie e dell'emigrazione d'Italiani all'estero, sotto l'aspetto dell'industria, commercio, agricoltura, con trattazione d'importanti questioni sociali, Milano, 1874; Io.: La riforma penitenziario in Italia, studi e proposte, Roma, 1879; ed F. SARRI: La questione coloniale, Milano, 1935.
( 10) Nel 1864, il ministro dell'agricoltura, industria e commercio, Luigi Torelli, propose l'acquisto delle isole Nicobare, appartenenti nominalmente alla Danimarca, per destinarle a colonia penitenziaria: il progetto venne però abbandonato con la caduta del gabinetto Minghetti. Quattro anni più tardi, avendo la Danimarca rinunciato al possesso di quelle isole del golfo del Bengala, salvo il diritto di prelazione da parte dell'Inghilterra, furono iniziate trattative a Londra e a Copenhagen: ma il governo italiano finì per rifiutare definitivamente l'offerta, adducendo a motivo la lontananza e l'insalubrità delle Nicobare, così che queste vennero poi occupate dalla Gran Bretagna nel 1869.
( 11) Una commissione nominata nel 1871 sotto la presidenza del Negri sconsigliava ogni stabilimento di colonia penale in Oceania e scartava anche il territorio di Assab, acquistato due anni prima dal Sapeto per la Compagnia Rubattino: si raccomandava invece l'isola di Socotra allargo del capo Guardafui nell'oceano Indiano, sulla quale per altro, per motivi strategici, aveva già messo gli occhi l'Inghilterra, che finì con l'occuparla nel1876.
lippine, delle Antille (12), e addirittura della Groenlandia, delle Aleutine e delle Falkland.
Fra tali progetti, la maggioranza dei quali rimasero allo stato di semplici ipotesi, il primo che sembrava partire da basi abbastanZa fondate fu quello relativo a Sumatra. Venne formulato da im singolare tipo di viaggiatore ed esploratore, tale Cesare Celso Moreno, che il 15 febbraio 1865 indirizzava una lunga relazione ( 13) al ministro del commercio, nella quale proponeva che l'Italia occupasse, per mezzo di lui , la parte di Sumatra ancora non sottoposta alla dominazione olandese, precisamente la regione di Achin, che copre l'estremo nord dell'isola e fronteggia la penisola di Malacca, estendendosi « fra l'equatore ed il 5o grado di latitudine nord e fra il 90° e il l 02o « meridiano ad est di Greenwich >>. Il. Moreno raccontava diffusamente i suoi precedenti viaggi nella zona, narrando come in seguito ad avventurose circostanze fosse divenuto l'uomo di fiducia del rajah di Achin, Siry Rajah Alaidin Sardar, dal quale aveva ottenuto un'isola in perpetuo dominio e la formale promessa di cedere territori all'Italia ove questa inviasse truppe e coloni.
Appoggiata dalla Cameta di commercio di Genova nell'aprile del '65 e considerata abbastanza favorevolmente dal ministro del commercio Torelli (14), che il 24 aprile 1867 invitava il suo
( 12) Trattative furono intavolate con la Danimarca per ottenere S. Croce o qualche altro isolotto delle Antille danesi, che quello Stato stava sul punto di cedere agli Stati Uniti, e con la Svezia relativamente all'isola di S. Bartolomeo, di cui intendeva liberarsi: fallirono per la palese ostilità degli Stati Uniti nei confronti di qualsiasi potenza volesse stabilirsi nell' America centrale.
{13 ) Testo in A.C.R.M., busta 10.
(14) Si veda, ibidem, la lettera che il ministro Torelli inviava al ministro della marina: « Il secondo le fatte intelligenze, ha preso in esame il progetto del Sig. Cesare Moreno ed è venuto nelle seguenti considerazioni, che ha l'onore di sottomettere : Il progetto Moreno solleva tre ordini di quistioni che è d'uopo esaminare partitamente e che io farò colla maggior possibile: Primo, se l'Italia deve pensare a stabilire colonie all'estero, e qual è la parte che spettar dovrebbe al Governo; Secondo, se l'isola di Sumatra sia opportuna per uno stabilimento di tal natura; Terzo , se ed in quanto i mezzi proposti dal Sig. Cesare Moreno
collega alla marina, gen. Pescetto, a spedire in loco un'unità da guerra (15), la proposta Moreno veniva in seguito sottoposta aldi un'apposita commissione di studio, di cui faceva parte
siano accettabili dal Governo italiano ... Gli è evidente che, al costituirsi della nazione in un corpo solo, essa debba cercare relazioni commerciali dirette coi paesi transoceanici ed espandere all'estero la sua forza per accrescere le proprie risorse e dare un campo nuovo alla propria attività. Come principio, il Governo deve cercare di promuovere e di aiutare con ogni mezzo qualunque impresa che avesse una tendenza simile, imperocché il commercio, il quale si opera dietro grandi navigazioni, ha bisogno di luoghi di deposito, di stazioni, di punti di . convegno, ove possa agglomerarsi un nucleo di connazionali interessati a mantenere vive le comunicazioni colla madre patria Stabilimenti quali l'Italia abbisogna per estendere i suoi commerci ed avviarne di nuovi, non potrebbero in via ordinaria aver vita se non per la volontà e il concorso del Governo. E come il sottoscritto è d'avviso che esperimenti di stazioni commerciali e di colonie, bene ideati nei loro primordii e continuati con perseveranza, debbono in breve mutare essenzialmente ie condizioni dei nostri commerci, e dare alla nostra marina mercantile un obbiettivo più grande ed un successo non dubbio, opina in massima doversi accogliere e studiare progetti che tendano al conseguimento di tale scopo e di cui, dopo ponderato esame, il Governo stesso abbia a farsene iniziatore».
(15) La lettera in parola, dopo aver sommariamente esaminato l'opportunità dei luoghi scelti dal Moreno, e dopo aver accennato alla complessità dei problemi internazionali che l'iniziativa avrebbe potuto creare, concludeva asserendo che, pu:r avvalendosi dell'opera del Moreno stesso, sarebbe stato bene affidare il prosieguo delle trattative ad ufficiali della marina militare, inviando nella Sonda un'unità da guerra: « Il Sig. Moreno ha visitato l'isola e le notizie che egli ci dà sulle condizioni sue naturali concordano con quelle che ci offrono i geografi. Niun dubbio che la conoscenza personale delle località, della lingua, dei costumi degli abitanti, ed i rapporti che può aver incontrati con qualche capo lo farebbero un utile strumento per iniziare un'opera di questo genere... Il Governo non può confidare in lui in modo assoluto ed è costretto a fare le necessarie riserve, e può giovarsene come un utile intermediario in una prima esplorazione dei luoghi e quale ausiliario nei negoziati che saranno per intavolarsi col Rajah a nome di S.M. il Re d'Italia. Tale è il concetto concreto che il sottoscritto si è formato di questa pratica e la proposta che conseguentemente ne fa ai suoi colleghi. Giova che la nostra Marina da guerra abbia ad intraprendere frequenti viaggi d'istruzione. E' necessario scegliere un ardito ufficiale che sappia all'uopo trattare una diplomazia nuova a noi qual è quella con i capi dei Suo uffizio sarà visitare e ri-
il Bixio, e da questa era respinta come vaga, incerta e contraddittoria (16 ).
Le prime attuazioni dell'idea di far eseguire da navi della marina militare la ricerca di un territorio adatto allo stabilimento di una colonia penitenziaria si ebbero quando, nel 1867, il ministero della marina, d'intesa con quello degli esteri, inviò in Mar
conoscere le località, entrare in rapporti col re di Achin, profferirgli l'amicizia dell' Italia, chiedergli , dietro compenso di aiuti e di denaro, una zona di territorio sufficiente a fondare un primo stabilimento. In questa sfera il Sig. Moreno può prestare i suoi servigi. Questa prima spedizione è necessaria a preordinare l'opera della colonia, alla quale poscia è da sperarsi concorreranno le forze tutte del paese ». Il ministro Pescetto, nella sua immediata risposta, dopo essersi assodato pienamente all'esposizione, alle giustissime riflessioni ed alle conclusioni del collega, co'sl continuava: che il progetto della colonizzazione di Sumatra sia da prendere in seria considerazione e debba essere sottoposto, come già deciso in Consiglio dei Ministri, allo studio di una Commissione che ne riferisca formulando nette e pratiche proposte. Io bo già invitato le Capitanerie di Porto di Genova , Napoli e Palermo a vedere se sianvi dei Capitani marittimi che abbiano approdato in qualcuno dei punti di quell'isola... per riferie sulle condizioni dell'isola e p:micolarmente sui punti sopra citati. Propongo fin d'ora per la Commissione suddetta il Deputato Luogotenente Generale Bixio il quale naufragò a Sumatra appunto e rimase per qualche tempo prigioniero di quegli indigeni».
(16) Cfr. verbale del 19 giugno 1867 (ibidem): «La Commissione, creata con decreto del 24 maggio 1867 del Ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio, con l'incarico di riferire sulla proposta del geometra Signor Cesare Moreno da Mondovì di colonizzare una patte dell'isola di Sumatra, visto il progetto medesimo, udito nella seduta del 18 corrente il Signor Moreno stesso, udito in quella di questa sera il Signor
G. B. Beccati, presa cognizione dei documenti forniti dal Ministero e delle relazioni scritte e verbali del Commissario Capitano La Mattina e del Commissario Capitano Ghigliazza, sentiti i ricordi verbali del Generale Bixio, opina che i] progetto e le esposizioni fatte dal Signor Moreno abbiano basi troppo vaghe 1 incerte e contraddittorie tra loro, e contraddette dai membri della Commissione che visitarono quei luoghi, e qOJindi non meritino di essere raccomandate dalla Commissione al Governo. F.to M. Cesaretto, delegato del Ministero del commercio; Barbolani, rappresentante del Ministero degli esteri; Bixio, rappresentante del Ministero della marina; La Mattina, Capitano Marittimo; Gbigliazza, Capitano Marittimo; M. Padova, Segretario
Rosso il cap. freg. Bertelli, comandante della corvetta Ettore Fieramosca, affinché ne studiasse il litorale africano, e quest'ufficiale concluse i suoi rapporti sconsigliando assolutamente le regioni a sud di Suez per il clima torrido e la mancanza di acqua che le rendono inabitabili agli europei, nonché per l'assenza di buoni porti, esprimendo il parere che, se mai, sarebbe stato più idoneo allo scopo una qualche località oltre Bab-el-Mandeb sulla costa della Somalia, ricca di merci preziose; e quando, due anni dopo, quella medesima corvetta venne spedita sulle coste atlantiche del Marocco ed il suo nuovo comandante , Raffaele Noce, fu sollecitato ad esaminare se vi fossero su quelle spiagge posti atti a stabilirvi una colonia di deportazione: il Noce esplorò nel corso di una brevissima crociera il tratto di litorale compreso tra il capo Ghir e il capo Nun, allora assai poco conosciuto, senza trovarvi alcun punto suscetibile di divenire un sicuro ancoraggio ( 17 ).
In quello stesso pe:iodo veniva compiuto il primo periplo del globo da parte di un'unità da guerra del nuovo Stato nazionale: il famoso viaggio di circumnavigazione della pirocorvetta Magenta (18), al comando del cap. freg. Vittorio Arminjon, im-
(17) Cfr. LEVA, op. cit., vol. I, pag. 173.
(18) La spedizione era stata progettata fin dal 1862 (A.C.R.M., busta 8, cart. 11). Tuttavia, fu soltanto nel 1864 che cominciò l'effettiva preparazione del viaggio: in un primo momento il Presidente del Consiglio Minghetti ed il Ministro della marina Cugia pensarono di inviare con una nave da guerra in Estremo Oriente il capo dei consolati al ministero degli esteri, Cristoforo Negri , per stipulare a Yeddo e a Pechino delle convenzioni commerciali simili a quelle che vari paesi occidentali avevano già stretto con il Giappone e con la Cina: il 7 agosto il Cugia impartiva istruzioni sulla scelta dell'equipaggio, che doveva essere bello e militare aspetto» (il che non impedl che diversi marinai cosl selezionati disertas· sero a Montevideo nel gennaio '66: dr. A.C.R.M., busta 8, pacco 66). La nave avrebbe accolto a bordo anche alcuni padri missionari; gli interessi commerciali dell'I tali a dovevano costituire lo « scopo essenziale che si ha in vista eli raggiungere con tale viaggio ,. ; in secondo luogo si sarebbero compiute rilevazioni scientifiche nei settori idrografico e delle scienze naturali; la data della partenza venne stabilita per l'ottobre del 1864. Questa fu poi rinviata e se ne riparlò con il Presidente Lamarmora e il nuovo
presa alla quale si è precedentemente accennato. La nave, varata a Livorno nel 1862, dislocava 2.540 tonn., era armata con 20 cannoni in batteria e munita di un apparato motore della potenza di 500 HP circa. Partita da Montevideo, dov'era stazionaria , il 2 febbraio 1866, la Magenta fece rotta verso est, passando molto al largo del capo di Buona Speranza e risalendo l'oceano Indiano in direzione delle isole della Sonda, dove giunse alla fine di aprile avendo navigato per tre mesi senza toccar terra ed essendo scampata a due violente tempeste. Da Batavia, per Singapore e Saigon, la corvetta arrivò a Yokohama il 5 luglio (19 ).
ministro della marina Angioletti l'anno successivo: scelta definitivamente la Magenta come l'unità più adatta alla missione, il comandante Acton, designato in un primo tempo all'impresa, venne sostituito con il cap. freg. Arminjon, che fu mandato a Parigi a prendere contatto con una missione giapponese allora in Europa; si rimaneggiò lo stato maggiore, cosl che degli ufficiali prima scelti non ne rimasero che due, il sottoten. vasc. Arese e il guard. Guevara-Suardo (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 85); si riconfermarono gli scopi pacifici della crociera (A.C.R.M., busta 7, cart. NeutraJ.ità della Magenta ). Per il viaggio venne stanziata la somma di 300.000 lire, che sembrò eccessiva al ministro delle finanze. Intanto la corvetta era stata inviata fin dall'aprile del 1865 al Rio de la Plata per prendervi il posto della Fulminante, e mentre era stazionaria colà ricevette l'ordine di attendere il suo nuovo comandante, che l ' avrebbe raggiunta con la Regina, portando rifornimenti e casse di regali per le autorità giapponesi e cinesi. Una volta iniziata la crociera, le finalità scientifiche della circumnavigazione venivano ancora sottolineate nelle istruzioni supplementari che il ministro Angioletti fece pervenire all'Arminjon a Singapore, il 23 marzo 1866: ·« ...non dubitando che la missione avrà quell'esit<> felice che il Governo si attende dal noto zelo ed abilità di V. S non dubita il sottoscritto che la parte scientifica sarà accuratamente studiata dallo Stato Maggiore della Magenta e sotto la sua direzione ... è fuor di dubbio ch'Ella presenterà al suo ritorno dei lavori importanti per l'idrografia e le scienze naturali ... »
(A.C.R.M., busta 6, cart. Magenla -Pirocorvetta - Viaggio alla Cina e al Giappone; altri particolari sono reperibili ibidem, cart. 11, Magenta - Viaggio di circumnavigazione, e pacco 66; anche in A.U.S.M. cassetta 1334, fase. 6; ed una dettagliata narrazione presso il LEVA, op. cit., vol. I, pagine 60-86).
(19) Particolareggiate descrizioni dei luoghi visitati nel corso della biennale missione sono contenute nella relazione pubblicata, al ritorno, dallo scienziato dott. Giglioli, che partecipò alla crociera in qualità di na-
Quivi giunto, l'Arminjon, munito delle credenziali di mmtstro plenipotenziario, si accin->e ad intavolare trattative con il governo shogunale, conformemente alle istruzione ricevute, che lo incaricavano di stabilire relazioni diplomatiche con il Giappone e con la Cina, paesi con i quali fino ad allora l'Italia non aveva avuto alcun rapporto ufficiale. Purtroppo in quel momento lo ShogOn era assente (20), impegnato in una lotta con il daimio ribelle Nagato: cosl che soltanto un mese più tardi si ottenne la sua approvazione di massima ed il trattato, redatto in una serie di incontri tra il comandante italiano e il governatore degli affari esteri (all'incirca direttore generalt) dello shogunato, Shibata Hingano Kami, non fu pronto per la firma che il giorno 25 agosto (21 ).
turalista quale assistente del senatore prof. De Filippi, purtroppo deceduto a Hong Kong nel febbraio 1867 (E. H. GIGLIOLI: Viaggio intomo ai mondo della R. Pirocorvetta "Magenta" negli anni 1865-66-67-68 , Milano, 1876). Ulteriori dettagli si leggono nelle memorie del protagonista dell'impresa diplomatico-marinara (V. ARMlNJON: Il Giappone e la missione della" Magenta", Genova, 1869) e negli articoli di C. NEGRI: Il viaggio della" Magenta", in« Bollettino della Società geografica italiana», I (1868), pag. 71 e segg., e VII (1872), pagg. XXVIII e 167-169.
(20) Il potere shogunale, come è noto, stava volgendo al suo termine. Un anno dopo la visita della Magenta, l'ultimo degli sbogiìn, il « taikun » Yoshinobu, fu costretto a dimettersi dalla dittatura che la famiglia Tokugawa esercitava da 265 anni e consegnò il potere nelle mani dell'imperatore Mutsuhito (Meiji).
(21) Il testo integrale del trattato è in AM.E.R., pos. l Giappone, busta 25; è anche riprodotto in ARMINJON, op. cit Aveva la forma di un patto di amicizia (art. l: « Vi sarà pace perpetua ed amicizia costante tra Sua Maestà il Re d'Italia e Sua Maestà il Taikun del Giappone, i loro eredi e successori, come pure tra i loro soggetti rispettivi, senza eccezione di persone e di luoghi»); oltre a concedere agli italiani libertà di residenza e di attività mercantile nelle città e porti di Yokohama, Nagasaki e Hakodate, libertà di religione e di cultq e garanzie giuridiche, assicurava alle parti contraenti le condizioni della nazione più favorita; conteneva infine un regolamento commerciale simile a quelli già in vigore tra il Giappone e le altre potenze (con liste dei prodotti ammessi, ammontare dei diritti doganali, modalità per gli scambi, ecc.). L'Italia accettava - era stata questa la condizione pregiudiziale posta dallo shogiìn - che si omettesse nel trattato ogni accenno ad un'eventuale apertura avvenire di altri porti oltre quelli menzionati, ma le veniva assicurato il diritto di godere libera-
Durante la sua permanenza nel paese del Sol Levante, la Magenta fu accolta ovunque con cordialità e cortesia, non soltanto dai pochi italiani ivi residenti, ma dalla popolazione indigena: « questa constatazione » scrive il Leva (22) « insieme al « modo come le trattative si svolsero, stanno a testimoniare il sen« no politico ed il tatto di cui il Comandante Arminjon dette pro« va. Egli riuscì in un momento delicato della politica interna giap« ponese ad ottenere in pochi giorni quanto il Governo italiano
« desiderava, mentre geloso custode dell'onore e del prestigio del « nostro paese, si adoperava in pari tempo ad infondere quel ri« spetto che egli voleva prendesse subito buona radice in quelle
« popolazioni che ancora non ci conoscevano ». Da Yokohama la nave italiana procedette il 1° settembre per la rada di Taku, donde l'Arminjon si recò a Pechino. Il trattato che riuscì a concludere il 6 ottobre 1866 con il governo imperiale ( 23) superando non lievi difficoltà dovute soprattutto alla questione dei « coolies » che avvelenava in quel momento i rapporti dei cinesi con gli occidentali (24 ), conteneva, al pari di quello italo-giapponese, la clausola della nazione più favorita ed apriva all'Italia nove porti, concedendo alla nostra futura rappresentanza di poter risiedere nella capitale, come quelle della Francia e della Gran Bretagna , anzi che a Tien Tsin, come quelle di tutti gli altri paesi. Nel lungo e lento viaggio di ritorno, la Magenta si fermò sulla costa del Kuang Tung per eseguirvi delle esplorazioni scientifiche, quindi a Hong Kong, a Batavia, dove riparò alcune avarie , ed infine a Melbourne e a Sidney, festeggiatissima dalla co-
mente di qualsiasi immunità, privilegio o vantaggio che venisse accordato in futuro per qualsivoglia motivo a qualunque altra nazione.
( 22) Op. cit. , vol. I, pag. 70.
( 2.3) Se ne può vedere il testo integrale in ARMINJON: La Cina e la Missione Italiana nel1866, Firenze, 1875. Accompagnavano il trattato nove regolamenti commerciali e le tariffe delle importazioni e delle esportazioni.
( 24) Si trattava della tratta della mano d'opera cinese verso alcuni porti occidentali del Sud America e verso Cuba, svolto in parte con navi battenti bandiera italiana: aveva come centro il porto di Macao e lo scopo di sostituire gradatamente nell'America latina la mano d'opera indigena e nera con quella gialla.
lonia italiana in Australia. Attraversato poi senza soste il Pacifico, arrivò in 49 giorni al Callao, il 12 agosto 1867: alla fine del mese ripartì per le coste cilene, restò un mese a V alparaiso e poi per il canale di Magellano ritornò in Atlantico: durante il passaggio, vennero effettuati rilevamenti e triangolazioni di alcuni punti mal conosciuti del Canale (English Narrows ). A fine anno raggiunse Montevideo donde era partita, accolta con entusiasmo dagli equipaggi della divisione italiana dell'America meridionale. La sera del 28 marzo 1868, dopo aver attraversato per la terza volta l'Atlantico, la corvetta gettò l'ancora nel porto di Napoli, ricevuta con indifferenza dall'Italia ufficiale (25). Eppure, quella nave aveva portato per la prima volta nell'Estremo Oriente, pochi anni dopo la nascita dello Stato unitario, la voce della nuova, lontana entità nazionale europea: ed appariva già come la voce di un contraente credibile, quella che veniva dal comandante di un'unità della flotta, giunta nella baia di Tokio tredici anni soltanto dopo l'arrivo della squadra americana di Perry (26 ).
(25) «Non si creda» scrive il GIGLIOLI (op. cit.) «che io parli per sentimento personale, tutt'altro: come individuo, sono alieno dalle feste e dal rumore, né mi posso lagnare certo del trattamento èhe ebbi personalmente al compimento del viaggio, ma parlo per quel bravo equipaggio il quale sia sotto i raggi cocenti del sole equatoriale, sia in mezzo ai miasmi letali della Cocincina e della Malesia, o tra i ghiacci, le pioggie e le nebbie della Patagon ia, fece sempre alacremente il proprio dovere: il quale nei porti dove ancorammo si fece sempre notare per l'ordinata sua condotta sugli equipaggi delle altre marine. Cosa ci voleva a dire due parole d'encomio a quei bravi marinai, a far loro una festicciola, e mandarli contenti alle loro case dove molti andavano definitivamente, avendo compiuto il tempo del loro ingaggio? Fu male, lo ripeto, che i primi marinai italiani che fecero il giro del globo fossero accolti senza un saluto, fossero licenziati senza una parola di lode ».
(26) All'Armiojon, per altro, non vennero lesinati riconoscimenti ed elogi: dopo la crociera, promosso capitano di vascello, venne chiamato a far parte dd Consiglio di ammiragliato e a dirigere la Scuola di marina di Genova. Lo si è visto poi prendere imbarco sulla Castelfidardo (dal 20 luglio al 16 ottobre 1876) per la ricognizione delle coste albanesi e tenere il comando della seconda divisione della squadra permanente fino all'aprile del 1877, quando fu collocato a riposo con il grado di contrammiraglio (dr. G. RoNCAGLI: Il Contrammiraglio Vittorio Arminion, in «Bollettino della Società geografica italiana», XXXIV (1897), pagg. 65-69).
Un mese dopo il ritorno della Magenta partiva da Genova la corvetta ad elica Principessa Clotilde (27), al comando del cap. freg. Carlo Alberto Racchia. Tra i compiti affidati a questa unità, destinata principalmente come stazionaria in Estremo Oriente allo scopo di completare l'opera dell'Arminjon e di stipulare altri accordi diplomatico-commerciali con altri paesi di quell'area, rientrava quello della ricerca di un territorio, nell'arcipelago della Sonda o nelle regioni finitime, per la fondazione di una colonia penale. Questo incarico secondario aveva dato luogo a discussioni fra il Menabrea, presidente del consiglio e ministro degli esteri, e il ministro della marina Riboty, sottolineando il primo l'importanza e l'urgenza dell'acquisizione del territorio per la colonia penitenziaria, ed obbiettando il secondo che le difficoltà di bilancio non permettevano di destinare appositamente un'unità a tale esclusiva ricerca e proponendo che se ne occupasse il Racchia, se e quando la sua nave avesse potuto assentarsi dalle acque cino-giapponesi (28).
(27) Costruita alla Foce nel 1864, aveva un dislocamento di 2.180 tonn. ed era armata con 14 cannoni in batteria; la macchina aveva una potenza di 400 HP. Essendo una nave mista, cioè a vapore e a vela, non era particolarmente efficiente né come veliero né come bastimento a vapore, specialmente perché la provvista di carbone che era possibile accogliere a bordo non era sufficiente che per un ristretto numero di or_e di navigazione ( 100 ore a tutta forza: op. cit., vol. I, pag. 88).
(28) Cfr. in A.U.SM., busta 105, fase. 3, la lettera del Menabrea al Riboty in data 10 agosto 1868: «E' gran tempo che il Governo del Re riflette ai vantaggi che molti fra i rami della Pubblica Amministrazione, e segriatamente quello della punitiva giustizia, risentirebbero dalla possessione di un territorio oltremare, situato a ragguardevole distanza dalla madre patria, dove possa aver sede sicura e salubre una colonia penitenziaria. Né andrà molto che siffatto possesso diverrà pur anche un bisogno assoluto, quando cioè fosse introdotto il nuovo codice penale italiano, di cui già si conosce il progetto, essendo in esso stabilita qual pena principale la deportazione. Gli sforzi fatti insino ad ora per scegliere una località conveniente all'oggetto indicato non riuscirono ad utile effetto... perché considerazioni politiche od alue di varia natura posero ostacolo all'attuazione... E' perciò necessario che si ponga mano, quanto più presto sarà possibile, al compimento di tale disegno. A questo scopo, il provvedimento più vantaggioso ad esser prescelto sarebbe quello di un viaggio di speciale espio-
La Principessa Clotilde, toccata Gibilterra, circumnavigata l'Mrica, fatto scalo alla Colonia del Capo, mise la prua su Singapore, dove giunse il 27 settembre 1868; dopo brevi soste a Labuan, Manila e Hong Kong, arrivò finalmente il 24 dicembre a Yokohama (29). Avendo svernato in quel porto, la corvetta fu chiamata nell'aprile seguente a Shanghai, per disposizione del ministro italiano in Cina e Giappone De La Tour; quindi fece ritorno a Yokohama per restarvi sin verso la fine dell'anno. Fu nel corso del 1869 che il ministero degli esteri completò le istruzioni impartite al Racchia circa i compiti esplorativi che avrebbe dovuto assolvere quando fosse giunto il momento di distogliere la nave dalle acque del Giappone (30): cosl che il comandante
razione, intrapreso da una nave della R. Marina, al cui Comandante fossero impartite particolari istruzioni riflettenù l'oggetto, compilate di comune accordo fra i vari Dicasteri interessaù... »; e la pronta risposta del ministro della marina, del 12 agosto: « Lo scrivente è oltremodo dispiacente che le condizioni del bilancio della Marina gli vietino in modo assoluto di destinare una nave appositamente per la spedizione di cui è caso. Come è già noto a codesto Ministero, se gli avvenimenù ultimi in Giap· pone non avessero influito a dar ordine alla Principessa Clotilde di recarsi direttamente in quella contrada, al Comandante di detto R. Legno dovevano darsi istruzioni nel senso che ponesse ogni cura alla ricerca di un sito per stabilirvi una colonia penitenz.iaria. Se pertanto codesto Ministero crede che per qualche tempo la presenza della Pr. Clotilde nelle acque del Giappone non sarà più necessaria, lo scrivente, nel far proseguire al detto Legno il viaggio che era in progetto, sarà ben lieto di dargli istruzioni nel senso che sarà stabilito per lo scopo che fa oggetto della nota a cui si risponde ».
(29) I particolari del viaggio sono descritù nei rapporti del Racchia (A.U.S.M., busta 105, fase. 3 ); dr. anche LEVA, op.cit., vol. I, pagg. 8ì-124.
(30) Mentre in tutto il carteggio interministeriale svolrosi sull'argomento nell'anno 1868 non veniva mai esattamente definita la posizione geografica in cui avrebbe dovuto trovarsi la località da destinare a colonia di deportazione, con l'anno seguente si cominciò ad orientare la scelta sull'isola di Borneo. Cosl, in una lettera del ministro degli esteri, a quello della marina, in data 6 gennaio 1869, si legge: «L'importanza dell'argomento, segnatamente per ciò che concerne la possibilità di fondare uno stabilimento sulle coste di Borneo, ha deciso il sottoscritto a scrivere direttamente al Comando della Pr. Clotilde per avere dal medesimo una relazione dettagliata... Sin d'ora, ed anche soltanto dietro le informazioni
della . Principessa Clotilde, nel salpare da Hong Kong il 13 gennaio 1870, poteva precisare in una missiva al suo ministro quale sarebbe stato l'itinerario della sua crociera: Manila, Balambangan, costa nord di Borneo, Labuan, Molucche, costa sud di Borneo, Makassar, Nuova Guinea e ritorno (31 ). Effettivamente la
avute, sembra a chi scrive che il R. Governo dovrebbe frapporre il minor indugio possibile ad inviare a Borneo un Legno della Marina per esaminare minutamente ogni cosa ed anche per entrare in trattative positive e concrete per l'acquisto del territorio che è necessario allo stabilimento ... Se l'invio di altra nave dello Stato dovesse essere molto ritardato, converrebbe forse che la Pr. Clotilde ricevesse istruzioni di recarsi di nuovo a Borneo ». Nella stessa data, infatti, il ministro degli esteri aveva scritto al Racchia: « Dal Ministero della Marina mi vennero comunicate le osservazioni interessantissime che Ella ha fatto al suo passaggio a Borneo. Bramerei che quelle osservazioni fossero ora da Lei completate ed esposte in una relazione a questo Ministero circa la facilità che presenterebbe lo stabilimento di una colonia penale sulle coste di quella isola. Il rapporto che le domando dovrebbe contenere una descrizione della località che si vorrebbe scegliere e ciò avutO riguardo tanto alle condizioni geografiche ed idrografiche che alla situazione politica attuale del territorio e alle difficoltà che si dovrebbero vincere a mantencrvisi. Lo stabilimento ... dovrebbe essere capace di almeno 10 a 15 mila deportati e dovrebbe per la fertilità e per altre produzioni naturali del paese fonire alla numerosa colonia i necessari mezzi di sussistenza ... ». Più tardi, quando la missione della corvetta nelle acque cino-giapponesi volgeva al termine, il ministero della marina precisò ulteriormente al Racchia gli obiettivi cui doveva mirare nel viaggio di ritorno, come risulta da una lettera del 28 settembre 1869: <<Il Comandante della Clotilde dovrebbe eseguire la missione ordinatagli, cioè la perlustrazione del vasto gruppo di isole che si estendono all'Est di Borneo e della parte Nord dell'isola medesima, allo scopo di trovarvi un'isola o un territorio atto a fondarvi una colonia penitenziaria. Qualora l'esplorazione a Borneo ed isole adiacenti non desse il risultato che se ne ripromette, l'unica altra zona interessante da esplorarsi con speranza di successo sarebbe quella all'Est dell'Australia» (A.U.S.M., buste 105, fase. 3 e 108, fase. 2).
(31) «Partendo da questa rada (Hong Kong) farò poi vela per Manilla, ove debbo raccogliere interessanti ed indispensabili informazioni sulle pretensioni del Governo spagnolo a proposito delle parti settentrionali di Borneo e delle isole adiacenti. Di là muoverò per lo stretto di Mindoro e, navigando lungo la costa est di PaJawan, ho intenzione di approdare alla isola di Balambangan che travasi a poca distanza dalla estremità settentrionale di Borneo e che fu molti anni addietro per qualche tempo nelle mani degli in-
missione si svolse, nello spazio di cinque mesi, sul percorso stabilito, con soste nell'isola di Gaya, a Pontianak nel Borneo occidentale, a Giava, a Makassar, a Mindanao e all'isola di Sandakan, terminando il viaggio a Saigon, come previsto. Dei primi risultati della sua esplorazione il Racchia informava il ministro della marina con un lungo rapporto da Batavia in data 23 marzo 1870, patrocinando la scelta dell'isola di Gaya o di quella di Banguey, che si sarebbero potute ottenere dal sultano di Brunei e dal sultano di Sulu, a condizione per altro che il governo britannico desse la sua approvazione (32).
glesi. Visiterò minutamente quest'isola che sembra presentare molte risorse, e trovasi in posizione importantissima a cavaliere fra il mare della Cina e quello dell'arcipelago di Sulu. Navigando lungo la costa ovest di Borneo, visiterò Ambong, Labuan e quindi la importante isola di Grande Natuna. Da qui, per recarnù nel mare delle Moluccbe farò una breve apparizione a Batavia dove potrò munirmi di nuove e recenti carte dei mari e dei passaggi che dovrò attraversare ed attingere importantissime ed indispensabili informazioni circa la estensione reale dei possedimenti e del protettorato olandese nell'arcipelago indiano (scil indonesiano ). Toccherò Bandjermassin sulla costa sud di Borneo, quindi Makassar, Aroboina e, se favorito dal tempo, mi spingerò fino a toccare qualche punto della Nuova Guinea, Ternate, l'ancoraggio di Kema, Zamboanga, Sulu nell'arcipelago che porta questo nome , e forse anche Sandakan, centro del traffico di questa grande isola ( Borneo ) con l'arcipelago di Sulu; quindi ripassando per lo stretto di Balabac visiterò una seconda volta, se sarà necessario, l'isola di Balambangan e, favorito dal vento di est, farò vela per Saigon dove calcolo potrò trovarmi verso la metà di aprile. Senza dubbio, molti ed interessanti saranno i risultati di un simile viaggio ma non conviene dissimulare che i climi .in cui dovremo soggiornare sono tutt'altro che salubri né molto propizia l'epoca dell'anno in cui ci troveremo in quei paraggi» (A.U.S.M., busta 105, fase. 3 ).
(32) Dopo aver riferito che l'isola di Balambangan, pur essendo sita in posizione strategica eccezionalmente favorevole, risultava però « non essere che una vasta palude, inadatta alla colonizzazione europea», il Racchia de. cantava Gaya con la descrizione seguente: «La vasta baia è il più bello e sicuro ancoraggio di tutta la costa di Ambong, e di facilissimo accesso. La parte settentrionale dell'isola di Gaya è libera da qualunque pericolo, e l'isola è coperta da elevate e grosse piante, con un terreno però eminentemente adatto alla coltivazione, solcato qua e là da rigagnoli di buona acqua potabile. In complesso dunque la baia di Gaya è certamente da considerarsi come il sito più importante della costa di Borneo: accessibile a navi di qualsiasi
Ritornata a Yokohama il 18 luglio, la corvetta continuò ad espletare le funzioni di nave stazionaria in quelle acque fino al 17 novembre, quando lasciò definitivamente il litorale nipponico. Nel viaggio di ritorno, l'unità raggiunse dapprima Bangkok, per attenervi la ratifica del trattato tra l'Italia e il Siam stipulato due anni avanti (3 3 ); appianate rapidamente le difficoltà insorte e ratificato il patto da parte siamese, il Racchia, sempre in veste di plenipotenziario, si recò con il suo bastimento a Rangoon, donde, risalendo l'Irawaddy con un piroscafo birmano, arrivò a Mandalay ( 3 4) e in breve tempo stipulò un tratta t o i taio-birmano simile a quelli precedentemente conclusi con gli altri paesi dell'Estremo Oriente. Infine, tornato a bordo della sua nave, per Calcutta, Ceylon, Aden e il canale di Suez, il comandante Racchia rientrava in patria nel luglio del 1871.
Presso che contemporaneamente al viaggio della Principessa Clotilde, aveva esecuzione un altro tentativo di esplorazione delle isole della Sonda effettuato da un civile. Il progetto, ideato dal gen. Menabrea sempre inteso ad assicurare all'Italia un territorio pur che fosse, ove fondare la colonia penitenziaria, si concretò in una convenzione segreta stipulata 1'11 agosto 1869 tra il governo italiano e il noto esploratore Giovanni Emilio Cerruti, con cui quest'ultimo si impegnava a trovare, entro quattro mesi,
dimensione, esse vi si trovano a riparo in ambedue i monsoni; le coste tutto all'intorno elevate e sane e di più contenenti carbon fossile in gran copia». Circa l'altra isola sullo stretto di Balabac, Banguey, per la cui posizione geografica valevano le medesime considerazioni fatte per Balambangan, il giudizio del Racchia era pure favorevole, reputandola « sotto ogni rapporto infinitamente superiore a Balambangan come terreno colonizzabile da europei »: ed aggiungeva: « avrei desiderato di poter ottenere la cessione dell'isola di Banguey ma il solo fatto che, dipendendo essa in parte dal sultano di Sulu, trovavasi in certo modo sotto l'alta sovranità nominale della Spagna ... mi trattenne dal far menzione dell'isola suddetta » (ibidem).
(33) Cfr. in proposito, anche A.C.R.M., busta 10.
(34) Favolose furono le accoglienze tributate dai birmani all'inviato italiano: al suo sbarco a Mandalay, il Racchia venne ricevuto da un imponente corteo formato da otto elefanti e mille uomini di scorta, che insieme a numerosa folla accompagnarono la missione alla residenza assegnatale (LEVA, op. cit., vol. I. pag. 117).
una località nella Nuova Guinea o nelle sue vicinanze capace di accogliere e sostentare circa 20.000 persone, dotata di clima salubre, abbondante di acqua potabile, ed avente almeno un porto ed un sicuro ancoraggio, accessibili a grossi bastimenti; era data facoltà al Cerruti di prendere possesso del territorio io nome proprio, dopo averne ottenuta la concessione dai potentati indigeni locali, a condizione che fosse ben certo che tali capi erano effettivamente indipendenti, cosl che non venissero lesi i diritti di altre potenze; l'atto di cessione doveva esplicitamente prevedere l'abbandono della sul territorio ceduto in favore dell'Italia. Munito di un rimborso-spese di 100.000 lire, somma rilevante per l'epoca, il Cerruti partiva immediatamente per Singapore, in compagnia di un suo fratello e del capitano del genio Di Lenna, incaricato dei rilievi topografici; colà giunto, si imbarcava sullo schooner britannico Alexandra appositamente noleggiato e faceva rotta per le Molucche il 13 novembre 1869 (35). Makassar, le isole Baciane, poi diresse per il Mare di Banda e visitò gli arcipelaghi delle Key e delle Aru a circa l 000 km a sud-est delle Batiane, poco sotto la Nuova Guinea. T ornando in Italia nella primavera seguente, l'esploratore portava con sé tre trattati, stipulati con il sultano di Salawatti, con il rajah di Duan e con i rajah di Samma e di Wogier, contemplanti la cessione all'Italia, rispettivamente, dell'arcipelago delle Baciane e di parte di quelli delle Key e di Aru (36 ). Sorse nel governo italiano un
(35) Sul viaggio del Cerruti, cfr. G. Po: Il giovane Regno d ' Italia alla ricerca di una colonia oceanica, in « Nuova Antologia», LXXXIII ( 1928), pagg. 516-528.
(36) Il sultano di Salawatti, con la convenzione firmata il 20 dicembre 1869, cedeva al Cerruti ogni diritto di sovranità sul gruppo delle isole Baciane, con la sola riserva del rispetto delle proprietà private del sultano e dei po--;sidenti indigeni, contro il pagamento di una pensione mensile di 2.000 gilders olandesi d'argento; il Cerruti si obbligava inoltre a difendere il sultano da ogni molestia, da qualsiasi parte provenisse, e ad adoperarsi affinché una nave della marina italiana venisse a prendere possesso delle isole entro quattro mesi. La convenzione con il rajah di Duan, stipulata il 16 gennaio 1870, per la cessione delle isole Key, era simile alla precedente, salvo che per la pensione mensile, che era di soli 100 gilders. Simile era anche la convenzione con i rajah di Samma e di Wogier, firmata il 29 gennaio 1870, in
fondato dubbio sulla validità di quelle convenzioni; per quanto la giurisdizione olandese nella Sonda fosse mal definita, tuttavia non ci si poteva nascondere che i Paesi Bassi si sarebbero strenuamente opposti a che un nuovo rivale comparisse nei territori che giudicavano appartenenti alla loro sfera di influenza. E poi il ministero Menabrea, che aveva preso l'iniziativa, nel frattempo era caduto: il ministero successivo, quello del Lanza, non ritenne opportuno dar corso ai trattati dd Cerruti.
All'infuori dei tentativi del Moreno e dd Cerruti, ogni altra iniziativa di quel periodo vide in azione unità della marina militare. Certo, la ricerca di territori idonei all'eventuale fondazione di colonie fu soltanto uno degli scopi delle crociere delle navi da guerra, alle quali eta principalmente affidato il compito di presentare nel mondo la bandiera del nuovo Stato, di svolgere missioni scientifiche e diplomatiche, soprattutto di esercitare una protezione degli interessi materiali delle comunità italiane all'estero e di sollevarne il morale confermandone i legami sentimentali con la madre-patria: l'importanza di tale funzione crebbe nell'ultimo ventennio del XIX secolo, di pari passo con il notevole aumento dell'emigrazione.
cui per altro non era contemplata la corresponsione di alcun pagamento mensile ai potentati cedenti. In tutti i documenti sopra citati al Cerruti veniva conferita la facolrà di imporre tasse e tributi, di vendere, cedere o alienare i territori in questione o di disporne in qualunque modo, di amministrare il paese e la popolazione secondo le leggi italiane, con l'obbligo, però, di consultare i capi indigeni per ogni affare concernente i nativi e di lasciare ai consigli degli anziani di ciascun villaggio l'amministrazione interna, come sempre era stato fatto. Circa l'estensione dei territori ceduti, non si reperisce alcuna precisazione, per le isole Batiane, tuttavia, si può dedurre dal contesto della convenzione che essa si riferisse all'intero arcipelago (2.367 kmq), mentre per le Key e per le Aru la cessione doveva senza dubbio essere soltanto parziale e riferirsi unicamente a qualche punto di approdo, come è dimostrato dalla tenuità o nullità del canone. Questi ultimi due gruppi di isole vennero poi nuovamente esplorati, nel dicembre del 1872, dalla corvetta Vettor Pisani, al comando del cap. freg. G. Lovera Di Maria, che le fece oggetto di dettagliare relazioni pubblicate nel volume Dall'Italia alla Nuova Guinea, edito nel 1873 a cura della<< Rivista marittima».
A questi fini era unicamente ispirata la missione dell'unità destinata a succedere alla Principessa Clotilde in Estremo Oriente, la corvetta mista V ettor Pisani ( 3 7 ), al comando del cap. freg. Lovera Di Maria. Le due navi da guerra. si incontrarono a Suez il 21 giugno 1871: quindi la Vettor Pisani toccò Assab, da poco acquistata dalla Compagnia Rubattino, poi Aden e Singapore e giunse a Yokohama a metà agosto. La sua stazione nelle acque cino-giapponesi durò fino al l o novembre 18 7 2: nel viaggio di ritorno ebbe l'incarico di ricercare sulle coste della Nuova Guinea due esploratori italiani, il Beccari e il D'Albertis, che rintracciò e prese a bordo alle Molucche (38); indi, toccando l'Australia, la Nuova Zelanda e l'Uruguay, rientrò a Napoli il 10 settembre 1873.
Intanto era partita dall'Italia (16 novembre 1872) la fregata Garibaldi (39), al comando del cap. vasc. Del Santo, con
{37) Dislocava 1.960 tonn., era armata con quattro cannoni da 16 F.R.C. (di ferro, rigati, cerchiati), con dieci da 12 e con tre pezzi di bronzo da 8 cm; era fornita di un apparato motore ausiliario della potenza di 300 HP; aveva lo scafo in legno ed era stata recentemente costruita nell'arsenale di Venezia. Teneva bene il mare ed aveva a bordo comode sistemazioni che la rendevano idonea a lunghe navigazioni; per a1tro poteva imbarcare una scarsa provvista di combustibile e nel suo primo armamento rivelò ulteriori lievi difetti che in seguito fu agevole eliminare (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 125).
(38) Si veda il resoconto delle avventure dei due esploratori in Dal Giappone alla Nuova Guinea e alle Molucche, in « Rivista marittima », 1873, aprile.
(39) Era una nave ad elica costruita nel 1860 in Inghilterra per la marina del regno delle Due Sicilie e radicalmente trasformata dieci anni dopo per ridurne l'equipaggio e renderla utilizzabile in lunghe campagne senza eccessive spese di armamento: pertanto la sua stazza originaria era stata ridotta da 3 .680 a 3.440 tonn, le era stato tolto il casseretto e la murata superiore era stata rasata allivello del trincarino; infine, i precedenti 28 cannoni in batteria e i 4 di coperta erano stati sostituiti con 8 pezzi moderni da 16, rigati. Nella nuova sistemazione, aveva conservato le sue buone qualità nautiche e con il suo sistema velico ben equilibrato, con le sue immense vele di strallo, superava facilmente con mare moderato quasi ogni altro veliero, eccetto naturalmente i clippers. L'apparato motore aveva la potenza di 1.040 HP; l'equipaggio era stato ridotto da 452 uomini a 350 (LEvA, op.cit., vol. I, pagg. 152-153 ).
destinazione Sud-America e Giappone e ritorno lungo le coste americane del Pacifico e riattraversando l'Atlantico: e due altre unità della marina militare, la corvetta a ruote Governolo e l'avviso a vapore Vedetta, si accingevano a salpare per i mari della Cina ( 40), la prima agli ordini del cap. freg. E. Accinni e la
( 40) La Governolo era una vecchia nave, di oltre 23 anni di età: costruita in Gran Bretagna nel 1849 per conto della marina sarda, dislocava 1.7 00 tonn. e l'apparato motore a ruote sviluppava teoricamente la forza di 450 HP; con lo scafo di legno e l'alberatura a brigantino, era armata con 8 pezzi da 16. Dotata sotto vapore di una velocità modestissima, aveva buone qualità nautiche, a giudizio del suo comandante Accinni. La Vedetta era la prima nave con scafo metallico costruita in Italia (1866); aveva una stazza di 828 tono. e un motore da 660 HP; attrezzata a brigantino, sotto vela era meno veloce della corvetta a ruote sua compagna di missione, mentre a mac· china la sua autonomia si aggirava sulle l.OOO miglia nautiche; era armata con un cannone da 7,5. E' probabile che anche a queste due unità pensasse l'amm. Saint Bon, ministro della marina, il 6 dicembre 1873, quando, par· lando in Parlamento sulla necessità di rinnovare il naviglio da guerra, affermava: « Perché la nostra rappresentanza all'estero nei mari lontani sia utile, perché sia efficace, occorre una prima condizione, che cioè il bastimento che rappresenta il paese all'estero sia realmente una fotza. Può essere una forza anche essendo piccolo, quando si trovi distaccato da una squadra vicina o da un possedimento coloniale non lontano. Può essere una forza anche da sè solo, quando abbia qualcuno degli elementi di forza che sono indispensabili ad un bastimento. Noi invece mandiamo a fare il giro del mondo, all'estremo emisfero, bastimenti del tipo Clotilde (la quale per altro era ben più efficiente della « Governolo »)... Altro difetto di queste navi è la mancanza di velocità sufficiente. Se venisse il caso di una guerra un bastimento di quel genere abbandonato lontano sarebbe certo in posizione ben difficile; i suoi cannoni non valgono a fronte degli Armstrong moderni, la sua velocità è poca ... La protezione implica forza, ed il giorno che questa occorresse sarebbe impossibilitato tanto a battersi, quanto a fuggire per portare la notizia dell'avvenuto. Queste non sono le condizioni in cui una grande nazione si debba fare rappresentare all'estero» (LEVA, op. cit., vol. I, pagg. 169-170). Come mai, per l'importante, riservata e rischiosa missione di occupare, più o meno di forza, un territorio coloniale in Estremo Oriente, fossero state scelte appunto due unità così deboli e tra le ultime della flotta, è difficile spiegare: forse si volle non dar nell'occhio alle potenze interessate con l'impiego di navi più efficienti, e questo motivo sarebbe stato valido qualora si fosse mantenuto realmentè il segreto intorno all'impresa.
seconda al comando del cap. freg. F. Cassone. Alle due navi era stata affidata una missione segretissima: la presa di possesso di un territorio oltremare per fondarvi una colonia, precisamente l'isola di Banguey, di fronte all'estremità settentrionale di Borneo, sullo Stretto di Balabac che divide l'arcipelago indonesiano da quello delle Filippine e mette in comunicazione il mare della Cina con il mare di Sulu.
Come il governo italiano fosse giunto ad una tale decisione, è presto detto: dopo il ritorno in patria della Principessa Clotilde, il ministero Lanza, attribuendo più credibilità alle trattative svolte dal Racchia di quanta non ne avesse attribuita a quelle del Cerruti, spedì subito il Racchia stesso in missione a Londra, con l'incarico di chiedere al governo britannico l'assenso all'occupazione italiana di una località nei pressi della costa nord di Borneo ( 41 ); tale consenso, che si sperava giungesse sollecitamente, tardava però ad arriv:1re, malgrado le pressioni esercitate dal Racchia e dal rappresentante diplomatico italiano a Londra (inizialmente il ministro Cadorna, poi l 'inca ri cato d'affari Maffei), i quali tra l'altro riuscirono anche ad interessare favorevolmente alla questione H direttore del « Times »: così che, andando le cose per le lunghe, il Lanza e il ministro degli esteri Visconti-Venosta deliberarono di rompere gli indugi inviando in Oriente una forza di sbarco da aver pr-onta sul luogo per il mo-
( 41) «La pena di deportazione» - era detto nella nota presentata al Fore ign Office - «è una ne<:essità generalmente riconosciuta in Italia, e perciò il Governo italiano sta cercando una località adatta per deportarvi i condannati. Come è già noto a codesto Governo, l'Italia ha già fatto ricerche e tentativi sulle coste dell'Abissinia, alle isole Nicobare, all'isola di Socotra, ma senza risultato. Perciò il Governo italiano ha affidato al Comandante della R. Corvetta Principessa Clotilde, trovantesi in crociera nei mari delle Indie, della Gna e del Giappone, Capitano di Vascello Racchia, l'incarico di segnalare le località più adatte allo scopo. Il Comandante Racchia ha riportato che la costa N O dell'isola di Borneo risponde a tutti i requisiti desiderati e che il Sultano di Brunei da cui dipende sarebbe disposto a farne cessione, previa intesa col governo inglese. Il Governo italiano, facendo sue le proposte del Comandante Racchia, chiede al Governo inglese le sue vedute al riguardo con preghiera di manifestarJe il più presto possibile, dovendo il Comandante Racchia entro un mese far ritorno in Oriente» (A.U.S.M., busta 108, fase. 2).
mento in cui finalmente giungesse il nulla-osta dell'Inghilterra. Pertanto le due unirà salparono da Napoli il 19 dicembre 1872 dirette a Singapore, con l'ordine di mettersi colà a disposizione del comandante Racchia, che era stato mandato come inviato plenipotenziario in Birmania, nel Siam e a Johore.
Tutta la faccenda doveva essere « top secret »: naturalmente, invece, la stampa italiana cominciò a discutere senza reticenza sulla missione riservata delle due navi da guerra in Malesia e sull'imminente occupazione di un'isola indonesiana, che per di più era posta in una importante posizione strategica ( 42): con la conseguenza che, quando nel marzo 1873 la Governolo arrivò à Singapore, la stampa locale aveva già ampiamenle discusso e disapprovato le intenzioni italiane ( 4 3) ed i maggiori Stati che avevano interessi nella zona, Gran Bretagna, Olanda, Stati Uniti e persino la Spagna avevano cominciato a mostrarsi nettamente ostili ( 44 ).
( 42) Cfr. S. ANGELINI: Il tentativo italiano per una colonia nel Borneo (1 870-73}. Firenze, 1965. L'ing. Giordano sottolineava nella sua relazione la vantaggiosa posizione di Banguey: «Ciò che non può mancare di colpire anzitutto l'occhio si è la splendida posizione di questa isoletta o gruppo, centrale fra le grandi isole di Borneo, di Celebes e delle Filippine: posizione che le darebbe una certa importanza strategica e commerciale» (F. GIORDANO: Una esplorazione a Borneo, in «Bollettino della Società geografica italiana», VIII (1872), vol. XI, pagg. 188 e segg.).
( 43) La presenza prolungata del Racchia a Singapore, la notizia che due unità della marina militare italiana erano in arrivo, e soprattutto le indiscrezioni della stampa italiana avevano fatto comprendere a chiunque che l'Italia si disponeva ad agire per procurarsi un territorio nel Nord di Borneo o nelle isole adiacenti, come era da tempo sua ben nota aspirazione e come era stato dimostrato dai viaggi della Principessa Clotilde e dell'esploratore Cerruti La stampa locale cominciò ad occuparsi diffusamente della questione. Il quotidiano« Hong Kong Daily Press >>del 10 febbraio dedicava all 'iniziativa italiana un lungo articolo, ripreso nei giorni seguenti dallo « Straits Times » e dalla « Penang Gazette », e si può ritenere che le notizie ivi pubblicate fossero esatte, poiché più tardi il comandante del Governolo lamentò nei suoi rapporti che le istruzioni segretissime da lui ricevute fossero di dominio pubblico.
( -1-1) L'Inghilterra mascherò la sua opposizione facendo ufficiosamente sapere che, mentre sarebbe stata favorevole allo stabilimento di una base
Il Racchia, che aveva atteso a lungo a Singapore l'arrivo delle navi italiane ( 45), ritardato dal mal tempo nell'oceano
commerciale, non avrebbe potuto approvare l'installazione di una colonia penale; del resto quesro atteggiamento era sicuramente suggerito al Foreign Office dagli ambienti coloniali, sempre ostili alle colonie penitenziarie europee, tanto che fin dal 1866 il «Calcutta Englishman )) aveva pubblicato articoli contro un'eventualità del genere, già allora ventilata: «il governo di Vittorio Emanuele ... si trova in negoziati per una cessione di territori nell'isola di Sumatra. Questo acquisto territoriale avrebbe il doppio scopo di impiantare degli stabilimenti commerciali e di fondare delle case di pena Tale notizia, se è esatta, dovrebbe attirare l'attenzione del nostro governo indiano, in quanto, per desiderabile che potrebbe essere di avere per vicini commerciali gli italiani, non sarebbe però affatto vantaggioso per le nosue colonie di Singapore, Hong Kong, Malacca, India ed Australia il veder condurre i criminali dell'Italia- in generale i più grandi bricconi del mondodavanti alle nostre porte, con la prospettiva di vederceli entrare in casa quando fossero messi in libertà alla fine della loro pena. I coloni d' Ausualia si sono lamentati giustamente delle conseguenze cattive e pericolose derivate dallo stabilimento di una colonia penale francese nell'isola della Caledonia, ad est del loro continente: ed ora dovrebbero avere un vivaio di criminali italiani, e i lodevoli sforzi del governo del Quee.o.sland per instaurare una linea di navigazione a vapore tra Batavia e Brisbane dovrebbero facilitare l'esportazione dei cattivi soggetti italiani da Sumatra in Australia?»; l'articolo concludeva deplorando «l'inondazione dell'Oriente per mezzo dei rifiuti della popolazione criminale dell'Occidente>). E' ovvio che gli australiani avevano dimenticato in fretta di discendere essi stessi per la maggioranza dai criminali inglesi deportati. Quanto all'Olanda, questa nazione, già in precedenza urtata dalla mancanza di tatto con cui aveva proceduto il Cerruti nelle sue trattative con i capi indigeni delle regioni appartenenti alla sfera di influenza dei Paesi Bassi, non aveva mai visto di buon occhio l'installazione degli italiani nel cuore dei loro domini; contrari erano anche gli Stati Uniti, prevalentemente per ragioni commerciali, e per appoggiare le concessioni che l'americano Torey aveva in corso nella zona; infine, la Spagna rivendicava l'alta sovranità su Banguey, come facente parte per diritto di vassallaggio dei possessi del sultano di Sulu, a sua volta vassallo della corona di Castiglia, e teneva tanto ai suoi titoli teorici che nel febbraio 187 3 il console spagnolo a Singapore rendeva nota un'ordinanza del governo delle Filippine con cui si vietava l'accesso delle navi a tutti i porti dell'arcipelago delle Sulu e dipendenze e si avvertiva che le autorità locali avrebbero fatto rispettare tale divieto anche con l'uso della forza, se necessario.
(45) «L'Eccellenza Vostra» scriveva il Racchia al Riboty «di leg-
Indiano (e dalla scarsa agibilità dei natanti), vide la situazione deteriorarsi rapidamente ( 46) e il 14 febbraio il governo di Roma rinviò l'operazione, telegrafando: «Parta appena pronto col Go« vernole Borneo lasci Vedetta Singapore aspettare istruzioni spe<< dite posta non occupi definitivamente né ufficialmente Banguey « limitandosi compiere studi se conveniente fondarvi colonia com« merciale o penale ritorni Italia lasciando istruzioni minuziose «comandanti- Ministro Riboty » ( 47). A questo punto il Racchia, dopo essersi consultato con il console italiano a Singapore e con l'ing. Giordano, destinato atl imbarcarsi anche lui sulla Governolo per condurre a Borneo una campagna di ricerche scientifiche ( 48 ), decideva di proporre telegraficamente al ministero della marina il proprio immediato ritorno in patria, poiché giustamente riteneva che la sua presenza a bordo, dopo la rinuncia all'occupazione sarebbe stata dannosa al prestigio italiano, confermando implicitamente i sospetti sorti circa la missione affidata
gieri capirà la mia sorpresa ed il mio rincrescimento allorquando, all'arrivo qui, trovai che ancora non erano giunti nè Vedetta nè Governolo, ed il giorno dopo ricevevo un telegramma da Galle ( Ceylon) col quale mi si annunciava che dette navi vi erano giunte soltanto il l O corrente (febbraio 187 3) e che probabilmente non sarebbero qui che per la fine del mese. Questo ritardo è ben spiacevole sotto ogni rapporto ... » (A.U.S.M., busta 108, fascicolo 2).
(46) Ibidem; .. ,io non mancai di ripetere che l'esito della nostra progettata spedizione sarebbe dipeso in gran parte dalla segretezza e celerità con cui sarebbe condotta. Qui, come a Batavia ed in Hong Kong, si è già parlato e parlasi di detta spedizione, essendo state riportate sui pubblici fogli varie fra le più esagerate ed imprudenti notizie che videro la luce sui giornali italiani. Io temo che le Autorità inglesi, tanto qui che a Hong Kong e a Labuao, abbiano ricevuto ordine di sorvegliare i movimenti delle nostre navi, fatto che potrebbe recard dei gravissimi imbarazzi; in generale si ritiene che io abbia missione di occupare l'estremità Nord di Borneo, sicché la mia prolungata dimora a Singapore dà luogo ai commenti più strani ».
(47) Ibidem.
( 48) Se ne vedano risultati in GIORDANO: U 11a esplorazione a Borneo, cit.
alle navi ( 49). Il Riboty fu d'accordo e il Racchia partì da Singapore con il vapore postale il 6 marzo, lo stesso giorno in cui entrava finalmente in porto la Governolo.
I motivi che avevano spinto l'Italia alla rinuncia, che poi da momentanea diventò definitiva, sono chiaramente illustrati in due lettere che il ministro degli esteri Visconti Venosta indirizzò al console italiano a Singapore tra il febbraio e il marzo 1873.
« Il viaggio del Com. Racchia » si legge nella prima lettera, datata
19 febbraio « e dei due bastimenti posti sotto il suo comando ha
« risvegliato nei paesi d'Europa delle apprensioni che,
« per essere infondate, non sono meno apprezzabili da noi che
« vogliamo assolutamente astenerci dal dar ragione a quelle po-
« tenze di sospettare le nostre intenzioni. L'Italia non ha mai
« formato alcun progetto che potesse in alcuna guisa ledere i
« diritti degli Stati che l'hanno preceduta nello stabilire relazioni
« commerciali e coloniali in codeste lontane regioni. Tale essendo
« il nostro intendimento, Ella comprenderà che tutto ciò che è
« di natura da destare sospetti nella nostra condotta ... deve essere
<< evitato ».Nell'altra missiva, del 7 marzo, così era detto: «Ebbi
« già occasione ... di intrattenere la S.V. circa i progetti del R.
« Governo, relativi allo stabilimento di una colonia pePitenziaria
«nell'Estremo Oriente, e delle circostanze che erano venute da
« ultimo a sospenderne l'esecuzione ... Come Ella saprà, gli sguar-
« di nostri si erano rivolti su alcune isole a Nord di Borneo, e
« su un territorio ... che i rapporti del Comandante Racchia desi« gnavano appropriati allo scopo .. Si sperava che l'Inghilterra e « l'Olanda, padrone di altri territori di quelle regioni, non avreb« bero fatto opposizioni allo stabilimento progettato. Non è me« stieri che io segnali a V.S. come questa ultima circostanza fosse
« essenziale per noi. Egli è infatti evidente che, date le condizioni « attuali, una colonia nascente in un paese così lontano ed inospi<( tale non solo non potrebbe solidamente attecchire a dispetto
( 49) Il tenore del dispaccio era il seguente: «Giunte navi agirò conseguentemente però trattandosi fare soltanto studi credo conveniente affidare tale incarico ingegnere Giordano perché mia posizione resa difficile per imprudenze stampa » (A.U.S.M , busta 108, fase. 2).
« dei più importanti vicini, ma neppure quasi lo potrebbe senza
« il loro concorso volonteroso ... Egli è perciò che, prima ancora
«della partenza del Comandante Racchia per l'Oriente, noi ave-
« vamo più di una volta fatto interpellare il Governo britannico
« sulle sue eventuali disposizioni a riguardo del possibile stabi-
« limento di una colonia italiana a nord di Borneo. Sennonché
« nessuna risposta positiva ci venne dato di ottenere in proposito
« da Londra , tanto che noi dovevamo interpretare cotale riserva
« in senso sfavorevole ai nostri desideri. E per di più il Governo
<< neherlandese, che noi non avevamo creduto di dover interpel-
« lare, si espresse di maniera, sia col R. Ministro alla Aia, sia
« per mezzo del suo Rappresentante a Roma, circa i progetti co-
« loniali attribuiti all'Italia e dei quali si era forse esagerat:a l'im-
« portanza, da farci chiaramente comprendere che la esecuzione
«delle prime istruzioni impartite al Comandante Racchia avreb-
« bero incontrato presso quel Governo la più viva opposizione.
« In tale stato di cose, il Governo del Re. il quale è alieno non
« solo da procurarsi imbarazzi internazionali per questo affare
«delle colonie ma desidera invece procedere in esso d'accordo
« con le Potenze amiche interessate, ritenne non conveniente ad« divenire a nessun atto di natura tale da pregiudicare la questione «prima di aver scambiato in proposito le sue idee con le Potenze « stesse ».
E' facile osservare che tutte le ragioni addotte dal ViscontiVenosta per giustificare l'abbandono dell'impresa erano note o facilmente presumibili ancor prima che fosse stata decisa la spedizione: e ci si chiede perché allora sia stato dato l'ordine di effettuare ugualmente tale spedizione, senza tener conto, come scriveva il Racchia, del « pessimo effetto che produrrebbe in «questi paesi il vederci ritornare senza aver nulla concluso ».
Si può ipotizzare che il piano iniziale del governo Lanza doveva esser quello classico di occupare Banguey con un colpo di mano e mettere così le potenze interessate dinanzi al fatto compiuto: scoperto ormai il nostro intendimento, ancor prima che avesse un inizio di esecuzione, i rischi di complicazioni internazionali diventavano troppo forti per osare di correrli. I movimenti delle nostre due unità erano ormai già sotto la sorveglianza delle marine
inglese, olandese ed anche statunitense (50) e non è azzardato supporre che, una volta giunte nelle acque di Banguey, esse vi avrebbero trovato delle navi da guerra pronte ad impedire un nostro sbarco sull'isola. Chi da tutta questa faccenda usci amareggiato e depresso fu ovviamente il Racchia, che aveva dedicato tanti sforzi alla sua missione e la vedeva concludersi in maniera cosl ddudente (51).
(50) La Governolo era seguita da lontano dalla corvetta britannica Zebra, dall'americana Hart/ord e da un'unità olandese (LEVA op. cit., vol. I, pag. 184).
(51) In una lettera , scritta alla moglie poco prima di rimpatriare , il Racchia così si esprimeva: «Piuttosto che compromettere il Governo in spedizioni costose e pericolose io preferisco ritirarrni e lasciare al solo Comm. Giordano di procedere a studi botanici ... ciò che non provocherà attitudini minaccievoli da parte di nessuna potenza. Questa sera giunsero i giornali di Hong Kong: sopra uno di essi, il «China Mai! ,., vi è un violento articolo contro le supposte, e purtroppo vere, intenzioni nostre circa la occupazione di un'isola nelle vicinanze di Borneo. E' questo il secondo articolo che in pochi giorni si pubblica dai più autorevoli fogli inglesi della Cina Il successo della missione, che come io sempre dissi, dipendeva dalla segretezza e celerità con cui doveva essere condotta, trovasi grandemente compromesso. Tutto questo è frutto in gran parte della negligenza dei nostri uomini in Italia, e della imperdonabile leggerezza della stampa italiana ... Certamente io avrei desiderato esser stato fortunato nella missione a Borneo ma mille fatali circostanze contribuirono a mandarla a vuoto tanto va· le fare una onorevole ritirata prima che in un modo qualunque sia impegnata la responsabilità del Governo e la dignità della bandiera ... Dal telegramma che mi spedl Riboty vedo chiaramente che il Governo non vuoi far nulla che possa comprometterlo» (A.U S.M., busta 108, fase. 2). E' il caso di ricordare che il comandante Racchia, in seguito, continuò la sua brillante carriera ricoprendo alte cariche civili e militari: presidente del tribunale militare marittimo di La Spezia nel 1875-76, addetto navale all'ambasciata italiana di Londra nel 1880-81, fu poi promosso contrammiraglio ed ebbe ]a presidenza della Commissione esperimenti d'artiglieria; nel 1884 divenne segretario generale del ministero della marina; ebbe anche il comando della squadra attiva e del dipartimento marittimo di La Spezia; sottosegretario di Stato alla marina nel 1887-88 nel primo gabinetto Crispi, fu ministro della marina nel 1892-93 con Giolitti; deputato per Grosseto nelle legislature XV, XVI e XVII, venne nominato senatore nel 1892; morì nel 1896 , a bordo della Lepanto su cui alzava insegna di vice-ammiraglio (v. nota 17 a pag. 188).
Prima di partire, il Racchia aveva disposto, come egli stesso aveva suggerito ed il ministero aveva approvato, che le due unità si separassero: la Governolo avrebbe dovuto dirigere su Borneo per il proseguimento della sua missione diventata ormai esclusivamente scientifica, mentre la Vedetta avrebbe dovuto recarsi sulle coste birmane (52): così fu, e le due unità, che erano giunte presso che insieme a Penang e ll attendevano ordini, si avviarono alle loro destinazioni. La corvetta del comandante Accinni, giunta a Borneo, risali un tratto del fiume Sarawak e rese visita al rajah bianco Charles Brooke, nipote e successore del famoso avventuriero sir James Brooke fattosi sovrano di quello Stato trent'anni innanzi; toccò poi Labuan e Gaya, eseguendovi rilievi idrografici intanto che l'ing. Giordano, sceso a terra con il guardiamarina Bove e con il medico di bordo Bocca, esplorava la sconosciuta montagna Kini-Balu (53). Dopo aver incrociato in seguito tra
(52 ) Il primitivo progetto del Racchia contemplava un allontanamento solo temporaneo della Vedetta: «Per allontanare sempre di più ogni sospeuo >> aveva serino al Riboty « circa lo scopo dell'arrivo su quella rada (Singapore) dei due R. Legni, considerando come sui primi giorni sia superflua la presenza sulla costa nord di Borneo della Vedetta ed anche per dare meno apparato alla gita del Governolo, d'accordo col Comm. Giordano, pensai che sarebbe bene che la Vedetta dapprima si recasse invece, senza toccare Singapore, a visitare i porti della Birmania, almeno Rangoon, dove attualmente già trovansi molti bastimenti nazionali, con ordine però di trovarsi a Singapore il 20 prossimo marzo al più tardi da dove, dopo rifornitasi di carbone, procederebbe per Banguey per raggiungere il Govemolo I due Regi Legni avranno ordine di coadiuvare in ogni guisa i lavori di esplorazione terresue che il Comm. Giordano riterrà conveniente di intrapendere, recandosi benanco in quei punti del litorale di Borneo e delle isole adiacenti ... onde attingere quelle informazioni di qualche interesse per farci conoscere la situazione politico-giuridica di quel paese. Il Governolo resterà specialmente incaricato di lavori idrografici attorno all'isola di Banguey, mentre la Vedetta esplorerà le isole adiacenti e particolarmente la costa nord di Borneo ... » (ibidem). Ora, invece, mutata la situazione e cambiati i programmi, l'avviso al comando del Cassone fu fatto proseguire da Penang di· rettamente per la Birmania, per ritornare poi nel mare cinese, né toccò più le terre dell'Indonesia , dove si recò, senza il Racchia, la sola Governolo.
(53 ) L'ing. Felice Giordano, con i suoi due compagni bianchi , Giacomo Bove e Paolo Bocca, prese terra nel golfo di Gaya il giorno 8 aprile: essi
Gaya, Balambangan, Banguey e Sulu, la Governolo fece rotta per la Cina e il Giappone e vi rimase come stazionaria sino alla fine del 1873, rientrando a Napoli il 18 febbraio 1874. Con il fallimento del tentativo su Borneo, il governo italiano accantonò in un primo momento e poi abbandonò definitivamente l'idea di fondare una colonia penitenziaria in Oriente, anche perché, verso la metà degli anni '80, terminarono gli studi preparatori del nuovo codice penale Zanardelli, nel quale l'istituto della deportazione non venne più adottato (54). Ciò non pertanto, continuarono in quel decennio le crociere di unità della Botta nei mari dell'Estremo Oriente e intorno al globo, per la protezione degli interessi nazionali e per l'affermazione del prestigio della marina. La corvetta Vettor Pisani compì una seconda circumnavigazione negli anni 1874-1877, al comando, dapprima del cap. freg. A. De Negri e poi del parigrado A. Ansaldo (55), ed una terza campagna oceanica nel 1879-1881, agli ordini del duca di Genova, alla quale impresa il prestigio dinastico del comandante diede particolare rilievo (56); due viaggi intorno al
iniziarono la loro spedizione alpinistico-scientifica quattro giorni dopo, accompagnati da 34 portatori indigeni. L'ascensione del Kini-Balu (4.100 m} non potè essere completata, perché, raggiunti i 2.800 m. di altitudine. dove scomparivano le ultime tracce di vegetazione, le cattive condizioni meteorologiche con nebbie persistenti, il freddo non eccessivo ma insopportabile ai portatori ridottisi in uno stato di debolezza estrema, e soprattutto la ristrettezza del tempo concesso, obbligarono l'ing. Giordano a rinunciare alla vetta e a ritornare indietro. Durante la discesa ci si dovette premunire contro gli attacchi di tribù selvagge che insidiavano la marcia; il reimbarco avvenne il 27 aprile (si veda la relazione compilata dal guard. Bove, riprodotta in LEVA, op. cit., vol. I, pagg. 201-230). Il guard. Bove, partecipe e relatore di questa impresa, è lo stesso ufficiale che cinque anni dopo prese parte lodevolmente alla spedizione polare Nordenskiold-Palander alla ricerca del passaggio di nord-est (dall'Atlantico al Pacifico per la rotta settentrionale oltre la Siberia), tentativo che fu coronato da pieno successo (dr. BovE: Spedizione artica svedese (1878-79), Roma, 1880).
(54) Il codice Zanardelli entrò in vigore nel 1889.
(55) Cfr. L. GRAFFAGNI: Tre anni a bordo della« Vettor Pisani», Milano, s.d.: l'autore aveva fatto parte dello Stato Maggiore della nave con il grado di ten. vasc.
(56} LEVA, op.cit., vol. I, pagg. 307-339.
mondo compì pure l'incrociatore Cristoforo Colombo (57), nel 1877-1879 al comando del cap. vasc. N. Canevaro (58) e nel18801883 agli ordini del cap. vasc. F. Labrano; mentre la Garibaldi, declassata a corvetta (59), conduceva a termine la sua seconda crociera oceanica circumnavigando la terra in senso anti-orario nel 1879-1882 , comandata dal cap. vasc. E. C. Morin (60). Negli stessi anni si registrò un viaggio in Australia del trasporto Europa, in occasione dell'Esposizione internazionale di Melbourne del 1880: il piccolo piroscafo ( 680 tonn. ), agli ordini del cap. freg. C. Romano, imbarcò alcuni ufficiali di marina in soprannumero, ai quali la campagna servì per istruzione ( 61 ). Non molto dopo
(57) Era una delle navi più moderne della flotta, essendo stata varata nel 1875. Aveva lo scafo ancora in legno, ma i bagli in ferro; la prua, impostata dapprima sul tipo di quella della Vettor Pisani, era stata modificata per renderla più adatta ad una maggi ore velocità, ma nella poppa, per ragioni di economia, erano state conservate le vecchie forme, malgrado non fossero suscettibili di far dare al nuovo apparato morore tuttto il rendimento di cui sarebbe stato capace. Il Cristoforo Colombo dislocava 2.316 tonn. e le macchine avrebbero dovuto sviluppare 4.000 HP ; la velocità raggiunta alle prove fu di nodi 16,3 , con le otto caldaie a tutta pressione. L'armamento principale era costituito da pezzi da 120 A.R.C., su affusti automatici (soltanto in numero di cinque, però, sempre per motivi di convenienza economica). La velatura, divenuta ormai sussidiaria delle macchine, comprendeva tre alberi, il rrinchetto a vele quad.re, gli altri due a vele auriche (LEVA, op.cit., vol. I, pagg. 273-292 e 371-400).
(58) Raggiun se poi il grado di vice-ammiraglio; fu ministro della marina nell 'effimero ultimo gabinetto Di Rudinl e ministro degli esteri nel primo ministero Pelloux ( 1898-99).
(59) Dopo la trasformazione subita (v. nota .39 a pag. 226 ), la Garibaldi, pur conservando il dislocamento della classe delle fregate, non ne possedeva più l'armamento, così che, nel 1879, secondo logica, fu modestamente ascritta fra le corvette nel quadro del naviglio (LEVA, op. cit., vol. I, pagine 340-370).
(60) Varie relazioni concernenti questo viaggio sono reperibili in A.C.R.M., busta 195. Degli ufficiali inferiori di vascello imbarcati in questa missione, ben cinque giunsero poi fino al grado di ammiraglio, tra i quali il grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel.
(61) LEVA, op. cit., vol. I, pagg. 401-430)
la corvetta Caracciolo ( 62 ), che era stata a lungo stazionaria nel l'America meridionale, essendo stata nuovamente inviata in quelle acque ed essendovi rimasta, al comando del cap. freg. C. De Amezaga, per tutto il1882 ed il primo semestre del1883, ritornò in patria per la via di occidente con una lunga crociera nel Pacifico e nell'Indiano, durante la quale ebbe modo di esplorare varie zone poco note della Patagonia, della Polinesia e dell'Indonesia ( 63 ). Intanto la Vettor Pisani, veterana delle navigazioni nelle più lontane regioni, compiva, al comando del cap. freg. G. Palumbo, la sua quarta ed ultima missione transoceanica, prima di essere adibita a nave-scuola dell'Accademia navale ( 64 ).
(62) Trealberi ad elica, di 1.660 tonn., varato a Castellammare di Stabia nel 1869; nave assai poco adatta a lunghe missioni per l ' assoluta mancanza di qualsiasi minima comodità a bordo, aveva inoltre un valore militare molto scarso, essendo armata di sei vecchi cannoni da 16 ad avancarica (LEvA, op . cit., vol. I, pagg. 248 e segg., e vol. II, pagg. 3 e segg. ).
( 63) Si veda la narrazione del viaggio da parte del comandante C. DE AMEZAGA (Viaggio di circumnavigazione della R. N. « Caracciolo », 4 voll., Torino, 1886) e da parte del medico di bordo dott. F. RHo (Note di geografia medica durante il viaggio di circumnavigazione della « Caracciolo » , Roma, s.d.). Per le rilevazioni scientifiche espletate nei paraggi del canale di Magellano, cfr. Estudios hidrogrJficos sobre la Patagonia occidental ejecutados por el Comandante y 0/iciales de la Real Corbeta Italiana « Caracciolo » en 1882, Santiago, 1883.
(64) Il comandante Palumbo fu poi vice-ammiraglio e ministro della marina nel primo gabinetto Pellou.x (1898-99). Per il resoconto della campagna si vedano: G. DEL DR.Aoo: Cenni sull' ultimo viaggio della corve/la « Vettor Pisani» ( 1882-83-84-85), in «Bollettino della Società geografica italiana», 1885, agosto; e Comand. E. SERRA.: Riassunto generale del viaggio di circumnavigazione della « Vellor Pisani» , in « Rivista marittima », 1885, II-XII.
Quando, l'11luglio 1871, la corvetta Vettor Pisani in rotta per l'Estremo Oriente gettò l'ancora nella baia di Assab (l), sulla spiaggia inospitale e deserta il comandante Lovera non trovò che una capanna di recente ricostruita , con la scritta « Proprietà Italiana », fiancheggiata da un'asta sulla quale era stata innalzata l'anno precedente la nostra bandiera. Era tutto ciò che restava della presa di possesso di quel lembo di terra africana da parte del prof. Sapeto per conto della Compagnia di navigazione Rubattino. Negli otto giorni durante i quali la corvetta restò sul posto attendendo a lavori di rilevamento topografico e idrografico della zona, l ' equipaggio ebbe modo di constatare l'inabitabilità del luogo, calcinato da una temperatura torrida , senz'acqua, senza vegetazione, senza tracce di presenza umana all ' infuori di quell'abituro e di quell'asta di bandiera: bastò quella settimana perché tra i marinai insorgessero numerosi casi di insolazione e di lichene e si diffondesse una pericolosa forma di dissenteria , onde fu con sollievo di tutti che il 18 luglio la V ett or Pisani abbandonò quel litorale desolato.
Quella baia squallida costituiva all'epoca tutto ciò che l'Italia possedeva -e nemmeno ufficialmente - fuori dei suoi confini: e per piccolo e malsicuro possedimento che fosse, era costato sforzi e trattative ed aveva causato complicazioni internazionali di vasta portata. Gli è che quel lembo insignificante di terra, nemmeno appartenente allo Stato ma ad una società privata per stabilirvi un deposito di carbone, significava l'inserimento dell'Italia
( l ) Cfr. G . LoVERA Dr MARIA: Monografia del Mar Rosso, in « Rivi sta mari ttima », 1872, I.
nella sfera coloniale, « cominciando dal poco >> ( 2) ed iniziando un'azione che con l'andare del tempo avrebbe potuto risultare incomoda per Francia e Inghilterra, intente a spartirsi anche quella zona.
Promotore di tale inizio di espansione era stato il padre Sapeto ( 3 ), l'italiano che in quegli anni meglio conosceva la regione. Fin dal 1846 egli aveva più volte sollecitato il governo sardo ad istituire una rappresentanza consolare a Massaua per proteggere gli interessi dei connazionali ivi stabiliti; nel 1863 aveva indirizzato al ministro della pubblica istruzione, Michele Amari, la famosa « Relazione politico-commerciale sulle sponde del Mar Rosso » ( 4) che può essere considerata l'atto di nascita dell'espansione coloniale italiana: in essa sosteneva la necessità che l ' Italia mettesse piede sulle coste dancale e dimostrava le possibilità di
(2) Tale sarà il saggio suggerimento del Racchia a proposito della progettata colonia in Indonesia: « mi ero convinto che ci conveniva sotto ogni rapporto cominciare dal poco... per poi allargarsi .. . » (dal cit. rapporto del 23 marzo 1870 da Batavia, in A.U.S.M. , busta Principessa Clotilde )
(3) Il prof. Giuseppe Sapeto nacque a Carcare (Genova ) nel 1811 e morl il 25 agosto 1895. Era dell 'ordine dei Lazzaristi, appartene\·a cioè alla Congregazione della Missione , fondata da S. Vincenzo di Paola nel 1624. Avendo precedentemente insegnato lingue orientali a Genova, si trovava in Egitto per ragioni di studio nel 1837, quando i francesi Antoine e Arnauld d'Abbadie. di passaggio colà diretti in Etiopia, ebbero a conoscerlo e, colpiti dalla sua cultura di oriemalista, gli proposero di aggregarsi alla loro missione in qualità di cappellano. Fu così che il Sapeto sbarcò per la prima volta a Massaua nel 1838, donde prosegul per Adua alla corte di Ras Ubiè: dimorò a lungo nel Tigrè e nello Scioa, entrò in relazioni con le tribù dei Bogos, degli Habab e dei Mensa, allora presso che ignote agli europei, e nei molti anni in cui restò in quei luoghi divenne profondo conoscicore di tutto il retroterra del litorale africano del Mar Rosso, delle lingue, dialetti e usanze delle popolazioni, conquistando in pari tempo alto prestigio e grandissima aurorità presso i capi indigeni abissini e dancali. Pitt tardi, dal 1851 al1860, S\'Olse inc:uichi per conto di Napoleone III presso i1 Ras Negussiè , ribellatosi al negus Teodoro: e per l'Inghilterra, accompagnando in una esplorazione il gen . Coglan. Sulla vita e l'attività del Sapeto, si Yedano: A.
COPIGNOLA: Rubattino, Bologna, 1938, pagg. 322 e segg.; GIACCHERO BISOGNI: Vita di Giuseppe Sapeto. Firenze, 1942.
(4 } Reperibile in B.N.V.E.R., fondo manoscritti orientali, Carte Sapeto, cart. 153.
riuscita esistenti per noi al momento in quei luoghi, rivelando i retroscena della acuta rivalità anglo-francese nella zona ed assicurando l'appoggio britannico ad ogni passo del genere, in odio :alla potente rivale. Ma le insistenze del Sapeto non trovarono risposta: né ebbe alcuna eco la serie di proposte da lui fatte nel congresso della Camera di commercio di Genova del 1868, sempre al medesimo scopo (5). Fu nel 1869 che il Sapeto, amareggiato dall:a constatazione dell'inutilità dei suoi sforzi e deluso per aver dovuto operare fino ad allora a favore di altre nazioni mentre soltanto il suo paese gli opponeva la più ottusa sordità, scrisse direttamente al re. Vittorio Emanuele II fu vivamente colpito dalle idee che il Sapeto esponeva con tanto fervore e segnalò favorevolmente il progetto al Menabrea.
Il momento appariva favorevole: l'apertura del canale di Suez, che da parecchi anni aveva attirato l'attenzione di tutti coloro che nel prossimo rivolgimento delle rotte del commercio ( 6) avevano intravvisto la possibilità di risollevare dalla crisi la marina mercantile italiana (7), era imminente e ne veniva un
(5) Il Sapeto vi propugnò l'urgenza di stabilire una colonia africana in Mar Rosso, di completare la rete ferroviaria nazionale al fine di agevolare il commercio con l'Oriente, di istituire agenzie consolari in Etiopia, di agevolare i traffici con l'Abissinia stessa e con Io Yemen.
(6) Cfr. M. BARATTA: L'Italia e il Canale di Suez, in« La Geografia», 1930, fase. 5; Il canale di Suez nella storia, nell'economia e nel diritto, a cura dell'Istituto per gli studi di politica internazionale, Milano, 1935; A. ANcHIERI: Il Canale di Suez, Milano, 1937; C. BoNACOSSA: Il canale Ji Suez nella storia e 11ella economia, Milano, 1937; R. CrASCA, op. cit., pagg. 73-78.
(7) Si vedano: C. VIMERCATI: Il Canale e l'istmo di Suez. Sua influenza di pace per l'Europa e di rigenerazione per l'Italia, Livorno, 1854; T. ToRELLI: Dell'avvenire del commercio europeo ed in modo speciale di quello degli Stati italiani, Firenze, 1859; BoccARDO G., PATRONE L.: Il canale attraverso l'istmo di Suez e gli interessi dell'Italia, Genova, 1865. Altre testimonianze dell'epoca in A. TEso: L'Italia e l'Oriente. Studi di politica commerciale, Torino, 1900. Lo stesso Sapeto aveva scritto nel 1865: « L'evento del taglio dell'istmo, contemporaneo all'evento maggiore della nostra unità nazionale e al varco della vaporiera nel seno delle Alpi, è tale un avvenimento, che la sola Provvidenza può aver operato per assodare la nostra giovane unione di famiglia, indicandoci la via che seguire dobbiamo, se vogliamo incrollabile la nostra indipendenza, potente il nostro regno, pro-
potente richiamo: « prendere pos1z10ne sul mari e in terre disponibili: solo a questo patto l'Italia sar à q ua lche cosa » esortava l'Amat; e il Negri: «le grandi nazioni ci h anno dato l'esem« pio, e la storia apertamente ci mos tra che le nazioni fonda« rono commercio e colonie non nelle epoch e di prosperi tà fi.nan« ziaria e di quiete interna, ma invece p rep ara ro n o la grandezza « futura nelle epoche delle commoz ioni interne, quando la stessa « corte era povera, quando il loro paese era tutt o diviso o popo« lato di masse appena agglomerate e tuttora convu lse ». E tra gli antesignani dell'espansione coloniale , mentre pochi credettero realmente all'occupazione di lontane terre d'Asia , i più erano affascinati dall'Africa vicina e impenetrabile: << l 'Africa » è il Correnti che lo afferma « ci attira invincibilmente. E ' una predesti« nazione. Ci sta sugli occhi da tanti secoli questo cont inente sug« geliate, onde pur ci venne primamente la civil tà e che ora ci « esclude dai grandi Oceani, ci rende semibarba ro il M editerra« neo, e costringe l'Italia a trovarsi sugli ultimi confini d el mondo « civile ».
Il Menabrea, presidente del co nsi glio e ministro degli esteri, cui si è veduto non mancare f iducia nelle in traprese coloniali, aderì di buon grado ad assecondare il des iderio del re. Già si è accennato ad una prima, fu gace esplorazione di cui in quegli anni era stato incaricato il co mandante Bertelli della Ettore Fieramosca: il quale, lasciata la sua nave ad Alessandria, era pervenuto per via di terra a Suez e di lì per mare a Massaua ,
spera e ricca la Nazione. Nei giorni che precorsero la perdita dei commerci italiani che alimentavano l'industria delle nostre città , facevano ricchi i cittadini e l'Italia padrona del Mediterraneo e delle derrate d'Oriente, intestine discordie e indomati rancori laceravano i cuori dei padri nostri, malvage signorie si dividevano la patria italiana e monti di armi nemiche ci accerchiavano i confini: invece, ai nostri giorni, alla concordia dei cuori, al bando di stranieri signori, al laceramento di momi alpini tien dietro il r itorno del commercio di quell'Oriente che già i nosti antenati fece splendidi, industriosi, agiati e commendati. E' cieco chi r ispetti simili non vede: è fatale all'Italia chi nella propria sua cerchia no n si s t udia di seguitare l'in vi to de ll a Provvidenza, mettendo in opera i mezzi ru tti e provvedim enti che la possano ricondurre all'antico festino ori en t ale » ( SAPETO: L'Italia e il Canale di Suez, Torino, 1865, pagg. VI e segg. ).
giungendovi il 15 marzo 1868. Era accompagnato da un guardiamarina e da due marinai: visitò le isole Dahlac e avrebbe dovuto estendere le sue ricognizioni a sud, ma, richiamato ai primi di aprile, dovette rientrare: e probabilmente questa fretta fu non ultima causa della sua relazione del tutto negativa. Ma, un anno dopo, la situazione era notevolmente mutata: quel che poteva apparire fino ad allora un vago progetto, si concretava nella volontà del governo di procedere ad un'azione diretta, e c'era soltanto da organizzare l'impresa in modo accorto, tale da non urtare le suscettibilità anglo-francesi ( 8 ). Perché il piano di metter piede in Mar Rosso avesse qualche probabilità di riuscita, era indispensabile che si partisse in sordina, senza che lo Stato italiano comparisse ufficialmente e mettendo avanti, come prestanome, una società privata.
La più adatta allo scopo appariva la compagnia di navigazione Rubattino (9), già nota in campo internazionale per la
(8) E' appena il caso di ricordare che la corsa all'accaparramento delle basi nel Mar Rosso- accentuatasi nel1857 per le esplorazioni del Lambert, console francese a Aden, sulla Costa dei Somali, e per le evoluzioni della flotta francese, nello stesso anno, oltre Bab-el-Mandeb, poi con l'occupazione di Perim da parte della Gran Bretagna nel1858- era proseguita negli anni successivi con l'installarsi della Francia ad Obock e dell'Inghilterra a Zeila.
(9) Nata il t• settembre 1838 dalla trasformazione della Compagnia marittima di assicurazione fondata l'anno prima da Raffaele Rubattino, Lazzaro Rebizzo e Giuseppe Gavino, la Società di navigazione De Luchi-Rubartino, con un capirale di 500.000 lire, ebbe difficili inizi. Scomparso nel 1841 il De Luchi, la società, attraverso varie peripezie, scioglimenti e ricostituzioni, malgrado avesse a subire delle perdite disastrose, come il naufragio del Polluce, continuò ad affermarsi progressivamente nel campo nazionale, essendosi costituita ormai, nel 1846, una flotta di sette unità a vapore per 1.187 tonn. complessive, sotto la denominazione di Società dei vapori sardi. La convenzione del 1851 con il governo sabaudo, con cui alla Rubattino venivano affidati in concessione i collegamenti marittimi tra la terraferma e la Sardegna, assunse un'importanza capitale per l'incremento dei commerci e per la rinascita dell'economia dell'isola e dava alla compagnia di navigazione un prestigio notevole, che si sarebbe accresciuto con la progettata estensione delle sue linee fino a Tunisi. Nuove traversie doveva poi affrontare il Rubattino, sia per i cattivi esordi di una, in parte sua, Società transatlamica, creata, con l'apporto di capitali inglesi, per il collegamento
sua attività abbastanza ed entrata nei fasti risorgimentali con la fornitura a Garibaldi delle navi dei Mille, la quale appunto allora si accingeva ad estendere le sue linee fuori del Mediterraneo in direzione del Medio ed Estremo Oriente. La versione ufficiale dei fatti, che rimase stereotipata nella storiografia scolastica, fu, presso a poco, che nel 1869 la società Rubattino, in previsione di istituire linee regolari di piroscafi che percorressero il Mar Rosso alla volta delle Indie, incaricò il Sapeto di cercare sulle sponde di quel mare un luogo idoneo a farvi un deposito di combustibile e di materiale, da attrezzare come base di appoggio e di rifornimento. Le cose non andarono precisamente così: fermo restando l'interesse della compagnia di navigazione nell'impresa (l O), le trattative tra essa e il ministero Menabrea, e poi quelle con il successivo gabinetto Lanza, vennero condotte cosl segretamente, che il Sapeto stesso non ne venne a conoscenza: « io so » egli scrisse più tardi « che il Go« vemo anticipò le spese della perlustrazione del Mar Rosso , ma « ignoro per quale processo occulto io mi trasformassi in agente
con i porti al di là dell 'oceano, sia per la perdita di due piroscafi, l'uno affondato e l'a!tro sequestrato dal governo borbonico, sia infine per la privazione dell'appoggio governativo. Messa in liquidazione la società transatlantica e venduti all'incanto i suoi vapori ( 1859), la compagnia Rubattino riuscì a sopravvivere e a riprendere i servizi con la Sardegna, prima interrotti. Messi a disposizione di Garibaldi il Piemonte e il Lombardo e venuta cosl alla ribalta dell'epopea risorgimentale, la società , nel decennio seguente, stabill linee regolari con l'Egitto e si preparò ad iniziare, non appena l'apertura dd canale di Suez lo permettesse, i collegamenti con le Indie: attività che la vedrà giungere rapidamente, alla metà degli anni '70, ad una flotta di 29 piroscafi per complessive 19.867 tonn. e per un valore di oltre venti milioni di lire (dr. G. BoccARDO: Il problema della marina mercantile in Italia , in Antologia», 1880, III; G. CHIESI: Raffaele Rubattino , cenni biografici, Genova, 1882; A. COLIN: La navigation commerciale au XIX siècle, Paris, 1901; M.W. VAN DER VELDE: La Marina Mercantile Italiana- Evoluzione e Avvenire, Roma, 1933; A. ComGNOLA, op. cit.).
(lO) «Caro Croceo» scriveva nel 1868 il Rubattino ad un suo amico siamo già alle porte del 1869 e pare certo che il canale di Suez sarà aperto alla navigazione. Tutte le nazioni ci saranno, compresi i turchi e i russi, e non avremo noi a comparire? Sarebbe proprio desolante» (I.M.G., Carte Rubattino, lettera n . 5427).
« del sig. Rubattino » ( 11 ). La perlustrazione in parola venne condotta dal Sapeto e dal contramm. Acton, i quali concordemente decisero in favore di Assab (12) e stipularono, il 1.5 novembre 1869 , un contratto con i sultani locali Hassàn ben Ahmed e Ibrahim ben Ahmed per l'affitto decennale della baia al prezzo di 6.000 talleri di Maria Teresa ( 13 ), della qual somma ne venivano dati in anticipo 250, promettendo il versamento del saldo al momento della presa di possesso.
Al ritorno in Italia dei due emissari, il governo Menabrea cadeva. Il successore, il Lanza, meno propenso ancora del Menabrea ad esporsi ufficialmente, strinse, sempre ad insaputa del Sapeto, un contratto con la compagnia Rubattino, in base al quale questa avrebbe fatto da prestanome all'acquisto, con l'intesa che lo Stato avrebbe versato i fondi occorrenti e la società si sarebbe riservata « una porzione di terreno conveniente per « l'impianto di una stazione commerciale da retribuirsi in ra« gione del prezzo originale di acquisto » ( 14 ). La Rubattino mise a disposizione il suo piroscafo Africa, sul quale il Sapeto riparù il 14 febbraio 1870, accompagnato questa volta dagli esploratori Odoardo Beccari e Arturo Issel ( 15): 1'11 marzo, a bordo del bastimento, si perfezionava il contratto con i sultani ( 16 ), si completava lo stabilimento con l'acquisto della rada
(11) SAPETO: Assab e i suoi critici, Genova, 1879, pag. 316.
( 12) L'altro punto proposto, la rada di Kuhr Ameira sulla costa orientale presso Bab-el-Mandeb, risultò essere stato nel .frattempo già occupato dagli inglesi.
( 13) Equivalenti all'epoca a oltre 40.000 lire italiane.
(14) La pattuizione fu rogata in Firenze il 2 febbraio 1870, contraenti il ministro degli esteri Visconti Venosta, i ministri della marina, dell'agricoltura e dei lavori pubblici e il sig. Grandoni procuratore del Rubattino: A.U.S.M., cass. 53, fase. 2, sottofasc. «Vedetta» sul Mar Rosso - 1870.
(15) Si veda, nell'ultima ediz. del volume Viaggio nel Mar Rosso e nei Bogos, dell'IssEL, Milano, 1885, l'appendice contenente, fra l'altro, la cronistoria completa degli avvenimenti del 1870.
(16) Controparte dell'atto di cessione risultano il prof. Sapeto stesso e il cap. Buzzolino, entrambi in veste di rappresentanti della Società Rubattino & C. L'originale del trattato non è stato reperito: il testo si può
di Buia - con che la superficie complessiva presa in possesso raggiungeva i 100 kmq- e con l'affitto per dieci anni, al prezzo di 100 talleri, dell'isola di Darmahié che chiude lateralmente l'insenatura di Assab e che apparteneva al sultano di Raheita. Due giorni dopo, il 13 marzo, il Sapeto innalzava la bandiera italiana, cominciava a determinare sul terreno i confini e faceva porre in loco targhe con la data dello sbarco e l'indicazione dei proprietari. Le operazioni vennero seguite da un'unità della marina militare, l'avviso Vedetta, che eseguiva anche nel frattempo rilievi idrografici e topografici della baia e degli approdi. Ma il 26 aprile, reimbarcati gli agenti della Rubattino, le provviste e gli utensili portati a terra e il prof. Sapeto stesso, la Vedetta ripartiva diretta in patria.
L'improvvisa partenza nascondeva un meschino retroscena. Con piccolo esborso ( 17), l'Italia si era assicurata in Assab una base modesta ma vantaggiosa, per la facilità dell'approdo, per la vicinanza allo sbocco meridionale del Mar Rosso e per la prossimità dei porti di Hodeida e di Moka nello Yemen di fronte, per cui si poteva avere qualche possibilità di attirare le carovane dell'Etiopia interna recanti prodotti dèstinati all'Arabia. Se non che il ministero Lanza ebbe paura di aver avuto troppo coraggio: aveva comunicato all'Egitto ( 18) il suo indiretto interessamento all'impresa, dimostrato dall'intervento di una nave da guerra nelle operazioni, ma quando il ministro de-
leggere in Trattati, convenzioni, accordi, protocolli ed altri documenti relativi all'Africa, 1825-1906, a cura del Ministero degli esteri, Roma, 1904· 1906, vol. I, pag. 25.
(17) Si spesero in tutto 104.200 lire: 41.200 per i pagamenti ai sultani, 51.000 per il noleggio del piroscafo Africa e 12.000 al prof. Sapeto come competenze dei due viaggi del 1869 e del 1870.
(18) Cfr. d.ispaccìo del Visconti Venosta al R. Console Generale in Egitto: « Il Governo del Re, col consenso del quale la Compagnia Rubattino ha proceduto in questo affare, ha dato istruzioni al Regio Piroscafo Vedetta, di proteggere la fondazione di quello stabilimento italiano, destinato, fra le altre cose, a somministrare uno scalo alla nostra navigazione per i suoi com· merci nel Mar Rosso» (Po G., FERRANDO L.: L'opera del R. Marina in Eritrea e Somalia daWoccupazìone al 1928, Roma, 1929, pag. 24).
gli esteri egiziano Sherif Pascià espresse le più vive rimostranze per l'asserita violazione della sovranità del suo paese, non aveva osato assumere un atteggiamento energico. Il ritiro del personale e del materiale evitò di stretta misura uno scontro, poiché tre giorni dopo che la Vedetta era salpata giunse ad Assab con l'avviso Khartum un contingente di truppe egiziane inviate dal governatore di Massaua, che, trovata deserta la località, si sfogarono a demolire la capanna che recava la scritta « Proprietà Italian2 ». Ne seguirono proteste e passi diplomatici, finché il governo khediviale fu costretto a ritirare i soldati e a far ripristinare lo status quo ante, ricostruendo la casetta.
La questione rimase così impregiudicata e si trascinò per tutti gli anni '70, mentre vaste polemiche si scatenavano in Italia pro e contro l'iniziativa ( 19 ). Poi, nelle agitate vicende politiche del primo decennio del regno unito con Roma capitale, si stese l'oblio su quell'angolo remoto di terra africana. Ci vollero dieci anni perché Assab tornasse di attualità: durante tale periodo, due sole navi da guerra italiane vi approdarono: la Vettor Pisani di cui si è detto e la 1 Scilla nel 1877 (20).
Fu nel 1879 che le cose cominciarono a cambiare. Per dieci anni la Rubattino non aveva preso alcuna iniziativa, per non provocare più violente reazioni egiziane e per non creare difficoltà al governo italiano, cosl che il territorio in questione, sebbene rivendicato a parole in via di diritto, restò di fatto inoccupato. Ma nel frattempo la compagnia di navigazione, che, avendo ottenuto fin dal luglio 1873 una sovvenzione statale per la linea delle Indie , aveva reso mensile il collegamento GenovaBombay, estendendolo nel 1876 fino a Singapore e a Batavia, ampliò i suoi interessi nel Mar Rossù istituendo nel 1878 un servizio di cabotaggio tra Suez, Gedda e Hodeida in Arabia, e
(19) Cfr. L'Africa italiana al Parlamento nazionale, riassunto delle discussioni, interpellanze, disegni di legge, documenti, ecc. riguardanti le colonie italiane in Africa, Roma, 1907.
(20) FIORAVANZO G., VITI G.: L'Italia in Africa, a cura del Ministero degli esteri, vol. II: L'opera della Marina (1868-1943), Roma, 1959, pag. 2.
Suakin nel Sudan (21}, in collegamento con i piroscafi da e per l'Estremo Oriente. Quando poi, nel marzo 1879, il Parlamento bocciò la proposta di accordare al Rubattino un'altra sovvenzione per il prolungamento nel Mediterraneo della linea d'Egitto fino a Cipro e alla Siria; l'armatore decise di concentrare la sua attività nelle comunicazioni con l'Estremo Oriente e ripropose al governo la necessità di porre fine al modus vivendi tacitamente stabilito con l'autorità khediviale e di riaffrontare con decisione la questione di Assab. Effettivamente, a questo punto la pressione del Rubattino fu determinante: egli sapeva che in dieci anni di polemiche e di critiche il nome di quella località era tornato troppo di frequente sulle labbra degli italiani, perché l'opinione pubblica se ne fosse dimenticata; inoltre alcuni avvenimenti, quale il recente sviluppo di una colonia geografica a Let Maregià, la missione di Menelik, le continue esplorazioni dello Scioa e la politica un po' più decisa del terzo ministero Cairoli, avevano riportato alla ribalta politica il problema dell'insediamento italiano sul Mar Rosso (22) : Il 3 marzo 1879 il Rubattino scriveva al segretario generale del ministero degli esteri, conte Tornielli, la nota lettera, nella quale veniva proposto che la nave da guerra, che di li a poco avrebbe trasportato a Zeila una spedizione di esploratori diretti allo Scioa, riprendesse e ultimasse nella baia di Assab i rilievi idrografici e topografici più volte iniziati e mai condotti a termine (23 }. Il suggerimento
(21) Cfr. C. CEsARI: Storia militare della Colonia Eritrea, a cura del Minist7ro della guerra, vol. I (1869-1896), Roma, 1935, pag. 35.
(22) A rinfrescare nella pubblica opinione il ricordo di Assab il Rubattino aveva operato anche facendo stampare a sue spese, nel 1878, presso l'edit. Pellas di Genova, il volume polemico del Sapeto: Assab e i suoi critici, cit.: dr. I.M.G., Copialettere Rubattino, vol. IV, Rubattino a Lombardi e a Sapeto, Genova 23 aprile 1879.
(23) Ibidem, vol. IV, Rubattino a Tornielli, Genova 3 marzo 1879: « Egregio commendatore, sta per partire un piroscafo che condurrà a Zeila la spedizione verso lo Scioa, non sarebbe dunque questa una buona occasione perché quel bastimento facesse una breve sosta in andata nella baia di Assab? ... Ella conosce che quella baia è proprietà italiana, perché sotto il mio nome è proprietà del governo italiano, e credo che esso non debba
fu accolto dal Cairoli, il quale autorizzò il comandante De Amezaga, che avrebbe dovuto prendere a bordo del suo Rapido la spedizione Giulietti, a fare scalo ad Assab e a redigere un rapporto sulle prospettive economico-strategiche della baia (24). Tutto doveva però rimanere segreto: invece, la notizia trapelò, così che un giornale, « Il popolo romano», diede in un editoriale l'annunzio della decisione del governo di prendere effettivo possesso di Assab, dopo averla ricomprata dal Rubattino. n timore che nuove polemiche di stampa si scatenassero, dando l'avvio ad una speculazione negativa agli effetti della riuscita di quanto si progettava, costrinse il Cairoli a correre ai ripari, richiedendo all'armatore, per il tramite del prefetto Casalis, di pubblicare una recisa smentita alle illazioni contenute nel quotidiano della capitale: smentita che, il 17 novembre 1879, appariva sul «Corriere Mercantile» di Genova. Con ciò parve che le acque tornassero tranquille, tanto che la notizia suscitò scarse reazioni nell'ambiente politico britannico: non così però in Egitto, dove, a detta del console generale De Martino, si era già al corrente « da varie settimane » dei compiti della spedizione. L'esito, tuttavia, venne salvato dalla concomitanza della blanda reazione inglese con l'attrito insorto nel frattempo tra
volere, o farebbe male, abbandonarla Mentre ferve la lotta sulla preferenza a dare al miglior punto per fissare l'attenzione del governo, non sarebbe utile che il comandante e gli ufficiali del piroscafo coi compagni che si recano a Zeila visitassero Assab, e ne portassero al governo una relazione spassionata sulla utilità o no di farne un punto di approdo per il libero commercio e che forse, più facilmente di un altro potrebbe divenire lo sbocco al mare dei commerci che si tenta di iniziare al centro dell'Abissinia? Non giova dimenticare che la Francia non diminuisce le sue tendenze verso quelle regiorù. Abbandonare quella proprietà senza aver esaminato o no la sua utilità, mi parrebbe un'esagerazione... perciò sembrami che anche il viaggio del piroscafo che reca la spedizione a Zeila potrebbe arrecare qualche maggior nuova su questo proposito. Faccia, signor conte, di questo mio suggerimento quel che meglio crede. Non è dettato da alcuna mira interessata, ma solo dal desiderio di giovare ai tentativi che l'Italia fa in vista di migliorare la sua espansione in quei luoghi».
( 24) T aie relazione è reperibile in « Rivista marittima », 1879, ottobre (C. DE AMEZAGA: R. Avviso «Rapido» nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden).
Egitto e Abissinia , nonché da una inaspettata manifestazione di astuta perseveranza da parte del morituro gabinetto Cairoli: infatti, quando giunse notizia a Roma che la Gran Bretagna aveva deciso di inviare una sua unità da gu e rra nel po rto di Massaua, la spedizione italiana era già partita e il governo troppo manifestamente impegnato ormai per poterne decentemente uscire. Le carte erano scoperte: una sola via restava ed era quella di andare avanti. Intervennero poi anche fatti di ordine politico - la costituzione del nuovo ministero Cairoli con l'amm. Acton alla marina in sostituzione del Bonelli che ne aveva retto l'interim negli ultimi undici mesi - di ord ine diplomatico , come il giusto timore che una spedizione organizzata a regola d'arte destasse preoccupazioni in Inghilterra, e persino eventi di ordine meteorologico - una violenta tempesta che mise a dura prova la corazzata V arese destinata in un primo tempo a far parte della missione - i quali tutti cooperarono a far sì che la spedizione partisse in sordina, con un modesto avviso, il piccolo tore, ed un piroscafo di non grandi proporzioni , il Messina, in luogo dell'importante unità da guerra e della nave di linea in precedenza designate. Il trascurabile convoglio non diede nell'occhio a nessuno, passò inosservato per il canale di Suez e giunse alla fine dell'anno in Mar Rosso. Una dimostrazione di forza navale non vi era stata: ma, quel che più conta , la spedizione era stata compiuta.
L'avviso, che era stato posto al comando di quello stesso cap. freg. De Amezaga che pochi mesi prima aveva perlustrato la zona con il Rapido, gettò l'ancora nella rada di Assab il 25 dicembre 1879, subito seguito dal trasporto Messina che recava a bordo materiali, maestranze e tecnici della Rubattino; il 10 gennaio giungeva in rinforzo anche la Ischia . Della spedizione facevano parte il prof. Sapeto e gli esploratori Odoardo Beccari e Giacomo Doria. All'arrivo degli italiani, i capi locali, come fece notare il comandante De Amezaga nel suo rapporto, manifestarono la loro soddisfazione, contando « sulla protezione del no« stro Governo contro le eventuali scorrerie degli Egiziani, fieri « nemici dei Dankali »: ed approfittando di queste buone disposizioni, il Sapeto completò gli acquisti per conto della Rubat-
tino, comperando il 30 dicembre 1879 l'isola Darmahiè, già presa in affitto, e le rimanenti isole della baia, e il 15 marzo 1880 tutto il litorale tra Ras Synthiar e Ras Lunah, che chiudono l'insenatura a sud e a nord, per una profondità entroterra variabile da due a quattro miglia; più tardi (15 maggio) acquistò l'isola di Sennabor e la terraferma tra Ras Lunah e Ras Darmah con l'interno per una profondità di sei miglia, ed altri modesti appezzamenti di terreno a nord di Assab. Il 20 settembre dello stesso anno, infine, stipulò un trattato di amicizia con il sultano Berehan di Raheita, estendendo cosi la sfera di influenza italiana a sud sino ai confini del possedimento francese di Obock.
Durante questi mesi, gli equipaggi delle due unità della marina militare si prodigarono intensamente (25), al fianco degli operai della Rubattìno, a costruire le prime ipstallazioni portuali e a creare un minimo di abitabilità nella zona inospitale e selvaggia: sorsero le prime baracche, un pontile di sbarco, uno scalo d'alaggio, un forno , un distillatore, vennero scavati pozzi di acqua dolce, mentre nella baia erano completati i rilievi idrografici dei fondali; furono eseguite ricognizioni in tutta l'estensione del territorio occupato ( 26 ). Per la prima volta, con la discesa a terra di un esiguo drappello in armi. Assab ebbe un, sia pur minuscolo, presidio, che destò preoccupazione negli am-
(25 ) Gr. rapporto del comandante De Amezaga: «Quanto di serio, di faticoso e di veramente utile fu fatto in Assab in tempo piuttosto breve, come lo sbarcatoìo di 60 metri, ]o scalo di alaggio, l'installazione del forno e del distillatore, lo scavo dei fossi di acqua dolce, tutto devesi esclusivamente all'opera indefessa degli equipaggi dell'Esploratore e dell'Ischia che durante l'atuale stagione diedero in ogni istante prove convincenti della potenza di abnegazione e dell'ottima indole del marinaio militare italiano ... » (Po-FERRANDO, op. cit ., pagg. 44-45).
(26) Ibidem: « ... mi propongo di organizzare in questi giorni una piccola spedizione accompagnata da buone guide e composta dal Sig. Giulietti, dal Guardiamarina Colombo e da tre marinai volontari per un viaggio di ricognizione tutto attorno ad Assab, dentro un raggio di circa 40 chilometri. Da codesto viaggio si avrà prescindendo dai risultati scientifici, un criterio delle condizioni di sicurezza in cui lo stabilimento di Assab può vivere rispetto al suo vicinato... ».
bienti inglesi, al punto che il De Amezaga dovette dichiarare per iscritto al governatore di Aden di aver sbarcato elementi militari non per procedere ad una occupazione ufficiale del luogo, ma soltanto per « proteggere la fattoria Rubattino » ( 27 ). Nel luglio del1880, due unità più importanti, la corvetta Ettore Fieramosca e la goletta Chioggia, presero il posto dell'Esploratore e dell'Ischia, il che permise di intensificare i lavori della stazione marittima, potenziandola con nuove installazioni.
L'attività degli italiani ad Assab, le opere compiute al fine di attrezzarvi uno scalo, e soprattutto la nomina di un commissario civile, che manifestava la volontà del governo di sostituirsi alla privata amministrazione Rubattino, non mancarono di destare apprensione ed irritazione in Egitto e in Turchia, provocando rimostranze da parte del Khedivè e della Porta, spalleggiati questa volta dalla diplomazia britannica. L'Italia, mentre invitava il CairÒ a produrre, a nome proprio e del Sultano, i titoli dimostrativi della presunta violazione di sovranità da parte nostra, chiedeva agli avversari e al Foreign Office l'impegno a non aggravare la situazione (28) mentre perduravano le discussioni diplomatiche: ma due gravi avvenimenti intetvénnéro ad inasprire il dissidio.
Il primo dei due deprecabili eventi fu il massacro di Beilul. Questa località, situata sulla costa del Mar Rosso a una cinquantina di km, in linea d'aria, a nord di Assab, era in possesso del sultano dell'Aussa, Mohamed Anfari, ed era nelle mire del governo italiano di estendere la protezione su quel potentato indigeno, come si era fatto a sud con il sultano di Raheita. A tale scopo, nel maggio del 1881, una spedizione si diresse a quella volta, capeggiata dal segretario del commissariato di Assab, Giuseppe Maria Giulietti, e dal sottoten. vasc. Giuseppe Biglieri, e composta da dieci uomini del Fieramosca, due connazionali civili e due guide indigene. Il 25 maggio la piccola comitiva, sor-
(27) Ibidem.
(28) Cfr. Libro Verde. Documenti diplomatici, Assab, 1870-1882, Roma, 1882, pag. 21; L. UJIALA: La spedizione di Massaua. Na"azione documentata> Torino, 1888, pagg. 13-15.
presa nel sonno da armati dancali, venne totalmente sterminata (29). Negli stessi giorni cadeva, a Roma, il ministero Cairoli e ritornava al potere il Depretis, con P. S. Mancini agli esteri e conservando l'amm. Acton alla marina. Venuto a conoscenza della strage, il governo non pensò minimamente ad una azione energica, quale sarebbe stato suo dovere intraprendere trattandosi di un fatto accaduto in una regione giuridicamente vacante, ma commise addirittura l'ingenuità di affidare l'inchiesta sul luttuoso avvenimento proprio agli egiziani, i quali, non essendo affatto contenti della nostra presenza laggiù, afferrarono subito, come era logico immaginare, l'occasione di sminuire sempre più di fronte alla popolazione indigena il prestigio italiano. Nel contempo, il Mancini sollecitava lamentosamente il Foreign Office a voler tollerare che l'Italia rimanesse ad Assab (30).
(29) Si vedano: CHIALA, La spedizione di Massaua, ecc., cit., pagg. 30 e segg.; M. BARATTA: G.M. Giulietti, 1847-1881, Roma, 1927; A. MARCHESE: G. M. Giulietti, Milano, 1938.
(30) Cfr.la lettera che in quell'oççasione il nostro ministro degli esteri indirizzava all'ambasciatore italiano a Londra (riportata in Pc-FERRANDO, op. cit.): «Al nord di Assab a brevissima distanza dal nostro confine sta Beilul. Gli Egiziani vi hanno, in questo momento, una guarnigione di 50 uomini circa. Trattandosi di un punto vicinissimo ad Assab, ed il più importante di quel tratto della costa, è là soprattutto che ci premerebbe di prevenire l'occupazione di un'altra potenza. E' certo che dopo quanto è occorso alla spedizione del nostro infelice Giulietti, l'eccidio della quale non potè avere finora la giusta punizione, il nostro prestigio, la nostra stessa sicurezza in Assab, subirebbe irreparabile iattura, qualora a Beilul si inalberasse un'altra bandiera o ivi si ritornasse allo stato di completo abbandono che preesisteva parecchi anni or sono alla venuta colà di un presidio egiziano. Raheita, al sud di Assab, già riconosce il nostro protettorato: analoga potrebbe diventare la posizione di Beilul, di modo che dall'una all'altra parte il nostro possedimento avrebbe un'appendice di territorio soggetto all'influenza, se non al dominio dell'Italia, giovando cosl alle sue condizioni di sicurezza, come all'ulteriore svolgimento dei traffici che ivi si possono attirare. Il presente argomento è tale che ci preme anzitutto di avere la certezza di poter procedere di pieno accordo col Gabinetto di Londra. Ci asteniamo quindi da ogni definitiva risoluzione prima di conoscere il pensiero circa questo definitivo progetto. Prego V.E. di voler tosto che Le si presenti occasione propizia e possibilmente senza soverchio indu-
L'altro incidente non fu tragico, ma non meno grave. Poco dopo firmato il patto di amicizia con il sultano di Raheita, gli egiziani avevano esercitato pressioni su quest'ultimo, perché recedesse dall'alleanza con l'Italia: tentativo che fu sventato dalla immediata azione del cap. freg. Frigerio, comandante del Fieramosca (31). Nel giugno 1881, essendo subentrata alla Fieramosca la Cariddi, al comando del cap. corv. Resasco, giunse notizia ad Assab che il sultano Berehan era gravemente ammalato, che era fatto oggetto delle insistenze degli egiziani, sbarcati a Raheita con un reparto armato, e che chiedeva aiuto alla potenza protettrice. Intervenuto prontamente con energia, il Resasco scacciò i soldati del Khedivè e sventò il tentativo: ritornò poi a Raheita nel novembre successivo, alla morte di Berehan, per accertarsi che il successore rimanesse fedele all'Italia (32).
gio , richiamare la benevola attenzione di Lord Granville, su queste nostre considerazioni, ed informarsi delle accoglienze che esse saranno per incontrare. Se contro l'aspettativa nostra, il Governo Britannico si mostrasse poco favorevole a questo nostro concetto, ci lusinghiamo quanto meno, che risponderà alla nostra, con pari franchezza facendoci note le sue obiezioni le quali saranno da noi tenute in quel conto che si addice agli intimi rapporti dei due Governi ed al nostro desiderio di mantenerci uniti al Gabinetto di St. James , in tutto ciò che ha qualche attinenza con la questione egiziana ».
( 31) Il governatore egiziano, a bordo della Diaafariah, era andato appositamente a Raheita: ecco quanto narra il Frigerio nel suo rapporto (ibidem): « Sul Djaafariah, per facilitare le relazioni con le tribù Danakil, il Generale Egiziano aveva condotto il figlio del noto Abu-Beker, Pascià indigeno di Zeila. Questi ebbe un abboccamento con Berehan a terra e tentò con ogni maniera di lusinghe e di promesse di indurlo a recarsi dal Governatore, ma tutto invano. Successivi messaggi ebbero lo stesso risultato negativo. Berehan si teneva continuamente in contatto con noi avvisandoci di quanto stava accadendo e confermando che non avrebbe obbedito agli ordini del Pascià a meno che io non glielo avessi comandato. TI che certamente non era nelle mie intenzioni ».
(32) Si veda, ibidem, il resoconto del comandante Resasco: « ...il 20 giugno u.s. alle 6 antimeridiane, imbarcato il R. Commissario ed il medico della Colonia Dott. Nerazzini, muovevo da Assab per Raheita, ancorandovi alle 10,30 antimeridiane. Inviai a terra una lancia con l'interprete arabo. onde annunciare il nostro arrivo, e ricevevo quindi la visita del figlio del Sultano assieme ai principali notabili del paese. Mi diede notizie preocol-
Fu dunque soltanto la tempestiva azione della marina, in quella circostanza, a salvare la situazione: il governo, anzi che farsi valere al Cairo, non seppe che confidare umilmente nei buoni uf. fici dell'Inghilterra, confermando così negli indigeni la convinzione della debolezza del nostro paese.
panti sulla salute del padre, e mi riferì che il giorno innanzi era giunto in r ada un sambuco egi..dano, da quale era sba rcato il figlio del ben noto AbuBeker con un seguito di 15 soldati regolari completamente armati. Scopo della visita sembrava essere quello di indurre il Sultano Beheran a domandare la protezione del Go\·erno Fgiziano ed alzare la bandiera Kediviale, rinunciando così all'amicizia e protezione del Governo Italiano. Il Sultano si era rifiutato a uli domande, però stava in seria apprensione e riteneva provvidenziale la venuta dello stazionario nella rada. Rimandai subito a terra il figlio del Sultano onde prevenire il padre che alla sera mi sarei recato ad ossequiarlo e che nel frattempo mi sarei interessato della q uestione. La sera scesi a terra insieme al Regio Commissario, alcuni Ufficiali e due medici. Alla spiaggia trovammo una scorta armata c dei cavalli messi a nostra disposizione per fare il tragitto dalla costa a Raheita. In poco tempo si giunse al paese, scendemmo direttamente alla casa del Sultano. Fatti i saluti d'uso domandai, col permesso del R. Commissario, che mi fosse narrato il fatto occorso. Feci chiamare quindi Abu-Beker e gli domandai categoriche spiegazioni L'Egiziano espose subito abilmente e sotto un punto di vista ben diverso, la ragione della sua presenza a Raheita. D isse di aver cercato semplici spiegazioni, ma non volle venire al lato principale della questione. Vedendo che poco si concludeva, pregai il R. Commissario di dire all'Abu-Beker: - Il Comandante della Regia Nave Cariddi non vede documenti onde poter riconoscere in voi alcun carattere ufficiale e quindi non trova nulla a dire circa la vostra visita al Sultano. Trova però strano e sconveniente che voi siate sba rcato assieme a soldati arm ati in un territorio il cui capo gode l'amicizia e la protezione del Governo It alìano. Ciò produce impressioni spiacevoli in paese e potrebbe dar lu ogo a gravi inconvenienti. Vi invito quindi a far cessare questo stato di cose e vi accordo 24 ore di tempo per lasciare Raheita. Nel caso che l'ordine dato non venga eseguito, si regolerà a norma delle istruzioni avute, !asciandovi solo ed interamente responsabile di quanto potrà succedere.Sembra che Abu-Bcker abbia ponderata bene la cosa, poiché nella giornata del 21 imbarcò acqua e viveri disponendo torto per la partenza che, stante il cattivo tempo, ebbe luogo solo alla mattina del 22 ». Ritornata la Cariddi ad Assab per il normale servizio di ricognizione e sorveglianza, il 22 novembre, giungeva un corriere da Raheita annunziando la morte del sultano Beheran: il comandante Rcsasco vi si recò di nuovo, ufficialmente
I due episodi non mancarono di irritare in patria la pubblica opinione: violenti attacchi furono portati contro il Depretis e il Mancini, accusati di fiacchezza e di mancanza di dignità (33 ). Cosl pungolato, il governo trovò il coraggio di aprire un dibattito diplomatico, non tanto con l'Egitto e la Porta , quanto con Londra, con la quale si arrivò, dopo lunghe trattative , a stringere una convenzione (1882): in questa, come contropartita del riconoscimento britannico della nostra sovranità su Assab, l'Italia si impegnava a non crearvi alcuna fonificazione e a non permettere che vi passasse attraverso alcun traffico d'armi diretto in Etiopia (34). La convenzione sembrava per noi vantaggiosa, e non era. Vi era riaffermata la sovranità della Pona, e quindi dell'Egitto, su tutto il litorale a settentrione di Assab, e questo sarebbe bastato a precludere qualsiasi ulteriore espansione. Ciò non bastava a Turchia ed Egitto, che continuarono a rimostrare: ma il governo italiano, fone dell'approvazione inglese, chiuse la discussione rifiutando ogni ulteriore trattativa con il Cairo ( 3 5) e gli avversari finirono con il lasciar cadere la questione .
Nel frattempo, Assab era diventata ufficialmente una colonia italiana Con la convenzione del 10 marzo 1882, lo Stato subentrava alla Rubattino nell'amministrazione del territorio, corrispondendo alla compagnia di navigazione un indennizzo pagabile in tre rate annuali e stanziando in bilancio una somma di 250.000 lire per le spese di organizzazione del possedimen-
per presenziare alle onoranze funebri dello scomparso amico fedele dell'Italia, e riferiva: « ... mi recai quindi a trovare il futuro Sultano e lo tovai benissimo di:>posto a nostro favore. Visto che tutto procedeva bene e che l'ordine regnava ovunque, la mattina del 24 ritornai ad Assab ».
(.33) Larghi resoconti delle discussioni che si ebbero in Parlamento sono riportati dal CmALA, La spedizione di Massaua, ecc. , cit., pagg. 50 e segg.; si veda anche E. PASSAMONTI: Dall'eccidio di Beilul alla questione di R.aheita, Roma 193 7.
(34) Libro Verde, ci t ., pagg. 19, 56 e 62.
(35) Libro Verde, cit., doc. CCXXVIII, pagg. 194-195.
to ( 36 ). Del rapido sviluppo della stazione marmuna in quei primi anni di vita sono prova le cifre del movimento del porto, ancora deserto nell'BO, salvo che per la presenza delle unità della marina militare e dei trasporti della Rubattino: nel 1881 vi giunsero e ne ripartirono 650 natanti, nella quasi totalità piccoli bastimenti da cabotaggio approdati per rifornimento; nel1'82, salirono a 860, mentre arrivavano dall'interno le prime tre carovane; nel 1883, il movimento superava le 1.000 unità (37). Ma nessun segno dimostrava che l 'Italia, sistemata bene o male la questione di Assab, intendesse proseguire in una politica coloniale. Erano quelli, tra il 1880 e il 1885, gli anni del rilancio dell'espansione francese, di cui Tunisi fu per noi l'episodio più amaro, dell'inesorabile allargarsi del controllo britannico su tutte le arterie delle grandi comunicazioni mondiali e su immense regioni dei continenti extra-europei ( 38 ), dell'arrogante ingresso germanico nell'arengo coloniale(39), e per noi, invece, gli anni del « sano realismo », delle « mani nette », delle « economie fino all'osso >>, del timore di tutto e di tutti e del complesso di inferiorità verso la Gran Bretagna potente, verso la Francia minacciosa vicina, verso i nuovi alleati della Triplice ( 40 ). Furono poi le mutate circostanze ad annullare per l'Italia gli svantaggi che comportava la convenzione italo-britannica dell'82 ed a sospingere il nostro paese, più nolente che volente, ad allargare la sua influenza ed il suo diretto dominio sulla sponda africana del Mar Rosso.
La grave crisi egiziana del 1882, nella quale la politica manciniana oppose il noto «gran rifiuto » all'invito di Lord Granville a che l'Italia cooperasse con la Gran Bretagna in quella
(36) Si veda CESARI, op. cit., vol. I, pagg. 50-52 (Convenzioni fra il R. Governo e la Società Raffaele Rubattino & C.) e 55-56 (Legge 5 luglio 1882 n. 857: Provvedimenti per la Colonia italiana di Assab).
(37) Cfr. A.C.R.M., busta 200.
(38) Cfr.]. BRIDGE: L'impérialisme britannique: de l'ile à l'empire, édit. franç., Paris, 1910; e SEELEY, op. cit.
(39) Si veda A. ZIMMERMANN: Kolonialpolitik, cit., e Geschichte der deutschen Kolonialpolitik , Berlin, 1914.
( 40) Cfr. GABRIELE, Le convenzioni navali della Triplice, cit.
zona (41), e nel biennio seguente l'insurrezione mahdista con la guerra nel Sudan e l'intervento etiopico implicante una minaccia sulle coste del Mar Rosso, e infine l'improvviso riaccendersi dell'interesse francese per l'Abissinia, fecero sì che l'Inghilterra cambiasse atteggiamento nei nostri confronti e che il Mancini si decidesse, mutando politica di colpo, a prendere l'iniziativa in Africa. Già il 29 ottobre 1884 il ministro degli esteri scriveva al Nigra, ambasciatore a Londra, che non avrebbe permesso fosse innalzata a Beilul altra bandiera che non fosse quella italiana ( 42): e mentre ferveva il lavorio diplomatico, era sopravvenuta, ad eccitare l'opinione pubblica, la notizia che negli stessi luoghi, dove era stato massacrato il Giulietti con i suoi compagni, un nuovo esecrabile eccidio era stato commesso dai dancali nella notte tra il 7 e 1'8 ottobre, contro i membri della spedizione Gustavo Bianchi di ritorno dallo Scioa ( 43 ). Il 15 gennaio 1885 il Mancini dava formale assicurazione alla Camera che quel nuovo atto di barbarie non sarebbe rimasto invendicato: e dieci giorni dopo il comandante della corazzata Castelfidardo, il futuro ammiraglio Trucco, sbarcava a Beilul un reparto della marina che, disarmato il piccolo presidio egiziano, prendeva possesso della località ( 44 ).
( 41) « Il governo del piccolo Piemonte» scrisse in quell ' occasione il Crispi, contrapponendo al pavido Mancini l'audacia del Cavour «ebbe quel coraggio che oggi manca al Governo d'Italia» (CRISPI: Po litica estera. Memorie e documenti, Milano, 1912, pag. 118) e con tali parole si faceva interprete della maggioranza dell'opinione pubblica italiana ( CHIALA, La spedizione di Massaua, ecc., cit. , pagg. 101-103).
( 42) CHIALA, La spedizione di Massaua, ecc. , ci t ., pag . 130. Non era trascurabile il contrasto con quanto lo stesso Mancini aveva dichiarato al Senato cinque mesi prima, il 22 maggio 1884, sostenendo che era « imprudente e dannoso consiglio l'eccitare l'Italia... a slanciarsi in avventure dispendiose e perigliose in lontane regioni».
( 43) Cfr. C. ZAGHI: L'ultima spedizione africana di Gustavo Bianchi, 2 voll., Milano, 1930.
(44) Nel rapporto del comand. Trucco si legge: «Deciso dunque ad agire, feci scendere a terra all'alba del 25 gennaio 1885 la compagnia ed artiglieria da sbarco, circa 150 uomini, comandati dal Tenente di Vascello Caputo, al quale rimisi le istruzioni opportune; consegnai io stesso la bandiera nazionale a queste forze a terra , che dovevano, occorrendo,
Ma già erano pronti 1 piani per una più vasta ed importante operazione: avendo ottenuto, verbalmente dapprima ( 45) e poi per iscritto ( 46 ), il consenso inglese, era stato approntato un corpo di spedizione al comando del col. Saletta, composto di 800 bersaglieri con 40 ufficiali, che era partito da Napoli il 17 gennaio sul piroscafo Gottardo per destinazione ignota al comandante stesso, il quale apprese soltanto il giorno 31, a Suakin, di dover occupare Massaua. Lo sbarco, effettuato il 5 febbraio, non incontrò resistenza: il comandante egiziano della città, Izzet Bey, si limitò ad una protesta verbale e, per mutuo accordo, la bandiera italiana venne innalzata a fianco di quella egiziana.
Cospicuo fu il contributo che la marina militare. diede alle operazioni. All ' inizio del 1885 essa aveva presenti, riunite in « Divisione navale del Mar Rosso » ( 4 7 ), agli ordini del contramm. Caimi, la corazzata Castelfidardo, l'incrociatore Amerigo Vespucci, la corvetta Garibaldi e le minori unità Esploratore, Barbariga, Messaggero e Vedetta, alle quali si aggiunsero subito dopo la fregata Ancona, la corvetta V ettor Pisani, il piroscafo Conte di Cavour ed una squadriglia di sei torpediniere ( 48 ). Lo schieramento della flotta dinanzi al porto, con le artiglierie puntate sulla città e sulle colline circostanti, fu certamente uno dei principali fattori del pieno risultato conseguito senza spar-
essere pronti a difendere, in nome del Re e della Patria, e quindi li feci marciare avanti. Alle ore 9,30 antimeridiane, quando col mio Stato Maggiore ridiscesi a terra per recarmi al porto, ebbi dal Comandante delle truppe il seguente biglietto: - Accoglienza cortese promettente minore diff icoltà di quanto a partenza. Alzo immediatamente l'asta della bandiera e dò il rancio alla gente. Fto Caputo » (Po-FERRANDO, op. cit ., pag. 74).
( 45 ) Il 20 ottobre 1884, per tramite del rappresentante generale britannico in Egitto sir Evelyn Baring (CIASCA, op. cit , pag. 132).
( 46 ) Blue Book, Egypt, 1885, n . 14, pag. 40, doc. 115: nota di Lord Granville al governo italiano in data 31 dicembre 1884, in cui era detto che il governo inglese satebbe stato lieto se ci fossimo insediati a Zeila, Beilul e Massaua prima di qualsiasi altra potenza.
( 47) Cfr. A.C.R.M., busta 202 e 203.
( 48) Sirio, Sagittario, Pegaso, Canopo, Procione e Centauro: tutte da 39 tonn. con apparato motore della potenza di 450 HP, di recentissima costruzione nei cantieri britannici.
gimento di sangue. In analoga maniera vennero occupate le località viciniori: Arafali, in fondo alla baia di Zula, il 10 aprile con azione dell'avviso Esploratore , Archico nel golfo omonimo il 21 aprile per mezzo della fregata Ancona e 1'8 giugno le isole Dahlac con le torpediniere Procione e Canopo. Venne quindi la proclamazione del protettorato italiano su tutta la costa da Massaua ad Assab, dopo che l'Esploratore ebbe visitato tutti gli approdi del litorale ed ebbe portato a buon esito le trattative con i capi indigeni. La partecipazione della marina fu essenziale in tutte le fasi dello svolgimento del piano di occupazione, non soltanto nell'azione diretta, ma anche e soprattuttO nell ' organizzazione logistica delle operazioni , per cui in quella occasione funzionarono ottimamente tutti i vari servizi, trasporto delle truppe, munizioni, viveri e materiali, protezione dei reparti sbarcati, rifornimento, collegamento delle unità tra loro e con la terraferma e tra i diversi reparti operanti.
A dicembre , giunto dall'Italia il gen. Genè ad assumere tutti i poteri civili e militari, fu eliminata completamente la residua presenza egiziana con l'allontanamento dei funzionari e soldati del Khedivè rimasti a Massaua ( 49). La funzione della marina militare, nell'assenza di minacce imminenti contro la città e i presidi italiani della costa , fu rivolta al pattugliamento del Mar Rosso, principalmente allo scopo di reprimere la tratta degli schiavi dalle terre etiopiche verso i mercati dell'Arabia, che da secoli vi si svolgeva indisturbata.
A concorrere alla difesa attiva della colonia la marina fu chiamata ancora due anni più tardi, quando , dopo Dogali, nonostante i tentativi inglesi di pacifìcazione (50 ), si venne a delineare una situazione di pericolo e si presero le precauzioni dettate dall'emergenza. In tale occasione, delle dodici unità della flotta presenti in Mar Rosso, la corvetta Garibaldi e il trasporto Città di Genova furono adibiti a navi-ospedale ed ancorati nella rada; le rimanenti navi vennero dislocate tutto intorno alla costa, affinché fossero in grado di battere il terreno circostante alla città a sostegno dei forti e dei centri di resistenza stabiliti
(49) CIASCA, op cit., pag. 150.
(50) A.C.R., Carte Depretis, busta 22, fase. 73, 74 e 75.
dall'esercito ad interdizione delle probabili provenienze di colonne assalitrici abissine (51). Una batteria della marina fu armata nell'avamposto di Gheràr e a bordo di tutte le unità si tennero pronti, qualora ve ne fosse bisogno, reparti da sbarco nella proporzione di un terzo degli equipaggi.
Tuttavia la minaccia su Massaua non si attuò e le navi da guerra poterono ritornare ai loro compiti ordinari di perlustrazione e di sorveglianza.
Furono ancora le unità di passaggio nel Mar Rosso o ivi dislocate le prime a prendere contatto con i territori somali sui quali in seguito si sarebbe stabilita una sfera di influenza italiana (52) . L'avviso Rapido del comand. De Amezaga (53) mostrò per la prima volta la nostra bandiera sul litorale oltre Babel-Mandeb nel 1879, quando, dopo lo scalo a Berbera (54) del 23 aprile, sbarcò a Zeila i tre esploratori (55) diretti allo Scioa, e visitò Tagiura; più oltre si spinse nel maggio e giugno del medesimo anno la Vettor Pisani al comando del duca di Genova,
(51) La distribuzione delle forze navali nei settori di difesa fu la seguente: la corazzata Dogali e la cannoniera Scilla nella baia di Dachilia, a nord della penisola di Abd-el-Kader che protegge a settentrione la città, donde le artiglierie di bordo potevano sostenere i forti di Otumlo e della penisola; la cannoniera Andrea Provana nel seno di Taulud, a protezione del litorale fino alla grande diga che unisce Massaua alla terraferma; l'avviso Marcantonio Colonna e i piroscafi Conte di Cavour e Mestre in fondo all'insenatura a sud della diga per proteggere l'imbocco da terra, in appoggio al forte di Taulud; la corazzata Giovanni Bausan con la torpediniera Cariddi e H piroscafo Calatafimi dinanzi alla spiaggia di Archico, per sostenere il trinceramento colà costruito a difesa del paese, tenendo sotto tiro i due sbocchi dai quali si sarebbe potuto presentare il nemico. Il brigantino Miseno, ancorato all'imboccatura del porto, stava in riserva (FIORAVANzo-VITI, op. cit., pag. 4).
(52) Cfr. A. CoRTINOIS: La Somalia italiana, Milano , 1913; G. PIAZZA: Il Benadir, Roma, 1913; A. GArBI: Storia delle Colonie italiane, Torino, 1934.
(53) DE AMEZAGA: R. Avviso «Rapido», ecc., cit.
(54) A Berbera il De Amezaga, agendo energicamente, costrinse il go.vernatore egiziano a restituire ad un italiano ivi residente, tale Marconi, le armi indebitamente confiscategli (FIORAVANzo-VITI, op. cit., pag. 6).
(55) G iulietti, Antonelli e Martini.
diretta in Estremo Oriente (56); e nel 1885 l'avviso Barbariga, dopo aver partecipato alle operazioni di sbarco a Massaua, fu inviato a Zanzibar, con istruzioni di negoziare con quel sultano un accordo commerciale e di esplorare la foce del Giuba, incarichi che furono ambedue condotti a termine soddisfacentemente dal cap. freg. Fecarotta e dall'esploratore Antonio Cecchi, console italiano a Aden (57).
(56) Toccò Berbera, Durduri, Bender Marayeh, residenza del sultano dei Migiurtinì, Ras Filuk, l'Elefanta degli antichi romani, e Alula, tristemente nota negli annali marittimi per esser sede delle bande di predoni somali che saccheggiavano le navi naufragate al capo Guardafui. Nel suo rapporto (riprodotto in Po-FERRANDO, op. cit , pagg. 11 e segg.), il duca di Genova scriveva tra l'altro: « ... ammessa l'utilità di una colonia, cosa indiscutibile, se questa dovesse essere al Somal, non sarebbe certo nelle vicinanze del Capo Guardafui, come alcuni vorrebbero, che si dovrebbe mettere il primo piede. Quella parte di costa è rutta orribilmente arida, pietrosa e direi quasi composta di roccie orribilmente sconvolte, ed è infine completamente fuori mano dal resto del paese. Inoltre non vi sarebbe alcun vantaggio a stabilirsi in un punto dove non si potrebbe profittare del commercio dell'interno. Io trovo che il solo punto che realmente sarebbe conveniente di possedere, perché riunisce molti vantaggi, si è Berbera che può dirsi la chiave di rutto il Somal, che fornisce di molti generi Aden, che è il miglior porto dello Scioa e che offre infine una buona via per internarsi in Africa. L'essere Berbera occupata dal governo egiziano non costituisce forse una difficoltà insormontabile ».
(57) Il famoso esploratore, noto per i suoi viaggi in Etiopia e per la lunga prigionia sofferta tra gli abissini, si era imbarcato alla fine del1'84 sulla Garibaldi, quando a questa corvetta doveva essere affidato l'incarico di perlustrare le coste africane. Modificata poi la missione della Garibaldi, dopo la presa di Massaua il Cecchi trasbordò sul Barbariga, comandato appunto dal Fecarotta, per recarsi sul litorale somalo, esaminare, come dicevano le istruzioni suggerite dal Negri, «la condizione politica della regione e la possibilità che il Giuba servisse come via di penetrazione verso l'interno», ed infine trattare con Zanzibar. L'avviso giunse all'isola del sultano alla fine d'aprile, ottenne l'approvazione e l'apl'appoggio del potentato indigeno, poi toccò Lamu, Bur Gabo e Chisimaio, dove i due italiani risalirono il tratto terminale del corso de1 Giuba, raccogliendo informazioni sul regime del fiume; ritornati a Zanzibar, conclusero ad ottobre un trattato di amicizia, commercio e navigazione con il sultano Said Bargash, preludio ad ulteriori trattative per la cessione all'Italia di parti della costa somala sotto la nominale sovranità zanzibarese.
Nell'estate del 1866, mentre si combatteva in Italia la terza guerra di indipendenza, la divisione navale dell'America meridionale , una volta partita per rientrare in patria la fregata Principe Umberto, era rimasta costituita- come si è visto- dalla vecchia Regina, dalla decrepita e ancor più malridotta Ercole e dalle cannoniere Ardita e Veloce, alle quali si aggiungeva qualche piccola unità noleggiata ed armata di volta in volta sul luogo, come il piroscafo Principe Oddone. Il compito che dovevano svolgere queste poche, superate e inadatte unità era immenso: il comandante della divisione, contramm. Riccardi, non sempre era perciò in grado di rispondere alle numerose richieste di intervento né di far fronte a tutte le eventualità. La situazione era tanto più grave, in quanto continuava , sempre più accanita ed inumana, la guerra tra gli Stati della regione del Plata , quella cui fu dato il nome di « guerra della triplice alleanza » (l), che desolò per vari anni un estesissimo territorio, coinvolgendo le pacifiche popolazioni tra le quali erano cosl numerosi gli immigrati italiani (2). Questa guerra paraguayana, cui si è già accen-
(l) Cfr. al riguardo R. CoRSELLI: Della guerra americana della triplice alleanza, Modena, 1938.
(2) Il VIRGILI, nel suo volume Delle emigrazioni transatlantiche degli italiani, ed in specie di quelle dei Liguri alle regioni del Plata - Cenni economico-statistici, Genova , 1878, pag. 176, calcola che nel 1867 gli italiani in Argentina avessero oltrepassato il numero complessivo di 110.000, su una popolazione totale della repubblica di poco superiore al milione; quelli residenti in Uruguay, su una popolazione molto minore dell'Argentina , erano tra i 50 e i 60 mila. In quegli anni si incrementò grandemente il traffico marittimo tra Genova e le repubbliche del Plata: da una relazione della Camera di Commercio si rileva che tra il 1866 e
nato, vide in campo il Brasile, l'Argentina e l'Uruguay, con forze terrestri e navali di assai diversa entità (3 ), coalizzate contro il piccolo ma bellicoso Paraguay del maresciallo Francisco Solano Lopez ( 4 ), e si svolse con alterne vicende tra il 1864 e il 1870, terminando con la completa vittoria dei tre alleati, che devastarono e mutilarono il paese debellato. Ai problemi derivanti dallo svolgersi delle operazioni militari che spesso implicarono le popolazioni civili e con esse le comunità italiane viventi nei centri lungo il Rio Paranà e i suoi grandi affluenti, si sovrapposero quelli originati dai moti rivoluzionari che agitarono l'Argentina e più tardi anche l'Uruguay, fomentati spesso dalle repubbliche andine (Cile e Bolivia} avverse al Brasile e favorevoli al Paraguay: a tanti mali si aggiunse infine anche il colera serpeggiante in tutta la regione. In tali frangenti, la divisione
il 1867 le navi partite per il Sud America salirono da 53 a 90 (da 18.500 a 30.500 tonn.) e quelle in arrivo a Genova dal Plata da 42 a 51 (da 12.000 a 15.500 tonn.): tra tali bastimenti, quelli adibiti al trasporto degli emigranti furono certamente non meno di una dozzina nel '66 e di una quarantina nel '67.
(
3) Il Brasile forni costantemente una forza oscillante fra i 30 e i 40 mila uomini e tutta la sua flotta (9 unità con 59 pezzi, aumentata in seguito fino a 18 unità: 7 cannoniere, 7 corvette e 4 corazzate, tra le quali la Bahia di costruzione inglese, armata di cannoni da 150 in torre binata); l'Argentina arrivò raramente a mettere in campo 20.000 soldati; quanto all'Uruguay, le sue forze giunsero talvolta a 5-6.000 combattenti, ma si aggirarono in media sui 1.500.
( 4) Era figlio del defunto Carlo Antonio Lopez, dittatore del Paraguay dal 1844 al 1862, il quale a sua volta era nipote del dott. Francia, che aveva governato con poteri assoluti il paese dal1814 al 1840. La lunga dittatura di questa famiglia fu illuminata e valse a liberare il Paraguay dall'oppressione delle classi privilegiate, la nobiltà di discendenza spa· gnola, il clero onnipotente e l'alta borghesia filo-argentina. Ma l 'ultimo dei tre dittatori, trascinando lo Stato nella guerra contro avversari enormemente più potenti, anche se meno bellicosi, lo condusse all'estrema rovina, al punto che la popolazione, da 1.350.000 anime che contava nel 1863, tra perdite militari, eccidi, carestie e pestilenze, discese a meno di 400.000 abitanti nel 1870: gli uomini adulti si erano ridotti da 300.000 a 28.746 (L. GoMEZ DE TERAN y P. PEREIRA GAMBA: Compendio de Geografia y Historia del Paraguay, Asunci6n, 1879).
navale italiana operò, con i pochi mezzi disponibili, come meglio poteva.
A giugJ;lo del 186 7 prese il posto del Riccardi il contramm. Anguissola l- giunto a Montevideo dopo un avventuroso viaggio con il piroscafo Conte di Cavour (5), che tenne il comando per un anno, durante il quale ·la Regina andò per tre mesi in cantiere a Rio de Janeiro per riparazioni e la divisione si trovò ridotta alla cadente Ercole e alle due stanche cannoniere ( 6 ), che alternavano la stazione nei porti di Montevideo e di Buenos Ayres con le crociere lungo i grandi fiumi (7).
(5) Questo bastimento, acquistato dalla marina militare per essere adibito a trasporto, era al comando del cap. freg. Burone Lercari. Sulla rotta da Bahia a Montevideo, si incagliò di notte presso la spiaggia di Coronella a 80 miglia dal Capo S. Maria; dopo l'insuccesso di vari ten· tativi di disincagliarlo., l'amm. Anguissola si decise a sbarcare e a continuare il viaggio per via di terra. Ma il comand. Burone Lercari, restato a bordo con due ufficiali e 60 marinai, approfittò di \lfla mareggiata e, spiegando tutte le vele, aiutandosi con il motore e distendendo ancorotti, riuscl alla fine a far galleggiare la sua nave. Cosl riprese a bordo l'ammiraglio e il resto dell'equipaggio e giunse in ritardo, ma incolume, a Montevideo (LEVA, op. cit ., vol. I, pag. 44).
(6) In A.C.R.M., busta 37, si reperiscono vari documenti di quell'anno e posteriori, nei quali si lamentano le pessime condizioni di manutenzione in cui versavano le due unità sottili: cfr., ad esempio, il ral>' porto del Dehigecoso., comandante della V eloc.e, da Asuncion, in data 26 febbraio 1869: in esso è detto che a bordo della cannoniera, tutto il materiale versava « in condizioni pietose », dalle vele ai bozzelli, ai cavi, alle «munizioni avariate», poiché, purtroppo, la nave non era stata quasi mai rifornita delle sue competenze trimestrali. « Vi sono qui due legni » proseguiva la lettera «uno inglese e l'altro degli Stati Uniti, che risplendono e rivaleggiano in pulizia e bella tenuta. La Veloce potrebbe non umiliarsi al confronto, se avesse non altro che quei mezzi assegnati dalle tabelle delle consumazioni ».
(7) Tra le missioni fluviali delle cannoniere, importanti furo.no quella della Ardita a Mendoza nel gennaio 1867 per la rivolta ivi scoppiata dietro sobillazione del Cile e della Bolivia; quella della stessa unità nel secondo semestre del '67 a Corrientes, nei cui dintorni imperversava la guerra paraguayana; quella della medesima Ardita e della Veloce a Rosario nei primi mesi del '68 durante l'epidemia di colera. Anche a Motitevideo, nello stesso periodo, vi furono torbidi e moti popolari, culminati
Il peggioramento delle relazioni diplomatiche tra l'Italia e l'Uruguay avutosi nell'ultimo periodo della presidenza Flores indusse il Provana, ministro della marina nel gabinetto Menabrea, e il suo successore Riboty a rinforzare la divisione dando il cambio alle unità più vecchie: così, alla fine del '6 7, venne deciso di inviare in Sud America, al posto della Regina e della Ercole de stinate a rientrare per essere radiate, le corvette Etna ad elica e Guiscardo a ruote, le quali partirono all'inizio del 1868 ma arrivarono a Montevideo non prima di giugno, a causa di vari incidenti, trasportando il nuovo comandante designato della divisione, contramm . Del Carretto {8). Fu nel secondo semestre di quell'anno che l'azione delle unità della marina militare italiana dovette intensificarsi, per la piega pericolosa che avevano preso gli avvenimenti: le due cannoniere, dopo la conquista di Humaità da parte dei tre alleati, ottenuto àai belligeranti il permesso di passare la linea del fuoco, raggiunsero le nuove posizioni su cui si erano attestati i paraguayani ed ottennero, sostenendo le richieste del console generale italiano ad Asunci6n, Chapperon, la liberazione di un centinaio e più di connazionali imprigionati ( 9 ).
nell'uccisione del presidente Flores, così che le unità italiane, d'accordo con le altre navi da guerra ivi stazionanti (una fregata e tre cannoniere britanniche, tre fregate spagnole, una fregata e una cannoniera francesi, quattro cannoniere brasiliane e tre statunitensi), misero a terra reparti da sbarco per salvaguardare l'ordine pubblico (A.C.R.M., buste 34 e 35, Archivio Divisione navale dell'America meridionale).
(8) Manifestatasi una via d'acqua nello scafo della Etna poco oltre Gibilterra, la nave dovette fermarsi a Cadice per riparare le avarie. I rinforzi inviati nell'America meridionale comprendevano anche la vecchissima ex fregata sarda Hautecombe, declassata nel 1831 a trasporto col nome di Des Geneys e sul punto ormai di essere radiata. L'antico veliero venne destinato a fungere da magazzino, officina e deposito personale: ormeggiato nel porto su bassi fondali, grazie al suo ridotto pescaggio, servl per vari anni anche da ricovero agli ufficiali ed alla bassa forza, tutte le volte che le cattive condizioni meteorologiche impedivano a costoro di raggiungere le proprie unità in rada (LEVA, op. cit., vol. I , pag. 49).
(9) Sulla Veloce aveva preso imbarco il cap. freg. Antonio Sardi, comandante della Guiscardo, il cui rapporto è reperibile in A.C.R.M., busta 37.
Cinque mesi soltanto dopo aver assunto il comando, il contramm. Del Carretto venne sostituito dal cap. vasc. Cesare Yauch. Era per una misura di economia che il Riboty aveva deciso di preporre alla divisione un ufficiale di grado inferiore: e per gli stessi motivi si richiamò inoltre in patria la Guiscardo, che, nel viaggio di ritorno, effettuò una lunga crociera sulle coste del Brasile.
Tra la fine del '68 e i primi mesi del '69, volgendo al temune la guerra del Paraguay, si verificarono nuovi dolorosi avvenimenti nella regione; il Lopez, abbandonando la sua capitale, aveva lasciato dietro di sé devastazioni e cadaveri, tra cui alcuni di italiani; e i vincitori, avanzando, si davano a stragi e saccheggi indiscriminati. La Veloce, al comando del ten. vasc. De Liguori, si adoperò quanto poté per appoggiare l'operato del console Chapperon a protezione dei connazionali ed anche dei sudditi prussiani, su richiesta di quel governo (10). Intanto l'altra cannoniera, la Ardita, operava sulle coste dell'Uruguay dilaniato dalle lotte nuovamente insorte tra « blancos » e « colorados »: azione che dovette abbandonare nell'agosto del 1869, essendo costretta ad accorrere ad Asunci6n per nuove, gravi complicazioni di cui stava per essere vittima il console italiano, salvato in extremis dall'intervento della marina e sottratto alle minacciate rappresaglie del governo provvisorio installato in Paraguay dai vincitori ( 11 ).
(10) Cfr. Ibidem, messaggio del mtmstro italiano a Buenos Ayres, Della Croce, al comandante della Veloce, in data 11 gennaio 1869: «Un dispaccio che mi giunge in questo momento mi annuncia che il governo prussiano ha chiesto la protezione e l'appoggio delle forze navali italiane in favore di tutti i tedeschi della Confederazione del Nord che sono nelle regioni del Plata e segnatame.nte di quelli che potessero trovarsi al Paraguay. Se quindi si presentasse la circostanza, Ella vorrà trattare que· sti ultimi al pari dei R. Sudditi e açcordare loro la medesima protezione e i medesimi favori >>.
( 11) Gli alleati ritenevano che la marina italiana appoggiasse l'odiato « cacique Soiano Lopez e non temevano di formulare le più assurde accuse: dr., sempre in A.C.R.M., busta 37, rapporto del Dehigecoso, cqmandante della Veloce, al cap. vasc. Yauch, del gennaio 1869: «Le do un pezzo di giornale che ho tagliato dal " Federalissa "... Si accusava
Dopo la conclusione dell'infausta guerra settennale, essendosi ristabilita nelle regioni del Rio de la Plata una situazione abbastanza calma (12), anche la divisione navale italiana ebbe un periodo di relativa stasi.
Durante tutto questo periodo, quasi nulla fu la nostra pre· senza sulle coste americane del Pacifico. La Magenta, reduce dall'Estremo Oriente, aveva fatto scalo al Callao dal 12 al 23
il Comandante Manfredi (della Ardita) di intelligenze col tiranno dd Paraguay e si diceva che aveva ricevuto a bordo della nave al suo comando una forte somma di quel mostro, somma che doveva essere messa in salvo nelle banche straniere ... con in più il fatto aggravantissimo che le armi e munizioni dell'Ardita erano state cedute al tiranno». Anche il ministro d'Italia a Buenos Ayres chiedeva ragguagli in merito al comando della divisione navale con una lettera del 16 gennaio (ibidem); « è quindi necessario che Ella voglia, Signor Comandante, procedere ad un'inchiesta ... Al che il cap. vasc. Yauch rispondeva immediatamente, con una recisa smentita del 22 gennaio (ibidem): « ...Risultami in modo esplicito come gli stessi (comandanti delle cannoniere italiane) mai ebbero ad infrangere quei doveri di neutralità che la loro posizione in Paraguay imponeva ».
Effettivamente, le simpatie dei nostri andavano più al Lopez che agli avversari: dr. rapporto del Sardi, cit.: marchese Caxias oltre ad essere molto vecchio, mi ha prodotta l'impressione di essere un uomo ben al di sotto della sua posizione di Comandante in Capo Così il Vice Ammiraglio potrà essere un buon marinaio, ma non credo che sia all'altezza intellettuale che esigesi a coprire l'alta carica ... Nell'accampamento degli Alleati regnano il disordine e la mancanza di vigilanza, la demoralizzazione dei costumi la più sfrenata, il furto il più esteso ed il più sfacciato che comincia dai Capi, primi interessati in tutte le imprese di provvigionamento dell'esercito e della squadra Ciò che è ammirabile nel Paraguay è la disciplina ed il valore dell'esercito ... Certamente che per le Repubbliche del Plata, che sono sempre in uno stato di disorganizzazione sociale, e dove convengono i demagoghi d'Europa, insofferenti di ogni ordine e di ogni governo, uomini rovinati di fortuna e di reputa.Zione, lo spettacolo che offre il Paraguay di uno Stato ordinato e tranquillo, con strade ferrate, telegrafi, fonderie, e che fabbrica nel proprio territorio tutto ciò che gli occorre per la guerra... non è certamente tale da non destare invidie e timori e perciò si grida alla tirannia». Ma, simpatie a parte, non fu possibile dimostrare çhe in alcuna occasione la marina italiana avesse portato realmente aiuto al Lopez.
( 12) Si verificò, per altro, in pieno quanto era stato previsto dal Sardi nel suo cit. rapporto: « O io mi inganno a partito, o parmi che ri-
agosto 1867 ed aveva trovato in Perù una pericolosa tensione; quindi, arrivata in Cile, ricevette le ultime notizie da Lima, che indussero il comandante Arminjon a prolungare la sua permanenza nel porto di Valparaiso e a segnalare l'aggravarsi delle agitazioni peruviane ( 13 ). All'infuori di questa nave, dopo la
manendo vincitore il Brasile, le Repubbliche del Plata, Paesi disorganizzati, subirebbero la padronanza dd Brasile, e non dubito punto che in allora i molti interessi italiani se non sarebbero compromessi, non eserciterebbero più quella influenza determinante sull'avvenire di questi Stati D ' altronde il Brasile stabilirebbe su queste fiumane, arterie del com· mercio delle Provincie del Plata, una corrente commerciale a detrimento del commercio italiano».
( 13 ) Rapporto del cap. freg. Arminjon al Comando della Divisione navale dell'America meridionale in data 25 ottobre 1867 da Valparaiso (A.C.R.M., busta 36): «La rivoluzione è scoppiata in quella Repubblica e sono quasi due mesi che il generale Canseca si pose in Arequipa a capo del partito ostile al governo dd Presidente Prado, il quale partito ha l'appoggio dd clero. Un battaglione di truppe regolari che aveva le stanze in Arequipa passò ai rivoltosi, dopo di avere ucciso a tradimento e nel modo più vile il colonnello e parecchi ufficiali e il sig. Canseca diede fuori un proclama nel quale chiama il colonnello Prado l'Erostrato del Perù, accusandolo di aver calpestato le leggi del paese, tenuto nessun conto della rappresentanza nazionale, ecc. Dal canto suo il Presidente Prado prese subito le misure più urgenti per frenare il moto il quale minacciava di estendersi con rapidità . .. Non avrei esitato al primo avviso dd pericolo a recarmi a Callao e pormi a disposizione del signor Garron nostro incaricato di affari in Lima ma non credo per ora la situazione abbastanza seria da indurmi ad uscire dalle mie istruzioni. E' quindi mia intenzione partire dopo l 'arrivo dd postale che si aspetta il 27. Rimarrò soltanto se nuove complicazioni sono accadute. Non è però da dissimularsi che la rivoluzione del Perù possa avere nel tempo conseguenze di qualche importanza . Il colonnello Prado è l'anima dell'alleanza delle repubbliche americane contro la Spagna e l'energia di quell'uomo efficacemente seconciata bastò per mandare a vuoto la spedizione marittima che doveva distruggere Valparaiso e Callao e fiaccare l'orgoglio degli antichi coloni separati dalla madre Patria. Se il Governo del Colonnello Prado cade, l'equilibrio sarà scosso dovunque in questi Paesi e gli altri Stati proveranno gli effetti della rivoluzione che principia adesso ad Arequipa. Credo che la presenza di una nave da guerra stazionaria in queste acque sarà indispensabile, per dare ai nostri agenti diplomatici e consolari quella influenza di cui abbisognano in tempi di anarchia
crociera della Principe Umberto nel 1865, nessun'altra unità militare italiana mostrò la bandiera in quelle acque fino al maggio del '74, quando la fregata Garibaldi, nel suo viaggio di circumnavigazione di cui si è parlato, ancorò al Callao per 15 giorni e a Valparaiso per una settimana. D'altra parte, non si poteva certo pretendere che la divisione navale di Montevideo, con le scarsissime forze a sua disposizione, potesse distaccare anche per breve tempo un'unità in Pacifico, per quanto ve ne fosse bisogno ( 14).
Se al principio del 1871 era _giunta in rinforzo dall'Italia un'altra vecchia cannoniera, la Confienza ( 15), e se poco dopo era stata spedita anche una moderna corvetta, la Caracciolo, per sostituire l'anziana Etna, per altro nel settembre di quell'anno il Riboty, tornato al dicastero della marina nel gabinetto Lanza, sciolse la divisione navale, retrocedendola a semplice stazione, qual era stata prima del 6 maggio 1865: rimpatriato il cap. vasc. Yauch, a capo della stazione fu posto il cap. freg. Sarlo, comandante della Caracciolo. Era il previsto epilogo di una politica che già da parecchio tempo considerava la divisione navale come un inutile sovraccarico per Io striminzito bilancio della marina e che non riteneva le nostre colonie nei paesi del Plata abbastanza importanti perché si dovessero armare per loro delle costose navi da guerra, concedendo al massimo l'assistenza di piccole unità, parche consumatrici di combustibile nelle crociere fluviali. Si diceva pure che la situazione era mutata nell'America meridionale e che la ritrovata tranquillità delle regioni del
(14) L'inquieta situazione nel Cile e nel Perù era causata in parte, come si desume dal rapporto dell'Arminjon cit. nella nota precedente, dalla strana guerra non guerreggiata che oppose dal 1864 al 1871 quelle due repubbliche sudamericane alla Spagna e che registrò come unici eventi bellici i bombardamenti della flotta spagnola sui porti di Valparaiso e del Callao. Per quanto concerne i rapporti italo-peruviani di quel periodo, è da rammentare che nel 1869 venne stipulato tra Italia e Perù un trattato di navigazione e di commercio (A.C.R.M., busta 11).
( 15) Unico vantaggio di questa antiquata unità era il pescaggio mi: nimo, che la rendeva manovrabile facilmente nelle navigazioni fluviali (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 248).
Plata non giustificava più le spese che la divisione comportava: era vero il contrario, per l'aumento fortissimo della nostra emigrazione, per il suo estendersi a zone limitrofe che prima contavano pochi italiani, come il Brasile meridionale, e per la pochissima fiducia che si poteva nutrire nella stabilità dei regimi degli Stati sudamericani, cronicamente effervescenti ed endemicamente agitati. Si sarebbe potuto piuttosto obbiettare che, di fronte alle nuove flotte createsi in quelle acque, soprattutto di fronte a quella brasiliana fornita di efficienti e moderne corazzate, non molto avrebbero potuto fare, in caso di emergenza, le nostre malandate cannoniere: ma ad un problema del genere era ben difficile trovare una soluzione nel quadro delle modeste risorse disponibili in Italia per la marina.
Per la prima metà del 1872, essendo la Ardita in cantiere a San Fernando per riparazioni, la stazione rimase con la sola Veloce sul fiume Uruguay, la Confienza ad Asunci6n ancora tenuta dalle truppe di occupazione e la Caracciolo alla base: tuttavia la corvetta lasciò anch'essa Montevideo per una crociera di due mesi a Rio de Janeiro (16). Nel gennaio del 1873, giunto l'ordine di rimpatrio per la Caracciolo, questa partl a marzo per l'Italia , ma la solita Guiscardo, che avrebbe dovuto sostituirla, non arrivò che a maggio ( 17 ). Nel 187 4 la Guiscardo venne rilevata dalla Ettore Fieramosca - sempre un'unità a ruoteche per altro, malgrado le sue mediocri qualità nautiche, non impiegò che 64 giorni a raggiungere l'America. Prima al comando del cap. freg. Ruggiero, poi del pari grado Accinni, la Fieramosca tenne la stazione fino al 1877 , quando fu spedita a
( 16 ) Un'ispezione effettuata nel mese di giugno dal contramm. De Viry trovò tutto in ordine, salvo l'appunto di scarsa istruzione militare e marinaresca degli equipaggi delle cannoniere (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 252).
(17) Nave inadatta ai percorsi oceanici, a causa di diverse avarie impiegò non meno di 152 giorni per attraversare l'Atlantico: A.C.R.M., busta 29. Per i movimenti delle unità negli anni successivi, vedi, ibidem, buste 31, 35, 36, 48 e 51.
darle il cambio l'ancor più vecchia Governolo, anch'essa a ruote. Durante il quinquennio, le tre cannoniere in forza restarono sempre le stesse, ormai prossime alla radiazione per limiti di età: si alternarono instancabilmente, arrancando su e giù per l'estuario del Plata e lungo il corso dell'Uruguay, del Paranà e del Paraguay, facendo la spola (18) tra Montevideo, Buenos Ayres, Rosario, Santa Fé, Corrientes, Asunci6n, Paysandù, Salto, Concepci6n e gli altri centri minori in cui dimoravano nuclei di italiani: sorvegliando il traffico fluviale, tenendo d'occhio i moti
(18) Questa continua attività delle cannoniere, che del resto costituiva la principale ragione di essere della stazione navale, poneva spesso in difficoltà il comando di Montevideo, combattuto com'era tra le istru:lioni del ministero, che raccomandavano la più rigida economia, e le continue richieste dei consoli, in base alle quali si doveva ordinare alle cannoniere di muoversi e quindi di consumare combustibile: il che causò a volte una certa freddezza nei rapporti tra la marina e la legazione italiana di Buenos Ayres. Alle cannoniere non era possibile risalire i fiumi alla vela o bordeggiare, salvo che nei rari casi in cui il vento favorevole aveva tanta forza da imprimere ai natanti una velocità superiore di due o tre miglia almeno a quella del fiume; quanto ad alimentare le caldaie a legna, espediente a cui ricorrevano i comandanti non di rado per risolvere il problema apparentemente insolubile di navigare contro corrente senza consumare carbone, si veda quanto scriveva in un suo rapporto il comandante Gregoretti della Ardita nel 1874: «L'esperienza dimostrava che per portare la pressione a 20 libbre con sola legna necessitavano tre ore di tempo, e muovendo, la pressione scendeva a 5 libbre e si era impossibilitati quindi a proseguire. Aggiungendo in media tra 80 e l 00 kg di carbone la pressione si manteneva a 16 libbre pennettendo 72 giri. Con tali condizioni potevasi superare la corrente normale, ma in molti luoghi dove questa corre più rapida tra banchi, il bastimento non vincendola, indietreggiava, e per progredire era forza lasciar da parte totalmente la legna e bruciare solo carbone non raggiungendo con ciò che una velocità utile di tre miglia all'ora. n tagliar legna a terra coll'equipaggio oltre ad essere molto faticoso, è limitato a sole poche ore della giornata, il caldo e le zanzare rendendo penosissimo quel lavoro, che ha inoltre l'inconveniente di impossibilitare al lavoro marinaresco tutti coloro che con buona volontà maneggiano l'ascia e la sega. Ben cinque marinai ebbero le mani ferite e necessitarono cure e riposo,. (A.C.R.M., busta 31).
rivoluzionari ( 19), reprimendo episodi di pirateria (20), contribuendo ovunque al mantenimento dell'ordine e della tranquillità pubblica ( 21 ). Era il massimo che si potesse fare ( 22 ).
(19) In Argentina si ebbe nel 1873-74 un movimento separatista nella provincia di Entre Rios appoggiato dal gen. Lopez Jordan; nel settembre del '74 scoppiarono moti a Buenos Ayres sedati soltanto alla partenza del gen. Mitre che si rifugiò a bordo della Veloce e con essa abbandonò il paese; in Uruguay arse nel 1875 e nel 1876 la lotta tta le fazioni, dopo la fusione del « blancos » con i « colorados » e la susseguente nuova scissione dei politicanti in « principistas » e « caudomberos »; nel Paraguay, infine, cessata nel maggio 1876 l'occupazione militare da parte delle truppe brasiliane e argentine, si placò in parte la guerriglia che aveva covato durante l'invasione nemica.
(20) Come quando uomini del partito di Lopez Jordan, imbarcatisi in qualità di passeggeri sul piroscafo Portena a Montevideo, se ne erano impadroniti e l'incaricato di affari italiano a Buenos Ayres, sollecitato dal ministro degli esteri argentino, chiese alla Ardita di mettersi alla ricerca dei pirati (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 258).
(21) La situazione rimase tuttavia, in complesso, abbastanza calma, quasi che guerre, ribellioni e moti non alterassero sostanzialmente il modo di vivere delle ormai assuefatte popolazioni: «Dopo 11 anni da che fui qui » - osservava in un suo rapporto il comandante Accinni, che era già stato io America meridionale nel 1866 come secondo ufficiale della Fulminante e quindi era molto al corrente della situazione locale - « ho trovato le condizioni politiche se non per lo meno sullo stesso stato... Ma quello che mi è grato poter assicurare si è che gli stranieri sono lasciati in pace, né essi si mischiano nelle lotte di partito. I nostri connazionali danno prova di saggezza rimanendo estranei alle gare locali ... » (A.C.R.M., busta 51). Il LEVA però (op. cit., pag. 264), giudica l' Accinni troppo ottimista, osservando che «molti erano gli Italiani arruolati come soldati od impiegati governativi, e molti gli interessi che li stimolava.1o a parteggiare », come in effetti era avvenuto più frequentemente nel precedente decennio durante la guerra della triplice alleanza. Questo comportava difficoltà e conflitti di competenza con i governi delle repubbliche del Plata, tanto che, nelle istruzioni alle unità della stazione navale, i rappresentanti diplomatici ribattevano continuamente su questo tasto: dr. lettera del ministro Della Croce in data 22 febbraio 1870:
« L Operare sempre di concerto, per quanto è possibile, coi comandanti degli altri legni da guerra europei che si trovassero in porto;
2. Limitarsi a contribuire al mantenimento dell'ordine in generale ed alla protezione in particolare del consolato italiano e degli interessi nazionali;
3. Astenersi scrupolosamente da qualunque misura che potesse essere in-
Non vi è dubbio che nel corso del decennio '70 la situazione in Sud America avesse subito radicali mutamenti, con la nascita delle flotte locali, con l'affermarsi del sentimento nazionale, con la consapevolezza dei progressi compiuti da ciascuna compagine statale e con un•aspirazione, viva in ciascuno Stato, ad un aumento del proprio prestigio. In tali condizioni, le deboli e antiquate unità che l'Italia manteneva laggiù potevano ispirare nelle popolazioni simpatia e amicizia, ma non rispetto della potenza italiana.
terpretata come favorevole o sfavorevole ad alcuno dei paruu m lotta;
4. Non rifiutarsi però di assumere la protezione e la difesa materiale di banche, istituti di credito ed altri pubblici stabilimenti particolarmente stranieri, onde impedire il possibile saccheggio, previo sempre anche in questo caso un accordo coi comandanti degli altri legni; 5. Ipculcare agli italiani di tenersi estranei alla lotta dei vari partiti rendenJo responsabili delle conseguenze coloro fra essi che violassero questo principio di neutralità; 6. Agire di concerto col Regio 7. Infine non ricorrere ad operazioni di sbarco se non è urgente la necessità ed unanime l'accordo dei comandanti» (A.C.RM., busta 37).
(22) L'Accinni, nel suo cit. rapporto, chiedeva esplicitamente se quelle inadeguate navi costituissero una rappresentanza degna della nazione: « Le tre cannoniere » scriveva - « per il loro armamento, per la loro velocità e per il tonnellaggio sono ben lungi dal sembrar navi da guerra, e l'Ettore Fieramosca armato di cannoni di antica fabbricazione ba sublto prove crudeli nel confronto colle navi stazionarie delle altre nazioni, e non dico come fosse maggiormente penoso il confronto con le coraz.. zate argentine. Nel 1865 come rappresentanza di forze al Plata le cannoniere e le corvette a ruote potevano valere qualche cosa, ma oggi che la Repubblica Argentina ha corazzate, la forza della nostra Stazione navale sta soltanto nelle fiamme e nelle bandiere che sventolano sui nostri legni, ed essa è troppo esposta a contestare gli arbitrii della forza maggiore. Il caso per fortuna non è avvenuto, ma potrebbe non tardare. Le Repubbliche del Plata sono ben diverse da quello che erano quindici anni or sono. Allora si chiedevano a gueste repubbliche indennità, trattati, pubbliche sottomissioni colle minaccie: oggi sono forti del diritto moderno ed anche ne abusano. Chi osa più chiedere loro ciò che non assolutamente esige la dignità nazionale? L'Inghilterra si è contentata solo di rompere le relazioni diplomatiche con la Repubblica Orientale (dell'Uruguay) quando i suoi reclami sono rimasti insoddisfatti: quindici anni or sono non avrebbe fatto cosi poco ... La Stazione d'America ba missione
La Governolo, partita il 16 maggio 1877 con le solite severe raccomandazioni di navigare a vela quanto più possibile, riuscì, per le felici condizioni atmosferiche, ad arrivare a Montevideo in soli sessanta giorni: il che avrebbe dovuto rendere il suo comandante, cap. freg. Gonzales, fiducioso di poter compiere quanto dal ministero gli si comandava, di recarsi cioè in crociera nel Pacifico, dove, nello spazio di dieci anni, soltanto due navi di passaggio (23) avevano mostrato la bandiera italiana. Purtroppo, ministro e comandante erano stati ambedue troppo ottimisti: la corvetta a ruote tentò sl, con ostinazione, di passare lo stretto di Magellano, ma fu inesorabilmente costretta, come la Ercole dodici anni prima, a rinunciare e a tornare indietro (24 ). Passò, invece, pochi mesi dopo, l'avviso Staf-
come ogni altra nave da guerra all ' estero di proteggere il nostro commercio ed i nostri connazionali, far mantenere inviolati i patti conclusi dai trattati e rispettati i principi del diritto internazionale marittimo. La sua missione, che non ha un carattere speciale, può divenire efficace nelle circostanze di rivoluzione od in caso di guerra; diversamente non ha grande interesse. E' ben vero che l'apparizione di una nostra cannoniera nelle local i tà secondarie dell'Uruguay, del Paraguay e del Paranà desta entusiasmo nelle nostre colonie, ma ci costa qualche cosa, e sarebbe lo stesso se le visite delle no stre navi da guerra vi fossero meno frequenti. Cosicché io credo che si possa lasciare per qualche tempo il rio de la Plata durante l'anno, dal momento che queste navi possono accorrervi in pochi giorni: poiché facilmente le Legazioni possono prevedere l'imminenza di un bisogno qualunque per richiedere l'appoggio della Stazione. D'altra parte vi sono sulla costa del Brasile altre colonie che meritano la nostra assistenza. Un capitano di una nave proveniente da Paraguanà mi diceva che ivi si trovano parecchie centinaia d'italiani miseri e absono questi , a preferenza dei nostri connazionali che abitano Rosario e Pa ysandù, che debbono avere dalla Stazione navale qualche assistenza, se non altro per sollevarne il morale».
{23) La Garibaldi nell874 e la Vettor Pisani nel1876.
{24) Sulle qualità nautiche della. trentenne unità cosl si pronunciava il Gonzales: «Nelle diverse navigazioni su questa costa d'America dove sempre vi è corrente, mare grosso e straordinaria variabilità di venti, con un bastimento come il Governolo si potranno fare molte esercitazioni alla vela per istruzioni dell 'equipaggio, si potrà esser fortunati tanto da fare una corsa in poppa alla vela, ma il bastimento, non stringendo che malamente a sette quarte dal vento, con almeno una quarta di deriva,
fetta, al comando del cap. freg. Frigerio, destinato ad una campagna di circumnavigazione, ma richiamato non appena giunto a Valparaiso, dove si era incontrato con l'incrociatore Cristoforo Colombo del comandante Canevaro: così che dovette ripercorrere in senso inverso il canale di Magellano e ritornare a Montevideo, donde più tardi, facendo rotta verso l'Italia, risallle coste brasiliane fino a Pernambuco.
In luogo della stanca e malridotta Governolo il ministro mandò, nel settembre del 1879, la corvetta Archimede, sempre a ruote, al comando del cap. freg. Carabba: lo stesso mese le cannoniere, che tanto avevano operato in condizioni così difficili nella zona del Plata, venivano disarmate, radiate e poste in vendita. Successivamente, giunse dall'Italia ancora una cannoniera di limitata efficienza, la Scilla, con l'ordine al Carabba di far partire per il Pacifico (25) quella delle due unità che apparisse in condizioni migliori. In realtà, c'era poco da scegliere: ambedue le navi, l'una per vetustà, l'altra per difetti di costruzione, erano parimenti inidonee a lunghe missioni oceaniche (26): co-
non solo non guadagnerà nulla sui bordi, ma anderà indietro. Se poi è alla cappa non potrà mai mettere le mura al mare e rimarrà traversato con grave pericolo di avarie se non si abbia acqua da correre, o non si possano ingranare le ruote per prendere l'unica cappa adatta per questo bastimento, cioè macchina a piccolo moto e rande terzarolate ». In pessime condizioni era soprattutto l'apparato motore che, sebbene sottoposto a continue rettifiche e riparazioni, ormai non ce la faceva più: i traversoni delle ruote erano marci, i cuscinetti si riscaldavano troppo, le caldaie perdevano e minacciavano di cedere da un momento all'altro, persino gli ingranaggi dell'argano erano così consumati che la catena vi slittava sopra e occorrevano da tre quarti d 'ora a un'ora per salpare l'ancora; si aggiunga che si aprivano in continuazione vie d'acqua nello scafo vetusto e che , per completare il quadro, le pompe funzionavano male (LEVA, op. cit., vol. I, pagg. 431-439).
(25) A causa della guerra tra Cile e Perù, era già stata dislocata in quelle acque la corvetta Garibaldi, interrompendone il viaggio di circumnavigazione.
(26) La corvetta a ruote Archimede, ex borbonica, mostrava tutti i suoi 35 anni di età; la Scilla, abbastanza recente, aveva una velatura utilizzabile soltanto con vento in poppa e un apparato motore difettoso e
munque, il Carabba stabill di recarsi in Pacifico con la corvetta, così che la Scilla restò la sola unità stazionaria a Montevideo. Con la destinazione in America meridionale di bastimenti siffatti, il ministero dimostrava di voler persistere nel criterio di mandare laggiù soltanto navi di scarso o nullo valore militare e di qualità nautiche scadenti. Solamente quando avevano preso imbarco, e soprattutto una volta giunti sul posto, gli ufficiali in comando constatavano fino a che punto fosse arduo, con mezzi simili, perseguire gli scopi proposti agli stazionari. Se l'Accinni aveva fatto presente, nei suoi rapporti, la necessità di poter disporre di unità moderne e ben armate, con zona di azione molto ampia, adibite a frequenti navigazioni ,soste brevi e ripetute, e che intervenissero soltanto nei casi più gravi, il Grandville al contrario, avendo comandato a lungo la Scilla rimasta unica rappresentante della marina militare italiana sulle coste orientali del Sud America, .riteneva che per un buon svolgimento dei compiti assegnati alla marina stessa nel Plata occorressero, come minimo, una corvetta e due cannoniere, da usarsi con i criteri seguenti:
« Lo scopo delle stazioni dovrebbe essere considerato sotto
« i due aspetti separati , di utilità materiale e di utilità morale.
«E' illusorio credere che gli stazionari debbano servirsi del can-
« none: a quest'ultima decisione si deve ricorrere soltanto nel «caso di uno sfregio diretto alla bandiera del bastimento, op-
« pure operando di concerto con altre nazioni... L'utilità mate-
« riale degli stazionari si riduce quindi a missioni quasi sempre
« pacifiche, che sono in generale:
squilibrato: dr. rapporto del Carabba al riguardo: « Supponevo la Scilla in più favorevoli condizioni dell ' Archimede per eseguire quella traversata, ma dagli uniti rapporti del Comandante si rileva come quel bastimento non sia in grado di poter proseguire sia per le cattive condizioni della macchina, che per le limitate risorse della sua velatura. L'Archimede non può certo dirsi in favorevoli condizioni non tanto per le sue qualità marine come bastimento a ruote, per il limitato carico di carbone in confronto del considerevole consumo, quanto per la sua età, per la poca velocità e perché impossibile di far uso esclusivamente delle vele come mezzo di locomozione» (A.C.RM., busta 22).
« l ) Assumere informazioni in località distanti dalla sede « delle nostre autorità.
« 2) Coadiuvare le Legazioni ed i Consol2ti nella pro« tezione dei sudditi che si rifugiano presso di essi.
« 3) Facilitare le comunicazioni in caso di agitazioni o « rivoluzioni che impediscano le comunicazioni normali di po« sta e di telegrafo.
« Basandomi sul criterio generale che la nazione più consi« derata è quella che mostra più spesso la propria bandiera, « credo che l'utilità morale consista:
« l) Aumento di considerazione per jl nostro Governo « sulle masse di tutte le nazionalità che in questo paese sono « piuttosto ignoranti e credono a ciò che vedono.
<< 2) Maggiore considerazione nell'opinione pubblica per «l'autorità dei Ministri e dei Consoli, perché con gli stazionari «hanno maggiori mezzi di influenza.
« 3) Influenza sull'autorità delle provincie che devono « comprendere che gli stazionari in numero si mandano dove è « poca stcurezza.
« 4) Incoraggiamento e fiducia per i nostri connazio« nali lontano dalla patria.
« 5) Necessità dell'Italia di trovarsi in prima linea in « qualunque dimost razione pacifica o di avviso di tutti gli sta« zionali esteri» (27).
Purtroppo, l'una e l'altra opinione, sostenibili entrambe e scaturite da una buona conoscenza delle condizioni locali, restavano allo stato di pii desideri.
Nel Pacifico infuriava intanto la guerra del Cile contro la Bolivia e il Perù, che da quell'oceano prese il nome: conflitto accanito, nel corso del quale non .mancarono episodi di terrore e di crudeltà, coinvolgenti a volte cittadini stranieri (28). La
(27) Relazione del cap. freg. Grandville al ministro d'Italia a Buenos Ayres in data 2 giugno ' 1881 (A.C.R .M., busta 64).
(28) Come quando, a Chorillos, il 14 gennaio 1881, dopo la battaglia vinta dai cileni, questi fucilarono un gruppo di cittadini neutrali, tra i quali undici italiani.
corvetta Garibaldi che stava circumnavigando per la seconda volta il globo veniva trattenuta, come si è accennato, al Callao e restò nelle acque· peruviane, teatro della maggior parte della guerra del Pacifico, per più di 18 .mesi; da Montevideo la raggiunse la Archimede, impiegando 83 giorni a passare per lo stretto di Magellano e a risalire le coste occidentali dell' America del Sud. Il comandante della Garibaldi, Morin, protestò più volte presso il ministero perché le due deboli unità rappresentavano assai malamente l'Italia in quella zona di operazioni e ben poco potevano operare in difesa della vita e degli averi dei connazionali in Perù (29). Finalmente il ministro Acton spedl in rinforzo l'incrociatore Cristoforo Colombo che, al comando del cap. vasc. Labrano, si trovava nei .mari settentrionali d'Europa, e l'arrivo di questa moderna unità rese abbastanza efficiente la forza navale italiana al Callao. Ma, sia quando la Garibaldi agiva da sola, sia dopo che le giunse il modesto aiuto della Archimede, sia nella fase finale della guerra con le tre navi riunite, l'azione della marina fu instancabile e preziosa, trasportando profughi, salvando naufraghi, rifornendo viveri, proteggendo navi mercantili, comunità neutrali e connazionali iso-
(29) «La presenza di due nostre navi sul litorale del Perù nelle attuali circostanze ,. - scriveva in un suo rapporto il Morin - « non solo è utile ma rimane tuttavia inferiore ai bisogni; sicché non devo nascondere a V. E. che i suoi ordini sono giunti completamente a proposito. Solo è da deplorare che l'Italia, la quale ha al Perù la colonia più impor· tante, non possa farvi rappresentare le sue forze marittime più degna· mente »; e in un altro messaggio: « se ad onta di tutte le previsioni dovesse presentarsi l'eventualità deplorevole di dover reagire con fermezza , consideri V. E. in quale condizione si troverebbe un ufficiale, a cui incombe l'alto dovere di tutelare il decoro ed il prestigio della bandiera italiana nella difficile condizione creata dalla guerra del Pacifico, e che dispone per questo scopo della vecchia Garibaldi, alla quale avrà poi l'umiliazione di vedere aggiunto il rinforzo dell'Archimede?». Quando poi arrivò la corvetta a tuote, il Morin amaramente commentava in un terzo dispaccio: « Non devo nascondere a V. E. in aggiunta a quanto ho già scritto su questo soggetto che la presenza dell'Archimede in Pacifico non solo desta la meraviglia e l'ilarità a bordo dei bastimenti da guerra delle altre nazioni, ma provoca i sarcasmi dei giornali,. (LEVA, op. cit., vol. I, pag. 354).
lati, impedendo saccheggi, svolgendo opera sanitaria, cercando insomma in ogni modo di lenire i mali della guerra nei confronti di chiunque, italiano o straniero, chiedesse protezione ed aiuto.
Con la conclusione della guerra del Pacifico stava per terminare anche il periodo in cui l'Italia era rappresentata - con patetica volontà degli uomini ma con manifesta inadeguatezza dei mezzi - da preistoriche navi. Quando (luglio 1884) alla Scilla subentrò il moderno avviso Staffetta (30), la marina militare italiana mostrò la bandiera in condizioni di inferiorità alquanto attenuate e con un minimo di autorevolezza che fino ad allora era mancato. Se non che, richiamato l'avviso nel maggio del 1885 affinché compisse una crociera nel golfo di Guinea, la stazione di Montevideo rimase abbandonata per diversi mesi: in verità fino dal gennaio il ministero aveva deciso di ricostituire la divisione navale dell'America meridionale ed aveva scelto a farne parte gli incrociatori gemelli Amerigo V espucci e Fl..ivio Gioia (31 ), insieme al Garibaldi e allo Staffetta, ma, per i sopravvenuti avvenimenti d'Africa e per l'invio delle due unità maggiori a Massaua con il conttamm. Caimi, il provvedimento non potè essere attuato che nei primi mesi del 1886. A quell'epoca, il Vespucci ed il Gioia, uniti al Cristoforo Colombo, che dall'Estremo Oriente era stato chiamato sulle coste peru-
(30) Sebbene non dotato di grandi qualità veliche e non molto adatto a campagne oceaniche per la limitata autonomia di macchina, tuttavia lo Staffetta, varato nel 1876, era nettamente superiore come efficienza alle unità che lo avevano preceduto al rio de la Plata, come è dimostrato anche dal fatto che riusd a trasferirsi oltre Atlantico in un mese soltanto di effettiva navigazione.
(31) Varati nel 1881 il Flavio Gioia e nel1882 l'Amerigo Vespucci, ambedue con un dislocamento di 2.700 tono. ed un motore da 4.000 HP, non avevano una velocità eccezionale, ma erano armati ciascuno con otto modernissimi cannoni Armstrong da 150 su affusti articolati. Erano attrezzati a brigantino a palo e rappresentavano un modello di bastimento intermedio tra le vecchie corvette ed altri incrociatori costruiti di n a poco, più veloci, meglio armati e privi di vele; pertanto, ritenuti ben p::esto sorpassati, non entrarono mai in squadra, ma prestarono ottimamente un lungo servizio in campagne nei mari lontani; più tardi, vennero adibiti a navi-scuola.
viane, ed alla cannoniera Sebastiano Veniero (32), costituirono in Sud America un complesso di forze navali rispettabile, efficiente e adeguato (33 ). Tuttavia,, a causa degli eventi successivi, la permanenza della divisione nel settore assegnatole non durò a lungo. Due anni dopo, infatti, non restava più alcuna unità italiana nelle acque sudamericane. Il ,richiamo nel Mediterraneo di tutte le navi dislocate all'estero fu imposto forse dalla minaccia di una guerra con la Francia: non si può tuttavia non osservare che i criteri di distribuzione del naviglio armato mutavano bruscamente troppo spesso, e non sempre in relazione alla situazione politica (34 ). In realtà accadeva frequentemente che le valutazioni personali dei ministri della p1arinacome pure motivi contingenti non raramente sopravalutatifinivano per prevalere sull'esigenza di definire e mantenere organici programmi fondati sulle esigenze di medio e di lungo periodo derivanti dalle effettive necessità di protezione degli interessi italiani nelle varie zone del .globo.
(32) Progettata appositamente per essere destinata a navigare sui fiumi del bacino del Plata, la cannoniera era di recentissima costruzione (maggio 1884); aveva una stazza di 650 tonn., una macchina della forza di 1.000 HP e quattro pezzi da 120.
(33) Nelle istruzioni del ministro della marina Benedetto Brin al contramm. Mantese posto al comando della divisione era detto: «Con tal numero di navi, si ritiene siasi provveduto per ora in modo sufficiente alla tutela dei nostri importanti interessi commerciali nell'America meridionale ... Alla S. V. è noto quanto sia numerosa ed influente la popolazione italiana sparsa in quel vasto continente, donde apparisce l'importanza dell'azione vigilante e protettrice che le nostre navi da guerra devono esercitare lungo quei lidi».
(34) Cfr. LEVA, op . cit., vol II, pag. 184.
Sono note le origini della tratta degli schiavi nell'età moderna. Il fabbisogno di manodopera a basso costo da parte di talune economie arretrate o fondate su colture estensive, l'aggressiva intraprendenza dei negrieri, gli scarsi scrupoli degli acquirenti, i pregiudizi di religione e di razza e - soprattuttoil lucro che il losco traffico procurava ai commercianti spregiudicati di uomini, avevano fatto fiorire per secoli, specialmente in alcune zone del mondo, la tratta degli schiavi. Per molti anni, malgrado i progressi delle nazioni europee più avanzate, l'attività schiavistica fu tollerata sui mari; due erano soprattutto le grandi aree in cui operava la tratta: l'America, settentrionale, centrale e meridionale, e l'Arabia. Il grande vivaio cui attingevano i negrieri era l'Africa, avendo come punti di ,riferimento le coste occidentali per le destinazioni americane e le coste orientali per le destinazioni arabiche, ma spingendo traffici e razzie fin nel cuore del continente nero. Episodicamente, poi, si verificavano casi di tratta in altre zone, come ad esempio sulle coste della Cina per l'emigrazione forzata di .manodopera locale in direzione dell'America, attraverso il Pacifico. Il primo stato europeo ad abolire la tratta degli schiavi fu la Francia rivoluzionaria, nel 1791, ma il divieto dovette essere revocato in seguito, per cui il primo paese che proibì definitivamente i traffici schlavistici fu la Danimarca, nel 1792, con una legge che ebbe effetto dal 1802. Nel 1807 il commercio degli schiavi divenne illegale in Gran Bretagna e l'anno successivo si ebbe la prima crociera di repressione contro la tratta condotta da due unità inglesi, il Solebay e il Derwent, mentre anche negli Stati Uniti detto traffico diventava illegale. Seguirono, via via, altre proibizioni, più o meno rispettate, finché col congresso di
Vienna del 1815 la tratta fu bollata da una generale condanna (1).
La marina britannica, che aveva incominciato nel 1811 un servizio regolare di crociere condotto da una forza navale composta da cinque unità, ebbe una parte centrale nella lotta contro la tratta. Naturalmente, il problema principale da affrontare per condurla con successo era - dal punto di vista dei rapporti internazionali - quello di poter procedere al controllo in mare dei bastimenti sospetti senza che ciò desse luogo a complicazioni tra gli stati, di cui i bastimenti stessi battevano la bandiera. A tale scopo, a mano a mano che col passare degli anni le mag· giori potenze marittime si allineavano sul fronte antischiavista, furono stipulati accordi per consentire alle unità militari in servizio contro la tratta di procedere al controllo delle navi sospette, anche se queste alzavano la bandiera di un'altra nazione.
Nel1828 anche la marina francese iniziò un'attività di pattugliamento marittimo e di crociere contro i negrieri, ciò che condusse alle convenzioni anglo-francesi di Parigi del 30 novembre 1831 e del 22 marzo 1833, che autorizzavano le unità militari delle due marine, in regime di reciprocità , a fermare e controllare le navi sospette di entrambi i paesi. Il regno di Sardegna accedette a tali convenzioni 1'8 agosto 1834: l'accordo stabiliva che « incrociatori appartenenti a ciascuna delle potenze contraenti, devono essere autorizzati, conformemente alle istruzioni speciali ... a visitare e .arrestare nell'ambito dei limiti fissati, navi mercantili delle due altre nazioni che si dedicano alla tratta dei negri, o sospettate di essere armate per tale traffico» (2).
Detto accordo, che definiva il diritto di visita e poneva quindi una limitazione - condizionata a particolari aree geografiche - al diritto di sovranità degli stati in vista di conseguire uno scopo di particolare valore civile, veniva applicato at-
(l) Cfr. W. E . F. WARD: The Royal Navy ant the Slavers, Londoo , 1969, pag. 229.
( 2) Vedi il testo completo della formula negli originali dei mandati, A.C.R.M., buste 12, 62, 203.
traverso l'emissione di appositi mandati, generalmente richiesti dalla rappresentanza diplomatica della nazione interessata a condurre le crociere e concessi dall'autorità marittima dello stato che autorizzava la visita alle proprie unità mercantili ( 3 ).
Realizzatasi l'unificazione politica italiana, il nuovo regno subentrò a quello sardo nel rispetto delle stesse convenzioni. Intanto, la lotta contro il .commercio marittimo di schiavi si sviluppava sempre più, con il trattato anglo-americano del 1862cui seguì nel 1865 il famoso XIII emendamento della costituzione americana, che proclamava la cessazione della schiavitù negli Stati Uniti- e con il nuovo accordo anglo-francese del1865: sia l'uno che l'altro autorizzavano gli incrociatori dei paesi contraenti impegnati contro la tratta a perquisire le navi mercantili sospette degli altri stati firmatari (4 ). La necessità di tali accordi tra i paesi marittimi appare evidente, ove si ponga mente alle conseguenze che eventuali azioni avventate o non autorizzate avrebbero potuto implicare in un ambiente internazionale nel quale sempre più - con la corsa alle colonie e il trionfo dei nazionalismi - si affermava la politica di potenza.
Gli anni '60 videro concludersi positivamente la campagna contro il commercio degli schiavi in Atlantico. \La grande protagonista di tale successo era stata la marina militare britannica. Chiuso nel 1853 il mercato brasiliano degli schiavi (5), si verificò anche nelle altre zone critiche di importazione un rapido
(3) Cfr. ad esempio, la nota del 2 settembre 1851 del Serra Cassano, responsabile della marina a Torino, al comandante generale della regia marina in Genova, con cui si trasmettono tre mandati di visita per altrettanti comandanti di unità inglesi, che erano stati richiesti dalla legazione britannica, A.U.SM., busta 102.
(4) Cfr. S. O. CALLAGHA."': Le schiave, Milano 1962, pag. 230; WARD, op. cit., pag 220·28.
(5) A questo risultato non si giunse senza contrasti e incidenti: ad esempio, nel 1845 il governo brasiliano chiuse la commissione mista di Rio de Janeiro e protestò contro le interferenze della marina inglese nei confronti degli armatori brasiliani, dò che diede luogo a cinque lunghi anni di inutili trattative, finché l'ammiraglio Reynolds, nel 1850, prese a dar la caccia alle navi negriere nelle acque del Brasile, incendiandole e affondandole quando riusciva a raggiungerle, WARD, op. cit., pagg. 163·66.
declino del sordido commercio: il mercato di Cuba, che aveva importato nel1860 ancora ben 18.000 schiavi, crollò a 3.000 nel 1864 e nel 1869 fu chiuso, mentre la pratica della tratta veniva assimilata alla pirateria ( 6 ). Il potere navale e la flotta britannica avevano praticamente abolito il traffico degli schiavi attraverso l'Atlantico ( 7 ), con la collaborazione di quasi tutti gli altri paesi. Tra questi, non in posizione attiva, chè la sua marina non era in grado di impegnarsi nell'oceano in servizi regolari di crociera, ma purtuttavia presente in posizione di collaborazione passiva, era l'Italia ( 8 ).
Ma il traffico di schiavi verso l'America non proveniva solamente dall'Africa, anche se da questo continente si era fondamentalmente sviluppata e se il fenomeno aveva interessato in maniera centrale le sue coste occidentali e le rotte atlantiche. Dall'altra parte, attraverso il Pacifico, per un certo periodo prosperò, specie durante gli anni '60, un analogo commercio verso l'America, anche se di proporzioni talmente modeste che un confronto con quanto avveniva in Atlantico non è possibile. « La
« tratta dei coolìes, quale è praticata in Macao, nulla ha in co-
« mune con la libera emigrazione cinese, quale la si pratica in
« Hong Kong e nei porti aperti della Cina per la California e le « colonie inglesi ed olandesi dell'estremo oriente. Essa concerne << i cinesi, che per propria elezione contrattano a pronti con« tanti, o con more di pagamento, il loro prezzo di passaggio
(6) Ibidem, pagg. 224-27.
(7) W. CHURCHILL: A History of the English-speaking Peoples, vol. IV, The Age of Democracy , London, 1958, pag. 123.
(8) Come chiaramente emerge dai numerosi mandati concessi ad unità britanniche, i quaU, per la maggior parte, si riferiscono agli anni '60 per autorizzazioni ad operare nelle acque antistanti il continente americano, sia nell'area settentrionale, che centrale e meridionale: ad esempio, dr. i mandati concessi - rispettivamente - il 20 aprile 1873 al Pert per il Brasile e il 27 luglio 1879 alla stessa unità per l'America del nord e le Indie occidentali; i mandati restituiti per ultimata missione, sempre nel 1879, dal V alage, dal Contest, dal Rover, dallo Zephyr, dal Rifleman, dal Druid, che li avevano utilizzati nelle zone di mare dell'America settentrionale, centrale (Indie occidentali) e meridionale: A.C.R.M., buste 12 e 62.
« verso i porti in cui, godendo della loro piena lil: d'azione,
« potranno secondare la propria inclinazione nella scelta di un la-
« voro rimuneratore delle proprie fatiche.
« Il traffico dei coolies, quale lo si in M.acao, deve, a
« mio avviso dirsi tratta, giacché riflette uomini che, schiavi della
« miseria loro fruttata dal vizio, mancando di ogni altro mezzo per
« soddisfarlo, cedono alle lusinghe degli agenti della tratta, ac-
« cettando il premio loro offerto contro la piena rinunzia in loro
« favore del proprio libero arbitrio e volontà nello impiego delle
<< loro forze. T ale tratta è diretta verso la Havana ed il Perù, o ve
« i coolies, succedendo agli schiavi africani sono considerati e trat-
« tati siccome tali per la durata del loro impegno. Mfinché ad
« un tale traffico si potessero riconoscere gli attributi di ciò che
«generalmente chiamasi emigrazione, converrebbe ch'essa fosse << liberamente voluta alla partenza dalla Cina; e liberamente pra« ticata all'arrivo a destino, ciò che non è, come basta a provarlo <<l'esame dei contratti imposti ai coolies ... » (9).
La manodopera cinese veniva irretita dai sensali, che prestavano somme modeste, ma sufficienti - una volta fatti dilapidare gli anticipi alle loro vittime -a porre i disgraziati lavoratori nella condizione di dover accettare l'emigrazione forzosa per sfuggire al carcere per debiti. Ogni capo, pagato 65 dollari al sensale, fruttava all'agente che li rivendeva a Cuba o in Perù 450 dollari e utili molto elevati ai vettor-. (l Oi .
In proposito , una drammatica testimonianza anonima pervenne al ministro della marina, in Italia, nei primi mesi del1867. L'autore, egli stesso implicato nella tratta, descriveva la situa-
( 9 ) G. LovERA DI MARIA: Sulla tratta dei coolies in Macao, in « Rivista marittima», maggio 1872, pagg. 565·66.
( lO) «I capitani delle navi coolies hanno paga di 150 dollari al mese, regalia di 2000 dollari per viaggio, qualunque ne sia l'esito, e di altri 5 dollari per coolie, che consegnano salvo a destino. Le spese di esercizio della nave durante il viaggio sono coperte dalle spese di alimentazione del carico. Ciò spiega siccome un capitano di nave coolie possa, dopo pochi anni di traffico, essersi ritirato a Quarto, sua patria, disponen.lo di un capitale di 45.000 franchi», ibidem, pag. 567.
zione ( 11) e lamentava poi che la bandiera nazionale italiana fosse adoperata per il trasporto dei coolies: «Varie case del Perù, che « speculano per questo ramo, per la guerra con la Spagna sono « state obbligate a cambiare bandiera ai bastimenti. Disgraziata« mente si sono servite della bella nostra bandiera italiana. La In« ghilterra, gli Stati Uniti di N. America, la nera aquila prussa, « e perfino l'autocrate russo, hanno proibito ai loro bastimenti « questo traffico. Che uno o due oscuri italiani, per circostanze, « siano addetti in questo brutto traffico, poco importa; però che
( 11) La lettera, senza data, era indirizzata al ministro della marina e si trova in A.U.S.M., busta 102. Essa diceva: « Signor Ministro, se questo scritto arriva ad esser letto da Vostra Eccellenza, strano ha da parergli non veder firma, però V.E. potrà anche conoscere che vi sono circostanze, che obbligano l'uomo a far ci6, che in altre non farebbe. Suddito italiano, e già da qualche tempo addetto per impiego a fomentare la emigrazione chinese in Macao, e per contratto obligato a seguire in questa, ho osservato minutamente il modo per cui si conseguisce emigrante, e quantunque i procedimenti legali in Macao sono osservati con rigore, dononpertanto io ritengo si commettano atti ingiustissimi e barbari. Mi spiegherò. Macao è, come troppo è noto, una piccola colonia. Barche chinesi, equipaggiate da chinesi, si armano qua, vanno per la costa, e quantunque le autorità chinesi le perseguano come pirati, la poca vigilanza di queste ci permette, con lusinghe, cibo e qualche scudo, convincere i poverissimi abitanti, che accozzati dalla miseria e fame, trovando a bordo di quelle barche riso, carne e pesci (mangiar di lusso) s'imbarcano per la Terra degli Europei, che gli viene presentata un paradiso terrestre; giungono a Macao. Presemati alle autorità, varii seguono di buon animo la sorte che gli si presenta; altri, alla vista di un mundo nuovo, si spaventano e non accettano il contratto. Dunque, si dirà, la emigrazione è libera Sl, Eccellenza, però il povero diavolo che resta n, che ha ricevuto qualche piccolo avanzo dal sensale che l'ha condotto, che si trova a centinaia di miglia dalla sua terra, cosa farà? Lavoro non ne trova, mezzo di rimpatriare non ne ha, il sensale vuole il ritorno del piccolo avanzo {anticipo) che ci ha fatto, la fame lo stordisce, e le minacce di quello e la forza invincibile di questa, entra in altro dei tanti stabilimenti di emigrazione; dopo sei giorni, è di nuovo anti la autorità per firmare il contratto, lo stomaco è già soddisfatto, ritorna a ricusare; per due o tre volte ci riesce, poi le stesse autorità lo rimarcano, lo prevengono che la cosa è in due, o andarsene per i fatti suoi e non fastidiare, o imbarcarsi, e se lo riprende, bastonate sulle mani e prigione. Finisce la pena, ricomincia la istoria e per fine s'imbarca voluntariamente!!! Facile sarà a V.E. ricavare dallo esposto che molti e molti, la ciurma della canaglia,
<< una bandiera, simbolo di libertà ai popoli oppressi, cuopra 'tru« cidazioni incendi, bastonate, eccetera- oh sì, Eccellenza, que« sto mi tocca al cuore, che benché per un po' di tempo mi trovo « imbruttato in questo vil mestiere, non è ancora indurito . E non « si dica che si toglierebbe un lucro ai bastimenti italiani, perché « è falso. I 7 od 8 bastimenti che con bandiera italiana sono addetti « al trasporto annuale per il Perù, non sono di proprietà italiana, « no, almeno la maggior parte; altri poi sono bastimenti inglesi « ed altri , che noleggiati per Perù o per Havana diventano italiani « per 6 o 7 mesi... » ( 12).
fanno questa commedia a bella posta, per nego.zio, per mangiare qualche mese , cuando (sic) poi sono a bordo, ed banno due mesi di avanzo, cercano di scapparsene per cominciare di nuovo; e di lì le rivoluzioni, ecc. In questi due anni poi la domanda di dunesi per la Havana e per il Perù è così aumentata che si arrivano a pagare 70 pezzi forti (385 franchi) per ogni uomo che il sensale provede ( noti S.E. che per un chinese equivale ad un capitaletto: un facchino che guadagna 15 franchi al mese vive bene). .Disgraziatamente, a misura che la domanda di chinesi fu aumentando.{lé disposizioni praticate per le autorità portughesi e chinesi hanno ristretto di molto il circolo di operazioni dei e:: questi (che a mio giudizio sono tutto quello che si può ideare di perverso e vizioso), adescati dal doppio guadagno, fatta la legge, studiata la malizia, credo commettano più ingiustizie di prima, e la prov11 ne è che negli anni anteriori non succedeva tante rivoluzioni a bordo de' bastimenti che trasportano i chinesi, mentre che ora la maggior parte, chi più, chi meno, hanno sofferto sanguinose tragedie, e qualcheduno orribili massacri, e non si creda che queste cose succedano per malvagità e mal trattamento dei capitani, nò; il bastimento guadagna il nolo per quelli soli che consegna vivi; però, Eccellenza, da una massa di p'<lssaggieri , la cui condizione è o ladri, o pirati, o rivoluzionari scappati dalle scinUtarre dei Mandarini, ovvero rachitici, distrutti dalla miseria, affamati, cosa si potrà aspettare? O peste o baruffe. Se poi mi fisso sulla sorte dell'emigrato chinese credo, e sono convinto, che arrivando al luogo del suo destino, migliora la sua condizione, visto lo stato di miseria spaventosa in cui viveva ... ».
(12 ) lL'anonimo insinuava anche che ciò avvenisse con la connivenza dei rappresentanti consolari: v. A.U.S.M. , busta 102, dove è pure la lettera che il ministro della marina, Pescetto, inviava il 30 aprile 1867 al collega degli esteri, allegando una copia della lunga denuncia proveniente dall'oriente e pregandolo di considerare l'opportunità di assumere le oppq(tune informazioni e se del caso, i provvedimenti necessari ad impedire abu:. si nell'uso della bandiera italiana.
Ma subito dopo la fine della guerra ispano-peruviana - durante la quale navi con bandiera italiana « figurarono largamente » ( 13) nel trasporto dei coolies -i vettori passarono preferibilmente sotto bandiera peruviana. Ed è significativo che il Lovera, scrivendo della tratta dei coolies nel 1872, riporti i giudizi relativi ad ammutinamenti avvenuti, ad opera di coolies, su navi francesi e americane - giudizi che avevano dato luogo a sentenze miti ( 14)- ma non citi alcuna nave italiana: ove si ponga mente che nel 1865, su 13.674 emigranti partiti da Macao, ben 6.284- pari al46% -erano stati imbarcati su bastimenti italiani , tanto che la questione rischiò di creare ostacoli all'Arminjon durante le trattative per l'accordo con la Cina, sembra· si possa affermare che il fenomeno si esaurì, per quanto riguardava le navi italiane, rapidamente, forse anche per l'apparizione in estremo oriente di unità della marina militare, la cui presenza, pur prevalentemente determinata da altri motivi, poté contribuire a dissuadere i trafficanti, nazionali o no, dall'impiego della bandiera italiana per la tratta dei coolies.
L'altra grande area del mondo in cui il problema della schiavitù e della ttatta era viva, era costituita dall'Africa orientale, dal•
(13) LovERA, op. cit,, pag. 567.
( 14) Le navi coolies hanno un ampio corridore, diviso in parecchi compartimenti da forti griglie di sbarre di ferro, ed in cui a poppa stanno due cannoni, tenuti carichi a mitraglia. Lungo il corridore stanno disposti numerosi sbocchi di pompe per ovviare agli incendi , con i quali di frequente avviene che i coolies tentano di porre fine alle loro sofferenze. Gli equipaggi stanno costantemente armati, ed ognuno fra di essi si ritiene arbitro della vita del gregge umano trasportato, che è difficile contenere tosto le terre patrie si perdono di vista, e l'ignoto dell'immensità del mare, congiunto al rammarico dell'esilio, addolora dapprima ed inferocisce di poi quei miserabili. Da ciò le sanguinose catastrofi, a cui molte fra tali navi andarono soggette, e nel giudicar le quali, parmi, non si dovrebbe dimenticare che chi tratta l'uomo quale bestia da soma o da serraglio deve aspettarsi che esso si faccia tale per rivendicare la propria oltraggiata dignità e libertà ». Cosl scrive il Lovera, citando poi, in particolare, la sentenza relativa alla sommossa sulla Nouvelle Pénélope ( « i coolies erano trattenuti ... contro il loro volere ed avevano perciò diritto di cercare di ripristinarsi la libertà con ogni mezzo in loro potere ») e quelle relative alle rivolte sulle navi americane Armstead e Cayalti: v. ibidem, pagg. 567-68.
l'Arabia e dall'oceano indiano occidentale. Il Bravetta, nelle sue note relative al viaggio compiuto intorno all'Africa con l'avviso
Staffetta, ne parlava in questi termini: « La schiavitù e la tratta,
« per quanto ripugnino al sentimento morale dei popoli civili e
« siano in contraddizione con le idee umanitarie del nostro se-
« colo, sono di origine troppo antica e cosl radicate nelle idee,
« nel modo di vivere e nei bisogni di una razza di uomini sparsa
«su tanta parte del mondo, per poterle sopprimere con qualche
« considerazione filantropica o impedire coi trattati. La schia-
« vitù è diffusa in rutto, o quasi, l'oriente, ed è una conseguenza
« inevitabile delle condizioni di quei popoli, del loro stato sociale
«e della coltura della terra. La poligamia, la difficoltà del libero
« lavoro agricolo, il disprezzo in la casta dominante tiene alcune
« occupazioni ed alcuni lavori, ed il fanatismo religioso concorrono
« potentemente a mantenere la schiavitù, come vi concorre il
« fatto che, non potendo il lavoro libero sussistere accanto al la-
« voro servile, laddove questo viene introdotto l'aumento del nu-
« mero degli schiavi è condizione ineluttabile di un aumento di
« prosperità. Ove si potesse di un sol colpo sopprimere la schia« vitù si metterebbe a repentaglio la sussistenza di intiere po« polazioni: conviene perciò procedere lentamente e con tenace « costanza per ottenere l'alto scopo umanitario, e sperare più
« nel lavoro delle idee che nella forza dei cannoni » ( 15 ). Presso gli arabi le condizioni degli schiavi erano migliori che non in America, poiché in qualche modo- per ragioni religiose o per interesse - gli schiavi erano considerati come esseri aventi qualche diritto elementare e facenti parte, sia pure in posizione subordinata, della famiglia.
ll fenomeno, però, era grave, e il commercio di schiavi non si riusciva a stroncare; la marina inglese, che aveva ottenuto cosl decisivi successi in Atlantico, incontrava invece lungo
(15) E. BRAVETTA: Intorno all'Africa. Note di un viaggio a bordo del regio avviso« Staffetta», in« Rivista marittima», marzo 1893, pag. 473. Il viaggio della Staffetta, su cui l'autore era imbarcato, si era svolto nel 1888. Il resoconto fu pubblicato a puntate dal Bravetta, allora tenente di vascello, sulla «Rivista marittima » dal dicembre 1890 al m.arzo 1893.
le coste orientali dell'Africa difficoltà, sia nel mar Rosso che nell'oceano Indiano. Tra il 1856 e il 1873, di conseguenza, le nazioni europee - e soprattutto la Gran Bretagna - condussero una « politica di restrizione » della tratta e dello schiavismo. A fianco degli inglesi operavano occasionalmente anche unità di altre nazioni, e tra queste le navi della marina militare italiana che, dopo l'apertura del canale di Suez, si trovavano a navigare nel mar Rosso ed al largo della Somalia.
In un primo tempo , soltanto gli inglesi impiegarono navi da guerra per la repressione della tratta dall'Africa verso il mar Rosso e l'oceano Indiano, cui davano incremento, oltre ad elementi locali, anche qualche negriero portoghese e francese (16). Pur non riuscendo a stroncare il traffico , la presenza navale inglese ebbe l'effetto in qualche caso di deviare il traffico delle carovane di schiavi che attraversavano il mar Rosso ( 17).
Un interesse diretto italiano al problema incominciò alla fine del 1872. La missione inglese Frere , diretta a Zanzibar e sulle coste africane orientali per studiare la repressione della tratta, si fermò a Roma , nel dicembre e fu ricevuta dal Papa, che la incoraggiò e mostrò ogni simpatia per il compito della missione. Successivamente , Frere compl un passo presso il governo italiano. Il ministro degli esteri, Visconti Venosta lo ricevette ed apparve colpito dalle prospettive che si sarebbero potute aprire al commercio marittimo italiano sulle coste orientali dell'Africa una volta che il traffico schiavistico fosse stato distrutto. Poiché Frere, dai suoi precedenti contatti col governo francese. aveva tratto l'impressione che la cooperazione che si sarebbe ottenuta non sarebbe stata cosi attiva come si era sperato, si impegnò per interessare gli italiani ed offrì al Visconti Venosta - che lo trasmise al Sella, ministro del commercio e delle finanze - un promemoria sul « probabile incremento del commercio italiano con l'Africa orientale ». In tale documento
( 16 ) Cfr. G. L. SuLLIVAN: Dhow charing in Zanzibar water, and on the Eastern Coasts of Africa. Narrative of five years in the suppression o/ slave trade, London 1873.
(17) Ibidem, pag. 384.
si rilevava che esisteva una potenziale domanda di manufatti europei in tutta l 'area africana in questione, cui faceva riscontro una domanda complementare di materie prime tropicali in Europa. Frere accennò anche alle possibilità di un traffico bananiero più conveniente di quello che, al momento, veniva assicurato dalla linea mensile di piroscafi che collegavano i porti europei con Aden e Zanzibar. Visconti Venosta aveva trovato interessante questa « nuova idea per l'Italia »; Frere riteneva che se una commissione commerciale italiana avesse visitato l'Africa orientale, certamente il suo rapporto avrebbe evidenziato che era auspicabile lo sviluppo « di un commercio diretto, utile all'Italia e all'Africa, e capace di aiutare in maniera determinante (18) i nostri sforzi per impedire la rinascita del commercio degli schiavi » ( 19 ).
Da quel momento, sia pure in misura modesta, la presenza navale italiana nel mar Rosso e nell'oceano Indiano contribuì al successo della lotta contro la tratta. Mentre per il passato, da parte italiana, ci si era affidati solo alla marina inglese (20), a mano a mano che cresceva l'interesse, dopo l'apertura di Suez, per il mar Rosso, si ebbe anche un atteggiamento diretto di cooperazione che in varie occasioni portò navi militari italiane a crociere e pattugliamenti lungo la co5ta. Questo servizio fu espletato, ad esempio, dalle unità che sono state citate, nei capitoli precedenti, di stazione lungo le coste dell'Africa orientale o in transito per crociere.
Tuttavia, per quanto si operasse, specie da parte inglese, per la repressione, il traffico di schiavi continuava ancora, sia attraverso il mar Rosso, sia lungo il litorale centro-meridionale dell'Africa, che si trovava sotto la sovranità nominale del sultano di Zanzibar. Ma nel 1873 si ebbe la svolta: dalla politìca di contenimento si passò alla politica dii abolizione, che avrebbe condotto
( 18) « very essen ti al ly ».
(19) R. CouPLAND: The Exploitation of East Africa 1856-1890 The Slave Trade and the Scramble, London 1939, pag. 184.
(20) Cfr. in A.C.R.M., busta 12, i mandati concessi ad unità navali inglesi.
nel 1876 il sultano di Zanzibar ad ordinare la cessazione del traffico degli schiavi nei suoi domini (21).
Il maggiore impegno della marina inglese, come pure la collaborazione che anche altre marine- e soprattutto quella italiana, che si avvaleva di punti d'appoggio sulla costa eritrea e, poi, somala - le prestavano direttamente, oltre che con la concessione dei mandati richiesti (22), ottennero risultati positivi. Già nel1875 la situazione era migliorata sensibilmente (23 }, e nel decennio che segul il traffico dei negrieri andò sempre più declinando lungo tutta la lunghissima linea delle coste orientali africane. Gli insediamenti coloniali - inglesi, francesi, italiani, portoghesi, tedescru- non favorivano la continuazione della tratta, contro la quale si ebbe, alla conferenza coloniale di Berlino del 1885 , una dichiarazione unanime di condanna da parte delle potenze partecipanti.
Poco dopo, nella primavera del1885, lo stabilimento italiano in Somalia (24 ), allargò la sfera di responsabilità della marina militare italiana nella lotta contro i negrieri. Contemporaneamente, la collaborazione navale italo-britannica contro la tratta si intensificava più a nord, nel mar Rosso, dove la presenza italiana appariva ormai abbastanza consolidata. I Lords dell'Ammiragliato impartirono disposizioni esplicite alle navi inglesi perché fornissero ai comandanti delle unità italiane, ove richiesti, ogni e qualsiasi
(21) Cfr. «Rivista marittima», luglio 1876, pag. 146; CouPLAND, op. cit., pagg. 224-26.
(22) In A.C.R.M., buste 12 e 62.
( 2 3) « Le operazioni della marina, che miravano a sopprimere il commercio degli schiavi sulla costa est dell'Africa, dettero buoni risultati, e si può dire che se si continuerà nel sistema tenuto fin qui, gli stessi risultati si potranno ottenere con la stessa efficacia sulla costa occidemale, e allora si potrà affermare che la schiavitù sia finita, o per meglio dire sarà finito il traffico della carne umana per via di mare»: LA marina inglese sulle coste d'Africa durante il 1875, in «Rivista marittima», febbraio 1876, pagg..370-71.
(24) CoUPLAND, op.cit., pagg. 444-45.
indicazione utile per la repressione della tratta dei negri (25). L'insediamento italiano a Massaua e le azioni delle unità militari che gravitavano su quel porto ebbero una fondamentale importanza per stroncare una delle vie principali del traffico di schiavi dall'Africa interna - e soprattutto dall'Etiopia - verso la penisola arabica, dall'altra parte del mar Rosso ( 26 ). La tratta declinava sempre più, anche se non mancavano episodi, talvolta cruenti, di attività negriera (27); la tendenza di fondo però era diretta alla liquidazione del triste fenomeno, sia per il crescente controllo dei mari interessati al traffico di schiavi da parte delle marina dei paesi coloniali , sia per il sempre maggiore impegno dell'opinione pubblica occidentale contro la schiavitù.
Esso culminò nella Conferenza antischiavista di Bruxelles del1890: l'atto generale del 2 luglio che la concluse implicava
( 25 ) Vedi lettera del segretario generale del ministero della marina al comandante delle forze navali nel mar Rosso ed alla direzione generale della marina mercantile, n. 2690 del 13 febbraio 1885 (A.C.R.M., busta 203).
(26) Si sono già richiamati più sopra, a proposito delle azioni dirette ad assicurarsi un primo insediamento in mar Rosso, i servizi di pattugliamento marittimo che le navi della marina militare italiana svolsero in quel periodo nel bacino in questione.
(27 ) Il BRAVE'ITA cit ., pag. 475, cita ad esempio il seguente episodio accaduto nel 1888: «Durante il nostro soggiorno a Zanzibar, il 2 di aprile la corvetta britannica Garnett catturò tra Pemba e Zanzibar tre grosse barche negriere, ad onta della loro resistenza accanita. Quando le imbarcazioni delle navi inglesi le avvicinarono per la visita furono accolte con una viva fucilata . I negrieri, armati di carabine Snider, erano per fortuna tutti pessimi tiratori, e non fecero male ad anima viva, nè riescirono a fermare i marinai inglesi che li abbordarono con quella tranquilla audacia che li distingue. Intanto il Garnett proteggeva le sue lancie a colpi di cannone, uccidendo cinque negrieri, uno dei quali ebbe la testa portata via di netto da una granata. Gli altri si arresero e furono portati a Zanzibar per esservi sottoposti a giudizio, e le barche, non appena dichiarate di buona presa, furono affondate. Qualche tempo dopo la nostra partenza, una lancia del Garnett fu meno fortunata: i negri eri la lasciarono avvicinare lungo il bordo, e quindi, tagliata la drizza, le lasciarono cader sopra la loro grandissima vela. I marinai, rimasti impigliati nelle pieghe della vela, e perciò impotenti a difendersi, furono tutti trucidati sotto gli occhi dei loro compagni, i quali affondarono il dau negriero a colpi di cannone ».
impegni precisi da parte delle potenze per impedire la tratta ed assicurare la vigilgnza nei paesi di reclutamento degli schiavi, specie lungo le coste dell'oceano Indiano; si trattò di « un atto efficace perché dava la possibilità di sovraintendere alla sua applicazione» (28).
In effetti, sebbene il triste fenomeno fosse costantemente perseguitato dai litorali dell'Africa orientale controllati dagli italiani (29), esso non era stato ancora stroncato del tutto. L'atto conclusivo della conferenza di Bruxelles del 1890 prevedeva al capitolo III misure precise per la repressione della tratta sul mare; la zona interessata comprendeva il mar Rosso, il golfo Persico, le coste dell'Arabia, quelle di Madagascar e quelle africane fino al canale di Mozambico; le navi militari delle potenze firmatarie avevano diritto di fermare i bastimenti sospetti inferiori a 500 tonnellate ed a controllarne l'attività, con particolare riguardo ai passeggeri neri; ove fossero stati trovati a bordo schiaVI, questi sarebbero stati liberati e protetti e se il bastimento
(28) CALLAGHAN, op. cit., pag. 250, dove riporta le dichiarazioni di lord Schackleton alla camera dei Lords dell4 luglio 1960. La convenzione di Bruxelles fu firmata da Germania, Austria-Ungheria, Belgio, Danimarca, Spagna, Stato indipendente del Congo, Gran Bretagna, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Russia, Stati Uniti d'America, Svezia e Norvegia, Persia , Tur· chia, Zanzibar e Francia, quest'ultima però solo parzialmente. Giova ricordare che alla conferenza del 1889-90, tenutasi nella capitale belga, altri incontri seguirono, anche a livello non governativo: importante quello dell'aprile 1891, tenutosi pure a Brt}xelles, tra i rappresentanti delle società antischiavistiche nazionali, che vide l'intervento di personalità, esploratori, filantropi, ecc. Il marchese Filippo Crispolti, membro del comitato antischiavista di Roma, nell'illustrare il contributo del proprio paese alla lotta contro la tratta, rilevò che gli approdi controllati dagli italiani nel mar Rosso non venivano usati dai trafficanti perché le autorità e la marina italiane facevano buona guardia tra Massaua ed Assab; il Crispolti faceva voti perché gli italiani potessero contwllare anche la costa di Tripoli. Cfr. Les Conférences antiesclavagistes libres données au Palais des Académies de Bruxelles- Avril 1891, Bruxelles 1892, pagg. 28-31.
(29) Cfr. ibidem, pag. 80, l'intervento ·dell'italiano Paolo Longo, pastore evangelico, membro della società d'esplorazione commerciale in Africa.
vettore avesse usurpato la bandiera, sarebbe stato catturato (30). Le unità navali italiane della stazione del mar Rosso furono incaricate ufficialmente della repressione della tratta degli schiavi per mare; esse dovevano, facendo base a Massaua e ad Assab, sorvegliare il movimento marittimo dei bastimenti indigeni e di quelli - sotto le 500 tonnellate - che battevano la bandiera degli stati firmatari della convenzione di Bruxelles ( 31 ); le navi da guerra che esercitavano tale servizio di sorveglianza potevano arrivare, in caso di disobbedienza o di tentativi di fuga, fino all'affondamento a cannonate dell'imbarcazione sospetta (32).
La presenza navale italiana nel mar Rosso riceveva da questo nuovo impegno un ulteriore rafforzamento. Al di là dell'impegno civile, l'incarico assunto dalla marina implicava importanti risvolti politici, che forse non furono estranei a ralune riserve mantenute una delle potenze aderenti alla convenzione: la Francia. Nell'ambito internazionale, nel quadro di una lotta comune al triste fenomeno della tratta, il regno d'Italia era ancora una volta presente con la propria marina, la cui opera, a
(30) Cfr. il capitolo III (Rép,-ession de la traite sur mer) dell'Atto generale della Conferenza di Bruxelles, in MINISTERO DELLA MARINA: Manuale sz11la ,-epressione della tratta degli schiavi - Ist,-uzioni e notizie per gli ufficiali della R. Marina , Roma 1893, pagg. 61-79.
(31} « Nel caso che il bastimento da visitare inalberi i colori di una nazione che non abbia aderito all'atto di Bruxelles, tale verifica deve limitarsi ad accertare che non vi sia usurpazione di bandiera. Si prenderà in esame perciò il solo atto di nazionalità, o quell'altro documento che secondo la legislazione interna delle varie potenze, lo rappresenta. Verso tali bastimenti non è permessa la rassegna dell'equipaggio e dei passeggieri, nè la verifica del carico»: cosll'articolo 21 delle «Istruzioni», ibidem, pag. 13.
(32) L'articolo 27 delle «Istruzioni» (ibidem, pag. 16) recitava: «Se il bastimento invitato ad alzare la bandiera non risponde all'invito o tenta di fuggire, il comandante della nave da guerra che lo insegue appoggia l'intimazione con un colpo di cannone in bianco, e ripete dopo alcuni minuti un altro colpo a polvere qualora il bastimento continui nella fuga. Ove nemmeno in seguito a quest'ultima intimazione inoffensiva, il bastimento si arrenda all'invito, si procede con la forza alla sua cattura tirando a palla nelle vele e nell'alberatura prima, ed in ultimo sullo scafo a fine d'impedirgli la fuga ».
pochi decenni dalla nascita dello stato unitario, garantiva al governo di Roma nuovi elementi di sostegno per le sue ambizioni in Africa. La stazione navale del mar Rosso, come si è già detto più sopra, non era costituita certamente dalle navi migliori della flotta; tuttavia, anche poche e antiquate unità potevano essere sufficienti a ricoprire un ruolo più politico che militare , ed è per questa ragione che è parso necessario ricordare questo compito poco conosciuto che fu loro affidato. Per anni, vecchie navi col tricolore d'Italia, coperte più o meno da accordi bilaterali, avevano, mostrando la bandiera, affiancato nei limiti delle loro possibilità l'opera di marine più forti nella lotta alla tratta degli schiavi africani là dove la politica dello stato indicava un obiettivo territoriale, al di là di Suez, uno dei pochi ancora possibili per la nazione ultima arrivata in tema di colonie. E non è senza significato che col 1890 un gruppo importante di potenze riconoscesse all'Italia un ruolo nella polizia del mare in quel settore del mondo sul quale si appuntavano le modeste ambizioni coloniali del nuovo stato: ciò, ancora una volta, era stato possibile grazie alla esistenza della marina, alla presenza della marina, all'impegno della marina. È questo- al di là della minuta e scarsamente interessante descrizione delle singole crociere e dei singoli e mai molto importanti episodi della lotta italiana sul mare contro la tratta- che importava sottolineare in questa sede.
Dalla proclamazione dello stato unitario alla guerra del '66 la politica dei successori di Cavour fu condizionata in gran parte dalle preoccupazioni collegate al nuovo conflitto con l'Austria, che appariva inevitabile, e da incertezze e velleità che si riflettevano sulla marina. Da un lato, lo squilibrio pesante tra la reale potenzialità marittima disponibile e quella che sarebbe stata necessaria per condurre adeguatamente azioni di presenza e di pressione navale poneva in difficoltà, nei confronti verso l'esterno, le forze navali incaricate di far valere la politica di Roma. Dall'altro, all'interno stesso del mondo militare marittimo italiano, polemiche accese- e non originate soltanto da contrasti tecnici sul tipo di nave da adottare - nascevano e si sviluppavano, talvolta in tono acre, col risultato di bruciare talvolta i protagonisti stessi di dette polemiche e di mantenere l'incertezza sulle opportune decisioni di fondo, disturbando così ogni prospettiva di evoluzione coerente (l). Rivalità e limitatezza di uomini, ancora incapaci di superare la mentalità e la matrice provinciale, caratteristica dei vecchi stati regionali scomparsi, fecero il resto, impedendo allo strumento navale italiano di nascere forte. Come in numerosi altri campi della vita nazionale, era mancato il tempo per una maturazione graduale dei problemi che la nuova dimensione storica imperiosamente poneva, e la marina - come si è già rilevato - dovette improvvisarsi all'altezza delle esigenze dello stato.
E quali esigenze! All'interno, esso non era ancora consolidato; anzi, non comprendeva ancora nè le terre venete, nè la sua
(l) Si passò cosl dai piani di irrobustimento della flotta con i vascelli di legno al trionfo dei sostenitori delle navi corazzate, dopo il famoso e significativo episodio di Hampton Road nella guerra di secessione americana. Ma lo sforzo finanziario si esaurl nelle navi, e gli uomini non ricevettero una preparazione adeguata, specialmente alla vigilia del conflitto.
capitale naturale, mentre le impazienze di coloro che volevano risolvere attraverso rischiose avventure i problemi territoriali ancora aperti si scontravano con i sogni di rivincita dei sovrani spodestati , agitando le coscienze e il paese. Anche la marina ne visse le vicende più gravi, prima e dopo Lissa, dall'Aspromonte a Palermo, impegnata a fronteggiare con la propria mobilità necessità logistiche derivanti da improvvise emergenze o a difendere da reali o supposte minacce l'integrità dello stato ed il suo ordine interno. Così fino a Roma, nel 1870, in quella che, più che una guerra, preferiamo considerare un'operazione di polizia interna.
Ma anche in questo primo tempo la flotta fu impiegata come strumento di politica all'estero. In Grecia e nel Levante, dove al desiderio di riprendere una parte dell'antica influenza italiana si univa l'aspirazione di contrastare- nel quadro di un disegno più vasto -l'espansione marittima e commerciale della bandiera asburgica e il prestigio che le unità austriache cercavano di procurare a Vienna, la marina assicurò al paese una presenza competitiva e costante ( 2 ), sia pure entro i limiti ad essa consentiti dalle cose.
Fu a Tunisi nel 1864- con una stazione navale di grande impegno, a fianco degli inglesi, dei francesi e dei turchi - che la flotta italiana si produsse per la prima volta come attrice di primo piano in una vertenza internazionale complicata da arrembanti ambizioni, col tono e il piglio della marina di una grande potenza. Era, in un periodo già caratterizzato dall'affermazione degli imperialismi, il ruolo cui l'Italia ambiva nel Mediterraneo, considerandolo a sè congeniale, già chiara premessa e non equivoco accennarnento a precise prospettive coloniali, da riprendere non appena le preoccupazioni politiche, derivanti dall'ancora non completamente raggiunta unità nazionale, e quelle
(2) Cfr. gli arch.ivi della squadra dell ' Adriatico in A.C.R.M., busta 75; per altro episodio, relativo all'ingerenza per repr imere la pirateria a Zante nel 1869, vedi ibidem, busta 12.
finanziarie, derivanti dalla crisi di crescenza dello stato, lo avessero consentito (3 ).
La prima protezione agli italiani che lavoravano all'estero ( 4 ), in Tunisia come al di là degli oceani, doveva essere assicurata dalle unità navali, secondo gli usi del tempo. E questo era un altro difficile problema da risolvere per una marina che aveva già tante incombenze - non ultima la guerra - da affrontare contemporaneamente, in una situazione di particolare deficienze di mezzi. E tuttavia fu costituita la stazione navale del Rio de la Plata , divenuta poi divisione dell'America meridionale, che nelle turbolente vicende sudamericane fu un sostegno concreto ed un aiuto per i connazionali e in genere per gli europei, oltre che un osservatorio politico di primaria importanza, dal quale si poteva avere una visione generale non solo degli intrighi locali, ma qualche volta anche delle manovre sotterranee a largo raggio che nascevano dalle maggiori potenze.
Ma vennero i tristi giorni di Lissa, e con essi il processo Persano, che implicò una generica svalutazione della marina, per fattori emotivi e per non sempre chiare manovre di ricopertura politica. Furono giorni amari, nel corso dei quali si giunse a chiedere- in un paese come l'Italia! -l'abolizione della marina da guerra (5). Il contraccolpo delle delusioni del '66, dopo tanti for-
( 3) Può essere interessante ricordare che -a causa o col pretesto di un mancato pagamento - nel gennaio 1867 si progettava di inviare in Tunisia 2 f regate , l avviso e 1.500 uomini, per occupate, se non Tunisi, almeno Gerba. Vedi lettera del ministro degli esteri a quello della marina del 30 gennaio 1867 in A.U.S.M., busta 51.
( 4) Negli anni ua il 1870 e il 1885 l'emigrazione crebbe considerevolmente, soprattutto quella ttansoceanica. Cfr. L. BoDIO: Sul movimento dell'emigrazione italiana e sulle cause e caratteri del medesimo, Roma, 1886.
(5) Se ne fece cenno sulla stampa e in qualche acceso dibattito in Parlamento. E' in reazione a tale prospettiva che va posta la netta presa di posizione di Carlo DE CESARE, estensore della Relazione seconda della Commissione d'inchiesta sullo stato del materiale e sull'amministrazione della regia marina (Firenze-Genova 1867), il quale nell'ultima parte della sua relazione- firrnàta a Firenze il 18 aprile 1867 - scriveva (pag. 63 ): « La navigazione e il commercio fioriscono insieme e decadono insieme, e la sicurezza dell'una e dell'altra non dipende che dalla Marina da guerra.
tunati miracoli del passato, non potè trovare compenso nella « povera pace » che ne segul, perché restarono aperte - forse addirittura enfatizzate - le ferite inferte all'orgoglio nazionale; di qui l'accanita caccia al perché dell'infortunio di Lissa, che parve travolgere ad un certo momento le basi stesse del potere marittimo italiano .
Il momento della riscossa venne dopo il '70, quando con l'Italia a Roma un nuovo ciclo di speranze rinverdl gli ideali del paese . Dopo il '70 in ogni campo della vita nazionale il fascino eterno della missione di Roma, in una interpretazione ancora romant ica prima che imperialista, si impose ed orientò i nuovi pro· grammi. Al di là delle sempre ricorrenti ristrettezze finanziarie, l'Italia cercava da Roma una nuova forza morale alla quale abbe· verare lo spirito e la fiducia nell'avvenire ( 6 ).
In campo navale, dimenticata Lissa, dimeaticato il triste settembre di Palermo, rifiorì la letteratura e l'impegno fiducioso in un grande futuro. La « Rivista marittima », nata nel 1868, raccoglieva gli scritti di coloro che si battevano per il « nuovo corso »; ma anche all'esterno degli ambienti militari scrittori ed uomini politici incominciarono ad interessarsi di più -e più benevolmente - ai problemi della marina. Fu, dapprima, una letteratura soltanto, che richiamava i giorni del primato italiano nel Mediterraneo, quando le insegne delle Repubbliche marinare avevano dominato il mare e reso prospere le città per i commerci navali (7); si ristudiò poi la grande lezione dell'Inghilterra e si stimò necessario metterla a frutto, nella geografica che
Chi vuoi disperdere questa, disconosce i primi elementi dell'economia italiana. Napoleone I che ne sapeva un tantino di più dei moderni politici invece diceva: ' Se un giorno più o meno lontano la penisola italiana diverrà una nazione, la prima sua condizione sarà quella di diventare una grande potenza marittima, poiché l'Italia ha 17.3 leghe di costa più della Spagna e della Francia, e signoreggia tre mari'. Non siamo ancora una grande potenza marittima e ci si vuoi vendere la flotta! ».
(6) Cfr. F. CHABOD, op. cit., pagg. 179-323.
(7) Cfr. C. DE AME.zAGA: La marina e le tradizioni, in «Rivista marittima», 1868, novembre, pagg. 615-19; L. di CAMPO FREGOSO: Del primato italiano sul Mediterraneo, Roma-Torino-Firenze 1873; ecc.
interessava l'Italia (8). Mentre esperimenti nuovi aprivano alla tecnica vie sconosciute nel passato (9), ci si rese conto che problemi fondamentali per la difesa del paese incombevano sulle coste ( 10). E parve finalmente giusto che l'Italia si desse una politica in campo navale. Un provvedimento coraggioso, antiretorico e, certamente, non popolare, costitul la base per il rinnovamento della marina: la liquidazione della flotta di Lissa ( 11 ). Era la premessa alla ricostruzione, che doveva portare verso la fine del secolo l'Italia ai primissimi posti nella graduatoria dei valori mondiali. Un aspetto è particolarmente interessante di quel decisivo periodo: malgrado la polemica sulle navi grandi e piccole, che oppose l'Acton Ferdinando al Brin, malgrado accese rivalità personali tra gli stessi ministri, malgrado pause ed apparenti cambiamenti di direzione, tuttavia il potenziamento navale italiano fu perseguito co-
(8) «Abbiamo voluto una patria e una patria l'abbiamo. Abbiamo risposto alla famosa ironia che riduceva l'Italia ad un pleonasma geografico. Ora conviene trovare il modo che ella diventi una potenza geografica, convien ch'ella si muova... Il mare ci abbraccia da ogni parte, il mare ci chiama, il nostro mare che noi potremmo prestare ai nostri vicini di oltr'Alpe. Il mare ci chiama. Gli è quello che hanno fatto le nostre repubbliche nel Medioevo. Mercanti e marinai, questa fu la politica degli italiani»: cosi il Correnti, citato in« Rivista marittima», 1874, IV, pag. 671.
(9) Il 24 agosto 1871, ad esempio, la «talpa marina» dell'ingegner Toselli compi un esperimento sottomarino scendendo a 70 metri di profondità nella baia di Napoli, cfr. A.C.R.M., busta 33; «Rivista marittima», 1871 settembre, pagg. 1407-8.
(10) Il problema è richiamato continuamente nella stampa militare e politica dopo il 1871; soprattutto la « Rivista marittima » e la « Nuova Antologia» ne trattarono, talvolta in polemica tra loro, come nel 1872.
( 11) Il materiale navale era ormai antiquato, superato, e come potenziale effettivo era ben lontano dal mantenere nella realtà quello che prometteva sula carta. La rapida evoluzione tecnica che si era avuta nel settore delle costruzioni navali e la stasi che si era verificata nell'incremento della flotta dopo la terza guerra d'indipendenza avevano reso sostanzialmente inutili molte unità della flotta. Per esse, come noto, il Saint Bon presentò in Parlamento un provvedimento apposito nel dicembre 1873; e malgrado opposizioni e polemiche tra « il passato e l'avvenire)) riusd a farlo approvare nel febbraio 1875. Vedi PRASCA E.: L'ammiraglio Simone de Saint Bon, Roma-Torino 1906.
stantemente per decenni, con tenacia e con passione, dagli uomini che governarono la marina ( 12).
Il limite costituito dalle disponibilità di bilancio impose ritardi e ridimensionamenti di programmi, ma il valore dei tecnici consentì all'I tali a di primeggiare nel campo delle costruzioni navali. Il cambiamento di direzione politica del 1876 - la famosa « rivoluzione parlamentare» che portò la Sinistra al potere - non incise sulla continuità d'attuazione dei progetti in corso. La Caio Duilio - dal simbolico nome augurale che richiamava il ricordo dei fasti navali di Roma - studiata, decisa , impostata sotto il governo della Destra, scendeva trionfalmente in mare nell'aprile 1876, un mese dopo l'avvento della Sinistra al potere. La Caio Duilio fu l'emblema della nuova marina: soluzioni audaci che lasciavano scettici e perplessi prima, poi ammirati e scossi, costruttori di razza come gli inglesi, dovevano diventare quasi una tradizione felice nei cantieri militari italiani.
Malgrado le difficili condizioni dei bilanci - causa prima della impostazione «finanziaria » data dal Saint Bon alla programmazione delle costruzioni navali - queste non impedirono che fosse costantemente e con successo preseguito il primo, tradizionale obiettivo della politica militare marittima italiana, già indicato dal Consiglio d'Ammiragliato e pubblicamente enunciato in Parlamento nei primissimi anni dopo l'unità: la parità con le potenze marittime riunite della Spagna e dell'Austria.
Tutto questo, naturalmente, non fu e non poteva essere senza conseguenze . II paese disponeva - pur nella sua povertà - di uno strumento indispensabile per la propria politica. Sebbene modesta e certamente inadeguata a condurre le imprese che tuttavia affrontava; la flottà assicurò nel periodo che abbiamo esaminato la protezione del commercio e dei connazionali all'estero, aprì nuovi contatti politici ed economici, condizionò ogni iniziativa coloniale. Dal mar Rosso all'Estremo Oriente, dai porti del Levante mediterraneo a quelli dell'America meridionale, la presenza delle unità di bandiera italiana costituì un im-
portante ed apprezzabile contributo alla esplicazione della politica nazionale. Tanto importante che dalla stazione navale del mar Rosso germogliarono le prime concrete realizzazioni coloniali. Nè delle cento occasioni perdute in quei tempi, caratterizzati da politiche imperiali condotte spregiudicatamente da stati più forti, può farsi colpa alla marina , chè le condizioni obiettive del paese ponevano troppo spesso l'Italia ben fuori dal gioco. Piuttosto, nella formazione della politica nazionale, si andò avvertendo sempiù la componente navale. La sensibilità a determinati problemi marittimi , nel Mediterraneo, in Adriatico, nel mar Rosso ( 13 ), proveniva naturalmente dagli ambienti della flotta , che si sforzava no di introdurli e di farli pesare nelle scelte del paese, consci del grande valore che avevano tali problemi per l'avvenire della nazione (14 ). Col passare del tempo, infatti, essi avrebl-- J pesato sempre più sulla storia d'Italia.
(13) Cfr. A.C.R.M. , busta 75, dove sono gli archivi delle squadre dell 'Adria tico e del Medite rraneo fino al 1878; A.C.R., Carte Depretis, busta 28, fase . 10 3 e 104 ; « Riv ista marittima» , passim.
( 14 ) « II tridente di Nett uno è uno scettro al quale, volenti o nolenti, debbono ren dersi tributarie tutte le nazioni del mondo»: CtBRARIO in « Rivista marittima», 1875, III, pagg. 388
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a. c. avancarica.
add.nav.,mil. addetto navale, militare.
aff. est. = affari esteri.
aH. = allegato, allegati.
amb. - ambascia t ore.
amm. = ammiraglio.
arch. archivio.
art. - articolo.
artigl. - artiglieria.
austr. austriaco.
batt. = batteria, batterie.
bers. = bersaglieri.
btg. battaglione, battaglioni.
c., cc. - capitolo, capitoli.
ca mp. campale.
cap. capitano.
cap. mar. - capitano di marina mercantile.
card. = cardinale.
cart. - cartella.
dr. - confer.
ci t., citt. - citato, class. - classificato.
co. - conte.
col. - colonnello.
comand. - comandante.
commiss. = commissario
commod. = commodoro.
co mp di nav. - compagnia di navigazione.
con s. - console.
co ntramm. = contrammiraglio.
copiai. - copialettere.
corazz. - corazzata.
corrisp. - corrispondenza.
corv. - corvetta.
cp. - compagnia, compagnie.
dedass. - declassificato.
dep. - deputato.
disp - dispaccio.
doc., docc. - documento, documenti.
edit. ediz. - editore, edizione.
es pl. - esploratore.
est. - estero.
fan t. mar. fanteria di marina.
fase. - fascicolo, fascicoli.
frane. - francese.
freg. - fregata.
gen. - generale.
G. N. - Genio navale. govern. - governatore.
guard. - guardiamarina.
imper. - imperiale, imperatore.
312
inc. d'aff. = incaricato di affari.
ingl. - inglese.
isp. ispettore.
ital. italiano.
luog. - luogotenente.
magg. - maggiore.
mar. = marina.
maresc. - maresciallo.
med. = medico.
merc. = mercantile.
min. - mUnistro, ministero.
n apoi. = napoletano.
o. d. g. ordine del giorno.
op. ci t., opp. citt. - opera citata, opere citate.
pag., pagg. = pagina, pagine.
P. l. = Pubblica istruzione.
pu. = piroscafo.
puocorv. - pirocorvetta.
pirofreg. = pirofregata.
pont. = pontificio.
posiz. = posizione.
Pr. - principessa.
prat. - pratica.
pres. cons. = presidente del consiglio.
presid. = presidente.
princ. - principe.
prot. - protocollo.
prov. - provincia, province.
r. c. - retrocarica.
reg. - registro.
regg., regt. - reggimento.
ris. - riservato.
s = serie.
scil = scilicet.
s. d. = senza data.
sec. = secolo, secoli.
seg., segg. - seguente, seguenti.
Segr. St. - Segretario, Segreteria di Stato.
sen = senatore.
sicil. = siciliano.
S. M. - Stato Maggiore. sottofasc. - sottofascicolo.
spagn. spagnolo.
staz. = stazione, stazionario.
s.ten. = sottotenente.
t. - tomo.
t el. telegramma.
ten. - tenente.
tosc. - toscano.
trasp. - trasporto.
t.s.l. - tonnellate di stazza lorda.
ungh. - ungherese.
v. - vedi.
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(Dove non è specificata la nazionalità delle persone o delle unità, è sottinteso che sono italiane; i nomi degli autori sono in MAIUSCOLETTO, a meno che non si tratti di personaggi dell'epoca menzionati nel testo o nelle note; non sono inclusi gli autori citati solamente nella bibliografia).
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Abissinia: 209,228,240,241, 246,249,250,256,258,262,295,319,325.
Abruzzo: 17.
Abu Beker, pascià di Zeila: 254, 255.
Accademia navale: 238.
Accinni E., cap. freg.: 227, 235, 271, 273, 274, 277
Achin, sultanato di: 211, 213.
Acireale: 23.
Actif, avviso frane.: 143.
Acton E., cap. freg.: 57, 58, 60, 61, 63, 65, da 68 a 71, 215.
Acton F., amm., min. mar.: 303.
Acton G., cap. vasc., poi amm., min. mar.: 79, 83, da 116 a 118, 121, 125, 140, 245, 250, 253, 279.
Aden: 223, 226, 243, 249, 252, 262, 293.
Adige, fiume: 151.
Adorni I., gen.: 65.
ADRIACUS: 149, 317.
Adriatico,
Adua: 240.
Affondatore, corazz.: 81.
Africa, nave merc.: 245, 246.
Agostino Barbarigo, avviso: 259, 262.
AGRATI C.: 181, 317.
Agrigento: 68.
Ahmed, bey di Tunisi: 143, 320.
Aigle, yacht imper. frane.: 42.
Aja (L'): 233.
Ajaccio: 31.
Albania: 14, 37, 108, da 160 a 163, 166, 170, da 172 a 176, 192, 2 18.
Alberto, arciduca: 188.
Albini G.B., amm.: da 14 a 17, 22, 23, 26, da 29 a 31, 33, 34, 39, 51, 115, 117, 119, da 121 a 127, da 135 a 143, 185, 188, 189, 191.
Alexandra, schooner ingl.: 224.
Alessandria d'Egitto: 105, 242.
Alessandria della Paglia: 128.
Aleutine, isole: 211.
Algeri, Algeria: 42 , 88, 181, 182.
All Pascià, gran visir turco: 157.
Alpi: 175, 241.
Alula: 262.
Amalia: v. Caracciolo.
Amari M., min. P.I.: 240.
A.mat P.: 242.
Amboina: 222.
Ambong: 222
Ambrosio: v. Rambosio.
America Meridionale, staz.. navale (poi divisione navale) della: 78, da 95 a 101, 215, 218, 238, 263, da 265 a 281, 301.
Amerigo Vespucci, incrociatore: 259, 280.
Amezaga: v. De Amezaga.
ANCHIERI A.: 241, 317.
Ancona: 10, 12, 17, 47, 65, 70, 73,
Ancona, corazz.: 79, 81, 161, 259, 260.
Andrassy, co. G, cancelliere austr.: 150, 155, 158, da 160 a 171, da 173 a 176.
Andrea Provana, cannoniera: 261.
Anfari Mohamed, sultano degli Aussa: 252.
ANGELINI S.: 229, 317.
ANGELINO; v. DE CAT.
Angioletti D., gen., min. mar.: 37,
97, 100, 107, 111, 112, 215.
Angola: 210.
Anguissola A., amm.: 265.
« Annali del Seminario di Giurisprudenza dell'Università di Bari •: 9, 320.
Annovazzi, uditore di mar.: 35.
Ansaldo A., cap. freg.: 236.
Antelope, rimorchiatore a ruote ex sicil.: 13.
Antille: 211.
Antinori 0 ., espi.: 115, 317.
Antivari: 161.
Antonelli A., card. Segr. St.: 27.
Antonelli P., espl.: 261.
« Anuario de estudios americanos :»: 9.5, 321.
Aosta Amedeo di, amm., poi re di Spagna: 78, 84.
·
Appennini: 179.
Aquila, pir. a ruote ex oapol. Palermo, poi dass. avviso: 12, 79.
Arabia: 246, 247, 260, 283, 291 , 296.
Arafali: 260.
Archico: 260 , 261.
Archimede, freg. a ruote ex napol., poi dedass. a corv.: 12, 122, 276, 277, 279.
Archimede, pir. della Comp. di nav. Rubattino: 55 .
«Archivio economico dell'unificazione italiana»: 10, 13, 43, 77, 320, 321.
«Archivio storico siciliano»: 49, 318.
Ardita, cannoniera ex toscana: 11, 15, 78, 98, 263, 265, 267, 268, da 271 a 273.
Arequipa: 269 .
Arese , s. ten. vasc.: 215.
Argentina: 100, 263, 264, 273, 274.
Argo, goletta ex toscana: 13.
Arminjon V., cap. freg. comand. Magenta, poi cap. vasc.: 102, 160, 161, 169, 177, da 214 a 219, 269, 270, 290, 317, 325 .
Armstead, nave americana: 290.
Artom l.: 152, 157.
Aru, isole: 224, 225, 323.
Aschelim, cons. di Turchia ad Ancona: 154.
Aspromonte: 19 , 25, 26, 31, 35, 50, 75, 300 .
Assab: 210, 226, 239, da 245 a 257, 260, 297, 323.
Asuncion: da 265 a 267, 27i, 272.
Atene: 105, da 107 a 109.
Aùantico, oceano: 92, 94, 95 , 98, 100, 218, 227, 236, 271, 280, 285, 286, 291, 321. .
«Atti del secondo convegno siciliano di storia del Risorgimento>>: 27, 323.
« Atti del terzo congresso di studi coloniali »: 209, 317.
Augusta: 181, 185.
Aulone: v. Valona.
Aurora, 'trasp. a vela ex sardo, già corv.: 13, 94.
Aussa, sultanato degli : 252.
Australia: 218 , 221, 226, 230, 237.
Austria: 24, 73, 74, da 91 a 94, dà 103 a 105, 107, 110, 111, 113, da 147 a 154, 164, da 169 a 176, 183, 185, 187, 192, 197, 201, 202, 296, 299, 304, 326.
Authion, pir. a ruote ex sardo, poi dass. avviso: 12, 81, 111, 112, 152, 156.
Avana {La): 287, 289.
Avogadro di Cerrione L., cap. freg.: 32, 35.
Azeglio: v. D 'Azeglio.
Azof, mare di: 181.
Azzardoso, trasp. a vela ex sardo: 13.
Bab-el-Mandeb, stretto di: 214, 243, 245, 261.
Bagheria: 64.
Bahfa: 265.
Bahia, corazz. brasiliana: 264.
Balabac, stretto di: 222, 223, 228.
Balambangan, isola: da 221 a 223, 228.
Baldisserotto: 33.
Baleari: 82.
Baleno, avviso a ruote ex sardo: 12.
Banda, mare di: ·224.
Bandjermassin: 222.
Bangkok: 223.
Banguey, isola: 222, 223, 228, 229, 230, 231, da 233 a 236.
BARATTA M.: 241, 253, 317.
Barbarigo: v. Agostino Barbarigo.
Barbolani: 213.
Barcellona: 201.
Bardo, residenza del bey di Tunisi: 116, 118, 119, 127, 135.
Bari: 9, 168.
Baring sir R., cons. gen. d'Inghilterra al Cairo: 259.
Barletta: 70.
Basso G., garibaldino: 20.
Batavia: 215, 217, 222, 230, 231, 240, 247.
Baciane, isole: 224, 225.
Baudini C. F., cap. freg.: 52, 69.
Bausan: v. Giovanni Bausan.
Bauval, dc, cons. di Francia a Tunisi: 120, 126, 141, 142.
Beaconsfield, lord: v. Disraeli.
BEAUJOUR: 162, 163.
Beccari G.B., cap. mar.: 213.
Beccati 0., espi.: 226, 245, 260, 317.
'Beilul: 252, 253, 256, 258, 259, 324.
Belgio: 296.
BELTRAMI SCALIA M.: 210, 317.
Belzini, s. ten. vasc.: 66, 70.
Benadir: 261, 324.
Bender Marayeh: 262.
Bengala: 210.
Beniamino Franklin, trasp. a ruote ex sicil.: 12.
Benvenuto, trasp. a vela ex sicil.: 13.
Berbera: 261, 262.
Bereban, sultano di Raheita: 251, 254, 255.
Berio, cons. d'Italia a Smirne: 112.
Berlino: 158, da 173 a 177, 294, 318, 319, 326.
Bertelli L., cap. freg.: 122, 214, 242, 243.
Besica ( Bescik): 157.
Bettolo T., cap. genio: 125.
Beuf, cap. fant. mar.: 60, 70.
Bezzi E., garibaldino: 19, 21 , 24.
Bianchi G., espl.: 258, 327.
Bianco, capo: 189.
Biglieri G., s. ten. vasc.: 252.
Birmania: 223, 229, 235.
Biserta: 115, 120, 182, da 191 a 193, 197, 202, 203.
Bismarck , princ. O. von, cancelliere germanico: 175, 177, 197, 208.
Bixio N.: 82, 83, 91, 111, 184, 213.
Blanco, partito uruguayano: 96, 267, 273.
Blasio F.: 185.
BLESSICH A.: 209, 317.
Bocca P ., med. di bordo: 235.
Boccuoo G.: 241, 244, 318.
BoDIO L.: 301, 318.
Bogos: 209, 240, 245, 322.
Bolivia: 264, 265, 278.
«Bollettino deHa Società geografica italiana»: 216, 218, 229, 238, 319, 322, 324, 325.
Bologna: 10, 74.
Bombay: 247.
Bon, capo: 197.
Bona: 116.
BoNACOSSA C.: 241, 318.
BoNAMICO D.: 196, 197, 318.
Bonelli C., gen., min. mar.: 250
Bonghi R.: 148, 158.
Bonjean, sen. americano: 195.
Borbone: v. Garibaldi.
Borbonici: 10, 16, 17, 27 , 67, 73, 95, 103, 181, 244.
Borneo: da 220 a 222, 228, 229, da 231 a 236, 317, 322.
Bosforo: da 111 a 113.
Bosio, cornmiss. del min. guerra: 126, 127.
Bosnia: da 148 a 151, 161, da 169 a 171, 175, 176.
Bouet de Willaumetz, co. L.E., amm. frane.: 42, da 122 a 124, 127, 143.
Bove G., guard., espl.: 2.35 , 236, 318.
Braganza: 209.
BRANCATO F.: 49, 58, 318.
Brasile: 95, 96, 264, 266, 267, 269, 271, 273, 275, 285, 286.
Bravetta E., ten. vasc.: 291, 295, 318.
Brennero: 192.
Brésil, pir. frane.: 25.
BRIDGE J.: 257, 318.
Brigantaggio: 9, 10, 17, 37, 38, 75.
Brio B., geo. G.N., min. mar.: 155, 195, 200, 203, 281, 303, 304, 318.
Brindisi: 47, 65, 90, 104, 158, 160, da 166 a 168.
Briot de Crochais H., cap. freg. frane.: 82.
Brisbane: 230.
Brocche t ti: 7 4.
Brooke Ch., rajah bianco di Sarawak: 235.
Brunei: 222, 228.
Brunetta d'Usseaux P., magg. fant.: da 58 a 60.
BRUNIALTI A.: 209, 318.
Brun Rollet A.: 209, 317.
Bruxelles: da 295 a 297, 317.
Buccbia T., cap. vasc.: 152, 195.
Budapest: 172, 173.
Buenos Ayres: 98, 100, 265, 267, 268, 272, 273, 278.
Buia, rada di: 246.
Bulgaris D., pres., cons. greco: 109.
Buona Speranza, capo: 215.
Bur Gabo: 262.
Burone Lercari, cap. freg.: 265.
Butrinto: 162.
Buyiikdere: 111.
Buzzolino, cap. mar.: 245.
Cadice: 266.
Cadorna C., min. d'Italia a Londra: 228.
Cadorna R., geo.: 68, 73, 82, 83, 318.
Cafiero, comand. Governolo: 106, 107.
Cagliari: 17, 42, 43, 79, 116, 117, 122, 126, 196.
Caimi P., amm.: 96, 259, 280.
Caio Duilio, corazz.: 195, 304.
Cairo (Il): 252, 255, 256.
Cairo, trasp.: 65, 69.
Cairoli B., pres. cons.: da 248 a 250, 253.
Calabria: 26, 27, 29, 31.
Calatafimi, avviso ex sicil.: 11.
Calatafimi, pir.: 261.
Calcutta: 223.
e< Calcutta Englishman »: 230.
California: 286.
CALLAGHAN S.O.: 285, 296, 318.
Callao (El): 97, 99, 218, da 268 a 270, 279.
Cambria, trasp. a ruote ex sicil.: 12, 81.
Cameron A., marinaio: 35.
Candia: 103, 159.
Candiani C., cap. freg., add. nav. ital. a Londra: 200.
Canevaro N., cap. vasc., poi amm.: 237, 276.
Canopo, torpediniera: 259, 260.
Canseca, gen. peruviano: 269.
CAPPELLO G.: 116, 128, 144, 318.
Capranica P.: 27.
Caprera: 20, 22, 24, 80.
Caputo, ten. vasc.: 258, 259.
Carabba, cap. freg.: 276, 277.
Caracdolo, cort-. a vela ex freg. napol. Amalia: 13, 45, 157.
Caracciolo, corv.: 238, 270, 271, 317, 325.
Caraibi, mare dei: 101, 286.
Carcano, ten. vasc.: 111, 152.
Cariddi, torpediniera: 254, 255, 261.
Carlo Alberto, pirofreg. ex sarda: 11, 29, 51, 68, 70, 73.
CARPI L.: 210, 317, 318.
Cartagena: 84.
Cartagine: 133.
Casale Monferrato: 128.
Casalis, prefetto: 249.
Caserta: 80.
Cassone F., cap. freg.: 228, 235.
Castelfidardo, corazz.: 78, 81, 161, 218, 258, 259.
Castellammare del Golfo: 12, 14.
Castellammare di Stabia: 238.
Castiglione, vasc. frane.: 122.
CATALUCCIO F.: 159, 318.
Catania: 20, da 22 a 24, 26, 27, 31, 32, 3.5, 4.5.
Caton, avviso frane.: 122.
Caudombero, partito uruguayano: 273.
Cavour C.: 9, 28, 38, 39, 87, 88, 104, 179, 180, 182, 207, 209, 258, 299, 318.
Cavour: v. Conte di Cavour.
Caxias, L. Alvez de Lima e Silva, maresciallo brasiliano: 268.
Cayalti, nave americana: 290.
338
Cecchi A., espl., cons d'Italia a Aden: 262.
Cefalonia: 104.
Celebes: 229.
Centauro, torpediniera: 259.
Ceprano: 82.
Cerruti C., ten. vasc.: 64, 69.
Cerruti G. E., espi.: da 223 a 225, da 228 a 230.
Cesaraccio, cap. fant . mar.: 66.
Cesaretto M.: 213.
CESARI C.: 209, 248, 257, 318.
CESSI: 90, 318.
Ceylon: 223, 231.
CHABOD F.: 120, 144, 302, 318.
Chapperon, cons. d'Italia ad Asunci6n : 266, 267.
Cheance, vasc. ingl.: 119.
CHlALA L.: 22 , 23, 26, 115, 175, 252 , 253, 256, 258, 318.
CHIESI G.: 244, 319.
«China Mail »: 234.
Chioggia, goletta: 252.
Chisimaio: 262.
Chorillos: 278.
CHURCHILL W.: 286, 319.
Cialdini E., gen.: 26.
CrASCA R.: da 207 a 209, 2-H, 260, 319.
CIBRARIO: 305.
Cile : 264,
CIOTTI G.: 49, 70, 319.
Cipro: 176, 194, 248.
CisOTTI L.: 154 , 319.
Città di Genova, trasp.: 81, 260.
Città di Napoli, trasp.: 81.
Civitavecchia: 77, 80, da 82 a 84.
Clavesana, ten. vasc.: 69.
Cocincina: 218.
CODIGNOLA A : 240, 244, 319.
Coglan, gen. ingl.: 240.
Colera: 37, da 43 a 47, 70, 73, 264, 265, 325.
CouN A.: 244, 319.
Colombo, guard.: 251.
Colombo, brigantino ex sardo: 13, 94.
Colombo: v. Cristoforo Colombo.
Colonna, ten. vasc.: 60, 70.
Colonna: v. Marcantonio Colonna.
Colorado, partito uruguayano: 96, 267, 273.
CoMANDÙ G.: 11.
Comoundouros, pres. cons. greco: 109.
Concepci6n, 272.
Confienza, cannoniera ex sarda: 11, 15, 270, 271.
Congo: 296.
Constiluci6n, freg. brasiliana: 95.
Conte di Cavour, trasp. ex sardo: 12, 25, 65, 70, 259, 261, 265.
Con/e Verde, corazz.: 161.
Contest, nave ingl.: 286.
Coolies, questione dei: v. Tratta.
Copenhagen: 210.
Corfù: 103 , 104, da 106 a 110, 153, 161, 163, 167, 168,170, 181, 192.
Corneto: 82.
Coronella: 265.
Correnti C.: 242, .303.
Corrientes: 96, 265, 272.
«Corriere mercantile (Il)»: 249.
CoRSELLI R.: 263, .319.
Corte, garibaldino: 20.
CoRTINOIS A.: 261' .319.
Coscia, ten. vasc.: 66, 7.3.
Cosenz E., gen.: 152.
Costanùna: 43.
Costantino, granduca: 94.
Costantinopoli: 105, 111, 112, 147, da 156 a 158.
Costituzione, freg. a ruote ex sarda: 12, 25.
CouPLAND R.: 293, 294, 319.
Crenneville: 188.
Creta: v. Candia.
Crimea: 115, 147.
Crispi F., pres. cons.: 2.3, 161, 174,
a 319, 321, 323, 325, 326.
Crispolti F.: 296.
Cristina, corv. a vela ex napol.: 13, 95.
Cristoforo Colombo, incrociatore: 237, 276, 279.
Croceo, amico di R. Rubattino: 244.
Crociere oceaniche della marina italiana: 96, 98, 99, 102, da 214 a 223, da 226 a 228, 231, 232, da 235 a 238, 268, 270, 275, 280, da 317 a 319, .321, 323, 325, 326.
Crociere oceaniche della 111arina napoletana: 95, 319.
Crociere oceaniche della marina sarda: 94.
Cuba: 217, 286, 287.
Cugia E., gen., min. mar.: 26, 31, 39, 117, da 123 a 125, 127, 141, 214, 320.
Curtatone, cannoniera ex toscana: 11.
Custoza: 50, 62, 74.
Custoza, corazz. austr.: 201.
Cuza A. G., ospodaro di Moldavia e Valaccbia: 112.
D'Abbadie, fratelli, espi. frane.: 240.
Dachilia, baia di: 261.
Dahlac, isole: 243, 260.
Dahlerup G., amm. austr.: 90.
Daino, brigantino ex sardo: 13, 94.
D'Albertis L. M., espl.: 226, 317. magg. zuavi pont.: 83.
D'ALESSANDRO A.: 95, 319.
Dalmazia: 147, 148, 153, 171, 188.
D'Ambrosia: v. Rambosio.
D'Amico, dep.: 194.
Dancali: 250, 253, 254, 258, 323.
Dandolo, corazz.: 196.
Dandolo, freg. austr.: 80.
Danimarca: 210, 211, 283, 296.
Danubio: da 111 a 113, 152.
Darmahiè, isola: 246 , 251.
D'Aste Ricci A., amm.: 98.
D'Azeglio M.: 21, 101, 102, 104, 319.
De Amezaga C., cap. freg.: 238, da 249 a 252, 261, 302, 317.
De Boyl G., amm.: 98.
DE CAT ANGELINO A.: 208, 319.
DE CESARE C.: 301, 319.
De Cosa R., amm. napol.: 95.
De Failly P. L., gen. frane.: 78.
Defence freg. ingl.: 82, 84.
De Filippi F., prof., sen.: 216.
Degla, freg. russa: 94.
Dehigegoso, comand. Veloce: 265, 267.
DEI SABELLI L.: 209, 319.
DE LANNOY C.: 208, 322.
De La Tour, min. d ' Italia in Cina e in Giappone: 220.
De Launay co. E., amb. d ' Italia e Berlino: 173, 175.
Del Carretto E., amm.: da 80 a 84, 266, 267.
DEL DRAGO G.: 238, 319.
Deligeorgis E., pres. cons. greco: 109.
De Liguori C., ten. vasc.: 267.
Della Croce, min. d'Italia a Buenos Ayres: 267, 268, 273.
Della Minerva, cons. d'Italia ad Atene: da 107 a 110.
Della Rovere A., luog. del re per le prov. sicil.: 16.
Del Santo A., cap. vasc.: 226.
De Luchi, armatore: 243.
DE LUIGI G.: 116, 144, 320.
DEL VECCHIO E.: 195, 320.
De Martino G., cons. gen. d'Italia al Cairo: 249.
De Negri A., cap. freg.: 236.
Deportazione: 209, 210, 214, da 219 a 221, 223, 228, da 230 a 232, 236, 317.
Depretis A., pres. cons. : 50, 51, 58, 72, 155, 158, 168, 185, 195, 253, 256, 260, 319.
Derwent, nave i..ogl.: 283.
DESFOSSÉS E.: 143, 320.
Des Geneys, trasp. a vela ex sardo, già freg. Hautecombe: 13, 94, 266.
De Viry E., amm.: 152, 159, 271.
Devoto, s. ten. vasc.: 66
O'Herbin!lhem. amm. frane.: 120, 121, 131.
Di Bruno G., cons. gen. d'Italia a Trieste: 174
DI CAMPO FREGOSO L.: 302, 318.
Di Ceva A., amm.: 14.
Di Lenna, cap. genio: 224.
Dina G.: 22, 318.
Di Palma, cap. fant. mar.: 60.
Di Robilant C. F., amb. d'Italia a Vienna, poi min. est. e amb. a Londra: 150, 151, 169, 170, 173, 195, 320.
Diserzioni: 22, 28, 30, 34, 35, 50, 214.
Disraeli B., lord Beaconsfield, premier britannico: 174, 175.
Dr Sum G.: 117, 196, 320.
Diaafariah, sambuco armato egiziano: 254.
Djerba: v. Gerba.
Dogali: 260.
Dogali, corazz.: 261.
Dora, trasp.: 12, 109.
Doria G., espl.: 250.
Drouyn de l'Huys E., min. est. frane.: 142.
Druùl, nave ingl.: 286.
Duan, sultanato di: 224.
Duca di Genova, pirofreg. ex sarda: 11, da 31 a 33, 51, 57, 62, 70, 78, 79, 119.
Due Sicilie, regno delle: 11, 13, 115, 116, 209, 226, 324.
Duilio: v. Caio Duilio.
Dulcigno: 192.
Dumont, gen. frane.: 78.
Durazzo: da 161 a 163, da 167 a 170.
Durduri: 262.
Du SEIN: 90, 320.
«Economiste Français (L')»: 182.
Egeo , mare: 104, 111, 113, 157, 159 , 197.
Egitto: 181, 195, 240, 244, da 246 a 250, da 252 a 260, 262, 317.
Egnazia, via: 161.
Elba, isola: 80.
Elefanta: 262.
EMERIT M.: 115, 320.
Emigrazione: 95, 100, 210, 263, 264, 271, 301, 318, 327.
English Narrows: 218.
Entre-Rios: 273.
Epiro: da 161 a 163, 166.
Ercole, freg. a ruote ex napol.: 12, 96, 98, 99, 262, 263, 265, 266, 275.
Eridano, brigantino ex sardo: n, 38, 94.
Eritrea: 246, 248, 294, 318, 323, 325, 327.
Erzegovina: dal 147 a 151, 155, 169, 171, 175, 176.
« Espérance (L'))>: 181.
Esploratore, avviso: da 250 a 252, 259, 260.
Essadock, bey di Tunisi: 143, 320.
Estremo Oriente, staz. navali dell': 219, 223, 226.
Etiopia: v. Abissinia.
Etna, corv. ex napo l.: 11, 109, 110, 117, 120, 143, 266, 270.
Ettore Fieramosca, Freg. a ruote ex napol., poi declass. a corv.: 12, 17, 56, 79, 214 , 242, 252, 254, 271, 274.
Eugenia, imperatrice: 78, 82.
Euridice, corv. a vela ex sarda: 13 , 94.
Europa, trasp.: 65, 69, 237.
Evoluzione, squadra di: 31, 115, 120, 123, 188, 191.
F
Faenza: 128.
Falkland, isole: 99, 101, 211.
Fallardi, cap.: 56.
Fanteria di marina: 56, 59, 60, 63, 66, 71, 80, 96, 122 , 123, 134.
Farina, capo: 189.
Fasana: 111, 188.
FAUCON N.: 115, 320.
FEA ·P.: 26, 320.
Fecarotta M., cap. freg.: 262.
Ferdinando II delle Due Sicilie: 95.
Feritore, trasp. a vela ex toscano: 13.
FERRANOO L.: 246, 251, 253, 259, 262, 325.
Ferruccio: v. Francesco Ferruccio.
Fieramosca: v. Ettore Fieramosca.
Filangieri di Satriano C.: 181.
Filippine: 210, 211, da 228 a 230.
FILIPUZZI A.: 188, 320.
FtNOTTI G.: 116, 320.
FIORAVANZO G.: 198, 247, 261, 320.
Firefly, nave idrografica ingl.: 189, 190.
Firenze: 41, 43, 51, 52, 59, 80, 108, 110, 112, 179, 210, 245, 301.
Fiume: 152.
Flavio Gioia, trasp.: 69.
Flavio Gioia, incrociatore: 280.
« Fleet Times »: 181.
FLORE v. D.: 186, 195, 320.
Flores, presid. dell'Uruguay: 266.
Florio, Comp. di nav. 55.
Foce, cantieri della: 80, 219.
Foreign Oflice, 67, 148, 230, 252, 253.
Formidabile, corazz.: 11, 81.
Fortunato G.: 207.
FRACCACRETA A.: 9, 320 .
Francesco II delle Due Sicilie: 181.
Francesco Ferruccio, avviso ex sicil.: 11.
F rancesco Giuseppe, imper. d'Austria: 147, 150. Francescani: 70.
Francia, dott., dittatore del Paraguay: 264.
Franklin: v. Beniamino Franklin.
Frere, espl. ingl.: 292, 293.
Frigerio G., cap. freg.: 254, 276.
FRIZ G.: 10, 43, 77, 320, 321.
Fulminante, f reg. a ruote ex napol., poi declass. a corv . : 12 , 78, 96, 9 9, 2 15, 273.
Gaeta, pirofreg.: 11, 51, 64, 65, 69, 70, 73, 109, 110.
GAFFAREL P.: 208, 321.
GAIBI A.: 261, 321.
Galea: v. Gardella.
Galle: 231.
Gambarotta, cons. d'Italia a Tunisi: da 116 a 121, 123, 124, 126', 127.
GANIAGE G.: 115, 116, 128, 143, 321.
Gardella (o Galea) G., marinaio: 35.
Garibaldi G.: 13, da 19 a 31, da 33 a 35, 80, 169, 181, 182, 184, 244.
Garibaldi, pirofreg. ex napol. Borbone, poi declass. a corv.: 11, 35, 51, 65, 69, 70, 116, 120, 121, 139, 226, 237, 259, 260, 262, 270, 275, 276, 279, 280.
Garigliano, pir. a ruote ex napol.: 12, 16.
Garnett, corv. ingl.: 295.
Garron, inc. d'aff. d'Italia a Lima: 269.
Gavino G., armatore: 243.
Gaya, isola: 222, 235, 236.
Gedda: 247.
Genè C., gen.: 260.
Generoso, brigantino ex napol.: 13, 95.
Genova: 15, 25 da 31 a 34, 38, 80, 94, 119, 128, 130, 179, 184, 196, 201, 211, 213, 218, 240, 241, da 247 a 249, 264, 285.
Genova, T. duca di: 236, 261, 262.
Genova: v. Duca di Genova.
Gerba, isola: 141, 301.
Germania: 154, 157, 173, 175, 176, 196, 201, 294, 296, 320.
Gheràr: 261.
GHETTI W.: 50, 53, 55, da 58 a 60, 64, 321.
Ghigliazza, cap. mar.: 213.
Ghir, capo: 214.
GIACCHERO BISOGNI: 240, 321.
Giannelli A.: 50, 323.
Giannizzeri: 158.
Giappone: 99, da 214 a 217, 220, 223, da 226 a 228, 236, .317.
Giava: 222.
Gibilterra: 181, 185, 192, 220, 266.
Giglio, pir. a ruote ex toscano: 12, 38.
Giglioli E. H.: 215, 216, 218, 321.
Ginevra: 187.
Gioia: v. Flavio Gioia.
Giolitti G., pres. cons.: 324, 322.
Giordano F., ing., espi.: 229, 231, 232, da 234 a 236, 322.
GIORGERINI G.: 161, 195, 322.
Giorgio I di Grecia: 94, 103.
Giovanni Bausan, corazz.: 261.
Giraud, comand. Duca di Genova: 31, 35.
Gìrgenti: v. Agrigento.
Giuba, fiume: 262.
Gìuliettl G. M., espi.: 249, da 251 a 253, 258, 261, 317, 323.
Gladstone, lord W. E., premier britannico: 208.
Gioire, corazz. frane.: 92, 122.
Goletta (La): da 118 a 120, 129, 130, da 133 a 135, 139.
Gomenizza: 162.
GoMEZ DE TERAN L.: 264, 322.
GoNNI G.: da 78 a 80, 84, 94, 322.
Gonzales G., cap. freg.: 275.
Goodwin, cons. ingl. a Palermo: 67.
GoRRINI G.: 115, 209, 322.
Go/tardo, pir.: 259.
Governolo, frega ruote ex sarda: 12, 65, 106, 107, 227, 229, 231, 232, da 234 a 236, 271, 275, 276.
GRAFFAGNI L.: 236, 322.
Gran Bretagna: v. Inghilterra.
GRANDCHAMP P.: 115, 322.
Grande Natuna, isola: 222.
Grandoni: 245.
Grandville E., ten. vasc., poi cap. freg.: 66, 70, 156, 277.
Granville, lord, min. ingl.: 254, 257, 259.
Gravenegg, inc. d'aff. austr. a Roma: 169.
Grecia: 14, da 19 a 22, 24, da 103 a 105, 107, 108, 110, 148, 161, 163, 168, 181, 192, 300.
Gregorettl, comand. Ardita: 272.
Greppi G., cons. d'Italia a Costantinopoli: 112.
Groenlandia: 211.
Grosseto: 234.
GROSSO M.: 128 , 322.
Guardafui, capo: 210, 262.
Guatemala: 99.
GUERRINI D.: 74, 95, 106, lll, 322.
Guerzoni G., garibaldino: 20.
Guevara Sardo, guard.: 215.
Guinea, golfo di: 280.
Guiscardo, freg. a ruote ex napol., poi declass. a corv.: 12, 79, 266, 267, 271.
Gulnara, pir. a ruote ex sardo, poi dass. avviso: 12, 79, 112, 113.
Habab: 240.
Habsburg, freg. austr.: 80.
346
Haidir Effendi, commiss. imper. turco: 121, 143.
Hakodate: 216.
Hamamet: 137, 139, 141.
Hampton Road, battaglia di: 299.
liANOTAUX G.: 208, 322.
Hartford, corv. americana: 234.
Hassan ben Ahmed, sultano di Assab: 245.
Hautecombe: v. Des Geneys.
Hawai: 94.
Haymerle, bar. H. von, amb. austr. a Roma : da 174 a 176.
Hodeida: 246, 247.
Hong Kong: 216, 217, 220, 221, 230, 231, 234, 286.
«Hong Kong Daily Press •: 229.
Horn , capo: 94.
Hudson, amb. ingl. a Torino: 181.
Humaità: 266.
Ibrahlm ben Ahmed, sultano di Assab: 245.
Ichnusa , pir. a ruote ex sardo: 12.
Idrografiche, rilevazioni:
Ignatiev N., gen., amb. russo a Costantinopoli: 147.
Immacolata Concezione, pirocorv. pont.: 83.
Imt>ero austro-ungarico: v. Austria.
Indiano , oceano: 210, 215, 231, 238,
Intrepido , brigantino ex napol.: 13.
Invincible, freg. frane.: 143.
Irawaddy, fiume: 223.
Iride, corv. a vela ex sarda: 13, 96, 112.
Isabella, freg. napol.: 95.
Tschia, pir.: da 250 a 252.
Isola U., amm.: 79, 152.
Jsonzo , fiume: 151, 192.
!ssel A., espi.: 245, 322.
Istria: 111.
Italia, pirofreg.: 11, 42, 79, 107, 110, 122, lzzet Bey, comand. egiziano del presidio di Massaua: 259.
]annina: 161, 162.
Johore: 229.
Jooie, isole: 103, 107, 108, 168.
Jonio, mare: 103, 104, 111, 113, 159, 168, 185, 321.
JouAN R.: 88, 322.
« Journal of the R. United Service Institution »: 166.
Jurien de la Gravière J., amm. frane.: 91, 322.
Kala Srira: 143.
Kàlnoky, co. G., mio. est. austr.: 201.
Kasbah di Tunisi: 134.
Kasnadàr, sidi Mustafà, primo mio. del bey di Tunisi: 120, 122, 125, 141, 143, 320.
Kavala: 156.
Kema: 222.
Kerka, cannoniera austr.: 80.
Key, isole: 224, 323.
Khartum: 209, 317.
Khartum, avviso egiziano: 247.
Kioi Balu, monte: 235, 236.
Klapka G., gen. ungh.: 187.
« Kolnische Zeitung »: 157.
Kossuth L.: 187.
Kronstadt: 94.
Kuang Kung: 217.
Kuhn, bar. F. von, min. guerra austr.: 151.
Kuhr Ameira, baia di: 2 45.
Labrano F., cap. vasc.: 237, 279.
Labuan: da 220 a 222, 231, 235.
«La Geografia»: 241, 317.
Lalande, min. mar. frane.: 88.
Lamarmora A., geo., pres. cons.: 27, 39, 107, 112, 214.
La Mattina, cap. mar.: 213.
Lamhert, cons. di Francia a Aden: 243.
Lampo, bovo ex toscano: 13.
Lamu: 262.
LANGER W.L.: 116, 147, 155, 172, 176, 322, 323.
Lanza
La
33,
Lazio: 17, 77, 79.
Legno, squadra in: da 79 a 81.
Lemno: 157 .
Leone, pir. della Comp. di nav. Florio: 55.
Leonforte: 22.
Lepanto, corazz.: 234.
LEROY-BEAULIEU P. : 207' 323.
Let Maregià: 248.
Levante, squadra del: 105.
Levante, staz. navali del:
Licata: 73.
Liguria: 92, 186, 263, 327.
Lima: 97, 99, 269.
Lisbona: 209.
321, 322.
Livorno: 38, 62, 196, 215, 324.
Uoyd austriaco: 103, 105.
Uoyd, lotd, amb. ingl. a Costantinopoli : 157.
Lombardo, trasp. a ruote ex sicil.: 12,
Longo G.A., gen.: 152, 185.
Longo P., espi.: 296.
Longoni A., gen.: 128.
Lopez C.A., dittatore paraguayano: 264.
Lopez F.S., maresciallo, dittatore paraguayano: 96, 264, 267, 268.
Lopez Jordan, gen. argentino: 273.
Lovera Di Maria G., cap. freg.:
Lugaro E., s. ten. vasc.: 65.
Luigi XIV: 181.
Luigi, re di Portogallo: 209.
LUMBROSO A.: 106, 323.
Luni, rimorchiatore a ruote ex toscano: 13.
Macao: 217, da 286 a 288, 290, 323.
Macedonia: 162.
Mac Mahon M., maresc. frane.: 42.
290, 323 .
Madagascar: 296.
Maddalena (La): 185, 196.
Madrid: 84.
Ma!Iei, inc. d'aff. d'Italia a Londra: 228.
Magellano, stretto di: 99, 101, 218, 238, 275, 276, 279.
Magenta, pirocorv.: 11, 79, 99, 102, 119, 120, 123, 140, 160, da 214 a 219, 268, 317, 321, 324.
MAGGIORANI V.: 49, 323.
Magliocco G., s. ten.: 71.
Makassar : 221, 222, 224.
Malacca: 211, 230.
Malamocco: 133.
Malavasi, vice cons. d'Italia ad Atene: 108, 110.
MAL.DINI G.: 13, 88, 153, 184, 323.
Maldive, isole: 210.
Malesia: 218, 229.
Malfatano, corv. a ruote ex sarda: 12, 32, 33.
Malta: 14, 24, 73, 82, 84, 108, 110, 122, 125, 136, 152, 180, 181 , 186, 190.
Mamiani T.: 105, 153, 323.
Manci co. F, garibaldino: 20.
Mancini P.S., min. est.: 253, 256, 258.
Mandalay: 223.
Manfredi A., comand. Ardita: 268.
Manfrin, dep.: 153.
Manica, canale della: 92.
Manila: 220, 221.
Mantese, amm.: 281.
Mantica, amm.: 183.
Marcantonio Colonna, avviso: 261.
MARCHESE A.: 253, 323.
Marconi: 261.
MARDER A. ].: 92, 201, 323.
Maria, infanta di Spagna: 90.
Maria Adelaide, pirofreg. ex sarda: 11, 14, 15, 51, 70, 119, 143
Maria Pia, princ. di Savoia: 209.
Maria Pia, freg.: 123, 156.
Marinetta, nave merc.: 98.
Marmara, mare di: 181.
Marocco: 182, 214.
Marsala: 11, 15, 23, 27, 28, 67, 73, 180 , 197, 321.
Marselli N.: 197, 202.
Marsiglia: 184.
Martin, amm. ingl.: 103 , 186.
MARTINEAU A.: 208, 322.
MARTINEZ G.: 196, 323.
Martini, cap. freg., poi amm.: 81, 83, 84, 96.
Martini, espi.: 201.
Masi L., gen.: 62, 63, 65.
Massaia, mons., poi card., missionario ed espi.: 209.
Massari, dep.: 156, 158, 188.
Massaua: 240, 242, 247, 250, 252, 253, 256, da 258 a 262 , 280, 295, 297, 319.
Massimiliano, arciduca, poi imper. del Messico: 90, 91.
Mattei, isp. gen. G.N.: 152, 195.
Mazzini G.: 19, 50, 75, 80, 323.
Mediah: 141, 189.
Medici G., gen.: 41.
Mediterranean Fleet: 103, 180, 1 86.
Mediterraneo, squadra del: 79.
Meiji: v. Mutsuhlto.
MeUOourne: 217, 237.
Melegari L. A., min. est.: 155, 156, da 173 a 175.
Melito di Porto Salvo: 31.
Menabrea
Mendoza: 265.
Menelik, negus: 248.
Mensa: 240.
Messina, corazz.: 81.
Messina, pir . : 250.
MESSINEO P.: 49, 323.
Mestre, pir.: 261.
Mettemich, princ. C. von: 78.
Migiurtini, sultanato dei: 262.
Migliorati, min. d'Italia a Lima: 97, 99.
Milani, cap. artìgl.: 125.
Milano: 10, 128.
Milano , pir.: 56.
Miloro A., ten. vasc.: 55, 76.
Mindanao: 222.
Mindoro, stretto di: 221.
Minghetti
Miseno, brigantino: 261.
Miseno, corv. a ruote ex napol.: 12.
Misilmeri: 64.
Misolssich, commod. austr.: 80.
Missori G., garibaldino: 19, 20.
Mitre B., gen. argentino: 273.
Mogador: 88.
Mohamed, bey di Tunisi: 143, 320.
Moka: 246.
Moldavia: 112.
Molucche: 221, 222, 224, 226, 317.
Monarca: v. Re Galantuomo.
Monastir: 141.
MONDAINI G.: 208, 209, 323.
Mondovì: 213.
Monreale: 42, 53.
Montebello, cannoniera ex sarda: 11.
Montemayor, amm.: 106, 107.
Montenegro: 21, 22, 24, 148, 149, 156, 161.
Montevideo: 96, da 98 a 100, 214, 215, 218, 265, 266, da 270 a 273, da 275 a 277, 279, 280.
Moreno C. C. , espi.: da 211 a 213, 225.
MoRI R : 21, 188, 192, 198, 201, 202, 324.
Morin C. E., amm.: 203, 237, 279.
MoscATI R.: 181.
«Movimento (Il)»: 184.
Mozambano, corv. a ruote ex sarda: 12.
Mozambico: 210, 296.
Murad V, sultano turco: 158.
Musci, s. ten. vasc.: 66.
Mutsuhito ( Meiji), imper. del Giappone: 216.
Nagasaki: 216.
Nagato, daimio: 216.
NALDONI N.: 208, 324.
NANI A.: 161, 195, 322.
Napoleone I: 95, 302.
Napoleone III: 42, 73, 101, 144, 240.
Napoletana, marina: da 11 a 13, 27, 29, 95, 105, 226.
Napoli: 25, 27, da 29 a 32, 35, 39, 42, 43, 51, 52, da 54 a 56, 62, da 69 a 71, 80 , 84, 90, 95, 98, 113, 181, 196, 201, 21.3, 218, 226, 229, 236, 259, 324.
Narducci F., s. ten. vasc.: 69.
Navarrino: 115.
Negri C.: 210, 214, 216, 242, 262, 324.
Negussiè, ras: 240.
Nerazzini, med. coloniale: 254.
Nero, mare: 111, 112, 157, 181.
Nicaragua: 99.
Nicastro G., cap. freg.: 80.
Nicobare, isole: 210, 228.
Nigra C., amb. d'Italia a Parigi, poi a Londra: 101, 102, 258.
Nizza: 94.
Noce R.: 214.
Nordenskiold, espi.: 236.
Norvegia: 296.
Nouvelle Pénélope, nave addetta alla tratta dei coolies: 290.
Novara, freg. austr.: 80.
Numancia, freg. spagn.: 84.
Nun, capo: 214.
«Nuova Antologia»: 26, 148, 149, da 15.3 a 155, 158, 159, 224, 244, 303, 318, da 319 a 321, 323, 324, 327.
Nuova Caledonia: 230.
Nuova Guinea: 210, 221, 222. da 224 a 226, 317, 319, .323.
Nuova Zelanda: 226.
(< Nuovi Quaderni del Meridione »: 50, 321.
o
Obock: 24.3, 251.
Oceania: 210.
Ochrida: 161.
Oftalmia: 125.
O 'KELLY DE GALWAY A.: 115 , 324.
Olanda: 211, 225, 229, 2.30, da 232 a 234, 296.
Oregon, rimorchiatore a ruote ex sicil.: 12.
Orengo P., comand. cannoniera Palestro: 16.
Orénoque, freg. frane.: 82, 84.
Oreto, fiume: 63, 64.
Oriente, questione di: 147, 173
Orvieto: 82.
Osio E., magg. di S.M.: 160, 161, 169, 177.
Otranto, canale di: 147, 152, da 159 a 161, 168, 172, 191.
Ottomano, impero: v. Turchia.
Otumlo: 261.
Oudìnot N.C.V., geo. frane.: 78.
Pacifico, oceano: 94, 99, 100, 218, 227, 236, 238, 268, 270, da 275 a 278, 283, 286.
Pacifico, guerra del: 279, 280.
Padova M.: 213.
Paesi Bassi: v. Olanda.
PAGANO G.: 49, 52, 57, 62, 64, 67, 324.
Paget, lord C. E.: 186.
Palander von Vega L., espl.: 236.
Palawan: 221.
Palermo: 14, 15, 20, 25, 26, 30, 35, 40, 41, 49, da 51 a 53, 56, 62, 65, 67, da 69 a 75, 79, 94, 179, 181, 196, 213, 300, 302, 317, 321, 324, 327.
Palestro, cannoniera ex toscana: 11, 16.
Palestro, corazz.: 79.
Palinuro, corv. a ruote ex napol.: 12.
Palma di Borgofranco G., cons. di Sardegna a Tunisi: 128.
Palma di Cesnola co. A.C., cap. fant. mar.: 60, 70.
Palmerston, lord H. J.: 92, 101.
Palumbo G., cap. freg.: 238.
Pantelleria: 15.
Paraguanà: 275.
Paraguay: 96, 264, da 266 a 268, 273, 275, 322.
Paraguay, rio: 95, 272.
Paranà, rio: 95, 264, 272, 275.
Parga: 162.
Parigi: da 101 a 103, 126, 176, 181, 192, 284.
Parodi E., gen.: 152.
Partenope, freg. a vela ex napol.: 13, 95.
PASSAMONTI E.: 256, 324.
Patagonia: 218, 238, 320.
Patrasso: 106, da 108 a 110, 170.
PATRONE L.: 241, 318.
Paysandù: 96, 272, 275.
Pechino: 214, 217.
Pedro II, imper. del Brasile: 95.
Pegaso, torpediniera: 259.
Pelican, corv. ingl.: 119.
Pellas, edit.: 248.
Pellegrino, monte: 54, 60, 61, 63.
Pelloux L., pres. cons.: 237, 238.
Peloro, pir. a ruote ex napol.: 12, 69, da 108 a 110.
Pemba, isola: 295.
Penali, colonie: v. Deportazione.
Penang: 235.
« Penang Gazette »: 229.
Pepoli G. N., sen.: 144.
PEREIRA GAMBA P.: 264, 322.
Periro, isola: 243.
Permanente, squadra: 157, 159, 160, 195, 218.
Pernambuco: 276.
Perry K. M., commod. americano: 218.
Persano C., amm.: 14, 21, 22, da 26 a 33, 39, 45, 74, 94, 106, 301, 319, 323, 324.
Persia: 296.
Persico, golfo: 296.
Perth, nave ingl.: 286.
Perù: 95, 99, 269, 270, 276, 278, 279, da 287 a 290.
PERUZZI U.: 116, 324.
Pescetto F., gen., min. mar.: 212, 213, 289.
Pescetto E., ten. vasc.: 152.
Petagne, isole: 166.
Petitti co. A., gen., min. guerra: 26, 31.
Philippeville: 42.
Philippovich: 188.
Piazza G.: 261, 324. ,
Piemonte, trasp. a ruote ex sicil.: 12, 244.
Pietroburgo: 147, 172.
Pilo: v. Rosalino Pilo.
Pio IX: 82, 83, 103, 292.
Pìrateria: da 10 a 16, 137, 273 , 300.
Pireo: 105, 107, 109.
Pisani: v. V ettor Pisani .
Pistoretti, cons. di Spagna a Susa: 124.
Plata, rio de la: 95, 98, 100, 215, 263, 264, da 267 a 277, 280, 281, 301, 317, 327.
Plata, staz. navali del: v. America Meridionale
Plebiscito, pir.: 25, 33, 81, 82.
Po, fiume: 179, 185.
Po G.: 224, 246, 251, 253, 259, 262, 324, 325.
Pola: 80, 91, 166, 187.
Polinesia: 238.
Polluce, nave merc.: 243.
Pomerania: 208.
Ponte Felice: 82.
Pontianak: 222.
Pontificia, marina: 12.
Pontificio, Stato: 10, 13, 25, 37, 77, 79, 82, 320, 321.
«Popolo romano (Il)»: 249.
Popov, ing. russo: 166.
Porcelli, s. ten. vasc.: 54.
Portai, min. mar. frane.: 88.
Portana, pir. uruguayano: 273.
Porto Clementino: 82.
Portogallo: 39, 209, 294, 296.
Porto Santo Stefano: 81, 82.
Prado 1., presid. del Perù: 269.
FRASCA E.: 303, 325.
Prevesa : da 161 a 163, da 166 a 168.
PREVOST PARAOOL L.: 182, 325.
Principe Amedeo, corazz.: 79.
Principe di Carignano, pirofreg.: 11, 81, da 108 a 110.
Principe pir.: 263.
Principe Umberto, pirofreg.: 11, 50, 51, 62, 70, 84, 97, 99, 139,263, 270.
Principessa Clotilde, pirocorv. ex sarda: 11, 99, da 219 a 221, 223, da 226 a 229, 240.
Prmcipista, partito uruguayano: 273.
Procione, torpediniera: 259, 260.
Provana P., amm.: 39, 50, 266.
Provana: v. Andrea Provana.
Prussia: 188, 267, 288.
Pucci: 33, 140.
Puglia: 194.
Quarto: 287.
Queensland: 230.
Q R
Racchia C. A., cap. freg., poi amm.: 122, 124 , 140, 141, 188, 191, da 219 a 223, da 228 a 235, 240.
Radetsky co. G.V., maresc. austr.: 147.
Raheita, sultanato di: 246, da 251 a 256, 324.
Rambosio (o Ambrosio o D'Ambrosio) G., marinaio: 35.
RANDACCIO C.: 52, 57, 58, 70, 72, 325.
Rangoon: 223, 235.
Rapido, avviso: 249, 250, 261, 317.
Ras Darmah: 251.
Ras Filuk: 262.
Ras Lunah: 251.
Rasponi, dep.: 156.
«Rassegna italica »: 128, 322.
«Rassegna storica del Risorgimento»: 93, 317, 326.
Ras Synthiar: 251.
Rattazzi U., pres. cons.: 19, 26, 187.
Rebizzo L., armatore: 24.3.
Re di Portogallo, corazz.: 51, 57, 63, 69, 70, 81.
Re Galantuomo, vasc. ex napol. Monarca: 11, .35, 106.
Reggio Calabria: 43.
Regina, freg. a vela ex napol., poi trasformata a vapore: 13, 78, 95, da 98 a 100, 215, 263, 265, 266.
Regno Unito: v. Inghilterra.
Reichstadt: 170.
REm T. W.: 116, .325.
RENOUVIN P.: 9.3., 325.
Resasco, cap. corv.: 254, 255.
Resistance: corazz. ingl.: 125.
Resolue, freg. frane.: 88.
Restaurazione: 88.
« Revue des Deux Mondes »: 182.
« Revue tunisienne »: 115, 320.
Reynolds, amm. ingl.: 285.
Rho F., meçl. di bordo: 2.38, 325.
Riboty A., amm., min. mar.: 51, 52, da 57 a 59, 61, 63, 64, da 68
Ricasoli
Ricci,
Rifleman, nave ingl.: 286.
Rigault de Genouilly Ch., amm. frane.: 31.
Rio de Janeiro: 95, 98, 99, 265, 271, 285.
« Rivista coloniale »: 209, 317.
«Rivista »: 150, .325.
«Rivista marittima»:
324, 326.
Roberti, comand. Iride: 96.
Roberto, freg. a ruote ex napol.: 12.
Robilant: v. De Robilant.
Roma:
Roma, corazz.: 79, 8.3.
Romagna: 20.
Romano C., cap. freg.: 237.
RoNCAGLI B.: 218, 325.
Rondine, rimorchiatore a ruote ex sicil.: 13.
goletta: 38.
Rosaiino Pilo, trasp. a ruote ex sicil.: 12, da 52 a 55, 76, 122.
Rosario: 265, 272, 275.
Rosso, mare: 186, 209, 214, da 239 a 241, da 243 a 250, 252, da 257 a 261, da 292 a 298, 304, 305, 322, 323.
Rouget, gen. frane.: 181.
Rover, nave ingl.: 286.
Rubattino R.: 240, da 243 a 245, 248, 249, 319.
Rubattino, Comp. di nav.: 210, 226, 239, da 243 a 247, da 250 a 252, 256, 257.
Rudinl A., pres. cons.: 237, 326.
Ruffo di Scilla F., ten. vasc.: 63, 70.
Ruggiero F., cap. freg.: 69, 70, 271.
Ruggiero, freg. a ruote ex napol.: 12, 95.
Russe!, lord ].: 181.
Russia: 93, 94, da 103 a 105, 107, 147, 148, 154, 172, 188, 192, 244, 288, 296.
Saetta, yatch borbonico: 184.
Saffi A.: 19, 323.
Sagittario, torpediniera: 259.
Said Bargash, sultano di Zanzibar: 262.
Saigon: 215, 222.
Saint-Bon, S. Pacoret di, amm., min. mar.: 227, 303, 304, 325.
Salawatti, sultanato di: 224.
Saletta T., col.: 259.
Salisbury, lord: 172, 202.
Salmon sir N., cap. freg. ingl.: 82.
Salonicco: 156, 157, 162, 197.
Salto: 272.
Salvador (El): 99.
SALVATORELLI L.: 156, 172, 175, 197, 325.
SALVEMINI G.: da 149 a 151, 156, 171, 174, 177.'325.
Samma, sul.tanato di: 224.
San Bartolomeo, isola: 211.
Sandakan, isola: 222.
SANOONÀ A.: 151, 153, 169, 170, da 193 a 196, 325.
San Fernando: 271.
San Gallo, capo: 14.
San Giovanni, pirocorv.: 11, 52, 62, 70, 73, 94.
Sanitario, controllo: da 44 a 46.
358
San Martino, corazz.: 79, 81, 110.
San Michele, freg. a vela ex sarda: 13.
Sanminiatelli, ten. vasc.: 33, 112.
Sannita, nave borbonica: 184.
San Paolo e San Pietro: rimorchiatori a ruote ex pont.: 12.
Santa Croce, isola: 211.
Santa Fé: 272.
San Vito, capo: 14.
Sapeto G., prof., espi.: 210, da 239 a 242, da 244 a 246, 248, 250, 321, 325.
Sarawak: 235.
Sarda, marina: da 11 a 13, 94, 95, 227.
Sardegna: 92, 103, 104, 190, 243, 244, 326.
Sardegna, regno di: 13, 115, 179, 185, 209, 243, 258, 284, 285.
Sardi A., cap. freg.: 266, 268.
Sarlo, cap. freg.: 270.
SARRI F.: 210, 325.
Sassari: 80.
Satriano, princ. di: v. Filangieri.
Schiavitù: Traua.
Scilla, cannoniera: 247, 261, 276, 277, 280.
Scioa: 240, 248, 250, 261, 262.
SC\Itari: 161.
Sebastiano Veniero, cannoniera: 281.
Sebastopoli: 91.
Sebenico: 151.
Secessione, guerra di: 101, 299.
Sédan: 77.
SEELEY J. R.: 208, 257' 326.
Sella Q., min. finanze: 78, 292.
Sennabor, isola: 251.
Serbia: 148, 149, 156, 158.
Serra, col. pont.: 83.
Serra co. F, amm.: 183.
SERRA E.: 238, 326.
Serra Cassano: 285.
Sestri Levante: 38.
Sfax: 120 , 122, 123, 126, 136, 137, da 139 a 141.
Shackleton, lord: 296.
Shanghai: 220.
Sherif Pascià, min. est. egiziano: 247.
Shibata Ingamo Sami, govern. degli aff. est. giapponese: 216.
Shogun, Shogunato: 216.
Siam: 223, 229.
Siberia: 236.
Sicilia: 11, da 14 a 16, 20, 22, 24, 26, 30, 31, 37, 40, da 43 a 46, 49, 53, 58, 73, 75, 79, 80, 92, 93, 136, 144, da 180 a 182, 185, 186, 190, 192, 195, 197, 318, 321, 323.
Sicilia, canale di: 12, 93, 119, 181, 192 .
Sicilia, scorridore: 14.
Siciliana, marina: da 11 a 13.
Sidney: 217.
SIGNORETTI A.: 93, 326.
StLVA P.: 93, 144, 159, 182, 326.
Singapore: 215, 220, 224, 226, da 229 a 232, 235, 247.
SIOTTo-PINTOR: 104, 326.
Siracusa: 40, da 44 a 46, 168, 181.
Sirena, pir. a ruote ex napol., poi class. avviso: 12, 112, 11.3, 119, 120, 122, 143.
Siria: 248.
Sirio, torpediniera: 259.
Siry Alaidìn Sardar, rajah di Achin: 211, 213.
Siverich: 153.
Smime: 112.
Socotra, isola: 210, 228.
Solebay, nave ingl.: 283.
Somalia: 214, 243, 246, 261, 292, 294, 320, 32.5.
Sonda, arcipelago della: 215,
Sonora, golfo di: 65. Spagna:
Spalato: 153.
Sparviero, cutter ex napol.: 13.
Spezia: v. La Spezia.
Stabilimenti penali oltremare: v. Deportazione.
Stabia, corv. a ruote ex napol.: 12.
Stella, padre, missionario: 209.
Stella d'Italia, trasp.: 68.
«Storia e politica»: 198 , 321, 324.
« Straits Times »: 229.
Stromboli, corv. a ruote ex napol.: 12.
Suakin: 248, 259.
Sublime Pona: v. Turchia.
Sudan: 248, 258.
Suez: 93, 180, 181, 192, 196, 214, 223, 226, 241, 242, 244, 250, 292, 298, 317, 318, 322, 32.5, 327.
SULLIVAN G. L.: 292, 326.
Sulu: 222, 223, 228, 230, 236.
Sumatra: 211, 213,'230.
Susa (Sousse): 116, 117, 10, 121, 123, 124, 126, 136, 137, da 139 a 143.
Svezia: 211, 296.
Tagiura: 261.
Tahiti: 94.
Taikun: v. Shogun.
Taku, golfo di: 217.
Tanaro, trasp.: 12, 17, 122.
Tancredi, freg, a ruote ex napol.: 12, 52, 57, 69, 76.
Tangeri: 88.
Taranto: 51, 105, 108, 152, 160, 167, 168, 185.
T aulùd: '261.
Tecclùo, garibaldino: 23.
Tegetthoff W., amm. austr.: 105, 106, 188.
Tegetthoff, corazz. austr.: 201.
Teodoro, negus: 240.
Teresa Cristina, princ. delle Due Sicilie, poi imperatrice del Brasile: 95.
Termini Imerese: 69.
Ternate: 222.
Terribile, corazz.: 11, 81.
TESO A.: 241, 326.
Tessaglia: 162.
Tessalonica: V. Salonicco.
Thaon di Revel P., grande amm.: 237.
Tholosano E., amm.: 16.
Tien Tsin: 217.
Tigrè: 240.
« Times »: 228.
Tirolo: 193.
Tirreno, mare: 17, 37, 77, 80, 91, J64, 183, 192, 201.
Tokio: 218.
Tokugawa, famiglia shogiìnale: 216.
Tolone: 94, 182.
Torelli L., min. agr., ind. e commercio: 210, 211.
TORELLI T.: 241, 326.
Torey, espl. americano: 230.
Torino: 20, da 25 a 27, 33, 41, 89, 107, 116, 122, 123, 126, 127, 142, 144, 179, 181, 185, 191, 209, 210, 285.
Tornielli co. G., amb. d'Italia a Londra, poi segr. gen. min. est.: 203, 248.
Toscana, marina: da 11 a 13.
Toselli, ing. nav.: 303.
Transatlantica, Comp. di nav.: 24>.
Trapani: 15, 62, 68, 69, 73; 196.
Tratta dei .:oolies: 217, da 286 a 290, 32.3.
Tratta
Trentino:
Trieste:
Trigona G.: 71.
Triplice
Triplice
Tronto, brigantino ex napol.: 1.3.
Trucco G., comand. Messaggero, poi Castelfidardo: 1.59, 258.
TRUFFI R.: 209, 326
Ubiè, ras: 240.
Ufficio storico della Marina militare: 78, 94, 161, 320, da 322 a 324.
Umberto di Savoia, princ. ereditario: 12.5. -
Ungheria: 187.
Urania, freg. napol.: 95, 319.
Uruguay: 96, 99, 100, 226, 263, 264, 266, 267, da 273 a 275
Uruguay, rio: 271, 272.
Ustica: .56.
Vacca G., amm.: 37, da 40 a 46, da 105 a 111.
Valacchia: 112.
Valage, nave ingl.: 286.
Valona: 37, 149, 160, 162, 163, 167, 168, da 192 a 194, 317.
Valoroso: corv. a vela ex napol.: 13.
Valparaiso: _99, 218, 269, 270, 276.
VAN DER LINDEN: 208, 322.
VAN DER WELDE M. W.: 244, 327.
Vapori sardi, Comp. di nav. dei: 243.
V arese: cannoniera ex sarda: 11.
Varese, corazz.: 81, 84, 157, 250.
VARVARO P ,OERIO F.: 49, 327.
VECCHJ A. V.: 55, 59, 60, 159, 160, 327.
Vedetta, avviso: 81, 82, 84, 157, 227, 231, 235, da 245 a 247, 259.
Veloce, cannoniera ex toscana: 11, 15, 31, 33, 78, 96, 263, da 265 a 267, 271, 273.
« Veltro (Il)»: 180, 321.
Veneta, marina: 105.
Veneto: 7_4, 187, 207.
Venezia: 37, 74, 80,
185, 187, 226, 318.
V eniero: v. Sebastiano V eniero.
Ventimiglia·: 196.
Vera Cruz: 101.
V espucci: v. Amerigo V espucci.
Vesuvio, freg. napol.: 95.
Vettor Pisani, corv.:
322, 326.
Vido, isola: 163.
284, 300.
Vigilante, goletta ex sarda: 13.
Ville de Lyon, pir. frane.: 25.
Ville de Paris, vasc. frane.: 122 ..
VIMERCATI C.: 241, }27.
Vinzaglio, cannoniera ex sarda: 11.
VIRGILI }.: 263, 327.
Vitagliano, comand. Italia: 122.
VITI G.: 247, 261, 320.
Vittoria, regina: 93, 326.
Vittoria, trasp. ex sicil.: 12.
Vittorio Emanuele II: da
230, 241, 242. .
'Vittorio Emanuele, pirofreg. ex sarda: 11, 29, da 31 a 33, 65, 69.
Vittorio Emanuele, rimorchatore: 69.
Viviani, cons. d'Italia a Corfù: 106, 107, 192.
Vojussa, fiume: 162.
Volo: 157.
VOLPE G.: 202, 327.
Volturno, fiume: 181, 317.
Volturno, trasp. ex sardo: 12, 65.
WARD w. E. F.: 284, 285, 327.
Warrior, corazz. ingl.: 92.
Washington, trasp. ex sicil.: 12, 17, 71, 81.
W eissel, avviso a ruote ex sicil.: 12.
Wimpffen co. F., amb. austr. a Roma: 150.
Woadhome, commod. ingl.: 120, 143.
Wogier, sultanato di: 224.
Yauch C., cap. vasc.: 267, 268, 270.
Yeddo: 214.
Yemen: 241, 246.
Yokohama: da 215 a 217, 220, 223, 226.
Yoshinobu, taikUn: 216.
Zabib, capo: 189.
ZANGHI G.: 258, 327.
Zamboanga: 222.
Zanardelli G.: 236.
Zante: 300.
Zanzibar: 262, da 292 a 296, .326.
Zebra, corv. ingl.: 234.
Ze/Jiro, corv. a vela ex napol.: 13, .30.
Zeila: 243, 248, 249, 254, 259, 261.
Zephir, nave ingl.: 286.
ZIMMERMA_NN A.: 208, 257, 327.
Zula: 260.