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I NOSTRI POSTULATI I. UN MANIFESTO ALLA NAZIONE

N on è questo il momento . dell'_indagine retrospettiva su quel che si è fatto o non fatto, su quel che si sarebbe d ovuto fare o ~on fare. È melanco nico rileggere sui giornali articoli costellati di «se». Certo è che se si fosse addivenuti al fronte unico; se si fosse i st itu itO u n comando unico ; se la Quadruplice Intesa avesse colle s ue ingenti riserve costituito un esercito di manovra, gli Imperi Centrali non avrebbero osato nemmeno di vibrare il loro colpo disperato contro di noi Ci sarebb_e facile _di allineare un'altra fila di «se» nei riguardi di quanto è avvenuto in questi ultimi mesi in Italia: dall'agost o, e precisamente dal q agosto al 2.4 ottobre; ma in nome della (< co ncordia nazionale » lascia mo nella nost ra penna questo discreto muc chio di particelle condizionali. Ci limitiamo a un « se». Questo. Che « se » invece di attendere l ' urto nemico, avessimo noi attaccato p er i primi, avremmo a nche no i t ratto largo e forse decisivo vantaggio d a quella crisi morale che non è una rivelazione improvvisa d i alcuni reparti del nostro esercito, m a è comune e diffusa - in maggiore o minore gravìtà e profondità - a tutti gli eserciti e in particolar modo a quello austro-ungarico.

Al punto ln cui sono g iunte le cose, questo recriminate sul passato è perfettamente ozioso. Quando un bandito mi afferra alla gola e mi p one il dilemma omicida : o la borsa o la vita, io non mi pongo il quesito se passando da un'altra strada avrei p o tuto o no ev~tare l'incontro disgraziatO. Il quesito che io mi p a:ngo dev'essere uno solo : come liberarmi presto e bene dell'aggressore. Il confronto calza perfettamente anche se trasportato dal caso individuale al caso nostro nazionale, Ciò c h•è stato è stato. Tutte le recriminazioni, i lamenti, le critiche, le ipercritiche dell'universale e banale senno del poi , non faranno r etrocedere di Un sol metro ·gli austro-tedeschi. È inutile, è grottesco e alla fine può essere esiziale dissertare accadcmicamCntc o men o su quel che si .doveva fa re. Bisogna affro ntare e risolve re l'altro problema, il vero problema : bisogna stabilire quel eh, si «deve» fan. ·

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I nostri postulati, le misure chè noi invochiamo sono chiare, esplicite e rappresentano le necessità del momento. L'opinione pubblica ci conforta per mille segni della sua adesione. La coscienza nazionale , sente e intuisce che se gli atti del Governo non sono adeguati alla grandezza e alla gravità dell'attuali vicende nazionali, la crisi, invece di ·risolversi, ci porterà molto lontano e molto in basso.

Anzitutto il Governo nazionale deve lanciare un appello alla Nazione. Ci sono stati i messaggi telegrafici del!'on. Orlando, ma non bastano. Occorre un gesto collettivo del Governo. Il manifesto dei deputati è luz:z"attiano. È prosa che non si eleva dalla media Comune. Nell'ora dell'invasione e del pericolo, Luigi Luzzatti, tempentmento evangelico, non ba trovato, perché non poteva trovare, gli accenti della virilità. Quella non è prosa di guerra. Nella letteratura del genere - letten1tura che ha i g randì ordini del giorno di Napoleone ed i proclami di Garibaldi - il manifesto Juzzattiano può andare sl e no nell'appendice. È il Governo che deve parlare. Parlare al popolo. Al popolo italiano che non mai stato cosl italiano, cosl forte, cosl sereno, come da quando i turco-bulgari sono entrati in Udine, avanguardia barbarica di quegli Imperi Centrali che attendevano la rivoluzione italiana e la vanno annunciando ancora alle loro popolazioni affamate. Parlare il linguaggio della v erità. Fra le nùlle versioni che passano da bocca a bocca - versioni qualche volta fantastiche - il Governo deve darci la sua versione. Dire come è avvenuto che alcuni reparti abbiano opposto una « deficente resistenza». Il Governo deve ave re il coraggio di sottopo rre all'attenzione e alla coscienza degli italiani il fen omen o del nostro rovescio, soprattutto nel suo aspetto «morale». Il popolo italiano nòn si acca.scierà nell'inerzia di un fatalismo rinunciatario e suicida, se gli si dirà che il pro blema dèlla vittoria è un problema mon1le, esclusivamente morale. CheZcosa importa, ci chiedevamo noi alcuni mesi fa su queste stesse colonne, avere migliaia . di cannoni e di mitragliatrici, se a questa aumentata efficenza degli strumenti bellici corrisponde una d eficenza spirituale degli animi ? Quante volte abbiamo scritto e insistito, sino alla sazietà, sino alla noia, su questo argomento del « man.le » delle truppe ? I Il Governo non può lasciare il Paese sotto al turbamento provocato dal primo bollettino Cadorna. Noi ci sentiamo maturi anche per le verità più ingrate e più tristi. .Sono i popoli d eboli che hanno bisogno di esser e illusi. Se voi volete tendere gli animi e gli sfor2i di tutti i cittad ini verso l'obiettivo comune della vittoria, non nascondete nulla, non attenuate nulla : piuttosto che inerti, siate brutali. Per far compren- dere al PAese che non combatte ciò che deve fare per riSolvere il più rapidamente possibile la crisi di eafard che si jmpadronita di alcuni contingenti d ei nostri soldati> bisogna presentare il quadro di questa crhi. Dite : abbiamo perduto tanti uomini e allora il Paese comprenderà che tutte le misure, a nche le più draconiane, per colmare i vuoti e riorganizzare le unità combattenti, devono essere accettate con entusiasmo. Dite : abbiamo perduto tanti cannoni e allora le maestranze delle quattro mila officine italiane non vorranno riposo sino a quando non siano al completo le nostre dotazioni di rru.teriale guerresco, Dite che il concorso degli Alleati è stato pronto e che sarà adeguato ai bisogni. Fate risaltare il significato e le conseguenze di questa cònsacrazione « militare >> della nostra Allc:aru:a colle nazioni liberali dell'occidente. Dite che gli italiani devono oppo rre la b arriera dei loro petti alla avanzata au stro-tedesca per salvare d all'inva• sione il territoriO nazionale> pet salvare l'I talia daUa schiavitù e il m ondo dal dominio medioevale d egli Hohenz:ollern.·La voce del Gov erno deVe giung ere a tutti i Comuni, a tutte le famiglie. Deve giungere a tutti i combattenti, Dev'essere ferma, risoluta, guerriera. Sappiamo : il Governo parlerà alla riapertura della Camera. Ma perchl n on cominciare col rivolgersi direttamente a questo popolo se mplicement e meraviglioso, che trae dalle avverse fortune motivo non g ià di disperazione o di disgregazione, ma di unione e di incitamento ~la l otta ?

Da Il Po-po/() d' Italia, N. 310, 8 novembre 1917, IV. Pubblicato anche sull'ediz ione di Roma, N. ~10, 9 novembre 1917, IV.

I Nostri Postulati Ii

Disciplina Di Guerra

Questa disciplina di gue rra è stata invocata da molti e da noi, ma sempre invano, da due anni a questa parte. Col magro pretesto che n on si doveva turbare j1 « normale svolgimento della -v ita naziq,nale », il Governo ha preso alcuni provvedimenti omeopatici, ma non ha mai adottato le grandi, radicali misure che dovevano - p er amore o per forza - inquadrare tutti g li italiani nella disciplina di guerra .

Se noi vogliamo eliminare tutte le cause della demoralizzazjone Qei soldati, bisogna battere altra strada, ben diversa da quella seguita sino ad oggi. Pretendere di conservare il <e n ormale svolgimento d ella v ita nazionale » mentre g li avven im enti sono di una eccezionalità che n on si è mai vista nella storia, è il colmo dcl·grottesco·e dell'assurdo. Ma noi ci contentiamo v o lentieri delle apparenze. Cosi abbiamo creduto che· il r itmo della v ita nazionale fosse no rmale, so ltanto p er~ ché s i lasciavano prosperare tutte le abitudini - non escluse le più i d iotC - d ei tempi di pace. Accadeva questo : che mentre nelle campagne il famoso n o rmale svolg iment o della vita nazio nale non esisteva affatto, perché la guerra aveva letteralmente spopolato i vil~ laggi) nelle città - almeno nell'esterio rità - si poteva affermare che la guerra n o n era nemriieno «avvertita ». E il buon villico, vestito in grigio v erde, che aveva occasion e di passare per le nostre città, era costretto a fare moite di quelle dure constatazioni e meditazioni che g li debilitavano il « morale »....

Ci banno tràstullato colle fr~i. Si è detto : tutta la Nazione è un esercito i ogni cittadino è u n soldato Ma in questo esercito si sotio o si erano formate d ue categorie un po' diverse, se .t1.on ahtitetiche. Quelli che all'interno n o n «avvertivano» n emmeno la g uerra e gli altri che l'avvertivano tant o sino a rimaneine stron cati o massacrati... .

Mettetevi nei panni di u n soldat o che h a al suo attiv'o due anni di trincea. Rendetevi prima di tutto conto di qu el ch e sia la trincea. La vera trin cea. 11 fosso te rribile d ove ci si infanga, ci si impidocch,ja, ci si insa nguina. Un giorno dopo l'altro, cosi per mesi e per anni. ,, Al soldàto che tornava in licenza, quale spettacolo hanno offerto le n ostre città dove lo « svolgimento della vita» continuava ad essere normale ? L o spet tacolo del lusso, dei divertimenti, della leggerezza, dell'imboscamento elevat o a sistema., tanto che nell'animo del combatt"ente veniva . radicandosi la convinzione che la g uerra la facevano soltanto gli imbecilli, mentre gH ..,altri - molti, troppi I - non l'avvertivano o - peggio - la sfruttavano.... Una propaganda, che in F rancia è stata definita « infame», lavorava questo stato d'animo e lo spingeva ad eccessi criminosi. C'è voluta l'invasione del territorio per rimettere sul tappeto la questione di un più austero regime di vita.

Basta colla normalità che ci conduce alla disfatta. È tempo che la Nazione - anche, e soprattutto quella ch e non combatte - accetti o subisca la disciplina morale della guerra. Non è lecito divertirsi, mentre c'è chi soffrè. Non è degno ridere, mentre c' è chi piaàge. È delitto di alto tradimento l'ozio e l' infingardagg ine in un momento nel quale tutte le energie ·nazionali d evo no essere utilizzate e movimentate, Le o rchestrin e .devono tacere. L'invasione del te rrito rio è un « lutto nazionale ». La musica leggera dei caffè-concerto e dei g randi rist oranti, mentre milioni di italiani vanno raminghi e squallidi da città a città, è una irrisione. Anche i teatri devono rimanere chiusi. Non è tempo di spiritosaggini, di freddure pochadesche. Non è tempo di distrazioni. Le riunioni ippiche siano mandate a miglio r tempo. Tutto ciò, insomma, che sto na colle necessità del momento ; tutto ciò che conduce a una dispersione di forze morali sia bandito

Le città assumano finalmente ciuel « volto di gue rra» che fino ad oggi è stato u na parola, malgrado la velatura dei la mpioni La guerra - questa gue rra - n on consente frivolezze, specialmente ogg i ch'è giunta alla sua fas e decisiva. Accanto a queste misute d'prdine negativo, noi invochiamo la mobilitazione generale civ ile degli uomini e delle donne dai I 6 ai :; o anni. N on fermiamoci dinanzi ai diritti della libertà indiv iduale. Spazziamo questo feticcio Lo ha spazzato l'Inghilterra, d o ve la dottrina e la pratica del liberalismo haono ·secoli di vita, L'Inghilterra è andata dal volontariato alla coscrizipne militare e alla mobilitazione civile,

Non ci può essere diversità di trattamento e di reg ime fra eh.i combatte e chi non combatte. N on èsistono due libertà. Due discipline. Due ' modi di v ivere e di morire, Se noi vogliamo vincere la guerra, non ull solo u omo deve essere lasciato libero di sottrarsi ai sacri doveri della s o lidarietà nazionale. Ogni uomo, ogni donna dev'essere utiliz:>:ata. Ai tecnici, ai giuristi scendere ai dettag li concreti. A noi basta fissare le direttive generali. Il nostro c6mpito è di preparare l'opinione pubblica a questi eventi necessari. Diciamo la parola: tuffa la Naz,,ione deve essere militarizzata. Togliete il troppo atroce e stridente squilibrio materiale e morale tra fronte esterno e fronte interno ; distribuite - con opportuni provvedimenti rotatori - il tributo d el sangue che finora ha pesato in massima parte soltanto su talune categorie della popolazione ; costringete al lavoro i fannulloni: alla dignità della vita g li scialacquatori, alla serietà o al silenzio i fatui ; togliete dalla circolazione i parassiti; fate insomma che la Nazione all'interno, invece di presentare l'as petto normale dei vecchi tempi, present i l'aspetto di un arsenale dove o gnuno e tutti lavorano - secondo le proprie attitudini e capacità - in vista di un o biettivo comune ; e i soldati nostri ri torneran no quelli d'una volta, quando · la loro resistenza ai disag i, il loro coraggio dinanzi al n emico, strapparono inni d'ammira:>:ione al mondo.

Se la lezione ddl' Alto b onzo non c'insegna nulla, n oi perdiamo per sempre il diritto al nostro do mani di grandezza e di- libertà.

D a li Po polo d'Italia, N. 311, 9 novembre 1917, IV, Pubblicato anche sull'edizio ne di Roma, N . 311, 10 novembre 1917; IV.

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