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UN GRANDE AMICO DELL' ITALIA AUGUSTO VON PLATEN
Dopo essere stata per molti secoli meta di agognata conquista alle orde barbariche, l'Italia è stata ed è meta al pellegrinaggio reverente di tutti i grandi geni del nord. Alla madre mediterranea, a quella che il buon vecchio Plinio chiamava: omni11m terrarum aJumna et parens, omni11m l errarum electa, una cmulamm gentium in loto orbe . patria, si sono volti, spinti da un irresistibile sentimento di nostalgia, i creatori delle altre nazioni d'Eu ropa. Laggiù brilla ancora il faro della civiltà. Volger di secoli e mutar di fortune non J'hanno spento. Roma, come ai tempi del buon Augusto, è ancor la città verso cui muovono uomini di tutte le patrie, e chi ama Roma deve amare l'Italia. Da Palermo che ha nelle vene sangue arabo, normanno e sangue dei Vespri, a Napoli che sorride al mare, sotto l'ignea minaccia del vulcano; da Firenze ' culla e tomba delle itale glorie, a Bologna che ha dottori per rinnovare il diritto, poeti per « lo dolce stil novo >> e « santa canaglia » per 1'8 agosto; da Ravenna silente che veglia il sepolcro di Dante a Venezia imperiale sotto forme repubblicane; da Verona che offre a Shakespeare gli amanti per un dramma immortale, a Milano che non ha dimenticato il Carroccio e le cinque giorna~e; da Torino nucleo della Terza Italia a Genova di Balilla, di Goffredo, di Manini; dalle maggiori .tlle piccole città; dalle piccole città ai villaggi; dai villaggi a.i solitari castem abbandonati, ovunque Ja nostra sti rpe h a lasciato Je traccie delle sue inconfondibili manifestazioni : dall'Impero al feudo, dal feudo al Co. mune, dal Comune alla Signoria, dalla Signoria alla Nazione: ventisei secoli di storia compresi fra. due monarchie.
Le anime sensibili hanno subìto l'irresistibile fascino di questa storia e lo subiscono ancora. Certo l' Italia attuale somiglia ben poco a.ll' Italia che Metternich qualificava trascurabile « espressione geografica» e Lamartine chiamava romanticamente « t erra dei morti >>••••
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Fioriscon sempre gli aranci, ci sono ancora 81i organi di Barberia e i mendicanti sulla porta delle chiese; le fioraie a Roma non ba.nno abbandonato il costume di « ciociare » e Pied..igrotta non ha rinunciato alle sue canzoni: ptrò malgrado i g iornali di Vienna le macchie del1'Abruzzo sono vuote di briganti.
L'Italia attuale va perdendo le caratteristic~e di un cimitero. Dove un tempo sognavan gli amanti e cantavan gli usig noli, oggi fischiano le sirene delle officine. L' Italiano accelera il passo nello stadio dove le Nazioni corrono la graD.de Maratona della supremazia mondiale. Gli eroi hanno lasciato il posto ai produttori. Dopo aver combattuto si lavora. L'aratro feconda la ter(a e il piccone sventra le vecchie città.
L'Italia si prepa ra a riempire di sé. una nuova epoca nella st oria del genere wnano.
L'Italia ha ancora i buoni amici che rivivono del su o passato e devono ammirare l'attività del suo presente. Fra i vecchi amici fedeli scomparsi merita d'essere ricordato August Platen. Carducci ha tradotto da Platen La tomba r11t Buu nJo e Il pellegrino davanti a S. GiurJo . La vita del Platen non offre nulla di straordinario. Nacq ue nel 1796 in : Ansbach, ebbe la prima educazione dal padre, fu ufficiale e combatté contro Napoleone, abbandonato l'esercito si- dedicò a lla 6losofia e alla poes ia, passò quasi tutta l'esisten2a in I talia, morì a Siracusa nel 183!i. Come gran parte d ella g ioven tù tedesca, anch e il Platen cominciò ro• mantico. Ma dopo poco, forse disgustato dagli eccessi dei romantici, abbandonò la lor scuola e batt~ vie proprie. Era uno spirito sol itario. Definiva se stesso come << un rapsodo errante, cui basta un amico, una tazza di vino all'ombra e un nome celebre dopo la morte». In un'ode diretta a Marco Saracini, Platen dichiara: « Il tuo amico non possied e nulla e non d esidera d i possedere se non quanto egli può porta re con sé. I beni terreni g li sarebbero di peso. Egli non ha che il bastone d el pellegrino>>. Nell'ode a l'Acqua paolina - il poeta chiama la solitu. dine la « sua sposa f edele ». Il sonetto LVII nd quale egli chiama «dolce» quella morte che gli uomini paventano, ci ricorda il l eopa r. diano « bellissima fanciulla, " dolce " a veder, non quale se 1a di pinge 1a codarda gente». Nello st esso sonetto P laten sfoga il suo li[ism o ele· g iaco: « Quanto ho d esiderato, o mo rte, ìl tuo sonno ch e non h a. ri· sveglio». Poco prima invoca: « Vorrei morendo dileguare, come dile· guan le ste lle in cielo - vorrei morire come, secondo le leggen de, Pin• daro mod. Non che io vogUa n ella poesia raggiungere l'insuperabil cantore, m a solo eguagliarmi a lui, morendo » . Nell'ultimo sonetto di questa serie, P latea rivela il suo desider io di ampie solitudini, di mete sempre più lontane. Nell'ode dedicata ad Augusto Kopisch, il poeta non si lagna di d over cantare lungi dalla fredda Sprea. Egli è stanco d ella sua patria Ne ha trovata un'altra dove « non udrà il lieto plauso degli amici fedeli, ma neppuce il clamore stridulo del popolino e il pie· colo grido dell'invidia». E Platen s'innamora dell'Italia. Percorre t utta la penisola a brevi tappe, fermandosi e soggiornando nelle p icc:ole e grandi città; lieto del sole, dell'aria, del mare. Nell'ode dedicata alla pi4 ramiàe di Cestio esclama : « O sacra Roma, la rozza schiatta tedesca distrusse un giorno la tua gloria militare, e ti minaccia ancon., ma invano. Oh, io vorrei riposare qui, lungi dalla mfa fredda patria, dove . ogni sospiro giungendo alle labbra, muore di gelo». Ospite durante un inverno della contessa Pieri in Siena, al dipartirsene Platen dedica aJ. l'ospite un'odè: « La primavera mi chiama - egli dice - a pe.regri· nare per l'Italia». La vita di questo grande poeta tedesco può ben venire comparata a quella degli antichi rapsodi quali dalle leggende ci furono ·tramandati: uomini che passavano da città a città, da terra a terra, cantando.
Non v'è angolo d'Italia che Platen non abbi~ visitato. Nelle sue poesie e più ancora nei suoi epigrammi troviamo i nomi di tutte le nostre città. Questo tedesco dall'anima squisitamente classica - questo poeta che conosceva· undici lingue - questo innamorato della forma ha celebrato tutte le nostre glori~, ha suscitato tutte le nostre memor ie. N e Il 11euhio gondoliere, poesia scritta a Venezia, Platen fa parlare un vecchio gondoliere che vide lo stendardo della Repubblica gettato nella polvere d al Bonaparte e infrangere il Bucintoro e rapire il sacro leon di San Marco. I tempi in cui Erno, festegg ia.to dal doge Renier, riconduceva in porto le trionfali galee, sono passati per sempre: Venezia è morta. I q uattordici sonetti che Platen ha dedicato a Venezia sono un omaggio dolcissimo alla strana città che ha tentato e sedotto e vinto gli artisti di tutto il mondo.
La prima impressione visiva è di stupore: « Come riuscirò - si chiede il poeta a orientarmi in questo labirinto di calli? Come arriverò a sciogliere questo indovinello? ». Poi l'anima della città attraverso i suoi palani, i suoi templi, i suoi abitatori, la sua storia e la sua leggenda lo conquide, Venezia gli appare ancora ai confini del sogno . Le antiche glorie hanno ancora luci e suoni. Ma ormai il leone della Repubblica è infranto e i cavalli d' acciaio subiscono il morso del a;rande trionfatore. L'arte si rivela a Platen. Tiziano lo riempie d'ammirazione. Lo chiama « uomo pieno di forza e di vita ». In un sonetto pervaso da un motivo delicatissimo nordico di nostalgia, sembra al poeta che un «oh!» di rimpianto gema nelle brezze che increspano le onde per gli augusti ai.nali, dove l'Adriatico muo re in silenzio, Venezia è caduta e la ruota della fortuna non tornerà indietro mai più. Il porto è deserto e poche barche ormeggiano alla bella Riva degli Schiavoni. « O Venezia - canta Platen - tu hai brillato come wia bella donna in auree vesti e tale il Veronese ti pinse. Oggi il Poeta, immobile sulle scalinate dei tuoi marmore~ palazzi, porge quel tributo di Iagrìme che non può far rivivere il passato ». Trascorrooo j giorni e le settima.ne, ma. Platen non può staccarsi da Venezia. Non appena sente nominare ì nomi d i
Mestre e Fusina, un 6rivido di freddo ·gli traversa il sangue. Man mano che egli impara a conoscere i tesori artistici di Venezia e le tele di T iziano, di Veronese, di Giambellino, gli appaiono in tutta la purena delle linee, la festa dei colori, la grandiosità dell' insieme, il poeta rimpiange i giorni ìn cui solo « il bello » era sacro sopra la terra. La tavolo22a di Platea, ricca e delicata, ha saputo cogliere tutti i motivi di Venezìa: quelli che si offrono allo sguardo e quelli che si debbono cercare.
Nel dicembre 1830 Platea è a Napoli. Il Vesuvio è in eruzione : ìl poeta si commuove da vanti allo spettacolo grandioso, infernale. Si arrampica sino all'odo del cratere, mentre la terra t rema e 1a colonna flammea si spinge alta nella notte. La lava corre silenziosa: « la nube densa del fumo, nasconde il tuo viso pallido, melanconico, sereno, o luna!». Del 1827 è un'egloga dedicata ai pescatori di Capri. D opo una forte descrizione dell'isola rocciosa che offre ospitalità in due luoghi soli ai navigli, il poeta racconta la vita dei pescatori che si r iassume in queste parole: gettare la rete, ritirarla e stenderla sulla sabbia ardente perché sì asciughi. « Oh, gente pacifica - esclama il poeta - cosl vicini alla natura e allo specchio del mondo. Pescatori felici! Voi vivete lungi dai rumori del mondo, ai confini dell'umanità, fra la roccia scoscesa e il flutto salso del mare. Quei della stirpe prima vissero come voi, * da quando qui venne a piangere i suoi dolci delitti la figlia di Augusto!». Dello stesso anno è una poesia dedicata a N apoli. Quella del 1827 era ancora la vecchia Napoli tradizionale che oggi va scomparc:ndo lo spettacolo incOmparabile entusiasma il poeta: il primo verso è un invito: « O stran iero vieni a Napoli, guarda e muori! ». Qui solo impa re rai a godere! Platen ci descrive la città. Dovunque tu vada, egli dice, « trovi folle di uomini». Dalla spiaggia dove i pescatori tirano alla riva le tet i cariche, all' angolo della via dove una coppia allegra disfrcna le gambe nella tarantella baccantica, dai mercati dove i ven• ditori e compratori gridano gesticolando; dai mercati dove tutto si compera : la metce, l'uomo e anche l'anima, alle viuzze incassate fra le altissime case dove incontri il men dico che ti saluta con molte A ve; dalle vaste piazze dove corrono veicoli d'ogni genere, ai ridotti dove il popolino applaude un Pulcinella di legno, dagli operai che affolJano una cucina ambulante, alle donnicciole che fanno circolo attorno a un indovino dal cesto pieno di serpenti, tutto qui tumultua all'aria libera. 11 barbiere, il cambiavalute, lo scrivano pubblico, compiono la loto funzione all'aperto. Al molo la confusione aumenta a ncora, se è possibile. Marinai, dopo aver incatenato la barca e lazzaroni che si scaldano al sole si raccolgon attorno al « Narratore », il quale canta di Rolando e recita le stante che parlano della fa.vol05a spada di Rinaldo. « Omero sorgi! Se nel nord ti cacciano di casa in casa, qui troverai un popolo semi. greco e un cielo greco. O balsamiche notti di Napoli! Per voi io di· mentico S, Pietro, il divino Pantheon, Monte Mario e Villa Pamphili! ».
• Lacuna del testo.
Anche Ama.lii ha l'onore d'un inno Dopo aver descritto la festa domenicale che raduna gran folla nell'antico chiostro abbandonato, il poeta esclama: « Salve, salve tre volte o bella Amalfi.! Qui voccei vivere in questo asilo delle Grazie. Ma forse l'incostante desiderio che m'arde nel seno, mi sospingerà verso ai deserti nevosi del nord, dove la mia parola suscita in altre labbra lo stesso freddo accento». Nel 1828 il poeta affittò per un'estate una villa nell'isola di Palmaria. Sembra poi che avesse in animo di tornare in Germania, ma non appena vide il Duomo di Milano e le nebbie che salgono dalle marcite e dalle risaie dei piani lombardi, il poeta volse ratto il piede al sud, verso la sua terra promessa.
Così questo grande tedesco passò attraverso l'Italia lunghi anni, celebrandO la nostra terra. A nulla fu estraneo: né alle bellezze naturali, né alle glorie del passato.
Anche Platea era ammalato di « nostalgia mediterranea ». Forse Stendhal solo può rivaleggiare con lui nell' amore per l'Italia, Stendhal che vo11e scritto sulla sua fossa: <<milanese». le anime superiori hanno bisogno di luce, di sole, di orizzonti sconfinati; hanno quindi due patrie: quella che li vide nascere e quella dove posson creare. Da Byron a Goethe, da De Musset a Lamartine, da Klopstock a Schille r, da Shelley a Wagn er, da Nietzsche a l bsen .... la patria comune del genio fu ed è l'Italia.
Trento.
MUSSOLINI BENITO
Da Ii Popolo, N. 2741, 3 luglio 1909, X. Pubblicato anche, panfalmente modificato, sul settimanale Cro11a,he Ltllerarie di Firenze (N. 12, 10 luglio 1910, I} e come prefazione all'opera: Sùaoua ttd AuguJIO 110,: l'lrJUlf ,rei I ,en1t1tario dellrJ mor16 - Società Tipografica di Siracusa, novembre 193S.