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CDG La sorpresa di Segre

"DIAVOLI K055I" ALLA CONQ\JI5TA Del TKc MONTI

CONTESTO STORICO

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cosiddetti Tre Monti, ovvero Monte Val Bella, Col del Rosso e Col D'Echele, che dopo Caporetto erano entrati a far parte della linea di massima resistenza italiana, caddero uno dopo l'altro in mano nemica durante la cosiddetta "offensiva di Natale" (22-25 dicembre 1917). Ma ancora una volta gli italiani diedero prova di valore, riuscendo a fermare l'avanzata austro-tedesca. Tuttavia, le nuove posizioni non erano agevoli da difendere, la linea italiana si trovava infatti troppo sbilanciata all'indietro, prestando il fianco a nuovi e più decisi attacchi avversari. La riconquista dei Tre Monti si dimostrava così necessaria, non ultimo per ridare vigore all'animo dei soldati: dopo circa due mesi dalla ritirata, dopo aver dimostrato con enorme fatica di saper "vincere" in difensiva riuscendo a fermare gli avversari, era necessario tornare a vincere anche in offensiva, iniziando con il riprendere possesso delle posizioni più sicure dell'Altipiano dei Sette Comuni. In quel frangente, a riconquistare il terreno perduto, venne chiamata la pluridecorata Brigata Sassari (151 ° e 152° Reggimento fanteria), famosa per essere composta prevalentemente da irriducibili sardi, il cui valore in battaglia era ormai ben noto a tutti.

alde occidentali di Col del Rosso, 31 gennaio, ore 01:30

(fllustrazione 1 O a p. 68) Il Capitano Eugenio Niccolai, con una smorfia mal celata di dolore, siede sulla cassa di munizioni cercando una posizione comoda per scrivere, facendosi spazio in quella specie di grossa tana di volpe scavata nella parete della trincea, ingombra di oggetti di ogni sorta e fiocamente illuminata da una lampada dalla schermatura in carta. Ad osservarla bene, riflette, sembra una di quelle lanterne di sapore orientale che piacciono tanto alla madre. Ecco, appunto, deve necessariamente scriverle due righe per farla star tranquilla. Cerca di afferrare la matita con la mano destra fasciata alla bell'e meglio su uno squarcio da scheggia di granata, niente da fare: a parte il dolore, con la manovra la ferita si stava riaprendo ed il sangue avrebbe di sicuro imbrattato il foglio, rendendo qualsiasi parola di conforto il più terribile dei messaggi, specie per una madre. Si risolve a scrivere con la sinistra. Il dolore pulsante alla gamba ed alla testa non gli danno tregua, eppure, gli esiti dell'ultimo scontro a fuoco, lungi dal fiaccarlo, sembrano ricaricare le sue energie per la prossima azione che intende assolutamente portare a termine alla guida dei suoi uomini. Per questa ragione, pur potendo ottenere il permesso di allontanarsi dal fronte a causa di quelle fastidiose ferite, ha deciso di rimanere a combattere anche l'indomani. Lancia uno sguardo fuori dal tugurio quando giunge la consueta sventagliata di "confetti" di medio calibro a scandire le ore ed a sconvolgere il terreno all'intorno, a cui seguono subito le

1916

consuete imprecazioni in dialetto sardo da parte dei suoi soldati, che stavano tentando di riposare qualche ora. Sono proprio "Dimonios", "diavoli rossi", cocciuti, burberi, irriducibili e fratelli, così dannatamente orgogliosi d,ella terra da cui provengono da farne bandiera, accanto a quella d'Italia per cui combattono. Il loro è praticamente un senso di appartenenza regional-nazionale. Questo sentimento era apparso da subito chiaro ai Generali che avevano pensato bene di costituire una Brigata costituita in buona parte da sardi, perché si sa, non vi è niente di meglio che la coesione, la determinazione a vincere e lo spirito fraterno per rendere imbattibile una schiera di soldati. I suoi pensieri vengono interrotti dall'entrata di un suo parigrado, il Capitano Lussu, che come di consueto si accuccia a sua volta accanto alla lampada: "La vedo un po' malconcio mio caro Eugenio'' lo provoca con aria scherzosa "Non starà mica scrivendo il testamento!" Eugenio gli risponde a tono: "Badi bene Capitano, che domani non tocchi anche a lei farsi un po' male ... ". Lussu fa una smorfia, mettendosi a dormire. Eugenio inizia faticosamente a scrivere con la sinistra. Chissà che avrebbe pensato la madre alla vista di quella pessima grafia. Di questa guerra Niccolai aveva visto il peggio, come non ricordare la Bainsizza e poi Caporetto, quando dovette combattere in retroguardia per permettere ad altre unità di ripiegare! Pochi giorni prima aveva dovuto assumere all'improvviso il comando di un intero battaglione, giacché il Maggiore, che ne era a capo, era caduto gravemente ferito. Avevano appena fatto in tempo a conquistare Col d'Echele e Col del Rosso che l'artiglieria nemica si era scatenata sui suoi uomini, ovviamente con un tiro di precisione infallibile, giacché gli italiani stavano occupando delle posizioni che gli austro-tedeschi conoscevano fin troppo bene. Tagliati i rifornimenti di cibo e munizioni, erano rimasti in balia di un attacco nemico impossibile a sostenersi. Dovettero indietreggiare. Eppure i suoi "diavoli" non si lamentarono, né diedero il minimo cenno di sconforto nemmeno allora, anzi, non avendo munizioni, iniziarono a difendersi tirando sassi e contrattaccando alla baionetta al grido di "Avanti Sardegna!" e "Forza Paris!", sorprendendo e disorientando gli avversari. Ed ecco avvenire l'insperato: gli austriaci abbandonavano la loro posizione, ahhhh, quale vittoria! Col d'Echele, Col del Rosso e Monte Valbella erano ancora italiani! Ancora qualche ora ed Eugenio dovrà riprendere il comando del II Battaglione per andare a dare man forte agli arditi, che tenteranno di avanzare ancora su quelle alture. Vorrebbe scrivere tutto questo al padre, alla madre ... ma il tempo è poco, scrivere con la sinistra disagevole e lo spazio sulla cartolina troppo piccolo. "Carissimi -scrive- sono lontano da qualsiasi pericolo" sorride fra sé e sé, in fondo in quel preciso momento è quasi vero, sotterrato com'è in quel buco di rifugio a quell'ora di notte "Ho partecipato con entusiasmo ed onore alla grande azione. Saluti e Baci". La grafia è proprio terribile, pensa, chissà il cruccio della madre vedendola ed immaginando chissà quali sventure! Aggiunge: "Sto benissimo. Scriverò più a lungo. Eugenio." Sospira soddisfatto. Depone la cartolina nella sacca che passerà a prendere l'addetto al servizio postale e si corica cercando di riposare un poco. Dannazione!- impreca fra sé e sé- Le ferite dolgono meno quando si combatte che quando si dorme!

Quel che accadde dopo

Alle 06:30 del mattino i "sassarini" del II Battaglione del 151 ° Fanteria si lanciarono fuori dalle trincee alla conquista di nuove postazioni avversarie. Primo fra tutti, al comando dell'assalto, vi era Eugenio Niccolai, che con slancio incitava i suoi uomini. L'artiglieria austriaca riprese a fare fuoco sugli assalitori, tempestandoli di proietti. Niccolai cad~e colpito al cuore da una scheggia di granata. Il suo corpo giacque sul campo di battaglia tutto il giorno, giacché i continui bombardamenti non ne consentirono il recupero fino a notte fonda. Il giorno dopo la salma di Niccolai, caduto a soli 22 anni e mezzo, venne tumulata in un cimitero da campo. Il 29 Maggio 1919 gli venne concessa la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

L'INCKr:DIDILL CONQ\JI5TA DI COKNO D~TTI5TI

CONTESTO STORICO

sservando il mass1cc10 del Pasubio, è possibile distinguervi una guglia di rocce verticali che sovrasta i boschi della Vallarsa non troppo lontano da Rovereto. Questa vetta, prima della Grande Guerra era nota soltanto come "il Como", vi si aggiunse "Battisti" in seguito alla cattura del noto irredentista assieme a Filzi, che si concluse con la loro impiccagione. Cesare Battisti era infatti originario di Trento (all'epoca sotto il dominio asburgico) ed aveva addirittura ricoperto l'incarico di deputato in Austria tentando di ottenere l'autonomia del Trentino e il riconoscimento della lingua italiana in quella parte dell'impero, Fabio Filzi invece risiedeva a Rovereto , ed era avvocato. Entrambi, all'inizio della guerra, avrebbero dovuto militare nelle fila dell'Esercito Imperiale, invece fuggirono, dichiarandosi italiani e preferendo indossare il grigioverde sotto falso nome, giacché sapevano bene che se fossero caduti prigionieri e la loro vera identità si fosse palesata, gli austro-ungarici li avrebbero messi a morte come traditori. Fu, in definitiva, proprio quello che avvenne. Entrambi stavano partecipando ad un'azione di conquista del monte Como quando furono catturati. Pare

che uno dei soWati austro-ungarici, un certo Bruno Franceschini, conoscesse bene sia Filzi che Battisti e che non abbia esitato a riconoscerli pubblicamente entrambi, incurante della sorte alla quale li stava condannando. Battisti e Fllzi morirono due gipmi dopo impiccati, invocando l'~ del Trentino all1tàlia, divenendo l'l'liC.;'1rt;H!l.é)'ffl.e deltmédentismo. che ~ta

giacché era una postazione utile a controllare le valli sottostanti. Tuttavia, l'attacco diretto alla vetta era un'impresa assai rischiosa e difficile, in quanto da un lato occorreva scalare una parete verticale di roccia friabile, considerata da sempre una via impraticabile, mentre dall'altro lato si doveva superare un versante non troppo scosceso, ma interamente sotto il tiro di coloro che avevano conquistato la sommità del Como. Per superare l'impasse, austriaci e italiani iniziarono a scavare gallerie di mina e contromina, al fine di far saltare la vetta del monte assieme alle postazioni avversarie. Era il 9 maggio quando il rumore degli scavi provenienti dalla galleria di contromina austriaca palesarono agli italiani l'imminente pericolo. Si decise di andare all'attacco della cima, per prendere così agevolmente possesso anche di tutte le gallerie ed evitare il rischio di saltare in aria. L'ascesa venne attuata nella notte del 9, ma il piano, per quanto ben congegnato, fu rallentato dalla difficile salita che comprendeva il superamento di burroni e tratti rocciosi al buio, impedendo di trasportare con sé l'armamento pesante. Al sorgere del sole, pochi uomini erano riusciti ad arrivare in tempo a ridosso delle posizioni austriache, rischiando per altro di essere scoperti dal nemico. Fu allora che il Sottotenente Fulvio Bottari ruppe ogni indugio e con alcuni arditi si lanciò all'attacco, riuscendo a cogliere di sorpresa gli avversari e, in un furioso corpo a corpo che durò poco più di un'ora, a conquistare l'ambita vetta e tutte le gallerie, pur sotto un accanito bombardamento dell'artiglieria nemica. Gli austro-ungarici tentarono ben pl! là rlco:nqùista ed il 1,;3 sera, :QJ;t :te.J?.,arto di

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