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di Roberto De Simone

IL ROMANZO COME STORIA E COME POLEMICA STORIOGRAFICA I QUARANTA GIORNI DEL MUSSA DAGH DI FRANZ WERFEL

di Roberto De Simone

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Introduzione

Il 23 aprile 1915, il governo ottomano, retto dal Comitato di Unione e Progresso (İttihad ve Terakki Cemiyeti), fa arrestare le più influenti personalità armene della capitale, e comincia le prime deportazioni: con l’esclusione delle comunità di Istanbul, Smirne e Aleppo, e di quelli di fede protestante e cattolica, si decreta che tutti gli armeni vanno trasferiti nella Mesopotamia e nella Siria del nord. Le disposizioni concernenti la deportazione e il reinsediamento degli armeni sono molto dettagliate, prevedono assegnazione di terre all’arrivo e distribuzione di viveri lungo il viaggio, oltre alla possibilità di trasportare tutti i beni mobili. Ma la realtà dei trasferimenti si rivelerà ben altra. Organizzate in modo improvvisato e caotico, le deportazioni si svolgono molto diversamente a seconda dei luoghi: in certi vilayet le autorità locali sono più benevole, altrove si comportano spietatamente. Le carovane di deportati, lasciate spesso senza acqua e cibo, in molti casi subiranno violenze da briganti curdi o dai soldati di scorta. Ridotti alla fame, derubati, violentati, uccisi come bestie, quelli che arriveranno nei campi vivi saranno pochi, e il risultato finale del “reinsediamento” sarà la morte di circa un terzo degli armeni ottomani. Le deportazioni si concludono lentamente tra la fine del 1915 e la primavera del 1916, quando il ministro dell’Interno Tal‘at Paşa emana l’ordine di porvi fine.792

Vi sono dei rari casi di resistenza tuttavia, come quello dei sette villaggi armeni del Musa Dağ (in lingua turca) o Musa Ler (in lingua armena), un massiccio montuoso tra Antiochia e il Mediterraneo, nell’attuale regione turca dell’Hatay. Quando viene diramato l’ordine di deportazione gli abitanti dei villaggi si ribellano,, si procurano delle armi e salgono sulle pendici della montagna, dove si barricano e respingono per quasi due mesi le minacce e i ripetuti assalti delle forze turche. L’assedio ai montanari armeni si conclude con il loro insperato salvataggio da parte di navi francesi, le quali avvistano sulla montagna una grande bandiera bianca con la croce rossa, usata dai ribelli per chiedere aiuto: scampano così alla morte circa 4.000 persone, trasferite a Port Said, dove la comunità rimarrà fino alla fine del conflitto, offrendo molti dei suoi uomini agli eserciti alleati. Gli armeni del Musa Dağ ritornano alla terra natia quando viene stabilito il Mandato francese in Siria e Libano, finché, nel 1939, l’annessione concessa alla Turchia della regione dove abitavano, il sancak di Alessandretta, non li spingerà a emigrare in massa e ristabilirsi nella valle della Bekaa, in Libano.793 Questa epopea di resistenza e determinazione poco conosciuta diventa oggetto di un grande romanzo storico nel 1933, scritto dal poeta e romanziere austriaco di origini ebree Franz Werfel: I quaranta giorni del Mussa Dagh, in originale Die vierzig Tage des Mussa Dagh. L’autore riesce a farne un’opera di ampio respiro, trascinante, epica e di sapore quasi mistico ma al tempo stesso piuttosto aderente agli eventi storici, rievocati nel libro traendo spunto direttamente da documenti dell’epoca. Tuttavia, molti dei personaggi principali della narrazione sono di fantasia, e proprio nel

792 Per questioni di spazio ci si limita a rimandare ai seguenti testi sui massacri armeni del 1915-1916: G. LEWY, Il massacro degli armeni. Un genocidio controverso, Torino, Einaudi, 2006; M. FLORES, Il genocidio degli armeni, Bologna, il Mulino, 2006; P. DUMONT – F. GEORGEON, La morte di un impero (1908-1923), in Storia dell’impero ottomano, a cura R. MANTRAN, Lecce, ARGO, 2004 [1989]; V. N. DADRIAN, Storia del genocidio armeno. Conflitti nazionali dai Balcani al Caucaso, Milano, Guerini, 2003; T. AKÇAM, Nazionalismo turco e genocidio armeno. Dall’Impero ottomano alla Repubblica, Milano, Guerini, 2006; Y. TERNON, Gli armeni: 1915-1916, il genocidio dimenticato, Milano, Rizzoli, 2003. 793 Cfr. F. AMABILE, M. TOSATTI, La vera storia del Mussa Dagh, Milano, Guerini, 2003; F. AMABILE, M. TOSATTI, Mussa Dagh: gli eroi traditi, Milano, Guerini, 2005.

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titolo Werfel si concede una licenza poetica, dal momento che l’assedio agli armeni sul monte era durato in verità 53 giorni.

Brevi cenni per un lungo romanzo

L’opera di Werfel narra le vicende della famiglia Bagradian, in particolare del capofamiglia Gabriele, vissuto per buona parte della sua vita a Parigi e perfettamente occidentalizzato, che torna con la moglie francese Juliette e il figlio Stephan al villaggio natale di Yoghonoluk, uno dei sette villaggi armeni del Mussa Dagh. I Bagradian saranno progressivamente coinvolti nell’escalation della persecuzione: prima a Gabriele non viene inviata la chiamata alle armi, poi i suoi sospetti aumentano contattando le autorità locali ad Antiochia e incontrando un vecchio amico di famiglia turco, un sufi nemico dei Giovani Turchi (uno dei numerosi casi in cui lo scrittore sottolinea che la causa del male sono i turchi europeizzati, atei e nazionalisti, non tutto il popolo turco).794 In questa fase Werfel rappresenta l’iniziale emarginazione della comunità armena dalla conduzione della guerra durante i primi mesi, e il salire della tensione col protrarsi del conflitto: ai volontari armeni non è mai concesso di recarsi al fronte e li si relega a riparare le strade militari o lavorare alle salmerie, poiché ritenuti potenziali traditori.795 Poi arriva l’arresto dei notabili armeni di Istanbul, che conferma a Gabriele l’arrivo di nuovi soprusi contro gli armeni.

Inizialmente i montanari non si curano di quel che accade, convinti che violenze e angherie non intaccheranno il loro piccolo mondo, ma poi l’episodio (anche questo reale) dei disordini di Zeytun e della sanguinosa repressione turca, poco più a nord, irrompe nelle loro vite quando giungono quattro sopravvissuti presso i villaggi, a testimoniare con i loro traumi fisici e mentali il pericolo in arrivo.796 Allora Bagradian, d’accordo con il prete Ter Haigazun e altri notabili locali, organizza la difesa dei villaggi. La scena di un dialogo tra Enver Paşa, e il missionario tedesco Johannes Lepsius sulla questione armena, realmente avvenuto e che l’autore inserisce nel racconto trascrivendo il colloquio da un documento originale, rappresenta uno dei momenti in cui la testimonianza storica irrompe nella narrazione, e getta luce sul disprezzo di Werfel per il razionalismo e l’ottusità della burocrazia politico-militare, oltre ad ammonire indirettamente, con notevole preveggenza, che quel che era avvenuto in Turchia poteva toccare anche alla Germania.797 Sarà in questo brano, e in quello subito successivo della visita di Enver a Tal‘at, Ministro dell’Interno, che Werfel mostra esplicitamente la sua convinzione dell’esistenza di un piano premeditato da parte del governo turco per sterminare gli armeni e inseguire il sogno panturanico di un impero turco che vada dall’Anatolia all’Asia centrale. 798

In seguito i gendarmi turchi giungono nella zona del monte per rastrellare i villaggi: inizialmente sottovalutano la portata della rivolta del Mussa Dağ e usano alcune blandizie e inganni per indurre la popolazione a lasciare i propri rifugi; poi attaccano senza pietà e cercano di affamare i ribelli, in attesa di radunare più uomini. Il disperato piano degli armeni della montagna è di stare rinserrati e attendere, confidando di attirare una nave alleata: nel mentre, la lotta per difendersi dai turchi e dalla fame allontana Gabriele dalla propria famiglia, inducendo da un lato Juliette a invaghirsi di un giornalista greco-armeno, dall’altro Stephan a gettarsi senza risparmio nella ricerca di provviste e informazioni oltre le linee nemiche per amore di una sopravvissuta di Zeytun. In questi eventi si può forse vedere una metafora dell’allontanamento dei paesi amici della causa armena nel momento del pericolo (la moglie di Gabriele è francese) e dell’irresponsabilità degli armeni della diaspora nel combattere per un’Armenia indipendente senza badare alle ricadute sui loro compatrioti (il figlio, per metà armeno e per metà straniero). Stephan muore ucciso dal nemico e, nonostante tutti gli sforzi per resistere e il tentativo fallito di portare provviste da parte di Lepsius

794 F. WERFEL, I quaranta giorni del Mussa Dagh, Varese, Corbaccio, 2002, pp. 45-50. 795 Ivi, p. 83. 796 Ivi, pp. 93-131. 797 Ivi, pp. 146-159. 798 Ivi, pp. 160-162.

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e del sufi amico di Bagradian, scoppiano dei disordini tra gli abitanti del Mussa Dağ, che causano violenze e distruzioni. Il campo armeno che fuma copiosamente sembra quasi suggerire la visione di un campo di concentramento. Quando i turchi si preparano all’assalto finale e alcuni meditano il suicidio, una nave da guerra francese, la Guichen, avvista la bandiera con la croce rossa e contatta gli armeni, che possono finalmente essere evacuati.799 Gabriele sente di non poter andar via da quella che sente come la sua patria e rimane a Yoghonoluk, a confrontarsi con la tomba del figlio: è lì che dei soldati turchi lo circondano e lo uccidono.

La controversa accoglienza de I quaranta giorni del Mussa Dagh Il libro di Werfel, elaborato tra il 1930 e il 1932, e dato alle stampe proprio a ridosso della presa di potere di Hitler in Germania, diventa presto un caso letterario. I quaranta giorni del Mussa Dagh viene pubblicato inizialmente in tedesco, in due volumi, nel novembre 1933, ricevendo ottime recensioni in Svizzera e Austria e diffondendosi anche nella Germania nazista. Ma la Turchia di Kemal inizia una campagna contro il romanzo: facendo pressioni diplomatiche, nel febbraio 1934 ne ottiene la censura in Germania, dove la rivista delle SS, Das Schwarze Korps, compie attacchi personali all’autore, descritto come un agente provocatore che ha inventato «presunte atrocità turche perpetrate contro gli armeni».800 Nel gennaio 1935 anche il Primo Ministro turco, İsmet İnönü, mette fuorilegge il libro nel suo paese.801 Nonostante la scomparsa dell’edizione in tedesco, I quaranta giorni del Mussa Dagh riceve una traduzione in inglese a fine 1934, emendata di molte parti ritenute “offensive”. Il successo negli USA è notevole: Werfel riceve grandi lodi sulle riviste letterarie americane, e oltreoceano si pensa ad una trasposizione cinematografica, supportata dalla MGM.802 Il governo turco boicotta anche questo progetto, mobilitando il proprio ambasciatore negli USA, Mehmed Münir Ertegün, che dichiara al Dipartimento di Stato «Spero sinceramente che [la casa di produzione] desista dal presentare qualsiasi pellicola che dia una versione distorta dei presunti massacri». L’ambasciatore rimane irremovibile, pur ricevendo le più ampie assicurazioni da Washington, e punta alla cancellazione del film, che infine MGM concederà, dopo numerose manifestazioni di protesta in Turchia e una campagna di stampa intimidatoria sul giornale turco Haber. 803

Al contrario, nelle comunità armene della diaspora I quaranta giorni del Mussa Dagh è celebrato come la prima vera epopea del “Grande Male”, una testimonianza lodevole delle sofferenze subite dal proprio popolo durante la guerra, e un libro davvero profetico riguardo la connessione tra massacri armeni e Olocausto.804 Infatti, durante la Seconda guerra mondiale l’opera di Werfel diviene apprezzatissima anche tra gli ebrei: i reclusi nel Ghetto di Białystok nel 1943 la adottano come manuale per la propria rivolta, e anche i sionisti in Palestina, in caso di invasione

799 Ivi, p. 882. Anche questa scena è stata ricavata da Werfel da documenti ufficiali provenienti dall’Ambasciata francese a Vienna. 800 R. FISK, The Great War for Civilisation: The Conquest of the Middle East, New York, Alfred A. Knopf, 2006, p. 331. 801 U. ÜMIT ÜNGÖR, The Making of Modern Turkey: Nation and State in Eastern Anatolia, 1913-1950, Oxford, Oxford University Press, 2011, p. 221. 802 L. KRONENBERGER, Franz Werfel’s Heroic Novel: A Dramatic Narrative That Has Stirring Emotional Force, «New York Times Book Review», December 2, 1934; sui tentativi di trasposizione cinematografica cfr. E. MINASIAN, Musa Dagh, Nashville - TN, Cold Tree Press, 2007; D. WEKLY, Global Hollywood versus National Pride: The Battle to Film “The Forty Days of Musa Dagh”, «Film Quarterly» 59, Spring 2006. 803 E. MINASIAN, Musa Dagh cit., p. 118. Le autorità turche insceneranno anche proteste degli armeni e degli ebrei di Istanbul contro Werfel, con tanto di roghi di suoi libri. Cfr. A. ERBEL and T. SUCIYAN, One Hundred Years of Abandonment, «Armenian Weekly», April 2011; J. REIDEL, Translator's Note, in F. WERFEL, The Forty Days of Musa Dagh, translated by G. DUNLOP and J. REIDEL, Boston, David R. Godine, 2011. 804 Cfr. P. S. JUNGK, Franz Werfel: A Life in Prague, Vienna, & Hollywood, New York, Grove Weidenfeld, 1990; V. GREGORIAN, Preface, in F. WERFEL, The Forty Days of Musa Dagh cit.

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nazista, elaborano un piano di difesa militare basato sulla tattica di resistenza dei sette villaggi armeni.805

Conclusione

La forte denuncia da parte dell’opera di Werfel dello sterminio degli armeni e il parallelismo premonitore tra le persecuzioni alle minoranze nell’Impero Ottomano e quelle nella Germania, dove avevano appena preso il potere i nazisti, hanno il merito di rendere noto al grande pubblico il dramma del popolo armeno, velocemente dimenticato dopo la Grande Guerra. Ma questo scomodo tema varrà anche al romanzo una serie di boicottaggi e censure sia in Turchia, sia in Germania, e per converso renderà questo romanzo un simbolo per tutti gli armeni, e anche gli ebrei, nel mondo. La Turchia kemalista, intenta negli anni Trenta a costruire il suo discorso storiografico e ideologico nazionalista, basato sul principio della presenza ancestrale dei Turchi in Anatolia,806 non poteva permettere assolutamente alcun cenno alla questione armena, ritenendola una destabilizzazione alla sua compagine statale, e perciò dichiarò guerra senza quartiere al romanzo dello scrittore austriaco. Da questo si evince che le reazioni a I quaranta giorni del Mussa Dagh, sin dai primi anni della sua circolazione fortemente polemiche ed estremamente polarizzate, sono notevoli e dense di spunti di riflessione sul valore della narrazione di eventi storici divisivi, sull’uso politico della memoria e della rimozione storica.

805 Cfr. Y. AURON, Banality of Indifference: Zionism and the Armenian Genocide, New Brunswick - NJ, Transaction, 2000, pp. 296-300; 303-304; Anthology of Holocaust Literature, a cura di J. GLATSTEIN, I. KNOX, S. MARGOSHES, New York, Jewish Publication Society of America, 1969. 806 Cfr. E. ROSSI, Dall’Impero Ottomano alla Repubblica di Turchia. Origine e sviluppi del nazionalismo turco sotto l'aspetto politico-culturale, in «Oriente Moderno», Anno 23, n. 9, Settembre 1943, pp. 381-384.

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