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di Cinzia Vecco
ALL’OMBRA DEL MITO: LE “ULTIME DONNE DEL RISORGIMENTO NAZIONALE”. IRENE SCODNIK, ERNESTA BITTANTI E STEFANIA TÜRR
di Cinzia Vecco
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«Non da tutti erano dimenticati i sacri confini nostri, ed i sacrifici costati ai migliori italiani del nostro Risorgimento»:900 con queste parole, alle soglie del primo conflitto mondiale, Irene Scodnik, descrive l’entusiasmo con cui, negli anni ’70 dell’Ottocento, molti patrioti accolsero la nascita dell’associazione «Pro Italia Irredenta» e del giornale «L’Italia degli Italiani», anime del movimento irredentista, di cui il marito, Matteo Renato Imbriani, fu uno dei più accesi promotori.
Le parole di Irene ci introducono in quel mondo, rimasto ai confini della storia istituzionale, popolato da tante figure femminili, come lei, mogli, figlie, legate a più fili a patrioti risorgimentali ed irredentisti, le quali attraverso l’opera di promozione delle idee e delle azioni dei propri familiari, che si intrecciano o si inseriscono direttamente nella grande memoria collettiva nazionale, ci dimostrano la continuità – almeno negli ideali di un cospicuo numero di patrioti – tra le battaglie del Risorgimento e quelle della Grande Guerra.
In particolare, oltre che sulla Scodnik, vorrei soffermarmi sul pensiero e gli scritti di Ernesta Bittanti Battisti e di Stefania Türr e su alcuni concetti e figure ricorrenti, «schemi retorici», «modelli pronti per l’uso»,901 tutti riconducibili a quell’idea di «religione civile della Patria»,902 già di foscoliana memoria, che permea il discorso nazional-patriottico italiano sin dagli albori del Risorgimento. È una strada lunga che conduce ben oltre la conclusione del primo conflitto mondiale, fino all’epoca fascista, superando altresì palesi divergenze ideologiche e politiche (simpatizzante fascista la Türr, fermamente devota agli ideali di libertà e democrazia per i quali aveva combattuto il marito Cesare, la Battisti).
Infatti, al di là della cifra comune europea del culto dei caduti,903 ciò che contrassegna la nostra rappresentazione patriottica è proprio un «calco diretto dalla tradizione cristiana»:904 «eroi martiri», «santi», «apostoli», «viatico», «sacrificio», «redenzione», «risurrezione» si ripetono insistentemente nella tradizione letteraria risorgimentale, a partire dall’incipit dell’Ortis.
A tali espressioni non rifugge nemmeno l’atea Ernesta Bittanti – considerata spesso come l’«ultima donna del Risorgimento» – la quale nella principale opera dedicata al ricordo del marito (Con Cesare Battisti attraverso l’Italia, del 1938) non esiterà a definirlo più volte «apostolo», «martire» che – ancora prima della condanna a morte – «già si perde in lontananza di mito, in luce di olocausto»,905 sulle orme di Guglielmo Oberdan, «Martire precursore»,906 «Santo degli Irredenti».907
900 I. SCODNIK IMBRIANI, Gli ultimi anni del secolo scorso, Biblioteca Nazionale di Napoli (BNN), Carte Lapegna, B.4, (51. cc. s.n. Oltre a questo breve testo di sole cinque pagine, presso il Fondo Lapegna, sono custoditi anche altri scritti inediti della Scodnik, tra cui il diario, Anni di mia vedovanza e Un matrimonio originale. Novelletta (dal vero), in cui il racconto della vita matrimoniale dei due protagonisti si intreccia con le vicende storico-politiche di quegli anni. 901 La morte per la patria. La celebrazione dei caduti dal Risorgimento alla Repubblica, a cura di O. JANZ e L. KLINKHAMMER, Roma, Donzelli, 2008, p. XIV. Cfr. anche A. ARISI ROTA, Eroi, martiri, concittadini patrioti: i necrologi come pedagogia del ricordo, in Patrioti si diventa: luoghi e linguaggi di pedagogia patriottica, a cura di A. ARISI ROTA, M. FERRARI, M. MORANDO, Milano, Angeli, 2009. 902 A.M. BANTI, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Torino, Einaudi, 2000; ID., Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Roma-Bari, Laterza, 2011. 903 G.L. MOSSE, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Bari, Laterza, 1990, pp. 7 e sgg. 904 A.M. BANTI, Sublime madre nostra cit., p. 28. 905 E. BITTANTI BATTISTI, Con Cesare Battisti attraverso l’Italia, Milano, Treves, 1938, p. 180. 906 Ivi, p. 99. 907 Ivi, p. 284.
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L’idea del sacrificio di Battisti per la causa dell’Irredentismo, in quella «continuità spirituale che la guerra di liberazione di Trento e Trieste avrebbe avuto con le prime guerre del Risorgimento»,908 pervade l’intera opera, nella convinzione profonda della «santità della sua missione per la sua terra, per la sua gente, che lo condusse all’ultimo Martirio».
Le attestazioni di stima che pervengono a Cesare, per il suo «apostolato», la sua attività di propaganda, sono per lui «viatico e consolazione»909 e, nelle pagine conclusive, con l’approssimarsi dell’entrata in guerra degli Italiani, il linguaggio della Battisti si carica ulteriormente di echi biblici: il 24 maggio «i martiri, gli eroi del Risorgimento erano tutti risorti»910 e «la fede e il sacrificio degli Irredenti hanno la loro risposta».911
All’interno dell’opera vi sono poi, immancabilmente, innumerevoli richiami a Garibaldi e ai Mille, nonché a tutti i volontari trentini che hanno partecipato alle lotte per l’indipendenza e rievocazioni di pagine gloriose per il movimento risorgimentale, scandite dalle tappe del viaggio di propaganda per l’interventismo compiuto da Battisti, lungo tutta la penisola: le Cinque Giornate di Milano, le Dieci Giornate di Brescia (e la «sublime e tragica somiglianza di Battisti con Tito Speri»912), i martiri di Belfiore, Modena (con il ricordo mai spento di Menotti), Solferino, Calatafimi e Bezzecca.
Anche nelle pagine della Türr, figlia del noto generale garibaldino Stefano, non possono mancare Garibaldi e i Mille, insieme a Cavour, Mameli, «amici miei, volti familiari»:913 addirittura, la piccola Stefania interrompe il padre, mentre le sta leggendo la Divina Commedia, per farsi raccontare episodi antichi e recenti del patriottismo italiano, da Legnano ai fratelli Bandiera, passando per le immancabili Cinque Giornate.
Ma l’eroe di Stefania è soprattutto l’adorato padre che, ammantato da un’aura romantica, sulle orme di un Byron o di un Santa Rosa, per scelta ideologica, abbandona l’esercito imperiale, tra le cui fila combatteva, in quanto ungherese, per lottare per la libertà di un altro popolo, oltrepassando il Ticino, «fiume sacro delle prime lotte per la Redenzione», «Piave della sua giovinezza»: da quel momento la sua vita e la sua opera «saranno consacrate all’Italia».914
Inevitabile – a questo punto – il collegamento tra Risorgimento e Grande Guerra, attraverso il ricorso alla sanzione del sacro, nell’ottica fascista e filosabauda della giornalista: «la religione che porta il nome di Casa Savoia, che suscitò le audacie di Quarto, che elevò a dignità di rito il proclama di Salemi […], che infiammò la Grande Guerra sulle Alpi e sul Carso, e che esalta ora la presente grandezza di regime, di opere e di intenti tra Re, Duce e popolo».915
In Alle Trincee d’Italia. Note di guerra di una donna. Libro di propaganda, reportage del singolare viaggio in trincea compiuto nel 1917 dalla stessa Türr, ritroviamo l’idea del sacrificio sin dall’incipit con l’immagine dei «gloriosi morti, Martiri della forca degli Asburgo» risuscitati e il «calvario di intere popolazioni che per lunghi anni sono dovute stare sotto la dominazione straniera».916 Il comando supremo, verso cui si reca all’inizio la cronista, è «tempio di Marte, sacrario dei numi tutelari d’Italia»917 e, apprestandosi a salire al Monte San Michele, teatro di cruente – ma altresì eroiche – battaglie per l’esercito italiano, Stefania sussulta, come una bambina,
908 Ivi,, p. 170. 909 Ivi, p. 432. 910 Ivi, p. 451. 911 Ivi, p. 455. 912 Ivi, p. 410. 913 S. TÜRR, L’opera di Stefano Türr nel Risorgimento nazionale descritta dalla figlia, Roma, Tipografia Fascista, 1928, vol. I, p. 22. 914 Ivi, vol. II, p. 7 915 Ivi, p. 126. 916 S. TÜRR, Alle trincee d’Italia. Note di guerra di una donna, Roma, Tipografia Antonio Cordani, 1917, pp. 12 e 76. 917 Ivi, p. 34.
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al pensiero di calpestare «le sacre zolle calcate dagli eroi, bagnate del loro sangue»,918 il sangue della redenzione.
La sacralità si accentua ancor più nel finale, allorché, di fronte alla domanda «Fu necessaria la guerra?», viene elogiato il dolore, quel «soffrire con pensiero religioso» per la «Santa Causa della Patria»,919 che fa sì che il patibolo diventi «altare sacro»920 e «Battisti e Sauro, anime nobilissime e fiere benedette da tutte le genti d’Italia».
Come già accennato, al ricordo di quanto i padri hanno fatto per la Patria dedica tutta la propria esistenza Irene Scodnik, non solo “moglie”, ma anche “figlia” del Risorgimento: suo padre, Francesco Scodnik di Gorizia, si distinse nella liberazione di Cremona, in occasione dei moti del ’48.
L’educazione patriottica di Irene proseguirà poi con il matrimonio che, non a caso, inizierà con un viaggio di nozze a dir poco «originalissimo» nei «luoghi che furono testimoni delle nostre guerre nazionali – ricercando tra gli abitanti di quelle campagne ricordi e descrizioni vive – e raccogliendo presso gli ossarii di Solferino e San Martino […] palle di fucili e frantumi di bombe e di ossa».921
La Scodnik, la quale «aveva succhiato col latte nobili sentimenti di abnegazione e fiero patriottismo, anche prima di essere la sposa del suo Matteo»,922 è autrice di vari scritti editi ed inediti,923 tutti volti a ricordare le gesta del marito, volontario garibaldino negli anni giovanili, nonché di altri membri delle famiglie Imbriani-Poerio, due importanti famiglie napoletane votate –sin dai tempi della Repubblica Partenopea – alla patria, di cui Matteo Renato risulta essere ultimo rappresentante.
I fratelli Imbriani sono presentati da questa «custode delle venerate tombe» – come lei stessa ama definirsi – «uniti nella devozione e nell’amore prepotente»924 per la Patria, nonostante le divergenze sui modi da seguire per rafforzarla, con la velata – ma non troppo – intenzione di trasmettere un’immagine di concordia, di conciliazione, non solo familiare, ma anche nazionale, in un momento così delicato per la storia d’Italia.
Il suo Matteo Renato, in particolare, incarna il «tipo ideale di soldato, la cui aspirazione unica era quella di morire sul campo per la Patria».925 Ritornano così gli stessi topoi della religione civile, del martirio, della «causa santa», con le «innumerevoli falangi di giovani eroi che si sono immolati per l’ideale della Patria».926
«Febbrile lavoro di preparazione per un nuovo olocausto di vite umane che dovevano riconsociare col sangue l’antico diritto italico»,927 Irene definisce la sua collaborazione, al fianco del marito, nel suo «civile apostolato educativo da un capo all’altro d’Italia», soprattutto attraverso la «Pro Italia Irredenta», l’associazione che aveva come «santo scopo» una «guerra di redenzione nazionale»,928 una redenzione innanzitutto morale, di una nazione, in cui la classe politica non si dimostra all’altezza dei grandi ideali propugnati dai Padri del Risorgimento.
Seguendo il discorso nazional-patriottico condotto dalle tre autrici e il loro ruolo di comprimarie al fianco di mariti e padri eroi, possiamo notare come queste donne «nate nel mattino
918 Ivi, p. 58. 919 Ivi, p. 201. 920 Ivi, p. 205. 921 I. SCODNIK IMBRIANI, Un matrimonio originale. Novelletta (dal vero), in Carte Lapegna, B.4 (50, c. 14r. 922 N. LAPEGNA, L’Italia degli Italiani. Contributo alla storia dell’Irredentismo, Milano, Società Editrice Dante Alighieri, 1932, p. 23. 923 Occorre ricordare I fratelli Imbriani, Benevento, Cooperativa Tipografica Chiostro S. Sofia, 1922; ID., Notizie sulla vita di Matteo Renato Imbriani, Napoli, Cozzolino, 1924; ID., Brevi cenni sulla vita di Carlo Poerio, Napoli. 924 I. SCODNIK IMBRIANI, I fratelli Imbriani, Benevento, Cooperativa Tipografica Chiostro S. Sofia, 1922, p. 10. 925 Ivi, p. 16. 926 Ivi, p. 20. 927 I. SCODNIK IMBRIANI, Un matrimonio originale cit., cc. 26r-27v. 928 Ivi, c. 32r.
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radioso del nostro Risorgimento»,929 seguiteranno a nutrirsi e a imperniare il loro pensiero e le loro azioni di stampo interventista proprio sugli stessi miti – o, meglio, all’ombra degli stessi miti – che hanno coinvolto le figure femminili che le hanno precedute e, in qualche misura, ispirate. Viene, dunque, a determinarsi una continuità forse discutibile a livello storiografico, ma innegabile da un punto di vista ideologico e letterario, una continuità che purtroppo porta anche con sé l’evidente e sgradevole rischio di sterili «idealtipizzazioni»930 già risorgimentali: in quel caso, madri e mogli (penso, ad esempio, a una Olimpia Savio o a una Teresa Confalonieri), in questo, mogli e figlie, senza una propria identità.
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929 S. BISI ALBINI, Le fanciulle di ieri e quelle di oggi, «La nostra rivista», 1° gennaio 1914, p. 4. 930 M. DE GIORGIO, Le Italiane dall’Unità a oggi. Modelli culturali e comportamenti sociali, Roma, Laterza, 1992, p. 5.
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S. TÜRR, Alle trincee d’Italia. Note di guerra di una donna. Libro di propaganda illustrato con fotografie concesse dal comando supremo, Milano, Tipografia Antonio Cordani, 1917. ID., L’opera di Stefano Türr nel Risorgimento nazionale descritta dalla figlia, Roma, Tipografia Fascista, 1928.
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