RIVISTA
MARITTIMA SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. L. 46/2004 ART. 1 COMMA 1) - PERIODICO MENSILE € 6,00
MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
Le sfide dei cantieri navali europei Marco Giulio Barone
L’Unione europea e la sfida dell’autonomia strategica Stefano Felician Beccari
APRILE 2021
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Sommario PRIMO PIANO
52 Genio italico applicato alla guerra di mine
6 Le sfide dei cantieri navali europei
Massimo Vianello
Marco Giulio Barone
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L’Unione europea e la sfida dell’autonomia strategica
Stefano Felician Beccari
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
62 A cavallo tra due mari e 27 secoli Michele Maria Gaetani
STORIA E CULTURA MILITARE
22 UE e NATO contro la proliferazione delle armi biologiche
72 Lissa: leggende vecchie e nuove Andrea Tirondola
Paola Giorgia Ascani
PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
34 L’ammoniaca come combustibile navale Claudio Boccalatte
RUBRICHE
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Il ruolo dell’Istituto idrografico della Marina nella gestione dello spazio marino
Massimiliano Nannini, Marco Grassi, Erik Biscotti, Angelo Castigliego
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Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine militari Che cosa scrivono gli altri Recensioni e segnalazioni
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RIVISTA
MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
PROPRIETARIO
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COMITATO SCIENTIFICO DELLA RIVISTA MARITTIMA Prof. Antonello BIAGINI Ambasciatore Paolo CASARDI Prof. Danilo CECCARELLI MOROLLI Prof. Massimo DE LEONARDIS Prof. Mariano GABRIELE Prof. Marco GEMIGNANI C.A. (aus) Pier Paolo RAMOINO A.S. (ris) Ferdinando SANFELICE DI MONTEFORTE Prof. Piero CIMBOLLI SPAGNESI
IN
COPERTINA: Il terzo Pattugliatore Polivalente d’Altura (PPA) della Marina Militare, RAIMONDO MONTECUCCOLI (P432), classe «Thaon di Revel», inizierà la sua «vita operativa» nel 2023 dopo un ulteriore periodo d’allestimento e preparazione dell’equipaggio che si completerà nello stabilimento spezzino Fincantieri del Muggiano (SP), sotto la supervisione del Centro allestimento nuove costruzioni navali.
APRILE 2021 - anno CLIV HANNO COLLABORATO: Dottor Marco Giulio Barone Dottor Stefano Felician Beccari Dottoressa Paola Giorgia Ascani Ammiraglio ispettore (aus) Claudio Boccalatte Contrammiraglio Massimiliano Nannini Capitano di vascello Marco Grassi Capitano di fregata Erik Biscotti Tenente di vascello Angelo Castigliego Ammiraglio di divisione (ris) Massimo Vianello Dottor Michele Maria Gaetani Dottor Andrea Tirondola Ambasciatore Paolo Casardi, Circolo di Studi Diplomatici Dottor Enrico Magnani Contrammiraglio (ris) Michele Cosentino Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante Capitano di corvetta Danilo Ceccarelli Morolli Capitano di fregata Gino Lanzara
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E ditoriale
I
recenti eventi legati alla pandemia da Covid-19, sia pur nella loro drammaticità, hanno portato inevitabilmente l’attenzione su un sistema europeo incardinato nell’acquis comunitario (1). La Rivista Marittima, con questo numero, conferma la propria attenzione all’essenza stessa degli odierni vissuti dell’Europa, alle sue istituzioni, giovani per paesi di così lunga e secolare tradizione, nella consapevolezza di un pensiero europeista sorto sulle macerie ancora fumanti lasciate in eredità dal conflitto più violento e sanguinoso della storia, cui Konrad Adenauer, Robert Schuman, Jean Monnet e Alcide De Gasperi hanno dato spirito e sostanza. Come ha recentemente affermato il Presidente del Consiglio, prof. Mario Draghi, e ribadito in diversi contesti il Ministro della Difesa On. Lorenzo Guerini, il nostro paese non può che dirsi legato all’irrinunciabile prospettiva europeista. Consequenziale, quasi obbligatorio, dunque, andare a considerare una delle colonne portanti della struttura economica e finanziaria comunitaria, ovvero l’industria, e in particolare l’industria della difesa, intesa nella sua accezione più ampia. Ricerca, sviluppo, capacità tecnologica, sono tutte eccellenze che innalzano gli standard qualitativi con le ricadute, anche occupazionali, del caso e che spaziano in ogni campo, ben al di là delle realtà belliche, spesso anzi scongiurate dalla conservazione di quel bene internazionale di base che è l’equilibrio all’origine della pace. Competitività, sacrificio, genio sono la filigrana di questa realtà oggettiva. La storia di questa «Giovine Europa» (non ce ne voglia Giuseppe Mazzini) è contrassegnata da pietre miliari, appuntamenti con la storia, oseremmo dire, che grazie alla volontà politica di addivenire ad accordi via via più stringenti e vicendevolmente proficui, si sono tradotti in trattati, atti negoziali, frutto di un iter politico-giuridico di non facile elaborazione, ma ora più che mai presenti nelle legislazioni vigenti degli Stati membri. Maastricht, dal 1992, grazie al suo Titolo V, ha contribuito alla nascita della Politica Estera e della Sicurezza Comune (PESC) prima, e della Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PSDC) poi. Nel 2009, il Trattato di Lisbona, dotando la comunità di personalità giuridica propria, ha previsto la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO), avviata poi nel 2017. Si tratta di materie complesse la cui evoluzione si è tradotta, nel 2018, con l’adozione, da parte del Consiglio europeo, di regole di governance a favore dei progetti che rientrano nell’ambito della PESCO stessa. La PESCO giunge così, inevitabilmente, a sostenere l’opera del comparto «Difesa». Ed è in questo ambito normativo che ha trovato spazio l’istituzione dell’Agenzia Europea per la Difesa (AED, posta sotto il controllo politico del Consiglio d’Europa), a cui partecipano tutti gli Stati membri dell’UE SEGUE A PAGINA 4
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— eccetto la Danimarca — che, nel 2005, ha provveduto a redigere il Codice di Condotta il cui scopo è quello di garantire la trasparenza dei pubblici appalti per la difesa e per i prodotti destinati a fini militari. Così, nel 2019, il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa, hanno adottato il Regolamento che istituisce il Fondo Europeo di Difesa (FED) nel più ampio quadro finanziario pluriennale (2021-27) comunitario. L’effetto, tra gli altri, del FED è stato quello di dar vita a una Direzione Generale per l’Industria della Difesa e dello Spazio in seno alla Commissione europea. Il «nuovo» Fondo Europeo per la Difesa si contraddistingue, a questo punto, per precisi aspetti «etici», in quanto le azioni attuate dal Fondo stesso saranno oggetto di valutazione in questo senso da parte della stessa Commissione. Successivamente, si è aggiunta la Revisione Coordinata Annuale sulla Difesa (CARD), avviata in seguito a una decisione del Consiglio d’Europa del 2017, che ha portato, nel 2020, a un rapporto finale (CARD-Report) presentato già quello stesso anno ai ministri della Difesa. Ciò ha contribuito a favorire il coordinamento degli investimenti congiunti e il mutuo scambio di informazioni a beneficio di ciascun paese. Intendiamoci, non siamo davanti a una costruzione perfetta. La Revisione Coordinata Annuale sulla Difesa, avviata a seguito di una decisione del Consiglio d’Europa del 2017, ha condotto, nel 2020, una visione europea d’insieme nel cui ambito emergono tutti i limiti della difesa comune. Si tratta della conseguenza dei vari e distinti interessi nazionali dai quali scaturisce una fragilità reale che spesso travalica i buoni propositi generali. Contemporaneamente, tuttavia, le industrie nazionali hanno sviluppato accordi e programmi bilaterali, industriali e di ricerca, che hanno condotto a risultati significativi. Possiamo citare la cooperazione italo-francese per la costruzione delle fregate FREMM e la collaborazione italo-tedesca per i battelli «U 212». Tutti chiari modelli di come gli accordi tra Stati possano portare a ottimi risultati. In particolare, il programma FREMM (2) è un progetto di collaborazione delle industrie della Difesa italo-francesi per sviluppare una nuova classe di fregate, aventi una base di partenza comune, ma con differenze «nazionali» in funzione delle diverse esigenze operative. Le unità (denominate in Italia classe «Bergamini» e in Francia classe «Aquitaine») sono costruite nel cantiere integrato Fincantieri di Riva Trigoso-Muggiano. Le FREMM italiane hanno un dislocamento a pieno carico di 6.900 tonnellate, una lunghezza fuori tutto di 144 metri e una velocità superiore ai 27 nodi. Il programma relativo ai sottomarini U 212A fa parte invece di una cooperazione governativa italo-tedesca. Nell’ambito di questo programma, a livello industriale, Fincantieri ha stipulato un accordo di cooperazione con il German Submarine Consortium per la realizzazione di nuove unità. «I sommergibili (3) (U 212) inglobano soluzioni tecnologiche altamente innovative e sono interamente costruiti impiegando materiale amagnetico con soluzioni che massimizzano la silenziosità al fine di ridurre la segnatura acustica. In tal senso i battelli sono equipaggiati con un sistema di propulsione silenzioso basato sulla tecnologia delle celle combustibili (fuel cell), in grado di generare energia attraverso la reazione tra ossigeno e idrogeno, con un’autonomia in immersione da tre a quattro volte superiore a quella dei sistemi convenzionali a batteria. I battelli presentano un sistema elettroacustico e di comando e controllo delle armi completamente integrati nonché un moderno sistema di automazione della piattaforma». La Rivista Marittima si propone di approfondire questi argomenti, considerandoli sotto le diverse ottiche adottate dagli autori che desidero ringraziare per la loro preziosa collaborazione, foriera — lo spero vivamente, e come sempre — di preziosi spunti di riflessione. (1) L’insieme dei diritti, degli obblighi giuridici e degli obiettivi politici che accomunano e vincolano gli Stati membri dell’Unione europea e che devono essere accolti senza riserve dai paesi che vogliano entrare a farne parte. I paesi candidati devono accettare l’«acquis» per poter aderire all’Unione europea e per una piena integrazione devono accoglierlo nei rispettivi ordinamenti nazionali, adattandoli e riformandoli in funzione di esso; devono poi applicarlo a partire dalla data in cui divengono membri dell’UE a tutti gli effetti. (2) www.fincantieri.com/it/prodotti-servizi/navi-militari/classe-bergamini. (3) www.fincantieri.com/it/prodotti-servizi/navi-militari/todaro.
DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista Marittima
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PRIMO PIANO
Le sfide dei cantieri navali europei Troppo grandi per fallire, troppo piccoli per competere Marco Giulio Barone
La cantieristica europea si trova di fronte a scelte draconiane. Il rapporto privilegiato tra cantieri nazionali e rispettive Forze armate garantisce la sopravvivenza delle capacità di produzione di unità militari di pregio. Ma le dinamiche globali attuali potrebbero rendere questo rapporto insufficiente o obsoleto per sopravvivere. Tra le soluzioni sul piatto, la tanto auspicata aggregazione a livello europeo, tutt’altro che facile. Analista geopolitico e politico-militare indipendente. È altresì consulente per organizzazioni governative, aziende, e think tank. Fino al 2018, ha lavorato in ruoli simili per grandi aziende di consulenza strategica, spesso assumendo anche ruoli di team-builder, teamleader, e supervisore. Collabora come corrispondente speciale per il gruppo editoriale Monch Publishing Group (Military Technology, Naval Forces) e per la rivista partner italiana RID – Rivista Italiana Difesa. Laureato in Scienze internazionali all’Università di Torino, con esperienze di studio in Belgio, Gran Bretagna, Israele, Norvegia e Stati Uniti. Ha completato la sua formazione presso l’Hudson Institute’s Centre for Political-Military Analysis (Washington, D.C.). Oggi vive e lavora a Parigi.
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Nell’immagine centrale: il cantiere navale del Muggiano di Fincantieri Spa, azienda pubblica italiana operante nel settore della cantieristica navale e più importante gruppo navale d’Europa. Sopra: il cantiere navale di Genova e, in alto, quello di Castellammare di Stabia (Fincantieri).
Le principali dinamiche in gioco L’approccio delle Forze armate (FF.AA.) occidentali alle operazioni militari si basa in buona parte sulla creazione di un vantaggio tecnologico sull’avversario più che sulla numerosità. Per mantenere il vantaggio tecnologico sull’avversario è necessario disporre di una propria industria indipendente, in grado al tempo stesso di fornire prodotti di qualità. Per quanto riguarda l’Europa, la quadra del cerchio non è semplice. A livello nazionale, l’industria della Difesa è perfino troppo sviluppata rispetto alle esigenze, a livello internazionale è spesso troppo piccola. Come è possibile? È bene ricordare che
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l’industria della Difesa si comporta principalmente come un monopsonio, ovvero un modello economico con un solo tipo di clienti: gli Stati. Il ruolo principale dell’industria della Difesa rimane quello di fucina degli Stati per le loro esigenze di guerra. Ma, per paesi in pace da decenni, non è così semplice. La domanda interna è limitata e non copre l’intera capacità produttiva. Per usare il nostro paese come esempio, in questi anni l’industria della Difesa italiana vive di export per il 70-80%. D’altronde, la capacità di progettare e costruire armamenti tecnologicamente avanzati non si improvvisa e richiede decenni per essere conseguita.
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Le sfide dei cantieri navali europei
Non si può «chiudere e riaprire» l’intero comparto solo se il paese va in guerra. Al contempo, l’industria della Difesa gioca un ruolo fondamentale per il paese in termini di avanzamento tecnologico, innovazione e occupazione. Questo è vero soprattutto per paesi cosiddetti «statalisti» come l’Italia, la Francia o la Spagna, dove l’iniziativa privata è limitata e il ruolo degli investimenti pubblici è molto importante per stare al passo con i tempi. Tirando le somme, oggi tutti i paesi europei hanno sovrabbondanza di capacità rispetto alla domanda interna. Tutti gradirebbero rimanere economicamente sostenibili grazie all’export, sia in Europa, sia sul mercato globale, senza perdere le capacità acquisite negli anni con studi, ricerche, prodotti e spesso bagni di sangue economici. Quando un paese europeo deve acquisire un sistema d’arma, pubblica un bando in teoria pubblico. In pratica, la maggior parte dei sistemi di procurement sono pensati per favorire la propria industria per quanto possibile. Quando si parla di requisiti europei, dunque, difficile trovare una quadra. Spesso, i consorzi mettono tutti d’accordo con il principio del «giusto ritorno» — nonostante siano economicamente inefficienti e svantaggiosi per il contribuente — mentre è difficile trovare un paese che possieda una capacità in casa e ammetta che il vicino sappia fare qualcosa meglio.
Il Pattugliatore Polivalente d’Altura (PPA) PAOLO THAON DI REVEL (P430) poco prima del varo presso il cantiere Fincantieri del Muggiano (Fincantieri).
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Il settore cantieristico I principali attori europei, istituzionali e non, sono consapevoli della necessità di procedere all’integrazione dei cantieri navali per affrontare la concorrenza delle grandi holding extraeuropee (cinesi, sud-coreane, statunitensi e giapponesi in primis). Tuttavia, una serie di diverse dinamiche politiche e industriali rende questa integrazione, fattibile in teoria, estremamente complessa da tradurre in pratica. I cantieri navali europei devono lavorare per identificare e implementare prontamente soluzioni per mantenere la competitività dei loro modelli industriali nel mercato globale. L’aggregazione è stata identificata più volte come uno strumento valido per mantenere la posizione di leader a livello globale. Nonostante le difficoltà nel tradurre l’aggregazione in pratica, almeno due fattori di spinta avrebbero dovuto convincere gli Stati europei a scegliere questa soluzione. In primo luogo, l’aggregazione potrebbe compensare la nuova forma che sta assumendo il mercato della difesa navale. Nonostante siano cruciali per migliorare la competitività dei cantieri europei, gli investimenti significativi in R&T (Research&Technology) potrebbero non essere sufficienti per mantenere una posizione di leadership a livello globale. Finora, i cantieri stranieri, specialmente quelli cinesi, hanno privilegiato la quantità rispetto alla qualità. Tuttavia, questo paradigma è ora cambiato, e la qualità dei loro prodotti è costantemente migliorata. Le fusioni e le acquisizioni sono di solito identificate come la soluzione più valida per risolvere la lotta dei cantieri europei per la concorrenza, in quanto potrebbero aumentare l’efficienza economica. In secondo luogo, l’aggregazione potrebbe essere usata per sfruttare meglio le opportunità offerte dal numero limitato di programmi navali europei. Dal 2015, gli investimenti delle Marine militari crescono di nuovo dopo un decennio di scarsità, dato che diversi Stati hanno lanciato nuovi programmi per modernizzare le loro Marine o per procurarsi nuovi tipi di navi. In Europa, programmi come la Legge Navale italiana per lo sviluppo dei Pattugliatori Polivalenti d’Altura, il programma per la progettazione della futura portaerei francese (PANG) e lo sviluppo delle future fregate britanniche (Type 26) rappresentano opportunità di bu-
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Le sfide dei cantieri navali europei
siness eccezionali per i cantieri regionali. Programmi simili sono così complessi e gli investimenti sul materiale militare sono così scarsi che la loro utilità è limitata nel tempo e vanno dunque sfruttati prontamente. Nonostante questi due fattori di spinta sull’aggregazione, questo processo sta avvenendo a un ritmo estremamente lento in Europa. In particolare, i cantieri europei non sembrano interessati a perseguire l’aggregazione con le loro controparti per aumentare la competitività. Piuttosto, preferiscono lavorare sul rafforzamento della partnership tra cantieri e fornitori nazionali di sistemi navali nel tentativo di ottenere una posizione più forte nei confronti dei concorrenti continentali. Per esempio, il fatto che la società francese Thales possieda il 35% di Naval Group, rende la partecipazione congiunta delle due società alle gare d’appalto una sorta di meccanismo automatico. Tuttavia, questo rapporto speciale ha sollevato preoccupazioni durante le trattative con Fincantieri per l’acquisizione dei cantieri STX in Francia, poiché Fincantieri è abituata a lavorare con Leonardo come sistemista. E, naturalmente, Leonardo vuole fortemente mantenere la sua partnership con Fincantieri a tutti i costi. Allo stesso modo, il cantiere olandese Damen (l’unico cantiere privato europeo nel settore militare) ha Thales Netherlands come partner privilegiato per la fornitura di sistemi navali, per citare solo alcuni esempi.
Influenze reciproche (negative) tra la politica e la mancanza di aggregazione Dopo anni di investimenti limitati nel settore navale militare, Stati come l’Italia, il Regno Unito e la Francia sono stati costretti ad avviare importanti programmi per recuperare alcune delle capacità perdute. Le flotte erano in condizioni così precarie che il semplice ammodernamento non sarebbe stato sufficiente a compensare anni di sottofinanziamento. Come già detto, tali programmi hanno un impatto estremamente importante sulla cantieristica europea sia a livello economico, sia industriale. Infatti, il basso numero di grandi programmi navali e la mancanza di aggregazione dei cantieri a livello europeo hanno una reciproca influenza negativa. La mancanza di integrazione riduce la competitività, e questo potrebbe spingere i governi a preferire imprese
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La fregata francese LANGUEDOC, classe FREMM, in lavorazione al cantiere di Lorient, Francia. Nonostante le collaborazioni europee, l’industria francese continua ad applicare ampiamente il concetto di autonomia nazionale (Naval Group).
straniere o di proprietà straniera piuttosto che quelle nazionali. Per esempio, il caso delle lunghe vicissitudini delle fregate tedesche Multi-Role Combat Ship 180 (MKS 180) fornisce un esempio interessante di questo ragionamento. Nel 2018, l’agenzia tedesca per l’acquisizione di materiale militare (BAAINBw) ha escluso due cantieri storici nazionali, TyssenKrupp Marine System (TKMS) e il suo partner Lürssen, dall’offerta per la MKS 180. Secondo la BAAINBw, il prezzo proposto dal consorzio (4 miliardi di euro) era troppo alto per quattro sole navi da guerra, e TKMS non poteva più essere considerata un partner affidabile. In effetti, negli ultimi anni l’azienda è stata multata più volte per ritardi nelle consegne e superamento dei costi. Di conseguenza, nel 2020, dopo cinque anni di bando, si è assegnata la costruzione delle MKS-180 a Damen Shipyards (una società straniera), in collaborazione con Lürssen Group (salvando un po’ la faccia per la cantieristica tedesca). Per la cronaca, l’altro finalista era German Naval Yards, una società di proprietà franco-libanese con sede in Germania, che ha poi fatto ricorso. Ricorso ritirato in seguito all’offerta di Lürssen di far partecipare comunque l’azienda ai lavori come sub-contractor. Tale «balletto» dimostra il fatto che, nonostante la Germania ospiti diversi importanti cantieri militari, questo non migliora necessariamente l’efficienza produttiva, la
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gestione dei costi o la qualità delle navi. Inoltre, questo significa anche che il governo tedesco non sempre avrà una preferenza nazionale durante le procedure di approvvigionamento. D’altra parte, il fatto che il numero di grandi programmi d’acquisto lanciati in Europa sia così limitato costringe le imprese europee a seguire logiche di mercato standard per assicurare la produzione, e quindi a partecipare a gare d’appalto all’estero. La conseguenza più importante è che gli stessi cantieri europei che dovrebbero perseguire l’aggregazione per mantenere la loro competitività, in realtà diventano concorrenti all’interno e soprattutto fuori dall’Europa. Le vendite internazionali delle fregate multiruolo europee, meglio conosciute come FREMM, spiegano bene questa dinamica. Fincantieri (Italia) e Naval Group (Francia) lavorano insieme dagli anni Duemila al progetto FREMM, sviluppato in collaborazione con l’OCCAR (Organizzazione per la Cooperazione agli Armamenti). Tuttavia, i due paesi hanno deciso di partecipare congiuntamente alle gare d’appalto e di offrire un mix di FREMM francesi e italiane (secondo la customizzazione di ogni paese) solo dal 2017. Nonostante la Francia abbia venduto le sue FREMM a paesi come l’Algeria e l’Egitto, l’offerta congiunta con Fincantieri non ha avuto successo. Il Canada ha rifiutato la loro proposta, mentre in Germania la proposta congiunta è
Giuseppe Bono (a sinistra), AD di Fincantieri con Hervé Guillou, ex PDG di Naval Group, nel 2018 (autore).
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stata ritirata. Recentemente, la Francia si è mossa da sola per proporre le fregate FTI (completamente nazionali), mentre l’Italia ha da sola negoziato e perseguito i recenti successi commerciali in Egitto (2 navi) e negli Stati Uniti (20 unità, ma prodotte localmente). Per il bando australiano poi vinto dal progetto Type 26 di BAE Systems, Italia e Francia si presentavano ancora una volta separatamente pur partendo da un progetto sulla carta comune. Per riassumere, la mancanza di integrazione e il conseguente calo di competitività, se prolungato, rischia di far perdere contratti vitali per tutti, ma che nessuno riesce ad aggiudicarsi. Così facendo, si riducono ulteriormente le finestre di opportunità per i cantieri europei. Ogni offerta persa potrebbe rappresentare una minaccia esistenziale alla sopravvivenza del cantiere.
Potenziali minacce esistenziali per i cantieri europei In un modello industriale europeo ideale basato sull’integrazione, i cantieri aggregati dovrebbero trarre beneficio dall’aggregazione in sé. Allo stesso tempo, ognuno di loro dovrebbe fare lo stesso grado di sacrifici — per esempio in termini di posti di lavoro, produzione e gestione — degli altri per permettere l’aggregazione a livello europeo. Invece, il quadro generale della cantieristica europea suggerisce che in pratica ogni cantiere cerca di massimizzare i suoi profitti e di rafforzare la sua posizione sul mercato, anche quando questo implica una concorrenza feroce con altri cantieri europei. Per giunta, i cantieri europei di solito rifiutano qualsiasi potenziale sacrificio, con un duplice impatto negativo. In primo luogo, questo atteggiamento blocca qualsiasi opportunità di mettere in pratica l’aggregazione, limitando così la possibilità di massimizzare le scarse opportunità commerciali in Europa. In secondo luogo, questo comportamento non cooperativo blocca lo sviluppo di nuove finestre di opportunità, poiché rende i cantieri meno competitivi e i potenziali acquirenti meno fiduciosi sulla qualità dei loro progetti. Più i cantieri europei rimanderanno la loro aggregazione, più i loro concorrenti stranieri, soprattutto i paesi asiatici, eroderanno le loro opportunità di business. I cantieri asiatici stanno guadagnando importanza nel
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mercato delle navi militari. L’aumento della spesa militare in questo settore e la crescente domanda di navi più grandi e complesse sono serviti come fattore di spinta per migliorare la qualità. Così, questi cantieri possono ora essere considerati come concorrenti diretti di quelli europei in termini di capacità tecniche, ma le loro dinamiche industriali nazionali (per esempio riguardo alle politiche occupazionali) li rendono di gran lunga più competitivi rispetto a quelli europei. Inoltre, essendo già in corso grandi programmi industriali in Europa, le aziende potrebbero aver già perso alcune importanti opportunità di business. Da questo punto di vista, l’accordo tra Fincantieri e Naval Group andava nella direzione giusta, in linea di principio. Ma, quando si è arrivati all’atto pratico, sono sorte le stesse identiche difficoltà: ovvero una sorta di ingerenza da parte dei paesi meno competitivi per ostacolare la fusione, rifiuto di chiudere i propri cantieri improduttivi sperando che sia l’altro a farlo, liti sulla divisione di responsabilità e carichi di lavoro.
Kockums, o l’errata interpretazione dell’aggregazione Di cosa hanno paura i cantieri europei? Perché tanta diffidenza? Il caso Kockums-TKMS è molto utile per comprendere di quali scenari le grandi aziende cantieristiche hanno paura quando si tratta di integrazione. Kockums è uno dei più importanti cantieri navali svedesi, specializzato in navi civili e militari. Fino agli anni Novanta, il cantiere era di proprietà dello Stato svedese attraverso una società dedicata. Il cantiere Kockums era considerato di interesse strategico per la Svezia, in quanto aveva acquisito un’esperienza molto rilevante nella costruzione di sottomarini. Durante gli anni Novanta, Kockums cercò di convincere il suo unico cliente, l’amministrazione svedese dei materiali di difesa (FMV), a collaborare al sottomarino A26, un progetto a lungo atteso e ancora irrealizzato (la consegna della prima unità si avrà nel 2022). Tuttavia, il cliente non sembrava interessato allo sviluppo di quel programma. Al contrario, ThyssenKrupp Marine Systems (TKMS) mostrava il suo interesse sia per il cantiere, sia per il programma, e decise di fare un’offerta di acquisto
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Mock-up dell’innovativo sommergibile modulare A-26 proposto da Saab e dai cantieri Kockums. La vicenda del cantiere è un caso di scuola sulle difficoltà di integrazione del comparto (autore).
per il cantiere. Dal punto di vista di Kockums, questa integrazione avrebbe potuto servire come fattore di spinta per sviluppare finalmente i sottomarini A26. Tuttavia, TKMS espresse delle preoccupazioni sul progetto, che fu nuovamente abbandonato. In realtà, lo sviluppo dell’A26 non era tra le ragioni che spinsero TKSM ad aggregarsi con Kockums. Secondo alcune fonti, la vera motivazione dietro questa aggregazione era l’opportunità di «eliminare» un concorrente — come confermato, per esempio, da presunti tentativi di acquisire tecnologie rilevanti e archivi di R&D (Research&Development) dalle strutture svedesi. In effetti, diversi comportamenti potrebbero confermare questa ipotesi. In primo luogo, nonostante l’integrazione, TKMS ha continuato a partecipare da sola alle gare d’appalto, soprattutto fuori dall’Europa. In secondo luogo, la TKMS non ha sfruttato appieno le notevoli capacità tecniche della Kockums, in quanto il cantiere svedese veniva coinvolto solo nella logistica e in altri compiti minori, non potendo così applicare le forti capacità acquisite lavorando sui sottomarini. Peggio ancora, dato che le capacità di Kockums rimasero sottoutilizzate, il cantiere rischiò di perdere capacità tecniche e know-how fondamentali. Dato che la Guerra Fredda non c’era più e le tensioni con la Russia erano nettamente diminuite, i governi sve-
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doversi sorbire le inefficienze dell’altro negli altri sottosettori. Tuttavia, è abbastanza evidente che una tale forma di cooperazione non è duratura. Essendo basata su considerazioni guidate dall’industria, questa strategia è pesantemente influenzata dalle contingenze — per esempio, in termini di budget della Difesa e quantità dei programmi. Inoltre, se si dovesse perseguire una qualche forma di integrazione, questa sarebbe guidata da considerazioni economiche/strategiche provenienti da ciascuna azienda, e quindi non potrebbe fornire alcun beneficio all’intero settore Un plastico che raffigura un moderno cantiere navale in grado sia di produrre buone navi, sia di supportarle nel tempo. La competitività è un elemento chiave per resistere nel mercato di della cantieristica per la Difesa — nonodomani (autore). stante questo dovrebbe essere il risultato desiderato dell’aggregazione. Per esempio, Fincantieri ha annunciato che, se le voci sulla vendesi non espressero alcuna particolare preoccupazione, dita della divisione sottomarina TKMS dovessero essere né misero in atto alcuna azione per affrontare questa straconfermate, valuterà l’opportunità di partecipare alla tegia della TKMS. Tuttavia, l’invasione russa della Crigara per «consolidare la posizione dell’azienda sul mermea segnò un punto di svolta per la strategia di difesa cato europeo», come ha dichiarato allora l’amministrasvedese, dando nuovamente alla Kockums e alla sua tore delegato Giuseppe Bono. Le due aziende, che hanno esperienza nei sottomarini una rilevanza strategica per il già collaborato per la produzione di sottomarini italiani paese. Così, SAAB ha acquisito il cantiere nel 2014 sotto U-212A attraverso una joint-venture dedicata, stanno la richiesta del governo svedese, disposto a «rinazionaanche valutando la possibilità di sviluppare congiuntalizzare» Kockums, probabilmente in cambio dell’acquimente le prossime generazioni del modello 212 (CD, sto di sottomarini A26. NG, SG, ecc.). Secondo Bono, un tale accordo «non è in contrasto con gli accordi con Naval Group, che viene Potenziali fattori di spinta sull’aggregazione tenuto sempre informato». Tuttavia, se la Francia e l’ItaCome già analizzato, i tentativi di perseguire l’intelia mettessero davvero a fattor comune le loro capacità grazione non possono essere guidati solo dall’industria nel settore sottomarino, e se Fincantieri dovesse un come avvenuto finora. Seguire le dinamiche del mercato giorno acquistare davvero TKMS, il rischio di rivedere significa concentrarsi sulla concorrenza per garantire la il canovaccio Kockums sarebbe alto (ma stavolta a sopravvivenza delle aziende. Questo significa che le danno dei tedeschi). Difficile che il governo tedesco conaziende sono costrette a mantenere la loro posizione sul senta una manovra del genere senza colpo ferire. mercato, o almeno a cercare di farlo, attraverso la comTutto ciò considerato, quali fattori potrebbero spinpetizione sugli appalti. Al fine di massimizzare le loro gere le imprese a preferire l’aggregazione, anche quando opportunità di vincere le gare, le aziende probabilmente questa non è necessariamente la soluzione più vantagmanterranno la loro preferenza per una cooperazione giosa in termini economici o industriali? Nel caso dei caso per caso con altre aziende europee. L’interesse a cantieri europei, i fondi europei non possono rivelarsi operare una tale scelta è che le aziende possono così efficaci. Poiché le aziende perseguono la diversificaidentificare i loro partner in base ai requisiti operativi e zione nella loro lotta per rimanere competitive, sarà paragli scenari a cui ogni gara dovrebbe rispondere, senza
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ticolarmente difficile identificare i sottosettori che potrebbero beneficiare di fondi europei come quelli che sono stati inseriti nel quadro finanziario pluriennale 2021-27. E, infatti, i cantieri europei hanno beneficiato molto meno degli altri settori (si pensi ai settori spaziale, aeronautico, elettronico) dei recenti finanziamenti europei dell’European Defence Fund (EDF). Come nel caso di altri settori europei della Difesa, le modifiche alla pianificazione strategica sono l’unico fattore di spinta praticabile per l’aggregazione. In particolare, per far sì che le aziende perseguano l’aggregazione piuttosto che la collaborazione, la pianificazione strategica dovrebbe andare di pari passo con almeno una qualche forma di forza europea congiunta, e le due dovrebbero essere il più possibile integrate. Un tale modello potrebbe invertire totalmente quello esistente, in quanto potrebbe cambiare le dinamiche a cui rispondono i cantieri in riferimento ai bandi pubblici per le FF.AA. Una pianificazione strategica aggregata, per esempio, anche se sarà focalizzata sull’aumento dell’efficienza, potrebbe portare alla moltiplicazione dei programmi, riducendo così la necessità per le aziende di competere per mantenere la loro posizione sul mercato.
Osservazioni finali In conclusione, nonostante i tanti tentativi di rispondere alle sfide globali, gli ostacoli principali all’aggregazione continuano a sussistere. In primo luogo, come di solito accade per ciò che riguarda il mercato europeo della Difesa, la mancanza di volontà politica influisce pesantemente sulla possibilità di cooperare meglio. L’istituzione di una pianificazione strategica integrata è il fattore di spinta più importante
che l’integrazione può avere, ma può avvenire solo se gli Stati europei decidono di seguire linee guida comuni e di perseguire obiettivi comuni di politica estera. In secondo luogo, come analizzato, i cantieri dovrebbero essere pronti a fare alcuni sacrifici se vogliono l’aggregazione. Per farlo, dovrebbero cambiare il loro punto di osservazione sull’argomento. Finora hanno considerato l’aggregazione come uno strumento per ridurre il numero di concorrenti, e quindi per migliorare la loro posizione sul mercato. Questo è stato il caso di Kockums, e potrebbe essere il caso di Fincantieri-TKMS. Se i cantieri europei volessero perseguire in futuro una vera integrazione europea, dovrebbero iniziare a pensare in termini sistemici, lavorando quindi per migliorare la posizione dell’intero settore cantieristico europeo, lasciando da parte il beneficio per ciascun cantiere. Questo può essere fatto attraverso un dialogo franco di ciascun grande cantiere con il proprio governo (spesso proprietario o co-proprietario) sui problemi interni di efficienza e occupazione. E questo andrebbe fatto a monte di qualunque negoziato, non a valle come finora accaduto, tentando di addebitare ad altri il costo delle proprie pecche (alto costo del lavoro, cantieri aperti a scopi quasi previdenziali, commesse pubbliche ad hoc). In sintesi, nonostante l’aggregazione dei cantieri navali potrebbe essere esistenziale per sopravvivere alla crescente concorrenza internazionale, le aziende e gli Stati europei continuano imperterriti a cercare di mantenere lo status quo. Una scelta che può essere fruttuosa per ogni cantiere a breve termine, ma che potrebbe essere letale per l’intero settore navale militare europeo in un periodo più lungo. 8
BIBLIOGRAFIA Marco Giulio Barone, Il procurement militare in Europa, RID – Rivista Italiana Difesa n.03/2021, pp.59-63. Marco Giulio Barone, Preclusive Purchasing, in Economic Warfare, Storia dell’Arma Economica, Quaderno 2017, Società Italiana Storia Militare (SISM), pp.515530, 2017. Eugenio Po, I dettagli dell’accordo tra Fincantieri e Naval Group, RID – Rivista Italiana Difesa n.12/2018, pp.42-45. Fabrice Wolf, German shipbuilding industry consolidates around Lurssen and GNY Kiel, while TKMS approaches Fincantieri, Meta-Defense, 19 maggio 2020. Nathan Gain, France, Italy Drop Chantiers De L’Atlantique/Fincantieri Merger Plan, Naval News, 28 gennaio 2021. Redazione della rivista Capital, Défense: un Airbus du naval” indispensable pour résister à la Chine, la Russie et la Corée?, Capital, 4 febbraio 2020. Hans Uwe Mergener, Fincantieri und TKMS setzen Kooperation fort: zwei weitere U-Boote für die Marina Militare, Europäischen Sicherheit und Technik, 1° marzo 2021. Michel Cabirol, Nous sommes sur une trajectoire de croissance (Pierre Éric Pommellet, PDG de Naval Group), La Tribune, 24 marzo 2021. I dati generali sulla cantieristica europea, disponibili al link: www.cesa.eu/the-industry. Documenti della Shipyards’ & Maritime Equipment Association of Europe in funzione della Strategia Industriale dell’Unione europea varata nell’ottobre 2019: www.seaeurope.eu/images/files/2020/position-papers/regulatory-affairs/technical-environment/SEA_Europes_Position_Paper_on_Industrial_Strategy_and_SME_ Strategy.pdf; https://www.seaeurope.eu/images/SEA_Europe_Press_Release_on_EU_Trade_Policy_Review_19_February_2021.pdf; https://www.seaeurope.eu/ images/files/2020/position-papers/trade-finance/sea-europe-response-to-eu-trade-policy-review.pdf.
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PRIMO PIANO
L’Unione europea e la sfida dell’autonomia strategica Stefano Felician Beccari (*)
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a diverso tempo in Unione europea sta prendendo piede il dibattito sulla cosiddetta «autonomia strategica», un concetto alquanto aperto e generale (1) che, in sostanza, dovrebbe permettere all’UE di poter essere capace, in futuro, di agire esternamente e internamente anche senza l’appoggio di eventuali partner internazionali. Questo concetto, alquanto immediato in linea teorica, è più complesso da declinare in termini pratici, e non solo per la dimensione «strategica» (ovvero di sicurezza e difesa) comunitaria. Il dibattito sull’autonomia strategica, a sua volta, è figlio di alcuni profondi cambiamenti geopolitici nel vicinato europeo che hanno reso Bruxelles più consapevole di alcune sue vulnerabilità. La futura autonomia strategica dell’UE sarà il frutto delle riflessioni sui cambiamenti complessi che stanno riguardando tutto il Vecchio continente, e non si può più analizzare con prese di posizione ideologiche («pro» o «contro») senza valutarne le ricadute strategiche, geopolitiche ma anche economiche e industriali. Per quanto ancora «in divenire», il dibattito sull’autonomia strategica si preannuncia come un argomento di primaria importanza nello scenario europeo.
Il contesto del cambiamento europeo
Il simbolo dell’euro davanti alla sede della Banca centrale europea a Francoforte (Mika Baumeister/Unsplash).
I fattori che stanno spingendo l’Unione europea (e gli Stati membri) a cercare un approccio più «autonomo» si possono sostanzialmente dividere in tre tipi di categorie, ovvero fattori esterni, interni e più specifici (ovvero più legati alla dimensione della sicurezza e difesa). La somma di questi elementi fa intravedere un contesto geopolitico fragile e incerto, nel quale all’UE (e ai suoi organi decisionali) viene chiesto di essere capace di «fare da sola» o quantomeno «essere autonoma» in tutto un insieme di campi in cui prima era più dipendente da partner e alleati. Naturalmente non tutti i fattori sono percepiti allo stesso modo nei vari Stati membri. I fattori esterni riguardano il contesto in cui l’UE è inserita e che, negli ultimi anni, si è notevolmente complicato, toccando quasi tutto il near abroad europeo, ovvero: — Russia/Crimea: l’occupazione manu militari della Crimea ha rinfocolato, soprattutto nella parte orientale dell’UE, la preoccupazione per le manovre di Mosca, già percepite come offensive negli Stati ex-membri dell’Unione Sovietica (come i paesi baltici) o in Polonia. Successivi episodi, quali il tentato assassinio di Skripal (2) in Gran Bretagna, la disinformazione di cui i media russi sono accusati o il recente caso Navalny (ennesimo oppositore «perseguitato» dal governo di Mosca) hanno solo contributo a peggiorare i rapporti con la Russia, e quindi (ri)accendendo antichi sospetti dell’era della Guerra Fredda; — Medio Oriente e Mediterraneo: la maggior preoccupazione per gli Stati meridionali dell’UE è la fragilità del contesto mediterraneo, ormai sotto gli occhi di tutti. A dieci anni dalle «primavere arabe» la «sponda Sud» è ben lungi dall’essere stabilizzata, mentre la ferita del conflitto in Siria e Iraq rimane ancora aperta. (*) Classe 1983, lavora al Parlamento europeo, a Bruxelles. Dopo la laurea in giurisprudenza cum laude ha proseguito gli studi con un dottorato finanziato da SMD nell’ambito del quale ha frequentato l’Istituto Alti Studi Difesa a Roma. Successivamente, ha lavorato presso il Senato della Repubblica e per molti anni al Centro Militare di Studi Strategici, dove si è occupato di Difesa europea e poi di Asia Pacifica. Ha all’attivo diversi articoli e monografie, e ha svolto lezioni in atenei e presso Forze armate italiane e straniere. Collabora con Rivista Marittima dal 2015.
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Più a est, nel c.d. «Mediterraneo allargato» si intravedono altre aree critiche (penisola arabica, Iran, Afghanistan) che non migliorano la percezione di sicurezza del fianco sud-est dell’UE; — Turchia: il complesso rapporto UE-Turchia ha uno status particolare, se non altro perché Ankara, almeno formalmente, ha ancora aperto il processo di adesione all’Unione europea, oltre a importanti rapporti commerciali e a livello di minoranze turche presenti in molti Stati membri. I recenti rapporti fra alcuni Stati membri e la Turchia sono stati talmente «idilliaci» che non si può omettere di citare la drammatica polemica esplosa fra i presidenti Macron ed Erdogan («spero che la Francia si liberi di Macron» citava France 24 riguardo al presidente turco) (3) a dicembre 2020, i problemi legati al conflitto Armenia/Azerbaijan, le questioni navali nel Mediterraneo (incluse le tensioni con Cipro e la Grecia) o l’attivismo turco in Libia, solo per fare esempi noti. La Turchia, partner importante per l’UE, i cui spazi di inclusione nella costruzione europea vanno in un certo qual modo sempre più restringendosi; — Artico: la sfida artica rappresenta un’altra possibile fonte di contenziosi non solo con la Russia, che costeggia buona parte del Polo Nord, ma anche con altri attori, quali la Cina, per il controllo delle linee marittime ma anche delle risorse; — Brexit: l’uscita della Gran Bretagna è stata un evento traumatico per l’Europa, anche questo spesso vissuto più con un approccio ideologico («pro/contro») che con il necessario pragmatismo. Nel primo anno di «uscita» della Gran Bretagna non sono mancate frizioni e scontri, anche a livello diplomatico (4); eppure, al di là degli screzi, Londra resta un partner militare e industriale di primissimo piano per l’Unione europea, e soprattutto per alcuni dei suoi Stati membri; — NATO: la celebre frase del presidente Macron sull’Alleanza Atlantica («morte celebrale») (5), per quanto di due anni fa, è indicativa di come anche il solido rapporto che esisteva fra l’Europa e la NATO si sia, in qualche modo, usurato. Permangono negli Stati membri percezioni diverse riguardo all’Alleanza Atlantica e al suo ruolo futuro ma, in ogni caso, è chiaro che il ruolo dell’Alleanza vada rilanciato («revitalizzato», nelle recenti parole del segretario di Stato statunitense) (6) nei prossimi anni, anche in parallelo a un rafforzamento delle capacità militari UE;
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— Stati Uniti: al di là della retorica di facciata, gli anni della presidenza Trump hanno in qualche modo «raffreddato» il clima fra le due sponde dell’Atlantico, anche se ogni amministrazione americana ha sottolineato — con toni e argomentazioni diverse — la necessità che gli europei aumentassero il loro livello di impegno nel settore della sicurezza e difesa. La nuova amministrazione Biden, per quanto abbia ammorbidito i suoi toni nei confronti di Bruxelles, non ha però segnato la cessazione delle intenzioni europee di rafforzare la propria sicurezza e difesa; — vaccini e pandemia: le grandi difficoltà emerse in Europa riguardo ai vaccini e alla loro produzione hanno spinto diversi Stati membri a orientarsi verso scelte extraeuropee (indebolendo così l’unitarietà di sforzi inizialmente auspicata da Bruxelles) o semplicemente ad aspettare le dosi, causando accesi dibattiti. Per quanto non si tratti di un tema di sicurezza e difesa in senso stretto, la sfida vaccinale ha assunto ormai una dimensione strategica per tutto il continente; — la crescita delle tensioni fra Stati Uniti, Russia e Cina evidenzia ancora di più le difficoltà dell’Unione europea a ritagliarsi un profilo «autonomo» in un ordine mondiale nel quale il multilateralismo sembra perdere sempre più appeal e margini d’azione. Specularmente ai fattori esterni, ve ne sono altri definibili interni, ovvero: — migrazioni: la questione migratoria (risultato anche della destabilizzazione dei paesi vicini all’UE) è divenuta ormai un tema centrale in tutti gli Stati membri
«La ricerca di un maggior coordinamento nel settore della sicurezza e difesa è visto come un tassello essenziale per la futura autonomia strategica dell’UE» (fonte immagine: rt.com).
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dell’UE, senza peraltro che si sia potuti giungere a una vera risposta coordinata. La polarizzazione del dibattito su questo argomento continua ad alimentare divisioni nel blocco continentale; — terrorismo: il ripetersi di episodi efferati in molti paesi europei (oltre alla questione dei c.d. foreign fighters) ha profondamente inciso sulla percezione di sicurezza dei cittadini; — disinformazione/dominio cibernetico: per quanto non classificabili come una minaccia strettamente «interna», l’aumento di attività in questi domini è ormai interpretato come un fenomeno non più di sola rilevanza criminale, ma come una vera e propria forma di minaccia precisamente indirizzabile verso certi tipi di «bersagli», anche istituzionali, di primaria importanza. Per dare un’idea della delicatezza dell’argomento, basti pensare che lo stesso Parlamento europeo ha creato in questa legislatura una commissione temporanea che si occupa di «interferenze straniere» e disinformazione (Special Committee on Foreign Interference in all Democratic Processes in the EU, abbreviazione inglese INGE) (7); — tecnologia: rispetto ad altri player mondiali l’UE, per quanto disponga di una base tecnologica e di ricerca molto avanzata, rimane esposta a dipendenze nei confronti di tecnologie e fonti energetiche di paesi terzi; esiste infine un insieme terzo di fattori, più specificamente inerenti il settore della sicurezza e difesa, che riguardano intrinseche difficoltà di questo settore a livello europeo. Non ci sono solo i già menzionati problemi di tipo giuridico (l’UE ha competenze molto limitate) o i problemi fra gli Stati membri; se si scorrono i dati degli equi-
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paggiamenti militari disponibili nei vari arsenali, è immediato riscontrare una notevole frammentazione delle tecnologie e dei sistemi d’arma a disposizione dei vari strumenti militari, nonché una debolezza intrinseca del mercato interno della difesa, ancora molto «nazionale» e poco «europeo». La ricerca di un maggior coordinamento nel settore della sicurezza e difesa è visto come un tassello essenziale per la futura autonomia strategica della UE. Per navigare in queste acque è logico che l’UE debba mettere in campo dei nuovi strumenti capaci di gestire un mondo che è molto cambiato in pochi anni. Ecco perché mentre si moltiplicano gli interrogativi, Bruxelles sta avviando una serie di riflessioni (e di conseguenti azioni) per rafforzare una propria capacità «autonoma» di azione in un mondo in cui la competizione e il disordine sembrano crescere invece che diminuire. L’autonomia strategica si dovrebbe porre come logica risposta a questi vari interrogativi.
Autonomia strategica «obiettivo numero uno della nostra generazione»: un’Europa solo verde o ... verde militare? Se si pensa al «cavallo di battaglia» per eccellenza dell’UE, ovvero al programma più importante presentato dalla Commissione europea, il riferimento non può che essere al c.d. «green deal», ovvero l’ambizioso piano con cui l’UE punta alla neutralità climatica nel 2050, attraverso un corposo insieme di atti normativi che andranno ad abbattere le emissioni responsabili dell’inquinamento (8). La sfida al cambiamento climatico, molto avvertita anche dalle opinioni pubbliche, è ormai un vero e proprio leitmotiv dell’UE, e ben si presta all’immagine multilaterale e ambientalista che è molto cara alla retorica ufficiale di Bruxelles. È perfettamente normale che le amministrazioni dell’UE concentrino il loro focus su azioni politiche che ritengono prioritarie; conseguentemente, per questo mandato (2019-24) sembra che la sfida «verde» sia la priorità della Commissione europea. Ma a latere del green deal e della cospicua retorica sull’ecologia, vanno anche evidenziati alcuni «nuovi» ambiti di intervento della Commissione che fino a pochi anni fa sarebbero stati considerati marginali o quasi accademici. I riferimenti sono sottili, e magari non così presenti nei media, ma inequivocabili. Ursula von der Leyen, per esempio, ha inaugurato il suo mandato dichiarando la volontà di avere una «Commissione
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geopolitica» (9), ovvero con una forte attenzione alla dimensione esterna dell’UE; ma già nel precedente mandato (2014-19) non erano mancati diversi riferimenti dell’allora presidente Juncker a un’Europa «che difende e protegge», come da lui stesso affermato in un importante discorso del 2016 (10). E proprio dagli anni 2016-17 si può identificare un crescente aumento di dichiarazioni e iniziative a favore di una maggior «autonomia» dell’UE (anche) nel campo della sicurezza e della difesa, prima come noto tema escluso dal dibattito. Il concetto che riassume al meglio questo anelito comunitario è il termine «autonomia strategica», già inizialmente presente in alcuni documenti della precedente legislatura e oggi praticamente onnipresente nel dibattito delle istituzioni, tanto da essere stato chiamato «l’obiettivo numero uno della nostra generazione, il vero inizio dell’Europa del XXI secolo» (11) dal presidente del Consiglio Charles Michel. L’affermazione di questo concetto da parte di importanti figure di vertice europee e il parallelo emergere dello stesso dibattito anche in altre sedi (uno dei più forti sponsor di questo concetto è il presidente francese Macron) hanno «sdoganato» un argomento che per molti anni era solamente percepito come teorico. Grevi, per esempio, ricorda che già nella dichiarazione di St. Malo si affermava che «l’UE dovrebbe avere una capacità di azione autonoma, supportata da forze militari credibili» (12). Più recentemente, il concetto di «autonomia strategica» appare nella global strategy dell’Unione europea (2016) un documento politico, ma sul quale poi si orientano le scelte di politica estera di Bruxelles. Nel testo, viene indicato che «un livello appropriato di ambizione e di autonomia strategica è importante per la capacità dell’Europa di promuovere la pace e la sicurezza dentro e fuori i suoi confini», apparentemente legando il concetto dell’autonomia strategica alla dimensione più «militare» dell’Unione europea (13). Questa, a prima vista, può sembrare la soluzione più semplice per descrivere questo concetto: l’Unione europea ha sempre avuto un gap nella dimensione della sicurezza, e l’autonomia strategica si pone come la risposta a questo gap. Eppure, scorrendo diversi altri documenti e articoli in materia, si riscontra che all’apparente immediatezza del concetto non corrisponda un’automatica unanimità nella sua teorizzazione: anzi, le interpretazioni sono diverse, a partire dal nome stesso «autonomia strategica» («parole familiari di nuovo in voga in
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Europa, ma che causano confusione e, in certe parti, anche allarme», sottolinea Fiott) (14). La Francia (e lo stesso Macron), per esempio, preferisce parlare di «sovranità europea», anche se lo stesso Presidente francese, in un video pubblicato da Le Figaro nel 2020, afferma che l’autonomia strategica sia un mezzo per conseguire la sovranità europea (15). Al di là del dibattito sui nomi, però, resta il problema di «quali» obiettivi si ponga l’UE nel nome di questa autonomia e su quali ambiti si estenda. Il Green Deal con maggior visibilità e l'autonomia strategica in modo più defilato saranno, quindi, importanti politiche dell'attuale Commissione europea, e destinati anche a toccarsi in diversi punti, nonostante la loro apparente diversità.
Gli ambiti dell’autonomia strategica Se il dibattito sull’autonomia strategica è già ampio e presente sia nel contesto accademico che istituzionale, occorre vedere come e dove si possano estrinsecare in futuro gli effetti di questa ambizione europea. Per comodità si possono riassumere in due ambiti: l’autonomia strategica nella sua dimensione geopolitica («autonomia» da chi, e per quale ruolo nello scenario globale?) e nella sua dimensione interna («autonomia strategica» solo nel settore della sicurezza e difesa?). Il primo, di natura geopolitica, vede la progressiva «autonomizzazione» dell’UE come un processo per conseguire una «libertà di azione» a livello globale che fino a oggi non era possibile. Questo maggior margine di manovra, secondo le intenzioni di alcuni, va visto in chiave non di rivalità ma di affrancamento non solo da competitor come Russia e Cina, ma anche dagli Stati Uniti; anzi, molti accademici concordano come siano stati gli anni della presidenza Trump a confermare la necessità per l’UE di iniziare ad affrancarsi anche dagli Stati Uniti, pur mantenendo un legame privilegiato con Washington e, nel contempo, non rinunciando a un approccio multilaterale alle relazioni internazionali («il multilateralismo non solo è la “pietra angolare” delle politiche esterne europee [...] ma è un fattore identitario dell’Unione Europea» (16), ricorda O’Sullivan). L’UE, non per ora, non intende rinunciare al suo tradizionale approccio multilaterale, ma ha acquisito coscienza che, per incidere oltre le proprie frontiere, i mezzi «classici» finora utilizzati, incluso l’affidamento agli Stati Uniti come partner prin-
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terzi in piena pandemia (si pensi a mascherine, ventilatori cipale per la propria sicurezza, potrebbero non bastare. polmonari e dispositivi medicali, o ai vaccini), l’UE sconta L’UE sicuramente non si porrà come un attore unipolare, anche una serie di ritardi in settori cruciali per la ripresa. né intende recidere i legami con gli Stati Uniti o la Nei settori industriali, per esempio, la dipendenza europea NATO; eppure, ormai «fare da soli» non è vista più come da materiali critici (comprese le terre rare) e dalle batterie un’opzione di scuola a Bruxelles. Naturalmente, il dibatè una seria ipoteca sul green deal, cardine politico-econotito fra gli Stati membri è acceso; in un recente articolo mico della Commissione presieduta da von der Leyen: Brzozowski, per esempio, cita la preoccupazione di Bersenza una completa e costante disponibilità di questi malino («la sovranità europea non significa “Europa teriali (quasi tutti in mano a paesi terzi, o comunque forniti First”») (17) sull’intenzione francese di procedere su una da paesi terzi), per esempio, l’elettrificazione e la decarsovranità strategica «troppo esclusiva», che privi l’UE bonizzazione potrebbero subire dei forti ritardi. Nel settore del suo approccio cooperativo; altri Stati membri vedono tecnologico (per esempio il 5G), la stampa ha dato ampio con freddezza questo «attivismo» europeo, o quantomeno spazio alle critiche di alcuni lo tollerano finché non vada Stati europei verso operatori a ledere i rapporti con Watelefonici accusati di essere shington o non intacchi «controllati» da paesi terzi; lo troppo certe posizioni naziostesso commissario Breton nali (si pensi ai paesi norha poi ribadito che «elementi dici). Altri infine contestano chiave per la sovranità digila natura «protezionista» tale [europea]» sono «tre pidell’autonomia strategica rilastri [...], computing power, spetto alla classica «apertura controllo sui dati e sicurezza al mercato» perseguita da delle connessioni» (19). Nel Bruxelles. Il piano geopolisettore energetico, la ridutico dell’autonomia stratezione della dipendenza da gica rimane quindi ancora fonti fossili (e la conseguente aperto e costellato da diversi La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen alla enfasi per l’elettrificazione e interrogativi, in attesa di più presentazione del cosiddetto «green deal» europeo (ispionline.it). l’idrogeno) non ha solo una chiara determinazione. valenza ambientale, ma è intesa anche a diminuire le vulÈ forse più semplice individuare gli assi portanti del senerabilità connesse ai paesi terzi fornitori. Nel settore comcondo ambito, ovvero quello interno all’UE. Sebbene il merciale online durante la pandemia si è fatta sentire la termine «autonomia strategica» richiami una dimensione mancanza di player mondiali di provenienza europea; e inpiù «militare» o comunque legata alla difesa, è opinione fine, nel settore della sicurezza e difesa l’UE sta cercando diffusa che un’interpretazione così restrittiva sia da rigetdi incentivare la cooperazione industriale fra gli Stati con tare, o quantomeno non abbracci tutto il vasto insieme di un programma ad hoc detto Fondo Europeo per la Difesa settori in cui questa autonomia possa essere declinata. (European Defence Fund o EDF), definito «un contributo Anzi, ricorda Lefebvre, il concetto di autonomia strategica cruciale per l’autonomia strategica europea, per protegindica «l’abilità di agire autonomamente quando e dove gere e difendere i cittadini» (20). necessario, e con dei partner quando possibile» (18), senza implicazioni «militari» in senso stretto. Se la mancanza di «autonomia» europea nel settore della sicurezza e difesa è Sviluppi futuri forse una delle lacune più immediate, vi sono altrettanti Il cospicuo insieme di documenti accademici e i prinambiti in cui l’UE al momento si trova in condizioni di licipali interventi sul tema nelle sedi istituzionali nazionali mitati margini di azione. Senza scomodare le cronache ree comunitarie confermano sempre più come l’autonomia centi, che hanno visto l’intera Europa dipendere da soggetti strategica e il complesso dibattito a essa connesso resterà
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un elemento centrale di questa legislatura europea; in più, la predisposizione di appositi atti normativi (ius cogens) e quindi relativi stanziamenti dedicati a settori quali la difesa o altri che toccano temi cruciali per il futuro dell’economia europea (batterie, idrogeno o materiali critici, per esempio) indicano come a Bruxelles siano cambiati i tempi. Quello che prima era oggetto di teorie, oggi invece inizia a essere attuato con atti normativi e relativi fondi, segno di come la costruzione di una maggior «autonomia» europea sia, a suo modo, in moto. Naturalmente le dinamiche europee seguono cicli tendenzialmente lunghi, per cui le evoluzioni di oggi si potevano già «leggere» in controluce nelle attività della scorsa legislatura: programmi specifici per la difesa, come l’EDF, sono delle pietre miliari non solo per l’industria, ma proprio per l’affermazione «politica» dell’UE di iniziare a compiere un cammino capace di rafforzarla in molti comparti, per renderla più «autonoma» nelle sue decisioni. Le parole ambiziose espresse da molti leader europei e addirittura da figure di vertice degli Stati membri, però, devono scon-
trarsi con una realtà europea ancora alle prese con gli effetti della pandemia e forse disattenta alle molte implicazioni dell’autonomia strategica. Allo stesso tempo, accelerare troppo su questo crinale rischia di essere molto rischioso, perché non è un mistero che molti dei temi più cruciali dell’autonomia strategica toccano argomenti che gli Stati membri spesso e volentieri interpretano come loro «dominio riservato». È chiaro però che il dibattito sull’autonomia strategica e sul perseguimento di specifiche iniziative per tentare di colmare determinate lacune dell’UE è ormai avviato, e non toccherà solo tematiche strettamente connesse ai domini di sicurezza e difesa. Mentre gli scenari intorno al Vecchio continente cambiano con rapidità, toccherà anche agli Stati membri essere capaci di contare e contribuire a queste decisioni che l’Unione europea sta mettendo in campo. Se il green deal continuerà a catalizzare le attenzioni dell’opinione pubblica e della stampa, l’autonomia strategica (e le sue ambizioni), per quanto meno mediatica, rimarrà presente nelle agende di Bruxelles, e come tale andrà seguita con attenzione. 8
NOTE (1) P. Tamma, Europe wants «strategic autonomy» - it just has to decide what that means, politico.eu, 15 ottobre 2020, www.politico.eu/article/europe-trade-wants-strategic-autonomy-decide-what-means. (2) M. Schwitrz, E. Barry, A Spy Story: Sergei Skripal Was a Little Fish. He Had a Big Enemy, New York Times, 9 settembre 2018, www.nytimes.com/2018/09/09/world/europe/sergei-skripal-russian-spy-poisoning.html. (3) France 24, Erdogan expresses hope that France will «get rid of Macron» as soon as possible, 4 dicembre 2020, www.france24.com/en/middle-east/20201204-erdogan-expresses-hope-that-france-will-get-rid-of-macron-as-soon-as-possible. (4) C. Ducortieux, J.P. Stroobants, Londres refuse le statut d’ambassadeur à l’émissaire de l’UE au Royaume-Uni, Le Monde, 22 gennaio 2021, www.lemonde.fr/international/article/2021/ 01/22/londres-refuse-le-statut-d-ambassadeur-a-l-emissaire-de-l-ue-au-Royaume-Uni_6067216_3210 .html. (5) The Economist, Emmanuel Macron warns Europe: NATO is becoming brain-dead, 7 novembre 2019, www.economist.com/europe/2019/11/07/emmanuel-macronwarns-europe-nato-is-becoming-brain-dead. (6) M. Peel, Blinken pledges to «revitalise» NATO in break with Trump-era tensions, Financial Times, 23 marzo 2021, www.ft.com/content/80256bb1-3ff7-402d-b45a4743dc206eb7. (7) European Parliament, New committees begin their work, 23 settembre 2020 www.europarl.europa.eu/news/en/press-room/20200918IPR87423/new-committees-begintheir -work. (8) European Commission, A European Green Deal, https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en. (9) L. Bayer, Meet von der Leyen’s «geopolitical Commission», politico.eu, 4 dicembre 2019, www.politico.eu/article/meet-ursula-von-der-leyen-geopolitical-commission. (10) European Commission, Discours sur l’état de l’Union 2016: Vers une Europe meilleure - Une Europe qui protège, donne les moyens d’agir et défend, 14 settembre 2016, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/fr/SPEECH_16_3043. (11) European Council, Plan de relance: un plan pour l'autonomie stratégique de l’Europe Discours du Président du Conseil européen Charles Michel à l'occasion du Forum économique de Bruxelles, 8 settembre 2020, www.consilium.europa.eu/fr/press/press-releases/2020/09/08/recovery-plan-powering-europe-s-strategic-autonomy-speechby-president-charles-michel-at-the-brussels-economic-forum. (12) G. Grevi, Strategic autonomy for European choices: the key to Europe’s shaping power, European Policy Centre, 2019, p.10. (13) European Commission, European Union Global Strategy, 2016, https://eeas.europa.eu/archives/docs/top_stories/pdf/eugs_review_web.pdf. (14) D. Fiott, Strategic autonomy: towards «European sovereignty» in defence?, ISS, 2018. (15) Le Figaro, Emmanuel Macron: renforcer notre autonomie stratégique, 24 maggio 2020, https://video.lefigaro.fr/figaro/video/emmanuel-macron-renforcer-notre-autonomie-strategique/ 6151652923001. (16) D. O’Sullivan, The European Union and the multilateral system: lessons from past experience and future challenges, European Parliament Research Service, 2021, www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document.html?reference=EPRS_BRI(2021)689365. (17) A. Brzozowski, EU should avoid «Europe First» approach, German FM says, Euractiv, 20 agosto 2020, www.euractiv.com/section/global-europe/news/eu-shouldavoid-europe-first-approach-german-fm-says. (18) M. Lefebvre, Europe as a power, European sovereignty, strategic autonomy: a debate that is moving towards an assertive Europe, European Issue 582, Fondazione Robert Schuman, 2021, www.robert-schuman.eu/en/european-issues/0582-europe-as-a-power-european-sovereignty-strategic-autonomy-a-debate-that-is-moving-towards-an. (19) EUROPEAN COMMISSION, Europe: the keys to sovereignty, 2020, https://ec.europa.eu/commission/commissioners/2019-2024/breton/announcements/europe-keys-sovereignty_en (20) European Commission, European Defence Fund, https://ec.europa.eu/growth/sectors/defence /european-defence-fund_en. Vi sono molte altre iniziative specifiche al settore della sicurezza e difesa, compreso il predecessore dell’EDF, ovvero l’European Defence Industrial Development Programme (EDIDP) o la Cooperazione Strutturata Permanente o PESCO. È interessante che proprio in vista di questi programmi specifici, e per proseguire in questo ambito, la Commissione europea abbia creato una Direzione Generale Industria e Spazio (DG Defis), https://ec.europa.eu/info/departments/defence-industry-and-space_en.
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PRIMO PIANO
UE E NATO contro la proliferazione delle armi biologiche MONITORAGGIO NELL’INDUSTRIA DELLA DIFESA
Paola Giorgia Ascani
I
l binomio tra scienza/tecnologia e settore militare dimostra quanto può essere sottile il confine tra scoperta per l’umanità e contro di essa. Nel I secolo d.C., Frontino, governatore romano della Britannia, sosteneva che l’invenzione delle armi da guerra (opere e i meccanismi) fosse «ormai da tempo perfezionata», sicché suggeriva, come «nuovi modi d’arte», gli stratagemmi indicati nelle sue opere, per condurre gli assalti (1). L’affermazione del valoroso Comandante era corretta per il suo tempo, ma ingenua e inevitabilmente priva di lungimiranza, poiché non poteva tenere conto delle variabili del progresso tecnologico e della ricerca scientifica che il mondo contemporaneo si trova, invece, a gestire. Oltre a determinare primazìe governative nazionali e transnazionali, queste due variabili hanno inciso e continuano a incidere molto, proprio nell’universo militare, dove stanno cambiando il modo di gestire, o prevenire, i conflitti, in forza della numerosa e variegata disponibilità di armamenti che ormai circolano per il mondo, in forma convenzionale e non.
Avvocato del Foro di Roma dal 2006, esercita prevalentemente in campo penale e tutela dei diritti umani. Patrocinante dinanzi la Suprema Corte di Cassazione e giurisdizioni superiori. Membro della Commissione diritto e procedura penale del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, ha pubblicato con la casa editrice Giuffrè contributi sulla disciplina dei contratti, brevetti e marchi e proprietà intellettuale. È stata tutor e membro del direttivo della Camera penale di Roma e del Centro studi Alberto Pisani. Ha curato, sotto il profilo giuridico e legale, progetti foto-editoriali in materia umanitaria e internazionale. È consulente giuridico e forense del Circolo del ministero degli Affari Esteri.
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Il biennio 2020-21 ha visto, e vedrà, importanti ricorrenze proprio nel panorama delle armi non convenzionali che più di ogni altro settore incarna e risente del binomio scienza/armamenti, con le armi NBCR (Nucleari-Biologiche-Chimiche-Radiologiche) (2). È intuitivo che un’arma particolarmente tecnologica di ultima generazione può recare con sé vantaggi e problematiche, non solo di tipo tecnico, ma soprattutto etico e giuridico che, infatti, animano preoccupati dibattiti nella comunità legale internazionale, nel tentativo di bloccarne l’utilizzo, creando parametri ossequiosi delle norme già in vigore o apprestandone delle nuove da plasmare sulle tipologie che si affacciano sul campo. Il nodo della questione è che le armi tecnologicamente avanzate si caratterizzano per avere, fra l’altro, potenziali distruttivi molto maggiori rispetto a quelle convenzionali e, come tali, non sono in grado di salvaguardare i diritti dei civili, violando così i principi cardine del diritto internazionale, sotto il profilo umanitario. Per questo le armi biologiche sono, a tutti gli effetti, catalogate tra le armi di distruzione di massa - ADM, in grado di instaurare conflitti onnidistruttivi che coinvolgono tutta la popolazione, anche all’interno dei propri confini (3). I lavori delle organizzazioni e istituzioni internazionali, al momento, sembrano rivelare un approccio olistico che tiene conto di tutti i fattori in gioco, per arrivare a una soluzione che consenta al campo militare di rimanere impermeabile allo sviluppo e al progresso delle bio-tecnologie, della robotica e dell’intelligenza artificiale (AI nell’acronimo inglese), disciplinando nel modo più stringente e connesso alla realtà soprattutto il dual use. Purtroppo, la maggior parte degli obiettivi sono ancora insoluti, lasciando la materia priva di una disciplina specifica efficace, che permetta, per esempio, di individuare con certezza le violazioni e comminare le sanzioni agli Stati che vi incorrano, per la mancanza di Autorità di vigilanza dotate di reali poteri istruttori e ispettivi. Che vi sia stata finora una falla, in tal senso, è testimoniato dalle innumerevoli volte (Afghanistan, Balcani, Siria, Iran, Iraq, per citare i casi più recenti) in cui l’ONU si è trovata a condannare, o dover svolgere indagini, sull’uso di queste armi. «Il binomio tra scienza/tecnologia e settore militare dimostra quanto può essere sottile il confine tra scoperta per l’umanità e contro di essa». Nell’immagine: sistema di sviluppo avanzato per analizzare e monitorare le armi di distruzione di massa denominato BAE (laran.it).
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La IX Conferenza di Riesame della Convenzione sulle armi biologiche negli studi preparatori Parlare di armi biologiche quando da oltre un anno la comunità globale è stretta nella morsa di una pandemia e con la pro-
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spettiva, già svelata da parte degli scienziati, che sia solo la prima del millennio, è sicuramente suggestivo. La comparsa del virus SARS-CoV-2 di accertata natura zoonotica, da un lato, ha stimolato la fantasia, sfociando in diverse derive interpretative decisamente più attinenti a scenari letterari distopici che alla realtà di ciò che è accaduto sul serio; dall’altro, ha permesso all’umanità di confrontarsi, concretamente, con le diverse criticità legate ai possibili utilizzi di armi non convenzionali di tipo biologico, rinsaldando le ragioni per cui, finora, esse siano rimaste nelle retrovie dei si- Il Trattato per la proibizione delle armi nucleari è entrato in vigore a gennaio 2021 (startmag.it). stemi di armamento di tutte tora l’impatto delle nuove tecnologie sull’industria della le potenze. Purtroppo, in questi anni, è rimasta nelle reDifesa. L’ultimo documento Science & Technology trovie anche la creazione di un’efficace normativa in Trends: 2020-2040, elaborato dal NATO Science & Temateria, che uscisse dall’ombra di ammissibilità delle chnology Organization Office of the Chief Scientist (4), politiche di deterrenza e sancisse, nero su bianco, il diindividua nella biologia sintetica il punto cruciale su cui vieto di sviluppo di tali armi. Sotto questo profilo, si aul’Alleanza deve porre attenzione. Il timore è che i prospica che i lavori della IX Conferenza di Riesame della gressi scientifici nel campo della biotecnologia potrebConvenzione sulle armi biologiche, che si terrà proprio bero appetire attori ostili, inducendoli a sviluppare armi quest’anno, finalmente possa spingere la comunità inbiologiche, ignorando i limiti giuridici ed etici, che fiternazionale a un aggiornamento del corpus legislativo, nora ne hanno impedito l’utilizzo. Gli autori del rapormai atteso da decenni e istitutivo del regime di preporto sostengono che le nuove tecnologie permettono venzione di ogni possibile sviluppo di armi biologiche. ormai di creare nuovi agenti biologici modificabili in I lavori preparatori della Conferenza sono partiti già modo strumentale per ottenere il massimo stress di apnel 2019, ma in questa occasione, il consesso scientifico parati medici e logistici, occorre che gli Alleati preninternazionale dovrà compiere uno sforzo nuovo e dedano atto di queste nuove sfide per la salute e la cisivo e potrà disporre, come mai è stato prima, di dati sicurezza. Per comprendere appieno la possibile rilereali, con cui tradurre i rischi connessi all’evoluzione e vanza dell’impiego di biotecnologie a scopo offensivo, al possibile impiego nel settore militare delle tecnologie basta considerare che un attacco perpetrato tramite genetiche, in norme che obblighino ciascun governo a agenti patogeni, sarebbe in grado sia di colpire l’uomo, impegnarsi, fattivamente, sullo scenario sovranazionale sia settori vitali della vita collettiva (pensiamo al settore e, in primis, nella propria legislazione nazionale. Malagroalimentare), e potrebbe giustificare l’applicazione grado il panorama giuridico lacunoso, la NATO moni-
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dell’art. 5 del Trattato Nord Atlantico, quindi una risposta militare globale. Allo stato attuale, vi sono una serie di norme che, anche in modo combinato disposto, vietano l’uso delle armi chimiche e biologiche, sanzionato altresì dall’art. 8(2)(b)(xx) dello Statuto della Corte Penale Internazionale (5), ma la maggior parte di esse necessita di un aggiornamento. La stessa Convenzione sulle armi biologiche in vigore dal 1975, andrebbe modificata innanzitutto nel senso di introdurre il divieto assoluto ed esplicito di sviluppare agenti patogeni, i quali, seppur possiedono acclarata e lecita utilità per scopi pacifici, possono tuttavia essere oggetto di modifica e proliferazione, diventando armi biologiche a tutti gli effetti, come sottolineato dal documento NATO, che sollecita gli Stati a monitorare i progressi della biotecnologia. La risposta dei paesi atlantici potrebbe risiedere nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, con cui monitorare, individuare e difendersi dalle minacce CBRN, malgrado anche lo sviluppo di strumenti ad AI si presti a usi incongrui, sanzionabili a livello giuridico. Sotto questo aspetto, i profili di rischio sono stati messi in luce, già venti anni fa, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità - OMS che, incrociando i dati relativi ai più recenti sviluppi scientifici, ha concluso che potrebbero facilitare attacchi bio-terroristici con conseguenze enormi (6). Più di recente, anche l’Università di Cambridge, nel Global Catastrophic Biologica risk (7), giunge alle stesse conclusioni e individua proprio nell’incontro tra AI e ingegneria genetica, la possibilità di realizzazione di pericolose armi biologiche c.d. intelligenti. Nello studio inglese, si formula l’ipotesi che sarebbe ormai possibile creare armi biologiche in grado di ragionare per obiettivi, ovvero cambiare in modo autonomo strategia di attacco secondo le circostanze, per raggiungere il risultato (8). In questo senso, lo studio ipotizza che una simile arma biologica sarebbe in grado di perpetrare attacchi mirati ad alcuni gruppi etnici, utilizzandone e modificandone adeguatamente il genoma, esattamente come si è cercato, sempre intervenendo sul genoma, di distruggere la malaria, modificando geneticamente le zanzare al fine di ridurne la capacità diffusiva virale. Da qui, l’ulteriore monito conclusivo dello studio inglese, nel quale si invitano i governi a predisporre rimedi, prima che accada l’irreparabile. Allo
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stesso tipo di risultati arriva il rapporto SIPRI - Stockholm International Peace Research Institute (9), mettendo a confronto produzione additiva e bioprinting 3D per comprendere meglio quali rischi siano legati alla relazione tra tutte le nuove tecnologie in campo biogenetico e tecnologico (stampa 3D, AI, robotica) e possibile produzione di nuove armi biologiche. La valutazione dell’impatto evidenzia, attualmente, un rischio ancora moderato di proliferazione di armi biologiche purché, avvertono gli autori del Rapporto, le autorità internazionali elaborino programmi di monitoraggio sistematico degli sviluppi tecnologici, acquistino un’accresciuta consapevolezza dei rischi e delle possibilità, e avviino l’autoregolamentazione del settore privato, affinché la soglia del rischio non aumenti e vada fuori controllo. Il panorama generale è, come si vede, serio, ma non allarmante. Ciò che ci si aspetta dalla comunità internazionale alla IX Conferenza di riesame in programma è che prenda in carico le criticità messe in luce, e appresti una legislazione in materia adeguata alle caratteristiche di un mondo globalizzato.
Il corpus giuridico internazionale vigente Sebbene l’aspettativa nei confronti delle autorità internazionali è che affinino un’azione preventiva in grado se non proprio di azzerare, almeno di diminuire in modo rilevante il rischio di sviluppo di armi biologiche, va ammesso che si tratta di un’operazione tutt’altro che semplice, soprattutto sotto il profilo della biologia sintetica. Il punto debole è proprio l’ambivalenza civilemilitare dei progressi biologici che non permette in sé di prevedere tutti i possibili malevoli utilizzi conseguenti agli studi leciti sugli agenti patogeni e le tecnologie future. Questo è il motivo per cui nella stessa Convenzione sulle armi biologiche del 1975, uno dei capisaldi nella disciplina sul divieto di armi biologiche assieme al Protocollo di Ginevra del 1925, si è scelto di non vietare lo sviluppo tout court di agenti patogeni, ma solo il loro utilizzo per finalità militari, sancendo il principio della c.d. intenzione d’uso. Anziché stilare una tabella il più possibile esaustiva delle tossine e degli agenti vietati, nella Convenzione si trovano elencati gli scopi permessi e quelli non consentiti. La questione relativa alle armi biologiche, in buona sostanza, segue la
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tifiche, la minaccia biologica, è sempre rimasta un passo indietro rispetto a quella nucleare, che sicuramente vanta la più ampia normazione tra tutte. La minaccia biologica si è concretizzata tardivamente perché le tecnologie adatte a utilizzare gli agenti patogeni hanno impiegato più tempo a evolversi. Si assiste alla nascita di una vera e propria biologia militare, solo all’imbrunire del Secondo conflitto mondiale. Il primo accenno di disciplina si ha nel Protocollo di Ginevra del 1925, all’indomani della Prima guerra mondiale, per assimilazione alle armi chimiche. Quello che poteva sembrare un vantaggio, oggi, trascorso praticamente un secolo, è una criticità che rende il settore molto vulnerabile e con una La stampa biologica di un orecchio umano per un trapianto. L’inchiostro biologico usa cellule coltivate grave serie di lacune normative. Le del paziente per assicurare la compatibilità tissutale (CollPlant, Israele). previsioni sono rimaste sostanzialmente quelle di allora, tranne le modifiche apportate, nel storia dell’uomo e della sua evoluzione, sia tecnologica 1972, dalla Convenzione sulle armi biologiche. che bellica. Nell’antichità, erano già note tecniche di Il Protocollo, proibisce (sia per le armi chimiche che conflitto con metodi non convenzionali. Le tecniche con batteriologiche) soltanto l’uso, lasciando ammissibili cui gli Assiri avvelenavano i pozzi nemici con la segale produzione, sviluppo, detenzione e accumulazione. Il ricornuta, e Solone di Atene le riserve idriche con elleferimento a metodi di guerra batteriologica nel Protoboro, tra IV e V secolo a.C., erano ovviamente rudimencollo di Ginevra è contenuto tuttavia solo nel nome tali in quanto studiati in base alle risorse disponibili, ma completo del documento, Protocol for the Prohibition mostrano come l’inclinazione a creare armi in grado di of the Use in War of Asphyxiating, Poisonous or other colpire il nemico il più possibile appartiene da sempre Gases, and of Bacteriological Method of Warfare, ma all’umanità. non ci sono norme ad hoc nel testo. Si tratta quindi di Fino ai giorni nostri sono molteplici gli esempi, ma un riferimento puntuale che, per l’epoca, fu un’intuidopo il Secondo conflitto mondiale, con il cambiamento zione del futuro da parte della comunità internazionale, della società e dei metodi di produzione è cambiato il nel momento in cui ancora non esisteva la minaccia conpotenziale distruttivo diventato nettamente superiore ricreta, ma i progressi tecnologici dell’industria bellica spetto al passato e ora in grado, potenzialmente, di annon convenzionale la lasciavano presagire. Potremmo nientare il genere umano tutto. Di fronte al pericolo di dire oggi, che la comunità internazionale avrebbe ancora mettere a punto e far proliferare armi di distruzioni di bisogno di quella lungimiranza per adottare normative massa, la cooperazione internazionale è parsa da subito adeguate al panorama scientifico attuale e futuro e per lo strumento più adatto ad affrontare e contenere i rischi. allineare finalmente il campo giuridico a quello biotecSono nati così i diversi accordi e trattati internazionali nologico. Negli anni della Guerra Fredda gli arsenali sottoscritti in materia di armi CBNR. Nell’ambito delle delle più grandi potenze sullo scenario celavano anche armi di distruzione di massa frutto di operazioni scien-
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armi biologiche; il pesante utilizzo di agenti patogeni nella guerra del Vietnam, costrinse il presidente americano Nixon, sotto pressione dell’opinione pubblica mondiale, a distruggere i propri armamenti biologici e questa decisione viene classificata come l’evento ufficiale che portò alla Convenzione (10) del 1972, primo accordo internazionale contro le armi biologiche. La Convenzione sulle armi biologiche e le tossine - BTWC, fu sottoscritta infatti nel 1972, entrò in vigore nel 1975 e consta di 15 articoli. Anch’essa non escluse lo sviluppo di agenti patogeni e tossine dalle attività consentite, ammettendolo per giustificati motivi di profilassi, protezione (studio degli antidoti) o altri fini pacifici (art. I). La Convenzione mantiene le previsioni in linea col Protocollo di Ginevra, rispetto al quale ha una funzione integrativa e per nulla innovatrice. Dall’insieme normativo dei due documenti discende pertanto, l’attuale divieto di utilizzare qualsiasi tipo di strumento biologico in campo militare (11). Diverse lacune affliggono tuttavia la Convenzione BTWC, in specie: 1) la scarsità di ratifica e sottoscrizione da parte degli Stati; 2) gli strumenti di controllo del rispetto delle clausole. La Convenzione non prevede alcuna autorità, né procedura con cui esercitare poteri di vigilanza effettiva e ispezioni per il rispetto dei divieti. L’unico strumento di monitoraggio sull’attua-
zione è la denuncia al Consiglio di sicurezza dell’ONU (art. VI) verso gli Stati sospettati di violazioni, un metodo che sembra un po’ labile, soprattutto se messo in relazione con la tempistica delle eventuali conseguenze che la violazione potrebbe avere. Lo spirito che permea la Convenzione è piuttosto quello della fiducia reciproca da costruire con provvedimenti volti a favorire la trasparenza e basati sullo scambio reciproco e volontario di dati relativi a programmi e lavori dei laboratori di ricerca, nonché di informazioni su eventuali epidemie regionali e una serie di rapporti tra i ricercatori nel campo della microbiologia (Confidence-Building Measures - CBMs) (12). In generale, si può dire che alla luce delle sfide che perturbano l’universo delle armi biologiche, la Convenzione BTWC si mostra, in larga parte, poco incisiva. Per adeguarla ai progressivi sviluppi scientifico-tecnologici e verificarne lo stato di attuazione è previsto uno strumento di revisione e aggiornamento periodico che consiste in Conferenze di Riesame quinquennali (art. XII), l’ultima delle quali si è svolta nel 2016, e la prossima si svolgerà nell’anno corrente. La Risoluzione n. 1540, approvata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU nel 2004, per la non proliferazione delle armi di distruzione di massa, è l’altro recente documento che rileva nella disciplina dettata per le armi biologiche.
La sede del Consiglio europeo a Bruxelles (europa.eu).
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Il documento si occupa della minaccia proveniente dagli attori non statuali e dai gruppi terroristici (bio-terrorismo), riaffermando l’importanza della prevenzione per un’efficace politica di non proliferazione. Il contesto generale della Risoluzione ricalca l’impegno reciproco alla confidence building, con trasparenza e scambio di informazioni su agenti biologici e tossine messe a punto per fini pacifici. La Risoluzione tuttavia ha le medesime problematiche e lacune riscontrate nei due precedenti Trattati di cui non rappresenta un passo avanti e cui non apporta soluzioni. Permangono il problema dell’accertamento della detenzione a sole finalità di ricerca e profilassi, e l’impossibilità di procedere a verifiche autonome e imparziali con ispezioni non sottoposte al diritto di veto del Consiglio di sicurezza dell’ONU. La strada per un contesto globale libero dall’utilizzo di armi biologiche, non sembra ancora spianata da certezze giuridiche di alcun genere.
Il ruolo dell’Unione europea In questo quadro l’Unione europea ha predisposto una serie di strumenti tramite la Strategia dell’UE contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa (strategia dell’UE), adottata dal Consiglio europeo con decisione n.15708 del 2003. Nel documento si legge che l’attenzione a dotarsi di una propria strategia nel contrasto alla proliferazione è un passaggio obbligato nella piena attuazione della Strategia e Politica europea per la sicurezza comune e un elemento centrale dell’azione esterna dell’UE. Nel condurre il proprio sforzo di controllare la proliferazione, l’UE è conscia che finora i trattati internazionali abbiano permesso di esercitare un controllo delle esportazioni che ha solo rallentato la diffusione di queste armi e dei loro vettori, ma non hanno eradicato i tentativi, statuali e non, di sviluppare dette armi. Nella Strategia, l’UE denuncia, come metodo specifico anti proliferazione, l’impegno a contenere le crescenti minacce alla pace e sicurezza internazionali rappresentate dalle Armi di Distruzione di Massa (ADM) e, in merito alle armi biologiche, dalle tecnologie a duplice uso, il cui uso improprio è in forte aumento in virtù della rapida evoluzione delle scienze. È molto interessante, a questo proposito, il concetto di «anonimato» che l’UE introduce in merito all’utilizzo
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delle armi biologiche, spiegando il fatto che non avendo «firma», sono più difficili da attribuire alla responsabilità degli Stati, che potrebbero avvantaggiarsi di tale circostanza per continuare a metterne a punto indisturbati, malgrado i divieti internazionali. La strategia dell’UE si basa su alcuni canoni tipici della politica europea quali: a) approccio multilaterale alla sicurezza, da porre in essere con trattati e accordi; b) portare in ognuna delle politiche globali dell’Unione la non proliferazione; c) sostegno alle istituzioni multilaterali che vigilano sull’osservanza dei trattati. Sotto il profilo pratico, l’UE è impegnata non solo nell’obiettivo di migliorare la gestione e il coordinamento delle conseguenze di un uso delle ADM, ma anche in via preventiva, a esercitare controlli rigorosi sulle esportazioni, sia a livello nazionale che internazionale. Il Consiglio d’Europa non manca di sottolineare la tradizionale vocazione UE di esercitare la prevenzione con metodi politici e diplomatici, dunque un fattivo ricorso al dialogo e alla pressione diplomatica, come first option e, solo in seconda istanza, facendo ricorso alle sanzioni di cui al Capo VII della Carta delle Nazioni unite e del diritto internazionale. Questo atteggiamento sinergico, sia a livello interno che
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UE e NATO contro la proliferazione delle armi biologiche Nello studio inglese Global Catastrophic Biologica risk si «(...) ipotizza che armi biologiche sarebbero in grado di perpetrare attacchi mirati ad alcuni gruppi etnici, utilizzandone e modificandone adeguatamente il genoma...» (fonte immagine centrale: biomedicalcue.it; sotto: focus.it).
esterno, è espressione del peculiare multilateralismo europeo che si aggiunge a tutti i precedenti documenti adottati dalla comunità internazionale in materia, con l’impegno pratico a renderli vincolanti, nel diritto internazionale, a livello universale. Nel capitolo III della strategia dell’UE sono elencate una serie di misure per combattere la proliferazione. Innanzitutto, un sistema di tracciabilità delle violazioni più significative da parte degli Stati. In un secondo momento, l’adozione di strumenti penali per le violazioni commesse sotto la giurisdizione o il controllo di attori statali. La stesura di un piano d’azione che le contenga, e sia soggetto a periodiche revisioni e aggiornamenti semestrali che ne assicurino l’operatività. In ultimo, l’istituzione di un’Unità con funzioni di centro di monitoraggio che controlli la coerenza dell’attuazione della strategia dell’UE, la raccolta di informazioni e di intelligence. Il Piano di azione dell’UE sulle armi biologiche e tossiniche, a integrazione dell’azione comune dell’UE a sostegno della BTWC, è stato adottato dal Consiglio dell’Unione europea con decisione (2006/C 57/01), allo scopo di ampliare le CBMs (misure di confidence building). Il Piano d’azione prevede due ulteriori misure che gli Stati membri dovranno attuare, senza fi-
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nanziamenti comunitari, nell’ottica che il maggior ricorso alle misure comuni aiuterebbe la trasparenza nell’attuazione della Convenzione BTWC. La più rilevante istituisce l’obbligo di relazione annuale sulle CBMs, tramite compilazione di un formulario che permetta all’UE iniziative diplomatiche nei confronti di quegli Stati che non abbiano rispettato gli obblighi imposti dalla Convenzione. In questo modo, si dispone di uno strumento aggiuntivo ben definito anche in termini giuridici per coadiuvare i compiti del Segretario generale delle Nazioni unite nei casi di presunto uso delle armi CBNR. Questa disposizione testimonia anche la ferma volontà dell’UE di rimanere nell’alveo dell’Alleanza atlantica nel contrasto alla diffusione delle ADM, ribadito anche nel punto in cui la Strategia conferma l’attualità dei contenuti della dichiarazione UE-Stati Uniti sulla non proliferazione; una sottolineatura importante in un ambito dalle forti implicazioni geopolitiche in grado di alterare i confini delle alleanze tradizionali. L’impegno in azioni per la prevenzione dei conflitti regionali è stato inscritto nella PESC (Politica Europea di Sicurezza Comune) e nella PESD (Politica Europea di Sicurezza e Difesa) ma, trascorsi ormai 15 anni dalla sua entrata in vigore, tutto il Piano d’azione andrebbe revisionato, e chissà che, anche sotto questo profilo, i lavori della IX Conferenza di Riesame del 2021 potranno essere risolutivi. Un ulteriore passo che ha permesso all’UE di svolgere un ruolo effettivo a sostegno della Convenzione BTWC, è stato l’istituzione dell’Unità di Supporto all’Attuazione - ISU (Implementation Support Unit) nell’ambito dei lavori della VI Conferenza di Riesame, svoltasi nel novembre 2006. L’ISU ha rappresentato un significativo traguardo poiché fino a quella data le Nazioni unite avevano offerto supporto e assistenza al settore, saltuariamente, tramite un Segretariato attivo solo nel periodo delle riunioni degli esperti e delle Conferenze di Riesame. L’ISU, è stata invece un’innovazione strutturale permanente con durata quinquennale nell’ambito dell’Ufficio del Disarmo dell’ONU (UNODA), col compito di svolgere un raccordo fattivo tra Stati parti al fine di incentivare l’applicazione universale della Convenzione, e facilitare la gestione delle CBMs.
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L’adozione del Piano d’azione sulla diffusione universale del contrasto alle ADM biologiche, ricade ora sotto il coordinamento dell’ISU, come pure il collegamento e la consulenza scientifica e tecnologica di ulteriori attività per il raggiungimento dello scopo. Con queste premesse, il 2020 ha registrato un’attività che evidenzia il ruolo europeo di primo piano, dettagliata nella Relazione annuale sull’attuazione della strategia dell’Unione europea contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa (2020/C 341/01) e nella Risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2020 sull’attuazione della politica estera e di sicurezza comune, sulla base della Relazione annuale (2019/2136(INI)).
risposta a eventuali attacchi biologici, anche tramite occasioni di studio e seminari, il rafforzamento e protezione biologica (13) in America Latina, in linea con la Risoluzione ONU 1540(2004). Tra le iniziative UE più rilevanti a sostegno della BTWC, vi è la promozione dei progetti per l’attuazione della Convenzione a livello nazionale, che al momento è assai carente. Dalla Risoluzione, emerge un quadro di scarso impegno per la sicurezza. Tra i profili di rischio elencati, compaiono pericoli legati alle nuove tecnologie quali le campagne di disinformazione finalizzate anche alle ingerenze nei processi politici ed elettorali europei, gli attacchi informatici e la proliferazione di ADM, la messa in discussione degli accordi di non proliferazione (14) , e si parla apertamente delle tecnologie emergenti come il rischio concreto primario da affrontare con strategie prioritarie in ambito di politica estera di sicurezza dell’Unione, e quindi con l’inserimento in agenda della revisione della posizione comune del Consiglio 2008/944/PESC (15) per rafforzare la PESC, rendendola realmente idonea a contrastare le minacce globali.
La situazione italiana I divieti in materia di armi biologiche in Italia derivano dal combinato disposto delle diverse normative sovranazionali e della Legge 185/1990, modificata dal D.LGS n.105/2012, e integrata dal Regolamento di attuazione D.M. n.19/2013, sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento. Le modifiche alla Legge hanno recepito la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2009/43/CE, che semplifica modalità e condizioni dei trasferimenti dei prodotti per la difesa all’interno delle comunità, nell’ambito dell’ampio iter di europeizzazione dei procedimenti di verifica nazionale sui materiali di armamento, seguito agli impegni politici assunti nell’ambito della PESC, e in specie la Posizione Comune del Consiglio dell’Unione euro-
La rappresentazione grafica della situazione della ricerca e sviluppo di robot killer nel mondo (World economic forum).
Nella Relazione, le attività e le informazioni svolte per la strategia dell’UE in tema di proliferazione divengono parte della politica UE contenuta nella Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’Unione (doc.10715/16) e testimoniano il ruolo di rappresentanza assunto tramite il Servizio Europeo per l’Azione Esterna - SEAE sullo scenario internazionale nelle politiche di controllo e diffusione universale degli intenti di disarmo dalle ADM. Nello specifico delle armi biologiche, l’UE, tramite l’UNODA, per il periodo 2019-22 ha autorizzato uno stanziamento ingente per il disarmo e per l’universalizzazione dei progetti relativi, l’avvio di programmi di bio-protezione nel Sud globale e l’organizzazione in
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l’introduzione dell’art. pea 2008/944/PESC, 20-quater, con cui si inl’atto di indirizzo che ha serirebbe nel sistema un sostituito e rafforzato il Organo di controllo e viCodice di Condotta Eugilanza. Con l’introduropeo sul controllo delle zione di ispezioni e esportazioni di tecnolosanzioni, l’Italia pogia ed equipaggiamento trebbe anticipare i tempi militare. La L.185 (16) rispetto alle istituzioni sancisce espressamente internazionali, dove le all’art. 7, oltre ai divieti di due misure sono ancora fabbricazione, importastrumenti agognati. zione esportazione e transito di armi CBN, anche la ricerca finalizConclusioni zata alla produzione o la Il quadro figurato in cessione della relativa «Il riferimento a metodi di guerra batteriologica nel Protocollo di Ginevra è contenuto tema di armi biologiche solo nel nome completo del documento, Protocol for the Prohibition of the è di certo uno dei più tecnologia, ivi compresi tuttavia Use in War of Asphyxiating, Poisonous or other Gases, and of Bacteriological Method gli strumenti e le tecnolo- of Warfare…» (Fonte immagine: wikicommon). complessi, proprio a ragie progettate per cogione di quella sottile struirne. Il riferimento alle tecnologie idonee alla linea che fa di una scoperta scientifica e tecnologica manipolazione dell’uomo e della biosfera a fini militari salvifica una pericolosa arma onnidistruttiva, come si contenuto nella legge italiana è molto interessante poiché sottolineava all’inizio. Non rimane che sperare quanto è più specifico rispetto alle disposizioni convenzionali, e già auspicato dall’Istituto di Ricerche per la Pace di capace di un’applicazione più flessibile per la soluzione Stoccolma, nel rapporto annuale 2020 (17), nell’ascesa delle problematiche relative al progresso tecnologico e della società civile fra gli attori di spicco capaci di inscientifico, prima messe in luce. fluenzare il dialogo globale e le scelte in tema di miCiò conferma l’Italia come un paese all’avanguardia nacce biologiche, come già avvenuto in passato per nella regolamentazione delle attività relative agli armal’approvazione della Convenzione del 1972 e oggi sta menti in conseguenza della grande attenzione al rispetto avvenendo con i movimenti climatici contro il Climate dei diritti umani. Poiché talvolta le norme sono state, Change o per il disarmo nucleare, grazie alla Campamalgrado tutto, aggirate è in corso in Parlamento, nel gna Internazionale per abolire le Armi Nucleari ramo del Senato, l’iter di modifica della L.185 con Di(ICAN) che nel 2017 ha ricevuto il Nobel per la Pace. segno di Legge n.1049 allo scopo precipuo di rendere Questo pressing della società civile, prima destiancor più stringenti le operazioni di controllo e verifica nataria delle leggi di non proliferazione, potrebbe esdel rispetto della normativa, ripristinando il Comitato sere la chiave di volta per il futuro, capace di arginare Interministeriale per gli Scambi di materiale di armadavvero la cultura di ciceroniana memoria del Silent mento per la Difesa - CISD, soppresso in fase di prima enim leges inter arma (18). Solo così l’umanità sarà modifica della legge. Tra i futuri interventi sulla legge seriamente messa al riparo dal rischio di un conflitto degni di nota, ci sono l’adeguamento dell’art. 20-ter e biologico (19). 8 NOTE (1) Sesto Giulio Frontino, Gli Stratagemmi, Libro III, trad. R. Ponzio Vagliari, Casa Editrice Sonzogno, Milano 1905, ried. Edoardo Mori editore, 2013. «Lasciate dunque da parte le opere e i meccanismi, dei quali è ormai da tempo perfezionata ogni invenzione, sì che non vedrei nuovi modi d’arte da suggerire, ho raccolto queste specie di stratagemmi, relativi agli assalti». (2) Fra gli altri, il 07 luglio 2020, si è celebrato il 65o anniversario del Manifesto Russell-Einstein (c.d. dal nome di due degli importanti scienziati che lo sottoscrissero),
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UE e NATO contro la proliferazione delle armi biologiche circa la pericolosità delle armi nucleari e in favore del disarmo. Nel gennaio 2021 è entrato in vigore il Trattato per la proibizione delle armi nucleari, approvato il 7 luglio 2017 dall’Assemblea generale dell’ONU. (3) Fornari F., Psicoanalisi della guerra, Feltrinelli, Milano 1966. (4) Reding D.F., Eaton J., Science & Technology Trends 2020-2040, NATO Science & Technology Organization Office of the Chief Scientist, NATO Headquarters, Brussels, Belgium, http:\www.sto.nato.int; first published, March 2020, G. Biotechnology&HumanEnhancement, p.94. (5) Articolo 8 - Crimini di guerra, 2. Agli effetti dello Statuto, si intende per «crimini di guerra»: b) Altre gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili, all’interno del quadro consolidato del diritto internazionale, nei conflitti armati internazionali, vale a dire uno dei seguenti atti: xx) utilizzare armi, proiettili, materiali e metodi di combattimento con caratteristiche tali da cagionare lesioni superflue o sofferenze non necessarie, o che colpiscano per loro natura in modo indiscriminato in violazione del diritto internazionale dei conflitti armati a condizione che tali mezzi siano oggetto di un divieto d’uso generalizzato e rientrino tra quelli elencati in un allegato al Annesso al presente Statuto, a mezzo di un emendamento adottato in conformità delle disposizioni in materia contenute negli articoli 121 e 123. (6) OMS, Preparedness for the deliberate use of biological agents. A rational approach to the unthinkable, WHO/CDS/CSR/EPH/2002/.16. Geneva: WHO, 2002. (7) Lord Rees M., Global Catastrophic Biological risk, Cambridge’s Centre for the Study of Existential Risk (CSER), Without action, these catastrophic risks will only grow over time, whether it be on climate change, ecothreats, synthetic biology or cyber, 2019. (8) Rossi J.C., La guerra che verrà: le armi autonome, in IRIAD Review, novembre 2016; idem in Un’opera dell’uomo: le macchine autonome letali, in IRIAD Review, maggio 2019. (9) Brockmann K., Beauer S., Boulanin Istituto V., Istituto di ricerca internazionale della pace di Stoccolma - SIPRI, BIO PLUS X, Controllo degli armamenti e convergenza della biologia e delle tecnologie emergenti, 2019. (10) Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, la produzione e lo stoccaggio di armi batteriologiche (biologiche) e tossine e sulla loro distruzione - BTWC. (11) Cfr. Felician S., Le armi di distruzione di massa, CEMISS, Roma 2010, p.109. (12) Inserite a seguito della II e III Conferenza di Riesame, del 1986 e 1991. (13) Decisione ((PESC) 2019/2108). (14) Risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2020 sull’attuazione della politica estera e di sicurezza comune - Relazione annuale (2019/2136(INI)), lett. E. (15) Ibidem lett. Q. (16) Capo I: Disposizioni Generali. Art. 1. Controllo dello Stato; art. 2. Materiali di armamento, n. 1) 2), lett. a. (17) SIPRI Yearbook 2020: Armaments, Disarmament and International Security, Oxford University Press, 2020, p.18. (18) Cicerone, Difesa di Milone, 11: «In tempi di guerra, non valgono né le leggi né le convenzioni dello stato di diritto, ma tutto è in balia della violenza che la guerra porta con sé». (19) Pascolini A., Virus e armi biologiche, 2020 (unipd.it). BIBLIOGRAFIA DDL S.1049, XII Legislatura, www.senato.it. Quadro normativo vigente in materia di importazione ed esportazione di materiali d’armamento, Dossier n.114. 6 luglio 2020, Documentazione e ricerche, XXII Legislatura, Camera dei Deputati Servizio Studi. DIR.2009/43/CE. 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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
L’ammoniaca come combustibile navale Claudio Boccalatte
Immagine artistica di nave da crociera con propulsione ad ammoniaca (g.c. C-Job-Naval-Architects).
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utti noi conosciamo l’ammoniaca come un liquido, fortemente detergente, per impiego domestico, caratterizzata da un’elevata pericolosità in quanto basica (e quindi reattiva e corrosiva in presenza di ossigeno, pertanto anche in atmosfera), irritante, tossica e ustionante a contatto con la pelle. In realtà l’ammoniaca (formula chimica NH3, conosciuta anche con il nome scientifico triidruro di azoto) è, a temperatura e pressione ambiente, un gas infiamma-
bile, incolore, dal caratteristico odore pungente. Il liquido commercializzato per uso domestico è una soluzione di ammoniaca con acqua; si tratta, infatti, di un gas molto solubile, che reagisce con acqua secondo la reazione NH3 + H2O = NH4+ + HO-. Oltre che per gli usi domestici, l’ammoniaca è impiegata in ambito industriale, come la produzione di acido nitrico, base per fertilizzanti agricoli, intermedio nella sintesi del bicarbonato di sodio, componente per
Ammiraglio ispettore del Genio Marina proveniente dal Genio Navale, dopo aver terminato il servizio attivo nel 2017 come Direttore del CISAM di Pisa, è attualmente nella posizione di ausiliaria. È entrato nell’Accademia navale di Livorno nel 1975 e ha conseguito con lode la laurea in Ingegneria navale e meccanica presso l’Università degli Studi di Genova. Collabora con varie riviste, e in particolare con la Rivista Marittima dal 1992; dal 2006 cura la rubrica Scienza e tecnica. È Fellow della Royal Institution of Naval Architects e Presidente della Sezione della Spezia dell’ATENA (Associazione di Tecnica Navale).
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vernici, fluido refrigerante nell’industria del freddo dove è indicata con la sigla R-717, per la produzione di esplosivi, per la produzione di nylon e fibre sintetiche, per la produzione di materie plastiche e polimeri, come solvente. Nell’industria cartaria come sbiancante, nell’industria della gomma, nelle tinture per capelli, in metallurgia per ottenere atmosfere riducenti, nella produzione di sigarette, in quanto l’ammoniaca velocizza il procedimento di assunzione della nicotina da parte dei recettori del cervello, nella lavorazione di carne per hamburger, per sterilizzarla dal batterio E. Coli, nella combustione, in soluzione acquosa al 25% per ragioni di sicurezza, come reagente per il controllo degli ossidi di azoto (NOx). Nel prossimo futuro si prospetta un nuovo impiego dell’ammoniaca, come combustibile navale, grazie alle sue caratteristiche «verdi», in particolare se per la sua produzione viene impiegato idrogeno ottenuto a sua volta con metodologie «verdi». L’impiego di ammoniaca come combustibile è una delle tecnologie individuate per realizzare ed esercire commercialmente, in tempi abbastanza brevi, le navi prive di emissioni dannose per l’ambiente, chiamate ZEV (Zero Emission Vessels, unità navali a emissioni nulle). In effetti, i primi esperimenti di motori a combustione interna alimentati ad ammoniaca (per propulsione di automezzi) risalgono agli anni Trenta del ‘900 in Italia e la prima applicazione pratica (per la propulsione di autobus) agli anni Quaranta in Belgio, ma finora una serie di problemi ne hanno impedito la diffusione. Sulla base degli obiettivi stabiliti dall’Assemblea generale delle Nazioni unite in materia di protezione ambientale e soprattutto di lotta al cambiamento climatico, l’IMO (International Maritime Organization), l’Organizzazione internazionale responsabile, nell’ambito delle Nazioni unite, della regolamentazione relativa alle navi mercantili in trasporto internazionale, ha sviluppato una strategia nei confronti dei gas a effetto serra, chiamata GHG strategy (GreenHouse Gas, gas a effetto
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La molecola dell’ammoniaca: in blu l’atomo di azoto, in grigio i tre atomi di idrogeno (wikipedia.it).
serra), che prevede come obiettivo minimo una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 50% nel 2050 rispetto alle emissioni del 2008, ma con la possibilità di arrivare, se tecnicamente possibile, all’eliminazione completa delle emissioni già nello stesso 2050. Per raggiungere questo obiettivo, considerando che la vita media di una nave mercantile è di almeno 20-30 anni, occorrerà che le prime navi senza emissioni entrino in servizio attorno al 2030. Il recente studio Zero-Emission Vessels 2030: How do we get there?, prodotto dalla società di classifica britannica Lloyd’s Register (LR), in collaborazione con la società di consulenza UMAS (University Maritime Advisory Service) ha identificato sette possibili nuove tecnologie di propulsione a impatto ambientale nullo, cioè idonee per gli ZEV. Queste tecnologie sono: la propulsione elettrica a batterie, la propulsione ibrida elettrica e a idrogeno, le celle combustibile a idrogeno, i motori a combustione interna (ICE, Internal Combustion Engines) a idrogeno, le celle combustibile ad ammoniaca, i motori a combustione interna ad ammoniaca e i bio-
La nave per supporto a piattaforme offshore (OSV) VIKING ENERGY, dell’armatore Eidesvik, è al centro del programma di ricerca europeo ShipFC, che vedrà l’installazione nel 2023-24 di celle a combustibile alimentate ad ammoniaca. Il gruppo Wartsila è responsabile dello sviluppo del sistema di immagazzinamento e alimentazione di ammoniaca (Wartsila).
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cola frazione di un altro combustibile più infiammabile che faciliti l’innesco della combustione (come l’idrogeno o un combustibile basato su idrocarburi); i motori ad ammoniaca sono quindi sempre motori dual fuel. Dal punto di vista della conservazione a bordo, l’ammoniaca a pressione ambiente è liquida a temperature inferiori a -33°C, quindi richiede tecnologie criogeniche molto meno spinte del GNL (gas naturale liquefatto, che a pressione ambiente è liquido sotto -162°C) o dell’idrogeno (-253°C). È anche possibile conservare l’ammoniaca allo stato liquido a temperatura ambiente con pressione dell’ordine dei 10-20 bar. Il contenuto energetico per unità di volume dell’ammoniaca è intermedio tra quello dell’idrogeno e del metanolo; le dimensioni dei serbatoi richiesti sono superiori a quelle necessarie impiegando GNL, metanolo, etanolo o gasolio, ma inferiori a quelle necessarie impiegando idrogeno. Nei primi decenni del 900 il chimico italiano Luigi Casale aveva realizzato a Terni il primo impianto di produzione di ammoniaca al di fuori della Germania (società Ammonia Casale), ideando metodologie di produzione più efficienti di quelle tedesche. Oggi l’ammoniaca viene sintetizzata da idrogeno e azoto secondo la reazione diretta in fase gassosa: 3H2 + N2 = 2NH3, svolta in presenza di catalizzatori a base di osmio, rutenio, uranio o, più generalmente, ferro. Il principale metodo utilizzato è il processo HaberBosch, nel quale la reazione avviene a pressione di 20 MPa (circa 200 atm) e temperatura di 400-500 °C. Il primo produttore mondiale è oggi la Cina, seguita da India, Russia e Stati Uniti. Tra i paesi dell’Unione europea, i primi produttori sono Germania, Francia, Italia e Polonia. In Italia è attivo oggi solo uno stabilimento a Ferrara, di proprietà della norvegese Yara (già Norske Hydro), che produce ammoniaca e urea La strategia dell’IMO (International Maritime Organization) per la riduzione dei gas a effetto serra (greenhouse gases) prevede due diversi obiettivi per l’anno 2050: un obiettivo minimo di riduzione a partire da azoto atmosferico e gas nadelle emissioni al 50% di quelle del 2008 e un obiettivo più ambizioso, di cui deve esser verificata turale, passando attraverso la produla fattibilità tecnica, di riduzione del 100%, cioè di eliminazione completa delle emissioni di gas serra da parte delle navi mercantili (Zero-Emission Vessels: Transition Pathways, disponibile sul zione di idrogeno. sito internet del Lloyd’s Register (LR), http://info.lr.org/ZEV-transition-pathways). L’ammoniaca impiegata come comcombustibili. Secondo lo studio, la soluzione che prevede l’impiego di ammoniaca come combustibile si classifica al secondo posto come rendimento globale, dopo i biocombustibili e prima dell’idrogeno. Nell’immediato, le celle a combustibile alimentate ad ammoniaca (SOFC, Solid Oxide Fuel Cell), che in teoria consentirebbero rendimenti elevati, presentano ancora delle criticità nella densità energetica e nella capacità di reagire a variazioni di carico, per cui la loro applicazione pratica appare bisognosa di investimenti e più lontana nel tempo rispetto ai motori a combustione interna, che sfruttano alcune tecnologie comuni con i motori alimentati a gas naturale o a idrogeno. Anche per i motori comunque devono essere effettuati investimenti per l’impiego su scala industriale di alcune tecnologie, come le tecnologie di immagazzinamento dell’ammoniaca, l’alimentazione «dual fuel» ad ammoniaca e i sistemi di propulsione in emergenza mediante combustibile liquido. L’ammoniaca ha una bassa infiammabilità, il che è positivo per la sicurezza, ma rende necessario, per l’impiego nei motori a combustione interna, l’aggiunta di una pic-
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bustibile non produce anidride carbonica, in quanto la sua molecola non contiene carbonio; la reazione complessiva della combustione dell’ammoniaca infatti è 4NH3+ 3O2→2N2+ 6H2O, per cui si ottengono solo azoto e vapore acqueo, entrambi gas innocui. In realtà, però, occorre tenere conto anche del ciclo produttivo dell’ammoniaca, che richiede l’impiego di idrogeno. Oggi l’idrogeno è ottenuto principalmente a partire da combustibili fossili (principalmente attraverso il reforming del metano) e i suoi processi produttivi producono gas a effetto serra; quindi sia l’idrogeno, sia l’ammoniaca prodotti non possono essere considerati combustibili «neutri» riguardo l’ambiente. Per poter considerare l’ammoniaca un combustibile verde occorre che Le principali proprietà di alcuni combustibili alternativi per impiego navale, tra cui l’ammoniaca (g.c. MAN l’idrogeno impiegato sia ottenuto energy solutions). In alto: i risultati degli studi sulla redditività di diversi combustibili a zero emissioni compiuti dalla società di classifica britannica Lloyd’s Register, in collaborazione con la società di consulenza con metodologie «verdi», come UMAS (University Maritime Advisory Service) mostrano che la soluzione con l’impiego dei biocombustibili in sostituzione dei tradizionali combustibili fossili è quella che presenta il rendimento maggiore, mentre la per esempio per elettrolisi del- soluzione elettrica a batterie è quella a rendimento più basso. Subito dopo i biocombustibili, si classificano soluzioni che prevedono l’impiego di ammoniaca come combustibile, seguite da quelle che prevedono l’acqua, impiegando energia elet- le l’impiego di idrogeno (Zero-Emission Vessels: Transition Pathways, disponibile sul sito internet del Lloyd’s trica ottenuta con fonti Register, http://info.lr.org/ZEV-transition-pathways). rinnovabili (come il solare o l’eodride carbonica, che costerebbe circa il triplo del GNL e lico); anche l’impiego di energia ottenuta tramite impianti assicurerebbe emissioni ridotte, ma non nulle. Di consenucleari non produce gas serra, ma occorre valutare l’imguenza, dal punto di vista economico, l’adozione di impatto sull’ambiente dei rifiuti radioattivi che questo tipo pianti di propulsione navale funzionanti ad ammoniaca di impianti inevitabilmente genera. Il costo dell’ammoè ipotizzabile solo in presenza di forti incentivi o di forte niaca oggi non è competitivo con i combustibili tradiziotassazione delle emissioni di gas serra. Inoltre, la comnali; come ordine di grandezza, l’ammoniaca prodotta bustione dell’ammoniaca in condizioni reali può portare con metodi tradizionali costa il doppio del GNL (e proalla produzione di inquinanti a base di azoto, come gli duce emissioni, calcolate includendo il ciclo di produossidi di azoto, oltre che di una certa percentuale della zione, doppie rispetto allo stesso GNL); l’ammoniaca stessa ammoniaca che non viene bruciata; è quindi pre«verde», ottenuta partendo da elettricità da fonti rinnovedibile che, per rispettare i più stringenti limiti delle vabili e acqua, costa circa quattro volte il GNL. Una posnuove normative IMO, sia necessario l’impiego di catasibile soluzione intermedia è la cosiddetta «ammoniaca lizzatori tipo SCR (Selective Catalythic Reduction), con blu», prodotta con metodologia tradizionale (reforming ulteriori aumenti di costi e di ingombri a bordo. del metano), ma applicando tecnologie di cattura dell’ani-
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Immagine artistica di nave per il trasporto di ammoniaca e con propulsione ad ammoniaca. Secondo Niels de Vries, Lead Naval Architect dello studio C-Job Naval Architects, la più efficiente tra le diverse soluzioni per l’impiego dell’ammoniaca come combustibile navale sono le celle a combustibile tipo SOFC (Solid Oxide Fuel Cell), che però presentano ancora degli aspetti insoddisfacenti, in particolare per la densità di potenza e la capacità di rispondere a rapide variazioni del carico, per cui nel breve termine l’unica soluzione percorribile è costituita dai motori a combustione interna (g.c. C-Job-Naval-Architects).
Sono già stati lanciati alcuni progetti per la realizzazione di navi con propulsione mediante motori a combustione interna ad ammoniaca. In particolare il leader mondiale nella produzione di motori a 2 tempi per impiego navale, Man Energy Solutions, ritiene di poter adattare molti dei propri motori per l’impiego con ammoniaca, sia in fase di costruzione, sia come modifica di motori (e di navi) già esistenti. Parte della tecnologia necessaria per alimentare un motore con ammoniaca, come per esempio il sistema di iniezione del gas nei cilindri, è uguale o molto simile a quella sviluppata per l’alimentazione a gas naturale. Il gruppo MAN prevede che, in presenza di un mercato che giustifichi gli investimenti, possa essere adattato per bruciare ammoniaca il motore a 2 tempi ME-LGIP, concepito per funzionare a GPL (gas di petrolio liquefatto), opportunamente modificato per tenere conto delle diverse caratteristiche dell’ammoniaca rispetto al GPL, sia per quanto riguarda i rischi, sia per l’infiammabilità. Per quanto riguarda i retrofit, secondo MAN tutti i motori della serie ME-C possono essere modificati per impiegare l’ammoniaca come combustibile. All’inizio del 2020 è stato firmato un accordo tra l’armatore malesiano MISC Berhad, il cantiere coreano Samsung Heavy Industries (SHI), la società di classifica Lloyd’s Register e MAN Energy
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Solutions per lo studio del progetto di una petroliera alimentata ad ammoniaca. Anche il grande gruppo motoristico Wartsila è impegnato nello sviluppo di sistemi di propulsione navale ad ammoniaca, basati su motori a quattro tempi. Un programma di ricerca in questo settore, finanziato dal governo norvegese nell’ambito del progetto DEMO 2000, prevede che le prove inizino nel primo trimestre del 2021 a Stord, in Norvegia. Inoltre, nell’ambito del progetto di ricerca europeo ShipFC, Wartsila sta anche sviluppando il sistema di immagazzinamento e alimentazione di ammoniaca per l’OSV Viking Energy dell’armatore Eidesvik, con l’obiettivo di avere l’impianto, basato su celle a combustibile alimentate ad ammoniaca, pronto nel 2023, facendo quindi di Viking Energy la prima nave carbon-free con propulsione basata sull’ammoniaca. Il progetto prevede che venga impiegata ammoniaca «verde» prodotta in Norvegia dalla società Yara. Il Viking Energy è stato, nel 2003, il primo OSV alimentato a GNL, ed è attualmente dotato di una propulsione ibrida con batterie. Dal punto di vista della sicurezza per gli esseri umani, il contatto e l’inalazione di ammoniaca può portare a bruciature e asfissia; fortunatamente il forte odore sgradevole viene avvertito a livelli di concentrazione molto inferiori a quelli di effettivo
Il motore MAN 6S50ME C8.2 LGIP, del tipo «dual fuel» che può bruciare sia gas naturale, sia gasolio o olio combustibile, è considerato dalla società MAN Energy Solutions il candidato alla trasformazione per l’impiego dell’ammoniaca (g.c. MAN energy solutions).
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Il ciclo di produzione «convenzionale» dell’ammoniaca comprende il reforming del metano per la produzione di idrogeno, con immissione in atmosfera di rilevanti quantità di anidride carbonica: l’impronta dell’ammoniaca in termini di produzione di gas serra è il doppio di quella che si ha bruciando direttamente il gas naturale (g.c. MAN energy solutions).
Il ciclo di produzione «verde» dell’ammoniaca a partire da idrogeno ottenuto mediante elettrolisi dell’acqua con energia elettrica prodotta solo mediante fonti rinnovabili; attualmente la capacità produttiva di ammoniaca, impiegando questo sistema, è molto limitata. Sotto: il ciclo di produzione «blu» dell’ammoniaca è simile al ciclo convenzionale, ma prevede la cattura e l’immagazzinamento di gran parte dell’anidride carbonica prodotta; i costi sono intermedi tra quelli del sistema di produzione tradizionale e quelli dell’ammoniaca «verde» (g.c. MAN energy solutions).
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dell’IMO, dovrà nel futuro ridurre notevolmente la quantità di GHG che immette in atmosfera. Per raggiungere questo obiettivo sarà probabilmente necessario adottare nuovi combustibili, come l’idrogeno, i biocombustibili, gli alcol (etanolo e metanolo) e l’ammoniaca, assicurandosi che nella loro catena produttiva venga impiegata solo energia «puImmagine artistica dell’apparato motore e dei serbatoi di ammoniaca di una nave per il trasporto di ammoniaca lita», cioè che non produce e con propulsione ad ammoniaca (g.c. C-Job-Naval-Architects). GHG. L’ammoniaca è un prodotto chimico già oggi ampiamente disponibile, prodotto e distribuito in grandi quantità, principalmente per l’impiego nella produzione di fertilizzanti. L’ammoniaca «verde» oggi non è economicamente competitiva, ma l’introduzione di pesanti tasse sul quantitativo di GHG generato dalle navi potrebbe renderla tale. L’industria motoristica e naUn possibile cronoprogramma per lo sviluppo di un motore MAN ad ammoniaca, basato sull’ipotesi di inizio delle attività nell’anno 2020 (g.c. MAN energy solutions). vale è oggi, dal punto di vista tecnico, pronta per realizzare, nel giro di pochi anni, navi con propulsione ad ammopericolo, fornendo quindi un importante segnale d’alniaca, nel breve termine con motori a combustione inlarme; infatti il livello a cui si percepisce l’odore è tra terna e nel medio termine con celle a combustibile. 0,04 e 20 ppm (parti per milione), mentre il livello di peNaturalmente prima dell’adozione a bordo di questo ricolo immediato per la salute (IDLH, Immediately Dannuovo combustibile andranno affrontati gli aspetti della gerous to Life or Health) è di 300 ppm e la dose letale è sicurezza (probabilmente con una norma internazionale di oltre 1.000 ppm per 10-30 minuti. ad hoc), della logistica e dell’addestramento specifico In conclusione, l’industria armatoriale, sulla base degli equipaggi. della regolamentazione emanata e in fase di emanazione 8 BIBLIOGRAFIA Zero-Emission Vessels: Transition Pathways, disponibile sul sito internet del Lloyd’s Register all’indirizzo http://info.lr.org/ZEV-transition-pathways. Zero-Emission Vessels 2030: How do we get there?, disponibile sul sito internet del Lloyd’s Register all’indirizzo https://lr.org/en/insights/articles/zev-report-article. Safety considerations for the use of zero-carbon fuels and technologies, dal sito lr.org Fuel production cost estimates and assumptions, dal sito www.lr.org. DNV-GL: Energy Transition Outlook 2020, dal sito https://eto.dnv.com/2020/#ETO2019-top. MAN energy solutions, man-es.com. C-Job-Naval-Architect, c-job.com. Wartsila, wartsila.com. Ammonia Energy Association, ammoniaenergy.org. IMO, imo.org.
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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
Il ruolo dell’Istituto idrografico della Marina nella gestione
dello spazio marino
Forte San Giorgio, sede storica dell’Istituto idrografico della Marina (le immagini dell’articolo sono fornite dall’IIM).
(*) Contrammiraglio. Termina l’Accademia navale nel 1990, conseguendo la Laurea Magistrale in Scienze Marittime e Navali. Dopo l’imbarco su nave Perseo e nave Durand de la Penne quale addetto alle Telecomunicazioni, consegue la specializzazione in Idro Oceanografia presso l’Istituto idrografico della Marina (IIM) (Master di II Livello), acquisendo la qualifica di Ingegnere idrografo classe «A» dopo due anni di attività sulle unità idrografiche. Comanda la nave idrografica Pioppo (1998-99) e, successivamente, ricopre l’incarico di capo Sezione nuove unità idrografiche e designato comandante di nave Aretusa presso il Centro allestimento nuove costruzioni navali della Spezia. Dal 2001 al 2007 è capo Ufficio cartografia elettronica e, successivamente, capo Ufficio documenti nautici dell’Istituto idrografico della Marina, nonché rappresentante nazionale presso diversi gruppi di lavoro cartografici e idrografici internazionali. Dopo il comando di nave Magnaghi (2009-10), fino al 2013 ricopre l’incarico di capo Reparto rilievi e produzione presso l’IIM. Fino al 2017 presta servizio presso il «Combined Joint Operations from the sea Centre of Excellence», centro di Eccellenza della US Navy, a Norfolk, VA (Stati Uniti) ricoprendo molteplici incarichi tra cui Liason Officer tra la Marina Militare e l’US Navy e Chairman del Maritime Operations WG della NATO. Da ottobre 2017 a ottobre 2018 comanda la Squadriglia unità idrografiche ed esperienze della Marina Militare, compiendo due missioni al Polo Nord su nave Alliance e una attività di cooperazione con le Forze armate libanesi a Beirut su nave Magnaghi. A seguire e fino a febbraio 2019 è capo Ufficio gestione infrastrutture del IV Reparto dello Stato Maggiore Marina. Da marzo 2019 a giugno 2019 partecipa quale Chief of Staff all’operazione antipirateria UE Atalanta. Da agosto 2019 a luglio 2020 ha svolto l’incarico di vice Direttore dell’IIM e, dal 20 luglio 2020 ne è il Direttore. (**) Capitano di vascello (IDO), nato a Torino il 13 giugno 1970. Uscito dall’Accademia navale nel 1993, ha conseguito, nel 1999, il brevetto di Idrografo IHO di classe «A» e il Master in Geomatica Marina rilasciato dall’Università degli Studi di Genova. Nel corso della sua carriera ha ricoperto molteplici incarichi a bordo delle unità della Squadra navale e presso diversi comandi della Marina Militare comandando le unità idrografiche Galatea e Magnaghi, oltre alla Squadriglia unità idrografiche ed esperienze. Ha partecipato a numerose missioni internazionali a carattere operativo e scientifico tra cui la missione militare bilaterale in Libano, la XVI spedizione italiana in Antartide e la missione scientifica polare High North 19 su nave Alliance. In possesso di master in Geopolitica e Sicurezza globale e studi strategici e sicurezza internazionale, ha spesso collaborato con il ministero degli Affari
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Massimiliano Nannini (*) Marco Grassi (**) Erik Biscotti (***) Angelo Castigliego (****)
L’Istituto idrografico della Marina e la sua «doppia anima» Fondato a Genova nel 1872 con lo scopo di dotare il neonato Stato italiano di un portafoglio cartografico marino nazionale, l’Istituto idrografico della Marina (IIM) da oltre 140 anni lavora per garantire la sicurezza della navigazione nei mari di propria competenza alle comunità naviganti nazionali e internazionali e contribuisce alla Difesa attraverso il supporto geo-spaziale (1) alle Forze armate. Le sue principali attività istituzionali trovano, infatti, appieno il riscontro nella moderna definizione di «idrografia» (2): «Hydrography is the branch of applied sciences which deals with the measurement and description of the physical features of oceans, seas, coastal areas, lakes and rivers, as well as with the prediction of their change over time, for the primary purpose of safety of navigation and in support of all other marine activities, including economic development, security and defence, scientific research, and environmental protection». esteri per quanto riguarda il supporto cartografico alle trattative di delimitazione degli spazi marittimi nazionali con gli Stati frontalieri. Dallo scorso settembre ricopre l’incarico di vice Direttore dell’IIM. (***) Capitano di fregata (IDO), nato a Padova il 21 maggio 1971. Uscito dall’Accademia navale nel 1996, ha prestato servizio sulla fregata Espero come ufficiale di rotta e, nel 2001, ha conseguito il brevetto di Idrografo IHO di classe «A». Successivamente, ha ricoperto molteplici incarichi a bordo delle unità idro-oceanografiche della Squadra navale, di cui ha comandato le unità idrografiche Aretusa e Magnaghi. Durante la carriera da idrografo, ha partecipato a diverse missioni internazionali a carattere operativo e scientifico tra cui la missione in Albania e la IXX spedizione italiana in Antartide. Dall’ottobre 2018 svolge l’incarico di capo Reparto rilievi e produzione presso l’Istituto idrografico della Marina e collabora regolarmente con il ministero degli Affari esteri per quanto riguarda il supporto relativo agli aspetti geo-cartografici connessi alle trattative di delimitazione degli spazi marittimi nazionali con gli Stati frontalieri. (****) Tenente di Vascello (IDR), nato a Manfredonia il 05 giugno 1976. Terminato il Corso Ruoli Speciali presso l’Accademia navale nel 2008, ha conseguito il brevetto di Idrografo FIG-IHO di classe «B» presso l’Istituto idrografico della Marina a Genova. Nel corso della sua carriera ha ricoperto l’incarico di ufficiale di Rotta e impiegato come surveyor a bordo di nave Galatea. Giunto all’IIM, ha conseguito l’abilitazione di CIMIC Functional Specialist (Civilian Military Cooperation) presso la base NATO CIMIC di Motta di Livenza (TV). Impiegato come capo Sezione geospaziale, ha partecipato a numerosi corsi di indottrinamento, tra cui Remote Sensing Operator (Scuola Aerocoop di Guidonia) e Geospatial Orientation (NATO School Oberammergau - DEU) e rappresenta l’Italia nei gruppi di lavoro Maritime Geospatial della NATO. Ha promosso il ruolo di Hydrographic Support Nation (HISN) assegnato nel 2019 all’Italia nell’ambito della NATO Responce Force nel dominio Maritime e ha elaborato le Concept for Operation che guideranno in futuro le nazioni HISN della NATO. All’IIM ricopre anche gli incarichi di coordinatore delle operazioni Remote Sensing ed è membro tecnico dell’Ufficio spazi marittimi, dove assicura l’elaborazione dei contributi di varia natura riguardanti gli aspetti tecnici del diritto del mare. Dallo scorso luglio ricopre l’incarico di capo Ufficio supporto geospaziale dell’IIM. ARTICOLO EDITO SU INVITO DELLA DIREZIONE
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Proprio da questa definizione si evince l’impiego duale dell’IIM, che si esplicita, da un lato, attraverso le attività legate allo status di organo cartografico di Stato e, dall’altro, di ente militare della Difesa. Per questo motivo, alle attività di rilievo idro-oceanografico e di produzione cartografica nautica tradizionale ed elettronica, l’Istituto affianca anche un’importante impegno nel campo della ricerca scientifica in mare — inizialmente concretizzatasi nello sviluppo di nuovi strumenti per mappare i mari italiani — e il compito esclusivo di formare il personale idrografo ed oceanografo della Marina Militare. Il compito di promuovere lo studio del mare e delle materie a esso afferenti, in particolare la protezione dell’ambiente, viene perseguito dall’IIM attraverso l’esecuzione di rilievi idrografici, batimetrici, geofisici e oceanografici, nei mari di competenza italiana, con unità navali specialistiche della Marina Militare e nuclei autonomi prontamente dislocabili.
Un servizio fondamentale per la nazione Il Servizio idrografico di Stato, come nella maggioranza dei casi, è un servizio obbligatorio di un «Coastal State» ai sensi del Chapter V della Convenzione internazionale Safety of Life at Sea (SOLAS) dell’IMO (International Maritime Organization). Esso, infatti, è funzionale alla sicurezza della navigazione, attraverso la produzione e l’aggiornamento della documentazione nautica relativa alle acque di interesse dello Stato stesso e ciò vale, anche e soprattutto, per una nazione come l’Italia, circondata dal mare e che ha uno sviluppo costiero pari a circa 8.000 chilometri (3). La costruzione di documenti nautici costantemente aggiornati è un’opera indispensabile per la salvaguardia della vita umana in mare e, in tale ruolo, l’IIM si pone come punto di riferimento per la collettività, in particolare per la comunità navigante e quella costiera (4), ma non solo. L’importanza del Servizio idrografico nazionale, che fa capo all’IIM, è testimoniata anche dal compito di «redigere le normative tecniche e di fornire consulenza per standardizzare l’esecuzione dei rilievi idrografici» (5), azione che ha trovato esplicazione nella recente pubblicazione del «Disciplinare Tecnico
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per la standardizzazione dei rilievi costieri e portuali» (6), cui tutti i soggetti esecutori di rilievi idrografici sono tenuti a uniformarsi. La sicurezza della navigazione costituisce la priorità assoluta dell’Istituto, il cui portafoglio cartografico attuale comprende 370 carte in formato cartaceo e 264 ENC (7), oltre a carte tematiche, pubblicazioni nautiche e regolare emissione degli Avvisi ai Naviganti (8). Fra i nuovi prodotti introdotti sul mercato nel corso degli anni, le carte nautiche in kit (277), studiate per essere utilizzate su imbarcazioni da diporto e le riproduzioni del patrimonio storico. Dal 2002 l’utente può scaricare gratuitamente gli Avvisi ai Naviganti da Internet e dal 2015 può acquistare le carte direttamente online, mentre il sistema di stampa on demand, introdotto nel 2006, consente l’acquisto di carte nautiche in kit sempre aggiornate. Da un punto di vista operativo, i rilievi idrografici per l’aggiornamento della cartografia nautica ufficiale dello Stato vengono programmati sulla base della vetustà delle tecniche di rilevamento impiegate. Oggi, più del 50% dei mari nazionali è stato investigato e mappato con metodologie moderne — tenendo presente che gli ecoscandagli multifascio (o multibeam) (9) sono entrati in servizio poco più di 15 anni or sono — mentre la restante parte necessita di ulteriori analisi da effettuarsi con metodologie allo stato dell’arte. Dal 2016, la filosofia produttiva dell’Istituto idrografico ha subito una radicale revisione con il passaggio dall’approccio product-oriented (ogni prodotto aveva una linea produttiva dedicata) a quello databaseoriented (tutti i prodotti nascono da un unico contenitore di dati), che ha snellito il procedimento produttivo. Oggi, infatti, il settore della cartografia nautica è in continuo sviluppo, soprattutto nell’ambito dei servizi collegati alla navigazione marittima stessa, come per esempio il controllo del traffico, la situazione meteomarina, l’assistenza alla manovra e la batimetria ad alta risoluzione all’interno delle aree portuali. È proprio per rispondere a questa sempre più pressante esigenza che l’IIM, già oggi, è tra i principali Servizi idrografici al mondo che possiedono un portafoglio cartografico interamente digitale e rispondente agli standard internazionali in campo idrografico e cartografico.
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Stato dei rilievi dei mari italiani al 2018.
Non solo carte nautiche La ricerca scientifica svolta dall’Istituto costituisce supporto imprescindibile all’attività idro-oceanografica. Per esempio l’IIM impiega, dal 2018, la tecnologia LIDAR (10), per condurre rilievi topo-batimetrici in aree con particolari caratteristiche di trasparenza dell’acqua, ed è attualmente in corso attività sperimentale con droni per l’acquisizione idro-oceanografica. Tale attività di ri-
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cerca viene condotta talvolta in maniera autonoma, ma più frequentemente attraverso una rete di collaborazioni con altri enti scientifici in Italia e nel mondo, a tutela dell’ambiente marino e costiero e a sostegno della Blue Growth (11), non solo nelle acque nazionali, ma in tutto il bacino Mediterraneo e persino nelle regioni polari. Per conseguire i propri scopi, l’IIM collabora strettamente con gli altri istituti idrografici della comunità internazionale e con l’IHO (International Hydrographic Organization), l’organizzazione idrografica internazionale con sede a Montecarlo, che funge da raccordo e coordinamento per gli Stati membri. In ambito nazionale, gli interlocutori principali dell’IIM, dal punto di vista scientifico, sono il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), in tutte le sue articolazioni, l’Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS), l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), il mondo dell’Università e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), con i quali l’Istituto condivide dati ed esperienze sul campo, per massimizzare le risorse a disposizione, peraltro sempre più ridotte. Importantissima è anche l’azione svolta dall’IIM a supporto di un certo numero di dicasteri: il ministero dello Sviluppo economico, con attività che spaziano dalla produzione di cartografia specifica, all’esecuzione di rilievi batimetrici di dettaglio e alla formazione
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Personale dell’IIM impegnato in attività LIDAR (Light Detection and Ranging) con velivolo CESSNA 208B. A fianco: carta I.I. 885 (INT 9000). La carta è frutto dei rilievi di oltre 30 anni condotti dall’Istituto nel contesto del programma di ricerca scientifica PNRA - Programma Nazionale di Ricerca in Antartide. Il 23 marzo 2017 all’interno dell’antica sala riunioni di Forte S. Giorgio a Genova è stata firmata l’approvazione della nuova carta nautica dell’Antartide, prodotta dall’Istituto Idrografico della Marina (IIM). L’allora Direttore, Luigi Sinapi, ha infatti sancito con la propria firma la distribuzione all’utenza mondiale della carta nautica del Mare di Ross n. 885 INT 9000, a scala 1:500.000 che si estende dall’isola Coulman all’isola di Ross, coprendo un’area di quasi 55.000 miglia quadrate. La carta, prodotta su supporto tradizionale (carta) e come carta elettronica (Electronic Navigational Chart - ENC) è l’ultima del pacchetto di tre carte nautiche della regione antartica che l’Organizzazione Idrografica Internazionale (IHO) ha assegnato all’Italia per popolare il portafoglio cartografico internazionale dell’area. Assieme alle carte n. 881 INT 9005 e 884 INT 9004, rispettivamente a scala 1:50.000 e 1:250.000, completa la zona dell’Antartide nella quale è posizionata la base italiana di Baia Terranova, offrendo così un ausilio fondamentale alla sicurezza della navigazione in quell’area oramai assiduamente frequentata da navi passeggeri che sempre più spesso visitano il settimo continente. La nuova carta, inserita nel Catalogo dell’Istituto idrografico della Marina, sarà oggetto di costante aggiornamento come tutte le carte nautiche relative al territorio nazionale in modo da rispondere agli standard internazionali di sicurezza della navigazione.
specialistica; il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI) per gli aspetti attinenti alle delimitazioni marittime e alla relativa cartografia; il ministero dell’Ambiente, nel Comitato tecnico per la Marine Strategy. Nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerca in Antartide (PNRA), gestito dall’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), l’IIM ha raccolto dati batimetrici, effettuato misure geodetiche e topografiche e lavorato alla definizione della linea di costa prossima alla base italiana di Baia Terra Nova sul Mare di Ross. A ciò ha fatto seguito, e proseguirà nel futuro, la pubblicazione di carte nautiche internazionali dell’area di mare situata in prossimità della base italiana. Inoltre l’IIM partecipa alle spedizioni antartiche di altri paesi (Argentina, Cile, Perù, Ecuador). Dal 2016, poi, l’IIM ha enfatizzato la propria presenza
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Immagini che ritraggono nave ALLIANCE e il personale dell’unità impegnato nella campagna di geofisica marina High North 2020.
in tutti i collegi a connotazione polare, rappresentando la Marina Militare nell’ambito del Tavolo artico nazionale e il paese nel massimo consesso artico, l’Arctic Council, su delega del MAECI. L’IIM, inoltre, guida il team scientifico nazionale di ricerca nell’ambito delle campagne di ricerca «High North» della Marina Militare che, a cadenza annuale dal 2017 al 2020, si sono svolte a bordo di nave Alliance.
Il concorso alla gestione dello spazio marittimo nazionale L’azione intrapresa dalla Marina Militare, a partire dal 2013, per riconfigurare l’Istituto idrografico in «Centro di Eccellenza per il Mediterraneo e l’Europa per le tematiche attinenti al mare», ha portato l’Ente a scoprire o riaprire innumerevoli opportunità di collaborazione e coinvolgimento istituzionale. Oltre a una serie di accordi di collaborazione con enti e istituti di ricerca, in questo periodo si è decisa-
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coinvolto a consistente supporto dei decisori nazionali attivi in campo marino. L’IIM, per esempio, è l’unico Ente con funzioni di «Catasto marittimo» e competenza sulla rappresentazione cartografica dei manufatti e degli ostacoli alla navigazione, dei limiti delle acque territoriali e delle linee di base. In questo settore, l’Istituto ha intrapreso una proficua opera di collaborazione con il ministero dell’Economia e Finanza Direzione centrale del Catasto, per la definizione delle metodologie più opportune di delimitazione comunale a mare, ai fini dell’accatastamento dei manufatti presenti sul mare territoriale (cosiddetti «imbullonati») (12). La regolare convocazione del direttore dell’Istituto alle assemblee del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, invece, denota l’importanza dell’Ente cartografico di Stato all’interno di ogni processo decisionale che interessi la costruzione di nuove opere e manufatti a mare. In tale contesto è da evidenziare come il Consiglio abbia vincolato le autorità portuali e di sistema portuale competenti ad attenersi alla Nell’immagine e in quella della pagina accanto: esempio di Carta mineraria. Layer informativi di cartografia normativa tecnica emessa dalelettronica delle aree di concessione. l’Istituto (13) in materia di esecuzione di prospezioni batimetriche e rilievi idrografici. mente riaffermato il ruolo dell’IIM quale unico refeNell’ambito della «Consulta nazionale per l’inforrente nazionale per la cartografia nautica ufficiale dello mazione territoriale e ambientale», che raccorda tra Stato e consulente tecnico-cartografico nelle sedi istiloro le pubbliche amministrazioni che producono dati tuzionali più svariate. territoriali, l’Istituto idrografico è tenutario e gestore Tra le molteplici forme in cui si esplica il contributo del sistema informativo geografico batimetrico delle istituzionale dell’Istituto, al di fuori delle precipue attriacque di giurisdizione italiana. Capitolo a parte nel supbuzioni legali in termini di sicurezza della navigazione, porto alla pianificazione marittima spetta alla profonda e vanno citati alcuni settori in cui l’Istituto idrografico è
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intima collaborazione sviluppata dall’Istituto con il ministero dello Sviluppo Economico e derivante da un accordo quadro tra Marina Militare e il MISE stesso. La proficua collaborazione in atto ha portato, tra l’altro, alla produzione di un’importante serie cartografica alla scala 1:250.000, funzionale alla gestione e al monitoraggio delle concessioni minerarie sulla piattaforma continentale nazionale. A questa serie cartografica, denominata «mineraria», si affiancano specifiche carte elettroniche a uso delle unità nazionali, che effettuano la vigilanza sulle installazioni estrattive e sulle sealine per il trasporto degli idrocarburi. Tali strumenti sono efficaci mezzi di gestione dello spazio marittimo per le autorità preposte al coordinamento del settore energetico nazionale. Un ulteriore supporto e consulenza tecnico-cartografica ai decisori dello spazio marittimo è quello fornito dall’Istituto al MAECI nel campo delle delimitazioni e del contenzioso marittimo. Nel recente passato l’IIM ha fornito consulenza alle trattative per la delimitazione marittima con Tunisia, Grecia, Spagna, Albania e Francia (per le sole Bocche di Bonifacio), Slovenia, Croazia e Montenegro, ed è tuttora coinvolto nei negoziati con Malta, Algeria, Libia e Francia (per la determinazione del confine marittimo nel mar Tirreno e nel mar Ligure). La determinazione dei confini nazionali marittimi è da ritenersi attività imprescindibile per una corretta gestione dello spazio marittimo nazionale e non può essere perseguita senza
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appropriati strumenti di supporto cartografico e batimetrico, studi di settore e delicate trattative condotte, il più delle volte, con una carta nautica davanti. Alla definizione dei confini marittimi nazionali sono intimamente legati la determinazione e l’aggiornamento delle linee di base nazionali, processi in cui l’IIM è profondamente coinvolto attraverso la presidenza del tavolo di lavoro interministeriale «Carta Marina». Tale
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fine, l’ultimo ambito in cui l’IIM fornisce supporto tecnicocartografico, è quello della pianificazione dello spazio marittimo (marine spatial planning) che, come da Direttiva europea 2014/89/EU, dovrebbe portare a sinergizzare tutte le attività che uno Stato pone in essere sul mare. In ambito nazionale, il Decreto legislativo 17 ottobre 2016, n.201 (16) definisce le linee guida per la gestione dello spazio marittimo in attuazione della sopraccitata direttiva europea e investe l’IIM dell’esclusiva titolarità sui supporti cartografici necessari alla pianificazione. Ogni aspetto afferente alla gestione delle attività in mare dovrà essere condotto su cartografia tradizionale ed elettronica edita dall’IIM o su sistemi informativi appositamente realizzati dall’Ente cartografico di Stato. La citata norma ha così dato effettività e compiutezza ad attività che avevano embrionalConfini marittimi nazionali in vigore. Nella pagina accanto: porzione del sistema di linee di base diritte nazionali. mente coinvolto l’IIM all’interno dei progetti europei SIMWESTMED (17) e SUPREME (18) per la realizgruppo di lavoro, indetto nel 2016 dal ministero della zazione di un sistema iniziale di gestione degli spazi Difesa, ha terminato, nel giugno 2018, la revisione commarini nazionali. pleta del sistema di linee di base nazionali (14); revisione resasi necessaria a causa della progressiva Conclusioni variazione del profilo costiero nazionale — dovuta a cause naturali e antropiche — e dell’inarrestabile proMolteplici sono le implicazioni dell’idrografia e della gresso tecnologico, che ha permesso di identificare ercartografia nautica nella pianificazione degli spazi marori e imperfezioni del sistema posto in essere con il rittimi. L’idrografia, cioè la mappatura dei fondali proDecreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977, pedeutica alla rappresentazione cartografica, oltre a n. 816 (15). Le linee di base sono strumento essenziale costituire uno dei pilastri della Blue Economy, si pone, per una corretta pianificazione e gestione dello spazio infatti, alla base di attività quali lo sviluppo tecnologico marittimo, dato che da esse parte ogni valutazione e calnel settore marittimo, il supporto alle agenzie di protecolo delle aree di giurisprudenza nazionale sul mare. Inzione civile, l’assistenza alla popolazione in aree co-
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stiere particolarmente sensibili, il monitoraggio e la sorveglianza dell’inquinamento marino, la protezione ambientale nelle aree di competenza nazionale e dei parchi marini e archeologici (anche sommersi), il monitoraggio e la protezione della flora e della fauna marina, lo sviluppo sostenibile delle aree costiere. La gestione sinergica delle sopraccitate attività da parte delle istituzioni e dei dicasteri preposti è, a oggi, un aspetto vitale per uno Stato costiero come l’Italia, immerso nel Mediterraneo, storico crocevia di traffici e culture, veicolo di opportunità, ma anche di rischi e minacce. L’azione
dei decisori istituzionali, per risultare ottimale, non può prescindere dalla rappresentazione cartografica della realtà «marina» effettuata dall’Istituto idrografico, unico attore nazionale in grado di sintetizzare, su supporti certificati, i contenuti informativi necessari alla gestione olistica del mare nazionale. L’opera dell’Istituto idrografico della Marina non si limita, quindi, a tutelare la comunità navigante, ma assicura oggi un contributo effettivo alla crescita globale dell’economia nazionale, attraverso il supporto idrografico e cartografico a tutte le attività nazionali connesse con il mare. 8
NOTE (1) Con tale termine si indica tutta la categoria di dati e prodotti utili alla rappresentazione dello spazio terracqueo, inclusi i database informativi connessi, sui moderni supporti cartografici elettronici, alla rappresentazione geografica. (2) Pubblicazione S32- Hydrographic Dictionary dell’International Hydrographic Organization (IHO). (3) Per meglio comprendere le proporzioni tra estensione terrestre nazionale e acque di interesse italiano si deve tener presente quanto segue: superficie terrestre italiana, 302.000Km2; superficie del mare territoriale nazionale, 155.500Km2; superficie della EPZ (Export Processing Zones) nazionale dichiarata, 195.000Km2; superficie del mare nazionale delimitato dalla linea mediana teorica, 563.000Km2. (4) Con la Legge 2 febbraio 1960, n. 68, «Norme sulla cartografia ufficiale dello Stato e sulla disciplina della produzione e dei rilevamenti terrestri e idrografici» l’IIM è definito Ente cartografico dello Stato. (5) Cfr. DPR 15 marzo 2010, n. 90, «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare». (6) Pubblicazione inserita nel Catalogo generale dell’Istituto idrografico con il numero I.I. 3176. (7) Electronic Nautical Chart, carte nautiche elettroniche visualizzabili e fruibili mediante dispositivi denominati ECDIS (Electronic Chart and Display Information System). (8) Pubblicazioni quindicinali essenziali per l’aggiornamento della cartografia e dei documenti nautici. (9) Sensori acustici di nuova generazione in grado di restituire una mappatura tridimensionale del fondale marino, senza discontinuità, nell’area insonorizzata. (10) Light Detection and Ranging, tecnica di telerilevamento che permette, in campo idrografico, attraverso l’emissione di energia nello spettro del visibile, dell’ultravioletto e dell’infrarosso vicino, di determinare la batimetria su specchi d’acqua di profondità sino a 70-80 m ed effettuare contestualmente la mappatura topografica costiera. (11) La crescita blu (Blue Growth) è un’iniziativa della Commissione europea per valorizzare il potenziale dei mari, degli oceani e delle coste europee, per la creazione di nuove opportunità di lavoro e di nuove aziende nei settori produttivi della cosiddetta «Economia Blu», in maniera sostenibile, attraverso la promozione della ricerca, del trasferimento tecnologico e del partenariato tra ricerca scientifica e settore industriale. (12) Manufatti presenti sul mare territoriale per i quali è previsto il versamento di imposte. A tale categoria appartengono, per esempio, le piattaforme di estrazione mineraria. (13) Istituto idrografico, Disciplinare Tecnico per la standardizzazione dei rilievi costieri e portuali, Catalogo generale dell’Istituto idrografico 3176, Genova, 2016. (14) Costituito in parte da linee di base naturali e in parte da linee di base diritte. (15) Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977, n. 816 «Norme regolamentari relative all’applicazione della legge 8 dicembre 1961, n. 1658, con la quale è stata autorizzata l’adesione alla convenzione sul mare territoriale e la zona contigua, adottata a Ginevra il 29 aprile 1958, ed è stata data esecuzione alla medesima». (16) Decreto legislativo 17 ottobre 2016, n. 201 «Attuazione della Direttiva 2014/89/UE che istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo». (17) Progetto europeo biennale per il supporto della pianificazione marittima nel Mediterraneo occidentale. (18) Progetto europeo simile al SIMWESTMED per il Mediterraneo orientale.
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Stemma storico delle Forze di Contromisure Mine (autore).
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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
Le invenzioni e intuizioni italiane e i loro riflessi sulla tattica navale e la strategia marittima Massimo Vianello La guerra di mine navale è una forma di lotta in cui, oltre alla interazione diretta tra l’ordigno e la nave, sussiste un continuo confronto tra due partiti contrapposti: da un lato il «minatore» che posa le mine e dall’altro lo «sminatore» che cerca di eliminarne il rischio per il naviglio. È una metodica lotta tra le «misure» e le conseguenti «contromisure», una logorante e rischiosa competizione che, sulla base di valutazioni statistiche, fa ricorso a particolari tattiche e tecniche ma dove trovano spazio anche l’acutezza e perspicacia del minatore che mette in atto la sua trappola (il campo minato) e l’intuizione dello sminatore che deve eliminarne gli effetti. Tale contesto ha da sempre stimolato l’attitudine italiana ad affrontare situazioni complesse ricorrendo a soluzioni geniali ed espedienti originali che, in questo caso, si è tradotta in importanti contributi tecnici e operativi nello sviluppo dei sistemi e delle procedure per la guerra di mine. Tuttavia, i tanti primati sono spesso poco conosciuti e ciò è probabilmente attribuibile alla connotazione particolarmente specialistica della componente di contromisure mine e alle situazioni operative poco visibili in cui opera: nelle fasi preparatorie delle grandi operazioni dei dispositivi navali e nelle fasi post belliche in cui corre l’obbligo di bonificare i tratti di mare riaperti al traffico marittimo, intervalli temporali che non hanno mai destato un particolare interesse da parte degli storici. Da una attenta analisi storica è possibile ricostruire il ruolo di primo piano rivestito dall’Italia sin dai primordi di tale forma di lotta valutandone gli effetti sulle tattiche navali, sulle tecniche specialistiche nonché sulla strategia marittima.
L’Italia e la guerra di mine L’importante contributo italiano, allo sviluppo sia tecnico sia operativo della guerra di mine, ha, di fatto,
attraversato due differenti fasi storiche caratterizzate da diversi fattori geopolitici tra cui gli eventi bellici, prima e l’adesione alla NATO, successivamente. Nella prima, intensa attività di ricerca e sviluppo furono orientate prevalentemente verso la realizzazione di armi finalizzate non solo a rivestire un ruolo di deterrenza ma anche a costituire un efficace strumento di offesa del nemico. Nella seconda, invece, sulla base della consolidata esperienza maturata durante gli eventi bellici e in considerazione del mutato scenario geostrategico, si è affermata una componente di contromisure che ha conferito alla visione nazionale della guerra di mine una connotazione squisitamente difensiva. In entrambi i casi l’apparato specialistico italiano ha conseguito risultati di eccellenza che hanno segnato alcune delle tappe storiche di questa forma di lotta e tutt’oggi riveste un ruolo di riferimento nella regione mediterranea e ha una significativa valenza operativa nell’ambito dell’Alleanza atlantica. I periodi bellici Dopo la costituzione del Regno d’Italia, la nascente Regia Marina, formata dalla fusione delle Marine preunitarie, si trovava a doversi inevitabilmente confrontare sulla scena internazionale con le Marine già esistenti e tra di esse, in particolare, con quella francese, che rappresentava il più vicino e diretto metro di paragone. Di qui la scelta di riservare una particolare attenzione alla mina che, come disse il capitano di corvetta Quintino Bonomo in un suo scritto tecnico-specialistico del 1902: «per la sua straordinaria potenza unita a un costo relativamente basso, si presentava come arma livellatrice, dando essa al più debole il mezzo di avere talvolta ragione della prepotenza del più forte ». Fu così che a pieno diritto la mina divenne parte integrante della visione strategica dell’ammiraglio Saint Bon che, nella sua veste di Capo di Stato Maggiore della
Ammiraglio di divisione in riserva. Ha frequentato la Scuola militare navale F. Morosini e l’Accademia navale. Ha conseguito la qualificazione in armi subacquee e la specializzazione in contromisure mine. È stato il comandante del MSC Mandorlo, MHC Gaeta, fregata Maestrale e di nave Vespucci. Nel grado di contrammiraglio ha comandato le Forze di CMM (Contromisure Mine) e il 29° Gruppo navale. Ha partecipato alle operazioni Golfo Persico, Allied Force e Mare nostrum. Rivista Marittima Aprile 2021
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Forza armata, ne intravedeva le potenzialità di difesa degli interessi nazionali e di attuazione del blocco navale a scapito dei potenziali nemici. La bontà della scelta strategica trovò conferma nell’importante impatto, diretto o indiretto, avuto dalle operazioni di minamento sugli esiti della Prima guerra mondiale. Sulla base dell’esperienza acquisita, nel periodo tra le due guerre vennero perfezionate e potenziate le capacità del minamento offensivo tramite la posa occulta da parte dei sommergibili e le mine vennero diffusamente impiegate sia nel Mediterraneo che altrove. L’industria nazionale realizzò sia modelli di mine sia sistemi di posa dedicati alle differenti classi di sommergibili: appositi tubi orizzontali oppure verticali (pozzi), a seconda dei casi, arrivando così a dotarsi di una buona capacità di minamento offensivo. Il periodo post bellico Al termine della Seconda guerra mondiale gli obblighi posti dal diritto internazionale in tema di sminamento aprirono le porte a una stagione di lunghe operazioni di bonifica degli ordigni precedentemente posati che portò alla riorganizzazione e al consolidamento delle capacità di dragaggio nazionali. Peraltro, il mutato scenario internazionale portò ovviamente ad abbandonare il concetto del minamento offensivo per passare a una postura operativa che tuttora privilegia l’esercizio delle contromisure mine, in accordo con gli indirizzi della NATO e con la costituzione della Repubblica Italiana che «ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà dei popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie interna-
zionali». La necessità di disporre di efficaci assetti di contromisure mine, già palesatasi con la missione Mar Rosso nel 1984 e con l’operazione Golfo 1 nel 1987-88, si rafforzò in esito alla partecipazione ai dispositivi internazionali intervenuti nei più recenti scenari di crisi per condurre vere e proprie bonifiche post belliche (come nel caso della Guerra del Golfo nel 1991 e in quello delle operazioni in Adriatico nel 1999-2000 contestuali alla crisi in Kosovo). Non da ultimo, l’avvento della lotta asimmetrica, nell’ambito della quale la mina costituisce una delle armi privilegiate per l’offesa al traffico marittimo, ha rinnovato l’attenzione sull’opportunità di continuare a disporre di adeguati mezzi specialistici per salvaguardare il commercio nazionale e internazionale. Non è un caso che ormai da tempo la NATO si avvalga di due Gruppi navali di Contro Misure Mine (CMM), di cui uno dislocato nelle acque del Mediterraneo, con l’intento di vigilare sulla libertà di navigazione a tutela delle linee di comunicazione marittime. L’interpretazione italiana della guerra di mine in chiave difensiva è passata attraverso uno spiccato spirito di iniziativa che ha consentito alla Marina di essere in tale settore costantemente al passo con l’evoluzione della tecnologia e delle procedure operative, arrivando in alcune circostanze anche ad anticipare importanti sviluppi di tale forma di lotta grazie alle intuizioni che di seguito verranno descritte. A tal punto, appare del tutto evidente come l’excursus storico che segue debba inevitabilmente partire dall’esame dell’impegno italiano nel minamento per poi passare a quello nelle contromisure mine. Rappresentazione semplificata del sistema «Pugliese» per la protezione degli scafi dalle esplosioni subacquee mediante una struttura longitudinale, a murata, contenente dei cilindri assorbitori immersi in un liquido (autore).
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Il contributo italiano all’invenzione della torpedine ancorata Nel 1797, l’inventore americano Robert Fulton fu il primo che diede alle armi subacquee il nome di «torpedine», in origine nome di un pesce che ha la particolarità di emettere scariche elettriche. Tutt’oggi le torpedini vengono convenzionalmente suddivise in mine navali, se agiscono staticamente o in siluri, se sono autopropulse. Le armi subacquee nacquero dall’esigenza di difendersi, con ridotte risorse finanziarie, da forze navali superiori e come per il caso delle mine terrestri, anche la mina navale è da considerarsi un’invenzione tutta italiana. L’idea fu quella di impiegare le cariche di polvere esplosiva delle mine terrestri anche sott’acqua per distruggere o danneggiare le navi. Tra i tanti Italiani che, per primi, progettarono mine subacquee, ci fu un certo ingegnere Giovanni Battista Isacchi (1), inventore e scrittore militare al servizio di Luigi Pico della Mirandola, conosciuto per avere descritto nel 1578 le caratteristiche tecniche e operative della prima «mina sotto l’acqua». Se è vero che il progetto di Isacchi non portò ad alcuna realizzazione pratica, è altrettanto evidente che gettò le basi per ulteriori studi sia in Italia sia in altri paesi. In attesa che gli studi per la realizzazione di un vero e proprio ordigno subacqueo progredissero, fu italiana anche la prima applicazione pratica di impiego di primordiali mine galleggianti, i cosiddetti «brulotti esplodenti». Nel 1585, Federico Giambelli (2), ingegnere militare e poi consigliere tecnico al servizio di Elisabetta I d’Inghilterra, durante l’assedio di Anversa, lanciò due pontoni carichi di esplosivo (Speranza e Fortuna) per distruggere un ponte gettato sul fiume Schelda. Il brulotto del Giambelli aprì la strada a successive configurazioni di ordigni, prima galleggianti (barilotti esplosivi) e quindi ancorati, frutto degli studi americani di Bushnell e Fulton che poi portarono alle torpedini, prevalentemente fluviali, realizzate durante la guerra di secessione americana (1862-65). Ma l’iniziale intuizione di mina subacquea di Isacchi si tradusse veramente in pratica solo grazie ai congegni realizzati prima dal valente fisico elettrotecnico prussiano Jacobi e poi dal colonnello austriaco Ebner che sostituì le cariche di esplosivo in polvere con i cartoccieri di fulmicotone,
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mettendo in opera diversi tipi di torpedine ancorata. Con la liberazione di Venezia, la Regia Marina, avendo ereditato le conoscenze della Marina austro-veneta, ebbe modo di continuare a sviluppare gli studi dell’Ebner e con un lungimirante investimento tecnico-culturale, istituì nel 1875 la Regia Scuola dei Torpedinieri, inizialmente a bordo della pirocorvetta Caracciolo e successivamente alla Spezia. Le prime torpedini ancorate erano esclusivamente del tipo ad «ancoramento ordinario» cioè caratterizzate dal fatto che, in base alla profondità dello specchio d’acqua da interdire e alla quota prefissata per la carica esplosiva, era necessario regolare preventivamente la lunghezza di ciascun cavo di ormeggio che collegava ogni singolo ordigno alla rispettiva ancora. Tutto ciò si traduceva all’atto pratico in una preliminare operazione di scandagliamento del fondale cui faceva seguito l’ancoramento di ogni torpedine con un significativo dispendio di tempo e di personale. La necessità di ricorrere a un uso intensivo di torpedini in tempi ragionevolmente brevi, portò alla progettazione della torpedine ad «ancoramento automatico» volta a consentire la posa degli ordigni senza la necessità del preventivo scandagliamento. In tal senso, furono condotti numerosi studi in diversi paesi, seguendo due differenti approcci: il primo, secondo le teorie dell’austriaco Petrusky, prendeva la superficie del mare come riferimento per la regolazione dell’ormeggio dell’ordigno mentre il secondo, in accordo con l’idea del capitano di corvetta Rossellini, prendeva a riferimento il fondo del mare. Alla fine, tra i tanti progetti, fu quello del tenente di vascello Giovanni Emanuele Elia (3), brevettato nel 1890, che portò all’invenzione della prima vera e propria torpedine ad ancoramento automatico. La torpedine venne sottoposta a una severa campagna di prove, prima in vasche ideate dallo stesso Elia e poi in mare. Si arrivò così a verificare che una nave, attrezzata con ferroguide e carrelli di movimentazione in coperta, riusciva a realizzare uno sbarramento di torpedini con tempi e risorse di personale nemmeno lontanamente confrontabili con quelli precedentemente richiesti. Per la posa della torpedine non era necessario conoscere la profondità del mare ma bastava semplicemente regolare l’immersione dell’involucro contenente la carica (normalmente per bersaglio di superficie = 3 m). L’involucro veniva gettato a
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mare unitamente al carrello da cui poi si separava posizionandosi alla profondità voluta mentre quest’ultimo, affondando, fungeva da ancora una volta raggiunto il fondo. Dopo diverse versioni prototipiche, si arrivò alla mina ormeggiata dell’immaginario collettivo ossia quella che tutti hanno visto almeno una volta nei film o nei documentari, costituita da una sfera con gli urtanti e collegata con un cavo a un parallelepipedo posato sul fondo. Tutt’oggi gli urtanti altro non sono che degli involucri di piombo contenenti una fiala che, al contatto con lo scafo della nave, si spezza lasciando defluire un liquido elettrolita all’interno di una pila la cui corrente innesca l’esplosione della carica di scoppio. Il carrello di forma parallelepipeda invece, conteneva i congegni meccanici per la regolazione dell’immersione dell’ordigno, rivisti da Elia ma del tutto simili a quelli del tipo perfezionato dal sottotenente di vascello Francesco Passino. La torpedine «Elia» segnò una svolta epocale nella guerra di mine e nei primi del Novecento entrò in servizio presso le Marine statunitense, inglese, francese, spagnola e italiana. Tale arma, grazie alla semplificazione delle operazioni di posa, consentiva di attuare oltre ai minamenti protettivi nelle proprie acque territoriali anche il blocco navale nelle acque del nemico e per questo venne denominata «torpedine da blocco». La Regia Marina impiegò le «Elia» durante la Prima guerra mondiale unitamente alle mine «Bollo», frutto degli studi e ricerche dell’ammiraglio Girolamo Bollo (4), altro ufficiale che dedicò la sua carriera alla ricerca e sviluppo delle armi subacquee. Successivamente, questi due tipi di mina ormeggiata, debitamente ammodernati, continuarono a essere impiegati anche durante la Seconda guerra mondiale, andando a integrare il parco torpedini composto dalle mine della serie «P» (prodotte dalla ditta Pignone e denominate: P-200, P 150 CR e P-125 a seconda del quantitativo di esplosivo), dalle torpedini per sommergibili (modelli della serie «T» della ditta Tosi e le P-150 e UC-200 ) nonché dalle altre mine residuali del Primo conflitto mondiale (le «Harlè» di costruzione francese e le ex-austriache C-15). Le mine ormeggiate P-200 e la loro versione modificata in P-5 (per via dei 5 urtanti) restarono in servizio fino ai primi anni Novanta, quando vennero dismesse per lasciare posto alle sole più moderne mine da fondo.
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Le intuizioni italiane sulle mine La minaccia della guerra di mine non è costituita unicamente dalle mine ormeggiate, bensì da una ampia varietà di altri ordigni collocabili sul fondo del mare, sulla superficie o in volume. Anche in tale ambito non sono mancate brillanti intuizioni italiane, inizialmente inerenti alle mine galleggianti, oscillanti e rimorchiate e più recentemente per quanto attiene alle mine da fondo. Particolarmente efficaci si rivelarono, durante la Prima guerra mondiale, le mine a galleggiamento temporaneo (denominate anche «torpedini da getto») il cui sviluppo culminò nel modello realizzato dall’ingegnere Ceretti in configurazione aviolanciabile e che, a loro volta, vennero sostituite dalle mine oscillanti «Tosi». Per mantenere l’ordigno in un prefissato intervallo di quote, a differenza dei sistemi oscillanti svedese e inglese, che impiegavano un disco aneroide e un’elichetta calettata su un motorino elettrico, quello italiano utilizzava la variazione di volume di un polmone di gomma. Per il contrasto dei sommergibili venne anche realizzata, dal tenente di vascello Ginocchio, una versione italiana di «torpedine da rimorchio» che prevedeva l’esplosione dell’ordigno, trainato a una profondità prefissata, per l’urto contro il battello, a differenza di quella inglese che ne contemplava la chiusura di un circuito elettrico di accensione. Importanti contributi italiani furono forniti anche per quanto attiene ai «ginnoti», la cui paternità si fa risalire al colonnello americano Samuel Colt. Si trattava di sbarramenti di torpedini che venivano innescate a distanza tramite dei circuiti elettrici asserviti a dei sistemi ottici di traguardo del bersaglio. Alla fine dell’Ottocento, fu il tenente di vascello Carlo Scotti (5) che, perfezionando altre precedenti soluzioni italiane, realizzò un sistema di traguardo denominato «Congiuntore a Base Verticale» che ebbe diffuso impiego anche presso altre Marine. Per quanto attiene invece alle mine da fondo, furono le Marine inglese e americana e poi quella tedesca che, a partire dalla Prima guerra mondiale, realizzarono le prime «mine a influenza» che dapprima percepivano semplicemente l’intensità magnetica del bersaglio e in un secondo tempo il gradiente. Da queste, in breve si arrivò alla mina da fondo, caratterizzata da un maggior quantitativo di esplosivo e da acciarini a influenza magneto-acustica. L’avvento dell’elettronica porterà via via, le mine da
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fondo a diventare dei sofisticatissimi ordigni in grado di percepire influenze magnetiche, acustiche e bariche e altre caratteristiche fisiche del bersaglio sino ad arrivare ai giorni nostri, in cui il trattamento del segnale consente di gestirne il momento del fuoco nonché di selezionare il tipo di bersaglio in funzione della programmazione preliminare. L’effettivo contributo italiano allo sviluppo delle mine da fondo iniziò tra gli anni Sessanta e Settanta, con la progettazione della mina sperimentale «Cupella» che, pur essendo poco conosciuta, segnò il punto di partenza per la realizzazione, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, della MR-80. Successivamente, l’elettronica della MR-80 fu utilizzata per trasformare gli ordigni aviolanciabili tipo MK-13 in moderne mine da fondo ma soprattutto, condusse alla realizzazione della MP-80 che negli anni Ottanta rappresentò un prodotto di eccellenza del comparto industriale specialistico nazionale. Tuttavia, nonostante l’elevato livello tecnologico della MP-80, la genialità italiana trovò la sua massima espressione nella realizzazione della «Manta», una semplice mina antisbarco magneto-acustica che però, grazie alla caratteristica forma troncoconica e alla sua predisposizione all’allagamento e infangamento, risulta tutt’oggi estremamente insidiosa perché difficilmente scopribile dai sonar.
I riflessi sulla tattica navale e sulla strategia marittima Ricordando che Clausewitz definisce la strategia come «l’impiego delle forze per gli scopi della guerra» e la tattica come «l’impiego delle forze per gli scopi della battaglia», si può affermare che le mine, quando vengono impiegate in campi aventi lo scopo di interdire nel medio o lungo termine il traffico navale nemico o di proteggere le proprie acque territoriali o i propri interessi economici, sono armi eminentemente strategiche. Viceversa, se impiegate limitatamente nello spazio e nel tempo, si configurano come armi tattiche. Da un punto di vista storico l’invenzione della torpedine ad ancoramento automatico di Elia, consentendo la messa in opera di significativi sbarramenti e l’interdizione di importanti tratti di mare, ha di fatto inaugurato l’impiego strategico della mina. Risale all’ammiraglio Simone Pacoret de Saint Bon l’idea del blocco navale realizzato con le mine che poi sarà ripresa dall’ammiraglio Bettolo, sostenitore del progetto di Elia. Non è un caso che la parte fissa dello storico sbarramento antisommergibile del Canale d’Otranto, attuato da Italia, Francia e Inghilterra, durante la Prima guerra mondiale, fosse costituito da mine del tipo «Elia».
Rappresentazione del sistema di posa delle torpedini ad ancoramento automatico (autore).
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Anche nel Mare del Nord l’impiego di tale ordigno, per sbarramenti antisommergibile, da parte delle Marine nordeuropee, consentì lo sbarco senza danni di truppe alleate, distruggendo 27 sommergibili tedeschi. Negli anni Venti fu il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, Romeo Bernotti, che studiò con Elia la possibilità di uno sbarramento strategico sugli altissimi fondali dello Stretto di Sicilia, tema che successivamente verrà più volte ripreso in esame. Non da ultimo, la realizzazione della mina «Elia» diede il via a strategiche collaborazioni tra industrie di differenti paesi, portando alle versioni italo-inglese «Vickers-Elia» e italo-francese «Breguet-Elia». Lo stesso Giovanni Emanuele Elia, quando lasciò la Marina per dedicarsi totalmente ai suoi studi, arrivò a rivestire un importante ruolo all’interno della ditta Pignone di Firenze che realizzò i successivi tipi di mine ormeggiate. La produzione su vasta scala delle torpedini italiane ebbe i suoi effetti anche sullo sviluppo industriale del paese determinando la trasformazione di alcune grandi officine e fonderie in veri e propri stabilimenti industriali. Alcune intuizioni italiane hanno avuto riflessi anche nell’impiego tattico delle mine. Le mine galleggianti, così come quelle oscillanti «Tosi», si rivelarono particolarmente utili nelle fasi di disimpegno dei mezzi veloci di superficie che, dopo gli attacchi alle unità maggiori, le rilasciavano a mare per fare desistere le navi inseguitrici. Un apposito congegno delle mine «Bollo», che consentiva il recupero in sicurezza e il reimpiego delle mine sganciatesi dagli ormeggi, si dimostrò particolarmente utile per il «rinfresco» dei campi minati di logoramento destinati a mantenere impegnate le forze di contromisure mine del nemico. Più recentemente, la mina antisbarco «Manta», grazie alle sue caratteristiche fisiche che la rendono difficilmente scopribile dai sonar, ha di fatto dato il via alla applicazione dello «stealth» nella guerra di mine. Successivamente, versioni similari sono state realizzate, nella configurazione da esercizio, da altre Marine per addestrare in maniera specifica gli operatori ecogoniometristi alla scoperta sonar e altre ancora, come la Marina svedese, hanno invece realizzato configurazioni «in guerra» concepite con gli stessi criteri (tipo «Rockan»).
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Le Contromisure Mine Indipendentemente dalla valenza strategica o tattica che la mina possa rivestire a seconda delle situazioni, come normalmente avviene, la creazione della minaccia ha conseguentemente portato alla realizzazione delle relative contromisure. Tuttavia, per la particolare insidiosità di tale arma e la portata degli effetti che il suo impiego ne può comportare non è stato sufficiente sviluppare, nelle diverse epoche, sistemi e apparecchiature di cui dotare le navi (paramine, cilindri di assorbimento dell’esplosioni subacquee, impianti di compensazione magnetica, sistemi di silenziamento acustico, visori IR, sonar «mine avoidance») ma si è reso necessario creare delle navi dedicate esclusivamente al contrasto delle mine. È così che sono nati i dragamine, piccole unità navali amagnetiche dotate di apparecchiature per il dragaggio meccanico e di apparecchiature a influenza magnetica e acustica volte a neutralizzare rispettivamente le mine ormeggiate e quelle da fondo. Successivamente, la crescente complessità e sofisticazione delle mine moderne ha fatto passare in secondo piano il dragamine per ragioni sia di efficacia sia di sicurezza e ha portato all’impiego dei cacciamine, anch’esse piccole unità amagnetiche con trascurabile segnatura acustica ed elevato «schock factor», in grado di scoprire le mine tramite apposito sonar per poi neutralizzarle in condizioni di sicurezza. Anche in questo campo l’Italia ha conseguito primati e traguardi sia nell’ambito tecnico specialistico e della dottrina tattica sia nel perseguimento di obiettivi di carattere potenzialmente strategico. Di sicura valenza strategica sono le capacità a tutt’oggi maturate dal comparto industriale specialistico. Se da un lato alla fine degli anni Novanta si sono ridotte le potenzialità dell’industria nazionale nel campo dei sensori acustici, dall’altro si sono invece consolidate le capacità in tutti i rimanenti settori, conseguendo un buon livello di indipendenza tecnologica. La cantieristica degli scafi di CMM in GRP (Glass Resistent Plastic) è, di fatto, una nicchia di eccellenza dell’industria italiana, così come gli impianti di compensazione magnetica, i veicoli filoguidati e il munizionamento di CMM trovano un vasto consenso sul mercato internazionale e le potenzialità per quanto at-
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Genio italico applicato alla guerra di mine
Il disegno rappresenta un battello che attraversa uno sbarramento di mine ormeggiate (autore).
tiene agli USV (Unmanned Surface Vehicles) sono promettenti. Un importante ruolo strategico è altresì rivestito dal MWDC (Mine Warfare Data Center) del Comando delle Forze di CMM dove, tramite un software realizzato dalla stessa componente CMM nazionale, viene monitorato lo stato del fondale delle principali rotte di accesso ai porti italiani e che attraversano i punti nevralgici del traffico navale nel Mediterraneo centrale, dando un importante contributo nell’esercizio della funzione strategica del Sea Control. Nel campo della ricerca e sviluppo, il poligono per la guerra di mine del Comando delle Forze di CMM tutt’oggi costituisce una risorsa privilegiata per lo studio dell’interazione tra mina e bersaglio, che sta alla base della valutazione e progettazione dei nuovi sistemi per la guerra di mine. A tale risorsa, in passato, ha fatto riferimento anche la NATO per lo sviluppo del «mine jamming» (contromisura che agisce sulla logica di attivazione delle moderne mine da fondo). Dal dopoguerra sino a oggi, molte sono state anche
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le intuizioni italiane che hanno portato utili contributi alle tattiche e alle tecniche specialistiche della NATO. Tra le principali: l’ideazione di una apparecchiatura per il dragaggio a influenza denominata «F.A.» che ottimizza l’effetto combinato dei componenti magnetici e acustici; la sperimentazione di un’apparecchiatura per il dragaggio meccanico a quota profonda; lo sviluppo di un procedura per la guida vettoriale dei dragamine su contatto sonar di mina mantenuto da un cacciamine («dragaggio d’intervento»); definizione di una dottrina sulla valutazione degli effetti della vegetazione subacquea sulla scoperta sonar delle mine. Altre intuizioni, se da un lato non hanno portato a vere e proprie invenzioni, hanno comunque determinato la realizzazione di sistemi di contingenza che, all’occasione, hanno evidenziato sul campo la loro efficacia. È il caso dell’apparecchiatura di dragaggio a ramponi, utilizzata per le operazioni di bonifica delle acque dell’Alto adriatico dalle bombe di aereo, scaricate in mare, durante la crisi del Kosovo nel 1999.
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Genio italico applicato alla guerra di mine
Conclusioni L’ingegnosità di tanti italiani ha contribuito in maniera determinante alle più importanti invenzioni e sviluppi sia tecnici sia procedurali, che hanno segnato la storia della guerra di mine, sia nel passato sia nei tempi più recenti. Di conseguenza, la storica conoscenza della minaccia ha consentito, negli ultimi decenni, il consolidamento di una solida capacità di contromisure mine che ha portato l’attuale componente di CMM nazionale a rivestire una posizione di primo piano nel Mediterraneo e un importante ruolo per sostenere la visione strategica della Forza armata. Nel tempo, tanti ufficiali e ingegneri, con la loro appassionata inventiva e dedizione, hanno consentito la crescita di una cultura specialistica che tutt’oggi rappresenta una caratteristica connotazione degli esperti del settore. Tra tutti spicca, per l’inesauribile energia, la figura di Giovanni Emanuele Elia che, oltre a quanto già descritto, migliorò progressivamente la sua torpedine ad ancoramento automatico, brevettando anche il «Sistema di ancoraggio con scandaglio», l’«Ancora di sicurezza per torpedini» e i «Sistemi di accensione per
torpedini», nonché progettò tanti altri dispositivi per armi subacquee tra cui una torpedine antisommergibile. Ma tanti altri, seppure meno conosciuti, con le loro intuizioni hanno fattivamente contribuito alle continue innovazioni che in alcuni casi sono state messe a sistema dallo stesso Elia per la realizzazione delle sue torpedini. Tra i principali: il sottotenente macchinista della riserva navale Tito Novero (6) a cui si deve la realizzazione di una ingegnosa torpedine con carica esterna, pienamente rispondente ai requisiti posti dalla VIII Convenzione dell’Aja del 1907; il tenente di vascello Carlo Susanna (7), inventore della «Torpedine Elettrica Automatica mod.1890», dotata di un congegno per la prevenzione dello scoppio per simpatia degli ordigni, che troverà ampia diffusione nei successivi modelli di mina; il capitano di vascello Morin (8) che progettò il «Ginnoto mod.1884». Oggi, l’importante bagaglio storico e culturale ereditato dal passato, riveste un valore inestimabile e costituisce un sicuro riferimento per i futuri sviluppi della componente CMM nazionale che lasciano ulteriore spazio all’ingegnosità italiana. 8
NOTE (1) Giovanni Battista Isacchi: nato a Reggio Emilia e vissuto nel XVI secolo. Ingegnere e scrittore militare del Ducato di Ferrara, Modena e Reggio che progettò la difesa di Ferrara dalle incursioni della Repubblica Marinara di Venezia nel delta del fiume Po’. (Ernesto Simion, L’adozione e l’evoluzione delle armi subacquee nella Marina Militare, in Rivista Marittima, aprile 1927, pp.445-485). (2) Federico Giambelli: nato a Mantova e vissuto tra il XVI e il VII secolo. Ingegnere e militare che lavorò in Spagna, Paesi Bassi spagnoli e Inghilterra. (Luigi Caretti, Armi Subacquee in Enciclopedia Italiana, vol.32/1936). (3) Giovanni Emanuele Elia: nato a Torino il 15/3/1866 e promosso guardiamarina nel 1885, lasciò la Regia Marina nel 1890 con il grado di tenente di vascello. Nel 1895 avviò la produzione di torpedini presso lo stabilimento della Pignone di Firenze di cui poi diventò il presidente. Per le tante invenzioni e brevetti fu insignito della Medaglia d’Oro di 1a classe al Valore di Marina. Negli anni Venti fu presidente della Società Geografica Italiana (Walter Polastro, «Elia», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol.42/1933). (4) Girolamo Bollo: nato a Moneglia il 30/4/1866 e promosso guardiamarina nel 1884. Studioso di armi subacquee e di apparati elettrici, fu insignito della Medaglia d’Argento di 2a classe per lavori utili alla Marina. Prese parte alla guerra italo-turca (1911-12). Dopo l’invenzione di un primo modello di torpedine, gli fu conferita dal governo francese l’onorificenza della legione d’onore per meriti scientifici. Cessò il servizio attivo nel 1917 con il grado di viceammiraglio (Ernesto Simion, L’adozione e l’evoluzione delle armi subacquee nella Marina Militare, in Rivista Marittima, aprile 1927, pp.445-485). (5) Carlo Scotti: ufficiale della Regia Marina che si distinse per l’intensa attività di ricerca e sviluppo nel campo delle armi subacquee nell’ambito della quale, tra le altre cose, progettò e realizzò un modello di controtorpedine e una torpedine da blocco e difesa prodotta, in un numero ridotto di esemplari, dalla FIAT- San Giorgio nel 1913 (Luigi Caretti, «Armi Subacquee» in Enciclopedia Italiana, vol.32/1936). (6) Tito Novero: titolare di ditta della Spezia produttrice di attrezzature marinaresche nei primi anni del Novecento (P.P., Torpedini da blocco ad ancoramento automatico, in Rivista Nautica, 1908, pp.158). (7) Carlo Susanna: ufficiale della Regia Marina che si distinse per l’intensa attività di ricerca e sviluppo nel campo delle armi subacquee nell’ambito della quale perfezionò anche un «congegno a gavitello» per l’ancoramento automatico delle torpedini (Ernesto Simion, L’adozione e l’evoluzione delle armi subacquee nella Marina Militare, in Rivista Marittima, aprile 1927, pp.445-485). (8) Enrico Costantino Morin: nato a Genova il 5/5/1841, fu viceammiraglio e figura di spicco della Regia Marina. Venne nominato ministro della Marina, ministro degli Esteri e senatore della Repubblica. Nella sua carriera si occupò anche di studi e sperimentazioni e fu il comandante della nave scuola torpedinieri Caracciolo (Ernesto Simion, L’adozione e l’evoluzione delle armi subacquee nella Marina Militare, in Rivista Marittima, aprile 1927, pp.445-485). BIBLIOGRAFIA Ettore Bravetta, Sottomarini Sommergibili e Torpedini, Fratelli Treves editori, 1915. Walter Polastro, «Elia», in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 42/1933. Luigi Caretti, «Armi Subacquee», in Enciclopedia Italiana, vol.32/1936. Cristiano D’adamo; Regia Marina Italiana - Armi; 1996. Gruppo Insegnamento A/S; AN-3-46; Poligrafico Accademia Navale, 1982. Bruno Spadi; Le Mine Navali e di Sbarramento; ICSM articoli; 2017. Ernesto Simion, L’adozione e l’evoluzione delle armi subacquee nella Marina Militare, in Rivista Marittima, aprile 1927, pp.445-485. P.P., Torpedini da blocco ad ancoramento automatico, in Rivista Nautica, 1908, pp.158. Ministero della Marina, Manuale del Torpediniere, Roma 1939. Ministero della Marina, Prontuario-Indice delle Torpedini, Roma 1938.
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All’apice della propria potenza la «simmachia egemoniale» di Sibari s’ispirava al modello lidiopersiano delle satrapie. La sua influenza si estendeva dai distretti settentrionali situati lungo la congiungente tra Metaponto e Poseidonia-Paestum, fino all’istmo scilletico-ipponiate (tra i golfi di Squillace e di S. Eufemia) a sud (elaborazione da Maurizio Bugno, Da Sibari a Thurii. La fine di un impero, Centre Jean Bérard, Napoli, 1999).
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SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
A CAVALLO TRA DUE MARI E 27 SECOLI L’archè di Sibari, una storia di mare e di economia di ieri e di oggi Michele Maria Gaetani
Poche città sono entrate di forza nei vocabolari, per esempio Babilonia, sinonimo di confusione, oppure Bisanzio coi suoi, appunto, bizantinismi. Fa loro compagnia Sibari, il cui lusso, infine rovinoso, è proverbiale. Eppure proprio la parabola di questa un tempo grande città-stato presenta parecchi spunti di estrema attualità politica, economica e, di conseguenza, navale.
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li archeologi hanno dimostrato che la regione che dal VII sec. d.C. chiamiamo Calabria sviluppò sin dal 5000 a.C., ovvero ancora nel neolitico, la navigazione costiera, assicurando il traffico tra le coste tirreniche e quelle ioniche con imbarcazioni cariche di ossidiana, ossia il vetro vulcanico estratto a Lipari e Palmarola. Quasi quattromila anni dopo, i navigatori minoici scoprirono e parteciparono al lucroso traffico dei metalli strumentali. Dobbiamo a questi scambi coi cretesi la statuetta d’avorio, d’eccezionale fattura, scoperta nel 2012 a Punta di Zambrone, vicino a Tropea, che costituisce la più antica rappresentazione di figura umana con caratteri naturalistici mai trovata in Italia e in tutto il Mediterraneo occidentale (1).
L’insediamento di Broglio di Trebisacce (CS) nasce da questi scambi verso il XVII sec. a.C., quando i navigatori e commercianti micenei si stanziarono su uno sperone collinare che domina la linea di costa ionica dieci chilometri a nord della futura Sibari, fondendosi, con ogni probabilità, con le popolazioni locali e avviando produzioni standardizzate di vasellame di pregio decorato in stile egeo e cretese (2). Mezzo millennio dopo, intorno al XII secolo a.C., il collasso quasi contemporaneo delle economie palaziali del Mediterraneo orientale (vittime di fenomeni incontrollabili, sia naturali sia umani) (3) causò la fine della grande Età del Bronzo e l’avvento dei secoli bui del cosiddetto Medioevo ellenico.
Avvocato milanese classe 1970, oltre ad articoli in ambito giuridico, ha pubblicato dal 1996 studi storico-militari e realizzazioni cartografiche per RID, Rivista Marittima (Stive ed Egemonia, supplemento novembre 2007), Storia Militare, Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Marina Militare, Businaro-InEdibus, Ali Antiche. Ha inoltre contribuito a opere di altri autori per Osprey e IBN.
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La piana alluvionale del Crati e del Coscile era, ed è, fertilissima ma idrogeologicamente instabile. La deviazione del fiume Crati operata dai Crotoniati per sommergere Sibari non ha finora trovato conferme archeologiche e sembra casomai il ricordo, deformato dal mito, di fenomeni naturali conseguenti al cessato regime artificiale dei fiumi dopo la distruzione della città (Bellotti et al., Insediamenti umani in un paesaggio in evoluzione: Interazione uomoambiente nella piana di Sibari (Calabria Ionica), Il Quaternario - Italian Journal of Quaternary Sciences 22(1), 2009).
È stato comunque «dimostrato che la tecnologia militare dell’Italia fu abbastanza avanzata in confronto con quella della Grecia durante il tardo XIII e il XII secolo a.C.. In particolar modo, le spade da fendente della famiglia Naue II, caratteristiche della c.d. koinè metallurgica, davano un vantaggio ai guerrieri provenienti dall’Italia. I risultati di analisi chimiche e isotopiche provano che gli esemplari più antichi di quelle spade in uso nell’Egeo furono importate dall’Italia» (4). Di più, «le popolazioni costiere in Italia devono aver avuto una certa capacità nella navigazione — com’è dimostrato per esempio dai siti di cultura Appenninica in Corsica — e anche nei trasporti marittimi mercantili» (5). Un contributo decisivo al tracollo del vecchio ordine fu assicurato, secondo alcuni paleo-climatologi, dall’instabilità climatica del XV secolo a.C.: nell’arco di qualche decennio, un secolo al massimo, la superficie dell’Oceano Atlantico settentrionale si raffreddò, e con essa il Mediterraneo,
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che divenne siccitoso (6). Successivamente, le migliorate condizioni climatiche, unite ai progressi dell’agricoltura, contribuirono a una generale ripresa demografica, con una conseguente espansione in direzione del Mar Nero e dell’Italìa. Tra le prime colonie elleniche del IX e VIII sec. a.C. figurano così Ischia (Pithekyssai), Cuma, Nasso, Zancle (Messina), Siracusa e, appunto, Sibari (7). Sibari fu fondata tra il 733 e il 707 a.C. (data generalmente accolta: 720) da una spedizione di coloni provenienti dal Peloponneso, verosimilmente sponsorizzati dalla città di Corinto (8). I nuovi coloni achei misero per prima cosa in sicurezza la frontiera settentrionale della novella comunità, subito minacciata dai Dori, loro tradizionali nemici, i quali avevano fondato, attorno al 706-705 a.C., Taranto, principale tra le pochissime colonie dedotte da Sparta. La geografia, le posizioni strategiche e i porti naturali erano, evidentemente, ben noti a tutti. Sorse così Metaponto, tra il 690
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città dotate di cinte murarie complete (non limitate e il 620, col duplice risultato di sbarrare la strada ai tacioè all’acropoli) che ci sono precisamente note sono rantini e di insidiare la fertile Siritide. Dopo questo pri232; di queste, le poleis che racchiudessero più di 150 mum vivere fu la volta del deinde philosophari, ettari (ossia grandi) erano solo 23, 4 delle quali sicemediante un’espansione commerciale, marittima e naliote (Agrigento, Gela, Camarina e Siracusa), 4 italiote vale in direzione del mar Tirreno e dei locali traffici tra (Crotone, Locri, Sibari e Taranto) una africana (CiGreci, Cartaginesi ed Etruschi (9). rene) e 14 greche. Se si aggiunge poi il fatto che la diVerso il 600 i sibariti fondarono così Poseidonia (la mensione media della città greca nel periodo classico futura Paestum) (10). Nella loro avanzata verso il Tir(V sec. a.C.) era di 65 ettari (40 la mediana), si capisce reno, vennero in contatto con diverse popolazioni aul’impressione che dovevano fare i 500 ettari (5 km²) toctone dell’entroterra (la «terra di mezzo», com’era di Sibari nel VI sec. a.C. (16). Ma dove veniva la stradetta in greco), ed è proprio in occasione dei rapporti ordinaria magnificenza di Sibari? Non solo la piana con gli indigeni che si manifestò la particolarità era feracissima, ma le foreste dal Pollino alla Sila fordell’«impero» sibaritico, misconosciuto anello di connivano quantità inesauribili di legname per l’edilizia, giunzione tra il modello culturale persiano e quello roper le fornaci e per la cantieristica, nonché la miglior mano. L’imperialismo di Sibari non fu scevro da una pece del Mediterraneo (la pix bruttia celebrata dagli durezza sanguinaria e anche sacrilega (da cui l’espresscrittori latini) impiegata, oltre che per scopi medici e sione latina «scelus sybariticum») (11), ma i ritrovacosmetici, per la calafatura degli scafi, per l’impermenti archeologici di guerrieri enotri sepolti in armi da meabilizzazione e la sigillatura delle anfore e nei tratparata fanno propendere per una convivenza e progrestamenti del vino, di cui Sibari era esportatrice (17). siva assimilazione tra coloni achei e popolazioni locali Detto in altre parole l’industria navale era indispen(12) in omaggio a un «quadro di “interetnicità” cultusabile e, con essa, tutto l’indotto. Da essa dipendevano rale e materiale estremamente composito» (13). sia la possibilità di esportare il vino, l’olio, i tessuti (18) Ancora una volta, pertanto, nihil sub sole novum, e il vasellame, sia quella di farsi pagare le merci e i sertanto più che tra gli strumenti di penetrazione, un ruolo vizi con le buone, se possibile, con le cattive se necesimportante fu giocato dai «santuari di frontiera», le cui sario. Inoltre, come al buon tempo antico, le arti, a rovine sono oggi la testimonianza dei «più antichi tempartire da quella culinaria, erano fiorite (19). pli di cui abbiamo conoscenza sul suolo d’Italia» (14). Secondo Erodoto, Sibari era floridissima attorno al 575. All’acme della sua fortuna, essa era «la città più potente, più popolosa, più ricca e più lussuosa del mondo occidentale» (15). In effetti, per quanto i dati relativi a questo periodo siano da considerare molto approssimativi, la popolazione e la superficie di Sibari appartenevano allo stesso ordine di grandezza di Babilonia e di Ninive. Limitandoci all’ambito Ecateo, principale geografo del VI secolo a.C., aveva, da Mileto, una visione dell’Italia incentrata su Sibari e prettamente ellenico delle sulla rete di relazioni rivolta da lì verso l’Occidente. Questo grafico permette di capire perché le città italiote percepivano se stesse come «Magna Grecia» rispetto all’Ellade metropolitana. 1035 poleis conosciute, le
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cantili in uso fino al VI secolo a.C., quando apparvero le nuove e sempre più grosse unità a vela, tonde e specializzate (20). A quel punto iniziarono i guai. Stando infatti a quanto scrive Timeo (storico del IV-III secolo, disprezzato però da Polibio), Sibari non solo non aveva un porto, ma i suoi oziosi abitanti nutrivano avversione nei confronti dei viaggi per mare e dei correlati pericoli. In effetti la grave progradazione della linea di costa fa allontanare il mare di un metro l’anno, e al momento della distruzione della città il mare si era già ritirato di circa 200 metri rispetto a quando Sibari era stata Questa rarissima statuetta d’avorio testimonia la frequentazione minoica lungo la rotta che Domenico Silvestri ha chiamato «via tirrenica dei metalli strumentali», lungo la quale Témesa fondata due secoli prima. Oggi la foce e l’Italìa erano plausibili tappe intermedie mentre l’Elba rappresentava l’approdo finale (Reinhard-Pacciarelli, A Minoan Statuette from Punta di Zambrone in Southern Calabria). del fiume Crati dista 3,3 km dai resti della polis achea (21). Un destino, se vogliamo, simile a quello di Pisa, orgogliosa Repubblica marinara ridotta, nel giro di qualche secolo, al modesto sbocco di Marina di Pisa. Non controllando il punto di passaggio obbligato rappresentato dallo Stretto di Messina, decisive divennero le vie istmiche terrestri (22). Secondo Strabone, geografo di età augustea, l’«impero» di Sibari, al momento del proprio massimo splendore, dominava — mediante foedera iniqua, ossia trattati egemoniali come quello stipulato coi Serdaioi e ritrovato a Olimpia — quattro popoli e 25 poleis disseminati tra il mar Ionio, il Tirreno e l’entroterra, Corredo funebre di un guerriero enotrio del periodo precoloniale (IX-VIII sec. a.C.) trovato a Torre Mordillo, altura sulla piana di Sibari. La spada con impugnatura «a lingua da presa» rappresentando il cardine attorno a cui del tipo Naue II, comparsa alla fine dell’Età del bronzo, ebbe, nell’antichità, secondo Louise A. Hitchcock, un’importanza pari a quella della bomba atomica (Museo dei Brettii e degli ruotavano, nel VI secolo, gli scambi comEnotri di Cosenza, Artsupp). merciali e culturali tra l’Asia Minore (Mileto) e l’Etruria. Era una realtà economica e culturale «italiana», di taglia tale da rappresentare un Tutto bene quindi? Non proprio. È un fatto che mercato della massima importanza nell’ambito dell’inquesta città marittima che aveva basato le proprie fortero sistema mediterraneo e, quindi, «mondiale». tune sul mare non disponeva di un porto, ma soltanto Il sintomo iniziale della crisi di Sibari si avverte delle lagune formate dal delta dei fiumi Crati e Sybanella neutralità di quella città in occasione della prima ris. Verosimilmente, quindi, un porto fluviale (o un battaglia navale «italiana» della storia. Accadde che gli porto canale): un terminal, insomma, e probabilmente abitanti di Focea, città greca sita in quella che oggi uno scalo franco in grado di accogliere le navi mer-
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chiamiamo Anatolia, pur di non assoggettarsi al «barbaro» Ciro il Grande quando la loro città fu da lui presa nel 546 a.C., abbandonarono in massa la loro patria: 4000 uomini, donne e bambini a bordo di una quarantina di pentecontori (navi con cinquanta remi). Una simile flotta costituiva per quel tempo un’armata poderosa e i profughi penetrarono indisturbati nel Tirreno stabilendosi ad Alalia, sulla costa orientale della Corsica, dove da una ventina di anni avevano un piccolo scalo commerciale impegnato negli scambi con Etruschi e Fenici. I nuovi arrivati, oltre a insidiare «il monopolio dei metalli e dell’allume esercitato da Agylla/Caere» (23), si diedero presto a saccheggiare tutti i vicini, come riferisce Erodoto, interrompendo le lucrose esportazioni etrusche verso la Gallia. Fu così che Etruschi e Cartaginesi, legati, secondo Aristotele (24), da un trattato commerciale e militare che definiva le rispettive sfere di influenza, decisero di agire. Verso il 540, 60 navi etrusche e altrettante cartaginesi si scontrarono con 60 navi focesi nella battaglia di Alalia, primo grande scontro navale della storia. Si discute se la squadra etrusca comprendesse un piccolo contingente dell’allora già importante, economicamente e militarmente, Roma dei Tarquini (25). È certo che i Focesi impiegarono per la prima volta il rostro in battaglia rivendicando la vittoria. In realtà si trattò di quella che Erodoto definisce una «vittoria cadmea» (oggi diremmo di Pirro), visto che persero comunque 40 navi mentre le restanti venti risultarono inutilizzabili per i danni riportati. Non sono note le perdite della coalizione etruscopunica, ma si sa che in mano ai presunti sconfitti rimasero molti prigionieri (parte dei quali fu lapidata dagli etruschi una volta sbarcati ad Agylla-Caere) e che, soprattutto, i sedicenti vincitori evacuarono frettolosamente la Corsica. Sibari fece ricorso, con successo, alla diplomazia e trovò, alla fine, un compromesso tra le parti in causa, non potendo correre il rischio di scontentare alcuna delle potenze coinvolte: i Focesi furono così autorizzati a fondare Elea (Velia) in un territorio che Sibari fece loro vendere dagli Enotri. La debolezza relativa di Sibari sul mare (in termini sia navali sia marittimi e, pertanto, economici, politici, strategici e sociali) rispetto ai propri vicini occidentali
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e orientali divenne ben presto tanto evidente da lasciare spazio, verso il 530 a.C., agli esperimenti politici e sociali di Pitagora — esule da Samo — e dei suoi discepoli. Scienziato, filosofo, maestro, mago, asceta, santone, guaritore, incarnazione del dio Apollo nato da una vergine, uomo d’affari e politico ideologo dell’aristocrazia, Pitagora esercitò la propria influenza sul platonismo e sul giudaismo degli Esseni (26). Vero ispiratore dell’idea che risanare la classe politica — come dichiarerà Platone nella sua settima lettera — non fosse possibile in quanto i cattivi governi sarebbero continuati fino a quando a capo degli stati non fossero arrivati autentici filosofi oppure, «per una divina sorte», i potenti fossero diventati essi stessi filosofi (27), Pitagora promosse da Crotone alla Magna Grecia, in nome dell’armonia ideale, se non l’introduzione — come pure si dibatte ancora — della moneta (28), certo
Il Toro cozzante in bronzo custodito al Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide. Si trattava di un animale sacro a Poseidone sin dall’età omerica e divenne il simbolo di Sibari. Al dio del mare fu dedicata anche Poseidonia (Paestum), la più importante colonia di Sibari sul Tirreno, a conferma della trinomio Sibari-mare-ricchezza (MIBACT).
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Contemporaneo di Buddha e Confucio, Pitagora (575?-495?), nativo di Samo, fuggì in Italìa nel 530 a.C. dopo che Policrate era diventato, a furor di popolo, il tiranno di quell’isola. Comprensibilmente ostile alla democrazia e fautore dell’oligarchia, Pitagora fondò una propria celebre scuola a Crotone facendo proseliti anche tra gli aristocratici di Sibari e Metaponto, dove morì, infine, nuovamente esule (Wikipedia, Musei Capitolini).
quella della finanza. «Battuta in quantità veramente notevole e fors’anche in più di un’officina, la moneta di Sibari circola senza restrizione dallo Ionio al Tirreno, ed è presente ancora in ripostigli interrati intorno alla metà del V secolo [...]. In definitiva si può dire che Sibari aveva fatto dell’emissione monetaria un efficace strumento di controllo politico dei suoi domini» (29). Quanto argento fu battuto da Sibari? Di sicuro «come la fortuna di Atene era legata alle miniere del Laurion, quella di Sibari all’Argentera della Sila». Le stime hanno un ampio margine di incertezza spaziando da coniazioni pari, in media, a circa 1 tonnellata d’argento l’anno a poco più di 1 quintale. La verità sta probabilmente nel mezzo. Poiché sappiamo che il nucleo del-
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l’archè contava circa 300.000 abitanti (di cui un terzo nella capitale), possiamo ricavare che, a seconda delle stime di cui sopra, la coniazione procapite fu tra un minimo di 5,7 grammi nell’arco di 10-15 anni (1.721.400 g / 300.000 ab.), pari a circa 0,46 g/persona/anno, e 115 grammi nel giro di 30-40 anni (34.532.000 g / 300.000 ab.), pari a circa 3,29 g/persona/anno. Si tratta di quantità procapite mediamente comparabili alle coniazioni (di argento e di oro ragguagliato ad argento) dell’Inghilterra tra il 1344 e il 1349 (2,43 g/persona/anno) e della Francia tra il 1354 e il 1489 (0,79 g/persona/anno) (30). Forse, in concomitanza con l’introduzione della moneta divisionale avvenuta verso il 520, le disuguaglianze sociali si acuirono; forse le ampie concessioni di cittadinanza, insolite e anzi scandalose per i greci, portando «alla formazione di un demos numeroso e soprattutto composito sia per origine (sibariti di umile o modesto livello, indigeni di condizione libera e stranieri di varia provenienza) sia per categorie sociali in esso presenti (piccoli proprietari terrieri, contadini, pastori, artigiani in genere, mercanti, pescatori ecc.)» (31), accrebbero la domanda di terre e le rivendicazioni politiche; forse la piccola proprietà entrò in crisi venendo fagocitata dall’aristocrazia terriera; forse si creò «una dissonanza tra uguaglianza politica e disuguaglianza economica» che fu percepita e scatenò l’invidia sociale (32). Quel che è certo è che la guerra civile iniziò a Sibari con l’uccisione di alcuni pitagorici locali, cui fece seguito la presa del potere da parte del tiranno Telys, forte del sostegno del popolo minuto, in un periodo compreso tra il 520 e (più probabilmente) il 514. Il nuovo regime accusò della crisi i cinquecento sibariti più ricchi, che fuggirono subito a Crotone, mentre le loro terre venivano confiscate a favore del popolo (33). Respinto, su iniziativa di Pitagora, l’ultimatum di Telys per l’estradizione dei fuggiaschi, fu la guerra. Sulla carta la vittoria di Sibari pareva scontata. In pratica quel primo impero occidentale, diviso tra fazioni opposte, si sgretolò. Dopo l’indovino-stratega Callia di Olimpia, anche l’aristocratica cavalleria cittadina simpatizzò con gli esuli e disertò all'unisono passando al nemico nel corso della battaglia decisiva al guado del Traente, e la città, dopo un assedio, fu distrutta nel 510 e sommersa dal Crati. Tuttavia, le ripercussioni sociali della divisione
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delle terre assegnate al popolo resero ben presto ingovernabile il territorio e, alla fine, pure Crotone ne fece le spese, allontanando Pitagora (rifugiatosi a Metaponto, dove insegnò per altri quindici anni fino alla morte, sopravvenuta nel 495 a.C.), mentre i suoi seguaci furono lungamente vittime di una caccia alle streghe e spesso bruciati vivi nei sinedri delle loro città (34). Cosa ci può insegnare questa storia? Accuratamente dimenticata, è vero, ma attualissima, visto che gli ingredienti odierni sono gli stessi di allora. Primo: anche la prosperità italiana e, più in generale, occidentale è basata sulla seguente catena: economia – potere marittimo (navale e mercantile) che la rende possibile – pace sociale. Sibari aveva tutto questo, poi (un po’ per demerito proprio, un po’ per merito altrui) la situazione degenerò in pochi anni. Il prezzo, al di là di quello — non stimabile in ragioneria — delle vite umane, fu immenso come immensa era stata la ricchezza, sibaritica, dei suoi abitanti. Eppure, sarebbe bastata una frazione minimale (pagabile, per di più, in comode rate) di quel prezzo materiale per costruire i grandi moli che stavano per sorgere, in quello stesso periodo, nella non certo più ricca Atene per accogliere, al Pireo (in fin dei conti distante ben 13 chilometri dalla propria città madre), le nuove navi mercantili monstre dell’epoca: fino a 500 tonnellate! I sibariti preferirono viceversa puntare, con la benedizione dell’ideologia del momento, su avventurosi giochi finanziari che resero tutti ricchi e, di conseguenza, tutti (meno i soliti noti) (35) poveri. Eppure, il legame tra Sibari e il mare rimase indirettamente testimoniato dal padre stesso della talassocrazia ateniese, Temistocle, che alle sue figlie volle dare i nomi, non casuali, di Sybaris e Italìa. Secondo: Roma fu, come si disse all’epoca di Giolitti, «la seconda affermazione dell’italianità, dopo Sibari» (36). Certo, cadde anch’essa, ma dopo 1229 anni (2206 se consideriamo l’Impero d’Oriente), lasciando un patrimonio culturale ancora attuale, mentre per Sibari è necessario ricorrere all’archeologia specializzata, come dimostra l’oggettivamente frammentario, ma indispensabile, corredo di note che accompagna quest’articolo. Senz’altro la differenza la fece anche la ben diversa percezione dell’ordine delle priorità di cui furono capaci i senatori romani, sin dal tempo delle
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Milone, il maggiore atleta olimpico classico di tutti i tempi, guidò l’esercito di Crotone alla conquista di Sibari. Nella sua casa si riuniva il sinedrio di Pitagora, del quale era genero. Secondo la tradizione, Milone morì sbranato dopo essere rimasto incastrato nella fenditura di un tronco d’albero che stava tentando di spaccare a mani nude (Joseph-Benoît Suvée, Wikipedia).
guerre puniche, dimostrando un corretto apprezzamento del potere marittimo (37). Terzo: ferma restando la provinciale (nel senso deteriore del termine) «ideologia del declino» di certi nostri intellettuali, è per contro motivo di ottimismo il constatare che il nostro Paese, a differenza di pressoché tutte le realtà mediterranee, sia sempre rimasto sulla cresta dell'onda, dagli Etruschi e da Sibari fino a oggi, probabilmente grazie anche a un felice incontro tra la cultura autoctona e quella cosiddetta orientale, all’origine delle nostre persistenti fortune e della nostra nazionale singolarità, ammessa da tutti, sia in Italia sia all’estero, di un calabrone che non dovrebbe volare e che, invece, vive e prospera da millenni. Naturalmente
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ria, teoricamente distinta per etnia e lingua, rientra perfettamente in quest’insieme) significa approfondire un'infinita serie di aspetti. In primis quelli economici e, conseguentemente, navali, essendo questi le due facce della stessa moneta, ma anche indagare circa la particolarità, tutta nostrana, della decisiva vicenda femminile nell’ambito della nostra cultura, in quanto senza paragoni rispetto Il toro retrospiciente è caratteristico degli stateri d’argento (8 g) battuti a Sibari a partire dal 540 o 525 con ben 190 conii diversi. Alcuni studiosi ritengono che la monetazione sia stata introdotta nelle al resto del mondo di allora e, ancora, città achee d’Italìa proprio da Pitagora. La tipica tecnica incusa (anziché a doppio rilievo) avrebbe dei secoli successivi: basti dire che simboleggiato l’armonia degli opposti (Wikipedia). «si era arrivati a discutere delle capacità politiche del genere femminile, che Pitagora riil voler indagare su quest’eterno enigma italiano (ovteneva idoneo anche a governare» (38). vero non solo italiota o italico, visto che anche l’Etru8 NOTE (1) Reinhard Jung, Marco Pacciarelli, A Minoan Statuette from Punta di Zambrone in Southern Calabria (Italy), in E. Alram-Stern, F. Blakolmer, S. Deger-Jalkotzy, R. Laffineur, J. Weilhartner (a cura di), Metaphysis. Ritual, Myth and Symbolism in the Aegean Bronze Age (Aegaeum 39), 2016. Alle colonne di fumo e alle fiamme delle fornaci metallurgiche che dovevano apparire all'orizzonte di queste «protonavigazioni minoiche» si deve il primigenio nome dell’Italia: Aithalìa, ossia “la terra del fumo e delle fiamme” (è invece ormai sconfessata l’etimologia di “terra dei vitelli”): Domenico Silvestri, L’Italia prima e oltre Roma. Premesse, storia e destino di un nome, in 150 anni. L’identità linguistica italiana. Atti del XXXVI Convegno della Società Italiana di Glottologia. Testi raccolti a cura di Raffaella Bombi e Vincenzo Orioles. Udine, 27-29 ottobre 2011, Roma 2012: Il Calamo, 29-73; Piero Ceruleo, Nuovi elementi sulle vie dell’ossidiana, Annali Ass. nomentana storia e archeologia, 2007. (2) J. Buxeda I Garrigós, R. E. Jones, V. Kilikoglou, S. T. Levi, Y. Maniatis, J. Mitchell, L. Vagnetti, K. A. Wardle, S. Andreou, Technology Transfer at the Periphery of the Mycenaean World: The Cases of Mycenaean Pottery Found in Central Macedonia (Greece) and the Plain of Sybaris (Italy), in Archaeometry 45, 2 (Oxford, 2003) 263–284; R. Peroni, Enciclopedia dell’Arte Antica, Treccani, 1994, alla voce Broglio di Trebisacce; A. Bottini, E. Lattanzi - ibidem, voce Lucania et Brutii. (3) Eric H. Cline, 1177 B.C.: The Year Civilization Collapsed, Princeton, 2014 (trad. it. di Cristina Spinoglio, 1177 a.C. Il collasso della civiltà, Bollati Boringhieri, 2014); Birgitta Eder, Reinhard Jung, On the Character of Social Relations Between Greece and Italy in the 12th/11th c. BC, in Robert Laffineur, Emanuele Greco (a cura di), Emporia - Aegeans in the Central and Eastern Mediterranean, Liège, 2005. (4) Reinhard Jung, Le relazioni egee degli insediamenti calabresi e del basso Tirreno durante l’età del Bronzo, in Luigi Cicala, Marco Pacciarelli (a cura di), Centri fortificati indigeni della Calabria dalla protostoria all’età ellenistica, Atti del convegno internazionale Napoli, 16-17 gennaio 2014, Napoli, 2017; R. Jung, Mathias Mehofer, A Sword of Naue II Type from Ugarit and the Historical Significance of Italian-type Weaponry in the Eastern Mediterranean, in Aegean Archaeology, vol. 8, Warsaw, 2006; R. Jung, Pirates of the Aegean: Italy - the East Aegean - Cyprus at the end of the Second Millennium BC, in Cyprus and the East Aegean, Intercultural Contacts from 3000 to 500 BC, Nicosia, 2009; R. Jung, Mathias Mehofer, Mycenaean Greece and Bronze Age Italy: cooperation, trade or war?, in Archäologisches Korrespondenzblatt 43, Mainz, 2013; R. Jung, Push and Pull, Factors of the Sea Peoples between Italy and the Levant, in Jan Driessen (a cura di), An Archaeology of Forced Migration Crisis-induced mobility and the Collapse of the 13th c. BCE Eastern Mediterranean, Louvain, 2018. (5) Reinhard Jung, Marco Pacciarelli, Barbara Zach, Marlies Klee, Ursula Thanheiser, Punta di Zambrone (Calabria) – a Bronze Age Harbour Site. First Preliminary Report on the Recent Bronze Age (2011–2012 Campaigns), in Archaeologia Austriaca, Band 99/2015. (6) William James Burroughs, Climate Change in Prehistory - The End of the Reign of Chaos, Cambridge, 2005; Benjamin Lieberman - Elizabeth Gordon, Climate Change in Human History Prehistory to the Present, New York, 2018; Josiah Ober, The Rise and Fall of Classical Greece, Princeton, 2015. (7) Jan Kindberg Jacobsen, Maria D'Andrea, Gloria Paola Mittica, Frequentazione Fenicia ed Euboica durante la prima etá del ferro nella Sibaritide, in Rivista di studi fenici, XXXVI, 1/2, 2008; Gino Gullace, C’era una volta l’America dei Greci, in Atti del Primo Simposio Internazionale sulla Magna Grecia, Roma, 2 luglio 1987. (8) Donatella Erdas, Aristotele e le città della Magna Grecia, in Poleis e politeiai nella Magna Grecia arcaica e classica - Atti del cinquantatreesimo convegno di studi sulla Magna Grecia - Taranto 26 - 29 Settembre 2013, Taranto, 2016; Francesco Barritta, Breve storia di Sybaris, in Rogerius - Bollettino dell'Istituto della Biblioteca Calabrese, 2007; Gregorio Aversa, Riflessioni sulla fondazione di Crotone fra problematiche della colonizzazione e dinamiche di occupazione territoriale, in Quaderni di archeologia, a cura dell’Università degli Studi di Messina, vol. I, 2011; Gianfranco Maddoli, Megàle Hellàs: le ragioni del nome, in Atti e Memorie della Società Magna Grecia, Roma, 2016; A. Taliano Grasso, Tra il Sibari e il Crati, in Daidalos, VI, 2004. (9) Werner Johannówski, intervento al convegno Greci e Italici in Magna Grecia - Atti del primo convegno di studi sulla Magna Grecia - Taranto, 4 - 8 Novembre 1961, Napoli, 1962; Jacques Heurgon, La Magna Grecia e i santuari del Lazio, in La Magna Grecia e Roma nell’età arcaica, Atti dell'ottavo Convegno di studi sulla Magna Grecia - Taranto, 6 - 22 ottobre 1968, Napoli, 1969. Dalla Campania gli Etruschi miravano al dominio del traffico terrestre verso la Puglia. (10) Francesca Ippolito, Peter Attema, Connettività regionale e interregionale in età preistorica e protostorica nella Valle del Raganello; Martin A. Guggisberg, Camilla Colombi, Corinne Juon, Tra Mar Ionio e Mar Tirreno: Francavilla Marittima e la rete di comunicazioni transappenninica in età precoloniale; entrambi in Carmelo Colelli, Antonio Larocca, Il Pollino - Barriera naturale e crocevia di culture, Giornate internazionali di archeologia, 2018; Emanuele Greco, L’impero di Sibari. Bilancio archeologico-topografico, in Sibari e la Sibaritide, Atti del trentaduesimo convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto - Sibari, 7-12 ottobre 1992, Taranto, 1993; Giovanna De Sensi Sestito, La Calabria in età arcaica e classica, Storia - Economia - Società, Roma-Reggio C., 1984. (11) Julia Taita, L'indovino Kallias di Elide e le relazioni fra Sibari e Olimpia in epoca arcaica, in Italo-Tusco-Romana, Festschrift für Luciana Aigner-Foresti zum 70. Geburtstag am 30. Juli 2006, pp. 345-363, Wien, 2006, che cita a sua volta M. Osanna, Chorai coloniali da Taranto a Locri. Documentazione archeologica e ricostruzione storica, Roma, 1992; Pier Giovanni Guzzo, Sul mito di Sibari, in BABesch, 78, 2003. (12) Guggisberg et al., Tra Mar Ionio e Mar Tirreno…, cit.; Carmelo Colelli, Luciano Altomare, Amendolara fra Ionio e Pollino (IX-VI secolo a.C.), entrambi in Il Pollino…, cit. Tale sinecismo greco-italico ha un precedente speculare nelle migrazioni di italioti in area micenea nell'età del Bronzo. (13) M. Paoletti, La necropoli enotria di Macchiabate, Lagaria e la ‘dea di Sibari’, in Paolo Brocato, Studi sulla necropoli di Macchiabate a Francavilla Marittima (Cs) e sui territori limitrofi, Università della Calabria, 2014; Pellegrino Claudio Sestieri, intervento al convegno Greci e Italici…, cit.; Jung, Le relazioni egee…, cit. (14) Il culto principale che si celebrava nella sede massima di Timpone della Motta era quello di Atena, una divinità particolarmente rilevante per la storia, l’economia
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A cavallo tra due mari e 27 secoli e la società sibaritiche. Innanzitutto Atena era una divinità collegata all’attività, tipicamente femminile, della tessitura e, in effetti, sono numerosissimi i ritrovamenti di pesi da telaio, i quali confermano l’importanza del ruolo della donna in uno dei maggiori motori dell’intera economia sibaritica. In secondo luogo, con Atena Ippia dovevano essere collegati i riti misterici di passaggio dei giovani aristocratici membri di quella numerosa e potente cavalleria sibaritica che le fonti degli antichi avversari descrivono dediti a bisbocce orgiastiche alla Fonte termale delle Ninfe, nei pressi del santuario extraurbano: Marianne Kleibrink, Dalla lana all'acqua: culto e identità nel santuario di Atena a Lagaria, Francavilla Marittima (zona di Sibari, Calabria), 2004; Giovanni Brandi Cordasco Salmena di San Quirico, Sybaris e gli alleati. L'egemonia di Timpone della Motta nel trattato di Olimpia con i Serdaioi, Prospettive Meridionali, 2013. (15) Louis Ponnelle, Le commerce de la première Sybaris - Sybaris et Siris rivales commerciales, in Mélanges de l'école française de Rome, Napoli, 1907. (16) M.H. Hansen, The Concept of the Consumption City Applied to the Greek Polis, in T.H. Nielsen, Once Again: Studies in the Ancient Greek Polis, Stuttgart, 2004; M.H. Hansen, Polis - An Introduction to the Ancient Greek City-State, Oxford, 2006. (17) D. Uzunov et al., Magna Sila: la tecnologia GIS nello studio e ricostruzione del paesaggio archeologico, in Archeologia e Calcolatori, 24, 2013. Lo stesso toponimo Enotria significherebbe “terra del vino”: E. Salerno, Le Terre Jonicosilane. Guida archeologica, in Quaderni documentari di storia delle Terre Jonicosilane della Sila Greca, 2015; l’etimologia potrebbe essere però più ambigua: Fabio Colivicchi, L’altro vino - Vino, cultura e identità nella Puglia e Basilicata anelleniche, in Siris 5, 2004. Il vino era stoccato in cantine vicino al mare, dove giungeva tramite canalizzazioni che scendevano dalle aziende vinicole sulle colline di Sibari. (18) Daniela Marchiandi, Riflessioni sulla costruzione del valore dei tessili nell’Atene classica (… ma a partire dallo himation del sibarita Alcistene), in Historika Studi di storia greca e romana n. 9, 2019. Vale la pena di ricordare che il “settore moda” sibarita offriva tessuti così fini da essere considerati trasparenti, tanto che è arrivata fino ad oggi una versione in base alla quale le donne di Sibari, impudiche, lascive e forti bevitrici al pari delle etrusche, secondo i popoli vicini e lontani, facevano indossare a bella posta tali vesti alle proprie figlie adolescenti affinché trovassero più rapidamente marito: Domenico Marincola Pistoia, Delle cose di Sibari, ricerche storiche, Napoli, 1845. A Locri la legge proibiva alle donne perbene di indossare le lussuose stoffe "isomilesie" prodotte a Sibari. (19) I cuochi erano tanto apprezzati che la legge ne tutelava la creatività prevedendo la concessione della privativa annuale per le preparazioni culinarie più innovative e pregevoli: si tratta anzi del primo caso noto di legislazione a tutela della proprietà intellettuale. Claire M. Germain, Don’t Steal My Recipe! A Comparative Study of French and U.S. Law on the Protection of Culinary Recipes and Dishes Against Copying, Florida, 2019; Michael Witty, Athenaeus describes the most ancient intellectual property, in Prometheus - Critical Studies in Innovation, Florida, 2018; Chris Edmonston (University of California, Irvine) Idion kai peritton: the Sybaritic Culinary Patent and Ancient Intellectual Property, in CAMWS Meeting, Natchitoches, 2016; Jacopo Ciani, Intellectual Property Rights and the Growing Interest in Legal Protection for Culinary Creations, in Nobile M. (a cura di), World Food Trends and the Future of Food, Ledizioni, Milano, 2015; Giles Sutherland Rich, The Exclusive Right since Aristotle, in Foundation for a Creative America, Washington D.C., 1991. (20) David Abulafia, The Great Sea: A Human History of the Mediterranean, Oxford, 2011; Ian Morris, The growth of Greek cities in the first millennium BC, Stanford, 2005. Le fonti antiche menzionano tra le professioni dei sibariti quelle di carpentieri, marinai, timonieri, armatori e pescatori. (21) Luigi Ferranti, Rossella Pagliarulo, Fabrizio Antonioli, Andrea Randisi, Punishment for the Sinner: Holocene episodic subsidence and steady tectonic motion at ancient Sybaris (Calabria, southern Italy), in Quaternary International, 2011; Jean-Daniel Stanley and Maria Pia Bernasconi, Sybaris-Thuri-Copia trilogy: three delta coastal sites become land-locked, in Méditerranée, n. 112, 2009. Ma non è del tutto sicuro che la Sibari arcaica sia stata fondata sul mare. (22) Domenico Musti, Magna Grecia - Il quadro storico, Bari, 2005; Laura Boffo, Forme di controllo di merci e mercanti nel Mediterraneo greco antico, in Raffaella Salvemini (a cura di), Istituzioni e traffici nel Mediterraneo tra età antica e crescita moderna, Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo, 2009; G. Lena, Geomorfologia della costa ionica della Calabria e strutture portuali antiche, in M. Paoletti, Relitti, porti e rotte nel Mediterraneo, UniCal, 2009. (23) Giovanni Pugliese Carratelli, Lazio, Roma e Magna Grecia prima del secolo quarto a.C., in La Magna Grecia e Roma…, cit. (24) Politica 3.5.10-11; Joshua Andrew Daniel, Etruscan Amphorae and Trade in the Western Mediterranean, 800-400 B.C.E., Texas A&M University, 2009. (25) Christa Steinby, Rome versus Carthage - The War at Sea, Barnsley, 2014; Anthony J. Papalas, The Battle of Alalia, in Syllecta Classica, Department of Classics at the University of Iowa, Volume 24 (2013); Gioacchino Francesco La Torre, La “Sibaritide tirrenica” in età arcaica, in Sibari e la Sibaritide…, cit. (26) Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XV, 371: «Gli esseni praticano lo stesso tipo di vita che conducono quelli che i greci chiamano pitagorici»; e di qui, forse, sul cristianesimo: Benedetto XVI Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret, Milano, 2007; Papa Francesco, Meditazione Mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae, La notte buia del Battista, Venerdì, 6 febbraio 2015 (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.030, Sab. 07/02/2015); oltre, naturalmente, alla Qabbalah: Moshe Idel, Johannes Reuchlin, Kabbalah, Pythagorean philosophy and modern scholarship, in Studia Judaica, XVI, Cluj-Napoca, 2008; nonché, con riguardo alla massoneria: Kurt Von Fritz, Pythagorean Politics in Southern Italy. An Analysis of the Sources, New York, Columbia University Press, 1940; Christoph Riedweg, Approaching Pythagoras of Samos: Ritual, natural philosophy and politics, in Gabriele Cornelli, Richard McKirahan, Constantinos Macris, On Pythagoreanism, Berlin/Boston, 2013; Maria Timpanaro Cardini, Pitagorici, testimonianze e frammenti, Vol. III, Firenze, 1964. (27) Giovanni Pugliese Carratelli, Relazione conclusiva, in Crotone - Atti del ventitreesimo convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto, 7-10 ottobre 1983, Taranto, 1984. La missione di Pitagora fu dunque quella di “convertire” i membri delle classi dirigenti delle città della Magna Grecia. (28) Emanuela Spagnoli, La prima moneta in Magna Grecia. Il caso di Sibari, Pomigliano d'Arco, 2013; Francesco Barritta, Benedetto Carroccio, Ritmi di coniazione e storia: Elementi per una riconsiderazione della monetazione incusa a Sybaris e nel suo «impero», in Numismatica e Antichità Classiche, Quaderni Ticinesi, 2006; B. Carroccio, Monetazioni incuse, Pitagorismo e aristocrazie indigene - appunti per una ridefinizione del problema, in Giovanna De Sensi Sestito, Stefania Mancuso (a cura di), Enotri e Brettii in Magna Grecia, Modi e forme di interazione culturale, vol. II, tomo 1, Soveria Mannelli, 2017. (29) Nicola Parise, Le emissioni monetarie di Magna Grecia fra VI e V sec. a.C., in S. Settis (a cura di), La Calabria antica, Reggio Calabria, 1988. (30) Il paragone con Atene è di Angelo Lipinsky, cit. in Francesco A. Cuteri, Paesaggi minerari in Calabria: l’“Argentera” di Longobucco (CS), in F. Redi, A. Forgione (a cura di), VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (L’Aquila, 12-15 settembre 2012), Firenze, 2012, pp. 401-406; Louis Brousseau, Production et circulation monétaire en lucanie antique, in La Lucanie entre deux mers: archéologie et patrimoine, Actes du Colloque international, Paris, 5-7 novembre 2015, édités par Olivier de Cazanove et Alain Duplouy, avec la collaboration de Vincenzo Capozzoli. – Naples, Centre Jean Bérard, 2019; Arthur J. Rolnick, François R. Velde, Warren E. Weber, The Debasement Puzzle: An Essay on Medieval Monetary History, in Federal Reserve Bank of Minneapolis Quarterly Review Vol. 21, No. 4, Fall 1997, Total Minting Activity During Debasements in Medieval France and England, Table 4 France, 1354–1489, Table 5 England, 1344–1549, Total Minting in Silver (Grams/Capita); elaborazione da Claudio Marsilio, Lisbon, London, or Genoa? Three alternative destinations for the Spanish Silver of Philip IV (1627- 1650), Appendix II. Silver coins productions: London, Genoa, and Lisbon (1621-1665), in G. Depeyrot (ed.), Three Conferences on International Monetary History, Wetteren, 2013; ho stimato la popolazione di Inghilterra e Galles in 5,5 milioni di abitanti. (31) Giovanna De Sensi Sestito, Gli oligarchici sibariti, Telys e la vittoria crotoniate sul Traente, in Miscellanea di studi storici, Università degli studi della Calabria Dipartimento di Storia, 1983. I pitagorici tendevano a finanziare attività non agricole: Alfonso Mele, Crotone e la sua storia, in Crotone, convegno cit. (32) Maurizio Giangiulio, Democrazie greche. Atene, Sicilia, Magna Grecia, Roma, 2015; De Sensi Sestito, Gli oligarchici…, cit. (33) De Sensi Sestito, Gli oligarchici…, cit. A Crotone si formò quindi un governo in esilio di sibariti pitagorici decisi a rovesciare Telys. (34) R.J. Evans, The capture of Sybaris (510 BC) and the siege of Mantinea: History repeated?, in Acta Classica, LVII, 2014; Musti, Magna Grecia…, cit. (35) Non dimentichiamo che, prima di diventare “matematici”, gli accoliti di Pitagora dovevano conferire al loro “guru” e alla sua setta tutto il proprio patrimonio (quantomeno quello mobiliare) per essere ammessi a una vita frugale e all’ascolto (da dietro una tenda) degli insegnamenti essoterici di Pitagora per un periodo di cinque anni in qualità di “acusmatici” (novizi); se avessero fallito l’esame finale di ammissione agli insegnamenti esoterici avrebbero avuto la restituzione del doppio di quanto versato all’ammissione (un rendimento del 15% annuo): A. Mele, Crotone e la sua storia... cit.; George Le Rider, À propos d'un passage des Poroi de Xénophon : la question du change et les monnaies incuses d'Italie du Sud, Kraay-Mørkholm Essays, Louvain, 1989; Selene E. Psoma, Choosing and Changing Monetary Standards in the Greek World during the Archaic and the Classical Periods, in Edward M. Harris, David M. Lewis, Mark Woolmer (a cura di), The Ancient Greek Economy Markets, Households and City-states, Cambridge, 2018. I pitagorici offrivano quindi una "gestione patrimoniale" ante litteram. (36) Ettore Gabrici, Il problema delle origini di Roma secondo le recenti scoperte archeologiche, in Rivista di Storia Antica, XI, 1906, p. 98. Inoltre, «Già gli antichi avevano istituito, come si sa, un sincronismo basilare tra la caduta di Sibari e la fine della monarchia romana. Questo accostamento va molto al di là di uno dei consueti parallelismi eruditi: esso è il segno di una diffusa coscienza delle connessioni reciproche tra i fatti determinanti della storia arcaica del mondo greco coloniale e del mondo tirrenico»: Massimo Pallottino, La Magna Grecia e l’Etruria, in La Magna Grecia e Roma…, cit. (37) Franco Bandini, L’occhio polemico, Iuculano, Pavia, 2006, pp. 41-54. Antonio Flamigni, Il Potere Marittimo in Roma antica, Supplemento della Rivista Marittima, novembre 1995. Ma le nuove talassocrazie "classiche" sorsero dopo la caduta contemporanea dei governi assolutisti di Sibari, Atene e Roma. (38) Eva Cantarella, Gli inganni di Pandora - L’origine delle discriminazioni di genere nella Grecia antica, Milano, 2019.
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STORIA E CULTURA MILITARE
LISSA
leggende vecchie e nuove Andrea Tirondola Nato nel 1977, si è laureato in Giurisprudenza nell’Università di Padova ed è avvocato cassazionista in Vicenza, in ambito civile, penale e amministrativo. Tenente di Vascello (CM) di complemento, è stato più volte richiamato in servizio, in particolare presso il Morosini di Venezia. Ha pubblicato il volume Pale a prora! Storia della Scuola Navale Francesco Morosini. Collabora con la Rivista Marittima, per la quale ha curato diversi supplementi, e l’Ufficio Storico della Marina Militare, per il quale con Enrico Cernuschi ha pubblicato diversi volumi. È presidente dell’Associazione Culturale Betasom.
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Pianta dell’isola di Lissa con la posizione delle navi italiane il mattino del 18 luglio 1866, all’inizio dell’assedio (USMM).
È
noto che lo scontro navale avvenuto il 20 luglio 1866, nel corso della Terza guerra d’indipendenza, nelle acque antistanti l’isola di Lissa tra le flotte italiana e austriaca è stato fonte di innumerevoli polemiche politiche, giornalistiche e giudiziarie che hanno segnato profondamente, e in negativo, i primi decenni di vita della Marina italiana. Quella che Gabriele d’Annunzio definì spregiativamente una «gloriuzza» nel proprio messaggio di
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scherno lasciato al nemico nella baia di Buccari il 10 febbraio 1918 (1) aveva pesato per cinquant’anni come un macigno sul morale dell’Armata, i cui vertici sino ai primi anni del Novecento furono costituiti principalmente da ufficiali che avevano preso parte a quei fatti (basti citare i ministri della Marina Enrico Morin, Augusto Riboty, Guglielmo Acton, Simone Pacoret de Saint-Bon, Andrea Del Santo, Napoleone Canevaro, Giovanni Bettolo e Carlo Mirabello).
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Ippolito Caffi, La corazzata «Varese», 1866 (Venezia, Museo Storico Navale). L’acquerello fa parte di una serie di schizzi effettuati pochi giorni prima dello scontro di Lissa da quel pittore bellunese, tra i protagonisti del Risorgimento veneto, imbarcato sul RE D’ITALIA e scomparso con esso.
Dopo l’infelice pagina del processo all’ammiraglio Persano, tenutosi nel 1867 a Firenze nel Senato del Regno costituito in Alta corte di giustizia per giudicare quel suo pari, le polemiche non accennarono, infatti, a sopirsi, essendo mantenute vive da una certa stampa quotidiana affamata di scandali e sensazionalismo e da alcune ricostruzioni dei fatti a dir poco erronee. Si diffusero così rapidamente, persistendo sino ai nostri giorni con la tenacia propria dell’erba maligna, quelle che furono definite «leggende governative» dallo storico Alberto Lumbroso, autore di un monumentale volume critico dedicato agli atti del processo Persano e di altri studi sul tema (2). In polemica con altri autori (3) e fiancheggiato da Jack la Bolina (al secolo Augusto Vittorio Vecchj,
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padre della Lega Navale e della pubblicistica marinara italiana), Lumbroso cercò oltre un secolo fa di demolire il cumulo di inesattezze diffusesi su quella sfortunata giornata; in seguito, nel centenario di quello stesso scontro, si cimentò nella medesima impresa l’ammiraglio Angelo Jachino con un saggio intitolato, non a caso, La campagna navale di Lissa. 1866 Storia e leggenda (4). Quegli autori non ebbero, tuttavia, molta fortuna, visto che le leggende contro cui si batterono dimostrano ancora oggi una caparbia vitalità accompagnate come sono da altri miti di nuovo e recente conio. Naturalmente non è questa la sede per descrivere i fatti del 20 luglio 1866 con i dettagli del bombardamento di Lissa e della perdita di due unità italiane (la pirofregata corazzata Re d’Italia e la grossa cannoniera,
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parimenti protetta, Palestro). Non è però forse vano fare il punto sulle tante, troppe amenità che circolano al riguardo. A questo scopo saranno esaminate dapprima quelle più antiche per poi passare, per quanto consta per la prima volta, alla confutazione di quelle più recenti.
Carlo Pellion di Persano Il primo e diretto interessato delle notizie fasulle propalatesi subito dopo i fatti di Lissa fu senz’altro il comandante dell’Armata, l’ammiraglio Carlo Pellion di Persano, fatto oggetto di accuse d’incompetenza e codardia (capo d’imputazione, quest’ultimo, stralciato dall’accusa nel processo senatoriale e che avrebbe potuto costargli il plotone d’esecuzione). Un attendibile ritratto del personaggio è fornito dal citato Jack la Bolina, che lo aveva conosciuto bene e che, lungi dal farne l’apologia, ne mise in rilievo anche aspetti caratteriali non certo positivi, che tuttavia nulla hanno a che vedere con le accuse in parola (5). Né talune fondate critiche, in merito alla condotta delle operazioni in questione, gli sono mancate da parte di osservatori non prevenuti come i citati Lumbroso e Jachino, oppure dal celebre storico Aldo Fraccaroli in un proprio articolo dall’emblematico titolo Difendo Persano (6). Lungi dall’essere un ufficiale inetto e pavido, Persano aveva un curriculum di tutto rispetto. In più occasioni aveva dimostrato doti di non comune perizia marinaresca e di coraggio: si vedano la precisa manovra da lui compiuta al comando del brigantino Eridano a Valparaiso nel 1844, la risalita del Tamigi con la pirofregata Governolo nel 1851, il salvataggio della stessa nave nel 1853 dopo un incaglio di cui fu dimostrato che non aveva colpa alcuna. Neppure gli erano mancati ardimento e polso fermo, come dimostrò nella campagna del 1848 in Adriatico al comando del brigantino Daino in occasione del bombardamento di Caorle e della rivolta (comune ad altre unità della Marina sarda in quei frangenti) del suo equipaggio, da lui ricondotto col solo carisma alla ragione e alla disciplina. Vanno poi ricordati il fondamentale ruolo diplomatico, che gli valse la stima di Cavour e di D’Azeglio, svolto da Persano in occasione della spedizione dei Mille, e il suo successivo impegno (ripagato con ingiustificato astio) per accogliere nella Marina sarda gli ufficiali
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Carlo Pellion conte di Persano in un’incisione anonima del 1862 (collezione Paglia).
dell’ormai dissolta flotta borbonica. Nel settembre 1860 Persano diresse lodevolmente l’assedio e il bombardamento di Ancona, e così, nell’inverno seguente, quello di Gaeta; pur tuttavia proprio da allora iniziarono a diffondersi maldicenze infondate sulla sua presunta codardia. L’astio nei suoi confronti aumentò dopo che, lasciato il servizio a bordo, l’ammiraglio ricoprì nel 1862 la carica di ministro della neonata Marina italiana. Richiamato al comando dell’Armata alla vigilia della guerra con l’Austria, Persano — che non aveva sollecitato la carica, ma era stato scelto in quanto più anziano degli ammiragli in servizio — non era certo la persona più adatta a quell’incarico. Ormai sessantenne e rapidamente invecchiato, si trovò al comando di una flotta la-
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cerata da regionalismi e odii incrociati, e per di più privo di istruzioni precise e di certezze su quale autorità (se il Ministro, il Capo di Stato Maggiore La Marmora o il Re) dovesse fornirgliele. Fatto segno di critiche e malumori dei suoi subalterni per il mancato inseguimento della flotta austriaca che il 27 giugno si era presentata davanti ad Ancona e per l’inconcludente crociera «del giusto mezzo» in Adriatico tra l’8 e il 13 di luglio, Persano fu costretto dal ministro della Marina Agostino Depretis a tentare l’occupazione dell’isola di Lissa, impresa ardua date le note fortificazioni di quel punto d’appoggio e priva di significato strategico, non potendo quel sorgitore, già nido di contrabbandieri, dare un adeguato riparo a unità maggiori. L’Ammiraglio intraprese malvolentieri la missione, conscio di non avere ascendente sui propri uomini, ma è errato affermare che nell’intero ciclo di operazioni, dal 16 al 20 luglio, si sia comportato con le (leggendarie) incompetenza e pavidità che gli si addebitano. Anzi, ben diresse i bombardamenti delle batterie di Lissa, e quando all’alba del 20 luglio, mentre dalle sue navi ci si apprestava a intraprendere le operazioni di sbarco, l’avviso Esploratore segnalò il sopraggiungere della flotta austriaca, non esitò (secondo alcuni anzi con troppo anticipo e ardimento) a disporre le sue navi per affrontare il nemico. Molto si è fantasticato sul suo trasbordo, poco prima del contatto col nemico, dal Re d’Italia sul più veloce e protetto ariete corazzato Affondatore: se il momento in cui esso avvenne non fu opportuno, provocando un diradamento della linea di fila sui cui era disposta la squadra dell’Ammiraglio, tuttavia tale decisione non poteva definirsi aprioristicamente errata, né vi poterono essere dubbi, come poi da taluno rilevato, sulla presenza del comandante in capo a bordo di quella nave e sull’interpretazione dei segnali che da essa partivano (7). È un fatto che l’Affondatore si gettò nella mischia tentando lo speronamento degli avversari, risultando poi fra le unità più danneggiate. A nulla valsero, per contro, i richiami di Persano ai suoi subordinati di prendere parte alla mischia: così, rimasero lontani e inerti i 400 cannoni delle navi in legno e non protette dell’ammiraglio sottordine Giovan Battista Albini (accomunato all’altro sottordine, ammiraglio Giuseppe Vacca, da
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forti contrasti personali con Persano), né presero parte allo scontro la pirocorvetta Formidabile del comandante Saint Bon (assenza da lui motivata coi danni riportati due giorni prima nel coraggioso bombardamento ravvicinato delle batterie di Porto San Giorgio a Lissa) e, inescusabilmente, dalla gemella Terribile, il cui comandante Leopoldo De Cosa uscì, in seguito, indenne da un processo a suo carico. Neppure è addebitabile a Persano l’affermazione per cui la sua flotta, dopo lo scontro, sarebbe «rimasta padrona delle acque del combattimento». L’improvvida frase apparve in un comunicato emanato dal ministro Depretis, mentre Persano, nel proprio primo dispaccio, aveva chiaramente affermato di avere subìto delle perdite, ma di voler rientrare ad Ancona «onde riparare avarie, rifornirmi di munizioni e carbone, e ripartire per prendere la rivincita» (8). Dopo i fatti di luglio, Persano fu platealmente scaricato dal governo, finendo processato nel 1867 da colleghi senatori del tutto ignari di tecnica marinaresca, che lo condannarono alla perdita del grado, cui seguì quella della pensione, per la soddisfazione del governo, di chi lo aveva in antipatia e della stampa in cerca di un comodo capro espiatorio. La calunnia ottenne così l’effetto vaticinato da don Basilio nel Barbiere rossiniano: «E il meschino calunniato, avvilito calpestato, sotto il pubblico flagello per gran sorte va a crepar». Ci si dimentica tuttavia sovente che, con tutti i suoi difetti e anche i suoi errori (commessi pure dal suo celebrato avversario Wilhelm von Tegetthoff), il Persano caduto in disgrazia fornì, per il resto della vita, prove di dignità e correttezza davvero inusuali. Durante il processo, e anche in seguito, evitò (pur avendone solidi argomenti) di scaricare responsabilità sui propri subordinati; né, caduto in difficoltà finanziarie, accettò l’aiuto economico che gli amici e lo stesso sovrano più volte gli offrirono.
La battaglia La vulgata sugli eventi di Lissa afferma che in quella battaglia (sic) rifulse il valore della flotta austriaca, che poté prevalere su un nemico pavido nonostante la propria inferiorità numerica, conseguendo così una grande vittoria di per sé determinante sull’esito del conflitto.
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È in primo luogo discutibile il termine battaglia, dal momento che l’episodio si risolse in una confusa pluralità di investimenti e scambi di cannonate. Diversi testimoni hanno più correttamente impiegato il termine mischia o il vivido insalata, ma forse il più azzeccato è quello impiegato dall’ammiraglio Vittorio Emanuele Bravetta: uno scontrazzo «dopo il quale gli avversari stettero alcun tempo a guardarsi e poi si separarono, allontanandosi per primi gli austriaci» (9). Neppure l’episodio può definirsi una clamorosa vittoria austriaca. Le perdite italiane più gravi (due navi distrutte e 603 caduti) furono determinate da due colpi avversari fortunati, uno dei quali mise fuori uso il timone del Re d’Italia, finito speronato e affondato dall’ammiraglia austriaca Erzherzog Ferdinand Max, e l’altro che appiccò il fuoco alla cannoniera Palestro, saltata in aria nelle ore seguenti. Ma al netto di queste perdite, gli italiani patirono sulle altre navi 42 tra morti e feriti e 200 colpi a bordo, mentre gli austriaci ebbero rispettivamente 183 perdite tra gli equipaggi e circa 350 colpi su 12 navi colpite (a fronte delle 9 italiane), con la messa fuori combattimento del pirovascello Kaiser, il quale lasciò la sua polena sul Re di Portogallo (10). Peraltro, nello scontro la supeGrafico della fase iniziale dello scontro di Lissa (da Giuseppe Fioravanzo, Storia del pensiero tattico riorità numerica fu sempre in fa- navale, op. cit.). vore degli austriaci, che masero fuori dalla mischia, nelle cui varie fasi le navi allineavano complessivamente 27 unità. Sulla carta di Tegetthoff si trovarono sempre in superiorità numePersano disponeva di 29 unità, ma da esse vanno derica. Basti rammentare che il Re d’Italia fu colpito tratte tutte le 11 navi della squadra di Albini, coi loro dopo essere stato circondato da quattro corazzate e 400 cannoni, e le due unità corazzate (Formidabile e dalla pirofregata Novara (11). Terribile) che nonostante gli ordini dell’Ammiraglio ri-
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Il vascello di linea 1a classe austriaco KAISER, gravemente danneggiato nello scontro di Lissa, qui ripreso ai lavori di riparazione nei giorni immediatamente successivi alla battaglia. Nella pagina accanto: la pirofregata corazzata austriaca ERZHERZOG FERDINAND MAX, nave di bandiera di Tegetthoff a Lissa (USMM).
Si osservi poi che l’ammiraglio Tegetthoff evitò, dopo lo scontro, di approfittare ulteriormente della superiorità, se non numerica — ché gli equilibri relativi non erano cambiati — morale, in cui si era ritrovato, riparando a Lissa e conseguendo così il (solo) risultato strategico di liberarla dall’assedio. Pur tuttavia, per quanto nell’avvicinarsi al nemico avesse segnalato alle sue navi «Muss Sieg von Lissa werden», lui per primo non parlò, nei rapporti di fine missione, di quella vaticinata Sieg («vittoria»): anzi, «la leggenda di una grande vittoria nemica fu, dopo il 20 luglio, creata dagli italiani», nella furia iconoclasta lanciata contro la Marina, da cui ci si aspettavano mirabilie, proprio a opera di chi aveva assegnato alla flotta un compito impossibile oltre che inutile sorvolando sulle obiezioni, scritte, di Persano (12). Oltretutto, lo scontro di Lissa avvenne dopo la delusione rappresentata dalla battaglia di Custoza, episodio anch’esso sopravvalutato nelle sue reali conseguenze strategiche; e in una sorta di psicodramma irrazionale fu stimata perduta la guerra proprio nei giorni in cui Garibaldi vinceva a Bezzecca (21 luglio)
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mentre le truppe del generale Medici giungevano alle porte di Trento (24 luglio), tanto che il generale austriaco Kuhn affermò di essere costretto a ripiegare nel Tirolo tedesco. La delusione per lo scontro di Lissa spinse l’Italia a stipulare la tregua con l’Austria, come aveva fatto la Prussia, perdendo così l’occasione (peraltro improbabile) di liberare il Trentino con mezzo secolo di anticipo. Infine, tra le «fake news» immediatamente diffusesi dopo Lissa vi è quella dei presunti suicidi dei comandanti del Re d’Italia, Emilio Faà di Bruno e del Palestro, Alfredo Cappellini. Del primo si disse che si sparò mentre la propria nave affondava; circostanza questa, in realtà, priva di ogni riscontro, anzi contraddetta dalle testimonianze. Del secondo si affermò che «sdegnoso sopravvivere alla mancata vittoria, sé e gli annuenti compagni sprofondò nel mare», come recita una lapide in Via Grande a Livorno, restando chissà perché sulla propria unità in fiamme e deliberatamente condannando i suoi uomini a perire con essa. Al contrario, quel valoroso comandante cercò fino all’ultimo con la sua gente di spegnere l’incendio, lungi dal volere assurdamente sacrificare
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prima che se stesso il proprio equipaggio. Scrisse bene il Lumbroso che anche in questo caso la verità, che fa del Cappellini un soldato che fa il proprio dovere fino all’ultimo, è molto più semplice ma anche più alta e molto più bella della leggenda, che ne fa un pazzo (13).
Uomini di ferro Allorché si parla di Lissa è per molti regola imprescindibile, per non far brutta figura, citare la presunta frase di Tegetthoff: «Uomini di ferro su navi di legno hanno sconfitto uomini di legno su navi di ferro», asseritamente indirizzata ai suoi uomini nell’ordine del giorno dopo la battaglia o, secondo altre fantasiose notizie, redatta dallo stesso nel «brogliaccio», come si legge talora, della corazzata Ferdinand Max. La frase, menzionata spesso con notevoli varianti in cui entrano in gioco le «teste di legno», non trova anzitutto alcun riscontro concreto. L’ordine del giorno di Tegetthoff (il n. 92 del 21 luglio 1866) non riporta minimamente quelle espressioni; né è possibile che un ammiraglio annotasse una frase simile sul «brogliaccio» (sic) di una nave e comunque scrivesse su di esso. Le prime parole della locuzione hanno però un’origine certa e precisamente nella guerra di secessione americana. Il 7 maggio 1862 il capitano di vascello
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Theodorus Bailey, comandante della cannoniera USS Cayuga, dopo la vittoriosa battaglia in cui, al comando dell’ammiraglio David Farragut, la flotta unionista aveva conquistato New Orleans, scrisse nel proprio rapporto: «It was a contest of iron hearts in wooden ships against ironclads with iron beaks, and the iron hearts won» (14). Il concetto degli «uomini di ferro su navi di legno» fu erroneamente attribuito a Farragut e divenne subito popolare nell’ambiente marinaro, tanto che pure Tegetthoff — e da qui nasce la leggenda — lo fece proprio in due occasioni. Il 24 giugno 1866 l’Ammiraglio scriveva da Fasana all’amica e confidente Emma Lutteroth: «Noi possiamo mettere in linea 24 navi, di cui 6 corazzate; ma anche dietro murate di legno pulsano cuori di ferro». Stando a una fonte di poco successiva ai fatti, prima della battaglia l’ammiraglio austriaco avrebbe incitato i suoi comandanti col «motto di Farragut»: «Hölzerne Schiffen, eiserne Herzen!» (15). La circostanza non ha altri riscontri, ma Tegetthoff impiegò senza dubbio queste parole nella sua relazione finale su Lissa indirizzata al ministro Franck, datata 27 novembre 1866: «(…) Per un combattimento con navi corazzate a brevi distanze, tuttavia, il motto di Farragut “navi di legno-cuori di ferro” era la regola (...)» (16).
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Si noti che mai Tegetthoff in queste occasioni fece riferimento ai suoi avversari, tanto meno con le parole «uomini [o cuori o, ancora, teste] di legno». Curiosamente, si può rilevare che il medesimo concetto fu impiegato dall’avvocato Sanminiatelli, difensore di Persano, il quale nella sua arringa in Senato, svolta nell’aprile 1867, riferendosi all’ammiraglio Albini disse che al suo riguardo potevano «ripetersi con tutta verità le parole dell’ammiraglio americano: “Fregate in legno, cuore di ferro”» (17). La propaganda tuttavia si appropriò delle semplici e oneste parole dell’ammiraglio austriaco, tanto che nel ventennale di Lissa il popolare giornale viennese Neue Freie Presse, in una lunga rievocazione dei fatti, scrisse, inventando di sana pianta, che Tegetthoff avrebbe esortato i suoi uomini dicendo: «Abbiamo solo navi di legno, ma cuori di ferro, il nemico ha navi di ferro, ma cuori di legno!» (18). Come non bastasse, pochi giorni dopo, il corrispondente da Vienna della Stampa («Bix») ribatteva sul giornale torinese all’articolo in questione, dando però per vera la «celebre allocuzione» (19).
L’ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff. Morì a soli 43 anni, nel 1871, dopo aver patito diverse amarezze a causa della poca simpatia di cui la Marina e lui stesso godevano a Vienna (Storia illustrata).
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Da allora, la frase è entrata nell’immaginario collettivo venendo ripetuta immancabilmente, senza rendersi conto che, oltre a essere un’invenzione, collide con la realtà dei fatti. Anzitutto, andrebbe chiarita la dicitura «navi di ferro». Se è vero che alcune unità italiane (la netta minoranza) avevano lo scafo in ferro, nondimeno quelle austriache non erano tutte in semplice legno. Tegetthoff poteva, infatti, contare su ben 7 corazzate, compresa la propria nave di bandiera (pirofregata Erzherzog Ferdinand Max), per non parlare delle unità per le quali aveva fatto allestire, nell’arsenale di Pola, delle protezioni metalliche tra i portelli delle batterie, realizzate con lunghezze di catena d’ancora disposte a festoni orizzontali e rinforzate da spezzoni di rotaie e travature metalliche di notevole spessore (20). È quindi inesatto affermare, genericamente, che i marinai austriaci fossero protetti solo dal legno delle proprie navi. D’altra parte, è ancor più falsa la tesi in base alla quale i marinai italiani sarebbero stati uomini (o cuori, o teste) «di legno», offesa mai pronunciata da Tegetthoff e ripetuta in casa nostra — talora parlando a sproposito e per ulteriore, buona misura, di «disonore» — senza alcun rispetto per quei combattenti, che, al pari degli avversari austriaci, si comportarono con coraggio, come è dimostrato dalle sopra menzionate, pesanti perdite inflitte al nemico. Quegli «uomini di legno» compirono atti di valore già nelle giornate precedenti in occasione del bombardamento di Lissa (basti ricordare l’azione del Formidabile, che sostenne un lungo duello con le batterie di Porto San Giorgio), e ancor più il 20 luglio. Si pensi al duello del Re di Portogallo di Riboty col pirovascello Kaiser, al ricordato sacrificio di Cappellini e dei suoi uomini per salvare la propria nave, agli stessi ripetuti tentativi di speronamento posti in essere dall’Affondatore, al guardiamarina Michele Razzetto che, pistola in pugno, rimase a guardia della bandiera del Re d’Italia fino all’affondamento, ai fanti di Marina del Reggimento Real Navi che dalle sartie di questa nave, come testimoniato lo stesso giorno proprio da Tegetthoff, continuarono a sparare sull’ammiraglia austriaca fino a che scomparirono in mare (21). E se, come ricordato, vi fu chi nelle file italiane tenne un comportamento discutibile, lo stesso potrebbe dirsi per qualche avversa-
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rio, come il comandante della goletta Narenta che, come scrisse un ufficiale austriaco, «con rammarico di tutti, ha perso una bella e facile occasione per distinguersi salvando un gran numero di vite umane», vale a dire lasciò deliberatamente affogare dei naufraghi (22). Si dovrebbe inoltre tenere presente che il confronto tra le due flotte non poteva dirsi alla pari. Le navi italiane erano in mare da 4 giorni e reduci da due giornate di prolungati combattimenti contro i forti dell’isola che avevano procurato avarie al materiale e perdite fra gli equipaggi, che certo non erano freschi e riposati; a ciò si aggiungano i dissidi e i malumori tra i comandanti e nei confronti dell’anziano ammiraglio, fiaccato da tre giorni trascorsi praticamente sempre in piedi sul ponte del Re d’Italia, compresa la notte immediatamente precedente lo scontro. Al contrario le navi austriache si presentarono davanti a Lissa in perfetta efficienza dopo una breve navigazione da Pola, agli ordini di un ammiraglio quarantenne in perfette condizioni fisiche, con alle sue dipendenze equipaggi dal morale elevato e che in lui ponevano totale fiducia. Un sereno critico di quegli eventi, l’ammiraglio francese Édouard Bouët-Willaumez, osservò che la flotta italiana, quasi esaurite le proprie munizioni, i propri uomini, le proprie energie, si vide «calare a capofitto su di sé, all’improvviso, una flotta nemica fresca di forze, compatta» (23). La circostanza era tanto palese che pochi giorni dopo, per ribattere al giornale milanese La Perseveranza che, sulla base dei dispacci governativi, aveva improvvidamente sostenuto la tesi di una vittoria italiana, il giornale satirico triestino (visti i tempi, naturalmente filoaustriaco) Il Diavoletto sosteneva onestamente: «La Perseveranza dovea far emergere il fatto che la flotta italiana combatteva già prima per due giorni contro la fortezza e che era già stanca per avere sostenuto due combattimenti, che avea sofferto dei danni dalle artiglierie di Lissa, mentre la squadra austriaca, benché minore di numero, si trovava nel suo pieno vigore» (24).
I veneti a Lissa Esaurite le c.d. «leggende governative», si possono analizzare quelle successive, se possibile ancor più infondate e, purtroppo, diffuse. La principale è quella per
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Il capitano di fregata Alfredo Cappellini, Medaglia d’Oro al Valore Militare, scomparso a Lissa nell’esplosione della cannoniera corazzata PALESTRO al suo comando. Ricordato con affetto da Jack la Bolina, che lo ebbe per severo ma amato istruttore alla Scuola di Marina e poi superiore in servizio, la sua memoria è tenuta viva dal brigantino interrato, che ne porta il nome, collocato dal 1881 nel piazzale dell’Accademia navale (USMM).
cui Lissa sarebbe stata l’ultima vittoria della Marina della Serenissima, dal momento che buona parte dei marinai di Tegetthoff sarebbero stati veneti e che a bordo di quella nave si parlava in quel dialetto, e ciò in una sorta di contrapposizione etnica con i marinai che combattevano sotto il tricolore. È noto che dal 1798, dopo la cessione del Veneto all’Austria, l’allora ridotta Marina asburgica assorbì uomini, materiali ed esperienze dell’ormai dissolta marineria della Serenissima. Fino al 1848, e con la parentesi del Regno napoleonico, Venezia fu la principale base navale austriaca, comprendendovi l’antico Arsenale e l’Accademia navale (o Marinekollegium) istituita nel 1802. Per inciso, si legge al riguardo in numerosissime pubblicazioni, anche di pregio, che quella Marina sarebbe stata denominata «Austro-Veneta» o «Österreichische-venezianische Kriegsmarine»
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«Esperia», cui appartenevano i fratelli Emilio ed Attilio Bandiera, figli di un ammiraglio, e il loro collega Domenico Moro, i quali abbandonarono la Marina per finire fucilati in Calabria nel 1844. Quegli ideali di italianità, nati nel Collegio di Marina, si concretizzarono nella partecipazione di numerosissimi ufficiali di Marina lombardo-veneti alla rivoluzione veneziana capeggiata da Daniele Manin del 1848, cui seguì la rinascita della Repubblica di San Marco, avente per bandiera il tricolore caricato del La proclamazione della Repubblica di San Marco, avvenuta il 17 marzo 1848. Gli insorti portano la leone marciano e che mirava bandiera ufficiale di quello Stato, il Tricolore caricato del leone marciano (Istituto Centrale per la Storia all’unificazione di Venezia con del Risorgimento). l’Italia. Dei 94 ufficiali italiani in servizio nel 1848 nella Marina austriaca solo 19 rima(25). La notizia è del tutto fasulla, in quanto la denosero nei quadri, 76 passarono alla Repubblica e 8 rasminazione ufficiale fu, come risulta inequivocabilsegnarono le dimissioni (27). mente da qualsiasi documento, «Cesarea Regia Venezia dovette arrendersi agli austriaci nell’agosto Marina», e dopo il 1815, «Imperiale Regia Marina» o del 1849, dopo essere stata bombardata, assediata e in «Kaiserliche königliche Kriegsmarine» (26). È pur preda alla fame e al colera. L’ammiraglio danese Hans vero che, nella prassi e fino al 1848, quella Marina poDahlerup, nominato nuovo comandante della Marina teva essere chiamata «austro-veneta» data la prevaasburgica, iniziò — seguito dai suoi successori — una lenza in essa di personale proveniente da quelle terre. vera e propria opera di de-italianizzazione (o, che è poi Così come è vero che molti ufficiali austriaci che poi lo stesso, di de-venetificazione) della flotta. Venezia combatterono a Lissa si erano formati nel Collegio di perse ogni rilevanza militare: Pola diventò la nuova Marina, in primis Tegetthoff, che senz’altro comprenbase navale principale e il Collegio di Marina fu spodeva veneto e italiano. Per inciso, al riguardo si legge stato a Trieste e poi, con la nuova denominazione di sul web la notizia, dettata da una terribile confusione, Accademia, a Fiume. Nel personale avvenne una soper non dire di peggio, fra il Marinekollegium e il Colstanziale epurazione su base etnica (gli ufficiali italiani legio navale «Francesco Morosini» (sorto nel 1961 e scesero in poco tempo dal 60% al 12% mentre i tededal 2000 Scuola navale militare), per cui il foglio maschi salirono dal 15% al 60%) (28). Nel 1850 si dispose tricolare di Tegetthoff si troverebbe, chissà perché, inoltre che la lingua ufficiale della Marina (sia il Komnell’archivio del «Morosini». Ma c’è di peggio: chi mandosprache in cui si impartivano ordini, sia il Dienscrive ha avuto la ventura di udire, in una conferenza stsprache per la corrispondenza e gli atti ufficiali) fosse sul tema, il relatore sostenere che Tegetthoff studiò al il tedesco, lingua in cui si impartirono, da allora, le le«Morosini» assieme, niente meno, al futuro imperatore zioni in Accademia e la cui conoscenza era necessaria Francesco Giuseppe. anche per la promozione dei sottufficiali (29). Fu proprio nel Marinekollegium, nel quale si parlava Date queste premesse, la Marina austriaca nell’estate e studiava in italiano, che nacque e si diffuse tra allievi del 1866 non poteva certo dirsi, né moralmente né nue docenti la società segreta irredentista e antiaustriaca
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mericamente, veneta o erede delle tradizioni della Serenissima. A Lissa, circa la metà degli 8.000 uomini della flotta erano sì di etnia italiana, ma provenienti da terre non legate da lunghi rapporti di dipendenza da Venezia (per esempio Trieste, Fiume, parte dell’Istria e della costa dalmata, Segna ecc.). Su quelle navi i «veneti», per lo più di leva (e che non si comprende quale particolare affectio potessero avere per la recente dominazione austriaca), erano circa 600, meno quindi di un decimo (30). Lo stesso dicasi per gli ufficiali: due anni dopo, nel 1868, su 308 in organico gli italiani (comprendendosi anche triestini, fiumani e altri «non veneti») erano solo 29, ossia il 9,7% (31). Nei giorni di Lissa nessun italiano (tantomeno veneto) occupava posizioni di rilievo nella Marina austriaca: su complessive 70 unità in armamento, gli ufficiali in comando di origine italiana erano 8, e di questi, 3 soli presenti il giorno dello scontro (32). Come autorevolmente sostenuto dallo storico veneziano Alvise Zorzi, non si comprende quindi cosa c’entri l’episodio di Lissa con Venezia e la sua tradizione millenaria (33). La Marina austriaca quel giorno non era certo l’erede della Serenissima, né i suoi ufficiali ed equipaggi erano animati da chissà quale sentimento fieramente «marciano», che a pochi anni dalla rivoluzione di Manin sarebbe stato visto come il fumo negli occhi dai superiori. Anzi, da alcune testimonianze risulta che vi fu, tra i marinai italiani nelle fila austriache, chi moralmente si sentiva vicino a quanti combattevano sotto il tricolore. Il Primo nocchiere Giuseppe Zuanelli, presente a Lissa nelle ore dell’assedio, lasciò scritto: «Si aspettava lo sbarco la notte del 19 e noi eravamo pronti a favorire i nostri connazionali», precisando che molte truppe austriache erano già sbandate. Ancor più significativa la testimonianza del Capo timoniere dell’ammiraglia austriaca, il veneziano Tommaso Penzo, nel descrivere la scena dei naufraghi del Re d’Italia imploranti soccorso dopo lo speronamento da parte della sua nave: «Noi veneti fremevamo dal dispiacere e ansiosi aspettavamo l’ordine del comandante acciò ci permettesse in qualche modo di poterne salvare» (34). Piuttosto, va sottolineato come Lissa si inserisca in un contesto storico in cui le popolazioni venete erano tutt’altro che felici della dominazione austriaca, la
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quale riservava loro un elevato livello di tassazione e il ruolo di mero fornitore di materie prime. Tale situazione, unitamente alla censura e al regime poliziesco instaurato dopo il 1849, contribuì ad accrescere un diffuso risentimento, specialmente da parte della borghesia e degli intellettuali, che sfociarono nell’attività irredentista dei «Comitati veneti», diretti dall’esilio da Alberto Cavalletto e attivi nella campagna del 1866 per trasmettere clandestinamente al Regno d’Italia, oltre il Po e il Mincio, notizie sull’attività militare austriaca. Di queste vicende, che potevano costare (come talora, in effetti, avvenne) la vita ai patrioti, veneti quanto italiani, e riguardavano anche la trasmissione di notizie inerenti la Laguna di Venezia, si è ormai purtroppo persa la memoria (35). Gli stessi ideali irredentisti animavano quegli ufficiali che
Il capitano di vascello Domenico Chinca. Già ufficiale della Marina austriaca, decorato di Medaglia d’Oro al Valore Militare dal Regno di Sardegna per un atto eroico compiuto in Siria nel 1840, otto anni dopo lasciò il servizio per accorrere alla difesa di Venezia. Nel 1859 fu tra i protagonisti della liberazione della sua Brescia (legata a Venezia da un secolare rapporto) dall’Austria, per poi entrare nei ranghi della Marina italiana. A Lissa era comandante in seconda dell’AFFONDATORE (USMM).
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Anton Perko, La corazzata «Ferdinand Max» sperona la corazzata «Re d’Italia», 1866 (Vienna, Heeregeschichtliches Museum). Realizzato nell’immediatezza dello scontro, il quadro, come gli altri facenti parte della medesima serie, fornisce una rappresentazione sufficientemente esatta degli eventi. Nella pagina accanto: l’ammiraglio vicentino Luigi Fincati, fra i più agguerriti ufficiali veneti che combatterono a Lissa. Lasciata la Marina austriaca già prima del 1848, prestò servizio nella Repubblica di San Marco per poi, dopo 10 anni, essere accolto nella Marina sabauda. Nella campagna del 1866 fu al comando della cannoniera VARESE, gemella del PALESTRO; in seguito giunse al grado di contrammiraglio comandando, nel 1883-84, l’Accademia navale di Livorno. Il Fincati fu un personaggio insolitamente eclettico: deputato e acceso polemista, scrittore di temi storici e linguistici, archeologo e inventore, costruttore di strade e docente di matematica, oltre che direttore della Rivista Marittima nel biennio 1877-78 (USMM).
nel 1848 lasciarono la Marina austriaca per combattere con la Repubblica marciana, pagando poi il loro ideale di fedeltà all’Italia e a Venezia con l’esilio e la perdita di ogni bene, spesso vivendo in miseria fino a che furono in buona parte accolti, nel 1859, nella Marina sarda e, in seguito, in quella italiana. Si trattava di un nucleo di ufficiali di elevata cultura e preparazione professionale, che Jack la Bolina (avendoli ben conosciuti) definì, molti anni dopo, «babbi esemplari della Marina italiana di oggi» (36). Fra essi, ciascuno dei quali meriterebbe una monografia, sono da ricordare Galeazzo Maldini, Giuseppe Marini, Andrea Rossi, Vittorio Zambelli e Angelo Marchese, per non parlare di quelli presenti a Lissa: Tommaso Bucchia, Domenico Chinca, Giuseppe Paulucci, Antonio Gogola, Luigi Fincati, Francesco Baldisserotto, Antonio Sandri, Dionisio Liparachi, Vincenzo Foscolo e Giovanni
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Moro. Se il 20 luglio 1866 vi fu chi in quelle acque combatté nel nome di Venezia e di San Marco erano senza dubbio costoro, che anni prima avevano perduto tutto per lottare contro l’Austria e vedevano finalmente giunto il momento, sotto il tricolore, dell’agognato scontro con l’antico nemico. Non sia vano ricordarli, e con loro il giovane guardiamarina istriano Giustino Ivancich, ucciso da un colpo di moschetto in fronte sulla coperta del Re d’Italia.
Viva San Marco In questo quadro si inserisce una recente ma diffusa leggenda, stando alla quale sulle navi austriache, dopo lo speronamento del Re d’Italia, gli equipaggi avrebbero esultato al grido «Viva San Marco!». Ora, quando ci si trova a discutere del tema, si assiste a una curiosa inversione dell’onere della prova sancito sia dalla
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scienza, sia dal diritto: di fronte alla richiesta di riscontri documentali ci si sente rispondere che occorre, al contrario, «provare che non è avvenuto». Quest’affermazione farebbe sorridere qualunque storico, ma per esercizio si può applicare la regola processuale in base alla quale, non essendo possibile fornire la prova diretta di un fatto negativo (ossia di un fatto mai accaduto), si può dimostrarlo con un fatto positivo idoneo a farlo desumere. Anzitutto, non esiste alcuna prova (relazioni o testimonianze) che gli equipaggi abbiano lanciato quel grido, tanto meno nella copiosa documentazione archivista di parte austriaca (37). Ma l’assunto fa a pugni con altre circostanze oggettive. Come si è detto, quegli equipaggi erano solo in minima parte (uno su dieci) «veneziani», e non si comprende cosa importasse di San Marco a marinai croati o boemi. Inoltre, è comunque impossibile che a bordo delle navi austriache si potesse prorompere in quel grido senza finire ai ferri. Tutto ciò che rievocava le glorie di Venezia e lo stesso San Marco erano diventati, per gli austriaci, dei tabù, come si legge in un proclama del governatore Gor-
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zkowsy pubblicato sulla Gazzetta di Venezia il 27 agosto 1849: «Restano pure vietati gli emblemi, o segni di partito, o colori repubblicani, i gridi, canti, discorsi, le stampe e gli scritti tendenti a mantenere od a risvegliare lo spirito rivoluzionario». Come ha evidenziato Alvise Zorzi, «“Viva San Marco!” era stato il grido della rivoluzione del 1848 (…) e agli orecchi di Tegetthoff e di ogni altro ufficiale della k. k. Kriegsmarine, fortemente austriacizzata (…) quel grido sarebbe apparso sedizioso e come tale severamente punito» (38). D’altra parte, il grido «interetnico» di esultanza in uso sulla Marina austriaca era il semplice «Hurrah!». Esso fu lanciato il 18 luglio dai difensori di Lissa mentre il Formidabile salpava e, il giorno dopo, dagli equipaggi mentre la flotta usciva da Pola (39). Tutte le innumerevoli fonti austriache riportano concordemente che gli equipaggi gridarono «Hurrah!». Così, il capitano di vascello Max von Sterneck, comandante del Ferdinand Max, che in una lettera a Tegetthoff del 27 luglio 1866 scrisse che il Re d’Italia affondò «tra gli hurrah del mio equipaggio» (40). Lo stesso Tegetthoff, nella sua citata relazione finale del 27 novembre 1866, riferì poi che, dopo avere assistito attoniti alla scena del rapido affondamento e degli uomini in acqua che chiedevano aiuto, «poi anche noi ci siamo uniti al fragoroso evviva che risuonava» dalle sue navi (41). Né, si badi, alcuna delle testimonianze di parte italiana riferisce di un «Viva San Marco!», che senz’altro avrebbero notato. Il guardiamarina Torello Orsini, capo coffa sul Re d’Italia e quindi osservatore privilegiato, così descrisse gli istanti immediatamente successivi allo speronamento: «Allora vidi l’ammiraglio nemico, bell’uomo con lunghe barbe nere [in realtà era il comandante Sterneck, Tegetthoff era biondo, ndr], togliersi il berretto e dare un grido, a cui rispose un’eco lunghissima della sua batteria» (42). Né quel grido né quell’eco erano, e potevano essere, «Viva San Marco!».
Daghe dentro… con la fantasia Infine, un’ultima leggenda che fa il paio con la precedente per la bizzarria, la totale assenza di fonti e il conflitto logico e probatorio con quelle esistenti. Si dice che, poco prima dello speronamento del Re d’Italia, Tegetthoff, accanto al timoniere del Ferdinand Max Vincenzo
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La fine della storia. Taranto 1920: l’ironclad austro-ungarica ERZHERZOG ALBRECHT adibita a pontone-nave caserma e nota come BUTTAFUOCO e il vecchio AFFONDATORE di Lissa, il quale aveva assolto, dal 1907, il compito di nave deposito munizioni (collezione Enrico Cernuschi). In alto: Ludwig Edler Rubelli, Il ponte della «Ferdinand Max» nella battaglia navale di Lissa, 1898 (Vienna, Heeregeschichtliches Museum). L’opera raffigura la scena, montata dalla propaganda austriaca, della «conquista» della bandiera della cannoniera PALESTRO. In realtà questa unità, accorsa in soccorso del RE D’ITALIA accerchiato, fu a sua volta attaccata subendo un tentativo di speronamento da parte dell’ammiraglia austriaca. Nell’urto, l’alberetto di mezzana si spezzò abbattendosi sulla coperta della nave austriaca, trascinando, attaccata a una sagola, una delle bandiere nazionali del piccolo pavese alzato per il combattimento. Un marinaio austriaco prontamente fissò a una bitta la sagola, che rimase quindi in coperta dopo che le navi si scostarono. Si noti che in quest’opera, pur palesemente oleografica, non si da credito alcuno alla voce per cui Tegetthoff, ritratto sul ponte di comando, desse ordini al timoniere, intento a riceverne da un altro ufficiale.
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Vianello da Pellestrina detto «Gratòn», gli avrebbe detto: «Daghe dentro Nino, che la ciapèmo» («vagli addosso Nino, che la prendiamo»). La frase si legge in numerose varianti, ed è normalmente giustificata, in mancanza di qualunque riscontro, col solo e ineffabile argomento che l’ammiraglio austriaco parlava il veneto avendo studiato a Venezia. Con un po’ di fortuna è stato possibile ricostruire l’origine di quest’ulteriore leggenda, rinvenuta in un articolo pubblicato dal giornalista Pier Antonio Quarantotti Gambini sulla rivista Omnibus del 26 febbraio 1938, in cui affermò: «come qualche vecchio pescatore ricordava sino a pochi anni or sono, durante la battaglia [Tegetthoff] trasmise tutti i comandi in dialetto veneto: “Ciò Nane, ghe la femo?”, chiedeva, dubitoso, al suo timoniere chioggiotto. “Sì, sior, ghe la femo” — rispondeva Nane». Nell’articolo, l’autore affermò di aver udito queste battute «da due marinai di Lussinpiccolo che le avevano sentite da reduci di Lissa » (43). Il punto di partenza è quindi una pura leggenda orale, tratta da una testimonianza de relato al quadrato, oltretutto diversa dal «daghe dentro» oggi diffuso: qui addirittura Tegetthoff chiede un parere al timoniere, venendo da lui rassicurato (!). Ma, anche la tesi dell’ordine dell’ammiraglio al sempre citato marinaio fa acqua da tutte le parti. In primo luogo, Vincenzo Vianello non era timoniere sulla nave ammiraglia, bensì sul Kaiser (44). Al timone del Ferdinand Max c’era quel Tommaso Penzo che abbiamo visto trepidare per la sorte dei suoi compatrioti naufragati. Inoltre, come si è visto, per regolamento sulle navi austriache gli ordini si impartivano in tedesco. Ulteriore argomento dirimente è che per norma, laddove un ufficiale ammiraglio sia im-
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barcato, questi non impartisce ordini direttamente al timoniere, facoltà riservata al comandante o all’ufficiale di guardia in plancia. Così, per esempio, il comandante dell’Affondatore, Federico Martini, riferì che Persano gli indicava le manovre volute che poi lui s’incaricava di eseguire (45). La realtà è molto più semplice: Tegetthoff non impartì alcuna disposizione al timoniere in quanto vi pensò, come logico, il comandante Sterneck, il quale «vide improvvisamente comparire davanti a sé tra il fumo il Re d’Italia. Immediatamente e con la massima potenza della macchina possibile, si diresse verso il nemico, che gli stava di fronte a sinistra» (46). Lo stesso Sterneck affermò, usando la prima persona e quindi giustamente rivendicando la manovra, di avere diretto sull’ammiraglia italiana e di averla speronata (47). Per altro verso Tegetthoff, da quel galantuomo che era, non si attribuì la manovra, dandone sempre merito a Sterneck. Il 23 luglio 1866 l’ammiraglio scrisse a Crenne-
ville che lo speronamento era merito del coraggio del suo comandante di bandiera (48), e così nella sua relazione finale del 27 novembre successivo (49). L’ammiraglio non si smentì in privato: in una lettera alla Lutteroth del 22 luglio 1866 scrisse che Sterneck era stato eccezionale («Max war brilliant») (50).
Conclusione Si chiude così la rassegna delle più evidenti leggende in merito a un episodio che fu, per la Marina italiana, un (ingiustificato) sfacelo politico prima ancora, e più morale che materiale, per dirla con Jack la Bolina. Va da sé che, come sempre avviene, i più estranei a queste fantasie alla fine sono stati e sono i marinai, che quanto meno sul piano morale hanno ritenuto chiusa la vicenda segnalando: «Pace ai morti di Lissa» alle navi dell’ormai ex flotta austro-ungarica che il 24 marzo 1919 entravano, con equipaggi italiani, nel Bacino di 8 San Marco.
NOTE (1) «In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia (…)». Questo l’incipit del testo vergato dal Vate in quell’occasione. (2) Si vedano di Alberto Lumbroso, Il processo dell’ammiraglio di Persano, F.lli Bocca, Roma 1905; La battaglia di Lissa nella storia e nella leggenda, Roma, ed. Rivista di Roma, 1910; Carteggio di un vinto, Roma, ed. Rivista di Roma, 1917. (3) In particolare si vedano: Carlo Randaccio, Storia delle Marine Militari italiane dal 1750 al 1860, e della Marina Militare italiana dal 1860 al 1870, Vol. 1, Roma, Tip. Forzani, 1886; Domenico Guerrini, Lissa (1866), Torino, Casanova, 1907-08; Domenico Parodi, L’attacco e la battaglia di Lissa nel 1866, S. Pier d’Arena, Scuola Tip. Salesiana, 1899. (4) Angelo Jachino, La campagna navale di Lissa. 1866 Storia e Leggenda, Il Milano, Saggiatore, 1966. (5) Jack la Bolina (Augusto Vittorio Vecchj), Al servizio del mare italiano, Torino, Paravia, 1928, pp. 187-191. (6) Aldo Fraccaroli, Difendo Persano, in Storia illustrata, n. 316, marzo 1984, pp. 50-61. (7) Jachino, op. cit., pp. 408-415. (8) Ibidem, pp. 494-496. (9) Lumbroso, Carteggio di un vinto, p. IX. (10) Giuseppe Fioravanzo, Storia del pensiero tattico navale, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1973, p. 173. (11) Jachino, op. cit., pp. 438 e 448. (12) Ibidem, p. 484. Si può aggiungere che Tegetthoff sulle prime non fu celebrato come vincitore in patria, data la tradizionale antipatia delle «tuniche bianche» dell’Esercito, egemone a Vienna, per la Marina, destinataria a sua volta di risorse oltremodo scarse. L’ammiraglio austriaco giunse a scrivere il 21 settembre 1866 alla propria corrispondente Emma Lutteroth che «soltanto una buona batosta, soltanto una monumentale frittata, avrebbero potuto indurre quella gente di Vienna a delle riforme, che ora rimarranno lettera morta». Le lettere di Tegetthoff alla sua corrispondente sono pubblicate in Tegetthoffs Briefe an seine Freundin, Vienna, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst, 1926, volume integralmente tradotto in un dattiloscritto apocrifo conservato all’Ufficio Storico della Marina Militare e datato Parenzo - Giugno 1935. (13) Lumbroso, op. cit., p. 473. In quella sede l’autore, nel ricordare che anche Jack la Bolina (il quale aveva avuto Cappellini tra i propri istruttori alla Scuola di Marina di Genova) da tempo cercava di distruggere la leggenda del suicidio di quel comandante, osservava: «Varranno mai i suoi e i miei sforzi a cancellarla dalle storie che i ragazzi italiani leggono come libri di testo?». (14) «Si è trattato di un confronto tra cuori di ferro su navi di legno e navi corazzate con rostri di ferro, e i cuori di ferro hanno vinto». Official Records of the Union and Confederate Navies in the War of the Rebellion, Ser. I, Vol. 18, Washington, Government Printing Office, 1904, pp. 172-173. (15) Hermann Reuchlin, Geschichte Italiens von der Gründung der Regierenden Dynastien bis zur Gegenwart, Lipsia, Hirzel, 1873, p. 516. (16) Angelo Filipuzzi, La campagna del 1866 nei documenti militari austriaci. Le operazioni navali, Padova, Università degli Studi di Padova, 1966, p. 221. (17) Lumbroso, Il processo dell’ammiraglio Persano, op. cit., p. 333. (18) «Wir haben nur hölzerne Schiffe, aber eiserne Herzen, der Feind hat eiserne Schiffe, seine Mannschaft jedoch, hölzerne Herzen!» in Neue Freie Presse, 24 luglio 1886, p. 2. (19) Bix, 20 luglio 1866, in La Stampa, 29 luglio 1886, p. 3. (20) Jachino, op. cit., p. 145. (21) Filipuzzi, op. cit., pp. 106-107. (22) Filipuzzi, op. cit., p. 259. Si tratta della relazione a Tegetthoff del comandante dell’avviso Stadium, tenente di vascello Victor Wimpffen; e il capitano di vascello Sterneck scrisse polemicamente che preferiva tacere in merito al comportamento del Narenta (ibid., p. 234). L’episodio, riferito dai superstiti, aveva suscitato proteste pubbliche da parte del governo italiano, ufficialmente respinte dagli austriaci che avevano affermato essere tale notizia falsa. È invece destituita di fondamento la notizia per cui gli austriaci avrebbero ucciso dei naufraghi, tra cui lo zio di Luigi Rizzo, col getto di pece bollente: a parte la mancanza di seri riscontri, c’è da chiedersi per quale motivo, oltretutto nel dispregio delle più elementari e secolari norme di sicurezza antincendio, si dovesse tenere a bordo pece bollente nel corso di un combattimento. (23) Jachino, op. cit., p. 558. (24) Il Diavoletto, Un articolo umoristico, 28 luglio 1866, p. 1. (25) Si vedano per esempio: Sante Romiti, Le Marine Militari italiane nel Risorgimento (1784-1861), Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1950, passim; Alessandro
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Lissa: leggende vecchie e nuove Turrini, L’Adriatico e il Risorgimento italiano, in Bollettino d’archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare (d’ora innanzi BAUSMM), settembre 2006, pp. 138-139; Idem, Nascita e tramonto della Imperiale e Regia Marina, in BAUSMM, settembre 2008, pp. 243-292 (si noti che in ogni caso la congiunzione «e» tra Kaiserliche e königliche fu introdotta solo nel 1867, dopo il compromesso con l’Ungheria); Carlo Gottardi, La Veneta Marina dal 1798 al 1849, in Rivista Marittima, dicembre 1988, pp. 84-85, Franco Micali Baratelli, La Marina Militare Italiana nella vita nazionale (1860-1914), Milano, Mursia, 1983, p. 151. (26) Manuale per le Province soggette all’Imperiale Regio Governo di Venezia per l’anno1845, Venezia, presso Francesco Andreola Tipografo Guberniale, 1845. (27) Giuseppe Finizio, Gli italiani nella Marina austro-ungarica (1867-1918), in Rivista Marittima, dicembre 2006, p. 121. (28) Ibidem. (29) Lawrence Sondhaus, The Naval Policy of Austria-Hungary, 1867-1918: Navalism, Industrial Development, and the Politics of Dualism, West Lafayette, Purdue University Press, 1994, p. 4, e Renate Basch-Ritter, Die Weltumsegelung der Novara 1857-1859: Österreich auf allen Meeren, Graz, Akademische Druck -u. Verlagsanstalt, 2008, p. 26. (30) Lawrence Sondhaus, The Habsburg Empire and the Sea. Austrian Naval Policy, 1797- 1866, West Lafayette, Purdue University Press, 1989, p. 4. (31) Finizio, Gli italiani nella Marina austro-ungarica (1867-1918), op. cit., p. 123. (32) Lumbroso, Il processo dell’ammiraglio Persano, op. cit., Documenti, p. 24. (33) Alvise Zorzi, Una leggenda, in Corriere della Sera, 3 ottobre 2005, p. 29. Lo stesso Autore ha affermato che nel 1866 «anche sul mare, il divorzio tra Venezia e l’imperiale e regia Marina era ormai consumato» (Alvise Zorzi, Venezia austriaca, Roma-Bari, Laterza, 1985, p. 238). Identica tesi è condivisa da Sondhaus in The Naval Policy, op. cit., p. 93. Risulta pertanto oggetto quantomeno di dibattito l’affermazione dell’ingegner Turrini in L’Adriatico e il Risorgimento italiano, op. cit., p. 155, secondo cui Tegetthoff dovrebbe considerarsi «a pieno diritto erede dei capitani generali da mar veneziani», categoria nella quale a ben vedere rifulsero nomi gloriosi ma anche meno commendevoli. Allo stesso modo non si concorda con l’ammiraglio Micali Baratelli laddove nel suo La Marina Militare, op. cit., p. 152, afferma che, pur non facendola propria, la frase: «Lissa fu l’ultima vittoria del Leone di San Marco» è un paradosso e come tale «un’intelligente deformazione della verità». (34) Archivio Centrale dello Stato, Fondo Persano, busta 2, fasc. 6. (35) Giuseppe Solitro, I veneti nella preparazione e nella guerra del 1866, in Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Tomo XCI, Parte seconda, Venezia, 1932. (36) Jack la Bolina, I nostri babbi veneti, in Fra armi e macchine a bordo, maggio 1926, pp. 43-51. (37) Filipuzzi, op. cit. (38) Zorzi, Una leggenda, op. cit. Per Zorzi, inoltre, la leggenda del “Viva San Marco” trasse origine anche da una certa dose di razzismo contro Sardi e Napoletani presente a bordo delle navi austriache (Zorzi, Venezia austriaca, op. cit., p. 238). (39) Jachino, op. cit., pp. 369 e 381. (40) Filipuzzi, op. cit., p. 140. (41) Ibidem, p. 227. (42) Lumbroso, Carteggio di un vinto, pp. 151-152. (43) Pier Antonio Quarantotti Gambini, Cento italiani intorno al globo, in Omnibus, 26 febbraio 1938. (44) Verluslisten der österr. Süd-und Nordarmee im Feldzuge vom Jahre 1866, Vol. I, Praga, Skrejšovský, 1866, pp. 7-8 (45) Lumbroso, Il processo dell’ammiraglio Persano, op. cit., p. 224. (46) Heinz Christ, Geschichte der k. k. Kriegsmarine während der jahre 1850-1866, Vienna, KMA, 2017, p. 611. Resta in ogni caso priva di ogni riscontro la tesi per cui Tegetthoff «parlava in veneziano con il suo timoniere e i suoi nocchieri» riportata in Micali Baratelli, op. cit., p. 152. (47) Filipuzzi, op. cit., p. 140. (48) Ibidem, p. 117. (49) Ibidem, pp. 225-226. (50) Max Freiherr von Sterneck, Erinnerungen aus den Jahren 1847-1897. Herausgegeben von seiner Witwe. Biographische Skizze und Erläuterungen vom Jerolim von Benko, Vienna, Hartleben, 1901, p. 170. BIBLIOGRAFIA Renate Basch-Ritter, Die Weltumsegelung der Novara 1857-1859: Österreich auf allen Meeren, Graz, Akademische Druck -u. Verlagsanstalt, 2008. Ferruccio Botti, La campagna del 1866. Cooperazione Esercito-Marina e trasporto via mare, in Rivista Marittima, febbraio 1989, pp. 87-100. Heinz Christ, Geschichte der k. k. Kriegsmarine während der jahre 1850-1866, Vienna, Kriegsmarine Archive, 2017. Ezio Ferrante, La sconfitta navale di Lissa, Roma, Vito Bianco, 1985. 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DI PL O M AT I CO
Visita del presidente del Consiglio Mario Draghi a Tripoli. Esiti e incognite La missione di Mario Draghi a Tripoli, accompagnato dal ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio, primo fra i membri del Consiglio europeo a incontrarsi con il premier Abdul Hamid Dbeibeh, fa stato della pronta risposta italiana all’adempimento libico della più importante clausola dell’accordo sul «cessate il fuoco» del 26 ottobre del 2020: l’elezione da parte del parlamento libico del governo transitorio che dovrà condurre il paese alle elezioni generali del 24 dicembre, momento definito «unico» da Draghi, cioè il più opportuno per la piena ripresa delle relazioni italo-libiche a livello di governi centrali. Nel corso di una conferenza stampa congiunta al termine dei colloqui, il Primo ministro italiano ha lodato il governo libico che «sta procedendo a realizzare l’unità nazionale» e ha dato pubblico credito all’ambasciatore e ai diplomatici italiani «per aver tenuto costantemente aperta l’ambasciata» durante gli ultimi difficili anni. Ora è necessario «ristabilire la pace» procedendo ad adempiere a tutte le clausole del cessate il fuoco (tra le quali vi è quella della sollecita partenza dei contingenti stranieri). Draghi ha poi definito i risultati dei colloqui come «straordinariamente soddisfacenti». Il premier libico Dbeibeh ha da parte sua salutato la comune volontà di rivitalizzare la «partnership strategica italo-libica» attraverso la riattivazione della Commissione economica congiunta e l’Accordo del 2008, nonché l’accordo doganale, i visti a favore dei cittadini libici e gli investimenti libici in Italia. Ha, in seguito, definito «sfide comuni» quelle relative all’emigrazione, il terrorismo, il crimine organizzato e il traffico di esseri umani. Durante i colloqui, i due leader hanno parlato anche di infrastrutture (la nota autostrada costiera e l’aeroporto internazionale) di energia (ENI ed ENEL dovrebbero accompagnare la transizione energetica libica) e di cooperazione nel settore sanitario, in particolare contro l’attuale pandemia e nel settore culturale. Anche il tema dei mancati pagamenti alle imprese italiane è stato affrontato, oltre a quelli specificatamente annunciati nel corso della conferenza stampa, quali l’emigrazione, tema sul quale da entrambe le parti si è ritenuto di chiedere anche l’aiuto dell’UE. Draghi si è poi incontrato anche con il presi-
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dente del Consiglio presidenziale Mohammed al Menfi e i due vice presidenti, ripartendo per Roma nel primo pomeriggio. La visita è stata preceduta da una prima missione di Luigi di Maio a Tripoli, domenica 21 Marzo, accompagnato dall’amministratore delegato dell’ENI Claudio De Scalzi. Una settimana dopo, il 28 marzo, il ministro degli Esteri è tornato in Libia con i colleghi tedesco, Heiko Mass e francese, Jean-Yves Le Drian, per manifestare ai Libici l’unità di intenti dei primi tre paesi dell’Unione Europea. In entrambe le occasioni, i tre principali interlocutori locali erano stati il primo ministro Dbeibeh, il presidente del Consiglio presidenziale Al Menfi e la ministra degli Affari esteri Najla Al Mangoush. Inoltre Al Menfi si è recato a Parigi per incontrare all’Eliseo il presidente Macron, mentre la domenica di Pasqua, il presidente del Consiglio dell’UE, il belga Charles Michel si è recato a Tripoli per incontrarsi con Dbeibeh. Nella capitale libica si è recato nel pomeriggio di martedì anche il primo ministro greco. Anche i greci, come i francesi, riapriranno nei prossimi giorni le rispettive ambasciate.
Tripoli, 6 aprile 2021: alcuni momenti della visita del Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, al Primo Ministro libico Abdelhamid Dabaiba (governo.it).
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Tale intensità di contatti, che precede e include evidentemente la visita del nostro Presidente del Consiglio, è dovuta, come accennato dallo stesso Draghi, alla nomina da parte del parlamento libico il 15 marzo u.s. del Governo di transizione, che porterà il paese alle elezioni generali, parlamentari e presidenziali il 24 dicembre p.v. L’adempimento delle parti libiche che avevano preso parte al conflitto alla prima e più determinante delle clausole del cessate il fuoco, ha così nuovamente attirato sulla Libia l’attenzione delle capitali più interessate (in particolare della nostra), che non avendo considerato realizzabile un impegno militare diretto nella guerra, attendevano il ristabilimento dei primi segni di legalità per tentare di ricostruire i tradizionali rapporti di collaborazione e di influenza precedentemente intrattenuti con la Libia. Resta ovviamente aperta l’altrettanto determinante clausola prevista dal cessate il fuoco del 26 ottobre 2020, le cui norme ricalcano i risultati della Conferenza di Berlino per la stabilizzazione della Libia, tenutasi nel gennaio dell’anno passato: si tratta del ritiro entro novanta giorni dal 26 ottobre 2020, dei contingenti stranieri militari e civili che hanno preso parte alle varie fasi del conflitto e la fine definitiva dei ponti aerei e dei rifornimenti terrestri ai medesimi. Tuttavia, l’atteggiamento delle due principali potenze interessate non sembra conforme alle disposizioni del cessate il fuoco: il Parlamento di Ankara ha
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autorizzato la permanenza del contingente turco fino al 2022; i russi, da parte loro stanno scavando un «vallo» di circa 90 km in direzione nord-sud, a partire dalle loro basi aerea e navale in prossimità di Sirte. Un vallo che potrebbe porsi a protezione del fianco ovest/sudovest delle loro basi, oppure costituire il primo tratto dell’eventuale confine fra Tripolitania e Cirenaica che auspicheremmo invece di non vedere mai. Ci troviamo quindi di fronte alla situazione che tante volte abbiamo constatato, soprattutto in Medio Oriente, ma anche nel Mediterraneo: ogni qualvolta i diretti contendenti sembrano vicini a trovare un’intesa, questa viene complicata dagli interessi delle potenze regionali e globali. Fino a oggi sia la Turchia sia la Russia, insieme ai rispettivi alleati, hanno preso tempo, continuando a valutare quali vantaggi, come basi militari e benefici politici ed economici diretti e indiretti si potessero ricavare come ricompensa per il loro coinvolgimento nella guerra. Sapremo presto se questa, per il momento, è la vera e unica ambizione delle potenze straniere che hanno «attivamente» sostenuto le parti in causa libiche durante il conflitto armato. In questo caso, verrebbe in sostanza conservato lo status quo fino a nuovo ordine e con l’opzione di riprendere la guerra se ritenuto necessario. Viene tuttavia auspicato da larga parte della comunità internazionale (non dimentichiamo che la Conferenza di Berlino è stata firmata da ben sedici paesi e organizzazioni internazionali, tra cui la Cina) che prenda corpo una nuova fase diplomatica, volta non tanto verso i libici, che devono ancora portare a termine molti importanti adempimenti (per esempio, lo scioglimento delle milizie e la costituzione di un esercito nazionale), quanto verso le potenze regionali e globali coinvolte, con la speranza che anche la nuova presidenza americana possa continuare a esercitare una opportuna pressione in favore del ritiro degli stranieri e della stabilizzazione del paese. La Turchia, in particolare, sembra, come noto, non passare un
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periodo facile sul piano economico finanziario e tale difficoltà potrebbe renderla incline a cercare un compromesso tra le ambizioni strategiche e gli interessi economici che la sua importante posizione raggiunta a Tripoli con la guerra potrebbe oggi assicurarle. Sicuramente più difficile il discorso con la Russia. La recente guerra in sostegno ufficioso del generale Haftar le ha assicurato finora alcune basi aeree e navali. Ricordo che chi controlla la costa libica con adeguata tecnologia, potrebbe potenzialmente minacciare o addirittura impedire il traffico mercantile dal canale di Suez a Gibilterra e viceversa. L’Italia, pur senza controllare Suez o Gibilterra, nel Secondo conflitto mondiale ha impedito il suddetto traffico per tutto il periodo fino all’8 settembre 1943, agevolata anche dalla relativa ristrettezza dei canali di Sicilia e di Sardegna. Inoltre la dislocazione di impianti per lancio missili a lungo raggio lungo la costa libica aggiungerebbe una potenziale minaccia permanente anche al nostro territorio nazionale. L’Unione europea non è riuscita fino a questo momento a esercitare un ruolo da protagonista pari al suo peso e alle sue capacità nella questione libica, a causa della mancata intesa tra gli Stati membri. Oggi sembra partire con migliori prospettive, come dimostrerebbe la tempestiva visita congiunta dei ministri degli Esteri dei tre paesi maggiori, oltre alla visita del presidente del Consiglio europeo Michel. L’annosa drammatica vicenda dell’emigrazione clandestina passa dalla frontiera sud, come per lo più, i gruppi armati terroristi che escono e rientrano dai confini saheliani. Il contrabbando di armi, petrolio e quant’altro segue varie vie terrestri e aeree, attraversando indisturbato le frontiere. Esistono problemi anche per quanto riguarda sia la frontiera est, che l’Egitto sorveglia con la più alta attenzione, come anche per la frontiera ovest con Algeria e Tunisia. Se è vero che un controllo indipendente ed efficace delle frontiere è alla base della risoluzione di gran parte delle problematiche nazionali, solo un’autorità indipendente e all’altezza della situazione, su auspicabile mandato del Consiglio di Sicurezza, potrebbe affrontare una tale sfida, con l’aiuto evidentemente di guardie di frontiera libiche, inquadrate e coordinate dalla speciale autorità internazionalmente delegata. L’Unione europea, si è opportunamente interessata al-
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Personale militare impegnato nell’operazione EUNAVFOR MED IRINI (operationirini.eu).
meno tre volte in questi ultimi anni al problema del controllo delle frontiere libiche, intuendone l’importanza ai fini della stabilizzazione del paese. La prima volta con «The European Union Border Assistance Mission» EUBAM, nel 2013, una missione civile di assistenza alle autorità libiche (capacity building) composta da 35 elementi, che è tuttora in corso. La missione aveva firmato un accordo con l’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (IOM) per assistere le autorità libiche nello smantellare le reti di criminalità organizzata volta al traffico di esseri umani e al terrorismo. La seconda volta, con l’operazione navale SOPHIA (2015-20), intesa a reprimere il fenomeno del traffico degli emigrati clandestini. La terza, con l’operazione aeronavale IRINI (avviata il 31 marzo 2020), volta a reprimere il contrabbando di armi e petrolio davanti alle coste libiche. Si tratta ovviamente di operazioni navali, ma molto diverse da EUBAM, in quanto non si limitano alla assistenza alla guardia costiera (capacity building), ma svolgono un ruolo esecutivo diretto sotto l’egida e il controllo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e naturalmente sulla base di un accordo con lo Stato libico. L’Italia ha svolto e svolge un ruolo importante in questo quadro, con il comando dell’operazione IRINI (ammiraglio Fabio Agostini) e prima con quello dell’operazione SOPHIA
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(ammiraglio Enrico Credendino) e con la direzione dell’EUBAM (dottor Vincenzo Tagliaferri, recentemente sostituito per fine mandato dalla dottoressa Natalina Cea). Ma anche sul piano concettuale, giacché la «strategia marittima dell’UE» fu presentata al Consiglio europeo dall’allora Alto Rappresentante Federica Mogherini, sulla base anche di consulenze all’uopo fornite dai paesi membri e in particolare dalla Marina Militare italiana. Le operazioni IRINI e SOPHIA, accompagnate da quelle organizzate da Frontex hanno potuto, per conto dell’UE, per la prima volta, prendere la diretta responsabilità della frontiera marittima libica, definita frontiera «liquida», per la sua collocazione sull’acqua, che in sostanza rende confinanti con la Libia tutti i paesi europei rivieraschi con il Mediterraneo date le poche miglia di mare che li separano da Tripoli, in particolare quelli più vicini, come l’Italia. In aggiunta all’interdizione del contrabbando di armi e di petrolio, IRINI contribuisce attivamente al contrasto del traffico di esseri umani e provvede alla formazione della Guardia costiera libica. Per tali aspetti della missione, l’UE ha potuto finora schierare tre fregate e due aerei per la ricognizione marittima. Ha infine ricevuto una considerevole flessibilità sul mandato, che sotto speciali condizioni può accrescere la propria «intensità» e area di azione, comprese le acque territoriali libiche, con il previo accordo del governo locale e del Consiglio di Sicurezza. A parte poi la cooperazione con le competenti agenzie dell’UE, IRINI è soprattutto un buon esempio di integrazione tra le sue componenti civili e militari, quali Forze armate e di polizia, magistratura, rappresentanti delle istituzioni europee, rappresentanti di organizzazioni internazionali e NGO. A nostro parere, l’UE potrebbe avere una buona chance per rafforzare il suo ruolo a favore della stabilizzazione della Libia. Siamo sicuri che l’Alto Rappresentante Josep Borrell possiede le capacità, oltre alle migliori
intenzioni per dare all’UE un più alto profilo politico nel processo di pace previsto dai seguiti della Conferenza di Berlino. La massima parte del contrabbando di armi è avvenuto e avviene via terra o con voli clandestini, mentre IRINI sviluppa la sua indispensabile azione sul mare. Il momento è venuto per l’UE, noi crediamo, di completare il lavoro avviato da IRINI, tramite il concepimento di una ulteriore forza di pace dell’Unione europea, sotto mandato dell’ONU, per assicurare un efficace controllo di tutte le frontiere, in stretta cooperazione con IRINI al Nord e forse condividendo parzialmente con quest’ultima, parte del personale e la logistica del Comando. La nuova missione potrebbe avere la stessa organizzazione istituzionale di IRINI nel quadro della politica estera e di sicurezza dell’UE, sotto la diretta autorità dell’Alto Rappresentante ed eventualmente essere posta sotto un coordinamento unico insieme a IRINI per assicurare l’unicità di intenti. Questa forza di pace non dovrebbe limitare i suoi compiti all’attività di capacity building, ma dovrebbe assumersi, come dicevamo, maggiori responsabilità, in collaborazione con le guardie di frontiera libiche, con la missione europea in Sahel e sotto mandato e monitoraggio del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ma anche dell’Unione africana. La stessa operazione potrebbe anche interessarsi del problema dei migranti in transito, in stretta cooperazione con le competenti organizzazioni internazionali. Nonostante l’ampiezza di un tale programma, riteniamo che i tempi siano maturi per l’UE di assumersi la responsabilità che il momento richiede. Crediamo anche che nessun altro, al di fuori dell’UE possa efficacemente incaricarsi di un progetto così ambizioso e nello stesso tempo indispensabile. Paolo Casardi, Circolo di Studi Diplomatici
Diplomatico di carriera, presta servizio a Roma, Parigi, Maputo, Londra, Bruxelles, New York e Santiago. Percorre tutti i rami dell’attività diplomatica bilaterale e multilaterale, prendendo poi posto in Consiglio di Amministrazione della Farnesina con l’incarico di Ispettore Generale del Ministero e degli Uffici all’estero. Lasciato il servizio attivo, è cooptato come socio del Circolo di Studi Diplomatici, ove viene eletto Co-Presidente, svolgendo in quel quadro e fuori, attività di ricerca e attività accademica in materia di relazioni internazionali. È autore di articoli e saggi su riviste specializzate e pubblicazioni. È consigliere scientifico della Marina Militare per l’area umanistica. Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.
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O SSERVATORIO Altra crisi politica nel Caucaso Alla fine dello scorso febbraio, la polizia ha fatto irruzione nella sede del Movimento Nazionale Unito (MNU), partito di opposizione a Tbilisi, in Georgia, per arrestare il suo presidente, Nika Melia. Il raid e l’arresto, trasmessi in diretta e video registrati da osservatori, hanno gettato il paese in una nuova, profonda, crisi politica. Dato il ruolo di lunga data di Melia come spina nel fianco del partito attualmente al potere, il «Sogno Georgiano», la sua detenzione è sembrata essere una dimostrazione di forza politicamente motivata per intimidire i critici del governo. La mossa ha provocato proteste in Georgia e UE; Stati Uniti e organizzazioni per i diritti umani hanno espresso preoccupazione. L’incidente solleva interrogativi sulla traiettoria politica e strategica della Georgia e a seguito dell’intero scacchiere del Caucaso. Per quasi due decenni, l’ex repubblica sovietica è stata lodata come una delle più brillanti democrazie della regione. Tuttavia, uno sguardo più attento agli sviluppi politici dalla sua «Rivoluzione delle rose» del 2003 rivela ripetute oscillazioni tra tendenze opposte, che riferiscono agli interessi strategici contrapposti di Mosca e dell’Oc-
Il leader dell’opposizione georgiana, Nika Melia (periodicodaily.com).
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INTERNAZIONALE cidente. L’ostilità tra il MNU e il «Sogno Georgiano» è radicata nella reciproca animosità e inconciliabile divergenza ideologica tra i rispettivi fondatori: rispettivamente l’ex discusso presidente Mikheil Saakashvili e l’eccentrico miliardario Bidzina Ivanishvili. Uno scandalo carcerario del 2012 aveva messo in moto un’inchiesta approfondita che ha portato alla luce gli eccessi extragiudiziali dei servizi di sicurezza di Saakashvili, che ha permesso al «Sogno Georgiano» di sconfiggere il MNU alle elezioni del medesimo anno e avviare un progressivo, anche se contestato, riavvicinamento a Mosca. Ivanishvili, pur non avendo un ruolo formale, resta centrale nella vita politica georgiana, mentre Saakashvili, ora in esilio (e dopo molti problemi anche in questa condizione nella città ucraina di Odessa), continua a lottare contro il «Sogno Georgiano» etichettandolo come un partito filo-russo desideroso di allontanare la Georgia dalla sua traiettoria filo-occidentale e riportare la nazione nella soffocante influenza di Mosca. La storia personale di Ivanishvili e i suoi sforzi per migliorare i rapporti con Mosca hanno aiutato questa narrativa. La realtà, tuttavia, è molto più sfumata. Ciò che è chiaro è che il contrasto tra i due uomini e tra le loro fazioni politiche è profondo, sottolineando la realtà di un paese profondamente diviso e che non ha fatto onestamente i conti con il proprio turbolento passato, sia esso recente o meno. Gli attriti tra le due linee politiche sono ulteriormente peggiorati dopo le elezioni del 2020, che l’opposizione accusa di essere state manipolate a favore del «Sogno Georgiano», nonostante l’OSCE le abbia dichiarate corrette, sebbene la pandemia Covid-19 abbia complicato gli sforzi degli osservatori elettorali. A seguito dei risultati, le opposizioni (MNU in testa) hanno deciso di boicottare l’assemblea parlamentare (la Georgia ha un parlamento monocamerale), ma come spesso accade, l’idea dell’Aventino porta a scarsi risultati e marginalizza gli assenti e l’arresto di Melia ne è stata ulteriore prova, anche se la stessa coalizione al governo è scossa da problemi interni e defezioni. Saakashvili è stato ben considerato in Occidente per le sue riforme anti-corruzione e di
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menti intrapresa da tempo da parte dell’Azerbaigian, governance, nonché per i suoi sforzi per orientare salnon ha registrato una decente risposta. Tuttavia, la damente il paese verso l’Occidente (UE e NATO) e struttura di politica estera dell’amministrazione Biden una dura posizione verso Mosca. Tuttavia, pare che non sembra ancora completamente attrezzata per afabbia aumentato il controllo sui media, politicizzato frontare i crescenti problemi della regione, mentre la magistratura e i servizi di sicurezza, (anche lui) reWashington ha già una lunga lista di questioni più urpresso l’opposizione e solleticato il populismo e l’ulgenti, quali la priorità della sfida cinese rispetto a tranazionalismo georgiano. quella russa. Oggi, non è chiaro se gli Stati Uniti posIl confronto tra le due linee politiche ne riflette uno sano (o vogliano) favorire il ritorno di Saakashvili e, più ampio. La Russia, principale avversario della Gein parallelo, tenere in sella il traballante Pashinian orgia nonché protettrice e occupante delle sue due reconsolidando così un saliente filoccidentale che gioni separatiste, Abkhazia e Ossezia meridionale, ha guarda al Sud russo, prossimo all’Iran (nonostante le avuto gioco facile nell’offuscare l’immagine di Saastoriche buone relazioni di Tbilisi ed Erevan con Tekashvili e il suo modello di cambiamento democratico heran) e all’Asia centrale. dal basso. Le turbolenze in Georgia sono ancora un altro esempio della capacità della Russia nel sottolineare la sua affermazione che le riforme politiche e La Francia conduce la sua prima esercitazione sistemi politici pluralisti non portano necessariamente spaziale militare stabilità o affrontano problemi socioeconomici di La Francia ha condotto la sua prima esercitazione lunga data. Inoltre, sin dal 1991, la Russia aveva un militare spaziale nella prima metà di marzo scorso, conto aperto con la Georgia neo indipendente, che si per valutare le sue capacità di protezione e sorveè subito contraddistinta per una veemente ostilità conglianza satellitare in uno spazio sempre più militariztro Mosca e per la guerra dei «dodici giorni», (nel zato, che è diventato teatro di scontri tra potenze. 2008 Saakashvili, al potere dal 2003, tentò un colpo L’esercitazione AsterX — «un richiamo al primo sadi mano, malissimo organizzato, per riprendere il contellite francese» Asterix lanciato nel 1965 — organiztrollo delle due repubbliche separatiste, ma sonorazata dall’8 al 12 marzo, è «una prima occasione per mente sconfitto dalle forze russe, intervenute rapidamente). Infine, l’ultimo sconvolgimento della Georgia arriva in un momento inopportuno per l’amministrazione Biden. L’intera regione del Caucaso meridionale è in crisi, data la recente guerra tra Azerbaigian e Armenia e la conseguente instabilità politica a Erevan, capitale dell’Armenia, dove l’epigono filoccidentale di Saakashvili in Armenia, Nikol Pashinian, ha registrato delle performance assai scadenti nella governance e soprattutto, in quella disastrosa, nel conflitto che, sebbene preveIl generale francese Michel Friedling, Comandante in capo del Comando spaziale (lefigaro.fr). dibile vista la corsa agli arma-
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le Forze armate francesi e anche la prima in Europa», ha confidato il generale Michel Friedling, Comandante in capo del Comando spaziale; un vero stress test dei sistemi francesi al fine di valutare le esigenze future e supportare l’ascesa di questo nuovo comando, installato a Tolosa e che includerà una struttura di personale di 500 unità nel 2025 (anche l’US Space Force, il German Space Situation Center e l’AMI hanno partecipato a questa esercitazione). Lo scenario dell’esercitazione — completamente simulato e al quale era presente, alla sua attivazione, anche il presidente Macron — partiva da una crisi tra uno Stato dotato di capacità spaziali e un altro che aveva un accordo di assistenza militare con la Francia. Una serie di eventi hanno creato situazioni di crisi o minacce alle nostre risorse spaziali, ma non solo, ha spiegato il Generale, aggiungendo che media e social network fittizi avrebbero un ruolo nello scenario. Tra questi eventi era stato previsto il rientro, a rischio, nell’atmosfera di un oggetto spaziale che sarebbe stato monitorato per avvisare le popolazioni se necessario, oppure l’avvicinamento su uno dei satelliti strategici francesi e alleati. Ipotesi tutt’altro che fittizie: nel 2017 il satellite spia russo Louch-Olympe ha tentato di avvicinarsi al satellite militare franco-italiano «Athena-Fidus» (Access on theatres for european allied forces nationsFrench italian dual use satellite) e l’anno scorso Washington ha accusato la Russia di condurre un test non distruttivo di un’arma anti-satellite dallo spazio. Per rinforzare la sua posizione spaziale, Parigi ha stabilito una strategia spaziale di difesa nel 2019 e prevede di dedicarvi quasi 5 miliardi di euro per tutta la durata della legge sulla programmazione militare (2019-25), inclusi 3,6 miliardi di euro per il rinnovo delle sue capacità satellitari — «CSO 2» di sorveglianza ottica, «Ceres» (Capacité de REnseignement Electromagnétique Spatial) di intelligenza elettromagnetica, «Siracuse 4» di comunicazioni militari — e sorveglianza spaziale. Per questo, la Francia ha un database di oltre 10.000 oggetti spaziali in orbita, che monitora continuamente. Entro la fine del decennio, Parigi prevede di acquisire satelliti di sorveglianza e controllo dotati di telecamere ad altissima definizione
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e sistemi di deterrenza per mantenere i satelliti potenzialmente ostili a una certa distanza dai suoi sistemi spaziali.
Missioni di pace: un trampolino di lancio per una maggiore influenza di Pechino nelle Nazioni unite La Cina sta spingendo per diventare un attore più importante nel mantenimento della pace delle Nazioni unite, e più in generale acquisire un peso maggiore all’interno dell’organizzazione. Le passate involuzioni nei conflitti in Mali e Sudan hanno dimostrato che la Cina è capace e disposta a coinvolgere le proprie truppe nelle missioni ONU. La minore presenza di altri importanti contributori ha permesso alla Cina di approfittare di uno spazio lasciato libero da altri partner/concorrenti. Dalla sua adesione all’ONU nel 1971, la Cina ha sviluppato una posizione sempre più attiva nei confronti delle missioni di mantenimento della pace. Tra il 1999 e il 2002 ha partecipato alla crisi di Timor Est, inviando polizia civile e ufficiali di collegamento come parte dell’Autorità di transizione delle Nazioni unite a Timor orientale (UNTAET). Nel 2009, ha superato la Francia diventando il maggiore contributore di personale di manteni-
La Cina è sempre più attiva nelle missioni di peacekeeping (insideover.com).
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mazioni terroriste nel nord. L’impegno di combattimento, accanto al consolidato invio di unità del genio e reparti di polizia civile, ha segnato un importante cambiamento e un maggiore coinvolgimento cinese nelle missioni di mantenimento della pace. Nel 2015, la Cina ha rafforzato ulteriormente le iniziative di mantenimento della pace con un impegno di 1.031 caschi blu costituiti da unità di fanteria motorizzata, del genio e della sanità alla Missione delle Nazioni unite in Sud Sudan (UNMISS) Peacekeepers impiegati in Mali (MINUSMA) durante un corso di formazione (unlops.unmissions.org). dopo che i combattimenti sono ripresi alla fine del 2013 nella capitale, Juba, tra le mento della pace nel Consiglio di sicurezza delle Napopolazioni Dinka e i Nuer. La maggiore presenza zioni unite. In seguito al conflitto a Timor Est, Pedella Cina nelle missioni di mantenimento della pace chino ha pubblicato la sua dottrina di sviluppo delle Nazioni unite può essere attribuita a una serie di pacifico che si è fusa con la precedente politica di sifattori. Il primo è che vuole migliorare le relazioni con curezza cinese, il New Security Concept (NSC), che i paesi africani per sviluppare e tutelare i propri inteincludeva tre principi per sostenere le operazioni di ressi. Ciò è fortemente sostenuto dalla partecipazione sicurezza internazionale. Il primo era una maggiore alla missione delle Nazioni unite in Sud Sudan, dove attenzione alla cooperazione reciproca e paritaria, che la Cina ha un interesse specifico per le risorse naturifiutava approcci unilateralisti alle iniziative di sicurali. Inoltre, il fatto che UNMISS sia il maggiore conrezza. Il secondo era il principio di sovranità che sottributo della Cina agli sforzi di mantenimento della tolineava l’importanza del consenso del governo in pace fino a oggi, evidenzia un motivo economico alla carica nella conduzione delle operazioni. Il terzo è base del maggiore attivismo di Pechino. Questa strastato l’utilizzo delle Nazioni unite come attore printegia ricorda le relazioni franco-africane dal 1960, in cipale nella risoluzione delle controversie. cui la sicurezza offerta da Parigi è stata scambiata per La Cina ha sempre criticato approcci unilaterali un accesso garantito alle risorse naturali dei vari Stati alla sicurezza come gli interventi della NATO in Libia della «FrancAfrique». nel 2011 e in Siria nel 2012, per i quali ha posto il Tuttavia, la partecipazione di Pechino in Mali, veto a sei risoluzioni del Consiglio di sicurezza dalcosì come in Darfur, Libano e Haiti, dove non ha l’inizio della guerra civile in quest’ultima nazione, alcun reale vantaggio economico, serve a fare combloccando ogni reale azione del Palazzo di Vetro (biprendere che il suo approccio è di natura politica e sogna aggiungere che Pechino era solidamente in tanglobale e punta a essere presente in ogni scenario e dem con la Russia). Nel 2013, la Cina ha inviato a farlo sapere a tutti. La seconda, è che la Cina negli truppe alla Missione di stabilizzazione integrata mulultimi anni ha subito un cambiamento di identità che tidimensionale delle Nazioni unite in Mali (MINUl’ha spinta ad agire più a livello internazionale: è diSMA) in risposta al conflitto scoppiato tra il governo ventata più forte a livello interno, ed estremamente di Bamako e le fazioni ribelli dell’Azawad e le for-
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affari politici e ora saldamente diretto da una diarchia più attiva all’interno delle organizzazioni internaziofranco-americana formata da Jean Pierre Lacroix e nali e sempre più inserita (e determinante) nella coRosemary Di Carlo), ha tuttavia dimostrato di poter munità internazionale. Negli anni Ottanta e Novanta guidare le operazioni di mantenimento della pace sia la Cina si è allontanata dal suo obiettivo di rivolunell’Africa occidentale che a Cipro. Inoltre, con gli zione nazionale e internazionale e si è concentrata Stati Uniti, che durante l’amministrazione Trump sullo sviluppo interno. Oggi, questa enfasi sullo svihanno ridotto il proprio contributo finanziario e peso luppo interno è stata accompagnata dall’immagine politico all’ONU, la Cina si è trovata in una posizione della Cina come potenza in ascesa. Ma essa tenta di di vantaggio per accrescere la sua influenza ed è certo scrollarsi di dosso la sua immagine di minaccia inche continuerà a fare pressioni per modificare gli apcombente, soprattutto nei confronti del mondo in via procci occidentali alle missioni di mantenimento della di sviluppo e dell’idea di un modello di assistenza pace delle Nazioni unite, in sintonia con il suo NSC. ricattatorio. Le operazioni militari diverse dalla guerra (MOOTW - Military Operations Other Than War) come in Mali e Sudan, dove ha fornito assiProve di normalizzazione in Siria stenza medica, riparazione delle infrastrutture e sicuDagli inizi di febbraio scorso, la Lega araba ha rezza personale, hanno permesso alla Cina di ripreso alcune delle sue attività a Damasco, per la dimostrare la sua capacità militare all’estero, propaprima volta dal novembre 2011, quando i ministri gandando così la sua immagine di grande potenza e degli Esteri dell’organizzazione panregionale hanno allettante partner economico. L’ultimo fattore è l’opdeciso di sospendere l’adesione della Siria. Una orposizione di Pechino all’intervento in stile occidentale ganizzazione sostenuta dalla Lega, l’Unione araba e la sua determinazione a promuovere il suo NSC. per le famiglie produttive e le industrie tradizionali Le reazioni contrarie della Cina agli interventi della e sviluppate, ha aperto il suo ufficio regionale a DaNATO in Siria e Libia e la sua tiepida risposta all’inmasco, durante una cerimonia tenutasi al Teatro deltervento francese in Mali e Costa d’Avorio evidenziano la sua opposizione alle operazioni unilaterali sotto mandato delle Nazioni unite. La sua proattività nelle missioni di mantenimento della pace delle Nazioni unite è un mezzo per garantire una risposta multilaterale alle questioni di sicurezza e promuovere l’NSC. La Cina ha continuato a lavorare con le Nazioni unite per portare avanti i suoi obiettivi concentrandosi nell’assicurarsi posizioni di alto livello in ogni possibile ambito del sistema (segretariato, agenzie, fondi e programmi indipendenti) ma anche nel settore delle operazioni di mantenimento della pace. Sebbene non abbia avuto sinora lo sperato successo (come avere la guida del Dipartimento incaricato di queste operazioni, inizialmente diretto da un diplomatico Riyadh, 10 marzo 2021, il ministro degli Esteri della Federazione Russa, Sergey Lavrov in francese e dal 2019 a seguito della riforma conferenza stampa dopo i colloqui con il ministro degli Esteri dell'Arabia Saudita Faisal bin Farhan (mid.ru). dei vari dipartimenti, fuso con quello degli
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Esteri siriano Faisal Al-Meqdad, aveva ricevuto, in l’Opera, sotto gli auspici del ministero siriano degli quei giorni, le credenziali di Ahmed Adi Muhammad Affari sociali e del lavoro. L’Unione è affiliata al Al-Razi, il nuovo ambasciatore della Mauritania a Council of Arab Economic Unity e mira a promuoDamasco. L’ambasciata mauritana è il terzo paese vere l’economia sociale e solidale, assistere le faarabo a riprendere il suo lavoro diplomatico a Damiglie produttive e i lavoratori nelle piccole masco, dopo gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, che occupazioni e nell’artigianato, oltre alle industrie hanno riaperto le loro ambasciate nel 2018, ma senza tradizionali. nominare un ambasciatore. L’Unione opera anche per aiutare i disoccupati, responsabilizzarli socialmente ed economicamente e migliorare il loro tenore di vita. Durante un inconTutti a Est di Suez tro al Cairo nel novembre 2011, i ministri degli La Francia sta percorrendo la propria strada come Esteri arabi hanno deciso di sospendere la partecipotenza presente nell’Indo-Pacifico, una delle regioni pazione della Siria al Consiglio della Lega araba e più strategiche e instabili del mondo. Dopo aver intutte le organizzazioni e agenzie affiliate fino a viato il suo sottomarino d’attacco nucleare Émeraude quando non avrebbe dato piena attuazione agli imattraverso il Mar Cinese Meridionale all’inizio di pegni di dialogo con l’opposizione e fornito protefebbraio scorso, Parigi schiererà la portaelicotteri zione ai civili siriani. La decisione è stata seguita d’assalto anfibio Tonnerre e la fregata Surcouf per dalla chiusura delle ambasciate arabe a Damasco o navigare attraverso le acque rivendicate da Pechino dalla riduzione della loro rappresentanza diplomae affermare la propria presenza nella regione. Neltica. Tuttavia, fonti siriane hanno riferito che le attil’ambito della sua missione annuale denominata «Jevità di alcune delle organizzazioni e agenzie affiliate anne d’Arc», la Marine Nationale prenderà parte alla Lega araba a Damasco non si sono fermate negli anche a esercitazioni su larga scala con le Marine ultimi anni, come il Radio and TV Training Center, delle nazioni partner dell’Indo-Pacifico — India, Aul’Arab Academy per il commercio elettronico e altre. stralia, Giappone e Stati Uniti (il Quad), ma anche Quando il regime siriano ha ripreso il controllo della con Indonesia e Corea. La Francia ha una forte precapitale e della maggior parte del territorio siriano nel 2018, con il sostegno della Russia, il paese ha ripreso i suoi sforzi, attraverso delegazioni e contatti informali, per tornare alla Lega Araba. Durante una conferenza stampa a Mosca, con il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan, a metà dello scorso gennaio, il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha rivelato che Mosca e Riyadh avevano concordato diversi punti relativi alla Siria, incluso il suo ritorno all’interno della Lega. In questo contesto, una dichiarazione rilasciata dal ministero degli Affari esteri a Damasco Il ritorno al porto di Tolone del sottomarino francese ÉMERAUDE dopo una missione che lo ha portato, tra l’altro, nel Mar Cinese Meridionale (varmatin.com). affermava che il ministro degli
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senza storica nella regione e ha ancora territori insulari nell’Indo-Pacifico che Parigi vuole mantenere a ogni costo. Polinesia e Nuova Caledonia, territori francesi con statuti particolari, ma differenziati tra di loro, sono legalmente territori non autonomi per l’ONU e quindi suscettibili di accedere alla piena indipendenza; in particolare la seconda dovrà affrontare nel 2022 l’ultimo dei tre referendum per l’autodeterminazione, previsti dagli accordi di Matignon del 1988. I primi due sono stati vinti con una maggioranza via via più esigua che chiede di restare legata alla Francia. In caso di vittoria indipendentista in Nuova Caledonia, la questione dell’indipendenza della Polinesia si proporrà naturalmente e Parigi non vuole assolutamente restare esclusa da una presenza forte in uno scacchiere che si preannuncia come centrale per il futuro; ed è per questo che negli ultimi mesi, nonostante le difficoltà legate alla lontananza dall’Esagono e per il Covid-19, ha moltiplicato le azioni di convincimento di sviluppo e assistenza finanziaria (bisogna ricordare che la Nuova Caledonia è uno dei produttori più importanti di nickel, un materiale strategico per le nuove produzioni «verdi»). Ma l’attivismo di Parigi si affianca a quello britannico, infatti, il Regno Unito, che sembra voler cancellare a ogni costo la «fine della sua presenza a East of Suez degli anni Sessanta», condurrà esercitazioni congiunte con Giappone, Stati Uniti, Corea del Sud, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Malaysia e Singapore, quando invierà il suo nuovo gruppo d’attacco di portaerei nell’Indo-Pacifico entro la fine dell’anno in corso, in quello che è stato descritto da Ben Wallace, segretario alla Difesa, come «il più significativo dispiegamento della Royal Navy in una generazione». Anche Berlino ha annunciato che una fregata tedesca salperà per l’Asia in agosto prossimo e, nel suo viaggio di ritorno, diventerà la prima nave da guerra tedesca ad attraversare il Mar Cinese Meridionale dal 2002, tra le crescenti tensioni con la Cina sui diritti di navigazione. La Cina rivendica quasi tutte le acque potenzialmente ricche di risorse energetiche, minerali e ittiche del Mar Cinese Meridionale, dove ha stabilito avamposti militari su isole artificiali in pe-
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ricoloso contrasto con diverse nazioni della regione, a cominciare dal Vietnam. L’intensità della presenza di navi da guerra pianificata per quest’anno è senza precedenti, ma sinora sembra più simile a una serie di road show nazionali per mostrare il loro impegno regionale, in attesa di arrivare a uno scenario coordinato (tuttavia unità francesi e canadesi hanno già partecipato, integrate in gruppi navali statunitensi, in diversi attraversamenti del Canale di Taiwan, definiti come provocazioni suscettibili di gravi conseguenze da parte di Pechino). Sia la Cina che gli Stati Uniti continuano a rafforzare la loro presenza nella regione strategica, che è un mosaico di importanti rotte commerciali. A tal riguardo, il più importante media anglofono di Pechino, il Global Times, ha riportato la notizia di esercitazioni militari cinesi nel Mar Cinese Meridionale per tutto il mese di marzo, in palese risposta alle frequenti missioni di aerei e navi da ricognizione statunitensi e del gruppo navale francese in arrivo.
Una nuova Euromarfor nel Golfo di Guinea? Il 25 gennaio l’UE ha lanciato il primo progetto pilota del nuovo concetto di Presenze Marittime Coordinate (CMP) nel Golfo di Guinea, al largo delle coste dell’Africa occidentale. Oltre alle attuali operazioni navali nel Mediterraneo e nell’oceano Indiano occidentale, Bruxelles sta rafforzando il suo ruolo di fornitore di sicurezza marittima globale. Il Golfo di Guinea, secondo l’Ufficio marittimo della Camera di commercio internazionale, ha visto un pericoloso crescendo di attacchi a navi mercantili, con sequestri di persona e pagamento di riscatti. Nel 2020 si sono verificati 84 attacchi alle navi, con un record di 130 persone rapite in 22 di questi episodi. La regione ha anche registrato un aumento di quasi il 60% dei rapimenti a scopo di estorsione tra il 2018 e il 2020. Attualmente rappresenta il 95% di tutti i rapimenti in mare. Oltre alla pirateria, il Golfo di Guinea soffre anche di numerose altre attività della criminalità organizzata e di altre fratture economiche e sociali che rendono la regione fragile e potenzialmente vittima della penetrazione del terrorismo islamista, che dal Sahel mira ad affacciarsi all’Atlantico.
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Guinea, l’UE aggiunge un altro elemento all’impegno per promuovere la sicurezza marittima globale. In effetti, molti Stati membri hanno già una grande presenza nazionale in quelle acque e la CMP consentirà all’UE di utilizzare le risorse navali e aeree degli Stati membri esistenti per aumentare la sua capacità di agire come fornitore di sicurezza marittima. Il concetto CMP sarà implementato per la prima volta nel Golfo di Guinea e opererà su richiesta e in stretta collaborazione con i partner africani della Yaoundé Architecture, naturale evoluzione ed espansione L’area del Golfo di Guinea. Recentemente, in quest’area, l’UE ha lanciato il primo progetto pilota del nuovo della Gulf of Guinea Inter-Regioconcetto di Presenze Marittime Coordinate (cesi-italia.org). nal Network (GoGIN), sostenendo il loro obiettivo da affrontare: pirateria e attività criLa pesca illegale persistente nelle acque dell’Africa minali in mare. Francia, Italia, Spagna, Olanda e Daoccidentale costa alla sottoregione, secondo la FAO nimarca (quest’ultima a chiara protezione degli circa 1,3 miliardi di dollari l’anno. Significa anche interessi della maggiore società di container del che non c’è abbastanza pesce per la popolazione lomondo, la danese Maersk) sono già presenti nella recale. Nel frattempo, narcotici e altri prodotti illegali gione e forniranno le risorse navali e aeree necessarie vengono trafficati lungo la costa e attraverso i confini e la CMP (e futuribile EUROMAFOR Guinea?); cooterrestri. Più in generale, la disoccupazione nei paesi pereranno con unità navali statunitensi, britanniche e del Golfo di Guinea è stimata intorno al 40%, mentre canadesi, nell’area. Il coordinamento avverrà su base la disoccupazione giovanile supera il 60%. Il rischio volontaria e le risorse rimarranno sotto le catene di che i giovani si intrattengano in attività criminali per comando nazionali. Questo strumento leggero e flesguadagnarsi da vivere è alto, poiché molti sono spinti sibile consente agli Stati dell’UE presenti nelle aree ad aderire a bande di pirati e criminali, o condotti a di interesse di cooperare attraverso la Cellula di Comigrazioni irregolari in condizioni molto pericolose. ordinamento dell’Area di Interesse Marittimo Affrontare questi fattori è necessario per migliorare (MAICC) istituita all’interno del Military Staff della sicurezza marittima nella regione. l’UE, utilizzando la rete MARSUR, sviluppata dalQuesto è il motivo per cui l’UE contribuisce attil’AED (Agenzia Europea per la Difesa). Questa rete vamente parallelamente allo sviluppo delle capacità verrà utilizzata per la prima volta in questo progetto locali degli Stati costieri della regione. In breve, la sipilota per facilitare lo scambio di informazioni opecurezza marittima globale è una questione vitale per rative, come posizioni delle navi, tracce, dati di idenl’UE, che in quanto secondo esportatore e terzo imtificazione o immagini. Costruendo sinergie tra le portatore al mondo, fa molto affidamento sulla necesrisorse nazionali esistenti, il meccanismo CMP sarà a sità di trasporti e rotte marittime sicure, dovendo vantaggio per l’UE, tutti i suoi Stati membri e i parrespingere le crescenti sfide legate alla pirateria e alla tner locali e globali. criminalità organizzata. Con il lancio del concetto di Presenza Marittima Coordinata (CMP) nel Golfo di Enrico Magnani
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RUBRICHE
M ARINE ARABIA SAUDITA Inizia la costruzione della seconda MultiMission Surface Combatant
MILITARI sistemi elettro-ottici per la sorveglianza e la direzione del tiro «CEROS 200», un sistema di guerra elettronica «ST WBR-2000» e un sonar a profondità variabile di modello ancora non noto. Le MMSC sono anche dotate di hangar e ponte di volo per un elicottero medio e per almeno un velivolo a controllo remoto.
Varata la 3a corvetta classe «Al-Jubail»
Immagine al computer di una Multi-Mission Surface Combatant (MMSC), di cui quattro esemplari sono in corso di costruzione per la Marina saudita negli stabilimenti Fincantieri di Marinette, nel Wisconsin (Stati Uniti) (Fincantieri).
Lockheed Martin e Fincantieri hanno iniziato la costruzione del secondo esemplare di Multi-Mission Surface Combatant (MMSC) destinata alla Marina dell’Arabia Saudita, con una sobria cerimonia svoltasi alla fine di gennaio nel cantiere Fincantieri Marinette Marine situato a Marinette (nello Stato americano del Wisconsin): il nome dell’unità non è stato divulgato, mentre quello della prima è Saud. Le unità rientrano nel programma di ammodernamento della Marina saudita noto come SNEP II (Saudi Naval Expansion Programme II) e i relativi contratti siglati con Lockheed Martin hanno un valore di circa 765 milioni di dollari. Le MMSC sono una versione potenziata delle Littoral Combat Ship - LCS classe «Freedom» in corso di costruzione per l’US Navy e utilizzano il sistema di gestione operativa COMBATSS-21, realizzato sulla base del più famoso, diffuso e prestante «Aegis» e in grado di coordinare la difesa antiaerea/antimissile e il contrasto antinave anche su naviglio di dimensioni relativamente ridotte. Le MMSC saudite sono equipaggiate con un modulo ottuplo per il lancio verticale di missili superficie-aria «Evolved Sea Sparrow», un cannone da 57 mm, un lanciatore SeaRAM per la difesa di punto (posto sul cielo dell’hangar) e due impianti da 20 mm «Narwhal» a controllo remoto. La dotazione elettronica si articola su un radar multifunzionale attivo a facce piane TRS-4D, due
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Il 28 marzo, nel cantiere della società Navantia di San Fernando (nei pressi di Cadice), è stata varata la corvette Ḥaʼil, terzo esemplare di un classe di cinque unità costruite per la Marina saudita su progetto «Avante 2000»: la consegna della corvetta Ḥaʼil è prevista per dicembre 2022. Il progetto «Avante 2000» contiene diversi sistemi di origine spagnola, quali quello per la gestione operativa «Catiz», quello integrato per le comunicazioni «Hermesys», la direzione del tiro «Dorna» e il sistema per la gestione della piattaforma «Complex-Simplex»: altri sistemi e impianti sono sviluppati da Navantia su licenza, fra cui i motori diesel e riduttori di origine tedesca, rispettivamente MTU e Renk. Le corvette classe «Al-Jubail» hanno una lunghezza di 104 metri, una larghezza di 14 metri e saranno in grado di imbarcare 102 effettivi, compreso personale aggiuntivo all’equipaggio: la velocità massima raggiungerà i 27 nodi. L’armamento comprende, fra l’altro, un impianto Leonardo «Super Rapido» da 76 mm e un sistema per la difesa di punto Rheinmetall «Millennium» da 35 mm. La conclusione del programma costruttivo delle corvette dovrebbe completarsi entro il 2024, ma esso comprende anche la fornitura di supporto logistico per cinque anni, con un’opzione per altri cinque, e varie attività di natura logistica, addestrativa e manutentiva da eseguire nella base navale saudita di Jeddah, sul Mar Rosso.
AUSTRALIA Prove in mare per il rifornitore di squadra Stalwart Il secondo rifornitore di squadra costruito per la Marina australiana dalla società cantieri spagnola di Navantia e battezzato Stalwart ha iniziato le prove nelle acque antistanti il cantiere di El Ferrol. Come il gemello Supply, il progetto di questo secondo esemplare è basato su quello del Cantabria, in servizio nella Marina spagnola da diversi anni. Dopo la conclusione con esito positivo delle
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prove, lo Stalwart si trasferirà in Australia, dove se ne prevede la consegna a metà di quest’anno. In tal modo e grazie all’ingresso ufficiale in linea del Supply, avvenuta il 10 aprile 2021, la Marina australiana ha migliorato le proprie capacità complessive per operazioni aeronavali in altura e a lungo raggio.
Raggiunto l’accordo sulle compensazioni industriali per il programma «Attack» Il 23 marzo, al termine di un lungo negoziato, il governo australiano e la società francese Naval Group hanno formalmente siglato un emendamento allo Strategic Partnering Agreement a suo tempo redatto per la costruzione dei sottomarini classe «Attack»: l’emendamento formalizza l’impegno della predetta società a spendere almeno il 60% del valore contrattuale in aziende australiane coinvolte nella fornitura di sistemi, impianti, apparati e componenti destinati ai battelli. Il programma «Attack» prevede la costruzione di 12 sottomarini a propulsione convenzionale per la sostituzione delle unità classe «Collins»; il progetto, di origine francese e noto come «Barracuda Shortfin 1A» , è derivato da quello dei sottomarini a propulsione nucleare classe «Suffren», in costruzione per la Marina francese. Il valore del programma subacqueo australiano è stimato in 50 miliardi di dollari australiani, pari a poco più di 32 miliardi di euro, facendone di esso quello più costoso, complesso e ampio della storia militare australiana: il primo battello dovrebbe entrare in linea all’inizio del prossimo decennio, e tutto il programma dovrebbe concludersi fra il 2040 e il 2050.
CANADA Conferme per il programma JSS La Marina canadese ha confermato, il 24 marzo, che una versione modificata delle unità ausiliarie classe «Berlin», di origine tedesca, sarà costruita per sostituire le navi ausiliarie Protecteur e Preserver, già ritirate dal servizio. Il programma canadese è noto come Joint Support Ship JSS e farà tesoro delle lezioni apprese dall’impiego delle tre unità in linea con la Marina tedesca, anche se saranno introdotte alcune modifiche per soddisfare i requisiti e gli standard di quella canadese. Sotto il profilo operativo, le due JSS canadesi dovranno operare in tutti i mari del pianeta — come unità isolate, a supporto di un task group
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canadese e/o integrata in una coalizione internazionale — e contribuire a tutta la gamma di operazioni militari. Pertanto, i sistemi imbarcati dovranno essere idonei a funzionare in aree marittime con temperature ampiamente variabili, dal Golfo Persico alle acque dell’Artico; saranno inoltre introdotte modifiche per soddisfare i requisiti internazionali per l’emissione dei gas combusti, nell’ambito di un sistema propulsivo comunque efficiente. Le dotazioni aeronautiche comprenderanno elicotteri «CH-148 Cyclone» e sistemazioni per un equipaggio formato da uomini e donne, un requisito peraltro ormai diffuso nelle principale forze navali del mondo.
Iniziata la costruzione di una nuova unità oceanografica Il 29 marzo, nei cantieri Seaspan Shipyards di Vancouver è iniziata la costruzione di una nuova unità oceanografica e da ricerca scientifica, destinata alla Guardia costiera canadese e denominata Offshore Oceanographic Science Vessel (OOSV). L’unità ha una lunghezza di 88 metri e la sua costruzione avviene in contemporanea con quella della Joint Support Ship citata in precedenza, quale contributo alla strategia canadese di nuove costruzioni navali. L’OOSV svolgerà un’ampia gamma di funzioni nei settori dell’idro-oceanografia, della ricerca geologica, della protezione ittica e delle ambiente marino, in accordo alla strategia canadese della «blue economy». La nave avrà un equipaggio di 34 persone, potrà accogliere 26 scienziati, ed essere impiegata anche per la ricerca e soccorso e per fronteggiare eventi dannosi per l’ecosistema marittimo: essa sostituisce l’anziana Hudson, prima unità canadese della categoria entrata in servizio nel 1964 e di prevista dismissione nel 2024.
COREA DEL SUD Verso il completamento del programma per nuove unità per contromisure mine Il 15 marzo, la società cantieristica Kangnam Corporation ha varato il Goseong (distintivo ottico MSH 577), quinta unità per contromisure mine della classe «Yangyang», in servizio con la Marina sudcoreana: l’unità eponima è entrata in linea nel 1999, seguita da Ongjin e Haenam alcuni anni dopo e dal Namhae nel 2020. Il programma avrebbe dovuto comprendere otto unità, ma sem-
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FRANCIA Piena capacità operativa per il velivolo da combattimento «Rafale M F3-R»
Un’unità per contromisure mine della classe «Yangyang», in servizio con la Marina sudcoreana e a cui appartiene il GOSEONG, in linea da metà marzo 2021 (Kangnam Corporation).
bra che sia stato limitato a cinque per soddisfare altre esigenze. Le unità della classe «Yangyang» sono equipaggiate con sistemi per la caccia e il dragaggio di vari tipi di mine: realizzato in vetroresina, lo scafo è lungo 60 metri e ha una larghezza di 10,5 metri, mentre la propulsione è assicurata da due sistemi Voith Schneider. Per la scoperta e la neutralizzazione delle mine sono impiegati un sonar a profondità variabile, impianti per il dragaggio meccanico e a influenza e un mezzo a controllo remoto: l’armamento, esclusivamente difensivo, comprende mitragliatrici da 20 mm e di calibri inferiori. Queste unità sono utilizzate anche per la ricerca e il recupero di frammenti dei missili balistici lanciati dalla Corea del Nord: il Goseong dovrebbe entrare in servizio nel 2022 ed essere assegnato alla base navale di Jinhae.
Il 17 marzo la Marina e l’Aeronautica francesi (Marine Nationale e Armée de l’Air et de l’Espace) hanno certificato il raggiungimento della piena capacità operativa per il velivolo da combattimento «Rafale M» nella configurazione F3-R, presente anche a bordo della portaerei Charles de Gaulle. La decisione è maturata dopo lo sviluppo e l’attuazione di tattiche e procedure che sfruttano i vantaggi offerti dalle nuove capacità del velivolo, derivanti da alcune migliorie sistemistiche. In particolare, i «Rafale M F3-R» sono armati con missili aria-aria a lungo raggio «Meteor» e con il designatore laser del bersaglio «Talios»: la combinazione fra il radar attivo a scansione di fase RBE2 in dotazione al velivolo e i missili «Meteor» consente l’esecuzione di missioni di superiorità aerea, penetrazione ogni tempo, supporto aerotattico ravvicinato e neutralizzazione di bersagli non programmati. Questa nuova versione del «Rafale» potrà continuare l’impiego dei missili supersonici nucleari «ASMP-A», che rappresentano una delle due componenti di deterrenza strategica a disposizione della Francia. Alloggiato in un pod, il designatore «Talios» fa uso di un laser a elevata risoluzione che consente di acquisire bersagli nella gamma ottica e all’infrarosso, contribuendo anche alle missioni di intelligence e di ricognizione armata, essendo efficace nei confronti di bersagli fissi e mobili.
EGITTO Nuova base navale sulle coste mediterranee Fonti di stampa egiziane hanno reso noto che è prossima l’apertura di una base navale sulla costa mediterranea, in località Gargoub, a circa 250 km dal confine con la Libia; la base navale — la cui costruzione è iniziata ormai da diversi anni — sarà impiegata dalla flotta settentrionale della Marina egiziana e sarà strumentale per garantire la sicurezza del paese di fronte allo scenario d’instabilità presente in Libia e per salvaguardare interessi economici derivanti dai giacimenti di gas presenti al largo della costa egiziana. La decisione egiziana deriva anche dalla crescente preoccupazione dovuta alla presenza di numerosi soggetti stranieri in Libia.
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Un velivolo «Rafale M» dell’aviazione navale francese, che nella configurazione «F-3R» ha conseguito la piena capacità operativa (Marine Nationale).
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Accelerazione del programma per le nuove fregate Nel corso della visita del ministro delle Difesa francese, Florence Parly, ai cantieri della società Naval Group svoltasi il 29 marzo, è stato annunciato l’ordine per la costruzione di due nuove fregate classe «Admiral Ronarc’h». Note come Frégate de défense et d’intervention - FDI, esse sono state battezzate Amiral Louzeau e Amiral Castex e saranno entrambe consegnate nel 2025, accelerando così la tempistica realizzativa programmata inizialmente: la costruzione dell’unità eponima è iniziata nel 2020 ed essa sarà consegnata nel 2024. Con un dislocamento di 4.200 tonnellate e una lunghezza di 121 metri, le nuove fregate sono state realizzate secondo un concetto di elevata digitalizzazione e il progetto è passibile di modifiche per soddisfare requisiti di altre Marine: il sistema per la gestione operativa sarà il SETIS 3.0, sviluppato da Naval Group, permettendo loro l’esecuzione di missioni nelle tradizionali forme di guerra navale, nonché di fronteggiare le minacce asimmetriche e cyber. Fra le numerose innovazioni tecnologiche introdotte vi sarà il modello più recente di radar multifunzionale a scansione attiva e facce piane e un nuovo tipo di sistema per la guerra elettronica interamente digitalizzato, entrambi di produzione Thales.
Primi passi verso la costruzione della nuova portaerei Il 29 marzo, è stato inaugurata a Lorient la piattaforma progettuale per la realizzazione della portaerei nucleare francese di nuova generazione; si tratta di un’aggregazione industriale, tecnica e manageriale che raggruppa le aziende Naval Group, Chantiers de l’Atlantique e TechnicAtome in occasione dell’avvio del cosiddetto «AvantProjet Sommaire», progetto preliminare di massima. L’occasione è stata propizia anche per la firma dell’accordo fra Naval Group e Chantiers de l’Atlantique per la creazione di un raggruppamento temporaneo d’impresa che assumerà il ruolo di autorità contrattuale per la gestione del progetto della portaerei; da quest’attività è esclusa la realizzazione e la fornitura del sistema propulsivo nucleare, affidate a TechnicAtome nel ruolo di subcontraente. Nella gestione del progetto sono coinvolti anche gli enti governativi francesi responsabili del procurement militare e dell’impiego dell’energia atomica. Naval
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Group è il responsabile dell’architettura generale dell’unità, nonché dell’integrazione sia del sistema di combattimento nella sua totalità (comprese le sistemazioni aeronautiche), sia dei componenti del sistema propulsivo nella piattaforma.
GERMANIA Possibile acquisizione di pattugliatori marittimi antisom «Poseidon» A metà marzo circa, il governo degli Stati Uniti ha approvato la possibile vendita alla Germania, attraverso il meccanismo Foreign Military Sale - FMS, di bireattori per il pattugliamento marittimo antisommergibili P-8A «Poseidon», già in servizio nell’US Navy e in altre nazioni estere. La proposta riguarda 5 velivoli e tutta una serie di sistemi avionici e di missione, nonché la documentazione d’impiego e manutentiva, una dotazione di pezzi di rispetto e diverse soluzioni hardware e software funzionali al loro impiego. Il totale complessivo dell’operazione è stimato in 1,77 miliardi di dollari. La proposta è finalizzata a migliore le capacità della Germania nel fronteggiare minacce future e attuali e di contribuire alle operazioni marittime in coalizione: lo scopo della possibile vendita, ancorché velato, è il potenziamento delle capacità tedesche a fronte delle crescenti attività di espansione della Marina russa, soprattutto nel settore subacqueo. La Marina tedesca è attualmente equipaggiata con otto pattugliatori marittimi antisommergibili exolandesi «P-3C Orion» inquadrati nel Marinefliegergeschwader 3 Graf Zeppelin, il reparto dell’Aviazione Navale germanica con base a Nordholz e destinato prevalentemente all’impiego nel Mare del Nord; questi velivoli si stanno rapidamente avvicinando al termine della loro vita operativa e se ne prevede il ritiro dal servizio entro il 2024. La possibile cessione dei «Poseidon», eventualmente destinati a rimanere in linea molto a lungo, potrebbe rappresentare una soluzione sia transitoria sia definitiva per soddisfare un requisito operativo per il quale nel 2018 è stato siglato un accordo fra i ministri della Difesa di Germania e Francia. L’accordo prevede lo sviluppo congiunto di un pattugliatore marittimo nell’ambito del programma MAWS - Maritime Airborne Warfare System, riguardante cioè un velivolo che oltre alle funzioni di pattugliamento antisommergibili ne può
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svolgere altre, principalmente legate alle operazioni aeree sul mare e dal mare.
Consegnata la terza fregata classe «BadenWürttemberg» Il 30 marzo, a Wilhelmshaven, la società ThyssenKrupp Marine Systems (TKMS) ha consegnato all’ente governativo tedesco responsabile del procurement militare la fregata Sachsen-Anhalt, terzo esemplare della classe «F-125/Baden-Württemberg», formata da quattro unità e destinata alla Marina tedesca. Il programma di costruzione è a cura del consorzio ARGE F125, che oltre a TKMS comprende anche i cantieri del gruppo Lürssen: l’ultima fregata, battezzata Rheinland-Pfalz, sarà consegnata alla fine di quest’anno, nell’ambito di un contratto complessivo vigente da giugno 2007 e che ha compreso anche il progetto delle nuove unità. Circa il 90% dei sistemi imbarcati sono stati appositamente sviluppati per questa nuova classe di fregate, la cui costruzione ha tuttavia incontrato non pochi problemi, ritardandone la consegna e l’accettazione: il concetto operativo ne prevede l’impiego continuativo per due anni in aree geografiche anche ben distanti dal territorio tedesco. Oltre ai tradizionali compiti di difesa nazionale e rispetto degli obblighi delle alleanze cui la Germania aderisce, le nuove fregate sono chiamate a operare nella prevenzione dei conflitti e nella gestione delle crisi, nonché nelle cosiddette operazioni «di stabilizzazione» in un contesto internazionale. Sotto il profilo industriale, le sezioni prodiere allestite delle unità sono prodotte nei cantieri Lürssen di Brema e Wolhast, mentre la costruzione di quelle poppiere, l’assemblaggio finale e l’allestimento degli scafi e le prove hanno luogo nei cantieri Lürssen/Blohm+Voss di Hamburg.
GIAPPONE Ingresso in linea di nuove unità navali Il mese di marzo 2021 è stato molto proficuo per la Marina giapponese, grazie all’ingresso in linea di quattro unità navali di varie categorie. All’inizio del mese è entrata in servizio la nuova unità per la sorveglianza oceanica Aki (distintivo ottico AOS-5203), realizzata nei cantieri di Tamano della società Mitsui. Si tratta del terzo esemplare della classe «Hibiki», la cui missione è l’acquisizione di informazioni acustiche appartenenti a sottomarini e mezzi
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La consegna a Yokohama del dragamine ETAIJMA, terzo esemplare della classe «Awaji», realizzato per la Marina giapponese dal gruppo cantieristico Japan Marine United (JMSDF, Marina giapponese).
subacquei potenzialmente avversari: le unità di questa classe sono dunque equipaggiati con un SURveillance Towed-Array Sensor System (SURTASS), impianto attivo e passivo dispiegabile in acqua, avente una portata di scoperta a lungo raggio e installato anche su cinque unità similari statunitensi. Per un efficace impiego del SURTASS, formato da un sensore attivo e da una cortina trainata passiva, lo scafo delle unità classe «Ibiki» e di quelle statunitensi è del tipo Small Waterplane Area Twin Hull SWATH: due corpi sagomati immersi molto lunghi e contenente sistemi e impianti principalmente relativi alla propulsione sono collegati a una struttura scatolare che costituisce l’opera morta dell’unità e il complesso delle sovrastrutture. Lo scafo SWATH riduce la quantità di resistenza d’onda incontrata dall’unità nel suo moto nell’acqua e aumenta la stabilità di piattaforma durante la navigazione, anche in avverse condizioni meteorologiche. La concezione delle unità giapponesi risale ai tempi della Guerra Fredda, per raccogliere le informazioni riguardanti i sottomarini dell’ex-Unione Sovietica: Ibiki e Harima entrarono in servizio nel 1991 e nel 1992, quando la Guerra Fredda era giunta al termine e il programma costruttivo fu sospeso. Il potenziamento qualitativo e quantitativo della Marina cinese, compresa la componente subacquea, hanno riportato alla ribalta l’esigenza di raccogliere informazioni acustiche sui battelli cinesi, a propulsione nucleare e convenzionale, motivando con ciò la costruzione dell’Aki. Il 16 marzo ha avuto invece luogo la consegna, nel cantiere navale Japan Marine United/JMU di Yokohama, del dragamine Etaijma, terzo esemplare della classe
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«Awaji» e che prende il nome da un’isola situata nella prefettura nipponica di Hiroshima, dove ha sede uno degli istituti per la formazione degli ufficiali della Marina giapponese. I dragamine classe «Awaji», di cui il secondo esemplare porta il nome di Hirado, sono caratterizzati da uno scafo in vetroresina lungo 67 metri e un dislocamento leggero di 690 tonnellate; la dotazione specialistica comprende un sonar ZQS-4 per la scoperta delle mine su alti fondali e una serie di sistemi monouso a controllo remoto per la neutralizzazione degli ordigni. L’armamento, esclusivamente difensivo, è formato da un impianto Vulcan «Phalanx» da 20 mm. Nel 2020, il ministero della Difesa giapponese ha richiesto e ottenuto il finanziamento per una quarta unità classe «Awaji». Il 19 marzo è entrato in servizio il cacciatorpediniere lanciamissili Haguro (DDG180), secondo e ultimo esemplare della classe «Maya», realizzato nei cantieri Japan Marine United Corporation di Yokohama e destinato alla 4a Flottiglia di navi scorta di base a Sasebo. Le unità classe «Maya» sono equipaggiate con la variante giapponese del sistema di gestione operativa «Aegis», nella versione capace di contrastare anche missili balistici; ognuna di esse ha un costo di circa 1,5 miliardi di dollari. La prossima classe, più verosimilmente coppia, di unità maggiori nipponiche, sarà sempre equipaggiata con il sistema «Aegis» e sarà realizzata a seguito della cancellazione del sistema terrestre «Aegis Ashore». Con una cerimonia limitata alla presenza di poche persone e svoltasi nel cantiere Kawasaki di Kobe, il 24 marzo è stato infine consegnato alla Marina nippo-
La cerimonia di consegna del sottomarino giapponese TŌRYŪ, dodicesimo e ultimo esemplare della classe «Sōryū»: assieme al suo predecessore ŌRYŪ, questo battello è equipaggiato con una sottobatteria agli ioni di litio che affianca quella formata da elementi tradizionali al piombo (JMSDF, Marina giapponese).
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nica il sottomarino Tôryû, dodicesimo e ultimo esemplare della classe «Sôryû» e caratterizzato dal distintivo ottico SS-512: assieme al suo predecessore Ôryû, questo battello è equipaggiato con una sottobatteria agli ioni di litio, che affianca quella formata da elementi tradizionali al piombo. La configurazione di questi due battelli ha permesso alla Marina giapponese di dare il via al programma per la costruzione di una nuova classe di sottomarini non nucleari, «Taigei», equipaggiati totalmente con batteria agli ioni di litio e senza impianto anaerobico «Stirling».
GRAN BRETAGNA Certificazione parziale per il sistema eliportato «Crowsnest» La Royal Navy ha annunciato l’ingresso in linea del primo elicottero imbarcato «Merlin» equipaggiato con il sistema di allarme radar avanzato «Crowsnest» e che sarà assegnato all’820 Naval Air Squadron, di base a Culdrose: il sistema comprende un radar operante all’interno di un grosso radome mobile, posizionato sulla fiancata sinistra delle fusoliera e dispiegabile per le operazioni di sorveglianza, comando e controllo. All’interno dell’elicottero trovano posto gli impianti di controllo del radar e tre operatori di sistema, più il pilota. L’annuncio della Royal Navy giunge a qualche mese di distanza dell’imbarco di tre elicotteri «Merlin/Crowsnest» a bordo della portaerei Queen Elizabeth, che a maggio e nell’ambito di un Carrier Strike Group formato da unità di scorta e ausiliarie lascerà la Gran Bretagna per un dispiegamento operativo in Mediterraneo, Golfo Persico, oceano Indiano e teatro Indo-Pacifico. La certificazione del «Crowsnest» ha incontrato non poche difficoltà tecniche e sembra che i tre elicotteri da imbarcare siano equipaggiati con un sistema non completamente certificato, le cui limitazioni operative rimangono tuttavia classificate. Queste voci sono confermate dal fatto che il raggiungimento della capacità operativa iniziale è rimasto fissato a settembre 2021, mentre la piena capacità operativa è prevista per maggio 2023.
Programma per una nave multiruolo da sorveglianza oceanica La Royal Navy ha iniziato lo sviluppo per una nuova nave multifunzionale da sorveglianza oceanica, denominata dunque Multi-Role Ocean Surveillance Ship -
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MROSS, nell’ambito di iniziative per proteggere la Gran Bretagna da «attori ostili» e per rafforzare il suo bagaglio di conoscenze in materia di minacce marittime. Di previsto ingresso in linea nel 2024, la MROSS dovrebbe avere un equipaggio di circa 15 effettivi e operare soprattutto a protezione delle infrastrutture subacquee critiche per la Gran Bretagna; in particolare, l’unità sarà equipaggiata con sensori tecnologicamente avanzati e con una serie di mezzi subacquei a controllo remoto per la raccolta e la valorizzazione delle informazioni, operando in acque britanniche e internazionali. L’attenzione del ministero della Difesa britannico e di altri dicasteri è focalizzata sulle reti sottomarine per la distribuzione e la circolazione delle informazioni, infrastrutture di natura strategica non solo per Londra ma ormai per quasi tutte le nazioni del pianeta.
trollo remoto: da parte sua, il Mast-13, operando dal bacino allagabile dell’unità d’assalto anfibio Albion, ha dimostrato la fattibilità di diversi concetti operativi nel corso di numerosi test e valutazioni svolti in acque norvegesi nel corso del 2020.
INDONESIA Entra in servizio il primo sottomarino costruito in Indonesia
In servizio il Madfox È entrato in servizio nella Royal Navy l’imbarcazione sperimentale autonoma Madfox (acronimo di Maritime Demonstrator For Operational eXperimentation), derivata dal dimostratore tecnologico «Mast-13» della società L3Harris, sperimentato negli ultimi 18 mesi dagli enti scientifici militari britannici. Nei prossimi mesi, avrà luogo una campagna di prove per verificare l’impiego sul campo del Madfox in operazioni di sorveglianza e force protection, per determinarne la rispondenza alle norme di sicurezza per la navigazione e per testare diversi tipi di sensori imbarcati. Gli investimenti per il Madfox derivano dall’intenzione della Royal Navy e dei Royal Marines di ampliare l’utilizzo di mezzi ed equipaggiamenti a con-
Il mezzo navale di superficie a controllo remoto MADFOX, da poco entrato in servizio nella Royal Navy (Royal Navy).
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Il sottomarino a propulsione convenzionale ALUGORO, consegnato alla Marina indonesiana e primo battello classe «Nagapasa» costruito nell’Arsenale di Surabaya su progetto sudcoreano (TNI-AL, Marina indonesiana).
Il 17 marzo, il sottomarino a propulsione convenzionale Alugoro (distintivo ottico 405) è stato consegnato alla Marina indonesiana: si tratta del primo battello classe «Nagapasa» — di progetto sudcoreano noto come «DSME 1400» o «Improved Chang Bogo», a sua volta di origine tedesca — costruito nell’Arsenale di Surabaya e nell’intera regione del sud-est asiatico. Secondo il contratto stipulato nel 2011 fra l’Indonesia e la Corea del Sud e avente un valore di 1,1 miliardi di dollari, i primi due battelli per la Marina indonesiana sono stati costruiti nei cantieri DSME ed entrati in linea nel 2016-17, mentre le sezioni di scafo dell’Alugoro sono state assemblate a Surabaya con assistenza tecnica sudcoreana. Il progetto «DSME 1400» è un miglioramento della diffusa classe «Type 209/1200» ed è caratterizzato da una lunghezza di oltre 61 metri e di un dislocamento in immersione di 1.400 tonnellate: la velocità massima in immersione è di 20 nodi, mentre l’autonomia raggiunge i 50 giorni. L’equipaggio è formato da 40 uomini, con la possibilità di imbarcare un team
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di operatori delle forze speciali. Nei programmi della Marina indonesiana vi è l’intenzione di realizzare altri tre battelli, da costruire a Surabaya e che risulterebbero già ordinati.
INDIA In servizio una nuova unità per la telemetria missilistica Un quotidiano indiano ha rivelato che a ottobre 2020 la Marina indiana ha fatto segretamente entrare in linea una nuova unità tecnologicamente sofisticata, inizialmente nota con la designazione VC-11184 e poi denominata Dhruv. Oltre alle funzioni di gestione e controllo dei lanci di missili balistici e di sorveglianza marittima, si presume che il Dhruv possa essere impiegato anche come nave picchetto radar per la scoperta precoce di lanci di missili balistici a cura di Cina e Pakistan. Nonostante il velo di segretezza che circonda l’unità, essa è stata più volte fotografata mentre si trovava in costruzione: impostata nel giugno 2014 all’interno di un bacino coperto di Visakhapatnam, di proprietà di un cantiere controllato dal governo indiano, essa è stata consegnata nel 2018 dopo non pochi ritardi, entrando in servizio nella Marina dopo la conclusione delle prove. Il Dhruv è lungo 175 metri, ha un dislocamento di 17.000 tonnellate, un equipaggio di 300 uomini e si presume che sia costata l’equivalente di 206 milioni di dollari, apparecchiature specialistiche escluse.
INTERNAZIONALE Accordo fra Norvegia e Germania per il contratto sui nuovi sottomarini Il ministero della Difesa norvegese ha annunciato il raggiungimento di un accordo per la costruzione dei sottomarini «Type 212CD» in cooperazione con la Germania. La collaborazione fra le due nazioni è stata avviata nel 2017 e oltre a comprendere unità subacquee riguarda anche missili antinave: il contratto per i battelli deve comunque essere approvato dai parlamenti delle due nazioni e riguarda la realizzazione di sei unità, di cui quattro per la Marina norvegese (per sostituire gli «Ula» tuttora in linea) e due per quella tedesca (che si affiancheranno ai sei «Type U212A» in servizio). La costruzione sarà affidata alla società ThyssenKrupp Marine
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Systems - TKMS e il primo battello, destinato alla Norvegia ed equipaggiato con il sistema di gestione operativa «ORCCA», dovrebbe entrare in servizio nel 2029. Il ministero della Difesa norvegese ha reso noto che il costo totale del programma ammonta a 45 miliardi di corone norvegesi, equivalenti a circa 4,4 miliardi di euro: è verosimile che questa somma sia unicamente quella relativa alla tranche norvegese del programma, riguardante quindi gli oneri non ricorrenti per la progettazione, e quelli per la costruzione di quattro battelli e per le attività di supporto logistico.
La dotazione dei futuri cacciamine belgi e olandesi Nell’ultima settimana di marzo 2021, il ministero della Difesa belga ha rivelato per la prima volta quale sarà la dotazione delle nuove unità cacciamine di prossima costruzione per le Marine di Belgio e Olanda. Esse sono state tecnicamente assimilate a «cassette per gli attrezzi» (toolbox) alquanto fornite e, per 12 esemplari previsti per le due Marine, saranno acquisiti i seguenti sistemi: 15 mezzi di superficie a controllo remoto «Inspector 125-S»; 10 velivoli a controllo remoto «Skeldar V-200»; 20 mezzi subacquei autonomi «A-18M»; 15 sonar rimorchiati «T-18M»; 14 veicoli subacquei filoguidati «Seascan»; 42 sistemi «K-Ster C» spendibili per la neutralizzazione delle mine; e un sistema containerizzato di comando e controllo dispiegabile a terra o a bordo di un’unità attrezzata, ma diversa dai cacciamine. Due dei mezzi di superficie «Inspector 125-S» saranno configurati per il dragaggio delle mine a influenza e in cui gli idrogetti di propulsione saranno sostituiti da normali linee d’assi ed eliche che contribuiranno a far sviluppare una velocità massima di 13 nodi e a rimorchiare l’attrezzatura di dragaggio a una velocità di 8 nodi. I prototipi dei singoli sistemi dovranno essere qualificati entro metà del 2022, ciascuno con una procedura specifica: ricordando che alcuni di essi sono di origine commerciale (per esempio il «Seascan» e «K-Ster C»), è possibile che vi sia un’accelerazione delle procedure. Alla qualificazione seguirà la fase d’integrazione, che riguarderà dapprima i droni subacquei in dotazione a quelli di superficie e successivamente quella fra quest’ultimi e la piattaforma vettrice, cioè le unità cacciamine vere e pro-
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prie. La fase di prove e qualificazione sarà a cura del consorzio Belgium Naval and Robotics, di cui fanno parte le società Naval Group ed ECA Group, e a cui assisterà la Marina belga. La consegna del primo lotto di sistemi a controllo remoto è prevista per la fine del 2023, mentre gli equipaggi familiarizzeranno con essi già prima della consegna delle unità capoclasse. In tema di pianificazione operativa, le varie tipologie di mezzi a controllo remoto e il personale per la loro gestione e manutenzione saranno imbarcati nel corso delle missioni, ma saranno sbarcati per esigenze di manutenzione, da effettuare nella zona di Zeebrugge.
IRAN In servizio l’unità multifunzionale Makran La Marina iraniana ha immesso in servizio un’ex-petroliera convertita come nave multifunzionale a cui è stato assegnato il nome Makran: non è tuttavia chiaro se la sua funzione principale sarà quella di rifornimento e supporto logistico o di base avanzata per operazioni di barchini armati e gommoni veloci a chiglia rigida, anche a controllo remoto. Il Makran è attrezzato con un ponte di volo sistemato nella zona prodiera, al di sopra di una serie di container che occupano tutto lo spazio sulla coperta; una gru posizionata accanto al ponte di volo può mettere in mare almeno quattro imbarcazioni da stivare nei pressi dell’hangar, mentre l’armamento comprende cannoni da 23 e 20 mm e mitragliere da 12,7 mm e possibilmente anche alcuni contenitori/lanciatori per missili antinave. La dotazione elettronica si limita a un radar di
La nave multifunzionale iraniana MAKRAN, recentemente entrata in servizio dopo la conversione da petroliera (FARS).
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navigazione, e forse un sistema di contromisure elettroniche. Il Makran è lungo 228 metri, ha un dislocamento di circa 110.000 tonnellate ed è accreditata dai media iraniani di un’autonomia di ben 1.000 giorni. L’agenzia di stampa iraniana Fars ha dichiarato che la conversione da petroliera a portaelicotteri è stata eseguita in sei mesi, che il Makran sarà principalmente utilizzato per compiti di sicurezza marittima nel Golfo di Aden e nel Mar Rosso, e che può anche servire alla raccolta di informazioni: armamento aggiuntivo e dotazioni sanitarie sono state imbarcate a partire dall’ultima decade di marzo 2021, mentre ne sono state enfatizzate anche le capacità di rifornimento in mare a favore di altre unità combattenti iraniane. Tuttavia, la possibilità di impiegare le pur cospicue quantità di combustibile e altri carichi liquidi e solidi trasportati dall’unità appare compromessa dall’assenza di sistemi dedicati a questo scopo, a meno di non far ricorso all’ormai sorpassato metodo del trasferimento prora-poppa; allo stesso modo, l’autonomia di 1.000 giorni è raggiungibile unicamente con l’utilizzazione del proprio carburante. È dunque più plausibile l’impiego del Makran nel ruolo di base marittima expeditionary, consentendo alla Marina iraniana di mantenere una presenza prolungata in zone d’operazioni anche distanti dal Golfo Persico, per esempio per le operazioni antipirateria nel Golfo di Aden.
Un nuovo catamarano per i Guardiani della Rivoluzione L’osservazione satellitare ha permesso di scoprire i lavori in corso nei cantieri Shahid Mahallati Shipyard di Bushehr per la costruzione di una nuova nave militare: si tratta di un catamarano lungo 64 metri e verosimilmente destinato alla componente navale dei Guardiani della Rivoluzione iraniana. L’unità è molto più grande del catamarano Shahid Nazeri, già in linea nella predetta componente e di cui potrebbe diventare la nave ammiraglia: in alternativa, la nuova unità potrebbe essere usata come nave comando per sciami d’imbarcazioni veloci armate con lanciarazzi e missili. Realizzato in alluminio, il nuovo catamarano è strutturalmente simile allo Shahid Nazeri, ma dovrebbe raggiungere una velocità superiore ai 28 nodi accreditati per quest’ultimo e avere un armamento simile.
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l’ITF), attraverso 120 appontaggi e decolli mediante skijump e manovre di vario tipo e 50 missioni in differenti condizioni meteorologiche. Durante le prove in mare terminate con la certificazione a impiegare gli F-35B, il Cavour ha avuto la possibilità di operare assieme alla portaerei statunitense Gerald Ford, la più moderna in servizio nella categoria e che per la prima volta ha operato assieme a una Marina estera. Da rilevare, che tutta la campagna RFO si è svolta Taranto, 30 aprile 2021. La portaerei CAVOUR ha fatto rientro nella stazione navale Mar Grande terminando attuando un ben preciso procosì, dopo tre mesi, la campagna «Ready For Operations - RFO». tocollo sanitario, concordato con le controparti statunitensi e finalizzato a un sostanziale azzeramento dei riITALIA Conclusione della campagna «Ready For schi discendenti dalla pandemia in corso, e consentire Operations - RFO», condotta dalla portaerei dunque il completamento in piena sicurezza della numerose e diverse attività a bordo. Il Cavour è rientrato Cavour a Taranto il 30 aprile per proseguire nei prossimi mesi La campagna «Ready For Operations, RFO», concon le attività finalizzate alla «Carrier Qualification, dotta dalla portaerei Cavour da febbraio ad aprile 2021 CQ» di un gruppo di piloti italiani in addestramento è terminata con il rientro dell’unità a Taranto. La camnegli Stati Uniti, nella base aeronavale dei Marines di pagna RFO rimane un evento di valenza storica ed Beaufort e già qualificati sui velivoli «AV-8B Harrier epocale per la Marina Militare, perché sancisce un pasII Plus» della Marina Militare, nonché in possesso di saggio fondamentale del potenziamento della compopregressa esperienza di operazioni a bordo: la consenente aerotattica imbarcata, esprimibile con l’impiego gna di ulteriori esemplari di F-35B all’Aviazione nadei moderni velivoli da combattimento F-35B «Livale italiana permetterà infine il raggiungimento della ghtning II» dal Cavour. Con l’unità al comando del ca«Initial Operational Capability» del «Sistema portaepitano di vascello Giancarlo Ciappina, la campagna si rei», conferendo così alla Marina Militare una capaè svolta in più fasi, comprendenti anche la familiarizcità operativa di valore strategico e di livello zazione con due velivoli F-35B appartenenti a un reinternazionale. parto aereo del Corpo dei Marines statunitensi e inquadrati per l’occasione nella «Integrated Test Force, ITF », di stanza sulla costa orientale degli Stati Wings of gold per la prima pilota di aviogetti Uniti. Per l’esecuzione della prima fase di prove in della Marina Militare mare, il Cavour è stato attrezzato con la strumentaIl guardiamarina Erika Raballo ha ricevuto il brevetto zione adeguata a verificare l’interoperabilità, di giorno di pilota navale l’11 marzo, al termine di una sobria cee di notte, fra la piattaforma, i velivoli e il personale rimonia svoltasi nella base aeronavale di Meridian, nel imbarcato (l’equipaggio della nave e il personale delMississipi e a cura del Training Squadron 9 dell’US
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l’AV-8B «Harrier II Plus» e sull’F-35B «Lightning II».
Missili antinave Teseo Mk2/E per la Marina Militare Secondo quanto comunicato dalla società internazionale MBDA, che ha anche un ramo italiano, inizierà presto la produzione del nuovo missile antinave «Teseo Mk2/E», denominato anche «Teseo Evolved» e «Teseo EVO». Il nuovo ordigno si basa concettualmente sulla famiglia di missili, meglio nota come «Otomat», a suo tempo realizIl guardiamarina Erika Raballo, prima pilota di velivoli a reazione della Marina Militare, ritratta con l’addestratore zati per le esigenze della MaT-45C «Goshawk» dell’US Navy (US Navy). rina Militare e di altre forze navali: il requisito della nuova arma riguarda un sostanziale miglioramento delle preNavy. Il guardiamarina Raballo è così diventata la prima stazioni e della capacità generali, fra cui l’ingaggio di pilota della Marina Militare qualificata all’impiego di bersagli navali e terrestri situati anche a grande distanza aviogetti imbarcati, segnando così un’altra tappa signidalla piattaforma lanciante. Il «Teseo EVO» farà affidaficativa nel percorso di crescita dell’Aviazione Navale mento su un nuovo sistema per la pianificazione della italiana e rafforzando ulteriormente i legami e la coomissione, nonché su un nuovo modello di seeker a raperazione fra Italia e Stati Uniti. La fase finale della fordiofrequenza: l’ordigno è destinato a equipaggiare i mazione si è svolta su un velivolo d’addestramento nuovi cacciatorpediniere lanciamissili in programma per T-45C «Goshawk» dell’US Navy e ha compreso anche la Marina Militare, e potrebbe sostituire le attuali verla qualificazione all’appontaggio e al decollo da portaesioni di missili antinave in dotazione alle fregate classe rei — nota come Carrier Qualification, CQ — a bordo «Bergamini» e ai pattugliatori polivalenti d’altura classe della Gerald Ford in navigazione al largo della Florida, «Thaon di Revel». la più moderna fra le portaerei a propulsione nucleare dell’US Navy, equipaggiata tra l’altro con un sistema elettromagnetico per l’arresto del velivolo e con cataL’impegno della Marina Militare nel piano pulte elettromagnetiche. Ogni anno, la Marina Militare vaccinale anti Covid-19 invia circa 10 ufficiali negli Stati Uniti per l’addestraNel più ampio contesto degli interventi attuati dalle mento come piloti navali a cura dell’apposito comando Forze armate a favore della popolazione in risposta aldell’US Navy, di base a Pensacola, in Florida; l’addel’emergenza sanitaria in atto, nel mese di marzo è stato stramento prima si svolge sui monomotori «T-6B Texan attivato un processo di vaccinazione nel Posto Medico II» e prosegue prosegue con altri modelli di velivoli. Il Avanzato - PMA, creato dalla Marina Militare a supporto percorso formativo del guardiamarina Raballo sarà dell’ospedale «Monsignor Dimiccoli» di Barletta. Il completato dalla fase addestrativa svolta con uno dei PMA era già in funzione da diversi mesi, con l’obiettivo due reparti dell’US Marine Corps per l’impiego suldi sottoporre a trattamento curativo i pazienti che ave-
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vano contratto il Covid-19, nel quadro del collaudato positivo rapporto già instaurato tra il personale sanitario militare e civile per la lotta contro l’emergenza pandemica. Per gli scopi specifici della vaccinazione, una delle due corsie di degenza del PMA, al momento libera da pazienti Covid-19, è stata sanificata e, allestite le opportune misure di sicurezza, è stata resa utilizzabile per i pazienti fragili che necessitavano di predisposizioni e attenzioni particolari, quali i letti e le apparecchiature medicali presenti in corsia. È stato inoltre creato anche un team di personale sanitario militare e civile, destinato sia alla somministrazione del vaccino, sia all’osservazione della delicata fase post-inoculazione ed, eventualmente, pronto a reagire in caso di necessità. L’attività serve a dimostrare anche le potenzialità e la versatilità della struttura della Marina Militare per eventuali futuri impieghi nell’ambito della campagna vaccinale di massa in atto. Il PMA è stato schierato a Barletta a novembre 2020, nella fase di picco della seconda ondata della pandemia, assieme all’annesso «Drive Through Difesa» che — nell’abito dell’operazione Igea — ha già effettuato 10.000 tamponi.
Certificazione del Cavour all’impiego del MV-22 «Osprey»
Un convertiplano MV-22 «Osprey» in azione sul ponte di volo della portaerei CAVOUR, in navigazione al largo della costa atlantica degli Stati Uniti.
Al termine delle «sea trials» per la certificazione all’impiego operativo del nuovo velivolo F35-B «Lightning II» dell’Aviazione Navale italiana, la portaerei Cavour ha conseguito con successo anche la certificazione per il convertiplano MV-22 «Osprey», normalmente utilizzato dal Corpo dei Marines nelle operazioni di assalto verticale e
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proiezione di potenza: la certificazione ha avuto luogo con una serie di appontaggi diurni e notturni di un «Osprey», premettendone dunque l’integrazione con il Cavour e incrementando significativamente l’interoperabilità complessiva della portaerei della Marina Militare.
Il giuramento di 46 allievi ufficiali in ferma prefissata Il 19 marzo 2021 ha avuto luogo in Accademia navale il giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana da parte di 46 allievi ufficiali in ferma prefissata (35 uomini e 11 donne) della Marina Militare. Presieduta dal Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio di squadra Giuseppe Cavo Dragone, accompagnato dal comandante delle Scuole della Marina, ammiraglio di squadra Enrico Credendino, la cerimonia ha avuto luogo in forma statica e ridotta a causa dell’emergenza sanitaria: ciò non ha tuttavia impedito agli allievi ufficiali di raggiungere quest’obiettivo significativo, parte di un intenso percorso formativo iniziato a gennaio 2021 e svolto nel pieno rispetto delle disposizioni governative per fronteggiare la predetta emergenza. La formazione degli allievi ufficiali in ferma prefissata comprende esercitazioni professionali pratiche, lezioni teoriche correlate ai differenti Corpi di appartenenza (Stato Maggiore, Genio Marina e Corpo Sanitario) e numerose attività sportive ed etico-militari. Infatti, il denso programma formativo svolto nei tre mesi precedenti il giuramento è finalizzato a trasmettere quegli elementi conoscitivi basilari che consentiranno ai futuri ufficiali di affrontare con un’adeguata preparazione i primi incarichi a bordo e a terra. Rivolgendosi agli allievi ufficiali, l’ammiraglio Cavo Dragone ha sottolineato che «la famiglia, in questo nostro ambiente formativo, è un tassello importantissimo della formazione dei futuri ufficiali. Se voi oggi siete qui come allievi giurandi o come frequentatori della 1a, della 2a, della 3a Classe è perché avete superato una seleziona particolare o perché siete stati in grado di primeggiare tra tanti, e questo è avvenuto solo ed esclusivamente perché la base era buona».
Operazione Gabinia per la fregata Luigi Rizzo Nell’ambito delle attività di contrasto alla pirateria e alle organizzazioni criminali, la fregata Luigi Rizzo in
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navigazione verso il Golfo di Guinea ha svolto un’esercitazione con la Expeditionary Sea Base statunitense Hershel «Woody» Williams, contribuendo a rafforzare l’interoperabilità fra la Marina Militare e l’US Navy. Nel pieno rispetto dei protocolli anti Covid-19, l’addestramento ha permesso agli equipaggi delle due unità di incrementare la prontezza operativa e la flessibilità d’impiego: la principale attività svolta è consistita in un’esercitazione di abbordaggio, con l’unità americana che simulava di essere un mercantile sospetto di traffici illeciti. Dopo l’iniziale interrogazione condotta tramite radio e una serie di manovre cinematiche ravvicinate, il Luigi Rizzo ha inviato il proprio boarding team per effettuare un’ispezione: l’inserzione degli operatori è stata condotta tramite due battelli veloci e due elicotteri SH90, di cui uno a protezione dall’alto grazie al supporto dei tiratori scelti. Al termine dell’esercitazione, la fregata ha iniziato la sua missione di contrasto nell’ambito dell’operazione Gabinia, condotta nel Golfo di Guinea e destinata a protrarsi fino a giugno 2021. In tale ambito, nell’ultima settimana di marzo, l’unità ha partecipato all’esercitazione Obangame Express 2021, attività ma-
rittima multinazionale guidata dall’US Navy e svoltasi al largo della costa ivoriana. L’esercitazione ha visto il coinvolgimento di unità statunitensi, di altre Marine e forze di polizia di pressoché tutte le nazioni, i paesi dell’Africa occidentale, nonché di altri paesi europei e del Canada: obiettivo di Obangame Express 2021 è stato quello di incrementare la sicurezza della navigazione e del libero commercio nell’area. Nel quadro dell’operazione Gabinia, il Luigi Rizzo ha anche operato unitamente alla portaelicotteri d’assalto anfibio francese Dixmude, portando al sequestro di una notevole quantità di droga rinvenuta a bordo di una nave mercantile in transito in acque internazionali.
Il Carabiniere assume il ruolo di flagship nell’operazione Atalanta
Al comando del capitano di fregata Alessandro De Lucia, la fregata Carabiniere ha assunto la funzione di nave ammiraglia del dispositivo navale EUNAVFOR Somalia impegnato nell’operazione Atalanta, a presidio della zona compresa tra il Mar Rosso meridionale, il Golfo di Aden e il bacino somalo. Partito da Taranto il 14 marzo, il Carabiniere concretizzerà per la nona volta l’affidamento del comando dell’operazione Atalanta a un ufficiale della Marina Militare, nella fattispecie il contrammiraglio Luca Pasquale Esposito. Il Gruppo navale dell’Unione europea guidato dal Carabiniere assicurerà il pattugliamento nelle aree di interesse e nei corridoi di transito delle unità mercantili e la lotta alla pirateria, cooperando con le altre forze marittime presenti nell’area e svolgendo anche attività di cooperazione civile-militare per fornire supporto e beni di prima necessità alle popolaElicotteri e imbarcazioni della fregata LUIGI RIZZO in addestramento con la Expeditionary Sea Base HERSHEL zioni locali in difficoltà. La «WOODY» WILLIAMS dell’US Navy, durante la navigazione verso il Golfo di Guinea dove è in corso l’operazione missione per la fregata italiana Gabinia. avrà termine nell’agosto 2021.
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Ultimata la prima sessione del 2021 della Scuola comando navale
è stato affidato al contrammiraglio Stefano Frumento, che svolge le funzioni di «Operational Force Commander» a bordo dell’unità d’assalto anfibio San Giorgio, diventata dunque nave ammiraglia dell’operazione. L’obiettivo di Irini è di far rispettare l’embargo delle armi verso la Libia, soprattutto in una nuova fase di transizione politica che potrebbe favorire la stabilità della regione: al perseguimento di quest’importante
Il 3 marzo, con la consegna dei diplomi a bordo del pattugliatore d’altura Comandante Foscari, si è conclusa la 291a Sessione di Scuola comando navale. Alla cerimonia è intervenuto in videoconferenza il comandante in Capo della Squadra navale, ammiraglio di squadra Paolo Treu, che ha espresso l’apprezzamento per l’attività svolta e si è congratulato con i nuovi comandanti. La sessione si è aperta lo scorso 25 gennaio presso il Comando Forze di Pattugliamento per la Sorveglianza e la Difesa Costiera (COMFORPAT) di Augusta: gli otto tenenti di vascello frequentatori hanno incontrato il comandante di COMFORPAT, capitano di vascello Pasquale Perrotta, e il personale valutatore. È stato poi dato il via a un ciclo formativo comprendente conferenze in modalità a distanza per consentire Foto aerea dell’unità d’assalto anfibio SAN GIORGIO, che ha assunto il ruolo di flagship Irini, condotta dall’Unione europea e il cui comando operativo in mare è stato affidato i necessari tempi di isolamento indi- dell’operazione alla Marina Militare. viduale propedeutici all’imbarco in sicurezza sulle unità navali designate all’attività in mare. obiettivo si aggiungono compiti secondari quali la racQueste sono iniziate il 9 febbraio e hanno avuto come colta di informazioni riguardo le esportazioni illecite teatro la rada di Augusta e le navi ausiliarie Tirso, Salina dalla Libia di petrolio e dei prodotti petroliferi raffinati, e Panarea, nell’ambito di una prima fase addestrativa il supporto al potenziamento delle capacità e alla fordenominata Tirocinio di Manovra (TirMa) e con l’obietmazione della Guardia costiera e della Marina libiche e tivo di perfezionare le tecniche e le procedure per conil contrasto di esseri umani. durre in sicurezza le manovre di ormeggio e disormeggio, oltre a saggiare le capacità gestionali dei Al via la costruzione del sesta unità classe frequentatori. Si è poi svolto l’addestramento per il Ti«Thaon di Revel» rocinio di Manovra e Impiego Tattico (TirMIT), comCon il taglio della prima lamiera, ha avuto inizio il 7 prendente l’esecuzione di manovre in mare aperto quali aprile la costruzione del sesto pattugliatore polivalente il rimorchio, il rifornimento laterale, il passaggio di mad’altura classe «Thaon Di Revel»: l’evento ha avuto teriali con navi affiancate, ormeggio alla fonda e manoluogo in osservanza delle norme anti Covid-19, nello stavre cinematiche semplici e complesse, effettuate a bilimento Fincantieri del Muggiano (La Spezia). L’unità bordo dei pattugliatori d’altura Comandante Foscari e sarà la terza della classe in configurazione «Light Plus», Libra. che oltre alla dotazione d’artiglieria comprende anche la capacità di lanciare ordigni missilistici destinati pure alla All’Italia il comando in mare dell’operazione Irini difesa contro gli ordigni balistici: essendo già predisposta, la configurazione «Light Plus» può essere modifiIl comando in mare dell’operazione Irini, in corso nel cata con l’imbarco dei sottosistemi previsti per la Mediterraneo centrale sotto l’egida dell’Unione eurovariante «Full». Anticipato di quattro mesi rispetto alla pea, è stato nuovamente assegnato all’Italia: l’incarico
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scadenza contrattuale, l’inizio della costruzione del sesto pattugliatore polivalente d’altura rappresenta una tappa importante nello svolgimento dell’intero programma costruttivo: il varo di questa unità è previsto per l’estate del 2023, mentre la consegna alla Marina Militare avrà luogo nel 2025.
MYANMAR In costruzione una nuova fregata Secondo le informazioni pubblicate da un emittente locale alla fine di marzo, nel cantiere navale di Sinmalayik, nei pressi di Yangon (capitale del paese e già nota come Rangoon) è in corso la costruzione di una nuova fregata, quarta unità della sua categoria in servizio con la Marina locale. L’unità è realizzata con l’assistenza tecnica di personale cinese e nordcoreano e affiancherà due fregate classe «Jianghu II/Type 053H1»: denominate Mahar Bandoola e Thiha Thura, progettate in Cina ma derivate dal vecchio «Project 50» di origine sovietica, noto in Occidente come classe «Riga». La fregata in costruzione ha una lunghezza di 103 e una larghezza di 10,8 metri; la propulsione è affidata a due motori diesel di origine cinesi, che sviluppano una potenza di 7.885 cv.
PAPUA-NUOVA GUINEA Secondo pattugliatore costiero dall’Australia
QATAR Il pattugliatore Musherib alle prove in mare
donato
Secondo un comunicato stampa divulgato dalla società australiana Austal, il 17 marzo il nono pattugliatore costiero classe «Guardian» da essa realizzato, è stato consegnato al governo di Canberra. L’unità, battezzata Rochus Lokinap, è stata contestualmente donata dal governo australiano al dipartimento della Difesa di Papua Nuova Guinea, nel corso di una cerimonia svolta alla presenza di autorità civili e militari delle due nazioni. Il Rochus Lokinap è il secondo esemplare di una classe di quattro pattugliatori costieri destinati alla piccola nazione dell’Oceania nel quadro del «Pacific Patrol Boat Replacement Project», a sua volta inserito nel più ampio «Pacific Maritime Security Programme», gestito dal governo australiano. Il primo pattugliatore, Ted Diro, è stato consegnato alla fine del 2018. Queste attività servono a rafforzare i legami fra le due nazioni e le rispettive organizzazioni militari, nell’ambito di una più ampia cooperazione di cui fanno parte
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altre entità statuali dell’oceano Pacifico. Il «Pacific Patrol Boat Replacement (PPB-R) Project» è stato affidato ad Austal nel 2016 e prevede la costruzione di 21 unità, di cui beneficeranno dodici nazioni insulari del Pacifico, cioè Papua-Nuova Guinea, Fiji, gli Stati Federati della Micronesia, Tonga, Solomon Islands, Cook Islands, Kiribati, Marshall Islands, Palau, Samoa, Tuvalu, Vanuatu e Timor Leste; la consegna dei pattugliatori dovrebbe concludersi entro il 2023. I pattugliatori costieri realizzati da Austal sono concepiti sostanzialmente per operazioni di polizia e sicurezza marittima, ricerca e soccorso e altre esigenze locali, presentano buone doti di tenuta al mare e abitabilità e sono equipaggiati con un gommone a chiglia rigida. Lunghi circa 40 metri, i pattugliatori hanno uno scafo monocarena in acciaio e il loro progetto deriva da quello di naviglio di analoga categoria in servizio con la Marina australiana e con l’Australian Border Force.
Il pattugliatore d’altura MUSHERIB della Marina del Qatar, ripreso durante le prove in mare (G. Arra).
Il 2 aprile sono iniziate le prove in mare del pattugliatore d’altura, eponimo della classe, contraddistinto dal distintivo ottico Q61 e costruito dalla società Fincantieri. Progettato secondo la classificazione RINA Mil per i pattugliatori veloci, il Musherib dovrebbe essere consegnato nel 2022 e sarà seguito da un secondo esemplare: le unità hanno una lunghezza di 63,8 metri, un dislocamento di 725 tonnellate e possono raggiungere una velocità massima di 30 nodi. L’armamento comprende un cannone da 76 mm, missili superficie-aria «VL-Mica»
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e superficie-superficie «Exocet», nonché impianti d’artiglieria di calibro minore.
RUSSIA Varato il sottomarino Magadan Il 26 marzo, nei cantieri navali Admiralty di San Pietroburgo ha avuto luogo la cerimonia del varo del sottomarino Magadan, appartenente alla classe «Kilo Improved/Project 636.3», assegnato alla Flotta del Pacifico e terzo esemplare di un gruppo di sei unità gemelle. Secondo il direttore generale del cantiere, ciascuno dei battelli di questa classe sono realizzati mediamente in tre anni: delle sei unità assegnate alla Flotta del Pacifico, due — Petropavlovsk-Kamchatsky e Volkhov — hanno già superato le prove per l’ingresso in linea nella Marina russa e si stanno preparando per il trasferimento dal Mar Baltico alla base di Vladivostok, seguendo verosimilmente una rotta che li porterà ad attraversare il Mediterraneo, il Canale di Suez e l’oceano Indiano. Nel frattempo, l’equipaggio del Magadan sta completando l’addestramento presso le strutture della Marina russa e se ne prevede la conclusione nell’aprile 2021. Il varo del quarto battello per la Flotta del Pacifico, denominato Ufa, è previsto alla fine del 2021; nel corso dell’anno è prevista anche l’impostazione di altre due esemplari, Mozhaysk e Yakutsk. La consegna di tutti i battelli per la Flotta del Pacifico dovrebbe completarsi entro il 2024. Il trasferimento del Petropavlovsk-Kamchatsky e del Volkhov avverrà, prevedibilmente a maggio 2021, nell’ambito di un Gruppo navale comprendente anche un’unità ausiliaria e un rimorchiatore. Per la Marina russa, l’evento assume un significato molto importante, perché si tratterà del primo transito di navi militari dal Canale di Suez in direzione nord-sud: l’unico evento simile risale infatti ai tempi della Marina ex-sovietica, per la precisione al 1985, ed ebbe come protagonista il Vyborg, un battello classe «Kilo/Project 877» ormai non più in servizio. È inoltre probabile che il Gruppo navale russo faccia scalo nella nuova base di Port Sudan, sul Mar Rosso, dunque non distante dalle località (le isole Dahlak, Berbera, l’isola di Socotra e Aden) in cui negli anni Settanta la Marina sovietica disponeva di utili punti d’appoggio per le sue operazioni nell’oceano Indiano.
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Proseguono le prove dei missili «Tsirkon» L’agenzia d’informazione russa TASS ha comunicato che durante le ultime settimane di marzo si sono svolti i lanci di missili ipersonici «Tsircon» (designato dalla NATO come SS-N-33) a cura del gruppo industriale NPO Mashinostroyeniya. Per questa fase della campagna di prove è stata impiegata la fregata Admiral Gorshkov, in servizio con la Flotta del Nord della Marina russa: l’unità ha eseguito quattro lanci, che risultano tutti completati con successo. Nei prossimi mesi e nell’ambito di eventi distinti, avranno luogo le prove del missile sotto la responsabilità della Marina russa e degli enti tecnici a essa collegati, nonché quelle di lancio dal sottomarino nucleare d’attacco Severodvinsk, un battello classe «Yasen/Project 885» impiegato sia come prototipo per lo sviluppo del successivo «Project 885M», sia come piattaforma per le prove di nuovi tipi di missili previsti per battelli di serie di varie classi.
SPAGNA Varo del sottomarino Isaac Peral Alla presenza del Re di Spagna Felipe VI, il 22 aprile ha avuto luogo il varo del sottomarino Isaac Peral (S81), primo esemplare della classe «S80 Plus», realizzato dalla società Navantia: l’evento è molto importante perché rappresenta una tappa fondamentale nel rinnovamento delle forze subacquee spagnole, al momento ridotte alle due unità Tramontana e Galerna. Come noto, il programma costruttivo è stato caratterizzato da gravi problemi tecnici, che hanno provocato ritardi e un aumento dei costi. Secondo le previsioni, l’Isaac Peral dovrebbe essere consegnato alla Marina spagnola all’inizio del 2023 e sarà operativo nella seconda metà di quell’anno. I battelli successivi — Narciso Monturiol (S-82), Cosme García (S-83) e Mateo Garcías de los Reyes (S-84) — saranno immessi in servizio con una cadenza di un esemplare ogni due anni.
STATI UNITI Completato lo scafo resistente del sottomarino New Jersey Negli stabilimenti Newport News Shipbuilding della Corporate Huntington Ingalls Industries (HII) è stato raggiunto un importante traguardo con la chiusura dello
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scafo resistente del sottomarino nucleare d’attacco New Jersey (distintivo ottico SSN 796), diventato così una struttura completa. Si tratta dell’ultima tappa principale del programma costruttivo, che sarà seguita dal battesimo formale e dal varo del battello. Realizzato secondo la versione «Block IV», il New Jersey è il 23o sottomarino nucleare d’attacco della classe «Virginia» realizzato dal gruppo HII: la sua costruzione è iniziata nel 2016 ed esso è completo al 75%.
…e firma del contratto per l’Oklahoma Nel frattempo, il Pentagono ha annunciato la stipula di un contratto da circa 2,4 miliardi di dollari con il gruppo General Dynamics Electric Boat di Groton, nel Connecticut, per la costruzione del sottomarino nucleare d’attacco Oklahoma (SSN 802), anch’esso appartenente alla classe «Virginia» nella configurazione Block V. La costruzione dei battelli di questa classe è iniziata nel 1988 e il primo è entrato in servizio nell’ottobre 2004: fino a questo momento ne sono stati costruiti e ordinati 34, di cui due a partire dall’esercizio finanziario 2011. Da ricordare che la serie «Virginia/Block V» è equipaggiata con moduli di lancio verticale per il lancio di missili da crociera «Tomahawk» e di conseguenza i battelli hanno una lunghezza di 140 metri (rispetto ai 115 metri dei «Virginia» appartenenti alle versioni precedenti), mentre il loro dislocamento in immersione è passato da 7.800 a 10.200 tonnellate. Nella pianificazione dell’US Navy, si prevedono 10 unità classe «Virginia/Block V», di cui l’Arizona (SSN 803) è il secondo dei battelli a essere al momento contrattualizzato.
Lancio di droni da sottomarini La Marina degli Stati Uniti ha pianificato l’acquisizione di 120 velivoli a controllo remoto «Blackwing», prodotti dalla società AeroVironment e lanciabili da sottomarini in immersione a quota periscopica: la consegna del primo esemplare è prevista ad agosto 2021, mentre l’ultimo dovrebbe arrivare entro il 2023. Il «Blackwing» è alloggiato in un contenitore sagomato stagno che, giunto in superficie, rimane a galleggiare per qualche tempo: il velivolo viene quindi espulso, permettendone il dispiegamento delle superfici alari e
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Immagine al computer di un velivolo a controllo remoto «Blackwing», prodotto dalla società AeroVironment e lanciabile dai sottomarini della classe «Virginia» dell’US Navy (AeroVironment).
il volo, propulso da un piccole motore elettrico. I sensori del «Blackwing» possono essere di tipo elettro-ottico e all’infrarosso, e comprendono anche un ricevitore GPS, un sistema per la navigazione inerziale e un data link tattico per lo scambio d’informazioni col battello. Negli anni scorsi, l’US Navy ha condotto una campagna di sperimentazione con il «Blackwing», utilizzando il sottomarino nucleare d’attacco Annapolis, appartenente alla classe «Los Angeles»: a settembre 2020, il velivolo ha raggiunto la capacità operativa iniziale. Fra i testi eseguiti durante la campagna di prove, vi è stato anche il controllo del «Blackwing», a cura del sottomarino, anche a distanze ben oltre l’orizzonte ottico del battello e l’esecuzione di un attacco simulato con siluro contro un’unità di superficie posizionata a una distanza assai prossima al raggio d’azione massimo dell’ordigno «lanciato» dall’Annapolis. Sebbene la società AeroVironment non abbia divulgato quale sia il raggio d’azione massimo del «Blackwing», è noto che la sua realizzazione è basata sulla munizione orbitante «Switchblade 300», accreditata di un raggio d’azione di 5,4 miglia.
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Consegna del primo lotto di missili da crociera «Tomahawk Block V» A partire dal 25 marzo, l’US Navy ha ricevuto il primo lotto di missili da crociera «Tomahawk» nella configurazione Block V, importanti per potenziare le capacità belliche delle unità subacquee e di superficie si cui verranno imbarcati. Questo primo lotto Block V è stato realizzato modificando un certo numero dei precedenti Block IV, certificati idonei all’impiego nella nuova versione al termine di interventi eseguiti a cura della società Raytheon; in tale ambito, vengono sostituiti i componenti dell’ordigno ormai obsoleti e introdotti quelli necessari per portarli alla nuova configurazione Block V. In particolare, sono state migliorate le capacità di navigazione, comunicazione e aggiornamento delle informazioni sui bersagli in funzione delle loro tipologia, dando origine a tre versioni dell’ordigno: Block V, con un potenziamento dei sistemi di navigazione e comunicazione; Block Va, con capacità Maritime Strike Tomahawk - MST, cioè dedicata a bersagli navali in movimento; e Block Vb, nota come Joint Multiple Effects Warhead System -JMEWS, destinata a colpire bersagli terrestri.
Ordine per ulteriori 11 pattugliatori marittimi P-8A «Poseidon» L’US Navy ha stipulato un contratto da 1,6 miliardi di dollari con la società Boeing per la fornitura di 11 velivoli da pattugliamento antisommergibili «P-8A Poseidon», di cui nove esemplari sono destinati all’Aviazione Navale statunitense e gli altrui due all’Aeronautica australiana, che dal 2008 partecipa al programma del velivolo e li acquista mediante la procedura FMS: questo contratto porterà a 128 gli esemplari di «Poseidon» in servizio nell’US Navy e a 14 quelli in linea nell’Aeronautica australiana. Il velivolo è una risorsa essenziale per le missioni di sorveglianza, intelligence e ricognizione, oltre che per contrastare le minacce subacquee: derivati dal bireattore commerciale Boeing 737 Next-Generation, i «Poseidon» in servizio nell’US Navy hanno finora totalizzato 103.000 ore di volo e hanno soddisfatto gli utenti statunitensi e stranieri. Il velivolo è dotato di due sistemi di aggancio sotto ciascuna ala, può trasportare 129 boe sonore al-
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l’interno della fusoliera ed è equipaggiato con un impianto per il rifornimento in volo.
Consegnato il Seahawk all’US Navy La società Leidos ha consegnato all’US Navy un nuovo mezzo navale di superficie a controllo remoto (USV - Unmanned Surface Vehicle), noto come Seahawk; si tratta di un dimostratore tecnologico realizzato in base a un contratto del valore di 35 milioni di dollari. Il Seahawk è un USV di dislocamento medio (MDUSV), caratterizzato da elevata autonomia e da uno scafo a trimarano realizzato in materiali compositi: come il precedente Sea Hunter, anch’esso costruito da Leidos, il Seahawk è significativamente più grande e operativamente più capace di altri mezzi di superficie a controllo remoto in linea nell’US Navy, anche in termini di tenuta al mare e carico utile. Con un dislocamento di 145 tonnellate e due motori diesel, il Seahawk è destinato a operare in maniera quasi del tutto autonoma, con un minimo coinvolgimento di personale, per svolgere funzioni di sorveglianza in aree avanzate e inserirsi in un’architettura di sorveglianza marittima. Il Seahawk sarà impiegato dal Surface Development Squadron (SURFDEVRON), il reparto dell’US Navy responsabile dello sviluppo di nuovi mezzi e concetti operativi navali, di base a San Diego, in California.
SUDAFRICA Varo del primo pattugliatore polivalente costiero Il 25 marzo è avvenuto a Città del Capo il varo del primo dei tre pattugliatori polivalenti costieri (denominati Multi Mission Inshore Patrol Vessels - MMIPVs) destinati alla Marina sudafricana. Realizzata presso la filiale locale dei cantieri olandesi Damen e avente un dislocamento di 600 tonnellate, lo scafo dell’unità è stato movimentato nelle ore notturne dallo stabilimento in cui è stato assemblato fino allo specchio d’acqua di Città del Capo: la movimentazione della piattaforma su cui era rizzato lo scafo ha avuto luogo mediante un mezzo speciale ruotato, equipaggiato con 48 assi. Dopo l’arrivo dell’alta marea, la piattaforma è andata a galleggiare, l’unità varata è stata quindi rimorchiata verso il molo di allestimento. Gli MMPV sudafricani sono caratterizzati dalla «prora ad ascia», introdotta da Damen
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alcuni anni fa nel progetto di unità navali militari e per compiti speciali, con l’obiettivo di diminuire la resistenza al moto dello scafo e mantenere elevate doti di velocità e tenuta al mare. Gli MMPVs sudafricani sono stati concepiti per svolgere compiti di sicurezza marittima, prevenzione dei traffici illegali, ricerca e soccorso e antipirateria; la consegna del primo esemplare dovrebbe avvenire entro la fine del 2021.
TAIWAN Varata la prima nave d’assalto anfibio costruita a Taiwan
Il varo della nuova LPD di Taiwan, YU-SHAN, primo esemplare di questa categoria di naviglio costruita in un cantiere locale (Ministry of Defense, Taiwan).
Il 13 aprile, il cantiere navale di Taiwan China Shipbuilding Corporation (CSBC) ha varato la prima nave d’assalto anfibio costruita sull’isola, impostata a giugno 2020 e destinata alla Marina locale: si tratta di un’unità tipo LPD, caratterizzata da un bacino allagabile sovrastato da ponte di volo e hangar che occupano la zona centro-prodiera delle sovrastrutture. La realizzazione della nuova unità, battezzata Yu-Shan, rientra in un piano strategico di rilancio della cantieristica nazionale, di cui farà verosimilmente parte anche la costruzione di sottomarini a propulsione convenzionale. La nuova LPD ha una lunghezza di 153 metri, una larghezza di 23 metri e un dislocamento di 10.600 tonnellate: la funzione principale riguarda la condotta di operazioni anfibie, soprattutto nelle isole circostanti Taiwan. In tal senso, l’unità può trasportate 670 militari, oltre a una dotazione di mezzi da sbarco tradizionali, mezzi anfibi tipo «AAV-7», veicoli cingolati e
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ruotati e artiglierie leggere. Le funzioni secondarie riguardano il supporto medico-sanitario expeditionary e l’assistenza alla popolazione civile colpita da calamità naturali. L’ingresso in servizio della nuova unità è previsto ad aprile 2022.
TURCHIA Varo del sottomarino Piri Reis Il varo del Piri Reis, sottomarino a propulsione convenzionale eponimo di una nuova classe di battelli per la Marina turca è stato varato il 23 marzo nel cantiere navale di Golcuk: l’evento assume un particolare rilievo perché si tratta del primo battello equipaggiato con propulsione anaerobica realizzato in Turchia, sviluppando il progetto «Type 214TN» di matrice tedesca. Battezzato con il nome del famoso ammiraglio e cartografo dell’impero ottomano, il Piri Reis è stato impostato nel 2015 ed è destinato a entrare in servizio nella Marina turca nel 2022. La seconda unità della classe, Hizir Reis, dovrebbe essere varato entro quest’anno, mentre l’ultimo dei sei battelli previsti dal programma dovrebbe essere consegnato alla Marina turca nel 2027. Le autorità politiche e militari turche ritengono cruciale la valenza della classe «Piri Reis», sia perché si tratta dei primi battelli con impianto anaerobico a entrare in linea nella Marina turca, sia per mantenere inalterato l’equilibrio strategico nel mar Egeo, dove la Marina greca schiera cinque battelli con un impianto analogo, cioè le quattro unità classe «Papanikolis» (di progetto «Type 214HN», anch’esso di matrice germanica) e l’Okeanos («Type 209» e ammodernato di recente). Da parte sua, la Turchia possiede una flotta subacquea formata da 12 battelli: quattro unità classe «Ay/Type 209-1200», altrettante classe «Preveze/Type 209T-1400» e altrettante classe «Gür/Type 209T2-1400», tutte a propulsione convenzionale ma senza capacità anaerobiche. Dalla costruzione dei sottomarini «Piri Reis» trarrà vantaggio non solo la Marina turca, ma anche la base industriale e tecnologica nazionale; le conoscenze e l’esperienza acquisita con la finalizzazione del programma subacqueo saranno rilevanti anche per il successivo programma di nuovi sottomarini, noto come National Submarine - MÝLDEN, attualmente in fase di progetto e di prevista realizzazione nel prossimo decennio. Ciò,
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nalistica britannica ipotizza che le unità destinate alla Marina ucraina potrebbero essere simili a quelle della classe «Barzan» (62 metri di lunghezza e 580 tonnellate di dislocamento) a suo tempo realizzate per la Marina del Qatar da Vosper Thornycroft, adesso assorbita da BAE Systems Maritime. Si parla comunque di unità lunghe fra 50 e 65 metri, con una velocità di 40 nodi, armamento balistico leggero e missili antinave a brevemedio raggio. Un’altra opzione, non ancora formalizzata, è un progetto congiunto a cui Il varo del sottomarino a propulsione convenzionale PIRI REIS, eponimo di una nuova parteciperebbe uno studio di architettura classe di battelli per la Marina turca, equipaggiato con propulsione anaerobica e sviluppato ucraino di Nikolayev, già sede dei cantieri dal progetto «Type 214TN» di matrice tedesca (Ministero della Difesa turco). dove furono realizzate numerose unità maggiori di superficie della Marina ex-sovietica, compresa grazie alla presenza di numerose aziende turche che la portaerei Kuznetsov. In merito ai tempi, una volta foroperano da subcontraenti nel programma «Piri Reis», malizzati gli accordi e consolidato il progetto si docon competenze nei sistemi di navigazione, contromivrebbe iniziare la costruzione del primo esemplare nel sure siluro, gestione delle informazioni, ecc. 2022, con la possibile ultimazione della consegna di tutti e otto gli esemplari entro il 2024. UCRAINA
Possibile costruzione lanciamissili
di
motovedette
Emergono nuovi dettagli sulla possibile costruzione di unità veloci lanciamissili per la Marina ucraina. L’addetto militare britannico a Kiev ha dichiarato che a ottobre 2020 è stato siglato un Memorandum d’intenti fra i ministeri della Difesa di Londra e Kiev, contenente un finanziamento di 1,25 miliardi di sterline, destinati all’approvvigionamento di materiali militari, fra cui la costruzione di infrastrutture per la Marina ucraina e quella di una classe di unità veloci sottili progettata congiuntamente da specialisti delle due nazioni: le prime due unità verrebbero costruite in Gran Bretagna, mentre le otto rimanenti sarebbero completate in Ucraina, con l’assistenza tecnica britannica. Le unità servirebbero per attuare un concetto operativo, basato sull’interdizione nei confronti della Flotta russa del Mar Nero, degli accessi alle acque territoriali ucraine, una preoccupazione molto sentita a Kiev soprattutto dopo le attività militari navali condotte da naviglio russo all’interno del Mar d’Azov. Secondo l’addetto militare britannico in Ucraina, la Gran Bretagna è già attiva in contatti con un paio di società impegnate nello studio dei requisiti ucraini: una fonte gior-
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VIETNAM Varo di una nuova unità navale multiruolo Il ministero della Difesa vietnamita ha annunciato che il 13 marzo è avvenuto il varo di un’unità ausiliaria multiruolo nota come «RoRo 5612» e realizzata su progetto della società Damen nel cantiere Song Thu Corporation di Da Nang. Si tratta del quarto esemplare di questo modello di unità in servizio con la Marina vietnamita: solo uno di essi era stato ordinato dal governo locale, mentre gli altri tre erano stati commissionati dalla Marina venezuelana ma mai consegnati. La decisione è maturata dopo aver compreso che le quattro unità «RoRo 5612» miglioreranno le capacità anfibie, logistiche e di trasporto della Marina vietnamita, soprattutto alla luce delle esigenze relative al supporto delle guarnigioni militari vietnamite presenti su alcune isole dell’arcipelago delle Spratly, conteso dalla Repubblica Popolare Cinese. Le unità tipo «RoRo 5612» hanno una lunghezza di 52,2 metri e sono propulse da due motori diesel MTU 12V2000M61/1A da 1.600 cv, in grado di sviluppare una velocità massima di 10,5 nodi, mentre l’equipaggio comprende 16 uomini. Michele Cosentino
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COSA SCRIVONO GLI ALTRI
«La presidenza Trump: bilancio ed eredità» QUADERNI DI SCIENZE POLITICHE, ANNO X - FASCICOLO 17 - 18/2020
Una graditissima sorpresa ci riservano i Quaderni in parola con un numero doppio di ben 346 pagine e quattordici contributi dedicati a un primo bilancio critico dei quattro anni della discussa presidenza Trump. Un tema che, sin dai suoi albori, ha appassionato gli studiosi che, a diverso titolo, fanno capo alla «scuola storica di analisi delle relazioni internazionali», il cui epicentro si trova nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il presente volume si pone, infatti, in ideale continuità con la precedente analoga monografia Effetto Trump? Gli Stati Uniti nel sistema internazionale fra continuità e mutamento (Quaderni, n. 12/2017). Se però quest’ultimo «tracciava alcune linee interpretative per comprendere i fattori che avevano determinato l’imprevedibile ascesa di Trump alla Casa Bianca e per delineare le tendenze della sua presidenza, lo scopo del presente — pubblicato lo scorso marzo — è invece proprio quello di valutare quanto il mandato di Trump abbia rappresentato una “rottura” da archiviare e quanto invece sia stato espressione di “forze profonde” di lunga durata e di scenari più recenti, entrambi destinati a non scomparire facilmente», come ben fa rilevare nella sua Introduzione il direttore del periodico, prof. Massimo de Leonardis, ben noto ai lettori della Rivista. I primi capitoli dei Quaderni affrontano il quadro strategico globale in cui operano gli Stati Uniti, a cominciare dalla più volte dichiarata svolta di fondo da parte di Trump, «in base alla quale il valore delle alleanze non è più dato per scontato a priori, ma va rivalutato in base alla loro effettiva utilità per Washington» (Davide Borsani) e ciò vale anche per la NATO, i cui rapporti non certo idilliaci nell’ultimo quadriennio (dalla definizione della NATO come «obsoleta», perché focalizzata contro la Russia e non contro il terrori-
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smo islamico al rifiuto sprezzante di pagare la maggior parte delle sue spese), vengono analizzati con la consueta profondità critica dal de Leonardis nel saggio La politica dell’amministrazione Trump verso la NATO». Il ricchissimo e variegato palinsesto continua quindi con una serie di interventi che mettono a fuoco le relazioni bilaterali di Washington con i singoli paesi come la Russia (Gianluca Pastori), la Cina — che è stata per Trump, e sarà per il suo successore, la cui in strategia globale parte dall’Asia, una «rivale strategica», viste le sue sfide all’ordine internazionale liberale (Mireno Berrettini), l’Australia (Raimondo Neironi) e il Regno Unito (Valentina Villa). Per passare quindi alle scelte politiche poste in essere dall’amministrazione Trump nel travagliato Medio Oriente in specifici e delicati settori geopolitici (come quelli «siro-iracheno/giordanoisraelo-palestinese», a firma rispettivamente di Andrea Plebani e Paolo Maggiolini). Al riguardo si fa rilevare innanzitutto come Trump passerà probabilmente alla storia come il presidente «più filo-israeliano», dato che si è spinto fino al punto di dare attuazione a una legge del 1995 che prevedeva il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele col conseguente trasferimento da Tel Aviv dell’ambasciata americana, decisione invero sempre rinviata dai suoi predecessori, nonostante la norma legislativa. Mentre con la «pace di Abramo» del settembre 2020 e gli sviluppi successivi, Trump può vantare un altro suo personale successo, che si inserisce nel progetto di cooperazione politico-militare mediorientale, noto come Middle East Strategic Alliance (MESA) (di cui ci parla Giuseppe Dentice), apertamente sponsorizzato dalla sua presidenza e sostenuto da Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Né sfuggirà ai lettori il capitolo di Enrico Fassi (Trump e la promozione della democrazia), forse il più critico verso la politica di The Donald, per la sua presa di posizione ideologica. Dalla ricostruzione dell’Autore emerge, infatti, come gli aspetti di maggiore discontinuità di Trump rispetto ai suoi predecessori non siano tanto «lo scarso interesse o preoccupazione per violazioni di diritti umani o norme democratiche in altri paesi», quanto che egli «non sembra credere nel fatto
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che il sistema politico americano sia il migliore possibile, e tantomeno che vada promosso altrove. Al contrario, nella sua visione, gli Stati Uniti dovrebbero rinunciare a ogni pretesa di diversità o superiorità morale, per concentrarsi esclusivamente sui propri interessi». Ed è questa netta presa di posizione forse il dato più sconcertante per l’Occidente laddove, come ben ha sottolineato il prof. de Leonardis in una sua recente intervista: «Ordine liberale occidentale ed egemonia americana sono un binomio assai stretto» (https://il caffègeopolitico.net/67858/Gli Stati Uniti a un bivio). Gli ultimi tre capitoli affrontano infine alcuni aspetti di politica interna: dal suo atteggiamento populista e antielitista (Andrea Campati) all’esercizio dei suoi poteri presidenziali (Cristina Bon) e all’approccio alle tematiche etiche e religiose (Iulio Loredo e James Bascom). In sintesi, la panoplia di temi e problemi che ci viene proposta costituisce una chiave di lettura privilegiata per meglio interpretare la realtà del «mandato Trump», che già nel 2018 Martha Nussbaum dell’Università di Chicago aveva stigmatizzato come «monarchia della paura», nel senso che «il presidente nutre la paura, permette l’odio e accelera la scomparsa della verità con quasi tutto ciò che faceva». Una presidenza offuscata peraltro dallo stile del personaggio, poco «presidenziale», dal «linguaggio duro e bellicoso» (anche se può vantarsi di non aver coinvolto gli Stati Uniti in nessuna nuova guerra), dai difficili e altalenanti rapporti con le gerarchie militari, dall’imprevedibilità delle sue mosse spesso irrituali in politica estera (pensiamo alle defatiganti trattative e ai summit con Kim Jong-un finiti nel nulla!), nonché dalla sua iniziale «incredulità» nei confronti della pandemia dilagante nel paese («alla don Ferrante» dei Promessi Sposi di fronte alla peste seicentesca, per intenderci) e infine, in articulo mortis, dalle infinite, inutili e pericolose polemiche sulla «vittoria rubata». E a questo punto un interrogativo di fondo aleggia al di sopra del contesto critico in chiaro-
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scuro che abbiamo, sia pur rapidamente, delineato. «Sarà ancora Trump, forte dell’assoluzione dal suo secondo “impeachment” e di una “dote elettorale” di oltre 73 milioni di voti, a presentarsi come “sfidante repubblicano” alle elezioni presidenziali del 2024, come lascia presagire il suo auto rilancio politico alla Convention dei Conservatori di Orlando dello scorso primo marzo?
«Il discorso del Presidente. Lineamenti di politica estera italiana» ISPI DAYLY FOCUS - LA REPUBBLICA - INTERNAZIONALE, 17/18 febbraio 2021
Se la memoria filmica ci ha consegnato, con tutti i suoi retroscena, Il Discorso del Re, con riferimento all’ormai cult movie del 2010 del regista Tom Hooper, vincitore di ben quattro premi Oscar e relativo al discorso col quale nel 1939 re Giorgio VI annunciò alla nazione la guerra contro la Germania nazista, la cronaca politica del nostri giorni, con grandissimo risalto nei media e nella stampa, sia nazionale che internazionale (al riguardo www.italy24news.com/en/2021/02/the-draghi-government-seen-from-abroad-from-the-new-york-times-toel-pais-the-first-evaluation-of-the-major-internationalnewspaper), a sua volta ci ha presentato il discorso programmatico col quale l’allora presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi (video integrale in www.rainews.it/dl/rainews/media/Governo) ha chiesto la fiducia al Senato il 17 gennaio scorso, illustrando i criteri da intraprendere per far fronte alla «triplice crisi» (sanitaria, sociale ed economica) in cui versa attualmente il nostro paese. Discorso sul quale ci soffermiamo, spi-
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golando tra i vari commenti per informazione del lettore, al fine di porre in evidenza in particolare gli indirizzi di politica estera ivi enunciati. «Nei nostri rapporti internazionali questo governo sarà convintamente europeista e atlantista in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia: Unione europea, Alleanza atlantica, Nazioni unite». «Il discorso d Mario Draghi, [“un vero e proprio manifesto del multilateralismo”, è stata la definizione di Alessia De Luca su Ispi Daily Focus], supera i tentennamenti e le ambiguità che hanno caratterizzato l’ultimo triennio — è il commento di Gianluca Di Feo sulle colonne de La Repubblica — con gli entusiasmi per la Cina e i rapporti opachi con
la Russia». Per quanto attiene all’Europa — continua Draghi nel suo discorso — i capisaldi di riferimento sono Parigi e Berlino «in un rapporto strategico e imprescindibile», non solo nella costruzione dell’Europa ma anche sotto l’aspetto commerciale, vista l’integrazione delle rispettive economie. Parimenti importanti sono le relazioni con i paesi del Mediterraneo (Spagna, Malta, Grecia e Cipro), laddove gli ultimi due rappresentano «gli avamposti dei rapporti sempre più tesi con la Turchia, partner e alleato NATO», (di cui si auspica però «un dialogo più virtuoso con l’Unione europea»), unitamente alle aree da sempre di interesse prioritario per il nostro paese (Balcani, Mediterraneo allargato e Africa). Nel contesto dell’Unione europea «altra sfida sarà il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio
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tra responsabilità dei paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati». E mentre si ribadisce che il «dialogo» resta la strada maestra dei rapporti con Mosca, citando Pechino soltanto nell’elenco delle situazioni problematiche («Seguiamo anche con preoccupazione l’aumento delle tensioni in Asia intorno alla Cina»), ci si apre con fiducia all’amministrazione Biden e ai suoi «cambiamenti di metodo» rispetto all’era Trump, un metodo cioè più cooperativo nei confronti dell’Europa e degli alleati tradizionali, nella convinzione che la collaborazione con Washington sarà destinata a intensificarsi. In buona sostanza: «L’Italia avrà la responsabilità di guidare il G20 verso l’uscita dalla pandemia e di rilanciare una crescita verde e sostenibile a beneficio di tutti. Si tratterà di ricostruire e ricostruire meglio». In conclusione — ha scritto Pierre Haski su Internazionale — davanti al Senato Mario Draghi ha pronunciato il discorso «più europeista» che si sia sentito sul continente da tempo. «Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo dell’Unione europea […] Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine».
«Il relitto di Uluburun: una storia mediterranea» NAUTICA REPORT - ARCHEOMEDIA, 5 agosto e 31 ottobre 2020
Nell’estate del 1982, al largo delle coste turche, dove l’archeologia subacquea è praticamente di casa, a circa 8.5 km a sud-est di Kaş, piccolo centro della regione di Antalya — leggiamo nelle riviste in epigrafe citate a firma di Fabrizio Fattori — un pescatore di spugne segnalò i resti di una vetusta imbarcazione, la cui datazione — successivamente effettuata con il metodo della «dendrocronologia» su un frammento ligneo — si fa risalire intorno al 1350 a.C., cioè nella tarda età del bronzo (XIV sec. a.C.). Le campagne di scavo e recupero dei materiali alla profondità di 40-
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Uno spaccato di ciò che poteva contenere la nave di Uluburum completamente carica (The Maritime History Podcast/nauticareport.it). A destra: il relitto di Uluburum, una storia mediterranea (nauticareport.it).
60 metri, che si sono susseguite per undici anni con un totale di 22.413 immersioni, dirette dall’archeologo americano George Bass e turco Cemal Pulak, hanno riportato alla luce la storia di un naufragio tra i più antichi in assoluto riscontrati nell’area. L’imbarcazione, lunga oltre 15 metri, costruita in legno di cedro del Libano e quercia col metodo delle giunzioni a incastro (il noto sistema «a tenone e mortasa»), simile a quello greco-romano dei secoli successivi e un albero che sosteneva probabilmente una vela rettangolare. Variegato e ricchissimo il carico al suo interno che testimonia l’intensità degli scambi commerciali nell’area mediterranea intesa anche come terminale di più vaste regioni sub-africane, mediorientali e nord-europee. Tra gli oggetti in oro primeggia uno scarabeo recante il nome di Nefertiti, quindi bracciali e collane in ambra, quarzo, corniola e agata, carapaci di tartaruga destinati a divenire casse armoniche, zanne di elefante, denti di ippopotamo e uova di struzzo oltre a una statuetta del dio Bes (divinità o genio benefico dell’antico Egitto, raffigurato come un nano scimmiesco, protettore del sonno contro gli esseri malefici notturni, presumibilmente protettore dei marinai) e un numero considerevole di ancore dalle fogge estranee alle aree dell’Egeo, varie tipologie di metalli (stagno e bronzo), ceramiche di varia provenienza in forma di vasi e anfore conte-
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nenti ancora tracce di resine, olio, fichi, melograni e cereali. Dall’analisi dei materiali recuperati e dal corredo dei naviganti è stata ipotizzata anche una probabile rotta che, da Micene, passando per Creta, sarebbe arrivata fino a Cipro, o forse a Rodi, per proseguire poi con un nuovo carico verso i porti dell’area. Gli oltre 18.000 reperti recuperati e catalogati, nonché la ricostruzione dell’imbarcazione stessa, sono permanentemente esposti nel Museo di Archeologia Subacquea di Bodrum (https://tripadvisor.it/ReviewsBodrum-Museum), mentre in fondo al mare è stata ricollocata nientemeno che una suggestiva replica dell’imbarcazione stessa. Una vicenda che pone in risalto, ancora una volta, quali tesori inestimabili conservi il Mediterraneo a testimonianza della sua storia plurimillenaria. Ezio Ferrante
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R EC EN SI O NI
E SEG NAL AZ I O NI
Giuseppe Lertora
Tra Cielo e Mare ...e oltre Editore Circolo Culturale Libero Confronto Roma, 2020 pp. 307 euro 14,50
Con piacere mi accingo a stilare una recensione all’ultima fatica editoriale dell’ammiraglio Giuseppe Lertora, poiché egli è uno di quegli uomini che ha vissuto in Marina e per la Marina. Prima però di entrare in medias res, desidero dare contezza al lettore, seppur in grandi linee, dell’iter interno di tale volume. E non a caso uso il vocabolo iter poiché quest’ultima fatica rappresenta un vero e proprio percorso che l’A. traccia. Il volume principia con una Introduzione (pp. 9-12) e un Prologo (pp. 1523), cui poi seguono cinque capitoli: cap. I — Turning point, i momenti di svolta della vita in Marina (pp. 25117); cap. II — La Difesa e l’Europa (pp. 119-206); cap. III — Temi sociali (pp. 209-247); cap. IV — Zibaldone (pp. 257-303); cap. V — Chiusa (pp. 305-308). Ovviamente ciascun capitolo è articolato in svariati paragrafi che racchiudono numerosi argomenti (dei quali, per ragioni di spazio non menziono, rinviando volentieri all’Indice del volume stesso). Riguardo ai contenuti di tale corposo scritto, principio subito col dire che in apparenza questo si presenta come una sorta di «binario». Ossia da un lato vi è il primo capitolo che reca alcune delle più significative esperienze della vita militare dell’Autore — che ricordo è stato comandante dell’Accademia e poi della Squadra navale — mentre gli altri sono principalmente una miscellanea di articoli pubblicati su Libero Reporter e che l’A. qui ha voluto raccogliere e organizzare in modo sistematico secondo aree tematiche (dai problemi della difesa e dell’Europa fino ai «temi sociali», come dall’etica militare alla scuola, dallo sviluppo economico e tecnologico italiano fino a questioni pensionistiche). In breve, se così il primo capitolo, espone i «turning point» della vita del-
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l’A., gli altri capitoli costituiscono una serie di riflessioni sulle situazioni nazionali e internazionali, dai connotati spesso geopolitici; in una parola tutto ciò si potrebbe definire come una summa del «pensiero lertoriano». Infatti, in tutti i capitoli si respira — direi tra le righe dei paragrafi — un concetto che è anche un ideale, cioè: stare in Marina significa appartenenza basata sull’essere e non già sull’apparire. Mentre dunque lascio, ben volentieri, al lettore il piacere di scoprire i vari passaggi che hanno portato l’ammiraglio Lertora al massimo grado della gerarchia militare, desidero proprio partire proprio dal dato «gerarchico», poiché questo mi è apparso come un’estensione della «pratica» dell’etica della responsabilità dato che realizza il «bene comune» che troppo spesso viene trascurato dalla società liquida contemporanea. Questo forse costituisce il «cuore» del pensiero lertoriano. Ma l’A., nel ricordarci tale aspetto fondamentale del vivere, direi dell’esistenza, ci appare allo stesso tempo, proprio con questa sua ultima fatica letteraria, anche come una sorta di novello «Grillo Parlante», soprattutto quando egli descrive i «mali italici» sostenendo la sua, decisamente e volutamente lontano dal Politically Correct, ovvero senza peli sulla lingua. Pertanto il lettore non si aspetti un libro «autocelebrativo» bensì una sorta di riflessioni e quindi di ulteriori spunti su svariati temi della contemporaneità. Si potrebbe asserire — sunteggiando al massimo il contenuto del testo — che questo rappresenti «memorie e riflessioni» di un italiano, un italiano che ha servito il paese, la Marina, la comunità nazionale. Infatti, il pensiero «lertoriano» si flette e si coniuga, nel testo in esame, anche con un altro concetto: gli «antichi valori» (anche questi soventemente negletti). Dunque, in estrema sintesi, il presente tomo fa riflettere su come etica della responsabilità, bene comune, antichi valori, diventino il mare e il cielo simboleggianti la stessa esistenza umana, non solo per i marinai, ma per tutti. Ecco queste, in breve, le suggestioni suscitate nel leggere quest’ultimo bel libro dell’ammiraglio Lertora, cui esprimo massimo rallegramento e sincere congratulazioni e con esse l’auspicio di continuare a essere un «Grillo Parlante»! Danilo Ceccarelli Morolli
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Recensioni e segnalazioni Mario Caligiuri Luigi Rucco
Quantum Intelligence Le nuove frontiere dell’informazione per Stati, aziende e persone Rubbettino editore Soveria Mannelli (CZ), 2020 pp. 358 euro 18
La più rilevante caratteristica del progresso è quella che, finora, ha visto sempre avanzare la conoscenza su molteplici campi. È il caso della quantistica che, partendo dalle ampie premesse legate al mondo della fisica, ha cominciato a toccare l’informatica con IBM la quale, al Consumer Electronic Show di Las Vegas, ha annunciato il primo computer quantistico, Q System One, idoneo a fini commerciali e scientifici e che ha mostrato per la prima volta effettive applicazioni pratiche; fino a giungere alle pubblicazioni del team Google Quantum, in cui vengono annunciati significativi progressi volti alla conquista delle potenzialità della quantistica nell’ambito dell’intelligenza artificiale. Alla base insistono fisica e meccanica quantistica; nell’informatica si è definito il qubit, l’unità fondamentale in grado di eseguire i calcoli contemporaneamente grazie alla sovrapposizione di stati quantistici, che supera il concetto digitale binario dello 0 1 del bit, e che può essere in entrambi gli stati nello stesso momento. Non è fantascienza; i qubit possono essere entangled, ovvero intrecciati e correlati tra loro, e un computer quantistico può processare, allo stesso tempo con il calcolo parallelo, più alternative per un singolo problema evitando il passaggio dei calcoli sequenziali come avviene ora. Un altro esempio portato molto spesso concerne gli sviluppi connessi alla cybersecurity e alla crittografia, dato che in un futuro regolato dalla crittografia quantistica un fotone rivelerà immediatamente se un bit è stato copiato o intercettato. Una moneta, mentre ruota su di un tavolo, occupa contemporaneamente i due stadi di testa e croce; due monete portano a quattro stadi; più monete portano alla capacità di generare esponenzialmente combinazioni. Quando monete e qubit finiscono di ruotare, collassano
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in uno dei due stati possibili: l’informatica quantistica considera le rotazioni e la sovrapposizione degli stati. Insieme alla quantistica sta progredendo la tecnologia dell’intelligenza artificiale, divenuta a essa complementare: a similitudine della rete neurale quantistica, gli algoritmi quantistici supportano l’IA nella risoluzione dei problemi specifici. L’informatica quantistica si basa sulla meccanica quantistica per migliorare l’elaborazione delle informazioni, grazie anche all’enorme disponibilità di dati forniti da internet. La Quantum information science è alla base della realizzazione di computer con elevatissime capacità di calcolo e con meccanismi crittografici teoricamente inviolabili, con una profonda trasformazione della sicurezza informativa, unitamente ad algoritmi quantistici che condurranno a significativi avanzamenti in svariati settori strategici come farmaceutica, finanza, logistica, energia, difesa, ICT (1); non è forse così lontano il futuro in cui anche le unità navali saranno governate grazie ai progressi quantistici e dell’intelligenza artificiale. La rilevanza di queste tecnologie sarà tuttavia inevitabilmente funzionale alle decisioni assunte dai decisori politici, con analisi di intelligence che incideranno in ogni ambito. Il saggio di Mario Caligiuri e Luigi Rucco, nell’ambito del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, analizza proprio il fenomeno della Quantum information science, ovvero l’informatica quantistica dal punto di vista degli studi di intelligence, con una particolare attenzione alle implicazioni per l’interesse nazionale a livello politico, militare, scientifico, economico e industriale. La Quantum information science veste abiti scientifici e tecnologici, ma assicura un forte impatto sia sulla vita sociale, sia sulla sicurezza delle informazioni in chiave offensiva e difensiva, e insieme all’intelligenza artificiale progredirà grazie al paradigma del Quantum machine learning. Le potenzialità quantistiche hanno determinato, presso diversi paesi, notevoli programmi di finanziamento destinati alla R&D (2), alla cui base rimangono sicurezza nazionale e intelligence. Gli Stati Uniti, nel 2018, hanno varato il National Quantum Initiative Act; l’UE, nel medesimo periodo, ha lanciato la Quantum Technologies Flagship, mentre la Cina ha destinato oltre 10 mld di dollari per lo sviluppo di tecnologie di informazione quantistica. Caligiuri e Rucco dapprincipio ripercorrono
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Recensioni e segnalazioni
i principi scientifici della Quantum information science, volgendo poi all’analisi delle implicazioni nazionali; successivamente delineano gli scenari futuri, con i possibili rischi e con le iniziative che i policy maker potrebbero intraprendere attenuando i pericoli e sfruttando le opportunità; gli autori terminano con un’interessante autocritica strutturata, proponendo alcune considerazioni provvisorie. La Quantum information science viene dunque analizzata nella peculiare prospettiva degli studi in intelligence, avendo come paradigma l’interesse nazionale; le key intelligence questions trovano approfondimento sistematico grazie alla triangolazione di fonti che spaziano dalla letteratura scientifica internazionale, dalla documentazione ufficiale pubblica e privata, fino all’utilizzo di metadati opportunamente estratti, aggregati e processati. L’analisi è stata strutturata in una fase di foresight, grazie alla tecnica dei simple scenarios, con un esame di trend, di segnali deboli, di imprevedibilità, procedendo inoltre a pronosticarne l’avverabilità secondo il metodo del cono di plausibilità. Una mirata risk analysis sintetizza poi i rischi emergenti, rischi mappati sugli scenari e valutati per impatto e possibilità di accadimento, insieme con l’esame di attuabili politiche di mitigazione del pericolo; come anticipato, tutto il lavoro è stato riletto criticamente secondo la tecnica della structured self-critique, per permettere l’individuazione dei punti vulnerabili e di forza, in vista di possibili miglioramenti futuri, secondo un approccio puntato su teoria e tecnica di analisi degli intelligence studies, che rappresenta un elemento di novità in tema di Quantum information science. Il concetto classico di ciclo di intelligence, dal secondo dopoguerra a oggi è dunque messo in crisi da diverse sfide, non ultima quella tecnologica che inverte il ciclo stesso, dato che la rilevazione della minaccia non segue più un processo deduttivo a opera di un decisore democraticamente eletto, ma si basa su indizi acquisiti induttivamente dopo aver setacciato enormi quantità di dati spesso riguardanti la vita dei cittadini. È comunque fondamentale constatare che il saggio non rappresenta il risultato di un’attività di intelligence istituzionale, ma di concreto studio accademico, ispirato da un requisito espresso dalla Direzione del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, che ha spinto al confronto con un tema in grado di portare a un arricchimento culturale
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presentando non scontate implicazioni future. Per ciò che concerne l’attività di analisi, il testo si caratterizza per la presenza di elementi tipici: situation awareness, o conoscenza del contesto; explanatory interpretation, con l’interpretazione del contesto rispetto all’andamento passato e presente; predictive assessment con una valutazione in ottica di breve-medio periodo; strategy notice in cui vengono considerate le implicazioni secondo un’ottica di lungo periodo, con specifico riferimento all’interesse nazionale. L’impostazione del saggio rimanda quindi alla sfida della complessità di Edgar Morin (3) tra le competenze chiave per l’educazione del futuro, dove rileva l’importanza di riuscire a studiare un fenomeno all’interno del suo contesto, prevenendo i rischi di un apprendimento frammentato che renda incapaci di connettere le singolarità con la globalità. L’altro aspetto di fondamentale importanza riguarda l’incertezza insita nello studio in evoluzione della Quantum information science, inquadrata dai vari aspetti interessanti l’intelligence, e che compendiano contemporaneamente aspetti tecnico-scientifici e sociali, in un contesto connotato da complessità e incertezza, spesso determinate dall’uomo stesso anche con lo sviluppo tecnologico che impone sia la padronanza della conoscenza in senso lato, sia la consapevolezza delle conseguenze dell’applicazione della teoria del caos, per cui eventi apparentemente imprevedibili possono essere in relazione tra loro rispondendo a leggi deterministiche. Le considerazioni su incertezza e complessità portano alla sfida del prevedere, che Caligiuri definisce difficile, e dell’interpretare. La Quantum information science si è rivelata un fenomeno affascinante, meritevole di approfondimento. L’impatto più o meno favorevole di queste tecnologie dipenderà dalle decisioni assunte dagli attori istituzionali, indirizzati dalle analisi di intelligence commissionate; inevitabile dunque confermare il ruolo dell’intelligence nel fare luce su un fenomeno divenuto di concreta attualità. Gino Lanzara NOTE (1) Information and Communication Technologies. (2) Research & Development. (3) Pseudonimo di Edgar Nahoum (Parigi, 8 luglio 1921); è un filosofo e sociologo francese. È noto per l’approccio transdisciplinare con il quale ha trattato un’ampia gamma di argomenti, fra cui l’epistemologia.
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L’ULTIMA PAGINA
RIVISTA
MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
NEL PROSSIMO NUMERO: NATO, NUOVE PROSPETTIVE ERRATA CORRIGE Fascicolo di Novembre 2020 A pag. 82, alla prima colonna, nona riga dall’alto: leggasi Matthew Ridgway anziché Maxwell Taylor. LA COLLABORAZIONE ALLA RIVISTA È APERTA A TUTTI. IL PENSIERO E LE IDEE RIPORTATE NEGLI ARTICOLI SONO DI DIRETTA RESPONSABILITÀ DEGLI AUTORI E NON RIFLETTONO IL PENSIERO UFFICIALE DELLA FORZA ARMATA. RIMANIAMO A DISPOSIZIONE DEI TITOLARI DEI COPYRIGHT CHE NON SIAMO RIUSCITI A RAGGIUNGERE. GLI ELABORATI NON DOVRANNO SUPERARE LA LUNGHEZZA DI 12 CARTELLE E DOVRANNO PERVENIRE IN DUPLICE COPIA DATTILOSCRITTA E SU SUPPORTO INFORMATICO (QUALSIASI SISTEMA DI VIDEOSCRITTURA). GLI INTERESSATI POSSONO CHIEDERE ALLA DIREZIONE LE RELATIVE NORME DI DETTAGLIO OPPURE ACQUISIRLE DIRETTAMENTE DAL SITO MARINA ALL’INDIRIZZO WWW.MARINA.DIFESA.IT/MEDIA-CULTURA/EDITORIA/MARIVISTA/PAGINE/NORMEPERLACOLLABORAZIONE.ASPX. È VIETATA LA RIPRODUZIONE ANCHE PARZIALE, SENZA AUTORIZZAZIONE, DEL CONTENUTO DELLA RIVISTA.
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