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La certezza dei confini marittimi del Mediterraneo fattori di sicurezza, stabilità e sviluppo
Il tema della certezza dei confini marittimi rimanda alle radici del diritto internazionale, quando la dottrina giuridica romanistica ha elaborato il principio del mare come bene comune (1). Secoli dopo, all’inizio dell’evo moderno, si è andato formando il concetto di mare territoriale come spazio di esclusiva sovranità dello spazio costiero. Di qui l’esigenza di fissarne i limiti spaziali che a lungo sono stati consuetudinariamente stabiliti in 3 mg in relazione alla potenziale estensione in mare del dominio terrestre connesso alla portata delle artiglierie costiere (2). Nel secolo scorso è stata poi formulata la teoria delle aree costiere di giurisdizione funzionale: prima il fondo e il sottofondo marino della piattaforma continentale con il Proclama Truman del 1945 (3); dopo la colonna d’acqua della Zona Economia Esclusiva (ZEE) con la Dichiarazione di Santiago del Cile, Ecuador e Perù del 1952 (4). In seguito, la Convenzione del diritto del mare del 1982 (UNCLOS) ha compiutamente disciplinato sia il regime della piattaforma continentale (in precedenza estensibile fino alla batimetrica dei 200 m o oltre, secondo la IV Convenzione di Ginevra del 1958) (5) sia quello dei diritti funzionali esercitabili nella ZEE già ritenuto conforme al diritto consuetudinario dalla Corte internazionale di giustizia (ICJ) (6). L’UNCLOS regolamenta i principi per la loro delimitazione — consensuale o per deferimento del caso a un tribunale arbitrale — tra Stati con coste frontiste o contrapposte lateralmente. Dal punto di vista terminologico, limiti e confini non sono sinonimi, dovendosi i primi riferire a proclamazioni unilaterali, mentre i secondi rinviano a delimitazioni stabilite per accordo o per via giudiziaria. La casistica della fissazione di limiti unilaterali che generano confuse situazioni di sovrapposizione è quanto mai vasta. Le cause possono imputarsi a un’errata interpretazione dei principi del diritto del mare o, peggio ancora, a forme di consapevole abuso del diritto volte a creare tensioni e incidenti. La natura di tali situazioni ha trovato sistemazione nella teoria delle «Grey Zone» che ha anche assunto valenza geopolitica (7). Un paradigma è dato dal caso del Mar della Cina, in cui Pechino avanza pretese di giurisdizione su spazi marittimi rivendicati da Brunei, Giappone, Filippine, Malesia, Taiwan e Vietnam: le pretese di Pechino sono state dichiarate prive di fondamento da un tribunale arbitrale, al termine di un procedimento cui Pechino non ha voluto partecipare (8). Un altro esempio è costituito dalla disputa sulla ZEE della Crimea e sul regime del Mar di Azov contesi tra Russia e Ucraina (9). Qualcosa di simile sta accadendo in Mediterraneo e rappresenta una seria minaccia alla stabilità del bacino e allo sviluppo della sua Blue Economy.
Non è senza significato, d’altronde, che la strategia di sicurezza marittima dell’UE comprenda, tra gli interessi strategici dell’Unione e degli Stati membri, «la delimitazione delle zone marittime, quali le Zone Economiche Esclusive, le quali presentano un potenziale per la crescita e l’occupazione» (10). L’UE si limita comunque a consigliare i paesi membri di attivarsi per delimitare i propri spazi marittimi, senza interferire con le loro prerogative sovrane. Non vi è, infatti, alcuna competenza istituzionale dell’Unione in questo settore che è invece attribuita esclusivamente ai singoli paesi.
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Mediterraneo, mare complesso
a. ZEE e piattaforma continentale
Nessuna eccezione fu prevista nell’UNCLOS circa la proclamazione di ZEE nei mari chiusi come il Mediterraneo in cui non sussistano le condizioni geografiche per la loro unilaterale istituzione. Tant’è che, durante la III Conferenza del Diritto del mare, un gruppo di Stati propose un regime derogatorio specificatamente dedicato ai mari ristretti (11). In mancanza di consenso, si giunse solo a inserire nell’UNCLOS (art. 123) un richiamo all’obbligo di cooperazione tra gli Stati rivieraschi nell’esercizio dei diritti e nell’adempimento degli obblighi.
Sta di fatto che — come noto — in nessun punto del Mediterraneo le coste opposte distano tra loro 400 o più mg, come sarebbe necessario a consentire proclamazioni unilaterali: gli Stati possono difatti istituire ZEE estese 200 mg dalle linee di base del mare territoriale. Il che vuol dire che è necessaria una distanza di 400 dalle coste rispettive nel caso che la linea di base coincida con quella di bassa marea, ovvero una distanza superiore qualora esistano delle linee di base dritte tracciate ai sensi dell’art. 7 dell’UNCLOS (12).
Questo ha determinato per decenni uno stallo nella
Situazione delle pretese in Mediterraneo orientale (Bloomberg, https://www.bloomberg.com/news/articles/2021-09-17).
proclamazione di ZEE. Gli Stati furono perciò indotti ad autolimitarsi, nell’istituire spazi di giurisdizione extraterritoriali, a «quasi ZEE» come le Zone di Protezione Ecologica (ZPE) o di Protezione della Pesca (ZPP) di estensione inferiore alle 200 mg. Ultima in ordine di tempo, con la ZPE del Mar Ligure e del Tirreno (istituita con DPR 209-2011) l’Italia aggiunse un ulteriore tassello a uno scoordinato quadro di spazi marittimi paragonato dal prof. Tullio Scovazzi a una «arlecchinata» (13). A modificare un equilibrio faticosamente raggiunto, giunse nel 2003 l’invito da parte della FAO, nel corso della conferenza di Venezia dello stesso anno (14), a procedere all’istituzione generalizzata di ZEE nel Mediterraneo come antidoto alla pesca illegale e non regolamentata (IUU dall’acronimo di Illegal, Unreported and Unregulated) (15). Cipro se ne era avvantaggiata immediatamente stipulando nel 2003 un accordo di delimitazione della ZEE con l’Egitto che, come si dirà più avanti, ha creato un’area di sovrapposizione con la ZEE pretesa dalla Turchia.
Insomma ZEE, ZPE e ZPP si alternano e si sovrappongono in Mediterraneo secondo un disegno che non risponde a logiche prevedibili e razionali, anche se il trend dominante procede verso la generale proclamazione di ZEE che determinerà la quasi totale scomparsa dei residui spazi di alto mare: Italia e Croazia l’hanno fatto da ultimo, rispettivamente con Legge 9 giugno 2021, n. 91 (16) e Decisione del 5 febbraio 2021 (17) mentre Turchia e Grecia, dopo aver già stipulato specifici accordi con paesi frontisti, sembrano intenzionati a farlo lungo tutte le loro coste mediterranee.
Gli Stati sono indubbiamente sovrani nello stabilire i limiti esterni delle loro zone di giurisdizione ma questi sono «null and void» per gli Stati terzi che li contestino come affermato dalla Corte internazionale di giustizia nel caso delle pescherie norvegesi del 1951 (18). Quella delle proclamazioni unilaterali è ormai divenuta un’arma geopolitica. Due casi recenti sono al riguardo eloquenti: da un lato, nel Mediterraneo occidentale, la proclamazione di una ZEE che si sovrappone agli spazi di giurisdizione italiana (19); dall’altro, nel Mediterraneo orientale, gli accordi turco-libici del 2019 e grecoegiziani del 2020, che hanno creato aree di sovrapposizione di ZEE e piattaforma continentale, anche a ridosso delle acque territoriali greche di Creta e del Dodecaneso (20).
Non va inoltre dimenticato che nel 2003 Cipro ed Egitto avevano, come detto, delimitato le proprie ZEE secondo un confine che la Turchia non riconosce per la parte a ovest del meridiano 32°16’18’’ (21). Una questione che presenta implicazioni politiche internazionali, prim’ancora che giuridiche, è infine la disputa dell’Egeo che dal 1974 contrappone, senza che si intravedano ancora spazi di soluzione, Grecia e Turchia (22).
Per quanto riguarda l’Italia, un caso a sé è quello della piattaforma continentale rivendicata da Malta sin dal 1980. La pretesa della Valletta non tiene conto dei diritti reclamati da noi avanti l’ICJ e da questa implicitamente riconosciuti nell’ambito della sentenza Malta-Libia del 1985 (23): la decisione della Corte è stata posta a base del DM. 27/12/2012 (24) con cui è stata aperta alla ricerca, a est del meridiano 15°10’, un’area della piattaforma continentale italiana sovrapposta a quella pretesa da Malta.
Situazioni di incertezza continuano anche a verificarsi in Adriatico dove la Croazia non ha ancora riconosciuto la decisione della Corte arbitrale (25) incaricata di decidere il contenzioso con la Slovenia relativo alla Baia di Pirano e all’accesso di Lubiana alle acque internazionali attraverso la ZEE croata. Da definire sono anche i confini laterali di Croazia, Montenegro e Albania. Quanto ai limiti delle acque territoriali tra Albania e Grecia, nell’area dello Stretto di Corfù, la soluzione del contenzioso è stata rimessa nel 2020 dalle due parti alla ICJ (26). Irrisolta è infine la secolare disputa tra Spagna e Gran Bretagna relativa alle acque di Gibilterra (27).
b. Zone SAR
Ai problemi riguardanti la proclamazione unilaterale di aree di giurisdizione si devono aggiungere in Mediterraneo quelli riguardanti l’overlapping delle aree al cui interno lo Stato costiero fornisce servizi di ricerca e di salvataggio, costituenti le zone SAR (28). Si tratta di «aree di responsabilità» funzionale per il salvataggio di persone in pericolo «intorno alle coste» (29). I limiti delle zone SAR vanno definiti per accordo, anche se resta fermo non che costituiscono confini politici: la norma è, infatti, che questi limiti non debbano coincidere con le frontiere marittime (30). Da questo punto di vista destano perplessità le posizioni più volte espresse da Malta, in difesa della intangibilità della propria zona SAR, quasi si trattasse di vero e proprio spazio territoriale (31).
La SAR maltese ha un’esten sione vastissima (32), pari a circa 250.000 km2: essa coincide con la sovrastante Flight Information Region (FIR) (33), si prolunga dalle Isole Pelagie sin sotto Creta per non meno di 500 miglia (34) e si sovrappone, nella parte occidentale e settentrionale, con la corrispondente zona SAR italiana, coprendo addirittura le acque territoriali di Lampedusa e Lampione. La SAR maltese non tiene nemmeno conto — come avviene con le nostre Pelagie — delle acque territoriali tunisine.
Anche tra Grecia e Turchia ha aperto da anni un contenzioso in materia. La Grecia ha, infatti, istituito una zona SAR di propria giurisdizione che comprende tutte le acque internazionali dell’Egeo, oltre ovviamente alle proprie acque territoriali. Il criterio seguito dalla Grecia è
Zone SAR del Mediterraneo centrale (Maricogecap, 2015). Legenda: area di responsabilità SAR Italia, 495.553 km2 (perimetro in rosso); area meridionale di responsabilità SAR Italia, 221.000 km2 (perimetro in rosso tratteggiato); area di responsabilità SAR Stati Nord Africa (perimetro in verde) + Malta, 630.000 km2 .
stato quello di far coincidere la zona del SAR marittimo con quella del SAR aereo ricadente nella propria FIR. La Turchia, per parte sua, ritiene invece che la propria giurisdizione SAR si estenda sino alla metà dell’Egeo e alla parte costiera di Cipro occupata (c.d. «Repubblica turca Cipro del nord») (35), in sintonia con le proprie pretese in materia di ZEE e piattaforma continentale.
Grey Zones
Nel Mediterraneo, e in particolare nel suo versante orientale, vi sono dunque varie pretese tra loro confliggenti, che in parte si sovrappongono in mancanza della fissazione di confini concordati o stabiliti per arbitrato. La causa di ciò sta nell’unilateralismo marittimo che risponde a diverse logiche. Anzitutto può essere espressione di un radicato nazionalismo che impedisca di definire confini improntati a compromesso ed equità. La difficoltà evidenziata da Malta nel negoziare con noi soluzioni alle controversie su piattaforma continentale e SAR potrebbe esprimere un simile orientamento incentrato su tempi lunghi per consolidare lo status quo delle rivendicazioni. Ma, può anche divenire uno strumento di politiche di potenza volto a creare confuse situazioni in cui ciascuno dei contendenti cerchi di far valere le sue ragioni anche con la forza, nonostante questo sia contrario al diritto internazionale (36). La tattica turca di dislocare proprie unità di ricerca come la «Oruç Reis» in aree di giurisdizione greca o cipriota è funzionale, come messo in evidenza da James Holmes (37), ad attuare contestazioni sul campo, in modo da creare quella incertezza sui limiti in mare che genera le c.d. «Grey Zones».
L’effetto determinato da pretese confliggenti non è solo geopolitico. Pesanti sono, infatti, le implicazioni economiche che impediscono un ordinato sviluppo della Blue Economy. È noto difatti che la validità nei confronti di Stati terzi di confini marittimi stabiliti unilateralmente dipende dalla loro conformità al diritto internazionale (38). Gli accordi di delimitazione non sono inoltre opponibili agli Stati che li contestino. Le attività economiche nelle zone disputate sono infine congelate nel senso che gli Stati non potrebbero rilasciare licenze di sfruttamento e le compagnie energetiche non dovrebbero assumersi il rischio di operare in zone contestate da altri Stati.
Il risultato: uno stallo di iniziative quali il gasdotto EastMed (39), ovvero un disincentivo, per alcune compagnie impegnate nell’offshore energetico, a sfruttare le concessioni ottenute in aree di ZEE contese. Si pensi al caso della Saipem 12.000 (40): la nave di ricerca dell’ENI, nel 2018, fu indotta da Forze navali turche ad allontanarsi dal block assegnato da Cipro. In precedenza, la Libia aveva assunto analoghe iniziative verso Malta: il 19 agosto 1980 una fregata libica si avvicinò alla nave italiana Saipem II che effettuava ricerche energetiche sul Banco di Medina per conto della Texaco Malta Inc., ordinando di fermare le attività su quella che l’unità militare definì come «piattaforma continentale libica» (41). Più di recente, nel 2011, Tripoli aveva inviato alla Valletta una lettera di «cease and desist» con cui intimava di far cessare le ricerche offshore della società Heritage Oil in block energetici ricadenti nella piattaforma continentale libica (42).
Secondo quanto evidenziato dal prof. Tullio Treves (43), due sono i comportamenti che possono tenere gli Stati i quali avanzino pretese unilaterali: rafforzare de facto le loro rivendicazioni concedendo sempre più autorizzazioni offshore (o anche licenze di pesca); oppure evitare azioni escalatorie che possano compromettere i rapporti con la controparte impedendo il raggiungimento di una soluzione di compromesso. Di «Grey Zones» si deve anche parlare per le zone SAR mediterranee che, come visto, si sovrappongono. Questa situazione è estremamente pericolosa per il salvataggio della vita delle persone che siano in pericolo (in prevalenza migranti) in quanto può causare incertezze su quale sia il paese tenuto a intervenire. Vari sono gli episodi di questo tipo verificatisi nella SAR maltese. Le zone SAR non dovrebbero sovrapporsi l’una all’altra. L’esigenza della certezza dei loro limiti deriva dal fatto che esse rientrano nella responsabilità dello Stato costiero e sottostan no quindi al suo controllo e al suo potere di intervento, a meno che non esista un accordo di cooperazione tra Stati limitrofi, come sarebbe naturale e necessario tra Malta e il nostro paese (44). La Convenzione di Amburgo del 1979 prevede, infatti, che le parti, se non raggiungono un accordo sull’esatta delimitazione delle rispettive zone SAR, hanno il dovere di coordinarsi tra loro (45). Nessun accordo di questo tipo esiste tuttavia né tra Malta e Italia, né tra Grecia e Turchia.
Anarchia dei mari
Mentre la terraferma è suddivisa in chiare linee di confine, «il mare non conosce altri confini che quelli delle coste. Esso rimane l’unica superficie spaziale libera per tutti gli Stati e aperta al commercio, alla pesca…». Così scriveva nel 1950 Carl Schmitt (46) tenendo conto della situazione degli spazi marittimi esistente sino ad allora, caratterizzata da ininterrotte aree di alto mare. Il compianto prof. Benedetto Conforti (47) osservava invece che la determinazione esatta di confini marini è veramente importante solo quando serva a delimitare comunità territoriali.
Un tale approccio, per quanto perfettamente attagliato alla realtà del diritto marittimo che si basa ancora sulla libertà dei mari teorizzata da Hugo Grozio nel Seicento, non può tuttavia essere condiviso in un mare semichiuso e «affollato» come il Mediterraneo. L’incertezza dei limiti degli spazi di giurisdizione marittima è difatti elemento che causa tensioni internazionali e impedisce l’ordinato svolgimento delle attività marittime. Le dispute di pesca (in passato con la Tunisia e ora con la Libia) affliggono da anni i nostri pescatori costretti a pagare con la loro incolumità e libertà personale la mancata fissazione bilaterale dei confini delle zone di pesca da loro frequentati. Per non dire della pesca illegale che marinerie extraeuropee impegnate nella lucrosa cattura del tonno rosso (48) praticano in residue aree di alto mare o all’inquinamento di zone non sorvegliate causato da mercantili substandard. Le tensioni per le attività offshore nel Mediterraneo orientale sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti, e anche il tracciato del gasdotto EastMed costituisce di per sé un elemento di instabilità geopolitica. È noto inoltre che la deresponsabilizzazione dei paesi tenuti a garantire il servizio SAR nelle loro teoriche zone di competenza costituisce la causa principale delle tante tragedie accadute nella vasta area tra l’Italia e la Libia (49).
Chiaramente, gli Stati che frappongono ostacoli o al raggiungimento di intese di delimitazione con i paesi vicini rinviandone sine die la conclusione, hanno un
Limiti Modus Vivendi 1970, Italia-Malta (Francalanci). comportamento contrario agli obblighi di buona fede (50) che gli Stati devono osservare nell’esercitare i loro diritti (UNCLOS, art. 300). Connesso a tale generale obbligo è quello di concludere «entro un ragionevole periodo di tempo» le trattative per raggiungere un accordo di delimitazione di ZEE o piattaforma continentale (UNCLOS, articoli 74, 2 e 83,2), procedendo altrimenti al ricorso alle procedure per la definizione delle controversie. Il massimalismo nazionalistico è dunque un atteggiamento, anche nel settore della definizione dei confini marittimi, che ha una connotazione deleteria e contraria al diritto internazionale. L’Italia ha invece sempre dimostrato, sin dagli anni Sessanta del secolo scorso capacità di raggiungere intese, concludendo con ex Iugoslavia
(1968), Tunisia (1971), Spagna (1974), Grecia (1977) e Albania (1992) accordi di delimitazione della piattaforma continentale improntati al criterio dell’equidistanza/circostanze speciali (51). Inoltre, tra Italia e Malta da circa cinquant’anni sono in corso trattative (52) che, se si esclude un Modus Vivendi a carattere provvisorio e limitato spazialmente perfezionatosi nel 1970 (53), non hanno mai raggiunto risultati concreti.
Multilateralismo marittimo
Le intese bilaterali sono ancora lo strumento principe di cui gli Stati dispongono sulla base dell’UNCLOS per convertire i limiti unilaterali in confini riconosciuti internazionalmente. La diplomazia marittima ha un aspetto antico: quello dei rapporti diplomatici necessari a concludere accordi di delimitazione è forse uno dei pochi esempi di diplomazia diretta che si sviluppa al di fuori di fori internazionali o regionali. Si è detto dell’assenza di strumenti concreti dell’UE in materia di confini marittimi degli Stati membri, nonostante l’attenzione costantemente mostrata. Anche le Nazioni unite non hanno strumenti concreti per risolvere i contenzioni marittimi, a meno che non degenerino in atti di aggressione. Per la disputa tra Grecia e Turchia, il Consiglio di sicurezza è intervenuto una sola volta con la Risoluzione 395 (1976) (54) in cui, tra l’altro: «Calls upon the Governments of Greece and Turkey to resume direct negotiations over their differences and appeals to them to do everything within their power to ensure that these negotiations will result in mutually acceptable solutions» (55). Sulla base di questo monito i due paesi continuano ancora oggi a incontrarsi periodicamente alla ricerca di una soluzione bilaterale negoziata. È mancato sinora un confronto aperto, in una sede neutra, tra le parti, volta a comprendere meglio quali sono le loro pretese. Basti dire che si parla di ZEE mediterranea della Turchia e di accordi relativi con la Libia quando invece Ankara solo di recente ha annunziato che intende istituirla (56). La questione riguarda ovviamente anche paesi mediterranei diversi da Grecia e Turchia, come l’Algeria per le sue pretese verso Spagna e Italia, o la Spagna per il suo contenzioso con la Francia, o anche Italia e Malta per le loro
MAR MEDITERRANEO E MAR NERO. GIURISDIZIONI MARITTIME
Stati costieri UE Paesi costieri non membri UE Linee di equidistanza membri UE
La c.d. «Mappa di Siviglia»: i limiti delle aree maltesi e greche non tengono assolutamente conto dei diritti rivendicati, rispettivamente, da Italia e Turchia (EU Parliament).
contrastanti rivendicazioni che si trascinano dagli anni Sessanta del secolo scorso (57). Potrebbe pensarsi a forme di diplomazia pubblica, come un «Forum delle delimitazioni» (58) da organizzare periodicamente a turno in sedi accademiche, in cui tutti i paesi abbiano la possibilità di esporre le loro pretese. Se questo fosse stato fatto regolarmente, forse si sarebbero evitati sotterfugi e ambiguità insite nella pubblicazione, in uno studio svolto da un’università spagnola per conto del Parlamento europeo, di una cartina contestata dalla Turchia. Si tratta di quella che è definita da Ankara come «Mappa di Siviglia» la quale riporta, senza specificarne la natura unilaterale, le rivendicazioni avanzate da Malta, Grecia e Cipro a danno, rispettivamente, di Italia e Turchia (59).
Il confronto diretto è senza dubbio la via migliore per evitare quelle incomprensioni e quelle speculazioni che in materia marittima possono far salire rapidamente la tensione. L’Unione per il Mediterraneo (60) che raggruppa quasi tutti i paesi del Nord Africa e del sud Europa (Turchia compresa) potrebbe essere la sede ideale per avviare un dialogo.
Resta fermo, infine, che l’UNCLOS offre una brillante soluzione per aggirare i problemi di definizione dei confini marittimi per accordo ed è il ricorso a forme di intese provvisorie di natura pratica. La Convenzione agli articoli 74, 3 e 83, 3, prevede infatti che le parti, in attesa di raggiungere un accordo finale di delimitazione, concludano medio tempore intese di natura pratica («provisional arrangements of practical nature»). Un esempio ci viene dal «1978 Grey Zone Agreement» russo-norvegese volto a creare una zona di pesca di giurisdizione joint nel Mare di Barents (61). Italia e Malta avevano imboccato una strada similare
Ipotetiche future aree di esplorazione congiunta greco-turche del mar Egeo (Ortolland).
nel 2012, relativamente allo sfruttamento di loro «Grey Zones» della piattaforma continentale, ma sembra che l’iniziativa non abbia avuto seguito (62). Peraltro, al genus di questi accordi provvisori appartiene il già citato Modus Vivendi italo-maltese del 1970 relativo alle acque tra Sicilia e Malta entro la batimetrica dei 200 m (63). Qualcuno si è anche spinto a immaginare per l’Egeo aree greco-turche di sfruttamento congiunto (64). Quanto al SAR, un esempio di questo tipo può considerarsi la creazione da parte di Australia e Indonesia nel 2004, di una zona di interventi di soccorso comune
che lascia impregiudicata la sovrapposizione delle rispettive aree SAR (65). In questa direzione procede sia l’accordo SAR per l’Artico (66) (tra Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Federazione Rus sa, Regno Unito e Stati Uniti ), sia quello relativo al Mar Nero (67) (tra Bul garia, Georgia, Romania, Russia e Ucraina). Tra l’altro, l’adozione di una simile soluzione in Mediterraneo rappresenterebbe la giusta risposta ai tanti problemi e lacune verificatisi in trent’anni di emergenza umanitaria/immigrazione (68). 8
NOTE
(1) Cfr. in materia l’excursus di G. Vismara, Il diritto del mare, in La navigazione mediterranea nell’alto medioevo (Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 14-20 aprile 1977), Spoleto, 1978, pp. 689 e ss. (2) Vedi T. Scovazzi, Elementi di Diritto Internazionale del Mare, Milano, 2002, 29. (3) Nella Dichiarazione del 28 settembre 1945 il presidente degli Stati Uniti, H. Truman, dopo aver premesso che la piattaforma continentale poteva considerarsi come il prolungamento in mare della terraferma, affermò che le risorse naturali del fondo e del sottofondo marino sottostanti l’alto mare dovevano ritenersi «come appartenenti agli Stati Uniti e soggetti alla loro giurisdizione e controllo». La Dichiarazione precisava altresì che il «carattere di alto mare delle acque sovrastanti la piattaforma continentale e il conseguente diritto di libera navigazione non erano in nessun modo in discussione». Sulla nozione di piattaforma continentale vedi F. Caffio, Glossario di Diritto del mare, 2020, p. 110 ss., disponibile in https://www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/marivista/. (4) I tre paesi dichiararono «(…) as a principle of their international maritime policy that each of them possesses sole sovereignty and jurisdiction over the area of sea adjacent to the coast of its own country and extending not less than 200 nautical miles from the said coast (…)» (http://www.fao.org/). (5) L’art. 1 di questa Convenzione prevede che: «For the purpose of these articles, the term “continental shelf” is used as referring (a) to the seabed and subsoil of the submarine areas adjacent to the coast but outside the area of the territorial sea, to a depth of 200 meter or, beyond that limit, to where the depth of the superjacent waters admits of the exploitation of the natural resources of the said areas; (b) to the seabed and subsoil of similar submarine areas adjacent to the coasts of islands». (6) Case Concerning Delimitation of the Maritime Boundary in the Gulf of Maine Area (Canada/United States), 1984 ICJ in https://www.icj-cij.org/files/case-related/67/067-19841012-JUD-01-00-EN.pdf. Sul regime della ZEE anche in rapporto alla sottostante piattaforma continentale, vedi F. Caffio, Glossario cit., pp. 201 ss. (7) Cfr. J. Holmes, The Mediterranean Sea Is One Dangerous Place, The National Interest, Sept. 21 2020. (8) Le rivendicazioni di Pechino sono state dichiarate infondate da una tribunale arbitrale nel 2006 (https://pca-cpa.org/en/cases/7/) innanzi al quale le Filippine avevano citato la Cina nell’ambito della procedura per la soluzione delle controversie relative all’UNCLOS di cui la Cina è parte. In discussione erano la miriade di scogli disabitati o emergenti a bassa marea delle formazioni insulari come le Spratly e le Paracels, di cui Pechino pretende il possesso, costruendovi anche strutture fisse, in modo da poter reclamare spazi di acque territoriali e ZEE. Il Tribunale, pur in assenza della Cina non costituitasi nel procedimento, ha stabilito in particolare che: 1) i diritti pretesi da Pechino nella c.d. «Nine Dash Line» (linea dei nove tratti) esulano dall’ordinario regime dell’UNCLOS e non trovano fondamento in consolidati titoli storici; 2) le scogliere affioranti a bassa mare su cui Pechino ha costruito installazioni (spesso di natura militare), non possano avere propri spazi marittimi. In relazione a tale pronuncia, Washington svolge sistematicamente operazioni navali nel Mar Cinese Meridionale, per affermare la libertà di navigazione nelle aree di acque territoriali illegittimamente pretese dalla Cina, operando a stretto contatto con Gran Bretagna e Australia nell’ambito di una Coalition of Willings cui partecipano anche altri Stati. (9) A. Ranieri, Il regime giuridico dell’area Azov-Kerch, Il Diritto Marittimo, 2015, II, 315. (10) Il testo della EUMSS è in https://ec.europa.eu/. (11) U. Leanza, Il Nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, 1993, 360. (12) Il para 1 dell’art. 7 così recita: «1. Nelle località dove la linea di costa è profondamente incavata e frastagliata, o vi è una frangia di isole lungo la costa nelle sue immediate vicinanze, si può impiegare il metodo delle linee di base diritte che collegano punti appropriati, per tracciare la linea di base dalla quale si misura la larghezza del mare territoriale». (13) T. Scovazzi, Harlequin and the Mediterranean in Contemporary Developments in International Law, Brill, 2016,291 ss. (14) Atti in http://gfcmsitestorage.blob.core.windows.net/documents/web/SAC/2013/IUU/Third_Ministerial_ Conference_Fisheries_Venice_2003.pdf. (15) https://www.fao.org/iuu-fishing/en/. (16) Testo in GU Serie Generale n.148 del 23/06/2021. (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/ 06/23/21G00103/sg). (17) Sulla decisione croata vedi il comunicato in https://www.un.org/Depts/los/. (18) Fisheries Case (United Kingdom v. Norway), Icj, 1951, Judgment, p. 20: «The delimitation of sea areas has always an international aspect; it cannot be dependent merely upon the will of the coastal State as expressed in its municipal law. Although it is true that the act of delimitation is necessarily a unilateral act, because only the coastal State is competent to undertake it, the validity of the delimitation with regard to other States depends upon international law». (19) Cfr. F. Caffio, L’Italia di fronte alla proclamazione unilaterale algerina della Zona economica esclusiva, Il Mare, MISE-Unmig, III ed., 2020, 85. (20) Cfr. «Turkey: Remodelling the eastern Mediterranean», European Parliament, Briefing, 2020, in https://www.europarl.europa.eu. (21) La posizione turca, espressa per la prima volta con la Information Note del 2 marzo 2004 (in LOS Bulletin n. 53), è stata ripetuta infinite volte in documenti ufficiali. (22) Vedi D. Ortolland, The Greco-Turkish dispute over the Aegean Sea : a possible solution?, La Revue gèopolitique, 10 Avril 2009, http://www.diploweb.com/TheGreco-Turkish-dispute-over-the.html. (23) Cfr. F. Caffio, La lunga storia del negoziato italo-maltese sulla delimitazione della piattaforma continentale, Rivista Diritto della Navigazione, 2020, 1,. 285. (24) Testo in https://unmig.mise.gov.it/index.php/it/dati/cartografia/. (25) Il sunto della decisione in data 29 giugno 2017 della Corte arbitrale è in https://pcacases.com/web/sendAttach/2175. (26) Cfr. «ICJ to rule on Albanian-Greek maritime dispute», 28/10/2020. https://country.eiu.com/ article.aspx. (27) La disputa tra Spagna e Gran Bretagna verte sulle acque territoriali del possedimento britannico di Gibilterra, appartenente all’Inghilterra dopo essere stato ceduto dal regno di Spagna con il trattato di pace di Utrecht del 13 luglio 1713. L’Inghilterra pretende uno spazio di acque territoriali di 3 miglia verso l’alto mare, separato verso terra, nella baia di Algeciras, dalla mediana con la costa spagnola. La tesi spagnola è che la Gran Bretagna non abbia titolo alla sovranità sulle acque territoriali in quanto l’articolo X del trattato di Utrecht stabilisce che la Spagna cede alla Corona della Gran Bretagna «la città e la rocca di Gibilterra, unitamente al suo porto, postazioni difensive e fortezze [...] senza alcuna giurisdizione territoriale [...]». La posizione inglese è che il divieto di giurisdizione territoriale debba intendersi al di là della portata dei cannoni delle fortificazioni, la quale al tempo era convenzionalmente stabilita in 3 miglia in relazione al principio del «cannon shot rule». (28) Convenzione di Amburgo del 1979, Annesso, par. 1.3.1. (29) Convenzione SOLAS , cap. V, regola 7. (30) L’Annesso alla Convenzione di Amburgo (para 2.1.7) dispone che «La delimitazione delle regioni di ricerca e di salvataggio non è legata a quella delle frontiere esistenti tra gli Stati e non pregiudica in alcun modo dette frontiere». (31) Cfr. M. Vella, Malta SAR “not for sale”, Borg replies to Frattini, in Maltatoday, 29 agosto 2009. Eloquente è la seguente posizione maltese espressa in tale articolo: «Italy has long vied for a portion of Malta’s SAR area, which would also mean raking in the benefits of funding for the Italian coastguard, fishing zones, and even oil exploration. Malta also earns millions of euros a year from air traffic control charges on aircraft using the area, known as the flight information region (FIR). The Cabinet had also shot down a proposal made by then Home Affairs Minister Tonio Borg in 2005 to shrink the SAR area by some 70%. Borg had said the government could choose either to reduce the SAR area or to stick to its stand that the nearest safe port receives immigrants and refuse to sign any international conventions to the contrary».
(32) Questo risulta dal Global SAR Plan elaborato dall’IMO (in http://www.imo.org/en/ourwork/safety). (33) La FIR è un’area dello spazio aereo internazionale in cui, sulla base delle prescrizioni dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (ICAO), è previsto che gli aeromobili comunichino allo Stato costiero informazioni sul proprio piano di volo al fine di salvaguardare la sicurezza del traffico aereo. La coincidenza tra SAR e FIR non è obbligatoria; la Convenzione di Amburgo del 1979 la prevede solo in forma di auspicio, considerando l’eventualità di un evento SAR che coinvolga un aeromobile. (34) Cfr. F. Caffio, L’emergenza immigrazione riaccende la tensione tra Italia e Malta, in Affarinternazionali, aprile 2010. (35) Sulla posizione turca cfr. https://www.mfa.gov.tr/search-and-rescue-regions-in-the-aegean.en.mfa. (36) Cfr. E. Milano-I. Papanicolopolu, Territorial Disputes and State Responsibility on Land and at Sea, 2009 in https://boa.unimib.it/retrieve/handle/ 10281/7845/8485/milano_papanicolopulu_paper.pdf. (37) J. Holmes, cit. (38) Vedi precedente nota (18). (39) Un ennesimo episodio messo in atto dalla Turchia per ostacolare la realizzazione del gasdotto si è verificato il 29 settembre 2021 a danno della nave di ricerca Nautical Geo operante per conto di Edison Italia. Vedi Report: Turkish Navy Intervenes in EastMed Pipeline Survey in https://www.maritime-executive.com/article/. (40) Vedi F. Caffio, Cipro: ambizioni e strategie marittime nel Mar di Levante, in https://www.affarinternazionali.it/2018/02/. (41) Vedi A. Sicurezza, La vicenda della Saipem II, Rivista Marittima, 6, 1999, 87. (42) R. Vassallo, Updated|Castille requests clarifications from Heritage Oil on Libyan “cease and desist”, Maltatoday, 5 January 2011 in https://www.maltatoday. com.mt/news/national/7697. (43) T. Treves, Coastal states’ rights in the Maritime areas under Unclos, Brasilian Journal of International Law, 2015, 1, 40. (44) Cfr. F. Caffio, La cooperazione nel soccorso in mare tra i paesi mediterranei: un impossibile obiettivo?, in E. Sciso (a cura di), I flussi migratori e le sfide all’Europa, Torino, 2020, 3 ss; Vedi anche, da ultimo, S. Gallinelli, Il paradosso delle aree SAR di Malta ed Italia. Le questioni giuridiche e politiche alla base del mancato raggiungimento di un accordo SAR tra i due paesi membri dell’Unione europea e il retroscena dei flussi migratori irregolari via mare, Il Diritto Marittimo, 2021, III, 662 ss. (45) Questo il testo dell’Annesso alla Convenzione di Amburgo (par. 2.1.5): «Se le parti interessate non raggiungono un accordo sulle dimensioni esatte di una zona di ricerca e di salvataggio, dette parti fanno tutto il possibile per raggiungere un accordo sull’adozione di disposizioni adeguate che permettano di assicurare un equivalente coordinamento generale dei servizi di ricerca e di salvataggio in detta zona. Il Segretario generale viene informato dell’adozione di dette disposizioni». (46) C. Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello «Jus publicum europaeum», Adelphi, 1991, 207. (47) B. Conforti, The Mediterranean and Exclusive Economic Zone, in U. Leanza (a cura di), Il regime giuridico internazionale del Mar Mediterraneo, 1987, pag. 180. (48) Cfr. G. Ciarlariello, 10 tonnellate di tonno rosso illegale sequestrate ogni anno in Italia, WWF 23.7. 20, in https://www.wwf.it/. (49) Cfr. al riguardo il seguente Ordine del giorno approvato dalla Camera nella seduta di giovedì 13 marzo 2014: «La Camera, premesso che: (…) il 3 e l’11 Ottobre 2013 a largo di Lampedusa si è consumata una terribile tragedia con la morte di centinaia di rifugiati che tentavano di raggiungere le coste europee per trovare asilo politico. Moltissimi dei deceduti sono bambini; in particolare la strage dell’11 di ottobre ha evidenziato una non chiarezza su chi — tra Italia e Malta — dovesse andare in soccorso della nave dei naufraghi che, con diversi feriti a bordo, imbarcava acqua, perché precedentemente mitragliata da una vedetta della Marina libica. L’incertezza su chi doveva intervenire ha provocato l’irreparabile, con la morte di centinaia di persone, impegna il governo: a istituire una sala operativa congiunta Italia-Malta in modo da uniformare il coordinamento di Roma del Comando generale delle Capitanerie di porto… con la corrispondente struttura dello Stato di Malta che tenda in tal modo a ridurre i conflitti o le situazioni di ridotta capacità decisionale, causata da una non ben definita competenza; a modificare i trattati di collaborazione per le operazioni SAR nel canale di Sicilia al fine di ridurre al minimo i problemi di competenza rilevati nel tragico evento dell’11 ottobre 2013» (9/2149/10. on.li Villarosa, Lombardi, Nuti). (50) In merito a questo obbligo la Corte internazionale di Giustizia (North Sea Continental Shelf, Judgment (1969), para. 85(a)) ha stabilito che le parti devono negoziare «with a view to arriving at an agreement and not merely go through a formal process of negotiation» e non insistere nelle loro posizioni «without contemplating any modification of it». (51) Sulle soluzioni — non sempre favorevoli al nostro paese — vedi G.P. Francalanci-P. Presciuttini, Storia dei trattati e dei negoziati per la delimitazione della piattaforma continentale e del mare territoriale tra l’Italia e i paesi del Mediterraneo 1966-1992, IIM, 2000. (52) Nel 2012 è stato costituito «un tavolo tecnico tra Italia e Malta per lo studio di un’eventuale esplorazione e sviluppo congiunto in una parte di mare oggetto di contenzioso, Malta ha continuato ad assegnare a compagnie petrolifere delle aree in acque non ancora definite da un accordo bilaterale» (Il Mare, Mise, Ed. 2015, 65). (53) Il Modus Vivendi è citato nella sentenza del caso Malta/Libia, 1985, ICJ, para 17 (in https://www.icj-cij.org/files/case-related/68/068-19850603-JUD-01-00EN.pdf) nel seguente modo: «In 1970 agreement was reached between Malta and Italy for provisional exploitation of the continental shelf in a short section of the channel between Sicily and Malta on each side of the median line, subject to any adjustments that might be made in subsequent negotiations». (54) Testo in https://documents-dds-ny.un.org/doc/. (55) È importante notare che la stessa Risoluzione: «Invites the Governments of Greece and Turkey in this respect to continue to take into account the contribution that appropriate judicial means, in particular the International Court of Justice, are qualified to make to the settlement of any remaining legal differences which they may identify in connexion with their present dispute». (56) Cfr. Cavusoglu says Turkey could declare EEZ in Eastern Mediterranean, 8/10/2021 https://www.ekathimerini.com/news/. (57) Vedi F. Caffio, La lunga storia del negoziato italo-maltese sulla delimitazione della piattaforma continentale, cit. (58) Qualcosa di simile è stato realizzato col Pacific Islands Forum cui partecipano Australia, Federated States of Micronesia, Fiji, Kiribati, Palau, Papua New Guinea, Marshall Islands, Nauru, New Zealand, Samoa, Solomon Islands, Tonga, Tuvalu, Vanuatu (vedi lo Statement del 2020 in https://www.un.org/en/ga/sixth/75/pdfs/statements/ilc/13mtg_pacificislans.pdf). (59) Ci si riferisce alla ricerca relativa ad Acque giurisdizionali nel Mediterraneo e nel mar Nero, Parlamento europeo, Bruxelles, 2009, p. 96 in https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ etudes/join/2009/431602/IPOL-PECH_ET(2009)431602_IT.pdf. In questo studio dell’Università di Siviglia è compresa una cartina indicante come ZEE greca un’area di circa 40.000 km2 che sarebbe generata dall’isolotto di Castellorizo. Secondo questa cartina, la Turchia avrebbe invece titolo a una ridotta area di ZEE in prossimità della costa anatolica che le negherebbe la possibilità di essere lo Stato frontista dell’Egitto. Nella stessa mappa si indica come ZEE maltese un’area che contrasta con i diritti dell’Italia e rappresenta, dal 1980, la pretesa unilaterale avanzata dalla Valletta per la piattaforma continentale. La Turchia ha più volte contestato questa mappa (vedi per esempio il Press Release n. 244-2020 in https://www.mfa.gov.tr/no_244). (60) https://ufmsecretariat.org/who-we-are/member-states/. (61) Cfr. K. Stabrun, The Grey Zone Agreement of 1978: Fishery Concerns, Security Challenges and Territorial Interests, FNI Report 13/2009. Questo accordo è stato poi parzialmente recepito in quello del 2010 relativo alla delimitazione delle ZEE tra Russia e Norvegia e alla creazione di una zona di sfruttamento congiunto a cavallo del confine. (62) Vedi la precedente nota (52). (63) Vedi la precedente nota (53). (64) Vedi D. Ortolland, cit. (65) Cfr. S. Trevisanut, op.cit., p. 528. Il testo dell’Arrangement for the coordination of search and rescue services concluded between the Government of Australia and the Government of Indonesia, è stato pubblicato dall’IMO nella SAR.6/Circ.22 13 April 2004, reperibile nel sito https://www. transportstyrelsen.se/contentassets/. (66) L’intesa è stata definita con l’Agreement on cooperation on aeronautical and maritime search and rescue in the arctic del 2011 (reperibile nel sito https://www.ifrc.org/docs/idrl/N813EN.pdf). (67) Testo reperibile in http://www.bsmrcc.com/files/legal3.pdf. (68) Un excursus in materia è in F. Caffio, La cooperazione nel soccorso in mare tra i paesi mediterranei: un impossibile obiettivo?, in E. Sciso (a cura di), I flussi migratori e le sfide all’Europa, Torino, 2020.