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I MAS nella Grande Guerra: un’evoluzione tattica vincente
La Grande Guerra del 1915-18 rappresentò la sfida di gran lunga più difficile e complessa affrontata dalla Regia Marina dall’epoca della sua fondazione (1861). Quest’ultima, a seguito della comparsa di nuovi dispositivi bellici come sommergibili, mine subacquee e velivoli, fu chiamata a dare prova fin da subito delle sue capacità di adattamento alla nuova fisionomia assunta dalla guerra marittima (1). In questo arduo contesto, l’elaborazione della «strategia della battaglia in porto» fu tra le principali espressioni di tale processo adattivo; strategia che si concretizzò nella messa a punto di speciali mezzi insidiosi che permettessero di aggirare l’impasse derivata dalla costante minaccia rappresentata dai sommergibili degli imperi centrali (2) (Germania e Austria-Ungheria in primis) che rendevano estremamente rischiosa l’uscita in mare delle grandi navi da battaglia, sulle quali si era basato, fino ad allora, il conseguimento del dominio del mare (Command of the Sea, secondo la definizione di Alfred Thayer Mahan) (3).
La «strategia della battaglia in porto» consisteva nel portare la guerra all’interno delle basi nemiche, superando sbarramenti e ostruzioni retali, al fine di colpire direttamente le navi alla fonda (4). Resa possibile soprattutto dal proficuo sviluppo di mezzi insidiosi, rappresentati principalmente dai MAS (motoscafi antisommergibile), questa strategia ebbe un peso determinante nell’economia del conflitto italo-asburgico, permettendo alla Regia Marina di conseguire alcuni dei suoi maggiori successi, ovvero l’affondamento delle corazzate Wien (10 dicembre 1917) e Viribus Unitis (1o novembre 1918, a cui si aggiunsero le imprese compiute dai MAS in mare aperto, come il siluramento della Szent Istvan (10 giugno 1918) a opera del comandante Luigi Rizzo.
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Pur tenendo conto di questi risultati finali piuttosto eclatanti, non si deve commettere l’errore di adottare una visione semplicistica del fenomeno che portò alla messa a punto dei MAS, che non fu per nulla immediato. A questo proposito, ciò che fin da ora è bene sottolineare è la natura processuale degli sviluppi che condussero al perfezionamento delle caratteristiche tecniche di questi mezzi e, aspetto non meno importante, all’elaborazione di una dottrina d’impiego adeguata alle necessità operative della guerra in corso. Infatti, come ricorda il grande storico militare Basil H. Liddell Hart citando l’esempio dell’introduzione del carro armato nel Primo conflitto mondiale (5), pur essendo disponibile, talvolta, nelle mani di uno dei contendenti, un’arma virtualmente decisiva, non è per niente ovvio che essa venga, poi, impiegata nel modo più proficuo, mettendone a frutto tutte le potenzialità e le caratteristiche.
Lo scopo di questo articolo, pertanto, è quello di descrivere le fasi salienti dello sviluppo dei MAS e, soprattutto, le modalità con le quali si giunse alla formulazione di una specifica dottrina d’impiego per questi mezzi insidiosi. Questo consentirà di analizzare l’atteggiamento della Regia Marina di fronte alle innovazioni tecnologiche, per comprendere se essa fu in grado di servirsene nel modo più adeguato, in risposta alle necessità del conflitto. Verranno, inoltre, identificate le principali personalità che ebbero un ruolo chiave in questo processo di sviluppo dei MAS, oltre ai contesti operativi che furono maggiormente decisivi per la loro sperimentazione e per il loro impiego.
Nonostante la progettazione dei MAS risalga al periodo prebellico, il primo passo concreto verso l’adozione di imbarcazioni dalle caratteristiche idonee a fronteggiare le nuove minacce subacquee fu la creazione del Corpo Nazionale dei Volontari Motonautici (CNVM). Questo Corpo, istituito mediante il decreto luogotenenziale n.
Liddell Hart 1895-1970, storico, militare e giornalista britannico (wikipedia.it). Accanto: Camillo Corsi, militare e politico italiano, ministro della Marina del Regno d'Italia (senato.it).
908 del 3 giugno 1915, dal punto di vista dell’organico fu composto durante la guerra da un’ottantina di volontari, la maggior parte dei quali in possesso di un motoscafo privato da diporto, incaricati di sorvegliare le acque costiere contro le insidie subacquee rappresentate dalle mine e dai sommergibili avversari (6). Essi vennero, pertanto, dislocati lungo tutte le coste della penisola, dall’alto Adriatico alla Sicilia, precisamente nelle sedi di Grado, Monfalcone, Venezia, Porto Corsini, Rimini, Pesaro, Ancona, Barletta, Brindisi, Taranto, Messina, Trapani, Catania, Napoli, La Spezia, Genova e Rodi.
Sulla funzione specifica di questi mezzi, si legge in un documento del 23 aprile 1916 firmato dal ministro della Marina Camillo Corsi: «I motoscafi del Corpo Nazionale dei Volontari Motonauti sono principalmente adibiti alla sorveglianza del litorale loro assegnato, ed eventualmente a dar caccia ai sommergibili, ricuperare mine o idrovolanti, riconoscere sbarramenti fatti dal nemico in vicinanza delle coste, ecc. I motoscafi saranno impiegati solo per servizi militari e usati esclusivamente con il loro equipaggio» (7).
Dunque, come si può vedere, il Corpo dei Volontari Motonautici nasceva come risposta immediata alle esigenze imposte dalla nuova guerra marittima, nella quale si erano definitivamente affermati sommergibili, mine e idrovolanti, di fronte ai quali non era più sufficiente la quantità di torpediniere e di naviglio leggero allora in uso nella Marina. Pur essendo fondamentalmente dotati di motoscafi civili adibiti a un utilizzo militare (armati con mitragliatrici, fucili, bombe antisommergibile e cannoni da 25 mm), l’esperienza dei Volontari Motonautici fu molto significativa in quanto contribuì a fissare inizialmente i primi criteri d’impiego per l’utilizzo dei motoscafi in contesti bellici. A riprova di ciò, alcuni comandanti (circa una ventina) furono abilitati, successivamente, al comando di un MAS o di una squadriglia MAS, benché questi ultimi fossero mezzi di natura specificatamente bellica e, quindi, differissero da un motoscafo civile per una molteplicità di aspetti.
Ben prima dell’istituzione dei Volontari Motonautici (che rappresentò un provvedimento transitorio, indotto dalle contingenze appena successive all’ingresso in guerra) la Regia Marina aveva, inoltre, intrapreso lo sviluppo di un proprio mezzo sottile, studiato specificatamente per rispondere alle esigenze belliche. Non un semplice motoscafo civile adibito a uso bellico, bensì un’imbarcazione più veloce, più strutturata e meglio armata con la quale fosse possibile condurre anche azioni offensive e non soltanto operazioni di pattugliamento delle acque antistanti le principali basi navali. Nasceva così il MAS (acronimo di motoscafo antisommergibile), il cui primo prototipo venne progettato dalla ditta veneziana SVAN (Società veneziana automobili nautiche) e sottoposto all’attenzione del capo di Stato Maggiore della Marina, il viceammiraglio Paolo Thaon di Revel. Questi, in data 28 febbraio 1915, così si esprimeva in merito a tale argomento: «Ritengo che, per la elevata velocità e la notevole capacità offensiva, questi autoscafi potrebbero prestare utili servizi nella difesa mobile delle piazze marittime, e anche di basi eventuali di operazioni» (8).
Il progetto della SVAN prevedeva la realizzazione di un motoscafo da 12 t di dislocamento, armato con due tubi lanciasiluri e dotato di quattro motori da 100 cv ciascuno, in grado di sviluppare una velocità di 30 nodi, decisamente elevata rispetto agli standard dell’epoca, con un’autonomia massima di 200 miglia (9). Il primo ordine per questo tipo di motoscafo venne effettuato ufficialmente il 16 aprile 1915 e qualche mese dopo i primi MAS furono pronti per le prove in mare. I primi test effettuati,
tuttavia, misero in evidenza fin da subito una serie di problematiche, a cominciare proprio dalla velocità dei mezzi, che risultò di gran lunga al di sotto delle aspettative raggiungendo appena i 22 nodi, come testimonia un documento redatto dalla commissione incaricata di collaudare questi primi motoscafi: «La commissione di collaudo per le motobarche antisommergibili ha già iniziato i suoi lavori procedendo alle prove delle prime due motobarche. Dette prove però non sono state mai portate a compimento poiché in ogni uscita si sono verificate piccole avarie ai motori […]. Queste frequenti avarie è a sperare che con un miglior aggiustaggio dei motori abbiano a scomparire; ma tuttavia mettono in evidenza l’assoluta necessità di avere dei motoristi assai abili e pratici […]. Dalle prove finora fatte si può anche stabilire per le prime quattro motobarche quale sia la velocità massima raggiungibile, coll’attuale assetto e con le attuali eliche, giacché col massimo numero di giri consentito dai motori già raggiunto in varie uscite, la velocità massima controllata, è stata di pochi decimi superiore alle 22 miglia» (10). Questa nota è molto significativa in quanto mette in luce le notevoli difficoltà iniziali di messa a punto dei mezzi, sia sul piano della velocità massima sia dell’affidabilità dei motori. Da queste premesse, non proprio incoraggianti, ebbe inizio da quel momento un lungo processo di messa a punto dei MAS, come testimonia l’ampia documentazione conservata presso l’archivio dell’Ufficio Storico della Marina, che vide impegnate a fianco degli ufficiali tecnici anche le massime autorità dell’istituzione, a cominciare dal capo di Stato Maggiore Thaon di Revel, il quale fu tra i primi ad avere fiducia nella bontà del progetto.
L’attacco non era, però, l’unica esigenza operativa che si era affermata durante quei primi mesi di guerra. Un altro problema di fondamentale importanza riguardava la difesa del traffico marittimo, che risultava sempre più esposto alle offese degli U-boot tedeschi, dopo che questi, nella primavera del 1915, ebbero fatto il loro ingresso nel Mediterraneo (11). Su ispirazione di quanto stava avvenendo all’estero, soprattutto presso la Royal Navy, dove speciali motoscafi da 40 t erano stati adibiti al servizio di pattuglia in funzione antisommergibile, anche la Regia Marina dispose la progettazione di motoscafi adatti a rispondere a questo tipo di esigenza. Nacquero così i mo-
«Il luogo maggiormente decisivo per lo sviluppo dei MAS, sia dal punto di vista tecnico sia della dottrina d’impiego, fu la base di Venezia» (USMM).
delli SVAN da 19 t, che dovevano ospitare un cannone da 76 mm, assieme a una ventina di bombe di profondità (torpedini da getto) e torpedini da rimorchio e, per le stesse necessità operative, nel 1916, motoscafi da 40 t (come quelli in servizio nella Royal Navy), furono ordinati alla ditta statunitense Elco, dotati anch’essi di un cannone da 76 mm, di un equipaggio di dieci uomini e di una velocità massima di 19 nodi. I MAS di questa tipologia, essendo stati concepiti per il servizio di difesa del traffico mercantile, furono dislocati principalmente nel Tirreno, mentre l’Adriatico, sotto questo profilo, costituiva un teatro operativo assai differente, in quanto al suo interno la priorità dei MAS non era la difesa dei traffici, bensì l’impiego offensivo contro le unità della Marina asburgica. Proprio in relazione a ciò, va ricordato come questo bacino rappresentasse l’unico spazio marittimo nel Mediterraneo dov’era in corso un confronto effettivo tra le forze dell’Intesa e quelle degli Imperi Centrali. Non c’è da stupirsi, quindi, se fu proprio in tale contesto operativo (e in particolare nell’alto Adriatico, dove la prossimità
con le basi austroungariche era ancora maggiore) che avvennero gli sviluppi più significativi inerenti i MAS e la loro dottrina d’impiego, che nel loro utilizzo come mezzi d’assalto rappresentarono, nell’ambito del Primo conflitto mondiale, una peculiarità del tutto italiana.
L’utilizzo in qualità di mezzi d’assalto, tuttavia, fu una modalità operativa a cui si approdò in seconda istanza, a seguito di esperienze maturate sul campo. Infatti, al momento della loro consegna (nella primavera del 1916), i MAS furono impiegati in Adriatico utilizzando concetti d’impiego mutuati direttamente da quelli validi per i motoscafi del Corpo Nazionale Volontari Motonautici, che consistevano principalmente nella vigilanza nei pressi delle zone portuali, nella segnalazione e nel recupero di torpedini alla deriva, nel fornire appoggio agli idrovolanti e nell’avvistamento di sommergibili avversari. In sintesi, si trattava di compiti essenzialmente litoranei e difensivi (12).
Questi criteri d’impiego vennero definitivamente superati nel momento in cui la Marina comprese che i MAS potevano essere utilizzati con successo in qualità di mezzi insidiosi per spingersi all’interno delle basi navali austroungariche, in applicazione a quella che l’ammiraglio Giuseppe Fioravanzo (importante pensatore navale nel periodo tra le due guerre) definì «strategia di distruzione di un nemico che rifiuta la battaglia al largo» (13). Fu così che nella notte del 7 giugno 1916 avvenne l’incursione di due MAS all’interno della rada di Durazzo, che portò all’affondamento del piroscafo austroungarico Lokrum, e che costituì la prima di questo genere di imprese (14). Nonostante i due MAS fossero salpati da Brindisi, il luogo maggiormente decisivo per lo sviluppo dei MAS, sia dal punto di vista tecnico sia della dottrina d’impiego, fu la base di Venezia, che dall’ottobre 1915 era stata posta sotto il comando di Thaon di Revel, dimessosi per ragioni politiche dalla carica di capo di Stato Maggiore della Marina. Revel dedicò molta attenzione alla messa a punto dei MAS, dirigendone personalmente i lavori di miglioria, tanto che, come ha scritto Ezio Ferrante nella sua biografia dedicata al Grande Ammiraglio, le sue giornate si alternavano «tra la sede di comando in Arsenale, il canale della Giudecca (base delle unità leggere e sottili) e il campo d’aviazione di Sant’Andrea al Lido» (15).
Le ragioni di questo interesse di carattere tecnico, per vari aspetti inusuale (Revel era pur sempre un ufficiale di Stato Maggiore, non certo del Genio Navale), va ricercata nella visione strategica che Revel aveva nei riguardi del conflitto in corso. Egli, infatti, era sempre più convinto della necessità di non esporre le grandi unità da battaglia ai potenziali rischi costituiti dalla presenza di mine e sommergibili, i quali, in un mare ristretto come l’Adriatico avevano già dimostrato tutto il loro potenziale distruttivo. Pertanto, a suo modo di vedere, l’iniziativa doveva essere affidata al naviglio sottile e insidioso, le cui eventuali perdite sarebbero state più facilmente rimpiazzate, in modo da tenere costantemente sotto pressione le Forze navali austroungariche (16). A seguito di queste considerazioni, risulta più comprensibile l’interesse personale manifestato da Revel, che identificò nei MAS le armi ideali per portare a compimento il suo concetto di «guerriglia marittima», che avrebbe consentito alla Regia Marina di ritrovare l’iniziativa sul fronte marittimo senza, tuttavia, correre il rischio di perdere le costosissime corazzate.
La base di Venezia divenne, quindi, per usare un’altra espressione di Ezio Ferrante, il «laboratorio della nuova guerra aeronavale nell’Adriatico» essendo fornita di tutte le infrastrutture (Arsenale in primis) e delle maestranze
MAS 15 e 21. Dall’alto: MAS 2, 9 e 95. Nella pagina accanto la corazzata WIEN, affondata a opera del MAS di Luigi Rizzo (sullo sfondo, assieme a
Costanzo Ciano) il 10 dicembre 1917. A pagina 86, sullo sfondo, alcuni
membri dell’equipaggio dei MAS 9 E 13 (USMM). necessarie allo sviluppo dei MAS e, non a caso, presso la città lagunare fu stabilita la sede dell’Ispettorato MAS, guidato dal capitano di vascello Costanzo Ciano (padre di Galeazzo), che venne incaricato di organizzare le stazioni e i servizi necessari ai motoscafi, oltreché di prendere parte ad alcune importanti incursioni.
In virtù di ciò, nel luglio 1916, prese avvio la pianificazione di un’incursione da condurre, questa volta, all’interno del porto austroungarico di Pola (la base principale della flotta asburgica), su ispirazione di quanto era avvenuto la notte del 7 giugno 1916 a Durazzo. L’obiettivo era una grande unità da battaglia ormeggiata presso il canale di Fasana. Prima di procedere con la missione, tuttavia, era necessario risolvere una serie di inconvenienti, come ridurre le emissioni acustiche dal motore del MAS 20, designato per l’operazione, in modo da permettergli di procedere silenziosamente all’interno delle acque della base avversaria. L’altro principale problema tecnico era costituito dalla necessità di superare l’ostruzione che proteggeva l’accesso del porto. Entrambi i problemi vennero risolti con metodi ingegnosi, dopo lunghi mesi di preparativi e di esperimenti condotti nell’Arsenale di Venezia e negli specchi d’acqua lacustre che circondano la città, al fine di mettere a punto ogni singola fase nel modo più realistico. Tutto questo è ben descritto nella relazione che il capitano di vascello Carlo Pignatti di Morano, che fu l’ideatore (e uno degli esecutori) della missione, consegnò a Thaon di Revel il 6 novembre 1916 (17). In particolare, il MAS 20 fu dotato di due motori elettrici, da 5 cv ciascuno, che erano in grado di sviluppare una velocità di 4-5 nodi garantendo, nel contempo, diverse ore di autonomia, mentre una torpediniera (la 9 PN) fu equipaggiata mediante un ingegnoso dispositivo per l’abbassamento dell’ostruzione retale che impediva l’accesso al porto.
La missione, che si svolse nella notte del 2 novembre 1916, nonostante avesse mancato l’obiettivo primario di affondare l’unità austroungarica (a causa del malfunzionamento dei siluri imbarcati), fu comunque giudicata un notevole successo, in quanto la sorveglianza del porto venne perfettamente elusa, al punto che gli austroungarici iniziarono a sospettare qualcosa solamente il giorno seguente, quando notarono due siluri inesplosi sul fondo del canale, e si accorsero che l’ostruzione del porto era
stata abbassata. Per queste ragioni, l’azione nel canale di Fasana divenne una sorta di paradigma per la pianificazione delle incursioni successive, come quella che portò all’affondamento della corazzata Wien da parte del MAS di Luigi Rizzo, il 10 dicembre 1917, all’indomani dei fatti di Caporetto.
Il successo nel forzamento del canale di Fasana, tra le altre cose, suggerì di apportare delle modifiche tecniche nello sviluppo dei MAS, alcuni dei quali, su indicazione di Revel, a partire da febbraio 1917 iniziarono a essere dotati di motori elettrici «di serie», al fine di potersi muovere silenziosamente nelle acque pattugliate dalla Marina austro-ungarica (18). Si iniziarono allora a comprendere le reali potenzialità dei MAS che dagli iniziali compiti di perlustrazione furono progressivamente impiegati per una sempre maggiore varietà di azioni.
Nel 1917 i MAS furono utilizzati nell’ alto Adriatico anche per compiti di scorta alle navi da battaglia e ai monitor schierati per bombardare dalla costa le posizioni austroungariche sul fronte terrestre. Inoltre, con costanza sempre maggiore, essi fornirono appoggio alle missioni di volo di bombardieri e idrovolanti dirette contro obiettivi strategici sulle coste avversarie, tenendosi pronti per la ricerca e il soccorso dei velivoli abbattuti. Nel frattempo, essendo aumentata la disponibilità di queste unità, nell’aprile del 1917 si dovette provvedere a una riorganizzazione dell’intera flottiglia e delle sue sedi. Fu stabilita la dislocazione di 56 MAS, scelti tra i più veloci, nell’Adriatico, e 18 fra questi furono assegnati alla sola base di Venezia; mentre 114 unità furono destinate alla difesa del traffico nel Tirreno (19).
Nei giorni drammatici che seguirono la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917), diversi MAS si addentrarono nella rete di canali interni che collegano la laguna di Grado con quella di Venezia, per cercare di rallentare l’avanzata delle avanguardie austro-tedesche (20), a riprova della loro notevole versatilità. Il 10 dicembre successivo si svolse l’incursione del MAS di Luigi Rizzo nel vallone di Muggia, presso il porto di Trieste, che portò al già citato affondamento della corazzata costiera Wien. Si trattò di un importante successo tattico (la Wien costituiva una minaccia per le postazioni costiere, con i suoi potenti cannoni da 240 mm) che diede una scossa positiva al morale della nazione, duramente provato dai drammatici giorni seguiti alla rottura del fronte isontino e al ripiegamento sulla linea del Piave.
A seguito di questi avvenimenti, all’inizio del 1918 i tempi erano maturi perché si pensasse a un utilizzo dei MAS in chiave quasi esclusivamente offensiva, a discapito di quell’utilizzo litoraneo e difensivo con cui questi mezzi erano inizialmente entrati in servizio nel 1916. Questa rivoluzione tattica è perfettamente esemplificata dalla circolare riservatissima del 30 luglio 1918, firmata da Revel, che sintetizza in modo efficace la nuova filosofia che fu alla base dell’impiego dei MAS nell’ultimo anno di guerra, la quale si poneva in netto contrasto con i concetti d’impiego iniziali. Per maggiore chiarezza ne riportiamo alcune righe: «[…] l’azione dei MAS deve avere carattere eminentemente offensivo: all’uopo sono assegnati in Adriatico i MAS di velocità più elevata, e occorre che questa sia costantemente molto curata, quale condizione indispensabile affinché le missioni che saranno a essi affidate abbiano le maggiori probabilità di buona riuscita. In Adriatico i MAS sono armi da adoperarsi senza risparmio e senza tema di sacrificarli, quando ricorre il momento bellico opportuno: normalmente devono invece essere tenuti pronti (quasi come il fucile alla rastrelliera) nella massima efficienza, e bisogna risparmiarli quanto più è possibile nei servizi normali […]» (21).
I MAS divennero così delle armi prevalentemente offensive, da tenere in serbo per le occasioni propizie, al fine di infliggere il massimo danno alla flotta avversaria, e nel 1918 essi non mancarono di cogliere importanti successi, come il forzamento del porto di Buccari (11 febbraio 1918) ma, soprattutto, il già citato affondamento della corazzata Szent Istvan (10 giugno 1918) compiuto al largo di Premuda da Luigi Rizzo, che divenne così «il siluratore per antonomasia delle corazzate austriache» (22).
In questo processo di estensione e di successiva ridefinizione delle tipologie d’impiego dei MAS giocò un ruolo fondamentale l’apertura manifestata dagli ufficiali della Regia Marina nei confronti delle innovazioni tecniche, che permise l’utilizzo di questi speciali motoscafi in qualità di mezzi insidiosi per riacquisire una certa capacità offensiva nei confronti dell’avversario. L’atteggiamento degli ufficiali di Stato Maggiore della Regia Marina e, soprattutto, di Thaon di Revel, rivelò con il passare del tempo una progressiva presa di coscienza delle nuove caratteristiche assunte dal conflitto, trasformatosi sempre più, sia sul fronte marittimo sia terrestre, in una guerra di logoramento, da condurre con mezzi economici (ma efficaci), senza più ricercare lo scontro risolutivo tra le rispettive squadre da battaglia, come invece prevedeva il pensiero navale più classico. Certamente non mancarono all’interno della Regia Marina disaccordi sulla condotta strategica da adottare, che videro contrapporsi, soprattutto, il viceammiraglio Thaon di Revel, capo di Stato Maggiore, e Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, Comandante in capo delle Forze navali mobilitate. Tuttavia, alcuni gravi episodi, che videro la perdita di importanti unità (come gli incrociatori corazzati Amalfi, Garibaldi e la corazzata Regina Margherita), e gli sviluppi successivi del conflitto, videro sempre più accreditata e confermata la condotta strategica professata da Revel, al punto che, dopo le sue dimissioni nell’ottobre del 1915 e la parentesi trascorsa al comando della base di Venezia, nel febbraio del 1917, questi fu nuovamente chiamato a ricoprire la carica di capo di Stato Maggiore della Marina. Un evidente riconoscimento delle sue capacità e dell’esattezza delle sue vedute, anche se tardivo (23).
Ciò che garantì il pieno successo dei MAS come mezzi offensivi e della strategia della «battaglia in porto» non fu l’abilità dei comandanti, né il progresso tecnologico, o il favore di alcuni ufficiali, bensì la totalità di questi fattori, che nel loro complesso resero possibile la messa a punto di uno strumento bellico innovativo che, in relazione alle peculiarità del teatro adriatico, permise di cogliere alcuni risultati inaspettati e decisivi per la vittoria morale e materiale della Regia Marina sulla flotta austro-ungarica. 8
NOTE
(1) Riguardo ai cambiamenti tecnologici e tattici introdotti dalla Grande Guerra cfr. N. Friedman, Fighting the Great War at Sea, Strategy, Tactics and Technology, Seaforth Publishing, Barnsley 2014. (2) Sull’argomento si veda L. Sondhaus, German Submarine Warfare in World War I: The Onset of Total War at Sea, Rowman & Littlefield, London 2017. (3) Cfr. A.T. Mahan, The Influence of Sea Power Upon History 1660-1783, Methuen & Co. Ltd, London 1965. (4) E. Ferrante, La Grande Guerra in Adriatico, nel LXX anniversario della vittoria, Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 1987, pp. 53-55. (5) B.H. Liddell Hart, La Prima guerra mondiale 1914-1918, Bur Rizzoli, Milano 2015, pp. 324-337. (6) Cronistoria documentata della guerra marittima Italo-Austriaca (1915-1918), Ufficio Storico della Regia Marina, Roma 1919, collezione I, fascicolo IX, pp. 109-110. (7) Ivi, p. 111. (8) Ivi, p. 4. (9) Ivi, p. 36. (10) AUSMM, Raccolta di Base, busta 537, fascicolo 3, Informazioni, 22 febbraio 1916. (11) P.G. Halpern, La Grande Guerra nel Mediterraneo, vol. I, LEG, Gorizia 2009, pp. 228-254. (12) Cronistoria documentata della guerra marittima Italo-Austriaca (1915-1918), Ufficio Storico della Regia Marina, Roma 1919, collezione II, fascicolo IX, pp. 7-8. (13) G. Giorgerini, Attacco dal mare. Storia dei mezzi d’assalto della Marina italiana, Mondadori, Milano 2007, p. 30. (14) Cronistoria documentata della guerra marittima Italo-Austriaca (1915-1918), Ufficio Storico della Regia Marina, Roma 1919, collezione II, fascicolo IX, pp. 233-236. (15) E. Ferrante, Il grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Rivista Marittima, Roma 1989, p. 62. (16) E. Ferrante, La Grande Guerra in Adriatico, nel LXX anniversario della vittoria, Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 1987, pp. 32-33. (17) Cfr. Cronistoria documentata della guerra marittima Italo-Austriaca (1915-1918), Ufficio Storico della Regia Marina, Roma 1919, collezione II, fascicolo IX, pp. 29-32. (18) Cronistoria documentata della guerra marittima Italo-Austriaca (1915-1918), Ufficio Storico della Regia Marina, Roma 1919, collezione I, fascicolo IX, p. 99. (19) Ivi, p. 126. (20) P. Alberini, G. Manzari, M. Pagano, F. Prosperini (a cura di), Per Venezia non si passa. Le operazioni della Regia Marina sul fronte terrestre nel 1917, Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 2018, p. 17. (21) Cronistoria documentata della guerra marittima Italo-Austriaca (1915-1918), Ufficio Storico della Regia Marina, Roma 1919, collezione II, fascicolo IX, p. 21. (22) E. Ferrante, La Grande Guerra in Adriatico, nel LXX anniversario della vittoria, Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 1987, p. 111. (23) Sulla condotta strategica della Regia Marina in Adriatico cfr. P.G. Halpern, La Grande Guerra nel Mediterraneo, vol. I, LEG, Gorizia 2009, pp. 255-299.
BIBLIOGRAFIA
Cronistoria documentata della guerra marittima Italo-Austriaca (1915-1918), Ufficio Storico della Regia Marina, Roma 1919, collezione I, fascicolo IX. Cronistoria documentata della guerra marittima Italo-Austriaca (1915-1918), Ufficio Storico della Regia Marina, Roma 1919, collezione II, fascicolo IX. De Ninno, F., «La guerra navale nel Mediterraneo» in N. Labanca (a cura di), Dizionario storico della Prima guerra mondiale, Editori Laterza, Bari-Roma 2014. Ferrante, E., Il grande ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Rivista Marittima, Roma 1989. Ferrante, E., La Grande Guerra in Adriatico, nel LXX anniversario della vittoria, Ufficio Storico della Marina Militare, Roma 1987. Friedman, N., Fighting the Great War at Sea, Strategy, Tactics and Technology, Seaforth Publishing, Barnsley 2014. Giorgerini, G., Attacco dal mare. Storia dei mezzi d’assalto della Marina italiana, Mondadori, Milano 2007. Halpern, P.G., La Grande Guerra nel Mediterraneo (2 volumi), LEG, Gorizia 2009.