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Nuove prove sui viaggi di Amerigo Vespucci

Ritratto di Amerigo Vespucci accanto a una mappa delle Americhe e dell'Asia orientale. Dettaglio dalla mappa del mondo della cosmografia universale del cartografo tedesco Martin Waldseemüller, originariamente pubblicata nell'aprile 1507 (wikimedia.com).

La critica storica ha messo in discussione i suoi viaggi riportati in letteratura come lettere pubblicate agli inizi del 1500 e diffuse prima della sua morte, nel 1512.

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L’esame della documentazione esistente, ora facilmente consultabile per chi vuole farlo, permette di superare i dubbi espressi nel passato e arrivare a nuove conclusioni.

Nascita delle critiche

Le critiche iniziano agli inizi del 1600, cent’anni dopo lo svolgimento dei fatti, con la pubblicazione del libro Historia de los Hechos de los Castellanos en las Mas y Tierra Firme del Mar Oceano dello storico della corte spagnola Antonio de Herrera y Tordesillas. L’Herrera aveva ripreso quanto scritto da Bartolomé de las Casas nel libro Historia de Las Indias completato nel 1561, secretato per quaranta anni e che sarà pubblicato solo nel 1875.

Il vescovo Batolomé de las Casas, richiamato dal Chiapa e nominato storico della corte spagnola, era un fervente idealista, sostenitore della causa degli indios e ammiratore dell’impresa di Cristoforo Colombo. Essendosi ormai diffuso il nome America per denominare il nuovo continente ritenne che ciò fosse a discapito di Colombo e che costituisse anche un’offesa a Dio perpetrata da Vespucci o da chi aveva stampato le sue lettere.

Per convalidare questa tesi, prendendo spunto dalla «Lettera al Soderini», eliminando i riferimenti geografici inseriti nel primo viaggio e considerando il nome Paria (1) attribuito alle terre esplorate da Vespucci nel 1497, riferito (perché identico) a quelle terre scoperte da Colombo nel 1498, trascrisse molti passi del racconto del primo viaggio (svolto sulle coste caraibiche dell’America centro settentrionale) come se fossero appartenenti al secondo (sviluppatosi sulla costa caraibica dell’America meridionale nel 1499) e da questo tratti e datati nel ’97 con lo scopo d’attribuirsi il merito del primo sbarco sul continente e giustificarne così il nome.

Naturalmente c’erano molte incongruenze ma queste erano addebitate al Vespucci che non avrebbe saputo descrivere bene i luoghi. Anche le testimonianze portate dal Las Casas non fanno che confermare che il secondo viaggio di Vespucci, svoltosi nel 1499 in Paria, fu successivo a quello di Colombo nella stessa zona, ma questo è ben noto: volerci inserire anche il primo sconvolge la sequenza temporale degli accadimenti e rimescola il racconto rendendolo incomprensibile e illogico. Las Casas fu cacciato dagli Indios dell’odierno Venezuela, osteggiato dai coloni spagnoli del Chiapa messicano e promosso alla scrivania di storico di corte dal re Carlo V. In questo incarico preparò il boccone avvelenato della modifica della sequenza temporale degli avvenimenti storici (lui causa efficiente, dopo Dio) riportati nell’Historia de Las Indias per riparare all’offesa al Signore e all’ingiustizia nei confronti di Colombo, meravigliandosi che il figlio Diego Colombo, pur possedendo una copia della Lettera al Soderini, non fosse dello stesso parere. Il boccone fu cotto nei quaranta anni di segretezza in cui si dispersero testimonianze e documenti e servito, alla cultura europea e spagnola, da Antonio de Herrera y Tordesillas.

Infatti, l’opera di Herrera, pubblicata e tradotta in diverse lingue, divenne punto di riferimento per gli storici successivi e così William Robertson diffuse nel 1777 per il mondo anglosassone una History of America tratta solo da quelle pagine, senza alcuna verifica. Tutti ignorarono che Martin Waldseemüller nel 1507, aveva tracciato un mappamondo in cui Parias era disegnato dove lo aveva trovato Vespucci, cioè in quella penisola che si sarebbe chiamata Yucatan.

Da allora, anche dopo che si era compreso che Lariab anziché Paria fosse il nome del luogo in cui si era svolto il primo viaggio e capito che l’attribuzione del nome America fosse stato proposto per i meriti geografici del navigatore fiorentino, alcuni storici hanno continuato a insistere su una presunta rivalità tra i due

Copertina del libro di: Las Casas, 1875 Madrid (foto autore).

Disegno di un vaso Maya: notare le pietre azzurre sulla guancia e al lato delle labbra e l’orecchino circolare (wikimedia commons).

navigatori (Colombo e Vespucci), rivalità che non ha riscontri documentali ma che invece è servita da guida per esprimere valutazioni e giudizi.

Considerazioni sulle lettere

Gli unici documenti presi in esame dagli storici sono state le Lettere; su quelle si è cavillato cercando spunti su quanto c’era scritto e su quanto non c’era scritto, interpretando, ipotizzando e deducendo fino a negare i dati in esse riportati pur di validare una tesi contraria.

Tutto nasce dal fatto che non ci sono giunte le Lettere originali ma solamente delle copie, alcune manoscritte, relative al secondo e al terzo viaggio, altre stampate, di cui una relativa a tutti e quattro i viaggi e un’altra solo al terzo viaggio.

Tutti questi scritti sono sostanzialmente simili tra loro ma presentano differenze, l’uno dall’altro, con valori numerici e date differenti e con frasi poco comprensibili o riportate con evidenti errori di traduzione o d’interpretazione.

Quando, all’inizio del 1600, è sorta la questione vespucciana tutte le differenze e le incomprensioni sono diventate per alcuni motivo di critica e per altri, quelli che non avendo letto gli scritti si basavano sulle considerazioni altrui, motivo di negazione dei fatti ivi narrati.

All’inizio del XX secolo, per superare le polemiche, è stato ipotizzato di ritenere valide solo le copie manoscritte e rigettare, in toto, quelle stampate. Questa soluzione, ancora ritenuta valida da alcuni studiosi contemporanei, ha, secondo un detto popolare, il difetto di «gettare il bambino lavato con l’acqua sporca» come spiegherò più avanti.

Le lettere stampate, come pure quelle manoscritte, non sono le originali che probabilmente finirono nell’archivio del destinatario e poi furono disperse dal tempo. Le copie furono fatte preparare, dai destinatari originali, per poterle regalare ad amici e corrispondenti. Per confezionare un dono apprezzabile si rivolsero ad artigiani (amanuensi o tipografi) che produssero un numero molto limitato di copie con i pregi di quel tipo di lavoro (iniziali elaborate, impiego di caratteri ricercati, inserzioni di dediche e, alcune volte, il loro marchio di fabbrica e l’anno di realizzazione) ma anche con i difetti connessi a un lavoro particolare com’è una copia, prima dell’invenzione delle fotocopiatrici.

Mentre gli originali erano nell’italiano dell’epoca, le copie erano redatte nella lingua dei nuovi destinatari, in primis in latino, lingua universale di quei tempi, poi in italiano, francese, tedesco ecc. e da queste furono tratte nuove copie con successive traduzioni. Insomma un passaggio a più mani che può giustificare gli errori e le incomprensioni.

Non dimentichiamo che molti dei traduttori erano religiosi e il loro codice morale li portava a intervenire sul testo per attenuare quanto riportato in modo troppo esplicito e per valorizzare l’aspetto educativo-informativo. Ricordo però che il mondo di allora era molto diverso da quello odierno e lo spirito religioso aveva degli eccessi quali guerre di religione, stermini di eretici, inquisizione e distruzione di idoli e di culture pagane.

Quando Vespucci scrisse le lettere aveva in animo di tornare a Firenze spinto dalla nostalgia dell’emigrante che pensa che quello che lui ha lasciato sia rimasto cristallizzato nella situazione in cui era al momento della sua partenza. Pochi anni più tardi la sua vita fu sconvolta: s’innamorò, si sposò con una donna

spagnola, prese la cittadinanza spagnola, ricevette un incarico che assorbì tutte le sue energie, il suo mondo e i suoi amici erano a Siviglia mentre quelli che frequentava da giovane, a Firenze, erano ormai persi.

Una persona è valutata per come compie il proprio lavoro e a Siviglia era conosciuto e apprezzato. A Firenze avrebbe potuto solo vivere di ricordi. In Spagna sarà impegnato in una vita intensa e con un grande futuro da costruire: s’immergerà nel fare e nell’organizzare e non avrà più la tranquillità necessaria per applicarsi a quello scritto geografico e cosmografico per il quale aveva raccolto, precedentemente, il materiale.

La prima lettera, in cui descriveva il primo viaggio, ha avuto poca fortuna, non se ne conoscono specifiche copie, forse perché i Medici, cacciati da Firenze, non la diffusero. Quella riguardante la seconda navigazione e le due che parlano del terzo viaggio ebbero migliore fortuna e le loro copie furono numerose, sia manoscritte sia a stampa. Anche della lettera concernente il quarto viaggio non abbiamo copie specifiche forse perché non fu mai scritta come lettera a se stante: a Firenze, era salito al potere, come gonfaloniere, Piero Soderini ed era opportuno inviargli una lettera che contenesse la relazione su tutti e quattro i viaggi e non solo sull’ultimo, non essendogli state indirizzate precedenti comunicazioni. Questa ebbe, appena stampata, un subitaneo successo e grande diffusione.

In genere, quando si copia, la tendenza è di condensare e se si vuole personalizzare uno scritto, s’infioretta con dettagli accessori che diano «colore», che facciano capire come, chi scrive, sia ben informato ma non s’interviene sulla «notizia» che è il vero valore da trasmettere. La critica, invece, ha utilizzato proprio il metodo opposto prendendo i dettagli come discriminante per valutare l’opera e non ha mai valorizzato il minimo comune multiplo tra le varie copie della stessa lettera cioè quello che sta alla base del racconto e ne costituisce l’essenza.

Considerazioni sulla riproduzione delle lettere

Copiare un manoscritto, nei secoli passati, non è mai stato un’operazione semplice. Innanzi tutto bisognava saper leggere e scrivere e già questo non era da tutti. L’istruzione era appannaggio di pochi e anche mettere una firma su un foglio è stata, per molti, un’impresa ardua che si riduceva a tracciare due linee in croce. Poi era necessario avere del tempo a disposizione, un tavolo dove appoggiarsi, una penna d’uccello (preferibilmente d’oca) d’appuntire e incidere, un calamaio con l’inchiostro, il costoso materiale su cui scrivere (carta o pergamena), qualcosa per asciugare lo scritto e, ovviamente, il testo da copiare. Il lavoro era, a volte, eseguito al lume di candela.

Anche l’atto di copiare variava a secondo della persona che lo eseguiva come gesto meccanico e quasi automatico: si leggevano alcune parole, si memorizzavano e si riproducevano.

Questi passaggi, così semplici a dirsi, nascondevano alcune difficoltà che si traducevano in errori nella copia. Leggere un manoscritto spesso significava interpretarlo perché la scrittura variava da persona a persona e i numeri non erano rappresentati sempre con lo stesso ideogramma. Se non s’interpretava allora, si copiava quello che si era visto e che non sempre coincideva con lo scritto.

Anche la memoria, a volte, giocava brutti scherzi e allora si potevano ripetere parole già scritte o saltarne alcune perché sull’originale quella memorizzata compariva su righe vicine e senza volerlo si saltava dall’una all’altra.

Quando poi, per velocizzare il lavoro, le persone impegnate erano due, dove una leggeva e l’altra scriveva, gli errori mnemonici diminuivano ma aumentavano quelli di fedeltà al dettato.

In generale, poteva capitare che il testo fosse volutamente modificato: frasi dal significato scontato per il copista omesse, termini incomprensibili sostituiti da altri ritenuti equivalenti, nomi sostituiti da quelli in vigore o presunti tali, tutto ciò che era ritenuto come un errore corretto; in altre parole il testo era riprodotto secondo la sensibilità e le conoscenze del copista.

Quanto sopra vale anche per le copie a stampa dove c’era, inoltre, la necessità a limitare l’uso della costosa carta, d’inserire abbreviazioni (articoli attaccati ai sostantivi, cesura di vocali o d’intere sillabe, formattazione delle frasi, assenza di punteggiatura) tutti espedienti adottati per confinare il testo nel rettangolo previsto per la stampa sui fogli. Facendo copia da copia

anche il tipografo, o il copista, essendo un artigiano, quando non comprendeva il significato degli scritti, poteva inserire la sua correzione esplicativa che sarebbe poi diventata «aggiunta dell’editore» e così troviamo Paria anziché Lariab, Cadice anziché Firenze. Anche oggi una fotografia perde definizione quando è compressa e, se ciò è ripetuto più volte, diventa illeggibile.

Le lettere sono documenti molto personalizzati e non sempre è facile leggerli in maniera univoca. Nell’esaminarli non è stato applicato un metodo scientifico ma si è fatto riferimento a pareri di altri studiosi, pareri che furono considerati validi solo per l’autorità di chi li aveva espressi. Ricordate i responsi della Sibilla Cumana? Erano scritti senza punteggiatura e potevano essere letti con significati diametralmente opposti secondo lo spirito con cui s’interpretavano.

I valori numerici delle cifre e delle date riportate sulle copie delle lettere hanno costituito motivo di critica di un certo peso perché gli altri motivi addotti nel tempo erano spesso frutto di speculazioni azzardate e inconsistenti espresse senza conoscere gli scritti o, forse, con riferimento a traduzioni molto libere.

È da ricordare che i numeri cosiddetti arabi, riportati con valori differenti su copie diverse dello stesso documento, avevano simboli grafici che differivano dagli attuali, lo stesso valore numerico variava nei luoghi e nel tempo e lo stesso segno poteva indicare valori distinti. Solo dopo il 1536 iniziò una standardizzazione della grafia che è valida ancora oggi. Segni sbiaditi hanno avuto differenti letture e sono stati considerati numeri anche i segni d’interpunzione.

Anche le date, riportate con numeri o abbreviazioni poco leggibili, hanno avuto diverse letture, inoltre sono facili da dimenticare e se non si segnano subito, occorre ricostruirle partendo da ricordi di cui si conosce, per certa, la data. Il risultato varia da persona a persona, c’è chi ricorda avvenimenti lontani con dovizia di particolari e persino con i nomi dei presenti e altri che non ricordano neppure la data del loro matrimonio.

I numeri vanno compresi, quando il navigatore scrive la lunghezza dei percorsi tra un approdo e un altro, gli studiosi precisano queste distanze differenziandole in funzione della bandiera per cui navigava e non considerano che Amerigo scriveva a Lorenzo o a Piero. Queste persone cos’hanno in comune oltre al fatto d’essere concittadini? Tutto! Stessa lingua, uguale educazione, medesima cultura perciò se non è precisato il tipo di lega, spagnola o portoghese, vuol dire che l’unità di misura è quella comune: la lega italica che era in uso a Firenze. Non mi risulta che ciò sia stato compreso!

Nella prima e nelle successive lettere si parla di un libricino in cui ha raccolto i suoi rilievi geografici e anche di aver registrato, con costanza e determinazione, la posizione delle stelle australi, di aver misurato il diametro delle orbite per quelle circumpolari, di aver disegnato le costellazioni australi (2). Osservazioni? Nessuna! Come se fosse qualcosa d’importanza trascurabile.

Eppure, guarda caso, a Norimberga nel 1515, Albrecht Dürer pubblicò le mappe dei cieli, boreale e australe, con le relative costellazioni. Se Martin Waldseemüller aveva disegnato gran parte delle coste orientali del Nuovo Mondo con le informazioni di Vespucci, certo non con le lettere, vuol dire che aveva ricevuto qualcosa (bozza, copia, originale?) del libricino «geografico e cosmografico» che Vespucci non trovava il tempo e la tranquillità necessari per pubblicarlo.

Dürer non dice chi gli ha fornito i dati per disegnare le costellazioni australi ma lo possiamo immaginare: non c’è nessun altro che affermi di averli raccolti se

Esempi d’evoluzione dei numeri «arabi» secondo vari ricercatori (elaborazione autore).

Il cielo australe di Albrecht Dürer 1515 (Wikimedia Commons).

non il Vespucci e ipotizzare un travaso di notizie da St. Dié dei Volgi a Norimberga non è difficile ed ecco valorizzati anche i dati cosmografici di quel libricino.

Considerazioni sulle critiche

I primi storici che si sono occupati della scoperta dell’America erano i religiosi. Erano persone in grado di leggere e scrivere, erano dotati della forma mentis adeguata a raccogliere notizie, a ordinarle in maniera sistematica e a comporle organicamente. Avevano una cultura religiosa e una visione della vita umana regolata da norme morali, intenti educativi e una certa rigidezza mentale, tutti fattori che hanno avuto dei riflessi sul loro modo di proporre gli avvenimenti.

In seguito il campo degli studiosi si è allargato e ci sono stati storici istituzionali, letterati, scienziati, professori e cultori di quella che ora chiamano «l’inizio dell’età moderna».

Quanti hanno scritto su Vespucci sembrano essere incastonati nella loro nicchia spazio-temporale (geografico e culturale). Alcuni esprimono valutazioni condizionate dall’ipotizzata contrapposizione a Colombo, risentono l’influsso delle ricerche bibliografiche precedenti o contemporanee, danno valore a questi scritti ma sembra non tener conto che questi sono i frutti delle passioni umane. Altri si perdono nell’esame dei diversi testi dello stesso documento trovando e segnalando gli errori di traduzione, di stampa e d’interpretazione ma non cercano mai il minimo comune multiplo, il fattor comune e cioè l’essenza dello scritto.

Anche il modo di scrivere è vario: spesso risente dei sentimenti della società contemporanea e allora si creano situazioni, immaginarie ed emozionanti, coerenti con quello che si vuole trasmettere ma non per questo con validità storica.

È ovvio che la critica sia condizionata da molti fattori. Chi si è interessato alla questione aveva una propria cultura di base che presentava la vicenda secondo l’ottica dei predecessori (come noi partiamo dalla cultura ottocentesca). La possibilità di acquisire informazioni era condizionata dal luogo di residenza e dal tipo di società in cui era immerso e ovviamente dai mezzi tecnici di scambio delle notizie.

Se penso alle difficoltà e al tempo spesi per trovare gli scritti di tanti autori, pescando nelle biblioteche di mezzo mondo, con l’aiuto d’internet e con il prestito inter-bibliotecario, alle difficoltà per capire quello che sono riuscito a leggere, pur trattandosi di un argomento noto, ho molto apprezzato gli sforzi profusi dai vari autori per esporre i loro pensieri mentre ho disprezzato chi, per cercare notorietà e senza conoscere molto, ha prodotto giudizi a effetto, pieni di vocaboli iperbolici ma, sostanzialmente, conformisti e senza valore critico.

La storia soggettiva e quella documentata spesso divergono perché entrambe sono sintesi di uno stesso accadimento fatto da persone diverse, con interessi, punti di vista e cultura differenti, tutti fattori che spesso portano a conclusioni discordanti e, a volte, contrastanti.

Per esempio, pensate a un avvenimento di cui siate stati testimoni, la vostra testimonianza sarà diversa da quella degli altri testimoni come pure dalla cronaca scritta del fatto…tutti ritengono d’aver ragione, di sapere cos’è successo e porteranno prove a sostegno con citazioni di resoconti altrui e deduzioni logiche che confermino ciò che affermano.

Quando Vespucci scrive che ha calcolato la sua posizione utilizzando l’Almanacco del Regiomontano, misurando le distanze dalla Luna, da stelle o pianeti in

una precisa data e a una determinata ora, gli studiosi ci avvertono che ha sbagliato perché il punto corrispondente cade troppo a Ovest, nell’Oceano Pacifico. Già, ma hanno fatto riferimento al meridiano zero dell’epoca, che passa da Gomera (Isole Canarie) oppure al porto di partenza, Cadice. Il Regiomontano però ha fatto le previsioni delle posizioni dei corpi celesti con riferimento al meridiano che passa da Norimberga e, per caso, anche da Firenze; quale sarà stato il meridiano di riferimento per un fiorentino che scrive a un fiorentino? È ovvio! Non serve esplicitarlo, ma sulla lettera si trova scritto Cadice e ciò è considerato errore di Vespucci e non «aggiunta del copista».

Il nome del luogo: Lariab è espunto e sostituito nelle trascrizioni con quello noto di Paria o Parias, identico a quello dato all’isola di Trinidad davanti al Venezuela. S’insiste a voler far adattare la lettera alle proprie nozioni e non trovando corrispondenza s’incolpa la lettera.

Le difficoltà di una corretta interpretazione di alcuni termini, anche nelle altre lettere, a causa della scarsità d’informazioni: l’erba verde masticata, dagli indigeni di un’isola, corrisponde alle foglie di tabacco, da masticare mescolate alla cenere e non, come invece teorizzato, alla coca e quindi pertinente all’America meridionale.

Vespucci, nel 1503, arriva all’arcipelago Fernando de Noronha, approda all’isola maggiore San Lorenzo e partendo annota che era popolata da topi molto grandi e ramarri con la coda doppia. Nel 1999 uno studio sui roditori dell’isola ha individuato dei resti di grandi dimensioni classificati come appartenenti all’Ordine Rodentia, Famiglia Cricetidae, Sottofamiglia Sigmontinas e il nome dato a questa nuova specie è Noronhomys vespuccii. La specie è ormai estinta per la competizione con altri animali introdotti dall’uomo. Per il ramarro avevo ipotizzato potesse trattarsi del Teju ma approfondendo ho trovato che era stato introdotto dall’uomo, in compenso ho visto le foto di una lucertola endemica del-

l’isola con una coda lunghissima (il doppio del corpo), si tratta della Mabuya maculata (trachylepis atlantica). I nativi usano abbellirsi infilando sassi, ossa e anelli nelle guance, nelle labbra e nelle orecchie; questa moda del piercing è riferita ai soli Tupi-Guarani del Brasile come se solo loro la praticassero mentre è diffusa in tutto il mondo. Oggi esiste, in Messico nei pressi della Treccia di tabacco da masticare (Tobacco Reviews). città di Tanpico, il Museo universitario Lariab, testi mone della cultura e dei costumi Huaxteci. La descrizione dell’ospitalità e delle cerimonie funebri è sempre motivo di confronto con gli scritti di Colombo, dimenticando che condizioni ambientali similari possono indurre gli abitanti di luoghi lontani geograficamente ad adottare simili, se non le stesse, usanze. Altre osservazioni che gettano una nuova luce sul passato vengono dall’esame delle carte geografiche del tempo. Nel IV viaggio Vespucci è diretto a Est, in India, seguendo la rotta portoghese. Bisogna passare il Capo di Buona Speranza e la rotta migliore prevede d’arrivare quasi in Brasile per fare il bordo che permetta di pas-

Johannes Ruysch dettaglio del planisfero 1507. In alto: Groenlandia,Terranova. In basso: coste sudamericane. Al centro: cartiglio su Antilia. A cavallo della linea rossa del tropico del Capricorno e sopra Spagnola: un promontorio, un golfo, una penisola e un cartiglio che afferma la scoperta spagnola (Wikimedia Commons).

sare a sud del Capo, del resto è cosi che Cabral ha scoperto la terra di Vera Cruz nel 1500. Nella lettera si cita la Malacca, situata a occidente di Calicut a 35° sud e anche questo è stato considerato un falso perché la Malacca è a oriente di Calicut ma…esaminando il planisfero di Waldseemüller ho trovato un Malac Emporium nel Golfo di Aden, sotto la scritta Sinus Salites ed è a occidente di Calicut e più a sud della città indiana di 3,5° conforme all’indicazione del Vespucci che lo definisce porto di smistamento delle merci.

Il mappamondo di Johann Ruysch (1507) riporta, sopra l’isola Spagnola, un promontorio, un golfo, una penisola e un cartiglio che afferma che quei luoghi erano stati scoperti da navi del re di Spagna, Ferdinando II: non dice né quando né da chi, ma neanche gli storici approfondiscono perché la risposta sarebbe «Vespucci» e allora preferiscono sorvolare.

Il planisfero di Waldseemüller rappresenta il continente americano quasi completamente, da nord a sud, tant’è che si riconosce la sua costa atlantica a colpo d’occhio. Terranova e il Labrador sono separati dalla massa continentale ma il rilievo di quelle terre non è del Vespucci.

Certo, nella rappresentazione più estesa è diverso da come siamo abituati a vederlo ma se osserviamo com’è stato condensato in piccolo, sotto il titolo e in una proiezione simile a quella ora in uso, il riconoscimento è immediato. Raccogliere e ordinare i dati dei rilievi delle coste e delle posizioni reciproche per un’estensione di territorio così enorme e con i mezzi dell’epoca non è un lavoro improvvisato ma il frutto di un’attività organizzata e protratta nel tempo. La carta, disegnata dal Piloto Mayor Diego Gutierrez a Siviglia nel 1562 per il Re spagnolo Carlo V, col titolo «America quarta parte del Mondo» contiene un cartiglio in cui è scritto: «questa

Diego Gutierrez,1562 Mappa dell’America, quarta parte del mondo (Library of Congress Washington D.C.). A destra il cartiglio nella carta di Diego Guterres 1562. Si conferma il viaggio di Vespucci nel 1497.(Librare of Congressi Washington D.C.).

è la quarta parte del Mondo che è rimasta sconosciuta a tutti i geografi fino al 1497 epoca in cui, per ordine del Re di Castiglia, fu descritta da Amerigo Vespucci ed ha preso il nome da colui che l’ha fatta conoscere». La copia stampata conservata nella Libreria del Congresso a Washington (Stati Uniti) apparteneva al Duca di Sassonia, acquistata nel 1932 a Monaco, entrò nella collezione di Lessing Julius Rosenwald e da questo donata alla Library of Congress nel 1949. Non è mai nominata dagli storici moderni che scrivono su Vespucci.

Molti cartografi antichi hanno utilizzato il nome America: Pietro Apiano (1520), Sim Grynaeus (1539), Sebastian Munster (1540), Guillame le Testu (1555), Gerardo Mercatore (1569), Fernao vaz Dourado (1570), Abraham Ortelius (1578), André Thevet (1580), Pietro Plancio (1584), Cornelius de Jode (1589) senza dimenticare La Sala delle Carte Geografiche, nel Palazzo Vecchio di Firenze, dove Ignazio Danti eseguì trenta dipinti cartografici di cui quattordici dedicati all’America nel periodo 1563-75.

Il mappamondo, disegnato su un’intera parete, e la carta geografica dell’America, disegnata ancora più nel dettaglio sulla parete adiacente, nel palazzo Farnese di Caprarola (Viterbo) dipinte assieme ai ritratti di Cristoforo Colombo e di Amerigo Vespucci, nel 1574 da Giovanni Antonio da Varese, detto Vanosino, e Raffaellino da Reggio, con il nome America che campeggia nella parte settentrionale di quel continente.

Quando gli autori denominano «Marina» una loro carta geografica, si è pensato che potesse essere d’aiuto per una navigazione trans-oceanica invece è solo la dichiarazione d’origine dei dati utilizzati: derivano dai rilievi dei marinai contrapposti a quelli d’origine terrestre utilizzati per le carte topografiche del Mondo Antico.

Nel 1522 rientrò in Spagna la Vittoria, l’unica nave della flotta di Magellano che, partita nel 1519, portò a termine il giro del mondo. Fatti i calcoli, con il resoconto delle navigazioni compiute negli Oceani Pacifico e Indiano, gli Spagnoli accusarono i Portoghesi d’imbrogliare sulla posizione delle «isole delle spezie» per farle rientrare nella loro zona d’influenza, definita dall’anti-meridiano della raya.

Quindici anni più tardi il cartografo portoghese Pedro Nunes dichiara che si è trattato di un errore compiuto dai cartografi portoghesi nel trasferire i dati dalle carte piane dei rilievi, in cui erano state registrate posizioni e distanze, alla carta de marear che copriva l’intero globo terracqueo.

Palazzo Farnese di Caprarola. Il Mappamondo misura circa 7x4 metri (bomarzo.net). a sinistra la rappresentazione dell’America, misura 4x5 metri (foto autore).

Anche di questo non si è tenuto conto nell’esaminare le antiche carte geografiche portoghesi in cui compare il continente americano come pure non si è tenuto conto di quanto scritto da Vespucci nella lettera sul terzo viaggio quando osservava il «grosso sbaglio» fatto sulle due navi portoghesi incontrate a Dakar perché a bordo non c’erano né cosmografo né matematico.

Se fossero applicati gli stessi criteri, utilizzati dalla critica imparziale su Vespucci, alla storia dell’umanità, dalla preistoria a oggi, questa si ridurrebbe a poche paginette.

Ci sono anche i negazionisti che rigettano notizie conclamate, i complottisti che sospettano, ovunque,

oscure trame sempre per distinguersi dal conformismo, dal convenzionalismo, dalla morale del tempo e del luogo in cui agiscono. Ritengo, però, che i meriti degli storici siano enormi: hanno tramandato gli avvenimenti, hanno permesso di osservare l’accaduto sotto differenti e articolati punti di vista, hanno indicato le fonti e dove cercare notizie. La ricerca è stata appasCartiglio nell’angolo alto a sinistra del planisfero di Martin Waldseemüller. Le scoperte sono attribuite a Colombo e Vespucci, grandi e straordinari uomini (Library of Congress Washington D.C.). sionante e mi ha portato a cercare nelle istituzioni, biblioteche, musei, a leggere libri, a esaminare carte geografiche, a vedere documenti per arrivare a una valutazione dei fatti. A mio modo di vedere, i documenti più indicativi su una vicenda che si è svolta cinquecento anni fa sono due e cioè il Decreto di nomina a Piloto Mayor e il planisfero di Martin Waldseemüller. Il Decreto stabilisce il lavoro che deve essere svolto in un incarico che compare per la prima volta in Spagna. È un incarico Dettaglio del planisfero di Martin Waldseemüller: Malac emporium (Library of Congress Washington D.C.). professionale che richiede conoscenze ed esperienze non comuni, è un incarico che non può essere affidato a persone della corte perché, anche ammesso che queste avessero capacità direttive, sarebbero prive delle specifiche competenze. Per l’incarico, il re Ferdinando, sceglie il migliore tra i candidati, quello che ha dimostrato con i fatti e anche a giudizio degli altri piloti d’essere il più idoneo. Si tratta di creare e dirigere, in un mondo d’illetterati, un istituto che insegni la geometria sferica, l’astronomia, la navigazione d’altura, l’impiego di strumenti nautici, il rilievo cartografico e che sia dotato di un laboratorio cartografico. Se ai due documenti aggiungiamo la mappa del cielo australe disegnata da Dürer, abbiamo un terzo docu-

mento che è la trasposizione artistica di un insieme di dati rilevati e organizzati in maniera metodica e accurata e io non ho trovato nessun altro, che il Vespucci, cui attribuire la raccolta degli elementi necessari alla realizzazione dell’opera.

Queste due carte, di Waldseemüller e di Dürer, dovrebbero essere studiate dai tecnici dei rispettivi settori perché ci potranno fornire ulteriori e preziose notizie. Solo dei tecnici potranno tener conto delle modifiche dei profili costieri, dei mutati percorsi delle correnti marine, delle variazioni del magnetismo terrestre (locale e generale), del movimento delle stelle nel cielo australe e di tutti gli altri fattori intervenuti in cinquecento anni.

A fronte di quanto sopra, le lettere sono solo degli scritti che riportano l’aspetto illustrativo e folclorico

del lavoro eseguito, le eventuali inesattezze e le beghe conseguenti hanno un valore minimale rispetto al lavoro compiuto dal Vespucci e ben ha fatto Waldseemüller ad accostare il suo ritratto a quello di Tolomeo.

Conclusioni

L’esame attento di quanto, copiando dal Casas, raccontato da Herrera (già in parte smentito dagli storici moderni anche su dettagli riguardanti Colombo) dimostra l’artificiosa ricostruzione degli avvenimenti dapprima ipotizzati e poi attribuiti a Vespucci. Le carte geografiche dell’epoca confermano il viaggio del 1497 e anche ricerche moderne trovano riscontro a quanto riportato Dettaglio del planisfero di M. Waldseemüller 1507, ruotato di 45°. Il nome Parias evidenziato è in corrispondenza dello Yucatan (Librare of Congress). nelle lettere. Prendere spunto da ciò che non si è capito per screditare e invalidare gli scritti poteva essere sostenibile solo nel passato e giustificato dalla difficoltà d’accesso alla documentazione, ora è tempo di riscrivere questa storia. Ritengo che le copie delle lettere a noi pervenute, sia quelle copiate a mano sia quelle riprodotte a stampa, riportino quasi fedelmente il resoconto dei viaggi effettuati dal Vespucci. Quanto differiscano dal vero, non lo sapremo finché non troveremo gli scritti originali o i suoi diari di bordo. Dalla consultazione di altri documenti pertinenti ad ambiti disciplinari diversi ho tratto la convinzione che i viaggi furono effettivamente compiuti e che aver reso possibile il cartografare buona parte delle coste atlantiche, di quel continente che Lui per primo aveva riconosciuto tale, giustifichi ampiamente il nome America attribuito dai cartografi: è e rimane il continente di Amerigo, anche se non è Lui che l’ha scoperto. 8

NOTE

(1) Paria sta per el Paraiò, cioè il Paradiso. Yucatan sarebbe la risposta dei nativi alla domanda «Come si chiama questa terra?». Significa: «non capisco!». (2) All’epoca si aveva la visione geocentrica dei moti celesti e si ritenevano circolari le orbite.

BIBLIOGRAFIA

Sono poco più di duecento gli autori di scritti su Vespucci dal 1500 a oggi; per approfondire basta concentrarsi sulle sue Lettere e su Casas e Nunes, gli altri giocano sulle parole delle lettere, sulla loro interpretazione e criticano i lavori precedenti. Bartolomè de Las Casas Historia de las Indias , prologo e capitoli 140-169. Pedro Nunes Tratado em defensão da carta de marear, 1537 Lisbona; Tratado sobre certas dúvidas da navegação, 1537 Lisbona. Piero Carpani, In rotta per le Americhe Amadeo editore 2011; Un nuovo Mondo in 60 giorni Rivista Marittima 4-2015; La scoperta dell’America settentrionale Rivista Marittima 1-2016; La scoperta dell’America nella cartografia dell’epoca Rivista Marittima 4-2017.

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