APRILE 2011
ANNO 2 NUMERO 2
CALAMANDREI AI GIOVANI
La nostra Storia è nella Costituzione
I
BELLA CIAO! FOTO TRATTA DA PASQUALE SESSA,
“GUERRA
CIVILE”, EDITO DA MONDADORI
C’è ancora bisogno di Resistenza
L’ANPI in difesa della democrazia: le
ragioni e la richiesta di un impegno: tesseriamoci (ALLE PAGINE 2-3) Le iniziative d’aprile nella nostra Zona, con studenti e giovani graditi invitati speciali (ALLE PAGINE 4-6) Una data da non dimenticare, il 25 aprile (A PAGINA 7) L’Europa delle di-
versità: la lezione dell’eredità plurale della nostra Storia (A PAGINA 8) L’antifascismo alla base della Costituzione (A PAGINA 11) “Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere”: il delitto Matteotti (A PAGINA 11) Ricordi, riflessioni, recensioni (ALLE PAGINE 10, 12, 13)
n questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra Storia, tutto il nostro passato. (...) E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane. Quando io leggo nell’art. 2, “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, o quando leggo, nell’art. 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, la patria italiana in mezzo alle altre patrie, dico: ma questo è Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8, “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour; quando io leggo, nell’art. 5, “la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate, “l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, “non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! (...) Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione. Piero Calamandrei
2
APRILE 2011
il fi fioore del partigiano
Più forte l’antifascismo più viva la democrazia
IL TESSERAMENTO ALL’ANPI: DALLA MEMORIA DELLA RESISTENZA AL FUTURO DELL’ITALIA
L’
ANPI, custode della vicenda storica attraverso la quale l’Italia è riuscita con la Resistenza a sconfiggere il totalitarismo, è ora la casa di tutti gli antifascisti appassionatamente e generosamente impegnati per la difesa e la piena attuazione della nostra Carta Costituzionale, insostituibile dettato di diritti e democrazia. L’Associazione (Ente Morale – D.L.L. n. 224 del 5/04/1945) conta oltre 100.000 iscritti, è presente in tutte le 110 province d’Italia ed è organizzata in Comitati provinciali, regionali, e Sezioni. Grazie alla modifica statutaria del 2006, possono iscriversi all’ANPI anche i non partigiani: per farlo occorre contattare le nostre sedi (indirizzi e recapiti telefonici su http://www.anpi.it/ sedi/).
Sostienici
L’ANPI vive del contributo dei suoi iscritti. Destina il 5 per mille firmando nell’apposito riquadro dei modelli CUD, 730-1 e UNICO e scrivendo il numero di Codice Fiscale dell’ANPI: 00776550584.
UN PO’ DI STORIA L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI) viene costituita a Roma nel 1944 – quando ancora il Nord Italia è sotto l’occupazione nazifascista – dai volontari che hanno partecipato alla guerra partigiana. Nei primi anni ‘50 l’ANPI promuove i Comitati di difesa dei valori della Resistenza con cui avvia una campagna nazionale di sostegno ai partigiani, chiedendo il riconoscimento ufficiale del CVL (Corpo volontari della libertà) come corpo appartenente alle Forze Armate. Questo giunge nel 1958 con la dichiarazione solenne che la Resistenza, nel travagliato processo di Liberazione, è stata una preziosa comprimaria, responsabile e organizzata, nel successo della lotta di Liberazione. Negli anni ‘60 e ‘70 forte è l’attenzione dell’ANPI – con frequenti prese di posizione, in particolare contro il terrorismo – a tutti i grandi temi nazionali e internazionali, che coinvolgono le istituzioni ed il vivere sociale. Negli anni ‘80 e ‘90 l’Associazione è impegnata contro le malefatte della loggia P2, la mafia e “Tangentopoli”. Nel nuovo millennio due grandi battaglie, dagli esiti positivi, la vedono protagonista: una contro i gravi tentativi di modifica della Carta Costituzionale che porta al referendum del 2006, l’altra nel 2009 contro il tentativo di equiparare, con il progetto di legge
1360, i repubblichini di Salò ai partigiani.
L’ANPI OGGI: un’associazione per la democrazia, in difesa e per l’attuazione della Costituzione. LE NOSTRE BATTAGLIE Contrastare il revisionismo e il neofascismo che mirano a rovesciare le radici civili del Paese: Resistenza e Costituzione. Difendere l’unità dell’Italia riconquistata dalla Resistenza: è un bene irrinunciabile per il presente ed il futuro del Paese. Garantire a tutti un lavoro giusto e dignitoso. Debellare precariato e disoccupazione. Rafforzare i valori dell’ANPI tra le donne, per ricostruire tra di loro reti di relazione e di solidarietà e per sollecitare lo sviluppo di movimenti partecipati: un nuovo protagonismo delle donne potrà consolidare le basi della nostra democrazia. Per un’informazione che racconti realmente e liberamente il Paese, senza legacci, ostacoli, minacce. L’ANPI è impegnata a sostenere le battaglie a favore di una informazione libera e indipendente, presupposto cardine per una sana e robusta democrazia. Debellare la corruzione, renderla estranea al Parlamento, ai governi nazionali e locali, alle istituzioni, alla pubblica amministrazione, ai partiti ed alla politica. La scuola, in tutti i suoi gradi, da quella per l’infanzia all’Università, non può essere una “fabbrica” del precariato. Da un’istruzione giusta e di qualità deriva il futuro economico e civile del Paese. L’ANPI, inoltre, ribadisce la necessità di un insegnamento più strutturato e rigoroso della storia dell’Antifascismo e della Resistenza, fondativi della Costituzione. In Italia l’immigrazione va affrontata con politiche di accoglienza e integrazione e non invece con visioni di mero ordine pubblico che alimentano esasperazioni e paure. L’ANPI deve essere in campo per far pesare: la storia d’Italia quale Paese di grande emigrazione; la dura lezione delle famigerate leggi razziali; la luminosa lezione che deriva dalla significativa partecipazione di tanti antifascisti stranieri alla Resistenza italiana; il contributo di tanti militari delle truppe alleate alla liberazione del Paese. Ci battiamo per una giustizia fondata sull’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e per una magistratura autonoma e indipendente, decisiva per assicurare il diritto alla giustizia e alla sicurezza dei cittadini e per rendere più adeguata e vincente la lotta alla mafia e ai poteri criminali.
il fi fioore del partigiano
3
APRILE 2011
Sono con noi
«Mi iscrivo all’ANPI perché la Resistenza non sia solo memoria del passato ma esercizio del presente»
Dacia Maraini
«Credo che di fronte all’incalzare del tempo e delle nuove destre sia fondamentale per l’ANPI sapersi rinnovare accogliendo nelle proprie file quelle persone che non hanno vissuto in prima persona la Resistenza, ma che hanno potuto vivere liberi e sviluppare una coscienza grazie alla lotta di noi partigiani». Giorgio Bocca
«Per me l’ANPI non è un’associazione storica di ex qualcosa; è una sfida al presente, alla rassegnazione e al conformismo, un impegno a ragionare e prendere le parti di chi subisce. Per questo mi piace, e ne faccio parte» Marco Paolini
LA NOSTRA RIVISTA – Patria Indipendente è la testata ufficiale dell’ANPI ed esce dal marzo del 1952. È un mensile che raccoglie interventi di ordine storico, di attualità, di riflessione, di informazione libraria e cinematografica, oltre alle opinioni dei lettori. Sul sito dell’ANPI si possono consultare i numeri usciti dal 2002 (http://www. anpi.it/patria-indipendente). Per abbonarsi (annuo € 25 - estero € 40 - sostenitore da € 45 in su) occorre effettuare un versamento in c/c postale n. 609008
intestato a “PATRIA indipendente”. IL NOSTRO SITO – www.anpi.it È il portale di informazione, di cultura e di iniziativa che l’ANPI mette a disposizione dei propri soci e di tutti i cittadini. Oltre alle notizie sull’Associazione, fornisce a studiosi, insegnanti e ragazzi una serie di percorsi tematici e di ricerca. LA RETE – Facebook www.anpi.it/facebook www.anpi.it/twitter
Più di 40.000 contatti contribuiscono alla creazione e alla crescita di una rete antifascista attenta alla memoria, ai valori costituzionali e al mantenimento e rafforzamento della democrazia. CONTATTI Sede Nazionale ANPI: Via degli Scipioni 271 – 00192 Roma Tel: 063212345 e-mail: anpi.naz@libero.it anpisegreteria@libero.it ufficiostampa@anpi.it
4
APRILE 2011
il fi fioore del partigiano
Gorgonzola invita a continuare il cammino INIZIATIVE PER I GIOVANI, INSIEME ALLE ISTITUZIONI CITTADINE
A
Gorgonzola l’ANPI, insieme alle ACLI, alla CISL e alla CGIL, organizza iniziative in occasione del 25 aprile rivolte soprattutto ai giovani. I promotori hanno cercato il coinvolgimento delle Istituzioni locali (Comune, Biblioteca civica, Scuole statali e private, Parrocchia) per raggiungere più agevolmente la totalità dei cittadini.
25 APRILE 2011: CAMMINARE INSIEME PER RINNOVARE L’IMPEGNO PER IL BENE COMUNE In occasione del prossimo 25 aprile 2011 Festa della Liberazione, le nostre quattro associazioni intendono proporre alla città e in modo particolare ai giovani, un cammino per conoscere un tempo della storia della nostra Nazione, quella della Resistenza. Il desiderio di inserirci in questa tradizione e di continuare ad operare per un’autentica democrazia, ci ha portato a progettare e proporre un percorso rivolto ai giovani della nostra città. Camminare insieme tra generazioni diverse, culture differenti, organizzazioni e responsabilità che operano nella città per perseguire il bene comune e per una comunità solidamente fondata.
Le iniziative
Domenica 17 Aprile CAMMINARE SUI SENTIERI DELLA RESISTENZA (Verbania/Fondotoce) Camminare con i giovani in uno dei luoghi, la montagna, dove tanti giovani come loro hanno dato la vita perché valori come libertà, giustizia, democrazia, bene comune potessero essere scritti nella nostra Carta Costituzionale. La proposta rivolta ai giovani di Gorgonzola prevede di raggiungere in pullman Fondotoce (Verbania), da cui iniziare il “cammino” lungo i sentieri dove si sono svolti alcuni episodi della Resistenza, la visita del Parco della Memoria e della Pace, l’arrivo alla Casa della Resistenza. I partecipanti saranno accompagnati nel percorso da una guida della Casa della Resistenza. Sono previsti due momenti di approfondimento sulla Resistenza italiana e sul processo che ha portato alla scrittura della Carta costituzionale. La camminata sui sentieri della resistenza è proposta ai giovani di Gorgonzola (max 20). Ai giovani verrà consegnata all’inizio del sentiero una copia della Costituzione italiana.
Il mesto corteo dei partigiani condannati a morte e fatti sfilare per tutti i paesi del lago. La foto scattata dai nazisti è riprodotta in gigantografia all’ingresso della Casa della Resistenza di Fondotoce
IL PROGRAMMA DI DOMENICA 17 APRILE
Sui sentieri della Resistenza e della libertà
Ore 08,00 partenza da piazzale Europa (staz. MM2) Ore 10,00 arrivo alla fraz. di Megolo – Comune di Pieve Vergonte Saluti della Sindachessa e cammino su un sentiero percorso dai Partigiani (circa 1 ora tra andata e ritorno) Ore 12,00 pranzo al sacco a Mergozzo oppure nel Parco di Fondotoce (dipende dal tempo) Ore 14,00 visita alla Casa della Resistenza di Fondotoce e dell’annesso Parco della Memoria della Pace (circa 2 ore) Ore 16,30 sosta a Stresa Ore 18,00 partenza per Gorgonzola (arrivo ore 20,00 circa) Lunedì 25 Aprile (mattina) CAMMINARE SULLE STRADE DELLA CITTÀ RICORDANDO LA LIBERAZIONE La nostra Repubblica è nata dal sacrificio di molti italiani caduti combattendo, fucilati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Gorgonzola, che hanno dato la vita per nuovo stato italiano basato sulla democrazia e sul rispetto delle libertà. Facciamo memoria del loro sacrificio. I partecipanti alla “camminata sui sentieri della resistenza” verranno invitati a parteciperanno al corteo cittadino del 25 Aprile portando con sé la copia della Costituzione Italiana. Verrà consegnata ad ognuno di loro una bandiera d’Italia. Lunedì 25 Aprile (pomeriggio) CAMMINARE INSIEME IN TUTTE LE CITTÀ D’ITALIA
FESTEGGIANDO LA LIBERAZIONE La Resistenza diede vita ad una stagione di larghe intese sulle regole comuni, sull’alfabeto della democrazia: accordi che portarono alla approvazione della Costituzione Repubblicana ma anche all’affermazione di principi e valori di una società che doveva saper costruire una convivenza tra le persone. Questo non fu frutto solo di giusti compromessi, ma di una convinzione che teneva insieme tutti: bisognava assicurare all’Italia pace, buon governo, dignità del lavoro, futuro. I frutti di questi accordi: il bene comune, la pace, la giustizia, il benessere dignitoso per tutti, sono un obiettivo che non può essere di parte, ma il valore che unisce. I giovani saranno invitati a partecipare al corteo del 25 aprile di Milano camminando a fianco del Gonfalone della Città di Gorgonzola portando con sé la Costituzione Italiana e la bandiera d’Italia. ACLI, ANPI,CISL,CGIL
il fi fioore del partigiano
Cassano non dimentica e celebra i suoi martiri
5
APRILE 2011
DOPO IL CONCORSO “LUIGI RESTELLI” DEDICATO AGLI ALLIEVI DELLE MEDIE
I
l 27 marzo Cassano ha ricordato con una manifestazione i suoi cinque Martiri e tutti i caduti cassanesi della Resistenza, tra cui Luigi Bassi, morto nella difesa di Treviglio dagli occupanti tedeschi in ritirata.
Riproduciamo qui documenti che certificano la sua storia poco conosciuta, affiancati dalla ricostruzione di un episodio di lotta partigiana svoltosi a Cassano negli ultimi giorni di guerra prima della Liberazione
Quell’ultima azione al “Caffè dai tri basei”
È
L’attestato del CLN che rende onore al sacrificio di Luigi Bassi, patriota cassanese, morto combattendo a Treviglio proprio negli ultimi giorni della lotta di Liberazione. Sopra, una sua immagine. A destra, quella di Luigi Restelli, commissario politico della 105ª Brigata Garibaldi, morto durante un’azione a Cassano d’Adda
Silvio Villa, da giovane internato militare in Germania e poi figura di riferimento dell’antifascismo locale, ha ricostruito in questa scheda l’azione partigiana che portò alla perdita di Luigi Restelli.
la sera tarda del 28 marzo 1945, vi è già il coprifuoco, ma i partigiani della Zona di Gorgonzola sono in movimento; si sente nell’aria che la guerra sta per finire. Il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) ha dato ordine di agire con il recuperare armi per l’insurrezione finale, la Luigi Restelli quale avverrà poi il 25 aprile. Quindi i componenti del commando di Zona facente parte della 105ª Brigata Garibaldi, Gorgonzola-Inzago-Cassano, si riuniscono per concordare un’azione al fine di avere armi. Si conviene di agire sul piccolo bar-gelateria di Cassano sito nella località del “Fornasenn” denominato il caffè “dai tri basei”, dato che qui convengono militari tedeschi e repubblichini. Per motivi di sicurezza il gruppo di Cassano viene escluso dall’azione concordata. I partecipanti del commando sunnominato passano all’azione. I due gruppi, di Inzago e di Gorgonzola, si danno l’appuntamento per quella sera del 28 marzo nei pressi del cimitero di Trecella; da lì vi è un viottolo di campagna detto “dei brugnoo”, cioè dei pruni selvatici (tuttora esistente), il quale sbuca nelle vicinanze del detto bar-gelateria. Sono pochissimi metri, nascondono le biciclette in un piccolo fossato che allora fiancheggiava l’ospedale Zappatoni (Cascinello dei Valtolina). Il gruppo, armato di un mitragliatore e pistole, si CONTINUA A PAGINA 6
6
APRILE 2011
il fi fioore del partigiano
A Inzago spira ancora il “vento”
MANIFESTAZIONI E UN FILM-VERITÀ
Uno spettacolo con letture sulla Resistenza per gli studenti di Cassano. Sotto, un momento della cerimonia conclusiva dell’ottava edizione del concorso “Luigi Restelli”, che vede ogni anno impegnate le scolaresche delle Medie sulle tematiche della resistenza e sull’attualità dei suoi valori. Il concorso si svolge con l’elaborazione da parte dei ragazzi di cartelloni, fotografie, animazioni e filmati, temi e interviste. L’ANPI cassanese ha proposto quest’anno come spunto per i lavori la lettera “Ai giovani sulla Costituzione” di Piero Calamandrei. Premiate le classi terza B e terza E delle medie Manzoni.
SEGUE DA PAGINA 5 avvia guardingo all’obbiettivo, convinto di cogliere di sorpresa quei militari. Purtroppo, al momento di usare il mitragliatore, questo si inceppa, dando modo ai tedeschi e ai repubblichini di reagire. Quindi ai partigiani non resta che cercare di sganciarsi, uno di essi butta una bomba nel locale, gli altri si difendono strenuamente con le pistole. Luigi Restelli (il quale era il commissario politico) inginocchiato spara, quando un colpo gli trapassa il collo. Cade mortalmente, e con lui un maresciallo tedesco. Pure feriti Angelo Fagnani, in modo leggero alla gamba destra, e Felice Braga, seriamente alla spalla; verranno poi curati da un medico amico di Trezzano Rosa.
LA RAPPRESAGLIA Siamo al 31 marzo, è un sabato vigilia di Pasqua. Nottetempo vengono prelevati dal carcere di Monza quattro detenuti, partigiani o renitenti alla chiamata alle armi della repubblica fascista di Salò. Sono: Giuseppe Ruggeri di 25 anni, Giuseppe Fontana, di anni 23, Luigi Lodola di anni 23, Giovanni Ballarati di anni 21. Essi vengono fucilati nei pressi del “Fornasino” da un plotone di esecuzione formato da giovani fascisti, i quali avevano chiesto “l’onore” ai tedeschi per l’assassinio di questi giovani innocenti, che nulla avevano a che vedere con il fatto suesposto. Ricordiamoli. Silvio Villa Cassano d’Adda, li 21 /02/04
A
nche se quest’anno il 25 aprile coincide con la Pasquetta, l’ANPI di Inzago invita a partecipare alle iniziative che celebrano il 66° anniversario della Liberazione dal nazi-fascismo. L’appuntamento è per la manifestazione con partenza alle ore 10 dal Palazzo Comunale. In Piazza Maggiore verrà reso omaggio alla figura del prof. Quintino Di Vona, davanti alla lapide che ne commemora il sacrificio, con il deposito di corone di fiori e gli interventi dell’ANPI e del Sindaco. Saranno consegnate dalla nostra associazione tessere ad honorem. Sempre in Piazza Maggiore sarà allestita dall’ANPI una mostra sulla Resistenza. Per il pomeriggio l’invito per la tradizionale scampagnata di Pasquetta da fare al contrario: da “fuori porta” al centro-città, alla tradizionale manifestazione di Milano, con partenza alle ore 14 dai Bastioni di Porta Venezia, per confluire in corteo a Piazza del Duomo. Per la sera del 27 aprile l’ANPI di
Il professor Quintino Di Vona, davanti alla sua scuola
Inzago invita alla proiezione del film di Rose Bosch “Vento di primavera (La rafle)”, alle ore 21.00 presso il Cinema Giglio. La visione è con ingresso gratuito.
IL FILM
Vento di primavera
1942. Joseph ha undici anni. È una mattina di giugno, deve andare a scuola, porta cucita sul petto una stella Gialla… Viene incoraggiato da un rigattiere e insultato da una fornaia. Tra benevolenza e disprezzo, Joseph, i suoi compagni ebrei e le loro famiglie imparano a vivere in una Parigi occupata, sulla collina di Montmartre, dove hanno trovato rifugio. Almeno così credono, fino alla mattina del 16 luglio 1942, quando la loro fragile felicità vacilla… Dal Vélodrome d’Hiver, dove vengono ammassati 13.000 arrestati, al campo di Beaune-La-Rolande, da Vichy alla terrazza del Berghof, Vento di primavera (La Rafle) segue i destini incrociati di vittime e carnefici. Di coloro che hanno orchestrato. Di coloro che hanno avuto fiducia. Di coloro che sono fuggiti. Di coloro che si sono opposti. Tutti i personaggi del film sono realmente esistiti. Tutti gli eventi, anche i più estremi, sono accaduti in quell’estate del 1942.
il fi fioore del partigiano VALORI E IDEALI DELLA RESISTENZA ANCORA ATTUALI
25 aprile, data da non dimenticare
L
DI
LUCIANO GORLA
a ricorrenza dell’anniversario della Liberazione, il ricordo di quel lontano e glorioso 25 aprile 1945, quando le forze più alte e nobili del popolo italiano, organizzate nelle formazioni partigiane (che nelle regioni settentrionali opponendosi alla Repubblica Sociale Italiana - l’ultimo atto della morente dittatura fascista - e l’occupazione dell’esercito tedesco) seppero imprimere una svolta nella storia politica della Nazione, costituisce non soltanto motivo di giuste celebrazioni, ma anche di doverosa memoria. Oggi l’Italia, e la stessa Europa, sono delle realtà molto diverse da quelle che uscirono stremate dal secondo conflitto mondiale. L’Europa di inizio terzo Millennio è un’Unione di Stati democratici che guarda con ottimismo ed impegno al futuro, mediante progetti ed iniziative comunitarie, varati da un Parlamento che esprime la specificità ed insieme la collegialità delle Nazioni che lo formano. In tale contesto, ricordare fatti legati ad una guerra, che scoppiata proprio in Europa incendiò alla fine il mondo intero, può sembrare fuori luogo, anzi, forse stonato ed inopportuno; mentre si va attuando un pensiero ed un progetto politico di cooperazione tra i popoli in cui non ha più un senso la potenza, la supremazia e la contrapposizione degli eserciti. È però altrettanto vero che questa nuova era nella storia politica dell’Italia e dell’Europa non è il frutto di una sorta di magia, non è piovuta dal cielo, non si è determinata per pura casualità, ma è il frutto di una crescente democratizzazione che i popoli hanno saputo conquistare e costruire. Una storia di rinnovamento che ha preso le mosse da lontano e che già prima del conflitto ha visto l’azione politica clandestina, il patriottismo, il sacrificio e l’eroismo di molte persone che seppero opporsi ai quei regimi che avevano calpestato la dignità dell’uomo e vilipeso i fondamentali diritti e la libertà dei cittadini. Ciò accadde anche in Italia e la memoria dei fatti legati alla Resistenza ed alla lotta di Liberazione, che rappresentarono il secondo Risorgimento italiano, non deve essere smarrita, ma deve rappresentare una sorta di consegna alle nuove generazioni, affinché non venga
mai meno il loro entusiasmo ed il loro impegno per un’ulteriore e crescente edificazione morale, civile e democratica della Nazione. Come ricorda la storia, l’8 settembre 1943 lo Stato era crollato, la Monarchia aveva abbandonato la capitale, l’Italia era divisa in due: al Sud l’avanzata degli eserciti alleati, al Nord il Fascismo Repubblicano che mirava alla guerra civile e l’occupazione tedesca; mentre bombardamenti e distruzioni devastavano il patrimonio produttivo del cuore industriale della Nazione. La Resistenza e la lotta di Liberazione hanno salvato, in quei drammatici momenti, la dignità dell’Italia, il sentimento nazionale, l’ideale di patria ed hanno gettato le basi della futura forma repubblicana della Stato, sancita dal referendum popolare del 1946, cui seguì la promulgazione della Carta Costituzionale. Oggi ad oltre sessant’anni da quegli eventi, da quando cioè il popolo italiano, come ridestatosi da un lungo incubo, riprese in mano le redini del
7
APRILE 2011
proprio destino, quella che fu Resistenza deve ancora essere presente nel ricordo e nel cuore di tutti. I valori e gli ideali che la animarono, infatti, sono vitali e non potranno mai morire; perché, ancora oggi, richiamano i valori fondanti della libertà e del pluralismo politico: in altre parole i princìpi che alimentano la nostra democrazia. Una democrazia che è costata il sacrificio di una schiera di resistenti, donne e uomini, anche giovanissimi, ed il sangue di numerosi patrioti caduti o giustiziati
Nella celebrazione del 25 aprile, in ricordo ed in omaggio ai patrioti combattenti ed ai martiri caduti per la causa della libertà, è pure il ricordo e l’omaggio alla “nostra resistenza”, quella cioè che s’è determinata in ambito locale per l’azione delle organizzazioni partigiane inzaghesi, in coordinamento con il CLN-Alta Italia; una scheggia di storia nostra della quale dobbiamo essere fieri e che non può essere disgiunta dai grandi avvenimenti nazionali; perché, a pieno titolo, ne è parte integrante.
8
il fi fioore del partigiano
APRILE 2011
T DI
Riprendiamo da il manifesto dello scorso 23 febbraio
L’attaccamento alle radici comporta inevitabili conflitti. Anziché affannarsi a cercare dubbie identità, è più utile rifarsi alle lezioni di Jürgen Habermas e di Denis de Rougemont che da prospettive differenti prefigurano comunità caratterizzate da valori di inclusione e solidarietà
REMO CESERANI
utti si affannano, in questi giorni, e riempiono le pagine dei giornali, dei siti web, dei blog, e delle trasmissioni televisive, per discutere di identità: l’identità italiana, le radici cristiane dell’Italia o dell’Europa, l’identità padana (del tutto immaginaria e composita), e così via. La parola “identità”, usata a proposito e a sproposito, compare sempre più spesso nei discorsi degli storici e dei giornalisti italiani, con insistito riferimento, in questi ultimi tempi, all’identità italiana (un’identità, come è noto, abbastanza incerta e traballante e prodotta con qualche fatica attraverso le vicende del Risorgimento, del Fascismo e della Resistenza). Tutti sappiamo che l’idea di una identità forte, sia delle singole persone (gli imprenditori, i costruttori del proprio destino, i protagonisti della propria vita), sia delle singole comunità (i gruppi sociali, le classi, le nazioni) sono un prodotto tipico della modernità, basato su forti investimenti ideologici e su vere e proprie costruzioni di sé con tutti gli strumenti offerti dalla mitologia (le origini, le radici) e dall’immaginario (la storia, la bandiera, gli inni, le date fatidiche, sia delle vittorie sia persino in certi casi, delle sconfitte, come è avvenuto per l’identità serba in seguito alla vittoria turca nella Piana dei Merli, nel Kosovo, il 15 giugno 1389, giorno di San Vito). INDIVIDUI IN MOVIMENTO Forse è il caso di dirci, sommessamente, che si corrono grossi rischi, e si cade in troppe rigidità ideologiche, quando si parla di identità. L’attaccamento alle radici, siano esse etniche, culturali o, peggio ancora, religiose, comporta un’inevitabile conseguenza di conflitti. La difesa della propria identità prevede un confronto, e spesso un contrasto (anche violento) con le identità altrui. Il panorama mondiale è ancor oggi pieno di conflitti che nascono proprio dalla rivendicazione delle proprie radici e dallo scontro fra identità diverse. E la storia offre esempi infiniti di guerre tribali, interetniche, civili, nazionali, mondiali, nate da simili rivendicazioni. Oggi in teoria saremmo in un mondo, quello della globalizzazione o della modernità liquida, in cui gli individui si muovono sempre più rapidamente e attraversano molti confini: sono immigrati che lasciano i paesi poveri o i regimi polizieschi per andare a vivere in società più aperte e più ricche di opportunità di lavoro. Sono giovani che hanno ottenuto una formazione nelle università e in centri di ricerca del proprio paese e, per sfuggire a strutture chiuse e corporative, o per semplice desiderio di ampliare conoscenze ed esperienze, vanno a operare nei centri di ricerca o nei laboratori di altri paesi. Sono persone che si trapiantano per
Un’eredità plurale
L’Europa delle diversità necessità o per gusto della novità e dell’avventura. Sono i protagonisti della mobilità sociale. Sono coppie che si formano dopo l’incontro fra individui (uomini o donne) appartenenti a culture diverse, che vanno a vivere presso uno di loro oppure si spostano entrambi in un paese terzo.
NEL SEGNO DELL’ILLUMINISMO Se esaminiamo questo problema dal punto di vista della teoria sociale, non possiamo che contrapporre all’idea di “identità” (ossia l’attaccamento più o meno volontario alle proprie radici e alla propria comunità di origine, la disponibilità a rafforzarla e difenderla fino al sacrificio - «pro patria mori»), l’idea di “appartenenza”, ossia la libera scelta della comunità in cui vivere e disponibilità a rafforzarla e difenderla, con juicio e possibilmente con armi pacifiche. È stato chiarissimo in proposito il filosofo tedesco Jürgen Habermas, che ne ha parlato al tempo della discussione sulla costituzione europea e dello scontro con chi insisteva fra questi non solo i prelati del Vaticano ma anche Fini, se ben ricordate - sulla necessità di inserire nel testo la rivendicazione dell’identità cristiana dell’Europa. Habermas respingeva qualsiasi idea tradizionale di nazione come «una comunità del destino plasmata da una comune eredità, una lingua e una storia comuni», e dichiarava di concepire piuttosto le nostre nazioni moderne come comunità di cittadini: «una comunità civica, anziché etnica», la cui
identità collettiva «non esiste indipendentemente o antecedentemente al processo democratico da cui scaturisce» (Tempo di passaggi, Milano, Feltrinelli, 2004, ma vedi anche Ach Europa!. Kleine politische Schriften XI, Franlfurt, Suhrkamp). Rifacendosi all’idea illuministica degli Stati moderni come formazioni storiche fondate su un contratto costituzionale, procedure democratiche, condivisione d’interessi economici, valori culturali, interpretazioni del passato e sviluppo di una “sfera pubblica”, Habermas concepisce l’Europa come una comunità specifica di cittadini (citoyen) caratterizzata dalla presenza condivisa di valori come la solidarietà, l’orientamento verso il sociale, l’inclusione politica ed economica. Questo passaggio del discorso di Habermas mi sembra di grande importanza: sarebbe bene che chi può scegliere la comunità alla quale aderire, ammesso che la possibilità di scelta sia reale (e temo che, pur con tutta la mobilità sociale del mondo globalizzato, quelli che possono scegliere non siano molti), preferisse una comunità caratterizzata da valori condivisi come «la solidarietà, l’orientamento verso il sociale, l’inclusione politica ed economica». Per fare qualche esempio dal mondo occidentale dopo la grande crisi: molti paesi europei sembrano poco inclini all’inclusione politica ed economica degli immigrati; l’Inghilterra e gli Stati Uniti, che tendono a cancellare il welfare, sembrano poco orientati verso la solidarietà e il sociale.
9
il fi fioore del partigiano
APRILE 2011
La “stele di Mesa”, con tracce di modificazioni dell’ebraico antico in uso nell’840 a.C. Nella pagina a fronte, il Forte Alberoni (foto di Moritz Lotze) e un quadro di raffronto tra lingue antiche del Mediterraneo
tanei e cronologicamente successivi, ma con assidua vicenda, l’uno compie l’altro, e corrispondono ai due grandi periodi della nostra istoria prima e dopo di Cristo, e alle due instituzioni italiane più forti e mirabili (alle quali credo che niun’altra si possa paragonare) cioè all’imperio latino nato dalla civiltà etrusco pelasgica, e alla dittatura civile del Papa nel medio evo, procreata dal Cristianesimo».
IL FEDERALISTA GIOBERTI Se poi esaminiamo il problema dal punto di vista della storia (di gran moda ai nostri giorni, in cui abbiamo delegato al bravissimo Benigni di tentare la ricostruzione, con l’aiuto di Aldo Cazzullo, delle vicende del Risorgimento - ma forse avrebbe fatto meglio a chiedere l’aiuto anche di Alberto Mario Banti), credo doveroso riconoscere che il problema dell’identità italiana sia un vero ginepraio. Tutti noi, nati nell’una o nell’altra regione italiana, abbiamo problemi non piccoli a risalire all’indietro nella storia e a identificare le nostre origini e identità. Cosa sono io, nato in Lombardia? Di eredità celtica, o germanico-longobarda, o villanoviana, etrusca, latina, romana? O addirittura pelasgica, come voleva Gioberti, uno dei padri della patria di cui si parla poco in questi giorni, il quale nel 1846 si fece sostenitore di un’Italia unificata con il consenso papale e nel 1848 si proclamò federalista? Sentite cosa scriveva nel Primato: «Il genio proprio degli Italiani nelle cose civili risulta da due componenti, l’uno dei quali è naturale, antico, pelasgico, dorico, etrusco, latino, romano, e s’attiene alla stirpe e alle abitudini primitive di essa; l’altro è sovrannaturale, moderno cristiano, cattolico, guelfo, e proviene dalle credenze e instituzioni radicate, mediante un uso di ben quindici secoli e tornate in seconda natura agli abitanti della penisola. Questi due elementi, che sono entrambi nostrani, ma il primo dei quali è specialmente civile e laicale, il secondo religioso e ieratico, insieme armonizzano, giacché essendo logicamente simul-
TRE CITTÀ-SIMBOLO Vorrei, a tutti quanti si tormentano sulla questione dell’identità italiana, e ancor più su quella dell’identità europea, ricordare le parole di un grande intellettuale ginevrino, Denis De Rougemont, calviniano, figlio di un pastore, ma anche spirito libero e coraggiosamente radicale, che negli ultimi anni della sua vita, dopo la formazione parigina (il cui frutto fu un libro curioso e controverso: L’amore e l’occidente, 1939) e un lungo soggiorno americano, da Ginevra si spese con grande energia in favore dell’Europa, proponendo uno Stato federale basato sul modello della Svizzera (Écrits sur l’Europe, a cura di Christophe Calame, Parigi 1994). De Rougemont insiste sulle diversità delle tante componenti che formano l’Europa e sul loro ruolo fecondo (lo stesso, a maggior ragione, dovremmo dire dell’Italia): «la diversità delle tradizioni, delle lingue, dei partiti, delle nazioni e persino delle religioni, è una condizione fondamentale della creatività e dello spirito d’invenzione» propri dell’Europa. Nella ricerca delle memorie condivise, De Rougemont mette in campo le tre città-simbolo della grande tradizione: Atene, Gerusalemme, Roma, e poi numerose culture: l’Oriente, la Grecia, il Cristianesimo, i Celti, i Germani, gli Arabi, gli Scandinavi, gli Slavi. Egli ricorda per esempio l’apporto celtico del gusto per l’avventura, per la dismisura e per la potenzialità trasfigurante del sacrificio e della sconfitta, oppure l’apporto germanico e celtico dell’ideologia cavalleresca e della fedeltà di appartenenza al clan e al ceto nobiliare, oppure ancora l’apporto occitanico della concezione cortese della vita e dell’amore, arricchita di elementi della gnosi e dell’erotismo arabo. Ma ricorda anche altri elementi, che spiegano l’insieme complesso e pieno di contraddizioni delle identità europee: 1) la molteplicità delle lingue ma anche le loro profonde e nascoste
affinità, dovute all’eredità indoeuropea, che accomuna quasi tutte le lingue antiche e moderne del continente (ricorda per esempio la presenza in molti paesi dei derivati dei termini dubron e dour che in celtico e in brettone armoricano significavano “acqua”, come dimostrano i nomi dei fiumi Douro in Spagna, Drance e Thur in Svizzera, Dordogne, Durance, Drôme e Dore in Francia, le due Dore in Italia, la Dordrecht in Olanda e venti altri fiumi europei); 2) la lunga tradizione di organizzazioni statali e burocratiche forti, ereditate dall’opera di romanizzazione, che ha portato gli Europei a costruire stati-nazione molto accentrati e autoreferenziali e, sottolinea De Rougemont, a non saper concepire Dio o la vita spirituale al di fuori dei quadri istituzionali delle Chiese; 3) la concezione della persona umana fortemente autonoma e impegnata a seguire una propria vocazione indipendente, ma capace di contribuire alla fondazione di valori condivisi della comunità (eredità greco-cristiana colorata di valori germanici e celtici); 4) lo spirito critico e la propensione a liberarsi dall’impalcatura del sacro e dal culto dei morti, dai miti tribali, dalle credenze religiose nate dalla paura (che De Rougemont considera una eredità propriamente evangelica); 5) la tendenza, purtroppo molto diffusa, a lasciarsi condizionare dai legami pesanti con la materialità (e quindi a essere meno distaccati e liberi rispetto, per esempio, ai popoli influenzati dall’induismo o dal buddismo); 6) la tendenza, inoltre, a lasciarsi attrarre dall’astrazione (e quindi essere meno capaci di comunicare con le proprie forze vitali dei popoli africani influenzati dall’animismo). APPARTENENZA E EGOISMO Mi pare un quadro straordinariamente efficace delle nostre tante diversità e un programma convincente in favore di un’Italia, e di un’Europa, non delle identità, ma delle differenze e delle appartenenze. De Rougemont aveva in mente la Svizzera: un paese in cui convivono tre religioni e quattro lingue, orgoglioso della sua indipendenza, delle sue istituzioni politiche, unito non da ragioni di identità etnica, linguistica o religiosa, ma da peculiari, rispettabilissime, tradizioni storiche (ma anche, si deve aggiungere, da non poche ragioni di convenienza e interessi economicomateriali, e da una solidarietà un po’ chiusa su di sé e corretta da un qualche egoismo - come dimostra il recente affacciarsi sulla scena politica di un movimento xenofobo come il Ppd di Christof Blocher). Tutto considerato, mi pare che la lezione di De Rougemont, così come quella di Habermas, potrebbe essere estremamente salutare in un’Italia come è quella in cui viviamo, estremamente confusa e distratta.
10
il fi fioore del partigiano
APRILE 2011
RICORDI E RIFLESSIONI DI UN MILITANTE
DI
La quattro cavalli rossa
GIANCARLO VILLA
L’
In memoria di Giovanna, novembre 2010
alto muro grigio della ex filanda filava liscio e scuro al bordo destro della strada bagnata. Sulla mia utilitaria decapottabile rossa ero lì da più di mezzora ad aspettarla; ecco arriva, la sua figura piccola ed un po’ caracollante si staglia contro la fine del vicolo, mi saluta con un bel sorriso e sale in macchina: «Scusa il ritardo, dai, dai andiamo, che i compagni ci aspettano…». Così, tante volte si svolgevano i nostri rendez-vous; non erano appuntamenti amorosi o di morosi, ma appuntamenti di giovani militanti comunisti, di compagni non ancora trentenni che dovevano correre a riunioni, una o due volte a settimana, dai nostri paesi all’estrema periferia della provincia fino al sobborgo operaio della grande città. Qui si svolgeva il nostro intervento politico, nelle vicinanze delle fabbriche dove ambedue lavoravamo di giorno e discutevamo di notte con altri giovani operai e studenti; dove preparavamo volantini e giornali auto-ciclostilati dei gruppi operai-studenti, dei CUB, dell’Interfabbriche; dove ci si preparava alle manifestazioni che allora quasi ogni sabato percorrevano le strade di Milano. «Fascisti, borghesi, ancora pochi mesi… La classe operaia deve dirigere tutto… È ora, è ora, è ora di cambiare…»
ERAVAMO ALLA FINE degli anni ‘70, il ‘68 per noi non era finito, l’autunno caldo scaldava ancora il nostro agire e la nostra militanza, eravamo gli extra-parlamentari, i gruppettari, le compagne e i compagni di A.O. (Avanguardia Operaia), di L.C. (Lotta Continua), dell’MLS (Movimento Lavoratori per il Socialismo), del PdUP-Manifesto. Ma in quella 4 cavalli rossa (la mitica Citroën Dyane, ndr) che scorrazzava quasi tutte le sere tra Cassano, Inzago e Pioltello o Cernusco c’eravamo sempre, alcune volte con altri/e, io e Giovanna. Ci conoscevamo dal 1969, da quando a Cassano nostro paese d’origine - avevamo partecipato alla fondazione dei Giovani di Sinistra e poi del Collettivo Popolare; eravamo i dirigenti (sic!) della cellula di A.O. di Pioltello e Vignate. La nostra sede era il classico sottoscala di un condominio, polveroso e pieno di carta di giornali (da vendere come autofinanziamento), volantini e manifesti, un tavolone, 5 sedie e 4 file di vecchie sedie da cinema. Allora non c’erano i pc, ma noi non avevamo neanche la macchina da
scrivere, per lo più si scrivevano a mano grandi manifesti, i “tazebao” importati dalla Cina maoista. Quindici-venti compagni e compagne si riunivano lì sotto: tecnici, operai, studenti delle fabbriche della zona e delle scuole superiori di Milano. Proviamo a ricordare alcuni nomi di queste fabbriche (tante non ci sono più): Stigler-Otis, Carlo Erba, GTE, Bezzi, Artigrafiche, Kaloderma, Giuliani Farm, 3M, Sisas. L’attività e la militanza politica erano un ingranaggio che macinava riunioni su riunioni, di cellula, di zona, di federazione, di sindacato e, quando non bastava, anche di Collettivo di paese, che intanto si era spostato da Cassano a Inzago.
OGNUNO DI NOI aveva la sua famiglia, eravamo sposati già da qualche anno, io con Teresa, Giovanna con Valentino (allora sindacalista CISL); quando non avevamo impegni politici andavamo a divertirci, a cena assieme, a fare scampagnate con altri amici e compagni, insomma era difficile non vedersi per più di 2 o 3 giorni. Un nostro posto di ritrovo era il cascinello dove abitavano i genitori ed il fratello di Giovanna, Pietro detto Pierino. Lì si organizzavano grandi cene conviviali, in autunno-inverno a base di casoela e cudeghet, in estate con maestose grigliate miste; mamma Gidia era la padrona di casa e cucinava per 25-30 persone come se niente fosse, «te stà chee a mangià, cumè no, alura va a da via al c...». Forte e vivido mi è il ricordo di una serata di settembre, era il 1973, eravamo lì quasi tutti i compagni e compagne di Cassano, lì sotto il grande albero che faceva ombra all’entrata del cascinello. L’estate non era ancora finita, il tepore della sera intorpidiva ancor di più la nostra tristezza e la nostra rabbia, alla radio ascoltavamo, pian- gendo silenziosamente, la libertà perduta del popolo cileno, il golpe di Pinochet e l’assassinio del compagno presidente Allende e di tanti altri democratici cileni. Capimmo in quei giorni la forza ed il senso dell’internazionalismo che fu degli antifascisti italiani ed europei nel correre a prestare aiuto ad un popolo che, ironia della sorte o della Storia, parlava la stessa lingua, la repubblica spagnola del 1936, schiacciata dall’intervento armato del generale Franco, sostenuto e foraggiato dal fascismo di Mussolini e dal nazismo di Hitler, con l’appoggio benedicente della Chiesa impaurita. Ma oltre che alla campagna “Armi al MIR” noi non si andò, ed anzi il PCI di Berlinguer, spaventato dalla possibilità che una sua presa del potere in Italia avrebbe scatenato le forze reazionarie e fatto interve-
Scrivete, per ricordare
La memoria degli anni che ci hanno visti partecipi e protagonisti della storia, delle lotte e dell’impegno politico, antifascista e di sinistra nel nostro territorio, la Martesana e l’est Milanese, può essere un progetto o forse solo una provocazione, questo vuol essere un primo intervento, spero possa rompere il ghiaccio di oltre 30 anni. Altrimenti di noi, che coltiviamo appassionatamente la Memoria dei nostri padri partigiani e ormai scomparsi, di noi ormai maturi e anziani cosa lasceremo per poter permettere di perseguire la pratica della Memoria ai nostri giovani? Scrivete, ricordate compagne e compagni, ricordate per il futuro. La Memoria è un dono. Giancarlo
nire la NATO, lanciò la proposta moderata del “compromesso storico” che tarpò le ali ai progetti di cambiamento e di progresso che stavano realizzandosi in Italia sull’onda delle lotte operaie e studentesche dal 68-69 in poi. «Berlinguer sei come un ravanello, rosso fuori ma bianco nel cervello. - Il compromesso storico, ce l’ha insegnato il Cile, si fa soltanto col fucile.» Cosi si cantava nei nostri cortei che attraversavano tutta l’Italia, era la fine del 1973 e la fine della possibilità o dell’illusione per la sinistra di arrivare al governo del paese. INIZIAVA LA DERIVA moderata e conservatrice che, tranne per pochi episodi o cambiamenti (referendum sul divorzio) imposti dalla partecipazione popolare, fece scivolare il nostro paese verso una situazione politica di regresso e di sistema sempre più corrotto ed inefficace, che poi esplose con il terrorismo,Tangentopoli ed il dissolvimento dei partiti storici come la DC, il PSI e il PCI. Finiva la prima Repubblica, iniziava il bipolarismo, il rifiuto delle ideologie, la grande palude del berlusconismo, l’egoismo sociale e secessionista leghista, in cui ancora oggi siamo impantanati. Ma l’altro giorno ho intravisto una 4 cavalli rossa sfrecciare sulla Padana Superiore. Chissà dov’era diretta…
il fi fioore del partigiano
11
APRILE 2011
I PADRI COSTITUENTI HANNO VOLUTO ROVESCIARE I PRINCIPI DEL FASCISMO
I
ILLUSTRAZIONE DI MARILENA NARDI
DI
Domenico Gallo, magistrato presso il Tribunale di Roma, studia da anni questioni attinenti il diritto internazionale e i diritti dell’uomo. Riprendiamo un suo intervento da La Rinascita del 21 gennaio 2005 dal titolo: “Il presupposto politico della Costituzione italiana: l’antifascismo”.
DOMENICO GALLO
nterrogandosi sulla radice profonda della Costituzione, uno dei padri costituenti, Giuseppe Dossetti, metteva in luce la rilevanza dell’evento globale che l’aveva inspirata. «In realtà la costituzione italiana è nata ed è stata ispirata da un grande fatto globale, cioè i sei anni della seconda guerra mondiale. (..) Anche il più sprovveduto o il più ideologizzato dei costituenti non poteva non sentire alle sue spalle l’evento globale della guerra testè finita. Non poteva, anche se lo avesse cercato di proposito, in ogni modo, dimenticare le decine di milioni di morti, i mutamenti radicali della mappa del mondo, la trasformazione quasi totale dei costumi di vita, il tramonto delle grandi culture europee, l’affermarsi del marxismo in varie regioni del mondo, i fermenti reali di novità in campo religioso, la necessità impellente della ricostruzione economica e sociale all’interno e tra le nazioni, l’urgere di una nuova solidarietà e l’aspirazione al bando della guerra. Quindi l’acuirsi delle ideologie appena ritrovate e l’asprezza dei contrasti politici fra i partiti appena rinati, lo stesso nuovo fervore religioso determinato dalla coscienza resistenziale non potevano non inquadrarsi, in un certo modo, in vasti orizzonti, al di là di quello puramente paesano, e non poteva non inserirsi anche in una nuova realtà storica globale a scala mondiale. Insomma, voglio dire che nel 1946 certi eventi di proporzioni immani erano ancora troppo presenti alla coscienza esperenziale per non vincere, almeno in sensibile misura, sulle concezioni di parte e le esplicitazioni, anche quelle cruente, delle ideologie contrapposte e per non spingere, in qualche modo, tutti a cercare, in fondo, al di la di ogni interesse e strategia particolare, un consenso comune, moderato ed equo. Perciò la Costituzione italiana del 1948, si può ben dire nata da questo crogiolo ardente ed universale, più che dalle stesse vicende italiane del fascismo e del postfascismo; più che dal confronto/scontro di tre ideologie datate, essa porta l’impronta di uno spirito universale e, in un certo modo, trans-temporale.»1 Pur accettando la precisazione di Dossetti, che la Costituzione non è il semplice prodotto di una ideologia antifascista, colti-
L’antifascismo, alla base della Costituzione
vata in Italia da limitate elités politiche, ma nasce dalle dure lezioni della storia, non si può disconoscere che il presupposto politico della Costituzione italiana è rappresentato dall’antifascismo. Su questo punto occorre essere chiari. LA COSTITUZIONE ITALIANA è una costituzione compiutamente antifascista, non perché è stata scritta da antifascisti desiderosi di vendicarsi dei lutti subiti; al contrario, per voltare definitivamente pagina rispetto alla triste esperienza del fascismo e della guerra, i costituenti hanno sentito il bisogno di rovesciare completamente le categorie che caratterizzano il fascismo. Come il fascismo era alimentato da spirito di fazione ed assumeva la discriminazione come propria categoria fondante (sino all’estrema abiezione delle leggi razziali), così i costituenti hanno assunto l’eguaglianza e l’universalità dei diritti dell’uomo come fondamento dell’Ordinamento. Come il fascismo aveva soppresso il pluralismo, perseguendo una concezione totalitaria (monistica) del potere, così i costituenti hanno concepito una struttura istituzionale fondata sulla divisione, distribuzione, articolazione e diffusione massima dei poteri. Come il fascismo aveva aggredito le autonomie individuali e sociali, così i Costituenti, le
hanno ripristinate, stabilendo un perimetro invalicabile di libertà individuali e di organizzazione sociale. Come il fascismo aveva celebrato la politica di potenza, abbinata al disprezzo del diritto internazionale ed alla convivenza con la guerra, così i Costituenti hanno negato in radice la politica di potenza, riconoscendo la supremazia del diritto internazionale e ripudiando le nozze antichissime con l’istituzione della guerra. L’ANTIFASCISMO della Costituzione non sta nella XII disposizione transitoria e finale, che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista, norma ispirata ad una contingenza storica, ma sta nei fondamenti e nell’architettura del sistema. Se i principi fondamentali sono antitetici rispetto a quelli proclamati o praticati dal fascismo, è l’architettura del sistema che fa la differenza ed impedisce che, ove mai giungano al governo forze politiche caratterizzate da cultura o aspirazioni antidemocratiche (come avviene nell’attuale congiuntura politica), queste forze possano realizzare una trasformazione autoritaria delle istituzioni, aggredendo il pluralismo istituzionale (per es. l’indipendenza della magistratura) o il sistema delle autonomie individuali e collettive (liCONTINUA A PAGINA 12
12
APRILE 2011
SEGUE DA PAGINA 11 bertà di espressione del pensiero, libertà di associazione, diritto di sciopero, etc). La Costituzione, insomma, rende impossibile ogni forma di “dittatura della maggioranza”. Proprio per questo nell’ultimo decennio da un vasto arco di forze politiche (non soltanto dalla maggioranza di centrodestra attualmente al governo) la Costituzione è stata vissuta come un impaccio, come una serie di fastidiosi vincoli, di cui sbarazzarsi per restaurare l’onnipotenza dei decisori politici. Ridotta all’osso è questa la questione centrale che anima il tentativo di grande riforma della Costituzione che oggi è sul tappeto. Non si tratta, pertanto, di riforma, ma di sovversione. In questo processo il primo passo è rappresentato dalla delegittimazione dell’antifascismo, presupposto politico della Costituzione italiana. Dalla delegittimazione politica dell’antifascismo, attuata attraverso varie forme simboliche, come il taglio dei fondi all’ANPI o la rilegittimazione dei combattenti di Salò, si è passati all’affondo definitivo, attraverso la manomissione dei frutti dell’antifascismo consolidati nelle regole costituzionali. LA RIFORMA (compreso il suo accessorio costituito dalla riforma dell’ordinamento giudiziario) colpisce al cuore l’ispirazione antitotalitaria dell’antifascismo, ripristinando un’architettura monistica del potere. Essa istituisce, con un Premier dotato di tutti i poteri compreso quello di sciogliere a suo piacimento la Camera, un governo personale, un re elettivo, estraneo ai principi del costituzionalismo moderno, delegittima e disarma il Parlamento, spoglia delle sue responsabilità di garanzia il Presidente della Repubblica, e infirma le funzioni degli altri organi dello Stato, a cominciare dalla Corte Costituzionale. Anche se in apparenza la riforma della Costituzione del Governo Berlusconi non modifica il quadro dei diritti fondamentali e delle libertà, come configurato nella I parte della Costituzione, in realtà, dopo la riforma, tutti i diritti dei cittadini vengono degradati. Infatti i diritti e le libertà solennemente sanciti dalla prima parte della Costituzione ricevono solidità e saldezza con gli istituti attraverso i quali è stata organizzata la rappresentanza e sono stati distribuiti, bilanciati e divisi i poteri. Spogliati di tali istituti, attraverso la demolizione dell’architettura della parte II della Costituzione, i diritti e le libertà appassiscono, cessano di essere garantiti a tutti e perdono il vincolo dell’inviolabilità. Se la riforma dovesse passare, l’ispirazione antifascista su cui si fonda la Costituzione italiana sarebbe cancellata ed il suo patrimonio disperso per sempre. Ma si può cancellare l’antifascismo? Don Giuseppe Dossetti, I valori della Costituzione, in Costituzione italiana istruzioni per l’uso, pagg. 12 - 15.
1)
il fi fioore del partigiano
Viva l’Italia! E poveri noi... LE PAROLE DELL’ASSURDA
DI
SERENA PRINZA
V
da l’Unità del 17 marzo scorso
iva l’Italia. L’Italia che ancor prima di nascere era considerata Giovine e sognata come una repubblica democratica. Poveri noi, che oggi non parliamo più di Giovine Italia, ma di giovani, tanto giovani da essere minorenni. Viva l’Italia. L’Italia dei Mille. Volontari per la maggior parte Lombardi, Veneti, Liguri. Poveri noi, che all’esecuzione dell’inno nazionale siamo costretti a vedere gli uomini di governo, gli uomini della Lega, magari Lombardi, Veneti, Liguri, ad abbandonare le aule del potere per andare a bere un caffè. E no, grazie. Il caffè mi rende nervoso.
Viva l’Italia. L’Italia delle donne del Risorgimento: Anita Garibaldi, Cristina Trivulzio di Belgiojoso, Antonietta De Pace, Olimpia Rossi Savio, Tonina Masanello in Mariniello, Maria Clotilde di Savoia. Donne che si vestivano da uomo per partecipare all’impresa dei Mille, scendevano in piazza durante le Cinque giornate di Milano, apri-
vano le porte dei loro salotti per accogliere i pensatori e permettere ai patrioti di organizzare piani di liberazione. Poveri noi, che dobbiamo leggere le varie dichiarazioni di Ruby Rubacuori, Iris Berardi, Elisa Toti, Sara Tommasi, Noemi Letizia, Barbara Fagioli, che infilatesi in alcuni salotti rischiano di essere il solo buon motivo per mandare a casa il dragone.
Viva l’Italia e quegli uomini che scrissero la Costituzione, legge fondamentale e fondativa dello Stato italiano. Poveri noi, che abbiamo questi uomini che vogliono mettere mano e riscrivere la nostra Costituzione. Viva l’Italia. L’Italia dove l’unità è nata prima nei discorsi e negli incontri degli uomini di cultura. Poveri noi, che vediamo fare a pezzi i luoghi dove nasce la cultura e dove il nostro patrimonio è custodito.
Viva l’Italia. L’Italia che aveva chiuso con la Prima Repubblica. Poveri noi, costretti a vivere nella seconda. Viva l’Italia. L’Italia di 150 anni fa. Poveri noi se ce ne ricordiamo solo oggi.
Viva l’Italia, perché sono del sud, vivo al nord e mi piace uno del centro.
Olimpia Rossi Savio e, a destra, Anita Garibaldi
13
il fi fioore del partigiano
APRILE 2011
RECENSIONI E INVITI ALLA LETTURA
R
Il ronzino crociato della vandea brianzola IL CAVALLO ROSSO di Eugenio Corti
are volte mi è capitato di leggere una tale summa di pagine, più di 1260, talmente intrisa di avversione e di livore storico, ideologico e culturale, come in questo romanzone scritto da Eugenio Corti, ormai novantenne scrittore della Brianza ultracattolica e lui stesso appassionato del “cristianesimo medioevale”. Una storia, o meglio una saga familiare, che si svolge tra la fine degli anni ‘30 e la fine degli anni ‘70 nell’Italia del Nord, nella zona a nord di Monza, nella bianca Brianza ora regno di Comunione e Liberazione e della Lega Nord. Il lunghissimo racconto si snoda tra l’entrata in guerra dell’Italia fascista, la seconda guerra mondiale con la rovinosa ritirata dalla Russia, l’8 Settembre, la Resistenza, la Liberazione, il periodo fino alle elezioni del ‘48 dove vince la DC, il ‘68, il referendum sul divorzio… Il filo conduttore, che si dipana e spesso si avvolge su stesso, è la storia di questa famiglia Riva, industrialotti tessili di Nomana (Besana), con i loro sette figli, tra cui Ambrogio, più il cugino Manno e l’amico Michele. La partenza per la guerra, il sacrifico di Manno, il ritorno di Ambrogio dalla campagna di Russia, il ritorno di Michele alla fine del ‘46 dopo una lunga prigionia in Russia, i tre filoni principali sono questi. Ma tutto è condito, intriso, pervaso da un feroce e pauroso anticomunismo (con radici nell’anti-illuminismo e anti-marxismo) tanto da far scrivere all’autore (al tempo poco più che trentenne) asserzioni di equivalenza tra nazismo e comunismo o considerazioni generali sul comunismo male maggiore per l’umanità che non il nazismo. L’autore giustifica in più parti e sottovaluta coscientemente tutto il fascismo italiano e non perde occasione di denigrare la Resistenza italiana specie la sua grande parte comunista e di sinistra, riducendola nell’insieme a pochi episodi di contrasto ai nazisti
tedeschi e ai repubblichini di Salò in modo confuso e disorganizzato, bande di sbandati raccogliticce le brigate garibaldine, poche e uniche organizzate seriamente le cattoliche e le badogliane (mah!). Prevale fino ad essere grevemente stucchevole in questa opera, non a caso misconosciuta al grande pubblico, ma comunque con diverse ristampe negli anni e distribuita attraverso canali ed ambiti cattolici, una visione della vita e del mondo ancorata ad un modus vivendi et cogitandi di tipo, oserei dire, medioevale bucolico, da vandea industriosa (la pacifica Brianza), da quella superiorità del fare (i realizzatori) e morale (i santi) antistorica e trasparentemente antiprogressista. La ricostruzione storica degli avvenimenti fatta dal Corti contiene tale sicumera ed arroganza intellettuale che si permette di interpretare (a modo suo e senza averli mai conosciuti direttamente) il pensiero di importanti protagonisti di quel periodo, come Togliatti ad esempio, pur di disegnare un personaggio negativo a metà strada tra il furbo, il pavido ed il crudele, il vero demonio in terra. Finendo di leggere faticosamente questo tomo, alle descrizioni dei patemi d’amore dei vari personaggi maschili verso le loro amate, mi sovveniva un pensiero non di tipo letterario ma più prosaicamente legato ai tempi d’oggi: tutto in quest’opera monumentale mi fa pensare che non solo i personaggi, ma pure l’autore stesso, in questi anni della fine del ventesimo secolo ed inizio del ventunesimo, nella realtà e nelle loro scelte politiche sarebbero stati e sono degli attivisti di quel movimento modernamente integralista cattolico che va sotto il nome di CL (Comunione e Liberazione) molto forte proprio in Brianza e nel Lecchese con il suo braccio economico-imprenditoriale della CdO (Compagnia delle Opere) che sostiene a spada tratta (la spada dell’arcangelo Michele contro il drago, il male…) proprio il
per la lettura e la discussione
Stéphane Hessel - Indignatevi! Add editore
Ha 93 anni. Partecipò alla resistenza durante la seconda guerra mondiale. Ed è stato subito dopo uno dei redattori della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Hessel è un vecchio signore, dall’apparenza (solo quella) stanca e desueta. Nei mesi scorsi ha preso carta e penna e ha scritto un opuscolo di 32 pagine dal titolo «Indignez-vous!». Tantissimi francesi, indignati come lui, l’hanno letto.
cav. Berlusconi, il vecchio drago a cui si offrivano le vergini nelle notti di Arcore o negli altri manieri del bunga-bunga. Chissà cosa potrà pensare di questa situazione il Corti e quale tipo di morale potrebbe applicare a queste squallide attualità. Sarà un caso che all’autore, sconosciuto alla grande critica e anche per sua ammissione non considerato dalla pubblicistica degli ultimi 50 anni (tutti laici, atei, comunisti), in questi ultimi 3 anni, dal 2008 ad oggi, siano stati riconosciuti premi come l’Ambrogino d’oro (dalla Milano della Moratti), il premio della provincia di Milano di Podestà (ma non c’è la provincia di Monza-Brianza?), il premio della Regione Lombardia di Formigoni(1) e c’è persino un sito che lo vuole proporre per il Nobel. Un libro da non leggere? Non direi: chi avesse un bel po’ di tempo da spendere per conoscere le profonde pulsioni e preoccupazioni di un cristiano preconciliare del XX secolo, medioevale, papista (ma molto critico con papi come Giovanni XXIII o Paolo VI) e completamente collegato al concetto della Provvidenza, può iniziare a leggerlo; gli auguro di avere la pazienza e la forza di arrivare alla fine senza buttarlo dalla finestra… anche perché questo mattone potrebbe far veramente male a qualcuno che si trovasse a passare lì sotto. Giancarlo Villa
Il padre di Roberto Formigoni, attuale presidente della regione Lombardia, Ing. Emilio, è stato un comandante delle Brigate Nere fasciste nel Lecchese; dopo il 25 Aprile 1945 costretto a rifugiarsi nella Spagna franchista per qualche anno, perché sotto processo in contumacia, accusato di aver fatto fucilare dei partigiani (Rappresaglia di Valaperta di Casatenovo), poi ha potuto rientrare in Italia usufruendo dell’amnistia concessa da Togliatti.
(1)
Pietro Ingrao - Indignarsi non basta (con Maria Luisa Boccia e Alberto Olivetti) Aliberti editore
Commentando Indignez-vous!, Pietro Ingrao sostiene che l’indignazione non basti. «Bisogna costruire una relazione condivisa, attiva» dice, e aggiunge: «Valuto molto più forte il rischio che i sentimenti dell’indignazione e della speranza restino, come tali, inefficaci, in mancanza di una lettura del mondo e di una adeguata pratica politica che dia loro corpo.»
14
il fi fioore del partigiano
APRILE 2011
10 giugno 1924: il segretario del Partito socialista unitario veniva rapito e ucciso da cinque squadristi. L’ordine veniva dal capo. La Resistenza c’era già, ma sembrava impossibile. Il mandante, Mussolini, 3 gennaio 1925 alla Camera: «Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere». Era tutto vero
Agosto 1924. Il corpo di Matteotti, ritrovato nel bosco della Quartarella, viene portato via. L’assassinio risale a due mesi prima. Nella foto piccola, fotoritratto di Giacomo Matteotti. A pag. 15, fascisti a Verona, 1919, violenti all’origine
Il delitto Matteotti VITTIMA DELL'ASSOCIAZIONE A DELINQUERE FASCISTA
L’Aventino e il contrattacco di Mussolini
Questo testo (con le foto) è ripreso da Diario del 4 / 5 / 2001
L DI
CRISTOPHER SETON WATSON
a nuova Camera si riunì il 24 maggio (1924 ndr), nono anniversario della dichiarazione di guerra, e il discorso della Corona definì le elezioni il trionfo della “generazione della vittoria”. I ministri fascisti apparvero per la prima volta in uniforme del partito e i deputati della maggioranza erano in uno stato d’animo di esaltazione. Il dibattito che seguì fu particolarmente importante per il discorso pronunciato da Giacomo Matteotti, che mostrò in quella occasione le doti di un vero leader. Fin dal 1919 egli aveva rappresentato in Parlamento Rovigo, nella cui provincia, da giovane, aveva organizzato i braccianti. Aveva partecipato alla guerra come soldato di leva, ma era rimasto un pacifista intransigente, e dopo Caporetto era stato internato per disfattismo. Duro e riservato, indifferente alla popolarità, esperto di problemi finanziari, della scuola e delle amministrazioni locali, era intellettualmente superiore alla gran massa dei suoi colleghi socialisti. Dopo la scissione dell’ottobre 1922 aveva seguito Turati nel Partito socialista unitario, e all’inizio del 1924 ne era diventato il segretario. La sua personalità, le sue capacità organizzative e la durezza con cui denun-
ciava i misfatti fascisti avevano ridato vitalità tanto in Parlamento che fuori al suo partito ormai in pezzi. Il 30 maggio, per oltre quattro ore, tra una tempesta di interruzioni fasciste, Matteotti denunciò le violenze, le frodi, le intimidazioni avvenute durante la campagna elettorale, e chiese che la Camera invalidasse il risultato della consultazione. Quando finì di parlare dichiarò ai compagni: «E ora potete anche prepararmi l’orazione funebre». Il suo discorso aveva effettivamente esasperato i fascisti, che risposero con insulti e minacce. Mussolini scrisse sul Popolo d’Italia del 1° giugno che la maggioranza era stata troppo paziente e che la mostruosa provocazione di Matteotti meritava qualcosa di più concreto di una risposta verbale, e in quello stesso giorno ordinò telegraficamente al prefetto di Torino di «rendere nuovamente la vita difficile» a Gobetti (...). IL 10 GIUGNO si apprese che Matteotti era scomparso, e pochi dubitarono della responsabilità dei fascisti. Tali sospetti erano pienamente giustificati. Matteotti era stato rapito appena uscito di casa da cinque squadristi al comando di Amerigo Dumini e gettato in un’automobile: egli aveva resistito gridando aiuto, ed era stato quindi picchiato selvaggiamente e pugnalato a morte. Il corpo era stato sepolto dopo il tramonto in un bosco a 25 chilometri da Roma, dove fu scoperto due mesi dopo. Gli assassini appartenevano alla cosiddetta «Ceka», che era sotto il controllo diretto di Cesare Rossi, capo dell’uf-
ficio stampa del presidente del Consiglio, e di Giovanni Marinelli, amministratore del partito fascista: Dumini era stipendiato dall’ufficio di Rossi, ed era stato già utilizzato per altre imprese precedenti, come le aggressioni a Forni, Misuri e Amendola. L’automobile era stata prestata da Filippo Filippelli, direttore del fascista Corriere italiano. L’esistenza della banda di Dumini era ben nota non soltanto a De Bono, capo della polizia, ma anche a Mussolini. Il problema che sconvolse il Paese nei sei mesi seguenti fu quello di determinare in quale misura il governo fosse responsabile dell’assassinio. Molto prima che questi fatti venissero alla luce, un’ondata di orrore e di indignazione scosse tutto il Paese. Per alcune critiche settimane il fascismo apparve impotente e demoralizzato: Mussolini era isolato, la sua anticamera deserta (…). Il 13 giugno affrontò di nuovo la Camera: «Solo un nemico che da lunghe notti avesse pensato a qualcosa di diabolico contro di me, poteva effettuare questo delitto», egli dichiarò; era un delitto antifascista, antinazionale (...). IL 13 GIUGNO i rappresentanti di tutti i settori dell’opposizione – i liberal-democratici di Amendola e di Di Cesarò, i popolari, i due gruppi socialisti, i repubblicani e i comunisti – decisero di non partecipare più ai lavori del Parlamento fino a che dubbi tanto gravi persistessero sul sinistro episodio: fu questo l’inizio della «secessione dell’Aventino», alla quale presero parte circa cento deputati. Guidati da Amendola, Turati e De Gasperi (successore di Sturzo alla segreteria del Partito popo-
il fi fioore del partigiano
15
APRILE 2011
Amendola faceva affidamento. Pochi giorni dopo l’assassinio di Matteotti, Finzi, Rossi e Filippelli, infuriati di essere stati usati come capri espiatori, avevano scritto vari memoriali nei quali asserivano che, quali che fossero le loro responsabilità per l’attività della «Ceka», Mussolini aveva approvato e spesso ordinato direttamente i delitti perpetrati da quella organizzazione. Questi memoriali giunsero nelle mani dell’opposizione e furono comunicati al re, che commentò: «Non sono un giudice: non è a me che debbono essere dette queste cose». Stefano Jacini, a nome dei popolari, e Sforza scongiurarono il re di dissociare le sue responsabilità da quelle del regime, ma Vittorio Emanuele si rifugiò dietro il paravento delle forme costituzionali: «Io sono un cieco e un sordo», egli dichiarò, «i miei occhi e le mie orecchie sono il Senato e la Camera»; perché egli potesse agire, il governo avrebbe dovuto essere prima sconfitto in Parlamento (...).
lare), essi decisero di non aver alcun rapporto con un governo moralmente compromesso, sicuri che, una volta dimostratane la complicità nel delitto, il fascismo sarebbe crollato tra l’esecrazione generale. La secessione dell’Aventino fu un gesto morale, basato sulla fiducia che il tempo lavorasse a favore degli aventiniani e che la giustizia avrebbe vinto. Questo atteggiamento intransigente, tuttavia, nascondeva l’indecisione e l’impotenza dell’opposizione, che non aveva né un piano né un’organizzazione, e si disperdeva in ore e ore di discussioni accademiche. Come Turati scrisse sconsolatamente, era impossibile indurre i vari
gruppi a concordare una linea positiva d’azione comune: «Si fa uno sforzo enorme per non concludere nulla». Pochissimi erano veramente disposti ad agire. Quando la tempesta scoppiò, Sforza incitò i dirigenti socialisti e repubblicani a correre a Palazzo Chigi e ad arrestare Mussolini nel suo ufficio; anche Turati avrebbe voluto agire coraggiosamente, convinto che «ogni quarto d’ora perduto è un tradimento» e che «il tempo lavora pel nemico». Almeno in un primo momento, un’azione audace avrebbe potuto dare un risultato positivo, ma l’occasione fu perduta (...). La passività dell’Aventino rese il re arbitro della situazione, ed era proprio sul re che
L’ASSASSINIO di Matteotti fece diventare l’antifascismo un movimento politico. Migliaia di romani si recarono in pellegrinaggio sul luogo in cui era stato trovato il cadavere del deputato socialista, e lo coprirono di fiori. Turati fu applaudito per le strade, ed ex avversari cominciarono a corteggiarlo. La diffusione della stampa antifascista ebbe un forte sviluppo; Albertini, liberandosi dalle sue ultime inibizioni, trasformò il Corriere della sera in un potente strumento di opposizione, e la tiratura del giornale salì a 800 mila copie, il doppio di tutti i giornali fascisti messi insieme (...). La crisi Matteotti giunse al suo culmine alla fine dell’anno. Durante un processo per diffamazione intentato da Balbo contro la Voce repubblicana, furono esibiti come prove gli ordini impartiti da Balbo al «ras» di Ferrara di far picchiare i socialisti recentemente assolti dai tribunali, ordini accompagnati dalla promessa che contro gli autori delle aggressioni la magistratura non avrebbe proceduto. Balbo fu costretto a dimettersi da generale della milizia, e il 3 dicembre Albertini prese spunto dalCONTINUA A PAGINA 16
16
APRILE 2011
il fi fioore del partigiano
SEGUE DA PAGINA 15 l’episodio per pronunciare uno dei più duri atti di accusa contro il regime che il Senato avesse mai ascoltato: era ormai chiaro, egli dichiarò, che lo squadrismo e il delitto erano «un prodotto fatale di questo regime» e che Mussolini era personalmente responsabile (...).
il risultato di un dato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, poiché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento a oggi». Il discorso si concluse con la denuncia dell’Aventino come organizzazione sediziosa e repubblicana: «Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili, la soluzione è la forza... Voi state certi che nelle quarantott’ore successive a questo mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l’area».
buone letture
IL 6 DICEMBRE Giuseppe Donati, il giovane e impetuoso direttore del Popolo, l’organo dei popolari, denunciò De Bono dinanzi all’Alta Corte di Giustizia L’OPPOSIZIONE era asper complicità in un delitto solutamente impotente a ripolitico, e il Senato ordinò spondere a una simile sfida. un’inchiesta. In un verboso documento Infine, il 29 dicembre Il essa dichiarò che, avendo Mondo amendoliano pubcostretto il governo a lasciar blicò integralmente il mecadere la maschera costitumoriale di Cesare Rossi, zionale, la battaglia morale rendendo così pubblica per era stata vinta. Ma la battala prima volta l’accusa che glia politica era stata perMussolini aveva ordinato duta: una resistenza efpersonalmente l’aggressioficace era impossibile (...). ne a Matteotti (anche se Turati così sintetizzò la sinon il suo assassinio). tuazione: «I due elementi «Tutti hanno l’impressione principali – re ed esercito – CIECO E SORDO. Così si definiva il re che siamo prossimi alla sono sempre due punti innei giorni del delitto. (Sopra: Vittorio fine», scrisse Turati il 30. terrogativi, e la decisione Emanuele III, di Rosario Bruno, 1986) Alla fine dell’anno sembrò non può venire che da che l’Aventino fosse sul loro». Il re, intanto, si era liberato punto di vincere. La pubblidel memoriale Rossi deficazione del memoriale di Cesare Rossi costrinse Mussolini ad agire, perché il nendolo «un cumulo di sciocchezze» (...). Invano Amendola ammonì Vittorio Emanuele che la battaregime era in pericolo (...). glia per la legalità costituzionale si sarebbe conclusa IL 3 GENNAIO Mussolini parlò alla Camera. con un “disastro storico” se egli non avesse avuto il Smentì l’esistenza della «Ceka», smentì di aver ordi- coraggio di intervenire: il re, pur mal sopportando nato le aggressioni agli antifascisti, mise in evidenza di ricevere ordini da Mussolini, era convinto che che vi erano «centinaia di fascisti in prigione» per atti l’acquiescenza fosse meno pericolosa della lotta; la di violenza e sfidò la Camera a metterlo sotto accusa. sua passività lo rese prigioniero e complice del faE a questo punto venne la provocazione: «Ebbene, di- scismo, e in tal modo egli decise le sorti della mochiaro qui, al cospetto di quest’assemblea, e al co- narchia, anche se la fine di essa fu rinviata di 21 spetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io anni. solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto... Se il fascismo è stato una asso- Brani tratti da Storia d’Italia dal 1870 al 1925, di ciazione a delinquere, io sono il capo di questa asso- Cristopher Seton-Watson, capitolo XIV, traduzione di ciazione a delinquere... Se tutte le violenze sono state Luca Trevisani, Editori Laterza, Bari 1967.
E diffonde cultura di pace È in edicola dal 6 di aprile un nuovo mensile, per chi è stanco di un’informazione “addomesticata”, che racconta solo un lato del mondo. Ve lo consigliamo caldamente: E, il mensile di Emergency, è pieno di spunti interessanti, che vi riempiranno gli occhi e il cuore.
Coltiva la Memoria abbonati al Fiore
C
i stanno provando in tutti i modi ad uccidere la cultura, la dignità del lavoro, il futuro per i giovani, la stessa idea di democrazia. Non vorrai mica dargliela vinta? Fagli un dispetto che ti migliorerà l’umore: iscriviti all’ANPI e sostieni questo foglio con un abbonamento. Con soli 5 euro ti garantirai la lettura dei 3 numeri annuali e offrirai alla nostra associazione un prezioso sostegno e uno stimolo a proseguire il suo impegno. Puoi scegliere tra la formula cartacea o video (formato pdf, tutto a colori); oppure, con la formula “sostenitore”, l’abbinata di entrambi i formati, al prezzo (minimo) di 8 euro. Richiedi l’abbonamento presso le sedi ANPI della Zona Martesana, o scrivendo a fiorepartigiano@ gmail.com
il fiore del partigiano
PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA ZONA DELLA MARTESANA
Redazione: presso la sede della Sezione Quintino Di Vona di Inzago (MI) in Via Piola, 10 (Centro culturale De André) In attesa di registrazione. Supplemento ad Anpi Oggi Direttore responsabile: Rocco Ornaghi Stampato presso Bianca & Volta - Via del Santuario, 2 - 20060 Truccazzano (MI) Si raccolgono abbonamenti per versione cartacea e/o digitale (formato pdf)