Il Fiore del Partigiano - aprile 2013

Page 1

Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:03 Pagina 1

Aprile 2013

Anno 4 numero 10

IL SINDACO DI TRUCCAZZANO NON CI VUOLE PER IL 25 APRILE

Che la Festa cominci (prima)!

P

5 marzo 1943. Il grande sciopero per la pace e il pane

La riscossa che partì dal lavoro L’esempio del marzo 1943

Marzo 1943: gli operai incrociarono le braccia e cominciò la Resistenza. Dopo il ventennio fascista si sentiva il bisogno di riconquistare la dignità negata. Iniziarono i lavoratori della Fiat di Torino, poi arrivarono Milano, l’Emilia e la Toscana. In tempi in cui il lavoro sembra essere l’ultima ruota del carro e delle conquiste del “secolo breve” si fa strame, è utile ricordare momenti alti della nostra storia. SERVIZIO A PAGINA 12 ➔

roprio così: Vittorio Sartirana, Sindaco di Truccazzano, quest’anno ha pensato di invitare sul palco delle celebrazioni del 25 aprile un rappresentante della “Associazione Combattenti e Reduci”, affidandogli lo spazio del discorso commemorativo, tradizionalmente tenuto da un rappresentante dell’ANPI. Nonostante la consueta notifica della disponibilità, il Presidente della locale Sezione, Maurizio Ghezzi, ha appreso della scelta del Sindaco solo dalla consultazione del sito internet del Comune. Oltre alla mancanza di rispetto per la nostra Associazione, Sartirana evidenzia una palese inadeguatezza a ricoprire il proprio ruolo istituzionale: confonde la Festa della Liberazione dal nazi-fascismo con quella delle Forze Armate e non ha nemmeno la decenza di comunicarlo. Per questo le Sezioni della nostra Zona hanno deciso, irritualmente, di anticipare la vera cerimonia al giorno prima. L’appuntamento è per mercoledì 24 alle ore 18,30 davanti al monumento ai Caduti di Truccazzano, in via Lombardia.


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:04 Pagina 2

2

Aprile 2013

il fiore del partigiano

C’è ancora bisogno di Resistenza. Ora e sempre

NELLA NOSTRA ZONA UN SINDACO FA SCELTE VERGOGNOSE SULLA CELEBRAZIONE DEL 25 APRILE

In tutti i nostri Comuni - tranne uno - la Lotta di Liberazione è ricordata e rivissuta nei suoi valori da decine di iniziative: dai concorsi dedicati ai ragazzi delle medie sulla Resistenza, alle conferenze, ai concerti, ai cortei, alle manifestazioni di piazza. Qui diamo conto di alcuni appuntamenti

Basiano e Masate festeggiano sabato 20

L

a sezione “G. Alberganti” di Basiano e Masate e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Masate promuovono, in occasione del 68° anniversario della Liberazione, una cerimonia di commemorazione del sacrificio di chi diede la vita per la Resistenza e in ricordo degli eroi partigiani. L’appuntamento è per sabato 20 aprile, alle ore 10,30, in Piazza della Repubblica a Masate. Interverranno il Sindaco Vincenzo Rocco e il Consigliere Regionale della Lombardia Onorio Rosati. Alle ore 11,30 ci sarà la deposizione di una corona floreale presso il cippo commemorativo della Resistenza. La cerimonia sarà accompagnata da interventi musicali del Corpo Bandistico di Burago di Molgora.

I ragazzi di Bellinzago in concorso

È

il secondo anno che l’ANPI di Bellinzago Lombardo propone agli studenti della scuola secondaria di 1º grado il “Concorso 25 Aprile” per ricordare l’anniversario della Resistenza e della Li-

berazione. Il ritorno alla democrazia dopo anni di dittatura fascista ha visto riassumere nella Costituzione Italiana tutti i valori espressi dalle lotte di tanti donne e uomini di diversi ceti sociali e diverse idee politiche e religiose. La Costituzione Italiana è la legge che regola il nostro vivere insieme, che tutela e difende ognuno di noi, il nostro paesaggio, la nostra cultura, i nostri monumenti storici: «è la nostra mamma» come ha detto Benigni nello spettacolo “La più bella del mondo” trasmesso dalla RAI il dicembre scorso. Lo straordinario impegno civile e la capacità comunicativa di Benigni sono riusciti a incantare un pubblico di 12,6 milioni di telespettatori (44% di share) che ha seguito in modo appassionato la lettura e il commento dei princìpi fondamentali della nostra Costituzione. E questo spettacolo è stata la guida di riferimento proposta per gli studenti: i 12 articoli fondamentali della Costituzione Italiana. Si tratta di un concorso multimediale che utilizza il nostro sito web (www.anpi-bellinzagolombardo.com) dove è disponibile lo spettacolo di Benigni suddiviso in tanti brani quanti sono i princìpi basilari della nostra Costituzione e due brani introduttivi sulla sua genesi e sull’importanza del voto. Due sono le tipologie di partecipazione: un elaborato scritto e l’altro grafico. Quattro sono i premi a disposizione, ciascuno di 150 euro. Premiazione il 25

POESIA

A Truccazzano c’è un sindaco che discrimina l’ANPI. E c’è Maurizio Ghezzi, che cura “Pillole di resistenza culturale”, una raccolta di aforismi da cui estraiamo questi versi di Ferlinghetti.

Pietà per la nazione i cui uomini sono pecore

e i cui pastori sono guide cattive Pietà per la nazione i cui leader sono bugiardi i cui saggi sono messi a tacere Pietà per la nazione che non alza la propria voce tranne che per lodare i conquistatori e acclamare i prepotenti come eroi e che aspira a comandare il mondo con la forza e la tortura Pietà per la nazione che non conosce nessun’altra lingua se non la propria nessun’ altra cultura se non la propria Pietà per la nazione il cui fiato è danaro e che dorme il sonno di quelli con la pancia troppo piena Pietà per la nazione – oh, pietà per gli uomini che permettono che i propri diritti vengano erosi e le proprie libertà spazzate via Patria mia, lacrime di te dolce terra di libertà! Lawrence Ferlinghetti Aprile alle ore 10,45, dopo l’alzabandiera di fronte al monumento dei caduti e una breve commemorazione. Al prossimo numero la cronaca.

Il lungo aprile di Cassano d’Adda

L

a Sezione ANPI di Cassano d’Adda, in collaborazione con il Comune, ha organizzato una serie di iniziative in ricordo della Lotta per la Liberazione, iniziate domenica 7 aprile con la commemorazione dei 5 Martiri cassanesi. In programma: dal 6 al 12 aprile, presso il Corridoio del centro civico, la mostra “Il tram chiamato Resistenza”; sabato 13 aprile, alle ore 17,00 presso la Biblioteca comunale, la presentazione del libro “Prima del dopoguerra”; venerdì 19 aprile, alle ore 21,00, presso il Salone del centro civico “R-Esistenza”, spettacolo a cura de “I Linx”.


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:04 Pagina 3

il fiore del partigiano

ILE

e

3

Aprile 2013

storia di alcuni protagonisti della Resistenza cernuschese. Giovedì 18 aprile, ore 21,00, Sala Frigerio presso la Filanda: incontro con Roberto Cenati, presidente provinciale dell’ANPI, e Giovanni Bianchi, presidente dell’ANPC, Associazione nazionale partigiani cristiani, su “Resistenza e Costituzione”. Precede l’incontro, la proiezione del cortometraggio “En los ojos”, una visione interculturale su bellezza e responsabilità. Sabato 20 aprile: “Facciamone di tutti i colori”, un pomeriggio di creatività, bellezza e colore. Dalle ore 15,00 in piazza Matteotti laboratorio artistico aperto a tutti (adulti compresi), con qualche sorpresa, e lungo la Ciclovia della Martesana, all’altezza del ponte di via Leonardo da Vinci, realizzazione di un murale a opera di un artista-writer locale, Andrea Flashone Montrasi. Giovedì 25 aprile, ore 10,30: Corteo per le strade della città fino al cippo dei partigiani cernuschesi caduti, situato in largo Riboldi-Mattavelli. Domenica 19 maggio, dalle ore 14,00, presso il parco dei Germani: “Caccia al tesoro botanico – Impariamo a conoscere gli alberi attraverso il gioco” a cura della Banca del Tempo. Domenica 26 maggio: Camminata sul sentiero partigiano “Martiri di Cornalba Brigata GL XXIV Maggio” Cornalba – Baita alta dell’Alben, in Val Brembana. Il ritrovo è alle ore 7,00 al parcheggio di via Marcelline, automuniti.

e diezzi, ale”, stra-

ardi

mini

hetti Infine, l’appuntamento di giovedì 25 aprile: alle ore 9,00 S. Messa nella chiesa di S. Zeno; alle ore 9,45 concentramento in Piazza Matteotti, corteo e alzabandiera in Piazza Garibaldi; alle ore 10,45 corteo al cimitero di Cassano d’Adda e orazioni ufficiali.

Cernusco ravviva i colori della Memoria

L

a Sezione ANPI di Cernusco sul Naviglio, col patrocinio del Comune e l’adesione di associazioni del volontariato sociale, organizza anche quest’anno l’edizione (è la 5ª) de “I colori del 25 aprile”, che ha preso il via all’inizio del mese e si protrarrà fino alla fine di maggio. Qui di seguito, il programma. Venerdì 5 aprile, ore 21,00, Casa delle Arti, via De Gasperi 5: rappresentazione di “Ribelli per amore”, frutto del percorso del laboratorio teatrale gestito dall’attrice

Arianna Scommegna, che ha visto impegnati una decina di ragazzi/e di 3ª media. Rilettura semplice e appassionata della

A cura dell’Amministrazione comunale di Cernusco sul Naviglio: mercoledì 24 aprile, ore 21,00, Casa delle Arti, via De Gasperi 5: “Festa d’Aprile. Dialogo con la Resistenza”, spettacolo teatrale musicale. Voci recitanti: Adele Pellegatta e Silvano Piccardi. Musiche e canti della Resistenza con “Suoni e L★ANPI coro antifascista” e “la Moresca antica”. CONTINUA A PAGINA 4 ➔


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:05 Pagina 4

4

Aprile 2013

il fiore del partigiano

➔ SEGUE DA PAGINA 3

A Inzago la Festa libera la mente

P

er la ricorrenza della Festa della Liberazione, martedì 23 aprile, alle ore 21, presso il Centro De André è in programma la proiezione del documentario “Sant’Anna, l’eccidio”, una raccolta di materiali, montati al computer dai ragazzi delle scuole medie del paese, con la presentazione di Massimo Dapporto.

Il Comune di Inzago, in collaborazione con la Sezione ANPI, organizza iniziative per il 68° anniversario della Liberazione, di cui diamo il programma. Giovedì 25 aprile, ore 8,30, S. Messa in Chiesa parrocchiale a suffragio di tutti i caduti; alle ore 10,00 ritrovo presso il palazzo Comunale e corteo verso il cimitero per la deposizione di una corona d’alloro alla Cappella dei Caduti, con accompagnamento del-la Banda S.ta Cecilia. Alle ore 10,45, deposizione di una corona d’alloro sulla lapide del prof. Quintino di Vona in Piazza Maggiore; discorsi del Sindaco e di un rappresentante ANPI. Al termine e per tutta la giornata in Piazza Maggiore, l’ANPI e il Gruppo pittori inzaghesi propongono l’iniziativa “Liberalamente”: tutti i cittadini, grandi e piccoli, sono invitati ad esprimersi sul significato del 25 aprile con parole, disegni, schizzi. Saranno disponibili pennelli, colori, carta e ovviamente i pittori. Si potranno colorare anche tanti palloncini che saranno liberati alla fine della giornata. Ore 14,30 - MANIFESTAZIONE NAZIONALE a Milano Buon 25 aprile a tutti!

Segrate ricorda Cefalonia

l’Associazione nazionale Divisione “Acqui” e l’Anpi, con il patrocinio della Città di Segrate, invitano alla visita della mostra “I Giusti di Cefalonia e Corfù”, presso il Centro civico milano 2 - Segrate. inaugurazione sabato 4 maggio, alle ore 15,00. Alle ore 17,00: convegno “70° anniversario della strage nelle Isole Ioniche Elleniche della Divisione Acqui”. interventi di roberto Cenati, pres. Anpi - prov. milano; marcella De negri, figlia del Capitano De negri, fucilato a Cefalonia; Costantino ruscigno, pres. AnDA - Sez. prov. milano; nando Cristofori, pres. Anpi Segrate. modera enzo De negri

LABORATORIO DELLA MEMORIA COI RAGAZZI SU UN PALCO

Ribelli per amore: «Il 25 aprile, prima o poi arriva sempre!»

V

enerdì 5 aprile, Cernusco sul Naviglio. La Casa delle Arti è gremita, un manipolo di una decina di ragazzi di terza media si sta apprestando a mettere in scena Ribelli per amore, a raccontare storie di uomini e donne che sono stati protagonisti della Resistenza a Cernusco. Andrea, Chaimae, Anastasia, Martina, Lorenzo, Biruk, Gabriela, Sara, Gilia, Massimiliano, con gli occhi pieni di paura e determinazione, ascoltano gli ultimi consigli di Arianna Scommegna, bravissima attrice dell’ATIR Teatro di Milano, nonché ideatrice dello spettacolo: «Non correte, godetevi ogni parola, ricordate che state raccontando storie di donne e uomini che hanno dato la vita per degli ideali, che hanno fatto delle scelte forti. Dai, ragazzi, che siete bravissimi!». La tensione diventa energia positiva che serpeggia anche nella sala. Inizia il racconto sul palco: nonno Giuseppe (Comi) guarda rapito una foto del 1945 che lo ritrae con una bellissima staffetta, Maria (Codazzi), in corso Buenos Aires, subito dopo un comizio volante al Cinema Pace. Mentre sta raccontando alla nipote di quell’avvenimento, il tempo ritorna indietro proprio a quel 1945, a quel comizio. Partigiani e partigiane irrompono in scena armati: «Se c’è un fascista in sala non spari se no qui facciamo una strage!» e poi le donne raccontano dello spregio in cui sono tenute dai fascisti, dai nazisti, raccontano di quanto siano coraggiose, astute, fondamentali nella lotta di liberazione. Spontaneo si leva il coro dei Ribelli della montagna. Ma c’è anche chi, per la scelta antifascista, paga duramente con la prigione e la deportazione: Quinto Calloni, Angelo Ratti, Ennio Sala, Virginio Oriani, Roberto Camerani, tutti giovani e giovanissimi, il 18 dicembre 1943, a seguito di una soffiata, vengono arrestati, portati a San Vittore e poi tradotti a Mauthausen e quindi a Ebensee. Ognuno di loro ha una storia da raccontare, qualcuno non tornerà più e anche chi, dopo la Liberazione, farà ritorno a casa, porterà per sempre le cicatrici fisiche e morali di quell’allucinante esperienza. A don Secondo, prete partigiano, è andata meglio: avvertito dell’imminente arrivo dei fascisti, che avrebbero voluto arrestarlo, scappa da Cernusco in bicicletta. Ma, come dice Giuseppe, il 25 aprile prima o poi arriva sempre e così anche quel provvidenziale 25 aprile del 1945, che porta finalmente la libertà e un’esplosione irrefrenabile di gioia. Si canta e si balla, allora come

adesso, in un abbraccio collettivo: siamo vivi, ricostruiamo il futuro non dimenticando mai ciò che è stato! Questo, in sintesi, lo spettacolo che ha visto coinvolti dieci ragazzi, la metà dei quali di origine straniera, che, per l’alto valore educativo, è stato inserito nel Piano di diritto allo studio dell’Assessorato all’Istruzione. La rappresentazione di Ribelli per amore è la prima tappa del ricco programma dei Colori del 25 aprile, una rassegna coordinata dall’ANPI di Cernusco, giunta alla sua quinta edizione.

Nata per celebrare il 25 aprile coinvolgendo il maggior numero di associazioni presenti sul territorio, la rassegna, dedicata ogni anno a un articolo della Costituzione, per l’edizione 2013 è improntata sull’articolo 9 della Carta, che si propone la promozione della cultura e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Della Costituzione e di questo articolo in particolare ci parleranno Roberto Cenati, presidente dell’ANPI provinciale, e Giovanni Bianchi, presidente dell’ANPC, Associazione nazionale partigiani cristiani, nella serata del 18 aprile. Guardando alle nuove generazione, abbiamo poi organizzato dei laboratori artistici (per i più piccoli) e la realizzazione di un murale da parte di un artista-writer, Andrea Flash Montrasi. Nell’ottica di far vivere il 25 aprile nel modo più partecipato possibile, abbiamo inserito nel programma pure una Caccia al tesoro botanico, organizzata dalla locale Banca del Tempo. In chiusura, il 26 maggio, una passeggiata sul sentiero partigiano Martiri di Cornalba, in Val Brembana. Buona Liberazione, buon 25 aprile a tutti! Giovanna Perego ANPI di Cernusco sul Naviglio Curatrice del sito memoriarinnovabile.org


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:05 Pagina 5

5

il fiore del partigiano

Aprile 2013

Fiori e canti per quei sette nomi scolpiti nella pietra

PESSANO CON BORNAGO MANTIENE VIVO IL RICORDO DEI SUOI MARTIRI

D

omenica 10 marzo a Pessano con Bornago si è svolta la manifestazione antifascista nel 68° anniversario del martirio dei 7 partigiani trucidati il 9 marzo 1945 dai nazifascisti. Sono passati tanti anni da quegli avvenimenti dolorosi e gloriosi, eppure ogni anno ci si ritrova con lo stesso entusiasmo di sempre a rinnovarne la memoria, nella consapevolezza che non si tratta un rito sterile ormai privo di significato, ma di un fatto che ancora oggi ci riguarda da vicino. Dalla lotta partigiana sono scaturiti ideali che sono alla base della nostra società. Chi combatteva e moriva da resistente era cosciente di combattere e di morire per la libertà, per la pace, per la democrazia, per una società più giusta e solidale. Ma sappiamo che questi valori, conquistati col sangue e suggellati nella nostra Costituzione repubblicana, non sono acquisiti una volta per tutte; il ricordo dei 7 Martiri ogni anno ci costringe a fermarci e a riflettere, stimolati anche dagli interventi degli oratori, per calare nella realtà attuale i grandi ideali della Resistenza. E così è stato anche quest’anno. Ancora una volta molte persone del nostro paese e dei dintorni, insieme alle rappresentanze delle Amministrazioni Comunali, hanno voluto affermare con la loro presenza che i 7 Martiri non sono morti invano e che vale ancora la pena di sognare un mondo più giusto e di impegnarsi per realizzarlo. La manifestazione ha visto la presenza di numerose delegazioni dei Comuni della nostra zona, di molte sezioni ANPI del territorio oltre ad un folto gruppo dell’ANPI di Grancona, un Comune del vicentino in cui si è verificato un eccidio analogo a quello dei nostri martiri partigiani.

Come ogni anno, le scuole di Carate, paese da cui provenivano tre dei partigiani trucidati, hanno realizzato dei lavori che sempre vengono esposti durante la manifestazione. Quest’anno abbiamo avuto il piacere di avere con noi un gruppo di bambini di una classe della scuola primaria di Carate con le loro insegnanti e con i genitori, che hanno portato uno striscione con disegni e frasi che richiamavano i valori della Resistenza, della Pace e dell’Amicizia. Il corteo ha percorso le vie del paese e ha raggiunto il cippo posto sul luogo dell’eccidio dove si sono ricordati gli avvenimenti del marzo 1945 e si sono deposte le corone di fiori in onore dei partigiani caduti: Walter Gabellini, Mario Vago, Romeo Cerizza, Angelo Barzago, Dante Cesana, Claudio Cesana, Angelo Viganò. Ci si è recati quindi in piazza della Resistenza, dove hanno preso la parola per un saluto la rappresentante dell’ANPI della no-

Pessano. Il corteo per i 7 Martiri. In alto, l’On. Puppato tiene il suo discorso

stra Sezione, il Dirigente Scolastico Felice Menna e la rappresentante del Comune di Carate. Ha preso poi la parola il Sindaco di Pessano con Bornago, Giordano Mazzurana, e infine ha svolto il suo intervento l’Onorevole Laura Puppato, neo-eletta in Parlamento. Nella settimana precedente la manifestazione in commemorazione dei sette Martiri partigiani, ogni anno vengono proposte alla cittadinanza, da parte dell’Amministrazione Comunale e dell’ANPI, delle iniziative in sintonia con le tematiche resistenziali. Giovedì 7 marzo il gruppo musicale Martesana InCanto Ensemble di Cassina de’ Pecchi ha proposto uno spettacolo di brani musicali, di canti e di letture ispirate alle tematiche della pace, della lotta all’ingiustizia e della democrazia. Lo spettacolo è stato veramente coinvolgente sia per la bravura dei musicisti e dei coristi, che per i testi dei canti costruiti su musiche di Belli, Bach, Clementi, Scarlatti e Vivaldi. Venerdì 8 marzo, due giorni prima della manifestazione, come ogni anno le classi quinte della scuola primaria e le classi terze della scuola secondaria di primo grado, insieme alle loro insegnanti, si sono recate al cippo dei Partigiani fucilati, accolti dal Dirigente Scolastico, dal Sindaco e da alcuni Assessori, dal Parroco di Pessano, Don Lorenzo, dal Consiglio Comunale dei Ragazzi e delle Ragazze e dai rappresentanti dell’ANPI locale. Qui, nonostante il tempo inclemente, si è svolta una toccante commemorazione preparata dai ragazzi e dalle ragazze con l’aiuto dei loro insegnanti; essi hanno portato poesie, letture, canti, riflessioni e hanno concluso i loro interventi con l’inno nazionale suonato da un gruppo di bambini con il flauto. È da sottolineare il grande significato di questa iniziativa che permette a tutti i ragazzi e a tutte le ragazze della nostra comunità di venire a conoscenza in modo non superficiale degli avvenimenti della Resistenza e di interiorizzare i valori di libertà, di pace, di giustizia, di democrazia che la lotta antifascista ci ha tramandato. Sabato 9 marzo nella chiesa di Pessano si è celebrata una Messa in onore dei Partigiani caduti con la presenza delle Autorità Comunali e del gonfalone. Non possiamo non ricordare che l’animatore di gran parte di queste iniziative è stato il nostro compianto Presidente Mario Tremolada, al quale va il nostro ricordo e la nostra gratitudine. Sezione ANPI Pessano con Bornago


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:10 Pagina 6

6

il fiore del partigiano

APRILE 2013

L’impegno dei ragazzi nel ricordo di Cesare Bettini

CASSANO D’ADDA HA DEDICATO L’EDIZIONE DI QUEST’ANNO DEL CONCORSO “LUIGI REST

M

artedì mattina del 19 marzo, nell’auditorium della Biblioteca civica di Cassano, 130 ragazzi e ragazze delle 3ᵉ medie con le loro prof.; grande fermento e agitazione. È la giornata della premiazione dei lavori che le classi hanno preparato per questa edizione del Concorso Luigi Restelli, che anche quest’anno l’ANPI, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale, ha organizzato per mantenere vivo il discorso della Memoria della lotta di liberazione antinazista e antifascista, della Resistenza e dei partigiani. Nello specifico, Luigi Restelli è il partigiano di 22 anni della 105ᵃ brigata Adda Garibaldi che in un’azione di sequestro di armi ai danni di un gruppo di soldati tedeschi di stanza a Cassano, nel marzo del 1943, viene ucciso dai nazisti nello scontro a fuoco in località “Furnasen”, dove si trova ora la Casa di Riposo. In seguito a quest’azione morì anche un sottufficiale degli occupanti tedeschi e da lì prese il via la rappresaglia che portò il 31 marzo 1943 - anche allora Pasqua - alla fucilazione di 4 giovani imprigionati a Monza (e

all’assurda “rifucilazione” del Restelli) accusati di essere renitenti alla leva dell’esercito fascista della RSI di Mussolini, succube dell’occupante nazista. Questo episodio della Resistenza e della crudeltà del regime nazi-fascista si ricorda a Cassano ogni anno all’inizio della primavera: sono i nostri 5 Martiri. È un episodio che fa parte della Memoria che si vuole mantenere viva anche tra le giovani generazioni, che non

solo non hanno vissuto quel periodo, ma che oggi difficilmente troverebbero testimoni che possono trasmetterla. Gli attuali programmi scolastici nella loro semplificazione e nella loro scansione affrettata non permettono più uno studio approfondito di periodi storici come il fascismo, la seconda guerra mondiale, la nascita della nostra repubblica democratica ed antifascista (che dovrebbe essere governata e regolata dalla Costituzione più bella del mondo, ma tanto ce ne corre!). Quindi si rischia di dimenticare e soprattutto di ignorare i fatti reali (i partigiani e gli antifascisti combattevano per la libertà e per la democrazia; i fascisti e i nazisti combattevano per mantenere un potere basato sul razzismo e sulla sopraffazione di altri popoli e degli strati sociali più deboli, usando lo sterminio e la rapina come metodo) e di confondere tutto in una generica guerra civile, di essere superficiali nei resoconti giornalistici,

LETTERA DELLA FIGLIA DEL PARTIGIANO CESARE BETTINI

La Resistenza fu un’azione corale, di popolo Firenze, 19 marzo 2013

N

Alla Preside, ai docenti e agli alunni della Scuola Media di Cassano d’Adda e alle Associazioni Partigiane ANPI e ANPC

on potendo partecipare alla celebrazione di questa giornata, desidero esprimere il mio più sentito e commosso ringraziamento alla Preside, ai docenti e agli alunni della Scuola Media di Cassano, alle associazioni dei partigiani ANPI e ANPC, e a Giancarlo Villa, che mi ha resa partecipe del progetto, per aver scelto di impegnarsi in una ricerca dedicata a ricordare la figura di Cesare Bettini e i valori della Resistenza che hanno ispirato la sua esperienza di partigiano. Cesare ne sarebbe felice, ma non per l’orgoglio di vedere celebrato il suo personale contributo alla lotta di liberazione da una dittatura che ha tristemente segnato la vita del nostro Paese, in modo quasi inconcepibile per noi che non l’abbiamo vissuta. Ne sarebbe felice perché in un momento così difficile e complesso per

la storia della nostra Nazione avrebbe l’urgenza di ricordare che la democrazia che loro ci hanno consegnato non è un fatto scontato, ma va difesa affinché non capiti anche a noi di ritrovarci un giorno a ripetere la loro esperienza, perché le dittature possono nascere nel modo più subdolo. Ne sarebbe felice soprattutto perché avrebbe l’urgenza di ricordare sopra ogni cosa i valori che hanno ispirato la sua scelta e quella dei suoi compagni d’arme sulle montagne della Lombardia e del Piemonte, perché al di là della partecipazione ai diversi gruppi politici e al di là del colore del fazzoletto che li contraddistingueva - il suo era l’azzurro dei partigiani cristiani - la Resistenza è stata un’azione corale. Teneva infatti a sottolineare con forza che, ancora di più che negli altri Stati europei, la Resistenza italiana è stato un grandissimo movimento di popolo, perché ha visto la partecipazione di ogni ceto e di ogni categoria sociale: un movimento popolare enorme, che non solo ha fornito l’appoggio ai gruppi armati, ma

soprattutto ha rappresentato un momento di grande solidarietà umana e cristiana. L’aiuto verso l’altro era indiscriminato: se avevi bisogno di cibo, di abiti, di un letto, di un rifugio, di informazioni, c’era chi nella popolazione civile ti aiutava, a rischio della prigionia, della tortura, della deportazione o della fucilazione. Così diceva papà: «allora eravamo un po’ come il sale della terra e dobbiamo tornare ad essere il sale della terra», e si rammaricava che quella grandissima solidarietà che aveva contraddistinto quegli anni gradualmente si fosse indebolita. Tornato alla vita civile, maestro di tante generazioni di ragazzi di Cassano, nella scuola elementare e nella colonia estiva, credo che abbia sempre cercato di mantenere fede a questi valori attraverso l’impegno sociale e politico, dandone testimonianza nella vita personale e in quella associativa: così è presente nel mio ricordo e in quello di tanti che gli hanno voluto bene. Grazie da parte sua e mia. La figlia di Cesare Maria Chiara


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:05 Pagina 7

il fiore del partigiano

UIGI RESTELLI” ALLA FIGURA DEL COMANDANTE-MAESTRO

quando ad esempio si riportano manifestazioni di questo tipo. Per questo l’ANPI si è da sempre attivata per mantenere ed approfondire questi percorsi della Memoria. In quasi tutti i paesi e città d’Italia, specialmente al Nord, ci sono stati episodi di battaglie partigiane, di rappresaglie nazifasciste, di massacri di civili inermi, di deportazioni di ebrei e di militari italiani o civili resi schiavi di Hitler. Le truppe tedesche si ritiravano dall’Italia occupata lasciando dietro di loro una scia di distruzione e di morte che i loro vassalli fascisti, spesso per vendetta, facevano di tutto per aumentare. Questo è da ricordare e da precisare. Sempre! Quest’anno il percorso della memoria proposto ai ragazzi delle 3ᵉ medie di Cassano verteva sul tema “Il partigiano Cesare Bettini e i cassanesi nella Resistenza”. Gli studenti cassanesi hanno risposto in un modo meraviglioso, rappresentando la storia del partigiano Bettini con diversi strumenti: cartelloni, fotografie, fumetti, video, canti e musiche, perfino un’originale murale.

Tutti a vari livelli hanno dimostrato di aver fatto proprio il messaggio dell’impegno e della lotta per la difesa della libertà, della democrazia e della pace. Tutte le classi sono state premiate con una motivazione specifica e tutti i ragazzi hanno ricevuto un diplomino personalizzato ed un portachiavi col logo ANPI, donato dal Circolo del Popolo di Cassano d’Adda. Due classi in particolare: la 3ª E e la 3ª B hanno meritato di essere premiate con la visita organizzata il 26 marzo ad un luogo simbolo della Memoria e della Resistenza, il Museo Cervi a Gattatico (Reggio Emilia), la casa dei 7 fratelli Cervi e nel pomeriggio (purtroppo piovoso) alla bella città di Parma. Questa gita scolastica è stata patrocinata dall’amministrazione comunale di Cassano. Sulla via del ritorno, con le insegnanti già si discuteva del programma per il prossimo anno, il 9° Concorso Luigi Restelli. Giancarlo Villa Presidente ANPI di Cassano d’Adda In alto e nella pagina a fronte, la giornata di premiazione dell’8° Concorso Luigi Restelli. Qui a lato, le due classi premiate alla casa dei fratelli Cervi, ora Museo della Resistenza

7

Aprile 2013

DIALOGO TRA GENERAZIONI

Mio figlio e la Liberazione

Figlio - Papà ho sentito che sei dell’ANPI. Ma cos’è l’ANPI? Papà - A.N.P.I. significa Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. F - Ma mi spieghi bene chi sono i partigiani? P - Furono donne e uomini che, con grande sacrificio e rischio, decisero di opporsi ai nazisti e ai fascisti per restituire la libertà agli italiani. È una storia di quasi 70 anni fa, finita con la Liberazione del 25 aprile del 1945. F - Quasi settanta anni fa? Ma mi spieghi cosa c’entri tu coi partigiani? Tu che hai solo 40 anni? P - Beh, è vero! Per un verso io non sono proprio coinvolto. Ma se rifletti un po’, io c’entro eccome e... ti dirò, penso che questa storia riguardi anche te. F - Papà non fare il misterioso e fammi capire. P - Dimmi un po’, ragazzo: tu dove vivi? F - Papà vivo a casa... Ma che domanda è? P - Sii paziente. La casa in cui tu vivi è il luogo dei tuoi affetti, dei tuoi giochi, della tua sicurezza. La tua vita si svolge qui. F - Sì, va bene. Ma i partigiani? P - Questa casa l’hanno immaginata, desiderata e infine progettata il tuo papà e la tua mamma. E l’han fatta costruire pensando anche a te ed alla tua felicità. Anche se non esistevi ancora. F - Ma come, io non c’ero e voi già pensavate a me? P - Ti sembra così strano? A noi sembrava una cosa naturale. In fondo è tutta una questione di amore. I papà e le mamme danno un senso alla loro esistenza costruendo la felicità dei figli. Così come le generazioni che ci hanno preceduto furono spinte dall’altruismo e dall’amore a costruire una società più giusta e libera, per noi che saremmo venuti dopo. F - Papà, comincio a capire dove vuoi arrivare! Vuoi dire che i partigiani sono un po’ come dei nostri nonni che si sono sacrificati per noi. E tutto questo solo per renderci la vita migliore? P - Bravo! Come puoi pensare che la storia di chi ha combattuto per noi, con la generosità di un padre verso i propri figli, non ci appartenga? La nostra libertà la dobbiamo a loro. Proprio come la tua bella casa, spazio della tua libertà e dei tuoi sentimenti, la devi ai tuoi genitori. F - Papà... adesso mi emozioni. P - È normale. Vuol dire solo che cominci a vedere le cose per quello che sono; cominci a capire. Ma forse è più giusto tradurre questo sentimento in gratitudine. Pensare ai partigiani come a quegli uomini e a quelle donne che ci hanno regalato la loro vita. E, come tutti gli atti di amore vero, lo hanno fatto senza chiedere nulla in cambio. Perché a loro sembrava naturale farlo. F - Papà, io credo che non dovremo mai dimenticarci di loro e non smettere mai di ringraziarli. P - Lo credo anch’io, ragazzo mio, ed è proprio per questo che io aderisco all’ANPI. F - Sai... credo che verrò anch’io con te in piazza il 25 aprile a festeggiare la Liberazione dai fascisti e dai nazisti. P - Sì. E la vittoria dei partigiani. F - Già. E... e grazie per avermi costruito una casa così bella. Non so perché, ma oggi mi sembra più bella di prima!


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:05 Pagina 8

8

Aprile 2013

il fiore del partigiano

Sabato 26 gennaio: una giornata particolare

UN CONVEGNO A CERNUSCO CON TANTI GIOVANI, NEL NOME DI ROBERTO CAMERANI

S

trano quel sabato pomeriggio a Cernusco. Strano che più di cento persone avessero risposto all’appuntamento per la Giornata della Memoria, nella sala conferenze della Biblioteca. Strano che una buona parte fossero giovani, giovani veri, dai 16 ai 20 anni. Strano che su cinque relatori della conferenza Educare alla Memoria, tre fossero giovani donne. Anna T. a illustrare l’esperienza della Cooperativa Il Sorriso di Pessano, che segue i disabili e, come si possa fare memoria, raccontare una vera storia di deportazione, facendo recitare insieme persone con disabilità mentale e bambini di una scuola dell’infanzia di Cernusco. I bambini che si affidano a quei nuovi amici per loro solo adulti, disponibili a recitare in quello strano gioco, da cui si è prodotto un video commovente, tenero, forte e coraggioso, che ti smorza le parole e ti inumidisce le gote. Giovanna, già mamma, non è più una ragazzina, ma l’aspetto è quello. All’inizio vorrebbe scomparire per l’emozione, ma via via si fa più sicura, capace di trasmettere l’esperienza del sito dell’ANPI, luogo di Memoria virtuale in cui si possono scoprire le storie vissute, raccontate e raccolte di Resistenza e di deportazione, di uomini e donne di quel territorio che hanno scritto la storia, quella vera che non trovi sui libri, ma che ha segnato quei luoghi. Una piccola comunità ha raccolto testimonianze, emozioni, dolori e speranze e le ha affidate a un sito, per trasformarle in materia viva, da condividere e divulgare. Nico, lo conoscono tutti, che da educatore vive tutti i giorni con i ragazzi del CAG (Centro di Aggregazione Giovanile), a narrare i viaggi nei campi di sterminio con quei giovani che ci appaiono strani nei modi e nel vestire. A volte

Alcune vetrine coi “fazzoletti di memoria”

strafottenti, a volte generosi, a volte indifferenti, a volte attenti, o solo giovani diversi ma uguali a noi quando avevamo la loro età e gli adulti ci guardavano con sospetto. E finalmente loro, i protagonisti del filmato, a trasmettere emozionati la loro memoria, anche a chi per età anagrafica pensava di esserne il custode ed invece scopre che può ancora imparare. La tensione, l’emozione ha contagiato tutti. Il tempo scorre veloce, la parola a Elena B. per le conclusioni. È giovane, minuta, quasi scompare dietro quel tavolo. È arrivata da Torino, starà in ballo tutto il giorno, per essere qui con noi. Da ricercatrice storica scrupolosa, si era preparata chissà quale discorso, fogli e fogli scritti, ma oggi le emozioni sono forti, non si può servire un piatto preconfezionato, biso-

gna utilizzare il cervello, ma parlare con il cuore ai ragazzi, agli adulti, a questa platea attenta, esigente, che ti dà tanta energia, ma non ti fa sconti. Brave Elena B., Giovanna e Anna T. (a Nico non serve, lo sa già di suo). Bravi tutti i ragazzi intervenuti. Ci hanno fatto capire come questi percorsi di memoria, diversi ma espressione di un territorio, siano un valore da custodire, da trasmettere. Solo così vive la memoria, se frutto di un lavoro collettivo, partecipato, condiviso. Se trasmette sapere ed emozioni. La sala si è svuotata. Sono rimasto da solo. No, in fondo, c’è una vecchietta: capelli bianchi ben pettinati, un sorriso accattivante e al collo il classico fazzoletto grigio ed azzurro. «Allora signora, come le sembra sia andata?»

L’idea di Eugenio: in vetrina un P er il secondo anno di fila, l’ANPI di Cernusco sul Naviglio, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale, in occasione del Giorno della Memoria (27 gennaio), ha promosso l’iniziativa che simpaticamente abbiamo chiamato dei “Fazzoletti”. Abbiamo cioè distribuito a tutti i negozianti che ne abbiano fatto richiesta il fazzoletto che portano al collo gli ex-deportati nei campi di sterminio nazisti, per poterlo esporre nelle vetrine la settimana del 27 gennaio, accompagnato quest’anno da Shemà, la celeberrima poesia di Primo Levi in limine a Se questo è un uomo. L’inizia-

tiva, partita dalla suggestione di un commerciante, Eugenio, e concretizzata nel 2012 dalla sezione dell’ANPI di Cernusco, ha ricevuto gli apprezzamenti dell’ANED ed è stata proposta in occasione del Giorno della Memoria 2013 anche a Firenze. Quello dell’esposizione dei fazzoletti è un piccolo gesto, ma pieno di significato. Pur sapendo che non muterà la Storia o il corso degli eventi, ci piace l’idea che, durante lo shopping, guardando distrattamente una vetrina, vedendo quel fazzoletto a strisce bianche e azzurre con un triangolo rosso si possa riflettere, conoscere e ricordare che

in qu sco – uman depo nazis un’id o etn riflet naliz cerca Terra del m quoti tanto


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:05 Pagina 9

il fiore del partigiano

ANI

Cernusco, 26 gennaio. Folta partecipazione al convegno indetto per il Giorno della Memoria. Nella pagina a fronte, il tavolo dei relatori con, da sinistra: Nico Acampora, Elena Bissaca, Giovanna Perego, Danilo Radaelli e Anna Troiano. Qui sotto, Roberto Camerani

Il lungo viaggio di Roberto Camerani

«Bene, proprio bene. Mai vista tanta gente, in questa sala. E poi quanti giovani! Il filmato dei bambini mi ha commosso e poi quei giovani del Cag, a ripetere quei gesti antichi di Roberto, quando li accompagnava nei Campi.» «Ha conosciuto Roberto?» Mi guarda e con un sorriso imbarazzato risponde: «Sì, certo, ma dopo.» «Ah, dopo? Però quei ragazzi ha visto com’erano vestiti? E poi quei due con un cane! Portare un cane ad una conferenza…» «Meglio così, non potranno dire che non c’era un cane! No scherzo, però sono rimasti attenti fino alla fine. Con i giovani non ci si può fermare alla superficie. Bisogna andare a fondo. Noi avevamo la loro età quando siamo andati in montagna, ci chiamavano banditi e a noi donne quante ce ne dicevano, quando siamo salite su con i partigiani e quando siamo tornate. E nel ‘68 li chiamavano capelloni e le ragazze in minigonna e le femministe, come le giudicavano? E nel 2001 a Genova, dicevano sono terroristi, spargeranno sangue infetto. E oggi, come si dice, nell’altra sponda del Mediterraneo, le primavere arabe. Tutti giovani. Sono loro che fanno le rivoluzioni, che cambiano il mondo. Poi magari le cose non vanno come vorremmo, però si è provato. Noi i gio-

vani li vorremmo uguali a noi, ma loro sono loro. Bisogna saper parlare loro e ascoltarli. Noi siamo testimoni di un altro tempo, dobbiamo spiegare, raccontare: è giusto, anzi doveroso, che sappiano, ma poi le scelte spettano a loro. È loro il futuro.» Una voce alle mie spalle: «È ora di chiusura, dovrebbe uscire.» «Mi scusi, mi sono attardato a parlare con questa signora.» «Quale signora? Non vedo nessuno.» Mi giro, la signora non c’è più. Però che bel sorriso aveva. Eppure… eppure io quel sorriso lo conosco. Già, strana giornata quel sabato pomeriggio a Cernusco. Franco Salamini ANPI di Cernusco sul Naviglio Sezione Riboldi-Mattavelli

na un fazzoletto... di memoria

coma nel usco, D ed orno

è un . Pur corso nte lo una risce sso si e che

9

Aprile 2013

in questo nostro Paese – e anche a Cernusco – non molti anni fa migliaia di esseri umani, uomini, donne e bambini, furono deportati nei campi di sterminio fascisti e nazisti dove molti di loro morirono per un’idea politica, un’appartenenza religiosa o etnica, una scelta sessuale. È un invito a riflettere su come sia stato possibile criminalizzare interi popoli o categorie umane, cercando di cancellarli dalla faccia della Terra, è un invito a riflettere sulla banalità del male, che si insinua subdolamente nella quotidianità portando a giustificare misfatti tanto disumani e ad alterare e manipolare

la storia. Non possiamo sottovalutare - ad esempio - le manifestazioni di odio razziale che avvengono ripetutamente nelle curve degli stadi e non solo, sminuendo il fenomeno con la scusa che a perpetrarle sono “poche migliaia di imbecilli”, a cui non bisogna fare pubblicità. La storia del ‘900 ci insegna che le peggiori dittature di quel secolo si affermarono proprio perché non furono fermate in tempo “poche migliaia di imbecilli”. Franco Salamini ANPI di Cernusco sul Naviglio Sezione Riboldi-Mattavelli

roberto Camerani nasce nel 1925 a Triuggio, in provincia di milano. riceve un’educazione fascista ed è entusiasta della guerra. ma la Storia lo tocca da vicino: un fratello combatte sul fronte iugoslavo, e così inizia a riflettere. in seguito ai pesanti bombardamenti su milano, con la famiglia si trasferisce a Cernusco. Dopo l’8 settembre 1943, roberto passa alla resistenza, ma il 18 dicembre di quello stesso anno, con cinque compagni, viene arrestato e rinchiuso a San Vittore a milano. È accusato di delitti politici. nel marzo 1944 viene deportato in Austria, prima nel campo di mauthausen, poi nel sottocampo di ebensee, che viene liberato dall’esercito americano il 6 maggio 1945. Tornato in italia, inizia a lavorare e nel 1955 si sposa con mariuccia. per anni non parla dell’esperienza della propria deportazione. ma, nel 1981, proprio mariuccia lo convince a tornare a mauthausen e lì roberto capisce cosa deve fare: testimoniare. Comincia così un capitolo nuovo nella sua esistenza, costellato di incontri con i ragazzi nelle scuole, di instancabili racconti e di continui viaggi in Austria. Fino all’ultimo, nonostante la malattia, parla a giovani e adulti con una carica di umanità che gli procura stima e affetto, gettando preziosi semi per il futuro. roberto muore nel 2005 lasciandoci in eredità il suo libro, Il viaggio, ma soprattutto la sua umanità, la sua dolce fermezza, il suo invito a ragionare, ad assumersi la responsabilità del vivere, ad amare la vita, a ringraziare per la vita. A continuare la sua opera di testimonianza di deportato a mauthausen i ragazzi che con lui sono stati lì, non semplicemente a visitare mauthausen, ma a toccare con mano l’indicibile.


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:05 Pagina 10

10

Aprile 2013

il fiore del partigiano

La resistenza armata in M decine di azioni contro u

SECONDA PUNTATA - DALLE PRIME AZIONI DI DISARMO DEI MILITI NAZIFASCISTI AGL

C

ol contributo del prof. Giorgio Perego, ripercorriamo la storia della Resistenza nella nostra Zona. I primi capitoli, proposti nello scorso numero, raccontavano la formazione dei gruppi d’azione; qui sono esposte le azioni dei partigiani e la reazione nazifascista.

Di

GIORGIO PEREGO

III - Inizia la guerriglia

Dopo essersi dotati di un minimo di organizzazione e dopo aver recuperato armi e munizioni, i primi nuclei partigiani della Martesana iniziarono la guerriglia contro i nazifascisti, colpendo, inizialmente, infrastrutture, singoli militi e colonne nemiche in transito. Il 4 aprile 1944, partigiani della 27ᵃ brigata del Popolo di Brugherio si recavano nei pressi di Agrate e tagliavano i fili telefonici. Agli inizi di aprile, i partigiani di Vimercate, in collaborazione con quelli di Trezzo d’Adda, attaccavano (su segnalazione di Eugenio Mascetti, che fu anche protagonista dell’impresa) una colonna motorizzata tedesca in transito sull’autostrada Milano-Bergamo all’altezza del casello di Cavenago Brianza. L’azione ebbe pieno successo e venne ripetuta diverse volte, obbligando le colonne tedesche ad arrestarsi per notti intere. Il 7 maggio, a Brugherio la pattuglia comandata da “Spina” (Andrea Riva) disarmò un milite fascista all’altezza della frazione Bettolino Freddo sulla provinciale Milano-Vimercate. Nel pomeriggio la stessa pattuglia disarmò un sottufficiale tedesco al bivio in località Malcantone. Il 15 maggio, i partigiani di Cavenago Brianza, durante la notte tagliavano la base di due tralicci dell’alta tensione; tralicci che si trovavano in località “Valle dei sassi”, a Basiano, e che collegavano la centrale elettrica di Trezzo d’Adda alla cabina che alimentava le fabbriche di Sesto San Giovanni. Il 7 giugno, partigiani della 27ᵃ brigata del Popolo di Brugherio disarmavano due militi della Brigata nera di Cernusco sul Naviglio. Il 24 luglio, sull’autostrada Milano-Bergamo, all’altezza della frazione Offelera di Brugherio, due partigiani disarmavano due militi e poi attaccavano un automezzo carico di militi fascisti sopraggiunti in aiuto. Nello scontro a fuoco venivano colpiti due fascisti e reso inservibile l’automezzo. A Limito di Pioltello si facevano sempre più frequenti gli attacchi partigiani al nodo di smistamento ferroviario. In estate, durante uno di questi attacchi venne colpito a morte un milite della RSI. Immediata fu la rappresaglia condotta dai militi della famigerata “Legione Autonoma Ettore Muti”.

Racconta P. Burchiani: «L’eco del grande fatto di sangue rimbalzò presto in paese e provocò il timore di pesanti ritorsioni, che inevitabilmente si verificarono la domenica pomeriggio [...] All’improvviso si sparse la voce che un manipolo di militi, armati fino ai denti, stava rastrellando gli uomini che si trovavano per strada o nelle numerose osterie, a iniziare dal lato ovest di via Dante [...] Alcuni ignari malcapitati, forse 20, o più, vennero radunati e messi in fila a 2 a 2 sotto la minaccia delle armi». Grazie al coraggioso intervento di don Alfonso Mattelli fu evitato un tragico epilogo, ottenendo la liberazione di tutti gli arrestati. Il 31 agosto, a Cologno Monzese tre militi della “Muti” vennero giustiziati all’uscita da un’osteria. Il 4 settembre, a Melzo, il gappista “Walter” (Alberto Gabellini, di Cambiago), accompagnato da elementi della 103ᵃ brigata Garibaldi di Vimercate, eliminava il segretario federale repubblichino di Pisa, che nella sua fuga verso Nord aveva trovato rifugio in un cascinale. Il 30 settembre, verso le ore 21, una pattuglia garibaldina spargeva chiodi a quattro punte sull’autostrada da Agrate a Cambiago. Nella notte tra il 3 e il 4 ottobre, garibaldini della 105ᵃ brigata occupavano il paese di Bussero; così riporta il “Bollettino delle azioni”: «Alle 21,35 una squadra di 15 compagni col comandante e vice comandante di brigata in bicicletta, armati di moschetto, pistole e bombe a mano iniziano una marcia a pattuglie per l’occupazione del paese di Bussero. Alle 21,55 la squadra arriva sul luogo: una pattuglia provvede al taglio dei fili telefonici che congiungono Bussero con altri paesi; contemporaneamente sei compagni bloccano le strade di accesso». Il successivo numero del “Bollettino” riporta altre tre azioni compiute dalla stessa brigata tra il 4 e il 10 ottobre: la sera del 4, due pattuglie uscivano per eseguire scritte murali e tagliare fili telefonici; la sera del 5, verso le ore 21, una pattuglia si recava in bicicletta a Carugate e sparava tre colpi di rivoltella contro una finestra dell’abitazione di una nota spia repubblichina; la sera del 10, verso le ore 20, una pattuglia seminava di chiodi a quattro punte un tratto dell’autostrada. Dal documento “Situazione delle SAP di Milano e Provincia”, redatto entro la fine di agosto 1944, sappiamo che allora, nei paesi inclusi nel triangolo Melzo-Monza-Oggiono, operavano le brigate d’assalto “Diomede”. La zona era divisa in quattro settori: Oggiono, Monza, Vimercate, Melzo. Mentre i primi due e l’ultimo erano ancora in formazione (solo a Truccazzano, nel settore di Melzo, si contavano una quarantina di armati), quello di Vimercate contava 250 uomini, “inquadrati” nel 1° battaglione, articolato nella 1ᵃ compagnia (Vimercate), nella 2ᵃ (Trezzo d’Adda) e nella 3ᵃ (Brugherio), tutti al comando di “Gino” (Iginio Rota), del vice comandante

“Mino” (Giuseppe Carcassola) e del non meglio identificato commissario politico “Rico”. L’intera zona era diretta dal comandante “Ario” (Michele Marino), dal capo di stato maggiore “Vico” (Eugenio Mascetti) e dal commissario “Pietro” (Fabiani).

L’attacco alla caserma della GNR di Vaprio d’Adda Il 6 ottobre, i distaccamenti garibaldini di Vimercate e Trezzo d’Adda si davano appuntamento alle ore 21,15 alla periferia di Vaprio d’Adda per dare l’assalto alla caserma della Guardia Nazionale Repubblicana. Vennero formate quattro squadre, con i seguenti compiti: bloccare la pattuglia della GNR in perlustrazione; bloccare le vie d’entrata in Vaprio; assaltare il Municipio, assaltare la caserma. L’azione «ebbe inizio sotto un violento temporale, e la prima squadra ebbe il suo daffare per cercare la pattuglia repubblichina che, causa la pioggia, si era rifugiata in una osteria. Un partigiano si mise a fischiettare cercando di attrarre l’attenzione e, allorché la pattuglia fascista, armi in pugno, uscì dall’osteria di sorpresa venne disarmata e convinta a dire la parola d’ordine. Con la prima squadra si aggregò la quarta ed insieme, facendosi guidare dai militi della GNR disarmati, si presentarono alla caserma. La sentinella, udita la parola d’ordine, chiese il motivo dell’improvviso rientro. I militi risposero che, non essendoci nessuno in giro nel paese, era inutile continuare il pattugliamento sotto il temporale. Udito lo scorrere del catenaccio, i partigiani fecero improvvisa irruzione, intimando ai presenti di mettersi contro il muro a mani alzate. La sorpresa ebbe pieno successo e nessuno oppose resistenza. [...] Furono recuperati: un mitragliatore Breda 30, con 4 cassette di munizioni, una dozzina di moschetti, 6 mitra, 2 rivoltelle con relativo munizionamento, zaini, coperte ed anche le divise dei repubblichini [...]. Alla notizia dell’occupazione e del disarmo di Vaprio, anche i repubblichini della caserma di Canonica d’Adda avevano disertato. La rabbiosa reazione dei fascisti non si fece attendere. Il comando delle forze repubblichine di Milano inviò 2.000 uomini ad effettuare una sistematica azione di rastrellamento nella zona compresa fra Vimercate e Vaprio, senza approdare ad alcun risultato, salvo l’inasprimento delle vessazioni ai danni della popolazione». Primo attacco al campo di aviazione di Arcore La notte del 19 ottobre veniva compiuto il primo attacco al campo di aviazione di Arcore da parte del distaccamento della 103ᵃ brigata Garibaldi di Vimercate. La squadra partigiana, assicuratasi la copertura delle spalle e la via di accesso e di uscita dal campo, raggiunse di soppiatto gli hangar e, sfondate le porte, lanciò alcune bombe molotov all’interno


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:05 Pagina 11

il fiore del partigiano

11

Aprile 2013

n Martesana: o un nemico soverchiante

ISTI AGLI ASSALTI DI GRUPPO ALLE CASERME. LE RAPPRESAGLIE SEMPRE PIÙ DURE

iden-

” (Mi” (Euiani).

ercate e ore ssalto cana. uenti perluassal-

ale, e are la si era e a fialloruscì nvinta si agai mialla dine, iti ripaese, temigiani enti di presa enza. a 30, moionae dei e e del la caa rabere. Il inviò zione ercate salvo popo-

mo atdel didi di la cota dal ndate terno

I rastrellamenti e i primi caduti Il 30 maggio 1944 ad Agrate Brianza avveniva un rastrellamento a opera della “Muti” di Milano: il ventisettenne agratese Mario Perego, che non si era presentato al richiamo delle armi, veniva colpito a morte mentre tentava la fuga sulla strada che porta a Caponago. Il 16 giugno, alle ore 5, Carugate veniva circondata da truppe italo-teArcore, 20 ottobre 1944. Sei aerei siluranti S.M.79 desche, le quali ordinanell’hangar, sabotati dai partigiani vimercatesi vano la consegna immediata di tutte le armi che si trovavano entro la lodelle cabine di pilotaggio degli aerei. Vennero così calità; l’adunata di tutti gli uomini aventi obblighi distrutti cinque aerosiluranti SM-79 e danneggiati militari; la consegna di tutti gli apparecchi radioridiversi altri. ceventi e trasmittenti; l’adunata di tutta la popolazione del luogo sul piazzale della chiesa. Questa era IV - La reazione nazifascista l’accusa rivolta alla popolazione: «Nel paese si ascoltava Radio Londra e avvenivano manifestazioni anI sempre più frequenti sabotaggi e attentati a militi, titedesche attraverso scritte sui muri ed affissioni di nonché l’ingente numero di renitenti alla leva e di manifesti». Per fortuna non furono trovate armi. disertori (che alimentava le fila dei partigiani) in- Comunque ben 96 giovani con obbligo militare futensificarono la reazione nazifascista. La violenza si rono arrestati e portati a Monza, da dove vennero scatenò non solo su reali o presunti partigiani, ma trasferiti dapprima in una caserma alla Bicocca e di anche su singoli e comunità che in qualche modo li seguito a Verona, città dalla quale vennero deporaiutavano, o proteggevano renitenti, disertori e sol- tati in Germania. Per loro fortuna ritornarono tutti dati alleati fuggiti dai campi di prigionia. Anche in al paese dopo circa quattordici mesi di prigionia. Martesana si fecero così sempre più frequenti i ra- Così ricordava quei tragici eventi il parroco di Carustrellamenti, particolarmente intensi e dai tragici gate, Monsignor Giuseppe Mariani: «La nostra ceesiti nei paesi in cui, attraverso una capillare rete di lebrazione vuole ricordare anche il sacrificio e le delatori, si avevano avute informazioni sulla pre- lacrime e le infinite sofferenze sopportate dalla nosenza di gruppi partigiani e di armi. Ai rastrella- stra popolazione di Carugate per causa di quel fementi si affiancarono poi le rappresaglie per roce rastrellamento del 16 giugno 1944 che strappò vendicare militi uccisi o feriti, e attacchi a presìdi. alle famiglie 96 giovani, colpevoli di non essersi pieOltre alle forze fasciste e tedesche erano dislocate in gati alla coscrizione nazifascista». Martesana, e precisamente a Melzo, reparti della te- Il 13 agosto Luigi Brambilla di Gorgonzola veniva mibile “Legione Autonoma Ettore Muti”. Essa era trucidato sulla soglia di casa da due militi della GNR. stata costituita a Milano nel marzo del 1944 dall’ex Brambilla stava organizzando i primi nuclei partisquadrista Franco Colombo, e divenne tristemente giani della brigata Garibaldi di Gorgonzola. Alle ore nota per la barbarie (torture, fucilazioni sommarie, 22,30 circa di quel 13 agosto, mentre stava rincarappresaglie) esercitata nell’attività di repressione sando, due repubblichini gli chiesero i documenti. dell’antifascismo. Essendone sprovvisto e avendo tentato la fuga La “Muti”, oltre alla sede del Comando, a Milano in venne colpito a morte. via Rovello, disponeva di sei caserme. Tre erano al- A fine agosto l’organizzazione delle formazioni gal’interno del perimetro del capoluogo; le altre erano ribaldine subì un duro colpo con l’incendio, da parte la “De Angeli”, a Villasanta di Monza, la “Bigatti”, a della GNR, del cascinotto di Antonio Perego, base Cornaredo, e la “Mascheroni”, a Melzo. Alla “Ma- dei sappisti di Trezzo d’Adda. Seguirono alcuni arscheroni” avevano sede due compagnie: la “Giu- resti e il saccheggio della casa del commissario poseppe Ruggeri”, che era impiegata in zona, e la litico della 103ᵃ brigata Alfredo Cortiana, con “Giuseppe Lucchesi”, impiegata in luoghi vari. minacce al padre e l’arresto del fratello. I membri

più attivi del distaccamento trezzese venivano inviati in montagna, in Val Taleggio, per qualche settimana. Gli stessi dirigenti dovettero abbandonare la zona (Eugenio Mascetti venne trasferito nella Bassa Brianza). Il 7 settembre, a Inzago, veniva fucilato il prof. Quintino Di Vona, che era lì sfollato in seguito ai massicci bombardamenti su Milano. Di Vona era nato il 30 novembre 1894 a Buccino (in provincia di Salerno), politicamente era di estrazione socialista, insegnante di Lettere dapprima al liceo Carducci e poi in una scuola media di Milano, promotore del CLN della scuola. Così una fonte scritta ci fa rivivere il suo arresto e la sua fucilazione: «Alle 6,30 del mattino (...) bloccati gli accessi stradali e le porte dello stabile in cui abitava il Di Vona con la famiglia, militi della SS tedesca e della “Muti” procedevano brutalmente all’arresto del nostro compagno che, tradotto a Monza su una macchina, veniva dopo poco riportato a Inzago e qui trattenuto prigioniero nella sede del fascio, senza consentirgli di prendere cibo fino all’ora dell’esecuzione, affidata a giovinetti tra i quindici e i sedici anni, che hanno accompagnato la scarica coi loro sghignazzi e i loro canti oltraggiosi. Il cadavere è rimasto esposto sulla pubblica piazza fino a sera. L’arresto è avvenuto per denunzia di spie già identificate e sotto l’accusa di appartenere al partito comunista; la fucilazione come rappresaglia per il ferimento di un fascista e di un soldato tedesco nel paese di Inzago». L’11 novembre, nel corso di un rastrellamento alla cascina Modesta di Brugherio, venivano arrestati i partigiani dell’11ᵃ brigata Matteotti Ester Ticozzi e Dino Pace. Lo stesso giorno, alla trattoria del “Valentino”, nei pressi della stazione tranviaria di Vimercate, le formazioni garibaldine della Martesana subivano un nuovo duro colpo con l’arresto, da parte della GNR, dei comandanti di zona Eliseo Galliani e Guido Venegoni (uno dei quattro fratelli Venegoni, di Legnano). Tradotti dapprima a Vimercate e poi a Monza, Venegoni veniva riconosciuto, mentre Galliani se la cavava miracolosamente. Guido Venegoni riuscì poi a liberarsi, diventando comandante della 181ᵃ brigata Garibaldi. Rastrellamenti, deportazioni, rappresaglie, per quanto colpissero duramente la popolazione, e in particolare gli antifascisti, non riuscirono però a spegnere del tutto lo spirito combattivo dei resistenti. Scrive lo storico Luigi Borgomaneri, riferendosi alla nostra zona: «Con una zona che pullulava di SS e fascisti, con la mancanza di quadri, le continue sostituzioni e avvicendamenti di comandi di brigata e con un Comando di zona sfasciato per la seconda volta in quattro mesi, desta meraviglia che l’attività non si sia ridotto a zero». 2 - ConTinuA


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:06 Pagina 12

12

il fiore del partigiano

Aprile 2013

Il marzo del 1943 fu un mese di fuoco per il regime fascista. La mattina del 5, nonostante le manovre della Direzione, dall’officina 19 della Fiat a Mirafiori parte il primo sciopero organizzato

I DI

da il manifesto del 5 marzo 2003

GABRIELE POLO

l 5 marzo 1943 la sirena della fabbrica, che suonava regolarmente ogni mattina alle dieci, rimase silenziosa: il segnale che doveva far partire il primo sciopero dopo diciotto anni di niente era stato disinnescato dalla direzione. Qualcuno aveva avvertito la Fiat. All’officina 19 di Mirafiori, Leo Lanfranco - manutentore specializzato, reduce dal confino e assunto nonostante il suo curriculum di comunista perché «sapeva dominare il ferro» - decise di muoversi lo stesso, lasciò la macchina, fece un gesto con le mani e tutta l’officina si fermò. Il piccolo corteo si mosse in direzione delle presse raccogliendo qua e là l’adesione di altri operai. Non era un blocco massiccio, ma era la prima volta. Da quel giorno le fabbriche di Torino cominciarono a fermarsi, con un crescendo che fece impazzire questura e partito fascista, fino al blocco totale del 12 marzo e all’estensione dello sciopero a Milano, all’Emilia, al Veneto. Un marzo di fuoco. Appena dopo Stalingrado, prima del 25 luglio, molto prima dell’8 settembre, sono gli scioperi del marzo ’43 a segnare l’inizio della fine del ventennio fascista. Scioperi contro la guerra, contro la fame, contro il regime; quando la borghesia italiana è ancora muta, i partiti antifascisti solo l’ombra di quel che erano e ridotti alla dimensione di gruppetti clandestini, gli intellettuali combattuti tra fedeltà alla patria e disaffezione per l’uomo del destino; quando le fabbriche sono militarizzate e scioperare può costare il tribunale speciale, l’accusa di tradimento, la galera, e, poi, la deportazione, la prospettiva del lager. Il 5 marzo del ’43 è la data del “risveglio operaio”, il riannodarsi del filo rosso spezzato nel ’22 e reciso - sembrava definitivamente - con la guerra di Spagna. Il vero inizio della Resistenza. Partono da Torino - «città porca» per Mussolini - e si estendono a tutto il nord: continueranno fino alla fine della guerra, passando per la strage badogliana delle Reggiane del 28 luglio ’43, le grandi agitazioni dell’autunno successivo e della prima-

vera ’44 che costano migliaia di operai deportati nei lager nazisti, fino all’insurrezione del 25 aprile ’45, alle fabbriche occupate e autogestite. E, tra un evento e l’altro, la migrazione dalle officine alle montagne, la scelta di combattere in armi, spesso individuale, a volte collettiva con centinaia di lavoratori che - quasi in corteo - abbandonano la fabbrica per aggregarsi alle formazioni partigiane, come i ferrovieri della Val Susa, come i cantieristi di Monfalcone. È la guerra di classe dentro la guerra di Liberazione: tutto ha origine da quel gesto di Leo Lanfranco, da quelle braccia che si incrociano e si allargano, come a dire «basta, stop, finito». Finito il silenzio: il marzo ’43 nasce dall’estraneità operaia al regime, dalla mancata fascistizzazione dei lavoratori dell’industria. Distrutte, con stragi e confino, le avanguardie comuniste e socialiste del biennio rosso, dissolta la Cgil a palazzo Vidoni e conquistato il suo segretario generale, D’Aragona, il regime rende mute le fabbriche, le occupa ma non le fa proprie. E dove la concentrazione operaia è più densa, come a Torino, la distanza dal fascismo rimane: lo segnalano puntualmente i rapporti dell’Ovra e dei federali, lo rimarca l’inaugurazione di Mirafiori del maggio ’39 con il silenzio operaio di fronte al discorso di Mussolini (che si infuria), lo rende chiaro la guerra. Nel ventennio la fabbrica è gestita dai padroni e dai sindacati fascisti, non è più il luogo della comunità operaia. Non bastano i dopolavoro a creare una socialità di regime, i lavoratori preferiscono i circoli di barriera e le osterie: lì si ritrovano e lì scorre il fiume sotterraneo della memoria, lì si rafforza la lontananza dal «baraccone di Cerutti» (come veniva

chiamata la banda di Mussolini). Non c’è opposizione, c’è diffidenza e distanza. Quando scoppia la guerra, quando a 24 ore «dall’ora solenne che bussa» sul cielo di piazza Venezia cominciano a cadere le prime bombe su Torino e sulle altre città del nord, quella distanza diventa malessere che si gonfia con le tessere annonarie, gli sfollamenti, la borsa nera, la militarizzazione delle officine e l’orario di lavoro che aumenta fino a 12 ore al giorno. Già negli ultimi mesi del ’42 dalle fabbriche torinesi e milanesi giungono sul tavolo dei gerarchi romani rapporti allarmanti che parlano di prime fermate spontanee, di rischi di sabotaggio, di «diffusa disaffezione al lavoro» e al regime. I giovani che arrivano in fabbrica dalle “scuole operaie” incontrano vecchi lavoratori con la memoria del biennio rosso. Portano con sé una spontanea curiosità per tutto ciò che è diverso dal grigiore del fascismo e dal cupo clima di guerra, una predisposizione alla ribellione che si affianca fisicamente ai saperi (professionali e politici) della generazione prece-

Appena dopo Stalingrado, prima del 25 luglio e dell’8 settembre, sono gli scioperi del marzo ’43 a segnare l’inizio della fine del ventennio del regime fascista


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 23:10 Pagina 13

il fiore del partigiano

Lo sciopero libera tutti

13

APRILE 2013

MARZO 1943: GLI OPERAI INCROCIARONO LE BRACCIA E COMINCIÒ LA RESISTENZA

dente: “allievo” e “maestro” costruiscono un sodalizio che, contaminandosi, trasforma l’estraneità al fascismo in avversione. In quei mesi Umberto Massola, dirigente comunista, rientra in Italia con lo scopo di ricostituire il “centro interno” cento volte smantellato: nella città della Fiat riannoda la rete del partito (lo racconta splendidamente in una testimonianza filmata raccolta da Paolo Gobetti e conservata presso l’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza di Torino) e punta sulle fabbriche, su Mirafiori. L’intuizione è quella di preparare una sorta di “piattaforma sindacale”, rivendicazioni che possano raccogliere il consenso delle masse operaie già arrabbiate e forse “pronte”. Non più “cospirazione militare”, ma preparazione clandestina di una lotta di massa. Nei primi mesi del ’43 piccole fermate spontanee alle Ferriere, alla Diatto, alla Fiat Spa e in altre fabbriche fanno capire che è giunto il tempo di uno sciopero vero e proprio, contro la guerra, la miseria delle condizioni di vita e di lavoro, il regime: «pane, pace e libertà». La rete clandestina è sempre più fitta, ma non potrebbe stringersi senza quella predisposizione covata a lungo nelle osterie di barriera e cresciuta spontaneamente sotto i bombardamenti e nelle lunghe ore di lavoro militarizzato.

La “piattaforma” chiede il riconoscimento delle 192 ore a tutti, l’estensione cioè a ogni lavoratore di quella gratifica economica (192 ore di salario) data agli operai sfollati dalle città in conseguenza dei bombardamenti. E la fine della militarizzazione delle officine. Ciascuna fabbrica ci aggiunge qualcosa, soprattutto su orario e condizioni di lavoro. Con queste richieste parte lo sciopero del 5 marzo, quello della sirena che non suona e che ne smorza l’effetto. Ma nei giorni successivi si muovono altre fabbriche (Grandi Motori, Fiat Aeronautica, Savigliano, Lancia, Riv) e Mirafiori si ferma completamente il 12 - insieme a tutte le altre industrie torinesi - stavolta non alle 10 del mattino, ma dopo la pausa della mensa: gli operai non rientrano nelle officine e il salone che “sfama” i 15.000 addetti della più grande fabbrica italiana diventa il teatro di CONTINUA A PAGINA 14 ➔

LE CANZONI DEGLI STORMY SIX SEGNARONO UN’EPOCA

L’epica di quelle lotte risuona ancora dagli anni ’70 da appunti novalis del 23 ottobre 2008

DI

SILVANO BOTTARO

A

nni caldi questi. Siamo a metà degli anni settanta ed esattamente nel ’75 esce questo disco che è il più bell’esempio di “musica politica” mai prodotto in Italia. L’album Un biglietto del tram è il primo vero album decisamente originale e con forti contenuti politici degli Stormy Six. Forse è storia o forse è leggenda che a Milano alcune frange del “movimento” abbiano accusato gli Stormy Six di deviazionismo, la colpa: incidere dischi e, soprattutto, venderli! Questo è stato lo scotto di una notorietà costruita concerto dopo concerto, piazza dopo piazza. La grandezza di questo “progetto” è stata nella capacità di saper raccontare attraverso le “immagini”, un’Italia in guerra. Il disco apre con quello che diventerà uno dei loro portabandiera, la bellissima Stalingrado (… sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa d’ora in poi troverà Stalingrado in ogni città) canzone di forte spessore che rievoca l’omonimo assedio. La Fabbrica (… e corre qua e là un ragazzo a dar la voce si ferma un’altra fabbrica, altre

braccia vanno in croce) ci restituisce l’atmosfera di paura e fervore che precede il grande sciopero del marzo del 1943 nelle fabbriche del nord. Arrivano gli americani (… arrivano gli americani, garibaldini marziani, Vergine Santa, hai sentito le nostre preghiere!) testo ironico e di facile riff che rimane nella mente, imperniato sulla “liberazione (?) americana”. 8 settembre (… ammazzati come cani, un cartello appeso al collo: ‘PARTIGIANI’) probabilmente il brano più intenso dove i testi e la musica si intrecciano in un tutt’uno canzone carica e profonda ed espressione di una grande tragedia. Nuvole a Vinca (… dove sono i giovani, prigionieri in Africa, deportati a Buchenwald o sui monti, liberi...) rende palpabile la paura provocata dalla polvere che si solleva e da quella moto con sidecar che sgomma sulla piazza prima del massacro. La bellissima Dante Di Nanni (… e cento volte l’hanno ucciso, ma tu lo puoi vedere: gira per la città, Dante di Nanni) affronta naturalmente la resistenza e diviene una figura quasi mitica, il simbolo di una battaglia che, trent’anni dopo, non doveva cessare. Gianfranco Mattei (… e se

CONTINUA A PAGINA 14 ➔ “Le braccia vanno in croce”. In alto a sinistra, l’immagine divenuta simbolo degli scioperi del marzo ’43. A destra, un gruppo di operai passati alla lotta partigiana. Qui a lato, 3 aprile 1973, gli Stormy Six in concerto a Milano, in piazza del Duomo, per i metalmeccanici in lotta


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:06 Pagina 14

14

il fiore del partigiano

Aprile 2013

La fabbrica

➔ SEGUE DA PAGINA 13 decine di comizi e capannelli. Di lì il movimento crescerà e si allargherà a tutto il nord, soprattutto a Milano, alla Falk, alla Breda, alla Marelli. «Non sapevo che stavo facendo uno sciopero, per me era una protesta, la parola sciopero mi era sconosciuta» - ricorderà molto più tardi un allora giovane operaio appena uscito dalla “scuola allievi Fiat” «ho scoperto in quei giorni cosa volesse dire quella cosa di cui parlavano i vecchi, quel movimento solidale che fa di tanti corpi un’entità sola. E, poi, il senso di libertà: si diceva che in fabbrica c’erano dei comunisti, dei socialisti, ma nessuno sapeva chi fossero... erano qualcosa di mitologico. In quei giorni sono emersi dalle tenebre, si sono scoperti e in quella lotta si riconoscevano l’un l’altro». Parole che spiegano bene il duplice senso degli scioperi del marzo ’43: l’emergere dal buio del conflitto sociale, il suo estendersi nel riconoscersi in una condizione comune da combattere e cambiare, la sua valenza politica. Si può dire che anche la Cgil rinasce in quell’occasione, che in quel movimento si fondano le basi per un sinda-

Indetti “per la pace, per il pane e la libertà”, gli scioperi del marzo ’43 segnano l’uscita dal buio del conflitto sociale, la rinascita del sindacato di classe e dei partiti: i prodomi della democrazia cato generale, l’opposto della natura corporativa dei sindacati fascisti, che i comunisti della clandestinità tentarono vanamente di infiltrare durante gli anni ’30 per ricollegarsi alle masse operaie. Un ricongiungimento che avviene solo nel pieno del conflitto, su una base rivendicativa materiale che assume caratteristiche generali. La cosa che non sfugge al regime. La repressione è immediata: non riesce nei giorni degli scioperi - che si concludono con conquiste salariali e la mediazione di Valletta corso a Roma per convincere il regime a dare agli operai almeno una parte di ciò che chiedono - nonostante le spedizioni punitive davanti alle fabbriche; ma nelle settimane seguenti oltre duemila lavoratori vengono fermati, molti di loro arrestati e spediti davanti al tribunale speciale. Ma il movimento non si ferma, rallenta la sua corsa per riprenderla qualche mese dopo e dal marzo ’43 le fabbriche italiane diventano un problema in più per Mussolini, che investe di vane sfuriate i suoi gerarchi. E

Cinque di marzo del ’43, nel fango le armate del Duce e del Re: gli alpini che muoiono traditi lungo il Don.

Cento operai in ogni officina aspettano il suono della sirena; rimbomba la fabbrica di macchine e motori, più forte è il silenzio di mille lavoratori, e poi, quando è l’ora, depongono gli arnesi: comincia il primo sciopero nelle fabbriche torinesi...

➔ SEGUE DA PAGINA 13 per di più sei un comunista ed un ebreo, dalle mani dei nazisti ti salvi il tuo Dio!) brano a ricordare tutte quelle persone che hanno speso la propria vita in cambio della nostra libertà. in La sepoltura dei morti (… la morte non vale nemmeno il giornale che leggi e che poi butti via) c’è l’amara riflessione di quello che è avvenuto in seguito ai fatti cruciali del ’900 e delle sue conseguenze. Un biglietto del tram (… non bastava un biglietto, un biglietto del tram per tornare in piazzale loreto?) conclude amaramente l’album.

ora più che mai questo disco risuona attuale: in un momento in cui i giovani sembrano incapaci di stare a sentire un ragionamento politico per più di cinque minuti, sarebbe l’occasione giusta per ascoltare questo disco. Disco che, sia chiaro, pur essendo “politico” nei suoi testi, rimane musicalmente parlando ricco di spunti e di idee. Gli strumenti creano un tappeto sonoro che non fa da supporto, ma è parte integrante delle parole stesse, un disco quindi dove anche la musica ha un valore non secondario.

Silvano Bottaro

http://appuntinovalis.blogspot.it vana sarà anche la “socializzazione” proposta da Salò per riconquistare il consenso operaio con un’operazione tipicamente corporativa (la comunità produttiva della fabbrica tra azienda, sindacati fascisti e lavoratori contro la borghesia parassitaria) che annuncia persino presunti vincoli alla proprietà: l’ostilità operaia al fascismo diventerà sempre più radicale e attiva. Da quel momento, per decenni, le fabbriche saranno altra cosa dal potere economico e politico.

E corre qua e là un ragazzo a dar la voce: si ferma un’altra fabbrica, altre braccia vanno in croce... E squillano ostinati i telefoni in Questura: un gerarca fa l’impavido, ma comincia ad aver paura. Grandi promesse: la Patria e l’Impero; sempre più donne vestite di nero: allarmi che suonano, in macerie le città.

Quindici marzo, il giornale è a Milano: rilancia l’appello il PCI clandestino. Gli sbirri controllano, fan finta di sapere, si accende la boria delle camicie nere, ma poi, quando è l’ora, si spengono gli ardori, perché scendono in sciopero centomila lavoratori. Arriva una squadraccia armata di bastone; fa dietro-front, e subito, sotto i colpi del mattone; e come a Stalingrado i nazisti son crollati, alla Breda rossa in sciopero i fascisti son scappati!

In quegli scioperi per la pace, il pane e la libertà risiede ancor oggi una parte importante della costituzione materiale della repubblica: non furono un episodio torinese o milanese, né solo una tappa della storia del Partito comunista italiano; furono l’esplicitarsi della natura democratica del conflitto operaio, dell’ostilità del lavoro alle logiche di guerra e dell’irriducibilità sociale del conflitto di classe. Gabriele Polo


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:06 Pagina 15

il fiore del partigiano

15

Aprile 2013

Il “pensiero” fascista era: «La donna deve ubbidire»

ALCUNE “PERLE” DI MUSSOLINI E DI SUOI TEORICI

Dal Convegno Nazionale organizzato dal Coordinamento Donne, con l’ANPI e con il patrocinio del Comune di Milano, sabato 16 marzo 2013 a Milano, dal titolo: La violenza e il coraggio - Donne, Fascismo, Antifascismo, Resistenza - Ieri e oggi. Si tratta di una raccolta ragionata di frasi, slogan e testimonianze sul ventennio fascista e sulla Resistenza.

«Non darò il voto alle donne... La donna deve ubbidire. La mia opinione della sua parte nello Stato è opposta a ogni femminismo. Naturalmente non deve essere schiava, ma se le concedessi il diritto elettorale, mi si deriderebbe. Nel nostro Stato essa non deve contare». Benito Mussolini a colloquio con Emil Ludwig «Come donne italiane fasciste, voi avete particolari doveri da compiere: voi dovete essere le custodi del focolare». Benito Mussolini «L’abolizione del lavoro femminile deve essere la risultante di due fattori convergenti: il divieto sancito dalla legge, la riprovazione sancita dall’opinione pubblica. La donna che - senza la più assoluta e comprovata necessità - lascia le pareti domestiche per recarsi

al lavoro, la donna che, in promiscuità con l’uomo, gira per le strade, sui trams, sugli autobus, vive nelle officine e negli uffici, deve diventare oggetto di riprovazione, prima e più che di sanzione legale». Ferdinando Loffredo Teorico dell’antifemminismo fascista «Oggi come oggi, macchina e donna sono due grandi cause di disoccupazione. Nel particolare, la donna salva molto spesso una famiglia ammalata o addirittura se stessa, ma il suo lavoro è, nel quadro generale, fonte di amarezze politiche e culturali». Benito Mussolini «Bisogna convincersi che lo stesso lavoro che causa nella donna la perdita degli attributi generativi, porta nell’uomo una fortissima virilità fisica e morale». Benito Mussolini «Donne felici, perché fattrici di prole sana e robusta per la nazione». Benito Mussolini «Avendo l’esperienza dimostrato che l’apporto dato dalla donna emancipata allo sviluppo della civiltà è negativo nel campo della scienza e delle arti e anzi costituisce il più certo pericolo di distruzione per tutto quanto la civiltà bianca ha finora prodotto [...]: come la donna emancipata non era fat-

tore di progresso, così la donna emancipata è fattore di arretramento della civiltà». Ferdinando Loffredo

«La famiglia deve fornire un’educazione imperniata sulla politica gerarchica: 1) far rivivere attraverso l’austera tradizione del pater familias la coscienza gerarchica attuata dalla società [...] 2) La sottomissione della moglie e dei figli all’autorità paterna [...] 3) Stabilire una gerarchia tra la donna madre e le altre donne che non lo sono». Ferdinando Loffredo

«Il lavoro femminile crea nel contempo due danni: la “mascolinizzazione” della donna e l’aumento della disoccupazione maschile. La donna che lavora si avvia alla sterilità». Ferdinando Loffredo

«Inconcepibile con la psicologia femminile, il genio è maschio... Genialità è mascolinità all’ennesima potenza». Alfredo Niceforo

«... fra i due sessi non può esistere parità di diritti... tornino dunque le donne, e tocca a voi di sospingerle e di obbligarle, signori uomini, al loro posto e non prendano atteggiamenti e non usurpino mansioni che non si addicono al loro sesso e anche la famiglia ne guadagnerà». Critica fascista, 1933

Ma non furono poche a dire: «Mille volte no!» TESTIMONIANZE DI OPERAIE CHE SEPPERO OPPORSI ALLE DISCRIMINAZIONI E AI SOPRUSI

A CurA Di

«l

MIRELLA ALLOISIO

a nostra fabbrica lavorava per i tedeschi: facevamo roba di maglieria e di felpato perché allora non vi erano altri filati, per l’esercito tedesco. Quindi, da noi, la parola d’ordine era di non lavorare per i tedeschi, continuare a sabotare la produzione fino alla fine della guerra. Così, tutte d’accordo, noi novantadue operaie, non si faceva che pochi capi al giorno, quelli indispensabili per non dimostrare che eravamo ferme; dicevamo che avevamo fame, che avevamo sonno, che avevamo freddo, insomma non si lavorava. Avevamo imparato a scrivere alcune parole in tedesco e in ogni maglia che spedivamo, mettevamo dei biglietti ove si leggeva: a morte il nazismo, abbasso il nazismo, a morte Hitler, vogliamo che la guerra sia finita, tedeschi tor-

natevene a casa vostra e smettete di fare la guerra, ne abbiamo abbastanza».

Flora Bertana

«Q

Torino

uando nell’officina n. 4 della Fiat, composta tutta da donne, corse la parola d’ordine "sciopero", nessuna si rifiutò di parteciparvi. Tutte insieme ci buttammo verso l’uscita dell’officina, scendemmo le scale, ci precipitammo nel cortile. e lì, squadre di fascisti armati di staffili ci riserbarono un’accoglienza ben poco lieta: furono pugni, calci, staffilate... Qualcuno cominciò ad arretrare. un gruppetto di noi donne si diresse di corsa verso l’ingresso del refettorio, inseguito dai fascisti. le pareti lungo la scala che conduceva al refettorio erano state ricoperte da poco con

belle piastrelle maiolicate, bianche, larghe... pesanti, soprattutto. non so bene come incominciò. una donna che lavorava con me (correva voce che venisse dalla Francia, forse era una perseguitata politica, ma non si sapeva altro: per tutte noi, era "quella del basco verde", perché portava sempre quel copricapo), cominciò a staccare dal muro le piastrelle, a buttarle contro i fascisti che volevano salire, a passarle a noi che a nostra volta le scagliavamo... Alla fine, avevamo le unghie spezzate e le mani sanguinanti, ma i fascisti erano ritornati sui loro passi. A sciopero ultimato, alcune di noi vennero arrestate; fra esse, la donna "del basco verde". Sapemmo poi che l’avevano condotta in Via Asti, torturata. la mandarono in qualche lager, e non se ne seppe più nulla».

Anna Anselmo

Grugliasco, Torino


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:06 Pagina 16

16

Aprile 2013

il fiore del partigiano

La donna delle mimose

TERESA MATTEI, UNA MADRE DELLA COSTITUENTE, NELL’ULTIMA INTERVISTA PER L’8 MARZO

Partigiana, donna dalla parte delle donne per tutta la vita. Teresa Mattei si è spenta lo scorso 12 marzo nella sua casa di Usigliano, Lari, nel pisano. Fu la più giovane eletta nell’Assemblea Costituente. Pubblichiamo la sua ultima intervista, rilasciata in occasione dell’8 marzo a LiberEtà.

polo appartengono dalla nascita anche i bambini e continuano ad appartenervi gli anziani, perciò ho lottato nella mia vita per il diritto alla comunicazione e all’ascolto di tutti, in particolar modo di quelli che non venivano ascoltati, come le donne, gli anziani e i bambini appunto».

T

Di

SARA PICARDO

eresa Mattei, nome di battaglia Chicchi, è stata la più giovane eletta all’Assemblea Costituente, a soli 25 anni, nel 1946. A lei dobbiamo tante cose: Comandante di Compagnia a Firenze durante la guerra di Liberazione nella formazione Garibaldina Fronte della Gioventù; “madre” dell’articolo 3 della Costituzione sull’uguaglianza di tutti di fronte alla legge; “inventrice” della mimosa come simbolo dell’8 marzo; dirigente nazionale per anni dell’Unione delle Donne Italiane (Udi) e combattente per i diritti del fanciullo e della donna, soprattutto il diritto all’ascolto e alla comunicazione; pasionaria espulsa dal Pci per le sue posizioni anti-togliattiane, nel 2001 è alla grande manifestazione contro il G8 a Genova, per chiedere ancora una volta un altro mondo possibile. A lei ed al suo gruppo combattente si ispira Rossellini per l’episodio di Firenze del celebre film Paisà. «La cosa più importante della nostra vita è aver scelto la nostra parte», dice Teresa-Chicchi riguardo alla lotta partigiana. Nata nel 1921, dalle sue parole si evince il significato di un’esistenza intensa, tesa al bene della collettività. Come è nata l’idea della mimosa per celebrare l’8 marzo? «L’idea mi venne perché la mimosa era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette, mi ricordava la lotta sulle montagne, un fiore povero che cresceva ovunque a marzo e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente. Sapevo che Luigi Longo voleva proporre la violetta, la mimosa mi sembrava molto più adatta». Anche se è cambiato molto da quando Rosa Luxemburg propose l’8 marzo come Festa della Donna

Teresa Mattei in una foto del 2006. (AnSA/mAurizio BrAmBATTi)

- per ricordare le operaie rinchiuse nella fabbrica Cotton di New York per le loro richieste di maggior diritti e morte proprio lì, arse vive durante un incendio scoppiato appunto l’8 marzo del 1908 - le donne continuano ad avere problemi di rappresentanza. Eppure il loro contributo è fondamentale. Cosa ne pensa a riguardo? «Le donne sono molto diverse dagli uomini nell’agire. Hanno una mente “orizzontale” nell’osservare il mondo e si rimboccano le maniche quando c’è da fare qualcosa senza guardare troppo al potere o ad avere un atteggiamento verticistico come fanno gli uomini. Noi preferiamo la conoscenza al comando, condividere i progetti e costruire un mondo migliore per i nostri figli, futuri cittadini. Per questo la nostra partecipazione in Parlamento è fondamentale e il nostro contributo alla vita comune decisivo». Lei si è occupata tanto anche dei diritti del fanciullo e degli anziani, perché? «Se la sovranità appartiene al popolo, come recita la nostra Costituzione, mi domando a che età allora un cittadino possa sentirsi e dichiararsi tale. Al po-

Cosa ricorda della sua prima volta alla Camera dei deputati? «Proprio all’inizio della mia attività parlamentare, mentre entravo a Montecitorio mi si fecero incontro due donne vestite di nero che mi chiesero in siciliano stretto se ero una deputata. Al mio sì una di loro mi prese una mano e la baciò piangendo. Iniziarono a raccontarmi la loro storia. Le due cugine, vedove di guerra e madri di una decina di figli, vivevano in un’unica stanza in un paesino della provincia di Trapani. Mi chiedevano di aiutarle affrettando la loro pratica di pensione: erano alla fame. Con il coraggio della disperazione, aiutate da tutto il paese, erano venute sole a Roma. Erano felici di poter parlare con una deputata donna e fiduciose che avrebbe risolto ogni loro problema... Non sono state le uniche. Durante tutto il periodo della Costituente le pratiche di questo tipo erano moltissime, appesantite e rallentate da una burocrazia crudele, che né io né le due donne ancora conoscevamo! È possibile immaginare con quale stato d’animo entrai a Palazzo».

A CurA Di

MAURIZIO GHEZZI

Vincenzina davanti alla fabbrica, Vincenzina il foulard non si mette più. Una faccia davanti al cancello che si apre già. Vincenzina hai guardato la fabbrica, come se non c’è altro che fabbrica e hai sentito anche odor di pulito e la fatica è dentro là... Zero a zero anche ieri ’sto Milan qui, ’sto Rivera che ormai non mi segna più, che tristezza, il padrone non c’ha neanche ’sti problemi qua. Vincenzina davanti alla fabbrica, Vincenzina vuol bene alla fabbrica, e non sa che la vita giù in fabbrica non c’è, se c’è, com’è ? Jannacci, Viola (1974)


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:06 Pagina 17

il fiore del partigiano

Il resistente atipico

17

Aprile 2013

PARTIGIANO E DIPLOMATICO, SCRISSE IL PAMPHLET “INDIGNATEVI!”

da il manifesto del 28 febbraio 2013

S

Di

ANNA MARIA MERLO

téphane Hessel, resistente e diplomatico, militante dei diritti umani, è morto nella sua casa parigina nella notte tra martedì 26 e mercoledì 27 febbraio, all’età di 95 anni. Il suo nome è conosciuto in tutto il mondo, per aver pubblicato nel 2010 Indignez-vous! (ed. Indigène), una denuncia di trentadue pagine contro la dittatura del denaro e un invito a rivoltarsi, tradotto in varie lingue, che ha venduto più di 4,5 milioni di copie nel mondo e 2 milioni solo in Francia. Il termine “indignati” è stato poi ripreso da diversi movimenti di protesta, dalla Spagna a New York, passando per la Grecia, la Germania, l’Italia. C’è stata anche una versione cinematografica, per la regia di Tony Gatlif (Indignados, 2012). Stéphane Hessel, diventato il simbolo dell’indignazione del XXI secolo, ha attraversato il Novecento, riassumendo nella sua biografia i soprassalti e le tragedie del secolo breve, ma sempre con uno sguardo sorridente: «Mia madre mi ha detto - ha affermato in un’intervista - che bisogna promettere di essere felici, è il più grande servizio che possiamo rendere agli altri, non so se mia madre fosse felice, ma era forte». La sua vita era iniziata all’interno di un romanzo: la madre, il padre e un amico di famiglia, sono i protagonisti della storia vera (salvo la fine) raccontata da HenriPierre Roché in Jules et Jim nel 1953, racconto poi adattato al cinema nel capolavoro di Truffaut. Stéphane Hessel, al tempo dei fatti, aveva tre anni. Era nato a Berlino nel 1917, in una famiglia dell’alta borghesia tedesca: il padre, Franz Hessel, era saggista e traduttore, di famiglia ebrea polacca, la madre, Helen Grund, era figlia di un banchiere. A otto anni, con la madre, si trasferisce a Parigi per poi prendere nel ’37 la nazionalità francese. Nella capitale francese, dopo aver studiato filosofia, entra in una grande scuola, l’Ens (Ecole normale sup.). Nel ’39 si sposa per la prima volta, con Vitia Mirkine-Guetzevitch, giovane ebrea russa, con cui avrà tre figli. Nel ’41 abbandona la Francia occupata e fascistizzata per recarsi a Londra. Qui si unisce alla Resistenza delle Forze francesi libere. Nel ’44, durante un’operazione in Francia, dove era stato inviato, viene arrestato dalla Ge-

Stéphane Hessel in un recente ritratto fotografico

stapo. Hessel sarà deportato a Buchenwald, torturato, poi spostato a Dora e infine a Bergen Belsen, dove verrà liberato grazie agli americani. Nel ’45 torna in Francia e inizia una carriera diplomatica atipica. Lavora alle Nazioni unite, dove collabora alla redazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che per lui resterà, assieme al programma del Consiglio nazionale della Resistenza, la base dei valori del genere umano. Nel ’77 è nominato capo della delegazione francese all’Onu e nell’81, con Mitterrand, diventa ambasciatore. Nell’ultima parte del XX secolo, si dedica a varie lotte per la dignità umana: per lo sviluppo dell’Africa, contro la povertà dilagante e la disoccupazione, per i senzatetto, a favore dei sans-papiers (sarà nominato mediatore per gli immigrati del Mali in sciopero della fame nella chiesa Saint-Bernard nel ’96). Si impegna nella nuova battaglia per l’ecologia, è accanto a José Bové nella lotta contro la diffusione degli Ogm. Hessel era un europeista convinto. Il suo impegno a favore dei Palestinesi gli causerà molte critiche: i più estremisti arriveranno persino ad accusarlo di antisemitismo. Ma Hessel continua a lottare e a raccogliere fondi per il Tribunale Russell sulla Palestina e ad accusare la strategia delle colonie di Israele di “politicidio”. L’anno scorso, lui che era stato vicino a Mendès France ma non era mai entrato direttamente in politica, aveva sostenuto François Hollande alle presidenziali.

Ultimamente, di fronte alla crisi che attanaglia la Francia e alla povertà crescente, spronava il presidente, suggerendogli di agire, di tradurre in pratica le promesse di lottare contro lo strapotere della finanza. Il ministro degli esteri, Laurent Fabius, lo ha definito «un combattente per la libertà e dignità umana», sempre fedele «ai valori della Resistenza». Il primo ministro, Jean-Marc Ayrault, lo ha ricordato come «una figura di coscienza universale». La socialista Martine Aubry ha ricordato «la voce che ci sveglia, scuote, riscalda, il sorriso straordinario, luminoso» di Hessel, che ha lottato contro le discriminazioni senza mai scivolare nell’odio e nella rabbia. Stéphane Hessel, prima di Indignezvous!, aveva scritto numerosi libri, autobiografie e saggi sull’epoca contemporanea, come Danse avec le siècle (1997), Dix pas dans le nouveau siècle (2002) o Citoyens sans frontières (2008). Ha pubblicato anche raccolte di poesie. Con il filosofo Edgar Morin ha firmato Le Chemin de l’espérance (2011) e con il giornalista Gilles Vanderpooten un seguito di Indignatevi!, Engagez-vous! (2011). L’anno scorso ha anche scritto un libro con il Dalai-Lama, Déclarons la paix! Pour un progrès de l’esprit. Sempre nel 2012, con lo scienziato Albert Jacquard aveva firmato un appello contro il nucleare, Exigez! Un désarmement nucléaire total. Ieri, gli Indignati francesi gli hanno reso omaggio alla Bastiglia.


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:06 Pagina 18

18

Aprile 2013

il fiore del partigiano

Un calcio al nazismo

DI ORIGINI EBRAICHE, VINSE SCUDETTI CON INTER E BOLOGNA E FINÌ AD AUSCHWITZ

I

La vita di Arpad Weisz, grande allenatore ungherese da l’Unità del 3 febbraio 2013

l 15 gennaio scorso a Milano si è giocata la partita dei quarti di finale di coppa Italia tra Inter e Bologna. Il dato più importante della serata non è stato il match ma il ricordo che entrambe le squadre hanno voluto dedicare a Arpad Weisz a un paio di settimane dalla Giornata della memoria. Weisz (seppure con il nome fascisticamente mutato in Veisz) è stato allenatore dell’Internazionale (anzi, all’epoca Ambrosiana, sempre per volere del regime) e del Bologna. Ungherese di origini ebraiche, era nato a Solt nel 1896, di lui si sapeva che era stato un buon calciatore in patria (anche qualche presenza in nazionale), un’ala scattante arrivato poi a giocare in Italia, ma bloccato presto da un infortunio. Lì inizia la sua seconda carriera, ancora più prestigiosa, di allenatore. All’Inter vince lo scudetto del ’29/30, primo campionato a girone unico e scopre un ragazzino magrolino che lui fa debuttare in squadra giovanissimo: Giuseppe Meazza. Scrive anche un libro considerato un gioiellino tattico (Il giuoco del calcio scritto con il dirigente nerazzurro Aldo Molinari e prefazione di Vittorio Pozzo). Stupisce tutti non solo per la competenza, ma anche perché

contrariamente al costume dell’epoca, forse perché ancora giovane, si mette in maglietta e braghette a compiere gli esercizi insieme ai calciatori. Il suo record di allenatore vincitore di scudetto a 34 anni è tuttora imbattuto. Dopo qualche anno e una tappa a Bari arriva a Bologna, dove il regime ha fatto costruire uno stadio colossale. Lì vince un paio di scudetti e nel 1937 a Parigi in una sorta di coppa dei campioni ante litteram, si aggiudica il torneo internazionale battendo sonoramente per 4 a 1 il Chelsea, in un’epoca in cui gli inglesi si ritenevano non gli inventori del calcio (giustamente) ma troppo superiori per confrontarsi con gli altri (bubbole). In Italia, e soprattutto a Bologna, Arpad si trova bene, come sua moglie Ilona; nel frattempo hanno anche avuto due figli: Roberto nato nel 1930 e Clara nel 1934. Ma ormai siamo alle leggi razziali. Nel 1938 Mussolini mette la sua firma e inasprisce di persona le limitazioni nei confronti degli ebrei. Arpad non può più allenare, i figli non possono andare a scuola, la vita diventa impossibile. Devono andarsene. Cercano rifugio in Francia.

Sindelar, “Cartavelina” che non si piega da il manifesto del 1 febbraio 2013

i suoi tempi, era stato l’autore del gol A del secolo, segnato in un match perduto nel 1932 contro l’inghilterra. matthias

Sindelar (nato in moravia nel 1903, da una famiglia cattolica, trasferito a Vienna da bambino, perso il padre nella prima guerra mondiale) giocava con la maglia bianca della nazionale austriaca, il Wunderteam degli anni trenta che faceva sognare flappers e sartine, appassionati e classe operaia. ed era uno dei più grandi giocatori dell’epoca, insieme con peppino meazza e l’ungherese Gyorgy Sarosi, centravanti come loro. l’avevano soprannominato “Cartavelina” per la sua capacità d’intrufolarsi nelle difese avversarie come fosse un foglio di cartavelina spinto dal vento (o la piuma di Forrest Gump) e quell’indimenticabile rete la marcò proprio dopo aver dribblato gran parte dell’english team, un’agnizione di maradona mezzo secolo prima. Sindelar è il simbolo del calcio che rifiutò il nazismo, ebbe diverse offerte di vestire la maglia con la croce uncinata dopo l’Anschluss e pagò, con una morte misteriosa, la fedeltà ai suoi ideali. pochi anni fa l’ex

calciatore ed ex dirigente nello Governato ha rievocato la sua straordinaria vicenda nel libro Matthias Sindelar, il campione che non si piegò ad Hitler. il 29 gennaio 1939 fu trovato morto insieme alla sua fidanzata italiana, la milanese Camilla Castagnola di religione ebraica, conosciuta qualche anno prima in un ospedale di milano, in seguito ad un infortunio occorso al giocatore austriaco durante i Campionati mondiali di calcio del 1934 (proprio l’italoargentino luisito monti l’aveva pestato duramente nella semifinale dall’arbitraggio scandaloso). le autorità tedesche dell’epoca attribuirono la morte all’avvelenamento da monossido di carbonio. per diversi anni circolò l’ipotesi che Sindelar fosse di lontane ascendenze ebraiche e che l’unione con una donna ebrea avesse portato a un assassinio di entrambi da parte dei nazisti, sia per la loro religione, sia per il suo rifiuto di vestire la maglia della nazionale tedesca e di iscriversi al partito nazista. in tutti i casi fu la Gestapo, la polizia politica tedesca, a far cremare in fretta i loro corpi e metterli nella tomba, ancora oggi luogo di pellegrinaggio nel cimitero monumentale della capitale austriaca. Celeberrima la “partita della riunificazione”

Arpad Weisz. Sotto, l’acrobatico “Cartavelina” Sindelar durante una partita con la maglia della nazionale austriaca

E qui le tracce di Weisz e della sua famiglia si sono perse. Per decenni non si è più saputo che fine avessero fatto. «Mi sembra che si chiamasse Weisz, era molto bravo, ma anche ebreo, e chi sa come è finito?» aveva scritto Enzo Biagi in Novant’anni di emozioni, un libro dedicato al suo amato Bologna. Già, che fine aveva fatto? Domanda che si è posto anche Matteo Marani, giornalista e direttore del Guerin Sportivo. Che comincia un lavoro

(Anschlusspiel), disputata al prater di Vienna il 3 aprile del 1938 e che doveva sancire la dissoluzione della squadra di calcio austriaca in quella del Terzo reich. in quella partita, dopo il suo gol, alzò fra lo sbigottimento generale, il pugno chiuso (anziché fare il saluto nazista) proprio davanti alla tribuna centrale dove sedevano i gerarchi nazisti, un gesto che non gli fu mai perdonato e che lo rese inviso al regime fino alla fine dei suoi giorni. Come Sindelar, ci furono altri sportivi importanti che vennero travolti dalle leggi razziali, le persecuzioni antiebraiche, ridotti a un semplice numero nei campi di concentramento. È il caso di Julius Hirsch, il primo calciatore tedesco ebreo a vestire la maglia della nazionale. Durante la Grande guerra, era anche stato decorato con la Croce di ferro. ma le leggi razziali promulgate nel reich gli resero la vita impossibile. lasciò la moglie per non mettere in pericolo lei e i due figli, subì la deportazione ad Auschwitz. morì nel 1943 e nello stesso anno morì l’americano eddie Hamel, il primo calciatore ebreo a giocare nell’Ajax, la squadra del ghetto: faceva l’allenatore quando venne deportato ad Auschwitz.

Flaviano De Luca


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:06 Pagina 19

19

il fiore del partigiano più vicino a quello del detective che a quello del reporter. E un po’ alla volta riesce a ricostruire la vicenda, tragica e sconosciuta della famiglia Weisz. Partendo da Bologna, dai registri scolastici dove avrebbe dovuto risultare Roberto alle elementari, telefonando ai nomi di quelli che avrebbero potuto essere suoi compagni di classe. Marani fa centinaia di volte la domanda sui Weisz, inutilmente. Quando chiama Giovanni Savigni trova prima silenzio, poi la risposta che era stato il suo amico d’infanzia. Una prima traccia, ma c’è di più, Giovanni ha conservato lettere e cartoline di Roberto e di sua mamma Ilona. Uno scambio che permette di ricostruire come i Weisz fossero andati a Parigi e dopo qualche mese in Olanda a Dordrecht, dove Arpad era stato chiamato per allenare la modesta squadra locale. L’appassionante storia della famiglia Weisz è stata così ricostruita nel libro Dallo scudetto ad Auschwitz, vita e morte di Arpad Weisz allenatore ebreo (Aliberti editore). Un racconto magnifico e commovente, purtroppo con un finale già scritto. Perché dopo un paio di stagioni come allenatore a Dordrecht (mentre il suo Bologna conquistava altri scudetti, una squadra che «tremare il mondo fa») arrivano i nazisti. E nel 1942 i Weisz finiscono prima nel campo di Westerbork, poi vengono caricati sul treno per Auschwitz. Arpad sopravvive per un po’ lavorando, Ilona, Roberto e Clara praticamente non vedono neppure il campo di sterminio, appena sbarcati dal treno vengono subito dirottati verso le camere a gas di Birkenau. Una storia che è stata grandiosamente usata in Federico Buffa racconta Arpad Weisz, andato in onda su Sky sport proprio il giorno della Memoria. Vale davvero la pena di recuperarla, magari su You tube, perché si tratta di uno dei più coinvolgenti racconti capaci di mescolare sport, politica, cultura in un mix che riconcilia con il giornalismo, non solo quello sportivo. Federico Buffa, pagando e dichiarando il suo debito nei confronti del lavoro di Marani, pur senza avere grandi immagini a disposizione, anzi avendo proprio pochino, riesce a catturare parlando di calcio, di regole, di tattiche, di geografia, di fiumi, di calciatori ma soprattutto di uomini, di persone di storie che arrivano a colpire profondamente e a commuovere lo spettatore. Ora sia presso lo stadio di Bologna - dove campeggiava la statua di una Nike fascista (ora posta al chiuso insieme a un Mussolini equestre) - che in quello di San Siro (meglio Giuseppe Meazza), sono state poste delle targhe a ricordo di Weisz, dopo il lungo e colpevole oblio. Qualcuno ha voluto paragonarlo a Mourinho, ma da quel che è dato sapere Weisz era un tipo davvero schivo, lo testimoniano le poche immagini che ci sono giunte di lui. Ora è vero che erano altri tempi, ma un allenatore così vincente, in grado di influenzare anche il mitico paternalismo fascista di Vittorio Pozzo (che in quegli anni vinse due mondiali e un’olimpiade), avrebbe avuto diverse occasioni per mettersi in mostra. Invece preferiva il lavoro sul campo, con i ragazzi, che ascoltava per capirli meglio, che portava in ritiro (forse recalcitranti), da grande scopritore di talenti. Grazie a Marani e Buffa ora abbiamo conosciuto l’intera storia di Weisz, quella delle vittorie sportive e quella di una fine terribilmente odiosa. Antonello Catacchio

Aprile 2013

LUCI E OMBRE DI UN ANNO FONDAMENTALE

I

Quel quarantotto inizio dell’Italia di oggi

l 1948 fu l’anno dell’entrata in vigore della Costituzione, quale Legge fondamentale della nascente Repubblica Italiana, che sostituiva il famigerato “codice Rocco” di ispirazione fascista. Un fatto storico di rilevanza internazionale; una Legge che ha avuto una incubazione lunga, che ha visto partecipi grandi giuristi e i Partiti antifascisti, protagonisti della lotta di Resistenza, con alla testa i loro maggiori dirigenti. Comunisti, cattolici, socialisti, liberali, repubblicani e una significativa rappresentanza di intellettuali, in un lavoro di ricerca e di confronto tra posizioni molto distanti per la storia di ognuno, ma unitariamente decisi a mettere fine alla legislazione antidemocratica di marca fascista. Nel biennio ’46-47 il lavoro è stato completato e l’Italia democratica è stata dotata di una Costituzione come guida per la sua nuova esistenza politica, civile e sociale. Il 1948 è stato l’anno del ritorno della Democrazia, con il ripristino del diritto al voto, anche per le donne. Ma il 1948 si segnala anche per misfatti. Intanto il 18 aprile: alla prima consultazione elettorale ha trionfato la Democrazia Cristiana, sconfiggendo il Fronte Popolare di comunisti e socialisti. Fu una catastrofe politica che lasciò interdetta tutta la sinistra del Paese. Il risultato ebbe risonanze clamorose perché era opinione comune che gli artefici della Lotta di Resistenza e della conseguente scelta di Libertà, avrebbero ottenuto la maggioranza. Chi decise l’esito del voto fu la Chiesa cattolica, scesa in campo con ogni mezzo e con le più spudorate argomentazioni anticomuniste: dai cosacchi che avrebbero abbeverato i propri cavalli nelle fonti battesimali, allo pregio della libertà religiosa, ai bambini che non avrebbero più ricevuto l’amorevole abbraccio della Madonna (nel cui nome si organizzarono continue processioni chiamate “pellegrine” che percorrevano strade cittadine e di campagna per spaventare gli elettori col “pericolo comunista”. Così la Chiesa, diretta da Pio XII (lo stesso che aveva autorizzato le parrocchie a benedire gli stendardi e le bandiere nazifasciste), si era impegnata apertamente nel sostenere il movimento cattolico anticomunista. In spregio alla fondamentale equidistanza tra li-

bertà religiosa e Istituzioni di un governo laico. In questo clima socio-politico, altri episodi gravissimi si sono succeduti. Quale atto intimidatorio contro l’esproprio di terre dei latifondisti, fu utilizzato un certo bandito Giuliano, che sterminò decine di persone in occasione del 1° maggio in località Portella della Ginestra. Lo Stato italiano ne fu complice, dapprima utilizzando questo bandito contro il movimento dei lavoratori, poi assoldando un suo cugino, Pisciotta, per attirare Giuliano in una imboscata ed ucciderlo, infine avvelenando con un caffè lo stesso Pisciotta (in carcere!). Quando lo scopo ha il significato del “supremo interesse dello Stato” ogni intreccio perverso è possibile. Il ’48 fu anche testimone di un altro grave episodio: nel clima sopra descritto, un certo Pallante, in prossimità del Parlamento italiano sparò diversi colpi di rivoltella contro il Segretario del PCI Palmiro Togliatti. Questo fatto di sangue scatenò una vera rivolta. Ci fu guerriglia in ogni angolo del Paese; per giorni l’Italia fu sull’orlo della guerra civile; solo quando Togliatti riprese coscienza, rinvenendo, e disse «Salvate il Partito e l’Italia» le manifestazioni cessarono e tornò la pace. In questa disperata situazione il protagonista in negativo fu Scelba, ministro dell’Interno, il quale si adoperò per esasperare il clima politico, ricercando presunti colpevoli di reati commessi subito dopo la Liberazione contro spioni e torturatori fascisti, colpevoli di aver favorito la deportazione di migliaia di antifascisti. Alcuni dei combattenti nelle file partigiane dovettero fuggire all’estero per non subire l’onta di processi a loro carico. Teniamo conto che, sia nella Pubblica Amministrazione che nei tribunali, il personale a tutti i livelli era quello che aveva giurato fedeltà al re e al Fascismo, pertanto l’esercizio nei rispettivi ruoli era tale da non garantire alcuna imparzialità di giudizio e di riconoscimento dei diritti costituzionali. Pur ridotto ai fatti più salienti, questo fu l’inizio della Repubblica e del regime democratico. Nel bene e nel male, non era che l’inizio. Guerrino Bellinzani


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:06 Pagina 20

20

il fiore del partigiano

Aprile 2013

Negli strati della Storia

GLI INCONTRI SUL CAMMINO PER LE CITTÀ, IL KIBBUZ, IL DESERTO DEL NEGEV

Viaggio in Israele e Palestina, dove anche la vita è contesa Pubblichiamo il racconto di un viaggio vissuto da tre amici di Inzago. Geno Ornaghi, Luigi Gatti e Mariarosa Leonardi ci accompagnano tra gli scenari lucenti e le contraddizioni cocenti dei territori di Israele e Palestina. Il quadro temporale è quello dell’inizio dello scorso autunno (27 0ttobre - 7 novembre 2012).

“V

olammo davvero sopra le case, /oltre i cancelli, gli orti, le strade, /poi scivolammo tra valli fiorite /dove all’ulivo si abbraccia la vite.” Nella mente risuonano i versi di De André (ne Il sogno di Maria), gli occhi abbracciano l’orizzonte di Gerusalemme, quello che finora per noi era solo la bella cartolina conosciuta in tutto il mondo. Ora siamo qui, all’inizio di un viaggio che già ci affascina. Il tour a cui abbiamo preso parte è stato organizzato da Trekkingitalia. Le 18 persone componenti il gruppo, provenienti da diverse parti d’Italia e di diversa età, si sono rapidamente amalgamate ed è stata anche una piacevole sorpresa condividere con altri, sconosciuti fino ad allora, le stesse passioni per la Storia, il trekking, la cultura dei popoli del mondo, la natura, l’archeologia e l’attualità politica. Abbiamo percorso a piedi un centinaio di chilometri nel deserto, dove abbiamo scoperto il dramma di un altro popolo che non si definisce né palestinese né israeliano: quello dei beduini, che a causa della situazione politica hanno perso la possibilità di muoversi liberamente negli sterminati spazi che il deserto offre. Percorrendo circa altri 60 km abbiamo visitato città e siti archeologici. Nelle escursioni eravamo accompagnati di volta in volta da guide locali israeliane, palestinesi e beduine; un volontario italiano dell’asso-

ciazione, conoscitore dei posti, ci ha assistito per tutto il viaggio. Il rientro in Italia è avvenuto fra mille controlli, pochi giorni prima dei bombardamenti su e da Gaza.

Il nostro percorso inizia dal Monte degli Ulivi, da cui, con una fantastica prospettiva, si vedono le mura della città vecchia di Gerusalemme, dove su tutto luccica la cupola d’oro della moschea della Roccia. Nella sottostante Valle del Cedron c’è l’antica città di Davide e il Monte Sion, scendendo la valle sino alla Porta dei Magrebini si trovano i luoghi evangelici: la Chiesa dell’Assunzione, risalente al IV secolo, poi trasformata in moschea, e la Basilica dell’Assunzione (dove si suppone sia sepolta Maria, la madre di Gesù), la piscina di Siloe e il Getsemani. A est si vedono gli insediamenti arabi. All’interno delle mura di Gerusalemme si respira la storia antica del mondo. È una città affascinante che, fanatismi mercificati a parte, vive sul serio le contraddizioni millenarie della nostra civiltà. Affollatissimi sono i luoghi della cristianità, come la Via Dolorosa, che ricorda la salita al Calvario di Gesù e che conduce alla Basilica del Santo Sepolcro; masse di turisti giungono qui e alla Basilica della Natività a Betlemme solo per visitare questi luoghi. Passando attraverso rigidissimi posti di controllo si accede alla piazza dove su un lato c’è il Muro del Pianto, con gli ebrei ortodossi, e la soprastante Spianata delle moschee, con la cupola d’oro del mausoleo di Quebbet as-Sakra, detta della Roccia, eretta al tempo della conquista musulmana, e la Moschea al Aqsa . La Spianata delle moschee è il luogo dove Re Davide innalzò un altare al Dio degli ebrei spianando la collina del Moriah e Salomone eresse il primo tempio nel 968 aC, successivamente distrutto nel 586 aC. La tradizione islamica vuole che il luogo dove è

stata eretta la Moschea della Roccia sia il punto in cui il Profeta Maometto ascese al cielo, dopo la sua morte avvenuta nel 632; è uno dei tre luoghi sacri dell’Islam. Il sottostante Muro del Pianto è quello che rimane del Secondo Tempio eretto da Erode il Grande e distrutto dai romani; gli ebrei ortodossi ritengono che il loro Dio non abbia mai abbandonato quei luoghi. Alcuni anni fa, all’inizio dell’Intifada, fu eretta una larga rampa di ferro che dal piazzale del Muro del Pianto raggiunge la Spianata: è un’opera militare che, in momenti tranquilli, passando per dei rigidissimi controlli, consente ai turisti di accedere alla Spianata, nei momenti di tensione è utilizzata dagli israeliani per reprimere le manifestazioni arabe. Questi sono luoghi sacri per tutte e tre le religioni monoteiste ed è sconcertante ed amaro constatare come simboli antichi e comuni possano essere il pretesto per violenti e sanguinosi scontri. I vari quartieri dei cristiani (cattolici, ortodossi, armeni), il quartiere arabo, il quartiere ebraico, l’affollatissimo suk arabo sono racchiusi nelle mura volute nel XVII secolo dal sultano ottomano Solimano, lo stesso che fece costruire la bella moschea Blu di Istanbul. Di Gerusalemme non si finirebbe mai di parlare. Commovente è la visita al Yad Vashem Museo dell’Olocausto, con il Giardino dei Giusti, e la straziante visita alla Casa dei Bambini, in perenne memoria degli innocenti uccisi dalla ferocia nazista. Lì si conservano documenti storici originali della follia che portò alla Shoah. Spostandoci da Gerusalemme a Betlemme abbiamo attraversato il “Muro della Vergogna”, con le torri di controllo che troppo da vicino ricordano i campi di concentramento nazisti. Questa altissima recinzione, fatta da lastroni di cemento, dovrebbe separare Israele dai terri-


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 23:15 Pagina 21

il fiore del partigiano

V

In alto, da sinistra, vedute di Gerusalemme, l’Orto degli ulivi, la Moschea al Aqsa e il Giardino dei Giusti al Museo dell’Olocausto. Qui sopra, il Muro del Pianto; sotto, giovani soldatesse posano per i turisti e un asino riposa all’ombra (FOTO LUIGI GATTI)

tori amministrati dalla Autorità Nazionale Palestinese: in realtà i militari israeliani entrano quando vogliono. Lì abbiamo incontrato la nostra guida palestinese che, probabilmente scambiandoci per dei “pellegrini”, ha tenuto a sottolineare che era cristiano cattolico. A Betlemme abbiamo soggiornato presso il centro francescano Casa Nuova, un’ottima sistemazione nei pressi della Basilica della Natività, di fronte alla quale c’è un’antica moschea. Il giorno successivo, all’uscita dalla città abbiamo assistito ad una manifestazione di protesta di palestinesi che avevano subito l’ennesima vessazione da parte dei “coloni” abusivi, i quali avevano versato dell’acqua sporca nel canale utilizzato dai palestinesi. Sulla strada era schierato con le armi in pugno un drappello di soldati israeliani. Per gli accordi internazionali, i militari israeliani non possono entrare nei territori delle Autorità palestinesi, ma quando vi sono coinvolti cittadini israeliani l’esercito interviene in loro difesa. Il meccanismo è infernale: i coloni occupano abusivamente del territorio palestinese, vi si insediano e, generalmente in posizione sopraelevata rispetto agli insediamenti palestinesi, provocano incidenti in modo da spingere l’esercito israeliano ad intervenire; per evitare conflitti la polizia palestinese generalmente si ritira. È questo il problema della Cis-giordania: il territorio che gli accordi internazionali hanno assegnato ai palestinesi è progressivamente eroso dall’occupazione abusiva dei coloni israeliani. Se si guarda una cartina della Cis-giordania aggiornata con la situazione attuale, sembra un gruviera, dove i buchi sono gli insediamenti israeliani. Da un incontro con un israeliano nel centro Sde Boker (campus universitario di studio sul deserto voluto da Ben Gurion), ai bordi del cratere Ramon nel Negev, dove abbiamo pernottato due notti, emergeva chiaramente quale è la politica di Netanyahu. La destra israeliana è ossessionata dall’aumento demografico dei cittadini israeliani arabi. Il governo di destra favorisce gli insediamenti abusivi dei coloni, come merce di scambio per alleggerire la pressione demografica, causata, secondo loro, dall’aumento delle nascite di arabi cittadini israeliani che dovrebbero trasferirsi in Cisgiordania. Eppure, legalmente questo non dovrebbe essere ammesso, essendo gli arabi

21

APRILE 2013

israeliani titolari degli stessi diritti civili degli altri cittadini israeliani. Il nostro interlocutore era un ex-maggiore dei parà dell’esercito israeliano, dimessosi, con altri ufficiali, per protestare contro la politica del governo. Ad una nostra domanda su come uscire da questa situazione, la risposta è stata che con l’attuale governo non c’è la minima possibilità che la situazione cambi. La premessa indispensabile è il cambio del governo, un esecutivo progressista dovrebbe imporre - secondo lui - il ritiro dei coloni dalla Cisgiordania. Il nostro interlocutore era altrettanto sicuro che un provvedimento del genere avrebbe causato una guerra civile in Israele, e c’è da crederci, vista la quantità di armi in circolazione. A Sde Boker abbiamo visto giovani di 18/20 anni uscire dai loro alloggi la sera dopo cena con il mitra a tracolla per recarsi la centro ricreativo. Particolare impressione hanno destato le ragazze, truccate e vestite in abiti civili per una serata di divertimento, portare il mitra come fosse la borsetta. In Israele il servizio militare dura due anni ed è obbligatorio al termine della scuola superiore sia per i maschi che per le femmine. A Sde Boker si studia come fertilizzare il Negev, che era l’antico sogno di Ben Gurion, e c’è da dire che ci stanno riuscendo: sicuramente la tecnologia israeliana è il risultato di una scienza di prim’ordine a livello mondiale. Camminando nel deserto si vedono delle oasi con palmeti da dattero, uliveti, vigne, financo piscicultura. Sono gli israeliani che hanno reso produttiva quella parte del deserto. Abbiamo pernottato nel kibbuz Mshabin, in mezzo al Negev: protezione con doppio filo spinato con avvallamento in mezzo, popolato da 200 adulti e 300 bambini. È un kibbuz dell’immediato primo dopoguerra, quando ad appoggiare gli insediamenti israeliani era l’URSS. La responsabile che ci ha accolti, una signora sui sessantacinque anni, si è mostrata subito disponibile a discutere con noi, in un inglese perfetto tradotto da Marisa, una nostra compagna di viaggio: abbiamo fatto una sorta di assemblea. Il kibbuz è organizzato in modo comunitario (quasi comunista), anche se ultimamente sono state introdotte alcune modifiche, ed altre sono richieste, che sposteranno a favore dell’unità familiare l’organizzazione interna. CONTINUA A PAGINA 22 ➔


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 15:48 Pagina 22

22

APRILE 2013

il fiore del partigiano

➔ SEGUE DA PAGINA 21 Israele e la Palestina sono custodi di gioielli dell’antichità, come il monastero greco ortodosso di San Saba che si erge nel deserto (lì l’accesso è strettamente riservato agli uomini), oppure le rovine del palazzo di Erode, con sottostante un insediamento militare israeliano. Un pomeriggio ci siamo inoltrati a piedi nella impervia gola del Wadi al-Quelt fino all’antichissima città di Gerico, dove siamo giunti al tramonto. Lungo il percorso di questa valle desertica ed aspra, senza vegetazione, siamo stati guidati da Ismail, una guida beduina, e a metà strada siamo giunti all’antico monastero di San Giorgio, aggrappato alla parete di una montagna. Gerico è una città fantastica, la prima ad essere governata dall’ANP per gli accordi di Oslo (1991-93). È un antico insediamento, sorto agli albori della storia umana da un’oasi (è li che Abramo 4 millenni fa condusse la sua tribù da Ur), è posta a 165 m sotto il livello del mare. Qui si trovano il sito archeologico di Tell Es-Sultan ed il più recente (si fa per dire) palazzo dell’VIII califfo homaide Hismanibn Abd El Melik, col suo rosone di pietra che sembra ispirò i rosoni in vetro delle cattedrali europee. Dal santuario di Nebi Musa, dove secondo la tradizione islamica è sepolto Mosè, a piedi attraverso il deserto di Giuda, fra rocce e gole arriviamo alle rovine di Qumran, il villaggio esseno nelle cui caverne soprastanti sono stati rinvenuti i famosi rotoli del Mar Morto, un antico testo biblico scritto in aramaico e gelosamente custodito dallo Stato israeliano. Stupende sono l’oasi naturalistica di Ein Gedi e la salita alla mitica fortezza di Masada, dove nel 76 dC gli zeloti si suicidarono in massa (come descritto dallo storico Giuseppe Flavio nelle Guerre Giudaiche), pur di non cadere schiavi dei romani di Tito. Masada è un’icona laica per lo Stato di Israele; le reclute giurano sui resti della fortezza al grido di «Mai Più Masada Cadrà!».

In alto, a sinistra, il “Muro della Vergogna”, barriera eretta dallo Stato israeliano a circondare i Territori palestinesi; a destra, rovine nei pressi di Gerico. Sotto, il gruppo in cammino sulle aspre piste del Negev (FOTO VISIBILI ANCHE SUL PROFILO FACEBOOK DI LUIGI GATTI)

Dopo tanto deserto, doverosa è stata la sosta sulle spiagge del Mar Morto, da 500 a 800 m sotto il livello del mare - il punto più basso della Terra - le cui coste, a causa del bradisismo, ma anche del furto dell’acqua di giordani e israeliani, si abbassano di 1 metro circa all’anno. Se non si pone rimedio, il destino del Mar Morto è segnato. Dai ruderi ben conservati della città nabatea di Ovdat, sulla antica via delle spezie che da Gaza portava a Petra in Giordania, iniziamo a percorrere le piste del Negev, con la prima tappa dei 16 km fino alla fresca sorgente nell’oasi di Ein Akev. Il Negev è un deserto in gran parte pietroso, quasi lunare, con formazioni rocciose uniche, come le montagne bianche di gesso, le cui pareti sembrano modellate da un gigantesco artista, o improvvise pareti verticali dai mille colori, che evidenziano le forze scatenate della natura. L’ambiente, favorito da freschissime oasi, è ricco di fauna; abbastanza facilmente si incontrano gazzelle, stambecchi della Nubia, o volatili anche di grandi dimensioni, come l’aquila o l’avvoltoio. Nell’ultima tratta del percorso a piedi nel deserto (era il giorno 5 di novembre) abbiamo as-

sistito per tutta la giornata ad esercitazioni militari aeree. Il ritorno a Tel Aviv, con i suoi alberghi-grattacielo nella prossimità della bella spiaggia mediterranea che conduce all’antica Jaffa, ci riporta al cosiddetto mondo civile e al conflitto israeliano-palestinese. Lì sul lungo mare c’è ancora distrutta la discoteca che gli estremisti islamici hanno fatto saltare, provocando 20 morti. Davanti a questa discoteca c’è una vecchia moschea, assaltata dopo questi fatti. Senza giustificare in alcun modo le azioni terroristiche, la domanda che ci poniamo è se era proprio necessario costruire una discoteca di fronte ad un luogo di culto. In città c’è una brutta sensazione di tensione continua, anche nei mercati all’aperto (tra l’altro molto belli) c’è il controllo di chi entra. È una città dalle mille contraddizioni. All’inizio del secolo Tel Aviv (che tra l’altro subì, in quanto sede di un comando inglese, durante la seconda guerra mondiale un pesante bombardamento italiano) fu costruita all’inizio del XX secolo dagli ebrei che si allontanavano dall’affollata Jaffa; adesso gli ebrei ricchi stanno riacquistando Jaffa, trasformandola in una città d’élite. Per le strade, sui muri di Tel Aviv, ci hanno colpito dei murales che ben sintetizzano la complessità che caratterizza questa terra; i dipinti raffigurano personaggi di origine ebraica: Karl Marx, Sigmund Freud, Albert Einstein, Ben Gurion, Golda Meir, Theodor Herzl (ispiratore e fondatore del movimento sionista). “Voci di strada, rumori di gente, /mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.” Torniamo a casa, con Faber nel cuore, e un pezzo di mondo che non potremo mai più dimenticare. Geno, Luigi e Mariarosa

Si va a conoscere i “cugini” francesi

La Sezione “Quintino Di Vona” di Inzago ha organizzato un’escursione in Francia per il 17 di maggio, con tappe a Vassieux-en-Vercors (con visita al Sito e al Memoriale della Resistenza francese), la visita delle città di Lione e di Annecy, e ritorno la sera del 19. Sul prossimo numero del “Fiore” pubblicheremo il diario di viaggio.


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:06 Pagina 23

23

il fiore del partigiano

La Resistenza in Valsesia raccontata a fumetti

Aprile 2013

RECENSIONI E INVITI ALLA LETTURA

N

Giorgio e luca perrone - Storia della Resistenza in Valsesia - istituto Cino moscatelli - € 25,00

da l’Unità del 6 gennaio 2013

on è certo la prima volta che ci si trova a leggere la storia attraverso le geometrie più o meno regolari e piane del disegno a fumetti. Vengono intanto alla mente La storia d’Italia o La storia del mondo a fumetti di Enzo Biagi, illustrate da un corteo splendido di matite elette, da Carlo Ambrosini a Raffaele Vianello, da Dino Battaglia a Milo Manara, solo per dirne alcune. E neppure è la prima volta che la storia disegnata si accinge a narrare le vicende della Resistenza: di un paio di anni fa è il bell’esperimento di Tavole di Resistenza. Fumetti e scritti sulla Lotta di Liberazione uscito da Tunué per la cura di Sergio Badino, che lì raccoglieva brevi storie intorno alla guerra di Liberazione, vergate dai suoi allievi durante un corso di sceneggiatura all’Accademia linguistica di Belle Arti di Genova; ma sull’argomento c’è anche un fondamentale saggio di Pier Luigi Gasba e di Luciano Niccolai uscito nel 2009 per Settegiorni editore, Per la libertà. La Resistenza nel fumetto. E tuttavia è sempre suggestivo, e luminosamente istruttivo (alla memoria sale almeno ancora Un cuore garibaldino di Hugo Pratt), immergersi nella storia resistenziale attraverso il filtro del disegno e delle vignette; lo si fa ora con un nuovo volume di grande formato, Storia della Resistenza in Valsesia a fumetti, con disegni di Giorgio Perrone e testi di Luca Perrone, pubblicato dall’Istituto per la storia della Resistenza nel Biellese, Vercellese e in Valsesia “Cino Moscatelli” (pp. 59, euro 25). Il volume si compone di quarantasei tavole per un totale di più di duecentotrenta scene: le prime

riassumono i tre anni di conflitto che precedono l’inizio del movimento resistenziale, tra le quali scorgiamo un cupo dittatore che annuncia l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania, un Duce le cui parole risuonano nelle piazze dei principali centri della Valsesia; di lì vengono dietro alcuni quadri suggestivi che narrano di paesi vicini e lontani, quelli dove viene portata la guerra, quelli in cui finiscono a combattere centinaia di soldati italiani: la Francia, l’Africa, l’Albania, la Grecia, la Jugoslavia, la Russia. DAL 25 LUGLIO ALL’8 SETTEMBRE Le caselle che narrano gli eventi dal 25 luglio all’8 settembre alternano episodi della vulgata (lo sbarco in Sicilia o la seduta del Gran Consiglio che depone il Duce) a altri propriamente calati nella realtà della Valsesia (il discorso di Cino Moscatelli, leggendario comandante gari- baldino, a Borgosesia, all’indomani della destituzione di Mussolini, o gli scioperi nelle fabbriche della valle). Di lì in avanti i riquadri raccontano la Resistenza tra i monti, non solo mettendo il segno sui grandi nomi dei capi brigata, dei commissari politici, dei comandanti, da Moscatelli a Mario Vinzio, da Francesco Moranino a Pietro Rastelli, ma soprattutto costruendo delle scene corali o dei fitti pannelli dove a fare la parte grossa sono i Partigiani, quelli senza nome, che agiscono collettivamente, il cui pensiero è marcato, all’interno delle vignette, dal ricorso al dialetto (del quale si dà la traduzione in appendice al testo). Vengono così rimontati i principali eventi dell’epopea resistenziale valsesiana, dall’arrivo del sanguinario 63° Battaglione della Legione

marisa ombra - Libere sempre - einaudi Stile libero extra, € 10,00 Stéphane Hessel, partigiano durante l’occupazione nazista della Francia, nel settembre del 2011 ha pubblicato “Impegnatevi!”, nel quale ha esortato i giovani a costruire un futuro migliore. Terminava col tema della “trasmissione intergenerazionale”. A proposito, Hessel sottolineava che, per i giovani, avere dei contatti con i vecchi e, per i vecchi, poter dare un messaggio ai più giovani sia positivo. In sintonia con Hessel, Marisa Ombra, già staffetta partigiana, attiva nei Gruppi clandestini di difesa della donna, scrive ora una lunga lettera a una ragazza di 14 anni incontrata in un parco. Una lettera sulla libertà, sulla bellezza e sulla dignità delle donne, senza moralismi e con rispetto. E, sull’onda dell’emozione motivata dai ricordi, racconta la guerra partigiana, la propria anoressia, i rapporti tra ragazzi e ragazze in montagna.

Tagliamento alla liberazione di Varallo, di Borgosesia e poi, oltre la valle, di Biella, di Novara, di Vercelli, dedicando l’ultima tavola all’ingresso e alla sfilata dei camion ribelli a Milano, e al comizio di Cino Moscatelli ai piedi del Duomo dinnanzi a una folla straordinaria. Il lavoro degli autori, intenso per l’esattezza dei particolari, e immediato anche per il pregio artigianale dei tratti del disegno, è, come sottolineato dal direttore dell’Istituto Storico della Resistenza Enrico Pagano nella Presentazione del volume, «frutto di ampie e approfondite consultazioni dei materiali editi; si segnala di passaggio che alcune vignette, contrassegnate da appositi numeri, ricalcano manifesti, disegni o fotografie storiche e della raccolta di numerose memorie di protagonisti diretti»; testimonianze che, tra l’altro, hanno reso necessario e doveroso il compito di rappresentare nei riquadri anche alcuni episodi scomodi dell’esperienza resistenziale, quelli che Luca Perrone definisce «i giorni dell’ira», i gesti a volte anche tremendi di vendetta contro i nemici sconfitti. Dalla Valsesia, dunque, alla piazza del capoluogo lombardo, a significare, come è detto bene nell’Introduzione, la presenza e l’impeto delle periferie del Paese che, attraverso l’avventura della Resistenza, forse mai come allora «si sono rese protagoniste della propria storia» e hanno saputo portare al centro la lezione imparata ai margini, quella lezione così ottimamente sintetizzata nella formula che Cino Moscatelli e Pietro Secchia trovarono, ormai cinquantacinque anni fa, per il titolo della loro opera, Il Monte Rosa è sceso a Milano. Giacomo Verri Giorgio Bocca - Storia dell’Italia partigiana - Feltrinelli Serie Bianca, € 19,00 Riedizione del volume scritto da Bocca nel 1966. Per il giornalista-scrittore piemontese, questo fu l’inizio di una lunga serie di storiografie che caratterizzarono profondamente la sua opera. Il libro racconta il periodo che va dal settembre del 1943, subito dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia, al maggio del 1945. Sfogliando queste pagine di storia, tra le migliori relative a quel periodo, si percepisce la grandezza dell’autore, il quale unisce la piacevolezza del racconto all’acutezza, tipica del cronista, nell’osservare e descrivere la corsa degli eventi. Giorgio Bocca traccia un quadro autentico, in tutta la sua drammaticità, di un momento fondamentale della storia d’Italia. Storia dell’Italia partigiana è la lotta per la nascita dell’Italia repubblicana raccontata da uno dei migliori cronisti dei nostri tempi che visse in prima persona la tragicità di quegli eventi.


Fiore_2013-n10_ANPI_1 18/04/13 04:07 Pagina 24

24

il fiore del partigiano

Aprile 2013

Un pugno ai nazisti

FINALMENTE ANCHE IN ITALIANO IL LIBRO SULA VITA DI JOHANN TROLLMANN

Il pugile sinti che sfidò il Reich ora è un simbolo in Germania

J Di

da l’Unità del 7 aprile 2013

ROBERTO BRUNELLI

ohann coprì il proprio corpo di farina, bianca come la flaccida pelle dei suoi aguzzini. Si era anche tinto i capelli di un colore biondo acceso. Gli avevano intimato di stare fermo, di non muoversi, di non “danzare”, come faceva lui sul ring, lo avevano minacciato, insultato, offeso. Era stato predestinato alla sconfitta: dalla faccia oscura della Germania, che aveva appena preso il potere. L’ariano Gustav Eder è l’uomo scelto per farla finita con la carriera troppo luminosa, troppo rapida, troppo fastidiosa di Johann: lo colpisce come un sacco di patate, lo massacra, lo abbatte, alzando quest’immensa nuvola di farina bianca che avvolge tutt’e due e si espande sopra, sotto e intorno al ring. Una nuvola mitologica, l’inizio della vendetta della storia. Perché quella farina e quei bizzarri capelli color oro erano una provocazione, un affronto nei confronti dell’“uomo ariano” e della iconografia nazista, una beffa spudorata nei confronti della folle magniloquenza del Terzo Reich, un atto di smisurato coraggio da parte di un piccolo grande uomo che sapeva che sarebbe stato fatto a pezzi, privato del suo titolo, umiliato. «Vogliono l’ariano? Avranno l’ariano».

“Rukeli”, questo il suo nome: perché Trollmann era di etnia sinti. Il suo peccato originale era stato quello di conquistare la cintura della sua categoria nel 1933, anno dell’ascesa al potere di Hitler. Due volte vittima: in quanto sportivo e in quanto zingaro. Ne scrisse l’Unità, tre anni fa, quando a Berlino - nel quartiere di Kreuzberg, a due passi da dove aveva combattuto contro Witt - veniva inaugurato il monumento che gli avevano dedicato gli artisti del “Movimento Nurr”, capeggiati da Alekos Hofstetter: un ring inclinato, candido come la farina. Solo un piccolo, ma significativo, risarcimento nei confronti di un uomo e di un popolo gettati negli abissi dell’Olocausto quasi senza che la cosiddetta società civile ne abbia preso nota. Prima di allora, c’ePERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA ra stato solo il bel ZONA DELLA MARTESANA libro di Roger Redazione: presso la sede della Sezione Quintino Di Vona di Inzago (MI) Repplinger, non in Via Piola, 10 (Centro culturale De André) a caso intitolato Buttati giù, zinIn attesa di registrazione. Supplemento ad Anpi Oggi garo: ma al Direttore responsabile:  Rocco Ornaghi Stampato presso Bianca & Volta - Via del Santuario, 2 - 20060 Truccazzano (MI) Si raccolgono abbonamenti per versione cartacea e/o digitale (formato pdf) Era un pugile, Johann Trollmann, e che pugile. Il migliore dei suoi anni: si muoveva a scatti, colpiva velocissimo. Ma era “uno zingaro”, e questo i nazisti non lo tolleravano. Era “effeminato”, così dicevano, perché aveva osato piangere quando aveva vinto il titolo nazionale dei pesi medi, contro un bestione “ariano” molto più grosso di lui, tale Adolf Witt. Poi lo mandarono in guerra, lo precipitarono ai margini, lo ridussero in povertà, lo gettarono in un Lager e lo ammazzarono: ma oggi è lui a vincere sulla storia, oggi - dopo tanti anni di colpevole oblío - il riscatto è iniziato. Per sé, ma non solo.

il fiore del partigiano

Johann Trollmann in posa con la fascia da campione nazionale. Sopra, il monumento a lui dedicato, a Kreuzberg, quartiere di Berlino

grande pubblico la storia di Trollmann era praticamente sconosciuta, anche in Germania. A parte un’imbarazzata cerimonia, nel 2003, con cui la cintura di campione veniva restituita ai parenti di Rukeli, assenti i vertici dell’Unione pugilistica tedesca, la vita e la carriera del “pugile danzante” erano state inghiottite dal buio del Terzo Reich: come, del resto, quella di centinaia di migliaia di cittadini rom e sinti declassati a “razza inferiore”, pari agli ebrei, a cominciare dal 1942, e da allora gettati insieme a loro nei campi. Per quel che riguarda Rukeli, dopo essersi ridotto a combattere in qualche fiera di paese, fu richiamato dalla Wehrmacht per venire infine - in quel fatidico 1942 - arrestato e internato nel Lager di Neuengamme, vicino Amburgo. Nel libro di Repplinger (finalmente edito anche in Italia, Edizioni Upre Roma, 292 pp, 12 euro), la vicenda di Trollmann si intreccia con quella di Tull Harder, celebre centravanti della squadra di Amburgo e della Nazionale tedesca: Harder è lo speculare opposto di Rukeli. Aderisce entusiasticamente al nazismo, si arruola nelle Ss e presto viene destinato a esercitare le sue qualità, molto apprezzate dai superiori, nei Lager. Finirà nello stesso campo di Trollmann, e la suggestione vuole che sia proprio lui l’assassino del pugile. In realtà, quel che successe a Neuengamme non è certo. Quel che si sa è che, avendo scoperto che quel deportato sinti ormai ridotto all’ombra di se stesso era stato un campione di boxe, quasi ogni giorno gli infilavano i guantoni, urlavano «e adesso difenditi, zingaro» e lo massacravano di botte. Finché, un giorno, nel ’43, Johann-Rukeli crollò nel fango, senza vita. Il parallelismo tra Harder e Rukeli dice molto di come sia stata scritta la storia di rom e sinti dopo la guerra: processato dopo il conflitto (era stato il comandante di un sottocampo nei pressi di Hannover, dove migliaia di ebrei polacchi furono resi schiavi e poi portati alla morte), l’ex stella del calcio dichiarò di non saperne nulla degli orrori perpetrati nel suo stesso Lager. Si beccò quindici anni, ma già prima del 1952 fu un uomo libero, con tanto di pensione. Ma oggi è il fantasma di Johann Trollmann a ballare ancora con noi. Sì, è Rukeli l’eroe.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.