La Russia appoggerà l’introduzione di sanzioni economiche contro l’Iran?
Sponsor e finanziamenti non bastano più: il calcio russo fa i conti con i debiti
ITAR-TASS
E se l’isola nell’estremo Nord altro non fosse che la leggendaria Atlantide? P. 4-5
L’inserto è preparato e pubblicato da Rossiyskaya Gazeta (Russia) e non coinvolge le strutture giornalistiche ed editoriali di e
Inserto distribuito con The NYT International Weekly
La proposta Nuovo Patto sulla sicurezza e “accordi con i principali alleati” del Paese
Omaggio a Cechov
Medvedev all’Ue: fronte comune contro le minacce Il Presidente torna a rilanciare la sua idea di un nuovo Trattato europeo sottolineando l’insidia rappresentata dai “Paesi che inseguono le armi nucleari e intimidiscono il mondo con l’atomica” ARTEM ZAGORODNOV
Una scena dello spettacolo “Whisper of Flowers” del coreografo di Taiwan Lin Hwai-min. A quanto pare, “Il giardino dei ciliegi” di Cechov si può rappresentare anche così
Cechov, di cui quest’anno a gennaio si è celebrato il 150° anniversario della nascita. Ad esempio, sono in programma ben tre spettacoli tratti dalla pièce “Lo zio Vanja”. Ciascuna di queste interpretazioni presenta i suoi motivi di interesse. Lo spettacolo dell’argentino Daniel Veronese era andato in scena a Parigi con successo durante la scorsa stagione. Le versioni d’autore dei re-
gisti russi Andrej Konchalovskij e Rimas Tuminas, invece, hanno suscitato molte discussioni e pareri contrastanti nell’ambiente teatrale moscovita. Il festival continua ad ampliare i suoi confini geografici e di genere: in cartellone negli ultimi anni anche spettacoli di opera, danza e persino del Teatro equestre “Zingaro”. Il festival proseguirà fino al 30 luglio.
UFFICCIO STAMPA DELLA FESTIVALE ANTON CECHOV
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Il 25 maggio a Mosca è stato inaugurato il nono Festival teatrale internazionale intitolato ad Anton Cechov. Quest’anno nei diversi teatri della capitale si esibiscono compagnie provenienti da Francia, Spagna, Germania, Canada, Svizzera, Svezia, Giappone, Taiwan, Argentina e Cile. La maggior parte degli spettacoli s’ispira in qualche modo all’opera di
Solovki
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LUNEDÌ 31 MAGGIO 2010
ANASTASSIA FOMINSKAYA
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Iran
Sport
Da quando è trapelata una nota degli Interni che esortava a stringere rapporti più cordiali con l’Occidente, i commentatori si domandano se in politica estera non si stia profilando un significativo cambiamento di rotta. C’è chi ha tentato di strappare al presidente Dmitri Medvedev una risposta. «I fatti accaduti negli anni ’90 in Europa, nel vicino Oriente, nel Caucaso e in altre parti del mondo, dimostrano che, purtroppo, nessun blocco è in grado di garantire pace, prosperità né un livello adeguato di sicurezza. Esiste perciò la necessità di pensare ad altre entità che possano risultare efficaci al di fuori dei blocchi», ha detto Medvedev incalzato da un giornalista del quotidiano russo “Izvestia” alla vigilia del Giorno della Vittoria. Sottolineando la comune insidia rappresentata dai «Paesi che inseguono armi nucleari e intimidiscono il mondo
con la minaccia atomica», il Presidente ha parlato della necessità di «raggiungere degli accordi con i principali alleati» e ribadito la sua idea di un «nuovo Trattato sulla sicurezza europea» avanzata già qualche anno fa. «Indubbiamente, se avessimo avuto delle efficaci istituzioni per la sicurezza europea, avremmo potuto evitare i fatti dell’agosto 2008», ha detto riferendosi alla guerra con la Georgia.
“Bisogna pensare ad altre entità che possano risultare efficaci al di fuori della logica dei blocchi” Medvedev ha poi tracciato un netto distinguo tra la sconfitta del nazifascismo di 65 anni fa e l’allora comandante supremo dell’esercito sovietico Josef Stalin. «È stato il nostro popolo a vincere la guerra, non Stalin. Il popolo ha compiuto sacrifici enormi e molti hanno pagato la vittoria con la propria vita».
Il testo completo dell’intervista su www.it.rbth.ru
Dipendenze La strategia americana in Afghanistan ha provocato un aumento dei tossicodipendenti in Russia
La lotta alla droga deve partire da Kabul Una dose per due euro: l’eroina proveniente dai campi di papavero afgani offre in Russia una via di fuga più economica di una bottiglia di vodka. ANNA NEMTSOVA
Sveta Makhnenko ricorda vagamente di essersi ritrovata a terra, con il naso rotto e gli arti paralizzati, mentre da ogni singolo muscolo del suo corpo emaciato si spandeva un dolore intollerabile. Stava lentamente riprendendo conoscenza, mentre un’infermiera diceva: «Questa qui muore entro domattina». «Avevo proprio toccato il fondo. Non sarei potuta cadere più in basso», racconta Sveta, 42 anni, ex insegnante di storia oggi ricoverata presso il centro di ri-
MIKHAIL GALUSTOV
SPECIALE PER RUSSIA OGGI
Fumatori di hashish a Kandahar, nel Sud dell’Afghanistan. È dal confine meridionale afgano che la droga arriva in Russia
abilitazione “Exit” di Nizhny Novgorod. In 10 anni l’eroina l’aveva trasformata da una donna sofisticata nota per la sua mente vivace e il suo buon
gusto nell’ombra di se stessa tutta pelle e ossa. «Avevo perso i denti, perso gli amici, venduto il mio appartamento. Ero finita», ricorda. Eppure è soprav-
vissuta. Non hanno avuto la sua stessa fortuna le 30mile persone che solo scorso anno sono morte per un’overdose di eroina in Russia, a cui le autorità sommano altri 100mila decessi per droga. Venti anni fa l’eroina era considerata un vizio esotico, un flagello dell’Occidente. Nelle città a uccidere erano la vodka e l’alcolismo patologico. Oggi, invece, le strade dei quartieri più periferici sono coperte di siringhe e in alcune stazioni è impossibile aspettare il treno senza che qualcuno ti offra una dose per due euro. L’eroina offre una via di fuga addirittura più economica di una bottiglia di vodka. La dose che quasi uccise Sveta non era che un grammo delle 70 tonnellate di eroina che ogni
anno si riversano in Russia dai campi di papaveri dell’Afghanistan. Piccoli involucri di plastica pieni di polvere bianca attraversano l’Asia centrale nascosti in abiti o in borse disseminando lungo il loro camm i n o d o l o re , m a l a tt i a e morte. «Il traffico di droga afgana è come uno tsunami che si riversa costantemente sulla Russia. Ci stiamo affogando dentro», afferma Victor Ivanov, direttore del Servizio federale russo per il controllo degli stupefacenti. «Se vogliamo far sì che la Russia non sia più il principale consumatore mondiale di eroina afgana, dobbiamo combattere il problema alla radice». SEGUE A PAGINA 3
SUL PROSSIMO NUMERO L’arte russa dopo Kandinsky
VINOGRADOV&DUBOSARSKY
Chi ha preso il posto di Kandinsky, Malevich e Chagall ai nostri giorni? Dopo decenni di clandestinità a causa della censura sovietica, tornano in mostra anche opere provocatorie. Come quelle di Oleg Kulik, noto principalmente per le performance da “uomo-cane” degli Anni ’90 nelle quali andava in giro per il mondo nudo o scappava da un guinzaglio.
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IN BREVE
Economia Russia e Ucraina hanno siglato un doppio accordo energetico e militare
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La fine della crisi del gas
Una scena del film “Come ho passato l’estate scorsa” di Popogrebskij
LA RASSEGNA IL CINEMA RUSSO “DI TENDENZA” ALLA MOSTRA DI PESARO
ALEKSEY PAVLISHAK_ITAR-TASS
La nave ammiraglia della Flotta russa del Mar Nero: l’incrociatore lanciamissili “Moskva”. La flotta russa utilizzerà la base navale in Crimea per altri 25 anni. In cambio l’Ucraina otterà uno sconto sulle forniture di gas
La Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro (20-28 giugno) quest’anno dedicherà la sua più ampia sezione monografica a una retrospettiva sul cinema russo “di tendenza” del nuovo millennio, con particolare riferimento a quegli autori che si sono espressi con successo negli ultimi dieci anni. Una ricognizione, totalmente inedita, di un variega-
to e vivace movimento. Oltre alla proiezione di oltre 20 lungometraggi, la retrospettiva prevede anche una rassegna sul “Cinema al femminile” e su CineFantom nel 25° anniversario della fondazione di questo movimento dissidente. Per approfondire i vari temi, la Mostra propone anche un convegno di studi e un volume monografico (Marsilio). EDUARD PESOV RIA NOVOSTI
di dollari. Accordo che dovrebbe porre fine alla ricorrente disputa per il costo della fornitura di gas all’Ucraina e contribuire a scongiurare che la Russia “chiuda il rubinetto” all’Ucraina perché morosa e che l’Europa occidentale resti quindi al freddo. La vera sorpresa però si è avuta quando qualche giorno dopo, al termine di un incontro col suo omologo ucraino Mykola Azarov, il premier russo Vladimir Putin ha inaspettatamente proposto una fusione tra il gigante russo del gas Gazprom e il monopolio nazionale ucraino Naftogaz. Un’offerta che la delegazione di Azarov ha definito «improvvisata», mentre per Dmitri Peskov, portavoce di Putin, è stata «ponderata e cal-
Da quando a febbraio a Kiev è stato eletto presidente Yanukovich, Ucraina e Russia hanno instaurato relazioni amichevoli con scambi di visite ufficiali e la sigla di accordi. TIM GOSLING RUSSIA OGGI
Il perpetuo conflitto tra Russia e Ucraina per la fornitura di gas potrebbe presto avviarsi a conclusione grazie all’accordo firmato a fine aprile a Kharkov dai rispettivi capi di governo, in base al quale il presidente ucraino Viktor Yanukovych ha esteso di 25 anni la concessione della base di Sebastopoli alla Flotta russa del Mar Nero in cambio di una riduzione del costo della fornitura di gas all’Ucraina pari a 40 miliardi
colata». Mosca infatti ambisce da anni a una partecipazione nella rete dei gasdotti ucraini tramite i quali convoglia l’80 percento del proprio gas verso i clienti dell’Europa occidentale. La proposta di Putin è stata anche uno dei temi centrali della prima visita ufficiale del presidente russo Dmitri Medvedev in Ucraina che, due settimane fa a Kiev, ha ribadito che, se la fusione andasse in porto, Mosca contribuirebbe a modernizzare l’intero sistema di gasdotti ucraini al momento in pessimo stato. Una fusione avrebbe però risvolti politici che lasciano scettici gli analisti sulla possibilità che tutto questo parlare conduca a qualcosa. «I politici filo-occidenteali probabilmente rea-
giranno con rabbia a questi sviluppi che considerano l’ennesimo esempio di erosione della sovranità ucraina messo in atto dal nuovo governo», ha commentato profeticamente Timothy Ash della Royal Bank of Scotland. Tutte queste iniziative indicano comunque che le relazioni tra i due Paesi, «rapporti tra vicini e parenti prossimi» le ha definite Medvedev, sono lontane dalla precarietà di pochi mesi fa. L’accordo siglato a Kharkov, in particolare, risolve nell’immediato molti problemi del governo ucraino che per gran parte dello scorso anno aveva rischiato l’inadempienza nei pagamenti e il tracollo economico, oltre a spianare la strada verso una ripresa sostenibile.
Ambiente Le immense distese russe di conifere assorbono ingenti quantità di CO2
Un’arma naturale contro l’effetto serra
IL VERTICE PRIMO SUMMIT ITALIA-RUSSIA 2+2 SU SICUREZZA E COOPERAZIONE Sicurezza regionale e cooperazione bilaterale sono stati i temi al centro del primo vertice ItaliaRussia nella formula “2+2” che si è tenuto la scorsa settimana a Roma. Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha discusso con il suo omologo russo Sergei Lavrov, mentre il ministro della Difesa italiano Ignazio La Russa ha incontrato la sua controparte russa Anatoly Serdyukov.
Le foreste boreali russe possono aiutare a combattere il surriscaldamento globale. La loro distruzione potrebbe invece provocare cambiamenti climatici catastrofici.
La Russia consentirà il transito sul suo territorio «per via aerea e di terra di truppe logistiche italiane» dirette in Afghanistan, dove ci sarà anche uno scambio d’informazioni tra le intelligence dei due Paesi. Si è inoltre registrata sintonia sulla necessità che l’Iran formalizzi all’Aiea l’accordo per lo scambio dell’uranio con la mediazione di Turchia e Brasile. NIKOLAY KOROLEV
KRISTOFAR IVANOVICH
È con un’ottica del tutto nuova che gli scienziati guardano oggi alle antiche foreste russe che hanno fatto da scenario a tante favole: remote e sterminate, sono di fatto equiparate alle migliori armi naturali di cui la Russia dispone per contrastare i cambiamenti climatici. Al tempo stesso, però, le ingenti quantità di carbonio presenti nel suolo rendono quelle stesse zone estremamente vulnerabili e pericolose. Da uno studio pubblicato di recente su “Global Biogeochemical Cycles” è emerso che la metà del gas metano terrestre è immagazzinato nel suolo delle regioni ricoperte dal permafrost, due terzi delle quali si trovano in Russia. «Lì sotto vi sono quantità enormi di gas metano molto a rischio», osserva Josep Canadell, coautore dello studio e direttore ese-
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Le antiche foreste boreali, una delle migliori armi naturali contro il riscaldamento globale
cutivo del Global Carbon Project. Qualora il permafrost si sciogliesse a causa del riscaldamento globale, il gas metano rilasciato andrebbe ad aggiungersi agli altri gas serra presenti nell’atmosfera accelerando esponenzialmente il surriscaldamento globale e innescando un pericoloso circolo vizioso.
La regione russa, spiega Canadell, contiene 1.672 miliardi di tonnellate di gas metano, in buona parte molto in profondità, «equivalente a circa il 50 per cento di quello presente nel sottosuolo mondiale». Da altri studi era emerso invece che le cosiddette foreste vetuste, che costituiscono il 50% delle foreste boreali, sono dei
veri e propri “sink” (pozzi) di anidride carbonica: ne assorbono da 0,5 a 1,3 gigatonnellate l’anno. «Questa - dice Canadell - è una ragione in più per proteggere le foreste boreali russe» che assorbono circa 500 milioni di tonnellate di biossido di carbonio l’anno, ovvero un quinto di quello assorbito dalle vaste distese terrestri.
IL LIBRO A ZONZO PER VENEZIA “SULLE TRACCE DI BRODSKY” Nel 60° anniversario della nascita di Josif Brodsky (cfr. pag. 7) è stato pubblicato a Mosca l’insolito volume “Sulle tracce di Brodsky”. La sua singolarità sta nel fatto che non si tratta né di un saggio sull’opera del poeta né di una biografia, ma di una sorta di guida ai luoghi prediletti da Brodsky. Si potrebbe dire che è un libro su Venezia, città amatis-
sima da Brodsky, o meglio su una Venezia inedita: come si arriva oggi, infatti, a Fondamenta degli Incurabili, tratto di strada evocato da Brodsky nel suo saggio omonimo a cui è stato restituito il nome originario dall’ex sindaco Cacciari, ma ormai inaccessibile nella Venezia attuale? Iurii Lepskii, il giornalista di “Rossijskaja gazeta” autore del libro, lo sa.
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La lotta alla droga deve partire da Kabul La posizione della Russia - secondo cui i campi di papavero afgani dovrebbero essere immediatamente distrutti - rappresenta un motivo di tensione con gli Stati Uniti che ritengono invece che un’estirpazione metterebbe a rischio le operazioni militari in corso in Afghanistan perché i coltivatori, stizziti, potrebbero unirsi alle fila dei talebani. Ma sono i russi, e non gli Stati Uniti, a pagare il prezzo di questa politica. Solo l’anno scorso, afferma Ivanov, almeno 120mila tossicodipendenti e spacciatori sono finiti nelle già affollate carceri russe. «Abbiamo battuto dei primati da Guinness. Gli arresti per droga sono meno numerosi persino in Cina, dove sono stati solo 60mila. Combattere il problema unicamente su questo fronte è inutile». La missione Agli inizi di marzo Ivanov si è recato a Kabul insieme a un gruppo di giornalisti per dichiarare che la Russia sta tornando a combattere in Afghanistan «questa volta contro la droga». Il nuovo ruolo russo in Afghanistan era stato chiarito, per certi versi, già la scorsa estate, quando i presidenti Barack Obama e Dmitri Medvedev formarono un team presidenziale per collaborare su diversi fronti, compreso quello della campagna anti-droga. In Afghanistan Ivanov ha incontrato il suo omologo americano, Gil Kerlikowske, direttore dell’Ufficio per la politica nazionale del controllo degli stupefacenti. Insieme i due hanno deciso che la Russia avrebbe potuto sfruttare la propria esperienza e conoscenza dell’Afghanistan per aiutare a individuare i trafficanti e i signori della guerra dediti alla coltivazione di papaveri. Russia e Usa hanno lo stesso interesse: i proventi dell’oppio finanziano l’insurrezione islamica, non solo nei Paesi dell’Asia centrale e nel Nord Caucaso russo, ma anche nello stesso Afghanistan. La strada che dovrebbe portare dalle intenzioni ai fatti è però ostacolata da agende politiche contrastanti. A Kabul Ivanov ha incontrato il presidente afgano Hamid Karzai, il vicepresidente Karim Khalili e funzionari dell’Onu e della Nato e annunciato che la Russia stava tornando per aiutare l’Afghanistan in 140 progetti di ricostruzione, tra cui quelli della stazione elettrica di Naglu, del tunnel di Salang, di fabbriche e autostrade. L’ambasciatore russo a Kabul, Andrei Avetisyan, ha poi confermato l’intenzione della Russia di demolire la Casa della scienza e della cultura, danneggiata dalle granate dei talebani e attualmente ridotta a rifugio per eroinomani senzatetto, per fare posto a un ospedale pediatrico. «Facciamo in modo che
questo ospedale per bambini diventi il simbolo dei rapporti tra Russia e Afghanistan», ha esortato l’ambasciatore. Ma il principale obiettivo della delegazione russa era contrastare il traffico di droga. «Dobbiamo iniziare a colpire dal primo anello, la realizzazione, su cui possiamo fornire informazioni inestimabili», ha dichiarato Ivanov all’incontro di un Concilio internazionale anti-droga non ufficiale tenutosi a Kabul, suggerendo inoltre che l’Isaf (la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza) impieghi agenti chimici per distruggere almeno il 20 per cento, e non meno del 4 per cento, delle piantagioni di papaveri in Afghanistan. Ivanov ha affermato di voler tagliare gli approvvigionamenti colpendo direttamente i trafficanti. Le proposte della Russia sono state accolte tiepidamente dagli Usa e dalla Nato. I portavoce hanno detto di rispettare il governo eletto dell’Afghanistan e che spetta ai leader afgani decidere se lasciare senza lavoro i coltivatori di oppio. Secondo loro, distruggere i campi di papavero non sarebbe efficace né ragionevole. O meglio, non sarebbe democratico togliere agli agricoltori la possibilità di coltivare droga. Nell’aereo che lo riportava a casa, a Mosca, Ivanov appariva frustrato. «Sento ripetere sempre gli stessi luoghi comuni. Negli ultimi otto anni, da quanto la Nato è in Afghanistan, il volume della produzione di droga è aumentato di quaranta volte. Mentre la stabilità, che è lo scopo dichiarato della presenza Nato in Afghanistan, non ha compiuto analoghi progressi. Anzi: sta sfumando sempre più». Ivanov ha poi aggiunto che le strategie russe per combattere la droga
I NUMERI
30mila i russi che ogni anno muoiono per overdose di stupefacenti
AFP
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
Contadini coltivano campi di papavero nella valle di Kandahar, in Afghanistan. Provengono da qui la maggior parte delle sostanze stupefacenti che giungono in Russia
1,5-2milioni La produzione di oppio è aumentata di 40 volte in otto anni di presenza Nato in Afghanistan “Anche a Roma, Parigi e Berlino c’è chi ammette che il problema si sta aggravando”
in alcuni Paesi della Nato trovano più appoggio che altrove. «In Italia, in Francia e in Germania sentiamo voci allarmate che ammettono che il problema si sta aggravando. In quei Paesi, il traffico di droga si combatte con grande serietà». La riabilitazione Mentre politici e comandanti dell’esercito si sforzano di trovare un terrreno comune, a Nizhny Novgorod migliaia di eroinomani continuano a soffrire. Alcuni trattamenti russi
sono controversi: non si fa uso di metadone e, in vecchie cliniche, i pazienti vengono legati a letto durante i primi giorni di astinenza. Il centro di riabilitazione“Exit” rappresenta un modello per tutta la Russia. Nelle sue otto cliniche residenziali, situate alla periferia della regione di Nizhny Novgorod, i circa 80 pazienti godono delle idilliache vedute di campi di orzo e foreste di betulla. Una volta superata la fase peggiore, i pazienti di “Exit” si aiutano vicendevolmente per
i russi dipendenti dall’eroina
imparare a vivere giorno dopo giorno e guariscono dalla dipendenza psicologica. Tagliano legna da ardere, si preparano i pasti e pregano con il loro sacerdote Denis Zorin, ex tossicodipendente. «L’eroina è il male del mondo», afferma. «È paragonabile a un’arma chimica, capace di distruggere la nostra società silenziosamente, senza fare troppo rumore».
Italia e Russia: “Contro il narcotraffico va fatto di più” L’Europa e Mosca sono le principali vittime degli stupefacenti prodotti in Afghanistan. Servono sforzi congiunti. IVAN EGOROV RUSSIA OGGI
«Serve un approccio molto piu’ serio contro la narco-minaccia afgana», ha ribadito il ministro degli Esteri Sergei Lavrov durante la “quadrilaterale” tra i responsabili degli Esteri e della Difesa di Russia e Italia che si è tenuta la scorsa settimana a Roma. «Si è fatto poco per bloccare le coltivazioni e quindi il flusso di oppiacei dall’Afghanistan. Non ci sono ancora risultati», ha ammesso il ministro italiano della Difesa Ignazio La Russa, segnalando però i tentativi concreti messi in campo dall’Italia, come la promozione di colture alternative: «Noi, nell’Ovest, abbia-
mo dato ai contadini zenzero da coltivare al posto dell’oppio». Secondo Viktor Ivanov, direttore del Servizio federale russo per il controllo degli stupefacenti, al problema della produzione di droga in Afghanistan deve essere riconosciuto lo status di minaccia mondiale dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ogni anno, infatti, in Europa a causa della droga muoiono 10 mila persone, 50 volte le perdite umane subite dal contingente europeo in Afghanistan. In Russia addirittura circa 30 mila l’anno, la maggior parte delle quali giovani: nel Paese infatti si contano tra un milione e mezzo a due milioni di dipendenti dall’eroina che, in media, hanno un’aspettativa di vita tra i cinque e i sette anni. Nel 20 09 inoltre i Paesi dell’Unione europea sono risultati al primo posto per il con-
sumo di oppiacei con 711 tonnellate, seguiti dalla Russia con 549. Secondo Ivanov, «la minaccia degli stupefacenti rischia di trasformarsi in uno dei più gravi problemi del XXI secolo, con conseguenze paragonabili a quelle della seconda guerra mondiale nel XX».
Il ministro italiano della Difesa Ignazio La Russa al vertice quadrilaterale: “Non ci sono risultati” La quantità di sostanze stupefacenti prodotte sul solo territorio dell’Afghanistan ha raggiunto il doppio della produzione mondiale di 10 anni fa. Per questo la Russia propone «lo sterminio dei papaveri da oppio e la distruzione delle
coltivazioni» su cui però «non troviamo la comprensione di alcuni nostri partner occidentali», ha lamentato Lavrov a Roma portando l’esempio dell’America Latina. Per combattere il traffico di droga, in Colombia, con l’irrorazione di defoglianti e sistemi meccanici è stato distrutto circa il 75% delle piantagioni di coca, ossia quasi 230 mila ettari. In Afghanistan, appena il 3% delle colture di papavero da oppio. In Afghanistan, inoltre, quasi tutte le coltivazioni sono concentrate nelle aree dove è più massiccia la presenza di truppe straniere e dove avviene la maggior parte degli scontri armati. Una dimostrazione lampante, sottolinea Ivanov, del fatto che il problema della produzione di stupefacenti non può avere una soluzione militare. È d’accordo con lui anche l’europarlamentare italiano Pino
Arlacchi, noto per il suo impegno nella lotta alla mafia e agli stupefacenti. Arlacchi ritiene che in Afghanistan si debba sviluppare una produzione agricola alternativa, non legata agli stupefacenti, e che si debba cercare di risollevare più in generale l’economia del Paese. Stando alle sue parole, è un obiettivo realizzabile dal momento che oggi la sola Unione Europea spende un milione di euro l’anno per le operazioni militari in Afghanistan. Tra le proposte avanzate dalla Russia per contrastare efficacemente la produzione di eroina in Afghanistan, vi è quella di introdurre un sistema di marcatura chimica dei precursori, come alcuni acidi e l’anidride acetica,utilizzati per produrre le droghe. La marcatura permetterebbe di individuare la provenienza dei precursori e di ricostruirne il percorso.
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I punti
L’Arcipelago Solovki, noto anche come Solovetsky, si trova nel Mar Bianco e conta sei isole maggiori e oltre 100 minori
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Ha un clima continentale. Le temperature oscillano tra i meno 10˚ di febbraio e i 12,5˚ di luglio, il mese più caldo
IL TACCUINO IN VIAGGIO VERSO L’ARCIPELAGO AL LARGO DEL MAR BIANCO LUOGO DI CULTO, POI LABORATORIO DEL GULAG, OGGI META DI TURISTI
Pellegrini alla ricerca di serenità, viaggiatori attratti da mete alternative e perfino mistici visitano ogni estate le isole Solovki, in passato luogo di terrore, oggi Mecca del turismo russo. STEFANIA ZINI RUSSIA OGGI
Era tanto che desideravo visitare le isole Solovki, ma, neanche a farlo apposta, a poche ore dalla partenza mi trovavo costretta a letto da un’inspiegabile intossicazione. Mi è subito tornato alla mente un vecchio adagio che mette in guardia il viaggiatore che voglia vederle: “le Solovki non accolgono tutti di buon grado”. Raggiungerle, generalmente, non è difficile, ma l’ospite “indesiderato” (e sono molte le testimonianze a tal proposito) è perseguitato da maltempo e avversità dall’inizio alla fine del viaggio. I miei guai iniziavano ancora prima di partire: possibile che le Solovki si opponessero alla mia visita in modo così categorico? Recuperate le forze, mi sono comunque messa in viaggio, prendendo il treno per Kem’. Infatti la leg-
genda puntualizza:“chi lo vuole veramente, alle Solovki ci arriva, l’importante è avere pazienza”. Parole d’oro, queste, per chiunque si accinga a viaggiare verso Nord. In queste regioni l’uomo è impotente di fronte alla natura e si deve sottomettere ai suoi capricci. Alle Solovki volevo andare soprattutto per provare se, al ritorno, mi sarei effettivamente sentita un’altra, come assicura chiunque ci sia stato. Sembra che, sulle isole, aleggi un’atmosfera particolare, che si impadronisce dell’anima di ogni visitatore. Non sarà che alle Solovki ci si immedesimi nei destini, spesso tragici, di tutti coloro che vi hanno vissuto nei secoli, spesso contro la loro volontà? Sulla carta geografica, l’Arcipelago Solovki (chiamato anche Solovetsky) non sembra che una manciata di sassolini sparsi nel Mar Bianco a due passi dal Circolo Polare Artico. Sorprende, tuttavia, l’importanza del ruolo che le isole hanno sempre ricoperto nella cultura e nella storia sia russa che sovietica fin dal XV secolo quando, per la prima volta, vennero abitate da
ANASTASSIA FOMINSKAYA
LA REDENZIONE DELLE SOLOVKI
Una ricostruzione del labirinto un tempo esistente sull’isola Grande Solovetsky a pochi passi dal villaggio omonimo
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alcuni anacoreti. In breve, l’arcipelago divenne un importante centro spirituale, culturale ed economico del Nord della Russia, rimanendo tale per più di 500 anni. Nel XVIII secolo il monastero delle Solovki, divenuto ormai ricco, prese parte a operazioni di difesa della parte occidentale del Mar Bianco e, da allora, continuò a svolgere la funzione significativa di avamposto militare per circa 200 anni finché, nel XX secolo, venne chiuso dalle autorità. Purtroppo l’arcipelago non perse la sua fama, ma la cambiò: se in passato era stato il rifugio per anime bisognose di conforto spirituale, ora era diventato luogo di stermino per quelle non gradite al regime. Nel 1922 proprio alle Solovki nacque il cosiddetto “Slon” (Lager speciale delle Solovki): dalla riproduzione dell’organizzazione di questo lager-campione si sviluppò e diffuse in tutta l’Urss il famoso sistema di campi di concentramento Gulag. Comunque, fin dai tempi più remoti, le lontane Solovki attirarono l’attenzione anche dell’uomo primitivo: numerose tracce lasciate da pescatori e cacciatori di passaggio, più di 30 costruzioni misteriose a forma di labirinto ne abbelliscono i paesaggi. Forse si trattava di luoghi di culto dove gli antichi pagani compivano i loro riti propiziatori, come sostiene la maggior parte degli archeologi. Oppure possiamo concordare con la recentissima teoria dello studioso italiano Marco Bulloni che ipotizza che l’Isola Grande Solovetsky, la più imponente di tutto l’arcipelago, sia nientemeno che la famosa Atlantide e che questi labirinti siano la riproduzione tridimensionale della struttura dell’isola leggendaria! Preoccupata di non riuscire, in una sola settimana, a visitare tutti i luoghi interessanti spar-
I mesi migliori per visitarlo sono giugno e luglio. Agosto può essere piovoso, ma il clima mite può durare fino a metà ottobre
si qua e là per tutto l’arcipelago, sono finalmente salita sul mio treno per il Nord.Terza classe, cuccetta laterale superiore, non esattamente il posto migliore, ma, d’altra parte, il viaggio non era poi così lungo: Mosca e Kem’ distano solo 1500 chilometri, percorribili in circa 24 ore, nulla per un Paese grande come la Russia. I miei compagni di cuccetta erano tutti chiaramente originari del Nord: orgogliosi dei propri nasi scottati al sole del meridione, tornavano a casa dalle vacanze passate sulle spiagge del Sud. Seduti di fronte a me, una nonna con il nipote e un papà con il proprio figlio prendevano il tè e mangiavano cioccolatini, lamentandosi della vita di oggigiorno. Andare al mare con l’intera famiglia costa, è una spesa che ormai non si può più sostenere, ma bisogna pur portare al sole i figli prima che inizi la lunga e fredda notte polare: allora si va a turno. Sotto di me, seduti sulla cuccetta inferiore, tre adolescenti guardavano fuori dal finestrino, sgranocchiando semi di girasole. Lungo il corridoio, una sfilza di bimbi, seguiti da mamme brontolone, correvano avanti e indietro all’impazzata, per sfogare la loro vivacità. E tutti, proprio tutti, senza sosta mangiavano qualcosa: formaggio, uova sode con la maionese, pollo, pomodori, pesce affumicato, cetriolini venivano estratti uno dopo l’altro dai borsoni con le scorte di cibo, provvidenzialmente sistemati a portata di mano sotto i tavolini. Il Nord non è certo il posto giusto per pensare alla dieta: a causa del freddo, reale o presunto, il cibo diventa per forza un’idea fissa, anche quando si è sazi. I miei amici, arrivati da Mosca in macchina qualche giorno prima, sono venuti a prendermi alla stazione di Kem’, felici per aver appena colto, in un vicino boschetto, un intero sacchetto di
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Hotel, case e campeggi
L’sola Grande Solovki è il principale punto di collegamento con la terraferma: qui si trovano l’aeroporto e il porto
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I voli da Mosca e San Pietroburgo durano circa 5 ore. Il treno da Mosca a Belomorsk impiega circa 23 ore
Solovetsky è un piccolo villaggio che offre ai turisti svariate possibilità di pernottamento. Il “Solovki-hotel”, elegante ma caro, è una grande izba di legno, con camere singole in alta stagione a 5mila rubli (9.700 le “vip”) e doppie a 5400-10mila rubli. “Klubny hotel priyut”, in stile country, offre doppie con o senza bagno a 2400-3000 rubli. È anche possibile prenotare un piano intero: 10mila rubli per 10-13 posti letto. Più economico l’hotel “Solo” con singole da 900 rubli, doppie da 2000-2400 e triple da 2100 (www.solovky.ru) Moltissimi i privati che affittano ai turisti posti letto, camere, appartamenti o case. I prezzi comprendono l’uso di servizi e cucina e variano dai 100 ai 500 rubli a persona. Non è strettamente necessario prenotare in anticipo: si viene subissati dalle proposte all’arrivo. A Solovetsky esiste anche un camping, soluzione estremamente economica: 50 rubli a giorno per persona. È anche l’unico posto dove alle Solovki è permesso campeggiare.
Ristoranti e caffé La tesi di uno studioso italiano “La vera Atlantide si trova qui” Un’ipotesi rivoluzionaria è stata formulata dall’italiano Marco Bulloni nel suo libro fresco di stampa “Ho scoperto la vera Atlantide”, risultato di anni di studio e attente comparazioni di carte, schemi, immagini tridimensionali, rilievi satellitari dell’arcipelago Solovki e della regione del Mar Bianco con le principali fonti di informazione su Atlantide (il “Timeo” e il “Crizia” di Platone). Le innumerevoli coincidenze tra le caratte-
ristiche del luogo e le descrizioni di Atlantide lasciateci dal filosofo, secondo Bulloni, non lasciano dubbi. Atlantide non si trova in fondo all’Oceano, come ritiene la maggior parte degli esperti. Bulloni concorda con Platone: la mitica isola venne sì distrutta e sommersa dalle acque in seguito a fortissimi cataclismi. Tuttavia Bulloni ne è convinto - è poi riemersa e l’isola Grande Solovetsky è ciò che ne rimane.
funghi porcini. Rimandare al giorno dopo il nostro viaggio in battello per le Solovki e fermarci a cucinare patatine e funghi sulla riva del Mar Bianco è stato più che naturale, come se qualcuno ci avesse ordinato di non avere fretta. Tanto più che, per sentito dire, anche la Russia ora ha la suo Hobbitville! Uno dei sobborghi di Kem’, il villaggioporto che collega la terraferma all’arcipelago, ha ospitato le riprese del film di Pavel Lunguine“L’isola”e si è ora trasformato nella mecca degli amanti del cinema d’autore. Ed è stato proprio con questi ultimi che abbiamo passato la notte seduti intorno a un falò, vicino al vecchio set, a discutere come, a queste latitudini, sia possibile cogliere il momento di passaggio dalla notte al giorno polare, quando il tramonto e l’alba durano sei mesi ciascuno. In un Paese dove, molto spesso, è solo il buon senso a suggerire dove ci si può o non si può fermare a passare la notte, è sempre bene portarsi appresso sacco a pelo e tenda. Possono sempre servire. Il mattino seguente, una volta preso il largo, i contatti con la terraferma si sono dissolti,
come la nebbia, alla stessa velocità con la quale il nostro battello si dirigeva verso Nord. Sotto coperta sono sprofondata in un sonno ristoratore che ha cacciato via tutti gli strascichi insonni della notte precedente. E quando, improvvisamente, mi sono svegliata ero già su un’isolana! Sette giorni alle Solovki è esattamente quello che ci vuole. Non ci siamo risparmiati: lunghe camminate a piedi, escursioni organizzate, gite in barca e decine di chilometri macinati in mountain-bike. Le Solovki sono senza dubbio una meta turistica: affollata nei fine settimana e perfino rumorosa durante le feste. In agosto, per esempio, durante il Festival della canzone d’autore, la Grande Solovki viene invasa da una marea di cantautori barbuti che, cantando, raccontano il passato mentre i pellegrini cantano i salmi e pregano. È comunque incredibile come il microcosmo delle Solovki sia impregnato di un senso di calma e comprensione quasi sovrannaturali, tipicamente nordici, capaci di tranquillizzare anche i rumorosi caratteri del mio caro sud.
Al ristorante “Izba”, presso il “Solovki hotel” servizio e prezzi rispecchiano lo standard europeo. Il caffè “Solo”, nell’albergo omonimo, propone specialità russe ed europee. Il costo medio di una cena è attorno ai 400-500 rubli. Il caffè “Kayut-kompanya”, nel centro del paese, ha l’aspetto di una mensa, ma offre piatti gustosi ed economici. Un’abbondante colazione costa circa 200 rubli, un pranzo o una cena 250-400. Aperto in estate dalle 8 del mattino a mezzanotte, serve prevalentemente cucina russa. Tra le specialità locali si consigliano “le aringhe delle Solovki”.
In libreria “Voci dal Gulag” «L’annientamento degli uomini è una scienza empirica: senza dottrina, senza principi, nessuna codificazione, nessun vincolo. Solo obiettivi. Quando si mancano si cambia strada, ci si sbarazza di regolamenti e circolari, di direttori e di guardie e si procede. Così alle Solovki è stato inventato il Gulag. Dal nulla. Sperimentando». Così scrive Maurizio Ciampa nel libro “L’epoca tremenda. Voci dal Gulag delle Solovki” (Morcelliana, pagg. 240, euro 16) che racconta, tra le altre, la storia dell’internamento e della morte di Pavel Florenskij (1882-1937), il maggiore filosofo e teologo ortodosso russo.
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Prima di partire I preziosi consigli di un’esperta viaggiatrice
Russia, istruzioni per l’uso Guida rapida per vacanzieri Mezza cinese e mezza ceca, nata a Vienna, Evy Hua si sente a casa in molti Paesi. Per lei viaggiare è più che visitare un posto, è scoprirlo in profondità EVY HUA RUSSIA OGGI
1. La lingua Quasi certamente la lingua sarà l’ostacolo più grosso da superare, tenuto conto che per chi viaggia e si sposta in Russia è indispensabile comprendere almeno un po’ il russo ed essere in grado di leggere i cartelli stradali. Nelle città più importanti molte persone parlano inglese, quasi sempre i giovani delle ultime generazioni, ma non aspettatevi di incontrarne molte.
DISEGNO DI DMITRY DIVIN
INFORMAZIONI UTILI
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borseggiatori non sono una specie endemica di un luogo preciso: si trovano ovunque.
2. La gente Le mie competenze linguistiche in russo sono elementari, ma in genere sono gentile nei confronti di coloro che incontro quando viaggio. Come dappertutto, incontrerete persone scontrose e altre cordiali, ma non direi che i russi sono particolarmente meno gentili di qualsiasi altro popolo. Ricordo una signora anziana sull’isola Olkhon sul Lago Baikal che si è sforzata in ogni modo di comunicare con me malgrado il mio russo stentato, offrendomi gelatina fatta in casa e funghi. O la signora che abbiamo incontrato e che ci ha offerto di trascorrere la notte da lei, a casa sua, per farci risparmiare i soldi dell’albergo. In genere la popolazione si mostra aperta verso gli stranieri, e interessata a conoscerli. Non abbiate timore se i russi vi invitano a bere qualcosa con loro: si tratta di una splendida occasione per stringere amicizia e scambiare due chiacchiere con loro. I russi sono molto comprensivi e se non butterete giù la vodka come fanno loro non vi obbligheranno sicuramente a farlo controvoglia. 3. La criminalità Se non starete in guardia, i borseggiatori si porteranno via i vostri portafogli, come in qualsiasi altro posto del mondo. Per quanto mi riguarda, non mi sono mai sentita in una situazione di pericolo particolare, né a Mosca né altrove in Russia. I
4. Il cibo e i prezzi Fuori Mosca i prezzi sono notevolmente più bassi. Potrete quindi permettervi senza problemi di pranzare nei ristoranti più eleganti delle piccole città. Ricordo che una volta a Veliki Novgorod, una città vicino a Pietroburgo, ci hanno presentato il conto e il mio fidanzato è scoppiato in una risata di sollievo. Forse si è trattato di un comportamento un po’ sfrontato nei confronti del povero cameriere, ma per noi è stata una bella soddisfazione, un vero piacere, poterci permettere di pagare quel conto. I piccoli bar che fiancheggiano le strade e le autostrade sono un ottimo punto per fare una tappa e rilassarsi quando si è alla guida. Spesso sono aperti 24 ore al giorno e di norma vendono generi alimentari russi. Immagino siano equiparabili a delle tavole calde. Come un po’ ovunque, il viaggiatore ardimentoso scopre sempre posti interessanti: noi abbiamo trovato un piccolo Internet caffè sull’isola di Olkhon, ubicato in uno Yurt (una specie di tenda), proprio accanto a una tipica casa locale. Non avrete nessuna difficoltà a trovare anche ristoranti che servono piatti esotici, perché in Russia vi sono molte minoranze e molti influssi culturali diversi. In alcune zone della Siberia, per esempio, ci sono cibi molto influenzati dall’eccellente cucina mongola.
5. La banya Se ve ne capita l’occasione, non fatevela fuggire e provate la banya siberiana: non è una vera e propria sauna, ma secondo me è anche meglio. In genere è un luogo nel quale sarete avvolti dal vapore, suderete molto e potrete poi gettarvi addosso acqua ghiacciata e acqua bollente. Dopo un simile trattamento vi sentire freschi e puliti come non mai: per quanto mi riguarda, sarei ben felice di cambiare qualsiasi bagno con una banya.
6. Gli incontri Talvolta vi capiterà di incontrare alcune persone che si diranno disponibili ad accompagnarvi a visitare una certa area. AVeliki Novgorod, per esempio, noi abbiamo incontrato un professore del Kreml che non era una vera e propria guida turistica, ma che ci ha accompagnato in giro e mostrato ciò che c’era da vedere. State in guardia, tuttavia: in genere queste visite guidate durano a lungo e potreste non rispettare la vostra tabella di marcia. A Olkhon un ragazzo di 17 anni ci ha accompagnati in un tour meraviglioso, facendoci arrampicare sulla riva, mostrandoci il posto migliore nel quale fare il bagno e raccontandoci tutte le favole mistiche dell’isola. Tutte le persone che avrete la fortuna di incontrare viaggiando in Russia sicuramente occuperanno a lungo un posto molto speciale nei vostri ricordi e nel vostro cuore.
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RUSSIA OGGI WWW.IT.RBTH.RU
Opinioni
SUPPLEMENTO REALIZZATO DA ROSSIYSKAYA GAZETA (RUSSIA) PER LA DISTRIBUZIONE CON NYT INTERNATIONAL WEEKLY
L’IRAN, TRA RETORICA E RAGIONE Sergei Markedonov SPECIALE PER RUSSIA OGGI
DISEGNO DI VIKTOR BOGORAD
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l recente accordo per lo scambio di combustibile nucleare siglato tra Turchia, Brasile e Iran - come le sanzioni incombenti contro la Repubblica Islamica - hanno attirato l’attenzione di politici e analisti di tutto il mondo. Il programma nucleare iraniano, insieme al problema afgano e al conflitto israelo-palestinese, è salito ai primi posti dell’agenda politica globale. Allo stesso tempo la questione iraniana è diventata di portata più ampia di quella costituita dal semplice desiderio di ottenere una bomba nucleare. L’Iran resta“l’esportatore della Rivoluzione Islamica”, sostiene vari gruppi terroristici islamici ed è un fiero oppositore degli Stati Uniti e d’Israele. Il sito ufficiale di Ali Khamenei definisce la posizione del leader iraniano non come Rahbar (Guida Suprema dell’Iran), ma come Guida Suprema dei musulmani, rivelando così le ambizioni geopolitiche dell’Iran. La guerra del Libano nel 2006 e il conflitto Israele-Hamas del dicembre 2008 hanno dimostrato chiaramente il potenziale geopolitico iraniano. L’impressionante vittoria nel 2006 - prima sconfitta militare israeliana dalla creazione dello Stato ebraico - ha testimoniato la capacità dell’Iran di condurre con successo una “guerra per procura”contro i propri nemici. Gli eventi del dicembre 2008 hanno mostrato che l’Iran reclama un ruolo di guida non solo nella comunità islamica, ma in tutto il mondo islamico. Perciò fornisce assistenza finanziaria non solo a Hezbollah (sciita) ma anche ad Hamas (sunnita), rivedendo la sua ideologia per ab-
Persegue una politica estera molteplice, talora costruttiva. Perciò le sanzioni non possono essere efficaci
bracciare il principio dell’integrazione. In Iran si svolgono regolarmente elezioni presidenziali e parlamentari molto competitive, i cui esiti sono assolutamente imprevedibili. È stato così anche alle ultime elezioni del giugno 2009 (le decime dopo la Rivoluzione Iraniana del 1979), quando la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad ha scatenato le proteste di massa dei sostenitori dell’ex premier Mir-Hossein Mousavi. Ali Khamenei vede nelle elezioni democratiche uno strumento per promuovere va-
lori islamici. Per questo gli analisti politici russi e occidentali faticano a delineare un’immagine realistica del Paese che gioca un ruolo cruciale nei tentativi di risolvere i problemi in Medio Oriente (Libano, Palestina, Iraq) e di garantire sicurezza in Afghanistan, Asia Centrale e Caucaso. Per riuscirci occorre smettere di vedere la politica interna ed estera dell’Iran come determinata da preoccupazioni puramente ideologiche. Se è vero che l’Iran sta conducendo una battaglia contro “il Grande Satana” (gli Usa) e la
“minaccia sionista”(Israele), per quanto aggressiva, la politica iraniana nasconde forti segnali di moderazione. In molte occasioni l’Iran ha dimostrato che gli interessi nazionali hanno la priorità rispetto alla religione. Assieme alla Georgia, l’Iran è infatti l’unica “finestra sul mondo” per l’Armenia, chiusa dalla Turchia e dall’Azerbaijan. Un altro esempio caucasico è costituito dalle relazioni tra Iran e Azerbaijan (Paesi entrambi a maggioranza sciita) che non sono sempre state tranquille dopo la caduta dell’Urss. A causare le tensioni sono stati vari fattori: i legami tra l’Azerbaijan e il rivale strategico dell’Iran, la Turchia; il problema della minoranza azera in Iran; gli interessi dell’Azerbaijan in Israele e la lobby ebraica degli Usa a contrappeso dell’influenza armena. L’Iran si è dimostrato pragmatico anche sul fronte dell’Asia Centrale. È proprio grazie al contributo iraniano che fu siglato il primo cessate-il-fuoco tra musulmani e autorità laiche durante la guerra civile tagika 1992–1997. Per l’Iran sostenere la stabilità nel Tajikistan di lingua persiana era più importante del suo progetto islamico. L’Afghanistan è un altro esempio del pragmatismo iraniano. Fin dall’inizio della ripresa afgana, la Rivoluzione iraniana ha giocato un ruolo centrale nel processo insieme all’Occidente. Tra il 2002 e il 2004, l’Iran ha versato il 46,1 per cento dei fondi totali stanziati per la ricostruzione dell’economia afgana distrutta da anni di guerra. I rapporti tra Teheran e Mosca rivelano un altro controverso approccio iraniano. Le fonti ufficiali iraniane tendono a presentare il problema ceceno e la situazione in Dagestan in termini di radicalismo religioso nel Caucaso del Nord russo provo-
cato non tanto dallo sciismo ma da quel salafismo molto diffuso in Arabia Saudita, da tempo rivale ideologico dell’Iran. Allo stesso tempo i gruppi radicali islamici sostenuti dall’ Iran vedono la Cecenia come parte della“jihad globale”e definiscono gli estremisti del Caucaso del Nord come combattenti religiosi. È questo a ostacolare la cooperazione strategica tra Teheran e Mosca. L’Iran persegue una politica estera molteplice, coprendo spesso con la sua retorica di guerra anche ragioni pragmatiche o atteggiamenti costruttivi. In questa situazione, concentrarsi sulle sanzioni non può produrre risultati efficaci. Nonostante tutte le differenze tra i politici iraniani e tra i diversi programmi di Ahmadinejad, Mousavi e Rafsanjani, è stato raggiunto un consenso sull’indipendenza geopolitica dell’Iran: sia i conservatori che i liberali moderati vogliono che l’Iran diventi una superpotenza regionale. Nel frattempo si corre il rischio che le pressioni esterne servano solo a unire gli iraniani sulla base dell’ideologia patriottica. Un’altra strategia potrebbe essere più efficace: coinvolgere l’Iran in importanti progetti internazionali. La ricostruzione dell’Afghanistan è l’obiettivo più urgente e realistico. Aiuterà a controllare meglio Teheran stimolando una trasformazione interna. In questo caso, la minaccia esterna verrà minimizzata consentendo ai riformisti di utilizzare l’intero arsenale di misure pragmatiche e costruttive che la politica iraniana offre. È entro questo scenario che l’Iran potrà rivedere le sue priorità di politica estera. Sergei Markedonov è un noto analista politico specializzato sul Caucaso
I PREDATORI DELLA LIBERTÀ DI STAMPA Alexei Pankin ANALISTA POLITICO
DISEGNO DI IGOR DEMKOVSKY
I
n occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa, che si celebra il 3 maggio, Reporter senza frontiere ha diffuso un elenco di quaranta“Predatori della libertà di stampa”, tra cui appare il nome del primo ministro Vladimir Putin. Per Putin, si tratta di un attestato di merito. «Durante la ricostruzione di uno Stato forte dopo gli anni di confusione vissuti sotto [l’ex presidente] Boris Eltsin, il suo principio ispiratore era basato su una forte leadership dall’alto», si legge nel comunicato. «La stampa non è stata risparmiata e le stazioni televisive nazionali adesso parlano con una voce sola». Chi ha scritto queste righe avrà sicuramente letto il recente libro diYevgeny Adamov, ex ministro per l’Energia nucleare (oggi Rosatom). Adamov è noto per essere stato arrestato in Svizzera su richiesta degli Stati Uniti ed essere stato poi estradato in Russia dove, condannato, gli fu sospesa la pena. Nel suo libro, Adamov raccon-
ta di un incidente verificatosi dopo la crisi dell’agosto 1998, quando si rifiutò di mettere le risorse dell’industria nucleare del Paese a servizio di Vladimir Gusinsky, banchiere e fondatore della Ntv, per aiutarlo a ripagare i debiti che questi aveva contratto con la MostBank, di cui Gusinsky era direttore. Gusinsky ammonì Ada-
m o v : « Pe n s i c h e qu e l l a posizione sarà tua per molto? L’Fsb (ex-Kgb, ndr) ti porterà via prima di stasera. Ti dimostrerò cosa può fare la stampa!». La somma, specifica Adamov, ammontava a 100 milioni di dollari. «Quell’esperienza mi ha fatto capire da vicino quale opinione i cosiddetti oligarchi aves-
sero a quell’epoca della propria influenza e della propria importanza», scrive Adamov. L’episodio descrive un modello di rapporti d’affari basato sul ricatto e sull’estorsione di informazioni che durante gli anni della presidenza di Eltsin era proprio della stampa del Paese - e in particolare della televisione - e che Reporter
senza Frontiere descrive così sprezzantemente. Io ritengo però che il rigoroso atteggiamento di Putin nei confronti della Ntv e di Channel One non fossero diretti a colpire la libertà di stampa o i giornalisti in sé, quanto, rispettivamente, Gusinsky e Boris Berezovsky, proprietari delle due stazioni televisive. Le misure rappresentavano un tentativo di rendere lo Stato almeno in parte più gestibile dopo i caotici anni di Eltsin. A questo riguardo, sono pienamente d’accordo con gli autori della lista dei predatori dei media. Concordo anche con il fatto che il periodo durante il quale tutte le stazioni televisive nazionali hanno «parlato con una sola voce» si sta prolungando un po’ troppo. Avendo ormai spezzato il controllo che gli oligarchi esercitavano sulla televisione, Putin o non è riuscito o ha avuto paura (com’è più probabile) di rimpiazzarlo con una stampa più autenticamente indipendente. Adamov scrive che adesso, benché la stampa sia più subordinata al Cremlino che ad interessi economici privati, la
situazione di fatto non è migliore rispetto alla metà degli anni Novanta. A quanto pare però ogni leader ha una missione e può contare su delle risorse. Se il presidente Dmitri Medvedev volesse creare delle condizioni tali da favorire l’affermarsi di una stampa indipendente, potrebbe cercare aiuto nel forte aumento dei cybernauti russi. Mantenere uno stretto controllo sulla televisione tradizionale oggi è meno rilevante di quanto fosse in passato. A maggio dell’anno prossimo potremo valutare il progresso compiuto da Medvedev in base alla posizione che verrà attribuita alla Russia nella classifica annuale della libertà di stampa. Sarebbe bello se a Medvedev venisse accordato lo stesso rispetto e la stessa comprensione che sono stati dimostrati nei confronti di Putin. Alexei Pankin dirige la rivista Ifra-Gipp Magazine, una pubblicazione per professionisti dell’editoria Articolo già apparso su The Moscow Times
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LE MIE SERATE SIBERIANE AL ‘‘RUSSKIJ KLUB’’
JOSIF BRODSKY ‘‘PROFESSIONE POETA’’ Massimiliano Lenzi
Simone Corazza TRADUTTORE E INTERPRETE
GIORNALISTA
C
DISEGNO DI DMITRY DIVIN
L
’imputato Josif Brodsky è in piedi nell’aula di un tribunale sovietico, l’accusa è di “non svolgere alcuna attività socialmente utile”.Il Pm: «Qual è la tua professione?». Lui muove le mani e risponde: «Scrivo versi, traduco. Mi pare...». Il pubblico ministero: «Non le pare un bel niente. Rettifichi la posizione, non si appoggi al muro, guardi verso il tribunale e risponda come si deve. Ha un lavoro fisso?». E Brodsky: «Pensavo che quello fosse un lavoro fisso, scrivevo poesie, pensavo che sarebbero state pubblicate, mi pare...». L’accusa insiste: «Non interessa quel che le pare, mi dica perché lei non lavora?». «Sono poeta. Traduco liriche». Il giudice sogghigna e incalza ancora: «Chi ti ha riconosciuto come poeta? Chi ti ha arruolato nei ranghi dei poeti?». Brodsky non esita un secondo: «Nessuno, come nemmeno qualcuno ha mai detto che io appartenga alla specie umana». La sentenza, seguita a quel dialogo kafkiano, sarà crudele e infame: cinque anni ai lavori forzati. Era il 1964 e accadeva in Urss. Da allora son trascorsi 46 anni, un’eternità dentro la quale Brodsky ha fatto molte cose. Due su tutte: vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1987 (il più giovane dei premiati) e morire, troppo presto, anche per un artista, nel 1996, a New York, ad appena 55 anni. Questo mese ricorre il 70mo anniversario dalla sua nascita e di lui ci restano i libri, i versi scritti nel tormento di un’esistenza vissuta dalla parte opposta al potere: «Ho sperimentato due oceani e due continenti / mi sento quasi come il Globo / non c’è più posto dove andare / sole le stelle più in là». Per capire questo sgomento, l’abisso di un dolore che diventa letteratura, dobbiamo quindi tornare indietro nel tempo, a quel processo del 1964. Un anno dopo quella condanna Brodsky verrà liberato, grazie anche alle proteste ed agli interventi degli intellettuali di tutto il mondo, e si confinerà per sette lunghi anni nella sua Leningrado. Nel 1972 verrà espulso definitivamente dall’Unione Sovietica (la motivazione,“è un parassita sociale”) e comincerà il suo esilio da pellegrino dell’arte, in giro per la Terra, senza mai dimenticare, però, le proprie radici russe. Gli Stati Uniti diventeranno la sua terra d’adozione, il suo luogo fisico, la sua residenza, ma la Russia, al di là della cortina di ferro, i suoi demoni, la guerra e la pace, l’azzardo del vivere, resteranno sempre il suo abbecedario spirituale, im-
Questo mese ricorrono 70 anni dalla sua nascita. Vinse il Nobel nel 1987 e morì ad appena 55 anni
Visse dalla parte opposta del potere, ma la sua dissidenza fu esistenziale, mai politica printing essenziale alla sua opera di poeta. A pubblicare i suoi primi versi era stata, nel 1958, una rivista clandestina con il placet della letterata Anna Achmatova. Da lì la poesia sarà la sua vita e la vita la sua poesia. Se si guarda alle cronache ed alla nascita della dissidenza in Urss non vi è dubbio che Brodsky abbia rappresentato uno dei primi casi letterari del genere. Dopo di lui arriveranno Sinijavskij e Daniel ma non saranno la stessa cosa. Mentre gli altri dissidenti, infatti, faranno parlare di sé per l’impegno politico, lui,
Josif, rifiuterà sempre l’etichetta di “dissidente”, arrivando a spiegare che si tratta di un vocabolo occidentale che in lingua russa non esiste. Perché la sua dissidenza - poeta sino in fondo - non sarà mai politica ma esistenziale. In uno dei suoi saggi, tradotti in italiano con titolo “Meno di Uno” (Adelphi Editore) cercherà di narrare la propria visione dell’essere uomo. Per difendersi dal male – questa la convinzione di Brodsky – c’è soltanto «la libertà e l’originalità di pensiero» perché «il male ama l’uniformità, tutto ciò che è solido». A lui preme la dimensione dell’uomo non la politica. E non è un caso che il faro filosofico di questo grande poeta, peraltro mai nascosto, sarà il pensiero di Søren Kierkegaard, ossessionato dai continui rimandi all’angoscia, al disagio, all’insofferenza d’esserci, vero e proprio sconforto anche nei casi più felici. Da qui l’amore viscerale, senza condizioni, per la poesia. Lo spiegherà nitidamente il 22 ottobre del 1987 quando la notizia del Premio Nobel assegnato a lui sarà ormai pubblica. «Questa epoca – sottolineerà - ha acquistato l’immagine di un brutto sogno, la poesia è dunque una necessità». E ancora: «Leggiamo e
facciamo leggere di più, se vogliamo vera democrazia». Per questo, forse, Josif Brodsky si trovava a suo agio quando veniva in Italia, Paese che nasce da un sogno di letterati prima ancora che da una volontà politica. «Mi chiedete se vorrei tornare in Urss – risponderà ai giornalisti che lo intervisteranno nel giorno del Nobel. Certo, è una cosa a cui penso spesso ma, forse, io sono un giramondo nato perché ora, pure in Occidente, mi sento a casa mia». Dopo quel 1987 da Nobel, una rivista di Leningrado, “Neva”, pubblicherà sei delle sue poesie. Sono gli anni di Gorbaciov, con l’Urss che corre verso la glasnost e la perestrojka. Nove anni dopo, a New York, nel suo appartamento di Brooklyn, un giorno freddo di gennaio il poeta Josif Brodsky morirà, a 55 anni, per un infarto. Sul cuore aveva cantato: «Un fiammifero basta per accendere un fuoco / così l’orologio di un nonno, fratello del battito cardiaco / essendosi fermato da questo lato del mare / per mostrare il tempo all’altro / continua a ticchettare». Come i suoi versi. Giornalista italiano esperto di televisione, l’autore lavora nella redazione di “Anno zero”
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i venne concesso in azienda di seguire, direttamente in loco, corsi di lingua straniera. E così, mentre i miei colleghi emigravano in massa a studiare inglese sulle spiagge di Malta, io decisi che era venuto il tempo di coronare un vecchio sogno e di imparare il russo. Scelsi la Siberia e l’università di Novosibirsk, dove la professionalità e l’esperienza dei filologi avevano raggiunto standard altissimi per l’insegnamento della lingua russa agli stranieri. Telefonai alla mia vecchia compagna di studi: «Pronto, Lucia? È fatta, si va!». Lei lavorava come chef in alcuni dei migliori alberghi della Toscana e sognava di aprire una propria attività a Mosca. «Ma no, Lucia, ma quali tempeste di neve a ottobre?! Ma di quali orsi parli, ma dai, ma che bestialità vai dicendo, andrà tutto bene». Partiti da Mosca eravamo in volo ormai da cinque ore, nonostante le rassicurazioni dell’Aeroflot che per arrivare a destinazione non ne sarebbero servite più di quattro. Quando finalmente nel cuore della notte atterrammo, quello che a bordo era stato un mormorio di disappunto si trasformò in un grido di terrore: lontano nella tormenta brillavano cinque enormi lettere AB..KAN, cioè Abakàn, capitale della repubblica autonoma di Khakasia, che dalla frenetica consultazione degli atlanti risultò essere un migliaio di chilometri più a sud. «Nevicata foooorte» ripeteva un inserviente dell’aeroporto a me e Lucia. «Niente Novosibirsk!». Per mia malasorte Lucia, che di russo capiva poco o niente, conosceva però bene le parole “forte” e “nevicata” e ringhiò sommessamente qualcosa tipo «non ci sono nevicate a ottobre, ha parlato il meteorologo». Riuscii con mezzi di fortuna a telefonare alla segreteria dell’Università. «C’è stato un contrattempo. Il nostro aereo è atterrato ad Abakàn. Ma no, non datevi pena per noi. Ce la caveremo». E ce la cavammo. Siamo romani, gente che un tempo ha dominato il mondo, prendemmo il coraggio a due mani e… ce ne andammo con un tassì in centro a pranzare. Tornammo che era già sera e il volo era stato annunciato. Il mattino seguente io e Lucia fummo accolti nell’ufficio della dirigente della sezione per gli studenti stranieri. Ci diede tutti i ragguagli necessari, ci accompagnò amorevolmente alla porta e disse: «Un’ultima raccomandazione: nel bosco siate particolarmente prudenti, quest’anno abbiamo avuto un autunno
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particolarmente caldo, gli orsi non sono andati in letargo e si aggirano a ridosso della città in cerca di cibo». Lucia mi fulminò con lo sguardo, roteò gli occhi e disse: «Lo sappiamo bene». Era chiaro che da quel momento non avrei più avuto su di lei il benché minimo ascendente. Cominciò la nostra felice vita studentesca. Gli orari erano abbastanza impegnativi, le lezioni coprivano l’intero arco della giornata, io apprezzavo in modo particolare le ore di letteratura, quando era possibile confrontarsi con gli studenti locali. All’inizio, a causa dell’età, mi scambiavano per un insegnante e mi lanciavano lunghi sguardi sospettosi, poi col tempo la tensione si attenuò e si instaurarono ottimi rapporti, tanto che con alcuni ci scambiamo ancora lunghe lettere. I sogni, le aspi-
Un fatto mi colpì: tutti progettavano di lasciare Novosibirsk alla fine degli studi e di trasferirsi altrove razioni, i desideri di questi ragazzi, le loro pesanti sconfitte e le brillanti vittorie, le lacrime e le speranze di ciascuno di loro, tutto questo lo porto ancora nel cuore. Un fatto mi colpì: non un solo studente aveva messo in preventivo di restare a Novosibirsk alla fine degli studi, tutti progettavano di trasferirsi a Mosca o a Pietroburgo, i più audaci negli Usa, gli economisti in Inghilterra, gli informatici in Asia, romantici e poeti in Italia. Le sere del sabato erano consacrate al cosiddetto Russkij Klub, un incontro informale fra studenti russi e stranieri, per conversare amabilmente davanti a una tazza di tè sui temi più disparati. Io fin dall’inizio mi ero imposto di disertare questo sinistro appuntamento, un po’ perché mi ricordava le sedute di autocritica nei campi di concentramento sovietici, un po’ perché avevo il presentimento di dover far fronte a quelle domande micidiali che di solito si riservano agli italiani all’estero, tipo Roberto Baggio, la mafia o gli spaghetti al dente. Quando nella cassetta della posta trovai una specie di richiamo scritto non mi restò altro da fare che presentarmi. Ricordo ancora la prima domanda di una ragazzetta rossiccia: Scilla e Cariddi nella mitologia grecoromana. «Vabbè ragazzi, oggi vi spiegherò come cuocere gli spaghetti al dente». L’autore vive e lavora a Roma e collabora con il sito di cultura russa www.russianecho.net
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Sport
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Calcio Per salvarsi dalla bancarotta i manager sono costretti a rivedere i bilanci dopo anni di politiche finanziarie poco oculate
I club russi schiacciati dai debiti La maggior parte delle squadre vive semplicemente di sponsorizzazioni e di finanziameti di governi regionali o grandi aziende. Ma non bastano più.
Dopo essere corso in aiuto di Tomsk e Krilya Sovetov, il governo ha deciso di non farsi più coinvolgere
ILYA ZUBKO RUSSIA OGGI
Di questi tempi 16 milioni di dollari basterebbero appena a comperare la gamba sinistra di un attaccante decente del Manchester United o della Juventus. Ma questa è anche la somma che è andata al Cska di Mosca per essere arrivato alle semifinali della Champions League della Uefa. E ciò significa anche che il Cska ha incassato una cifra pari al bilancio annuale complessivo medio di una squadra di calcio russa. Se la cosa vi sorprende, sarà utile sottolineare la natura altalenante delle finanze delle squadre di calcio russe negli ultimi anni. La maggior parte vive semplicemente di sponsorizzazioni ed è finanziata o da governi regionali o da gran-
Quando la Moskva ha dovuto abbandonare il campionato, tifosi ed esperti sono rimasti sbigottiti
di aziende come Gazprom o Luko i l . Fo n t i d i g u a d a g n o fondamentali in Occidente – come diritti televisivi, abbonamenti stagionali, contratti di licenza per la riproduzione delle magliette originali – forniscono scarsi fondi in Russia. Alcuni anni fa le squadre di calcio russe erano così sommerse da finanziamenti e sponsorizzazioni che si diedero a una vera e propria corsa agli acquisti per comperare i migliori giocatori presenti in Europa o in Sudamerica a colpi di decine di milioni di dollari. La maggior parte degli analisti, in realtà, le aveva messe in guardia dallo spendere il doppio rispetto a quello che potevano sperare di guadagnare col rischio di finire in un vicolo cieco. Ebbene, gli analisti avevano visto giusto: adesso il calcio russo è costretto a ripensare da capo a quali possano essere prospettive finanziarie più realistiche. Al primo manifestarsi della stretta finanziaria globale, lo stipendio annuale di 2-3 milioni di euro di cui potevano godere i migliori giocatori superava di gran lunga gli introiti effettivi perfino delle squadre più importanti. Tuttavia la prima stagione “critica” del 2009 non ha visto alcun serio tentativo di cambiare radicalmente il loro modus operandi. La maggior parte delle s qu a d r e h a semplicemente tagliato il bilancio del 10 per cento, mentre altre si sono
Bilanci delle squadre di calcio russe* Squadra
Bilancio 2010 (milioni di $)
Bilancio 2009 (milioni di $) 100
Posizione nella classifica 2009 3
Zenit (San Pietroburgo)
100
Spartak (Mosca)
65
65
Dinamo (Mosca)
64,7
64,7
7
Cska (Mosca)
64,3
50
5 4
2
Lokomotiv (Mosca)
62
62
Rubin (Kazan)
55
55
1
Terek (Grozniy)
37
35
11
Saturn (Provincia di Mosca)
30
30
6
Alania (Vladikavkaz)
18
12
3**
Sibir (Novosibirsk)
12
10
2**
* Tutti i dati provengono da fonti accessibili oppure sono stati forniti dalle squadre medesime, a eccezione del bilancio 2010 di Cska e del bilancio 2009 della Dinamo. ** prima serie
addirittura rifiutate di ridimensionare le spese. Il Tomsk, l’unica squadra siberiana che gioca in prima serie, è riuscito addirittura a scialacquare il suo intero bilancio annuale nei primi quattro mesi dell’anno e ha vacillato per qualche tempo sull’orlo della bancarotta totale. Fortunatamente ha ricevuto aiuti dal governo. Il premier Vladmir Putin ha ricevuto una lettera contenente una richiesta di aiuto e ha subito convocato i pezzi grossi del mondo degli affari e «caldamente suggerito» di cercare di aiutare la squadra in difficoltà che si è subito ritrovata il supporto di ben sette sponsor. Analoghe operazioni di salvataggio hanno aiutato un’altra famosa squadra di Samara a tenersi a galla questa primavera. Non molto tempo fa il Krilya Sovetov (Ali sovietiche) godeva della reputazione di squadra in grado di richiamare enormi folle di tifosi in Europa Orientale (fino a 30mila), ma poi i boss della squadra hanno iniziato a sottoscrivere prestiti a iosa e, prima che iniziasse la stagione 2009, l’indebitamento era già di 80 milioni di dollari. Malgrado le vibrate proteste dei tifosi e l’attenzione dei media, la squadra del Samara era in procinto di andare in rovina e dire addio ai suoi sogni di gloria, almeno finché non è subentrato nuova-
mente Putin, che ha persuaso gli sponsor locali ad aprire i loro portafogli. Per ripagare i suoi enormi debiti la squadra ha dovuto inoltre ridurre il bilancio di due terzi. Quando all’orizzonte si è delineata ancora un’altra vittima della crisi, la squadra del Moskva, le autorità hanno deciso di non farsi coinvolgere. Un mese prima dell’inizio della stagione calcistica 2010, Norilsk Nickel, sponsor assoluto e di fatto proprietario della squadra che aveva un enorme successo, ha ritirato il proprio supporto. Per ragioni tuttora poco chiare, ha semplicemente sciolto la squadra senza tentare di venderla squadra ad altri investitori. Per la prima volta nella storia del calcio russo una squadra di alto livello ha abbandonato il campionato nazionale all’ultimo momento. Il suo posto è stato preso dall’Alania diVladikavkaz, ma la drammatica uscita di scena del Moskva ha sbigottito tifosi ed esperti inducendoli a credere che nel mondo del calcio era necessario un cambiamento radicale. «Il 2010 potrebbe dimostrarsi un punto di evoluzione positivo: la precedente stagione non poteva riflettere a così breve distanza la crisi globale. In effetti il 2010 è stato il primo anno in cui i bilanci stagionali hanno riflettuto il vero potenziale del mercato del calcio» dicono gli analisti di“Fi-
nance”, rivista russa di economia. Da vari segnali è evidente che è imminente un controllo dettagliato sulla realtà dei fatti. La recessione ha rimesso al passo lo smodato appetito delle squadre di calcio. Nessuna di esse è diventata più ricca l’anno scorso e nessuna sta più cercando nuovi record di bonifici da svariati milioni di euro. L’inverno scorso nessun contratto ha superato gli 8 milioni di dollari, segno evidente che i manager hanno imparato a tener conto di ogni singolo rublo che spendono. Anche queste ristrettezze sono però basate su supposizioni irrealistiche. Lo Zenit di San Pietroburgo è la squadra russa più ricca e spende 100 milioni di dollari l’anno. L’80 per cento dei suoi finanziamenti è fornito dal suo proprietario, il colosso Gazprom, e solo il 20 per cento delle spese dallo Zenit. Su scala inferiore, la squadra Lokomotiv, sponsorizzata dalle Ferrovie Russe, guadagna poco più di 30 milioni di dollari, ossia poco meno della metà del suo bilancio totale, il che non è male per gli standard russi. Lokomotiv ha il vantaggio di possedere uno stadio moderno che gli assicura introiti considerevoli grazie alle tribune d’onore. La maggior parte delle squadre di calcio, tuttavia, Zenit e Lokomotiv inclusi, non rende noti i propri bilanci. L’anno scorso la Dinamo con sede a Mosca ha diffuso un rapporto sul suo bilancio da 64,7 milioni di dollari, ma poiché nessun’altra squadra ne ha seguito l’esempio, quest’anno non si è più presa la pena di farlo. Nella stagione 2010 soltanto il Cska ha reso noti i propri dati finanziari, probabilmente perché poteva vantare una forte eccedenza. Essendosi accaparrata parecchi contratti di sponsorizzazione, la squadra si aspetta di incassare 168mila dollari, una goccia nel mare rispetto al bilancio complessivo di 64,3 milioni. Per molte squadre, invece questo tipo di performance - insieme alle redditizie presenze in Champions League - resta confinato al mondo dei sogni.
VITALY BELOUSOV_ITAR-TASS
Lo Zenit di Spalletti vince la Coppa Russia
Da sinistra a destra, i giocatori russi Andrei Arshavin, Roman Pavlyuchenko e Pavel Pogrebnyak che hanno reinventato il calcio russo prima di essere venduti a Club stranieri
Luciano Spalletti ha conquistato il primo trofeo alla guida dello Zenit: l’ex tecnico giallorosso ha portato in bacheca la seconda Coppa di Russia nella storia del club (il primo risaliva al ’99). Luciano Spalletti era stato accolto al suo arrivo in Russia con una certa diffidenza. Erano in molti a temere che dopo l’aggressivo calcio d’attacco del precedente allenatore dello Zenit, Dick Advocaat, il club pietroburghese si sarebbe concentrato sulla difesa; cosa che non sarebbe stata molto gradita ai tifosi. Spalletti, invece, non ha
rivoluzionato il gioco della squadra e ha ottenuto da subito risultati brillanti. Già dopo la meritata vittoria contro il Cska di Mosca, i commentatori calcistici russi avevano affermato: «Spalletti non solo è riuscito a rafforzare la difesa dello Zenit, ma anche a entrare in sintonia con la linea di gioco della squadra» e «il campione di calcio italiano, già ai tempi della Roma, aveva avuto la brillante idea di valorizzare al meglio l’intero organico e non il singolo giocatore, ottenendo risultati efficaci». Luciano sembra soddisfatto
del suo lavoro, mentre i tifosi dello Zenit sono conquistati dal suo stile impeccabile e dalla sua amabilità. Le vere sfide inizieranno in autunno con l’apertura della stagione calcistica europea, quando anche nel campionato russo si giocheranno i match decisivi e Spalletti verrà inevitabilmente messo a confronto con il suo predecessore Dick Advocaat, grazie al quale la squadra pietroburghese si era aggiudicata la vittoria nel campionato russo e aveva ottenuto la Coppa e la Supercoppa Uefa.
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