RussiaOggiOttobre2012

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GIOVEDÌ 18 OTTOBRE 2012

Il supplemento rientra nel progetto RUSSIA BEYOND THE HEADLINES, che pubblica inserti in diverse lingue, in allegato a The Daily Telegraph, The Washington Post, Le Figaro, El Pais, Süddeutsche Zeitung, Le Soir, La Nacion L’inserto è preparato e pubblicato da Rossiyskaya Gazeta (Russia) e non coinvolge le strutture giornalistiche ed editoriali de

A suo agio sul palcoscenico, tanto quanto sulla copertina di un giornale glamour. Anna Netrebko è una star internazionale della lirica, conosciuta ben oltre i confini del suo mondo. Si tratta di un’artista eclettica e sotto molti aspetti singolare: basti pensare che agli esordi puliva i pavimenti del Teatro Mariinsky (allora Kirov) di San Pietroburgo per pagarsi gli studi al Conservatorio cittadino. Domani tornerà alla Scala di Milano, dopo il debutto dello scorso anno (nel ruolo di Donna Anna nel Don Giovanni di Mozart), per interpretare Mimì nella Bohème. «Per me è un grande onore cantare in un teatro così ricca di storia e prestigio come La Scala; sto cercando di migliorare la conoscenza della vostra lingua per rendere al meglio», fa sapere l’artista. Al momento la Netrebko sta registrando un album di arie di Giuseppe Verdi con Gianandrea Noseda, direttore musicale del Teatro Regio di Torino. «Un lavoro magnifico, spero proprio che abbia successo», racconta con grande entusiasmo. «Per me era naturale affidarmi a un italiano: stiamo parlando di una figura come Verdi», sorride. «È un Verdi arduo, quello del Don Carlo, del Macbeth, e stranamente mi riesce molto bene. Non è neppure difficile per me… E poi il Trovatore, e una grande scena dall’Otello con il fantastico tenore Johan Botha, che dobbiamo ancora registrare». Le opere che elenca per lo più non appartengono al suo repertorio usuale, che si basa su ruoli più “leggeri”, come quelli di Mozart, Puccini e Donizetti. L’anno scorso ha inaugurato la nuova stagione al Metropolitan Theatre di New York con l’Anna Bolena di Donizetti riscuotendo un grandissimo successo di critica e di pubblico, due aspetti che non sempre vanno a braccetto. Quest’anno ha incantato gli spettatori con la parte affascinante e irresistibile di Adina (nell’Elisir d’amore). Anna Netrebko oggi ha 41 anni e la sua voce versatile e limpida è leggermente cambiata rispetto alle esibizioni degli esordi, tanto da consentirle di avventurarsi in un repertorio più “mosso”, che esige un timbro più profondo e per certi versi anche più drammatico. Nella prossima stagione si esibirà nel ruolo di Tatiana nell’Evgeny Onegin di Tchaikovsky, nella Manon Lescaut di Puccini e ha già in programma di cantare Wagner, interpretando la parte di Elsa del Lohengrin. «Sarà la prima volta che mi cimenterò con Wagner, e probabilmente anche l’unica», taglia netto la Netrebko. L’affascinante e fotogenica cantante è apparsa in ritratti di tendenza su riviste a grandissima diffusione come Vogue Italia e Panorama. «So di avere un’immagine un po’ particolare» dice. «Infatti non sono la classica interprete lirica che viene ripresa in foto con l’abito lungo». Dalle pagine delle copertine patinate appare alla stregua di indossatrici di moda e attrici, in pose che mettono in risalto tutto il suo fascino e la sua eleganza. «Ma non abbiamo creato una ‘diva in jeans’ perché si vende bene…è successo tutto molto naturalmente. Ero molto giovane quando ho iniziato e mi piacciono molto le foto di

moda», è il suo pensiero, che esprime con larghi sorrisi. «Insomma, è successo e basta. Tutto questo glamour, la pubblicità per Chopard e così via». Quando dice “è successo e basta” sembra quasi che sia stato tutto facile, ma interpretare se stesse in un film di Hollywood ed essere pagate per indossare gioielli e orologi non è certo la norma tra le cantanti liriche. Per molti anni ha lavorato a perfezionare la sua voce, con la consapevolezza che si tratta di un processo che non ha mai fine per i puntigliosi come lei, perché c’è sempre qualcosa che si può fare per migliorarsi. «So che cosa va bene per la mia voce, e mi rendo conto di quello che devo migliorare». Soddisfatta, dice che i giornalisti sono molto clementi con lei e di rado le capita di leggere una recensione negativa. Poi però precisa: «A teatro mi portano un sacco di recensioni. In altri casi, invece, le nascondono e quando chiedo se va tutto bene, il direttore mi risponde di sì, mi dice che è andata bene, ma se non mi mostra le recensioni capisco al volo che c’è qualcosa che non va. Per fortuna non capita spesso», sottolinea accompagnando la riflessione con un sospiro emblematico. Quando parte in tournée spesso deve lasciare a casa, a New York, suo figlio Tiago, impegnato con la scuola. «Per me si tratta di una vera tortura. Devo sempre scegliere tra il mio lavoro e mio figlio. Non è affatto divertente». Dice di capire perché alcune cantanti abbiano scelto di non diventare madri, ma afferma di fare tutto ciò che le è possibile per trovare un giusto equilibrio tra la sua professione e la sua vita privata. «Non posso sicuramente dire addio alla mia carriera. Forse posso tagliare qualche impegno, perché faccio fin troppo. Ma non mi sento assolutamente di abbandonare tutto proprio adesso», si lascia andare, quasi a cercare l’approvazione dell’interlocutore. «La vita mi ha dato tanto e non posso certo dire di aver finito. E non voglio occuparmi soltanto della mia famiglia: penso che se lo facessi, sarei punita». Preparato da Ayano Hodouchi

ANNA NETREBKO LA ‘DIVA IN JEANS’ HA STUDIATO CON RENATA SCOTTO, È DIVENTATA UNA STAR E SI EMOZIONA OGNI VOLTA CHE CANTA IN ITALIA GETTY IMAGES/FOTOBANK


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Internazionale

Il conflitto in Siria vede la Federazione e l’Occidente su posizioni opposte. Un braccio di ferro che si prolunga nel tempo, mentre la situazione in Medio Oriente si infiamma sempre più. ANDREI ILJASHENKO RUSSIA OGGI

I politologi russi e il Ministero degli Esteri della Federazione considerano la primavera araba come l’esito di conflitti sociali radicati in Medio Oriente. I regimi autoritari che hanno sovvertito le monarchie di Egitto, Siria e Libia, durante la loro esistenza quasi quarantennale, non sono stati in grado di assicurare né il progresso, né la giustizia sociale. Da qui la rivolta di piazza Tahrir in Egitto, le manifestazioni di piazza a Tunisi e le proteste in Siria e Libia. «Le vicende del Medio Oriente hanno un’origine socio-politica», spiega il direttore del Dipartimento del Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale, Sergei Vershinin. In Egitto, gli islamici moderati hanno ceduto il posto nelle prigioni all’ex presidente Hosni Mubarak. Il leader libico Muammar Gheddafi è stato vittima di una giustizia sommaria. Il presidente tunisino Ben Ali è stato condannato in contumacia all’ergastolo. Il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh, dopo essere scampato a un attentato, si è rifugiato negli Stati Uniti. In queste nazioni e in tutti gli altri Paesi dove sono presenti delle comunità islamiche – dall’Oceano Atlantico al Pacifico – hanno avuto luogo violente proteste anti-americane. Lo scorso febbraio, poco prima delle elezioni, il futuro Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin scriveva in un articolo: «La Russia è sempre stata in buoni rapporti con gli esponenti dell’Islam moderato, che hanno una visione del mondo affine a quella dei musulmani russi, e siamo pronti a intensificare i nostri contatti anche nella situazione attuale. Siamo inte-

ressati a incrementare le relazioni politiche ed economico-commerciali con tutti i Paesi arabi turbati da un periodo di gravi sconvolgimenti». È questo l’approccio pragmatico che Mosca, dopo essersi liberata dalle briglie ideologiche e dalle ambizioni geopolitiche sovietiche, tende ora ad avere col mondo esterno. Per la Russia, Paese dove le comunità musulmane sono radicate da secoli, concentrate in aree cruciali come ilVolga e il Caucaso, avere buoni rapporti col mondo islamico è necessario.

L’acuta crisi politica interna in Siria ha cambiato il nostro modo di rapportarci con una serie di Paesi arabi, tra cui l’Arabia Saudita e il Qatar, mettendo in evidenza le già note divergenze di approccio tra noi e loro” Le relazioni con l’altro gruppo di Stati mediorientali (le monarchie del Golfo Persico) però sono diventate nell’ultimo anno più problematiche. Questi Paesi non hanno ancora superato la crisi provocata dal rovesciamento dei regimi e dai colpi di Stato militari. La loro peculiarità storica di nazioni composte da un insieme di tribù beduine e il benessere economico costruito sul petrolio hanno consolidato quei sistemi politici assolutisti, nonostante la primavera araba. L’attuale situazione suscita grandi preoccupazioni. Dopo l’uccisione dell’ambasciatore americano in Libia, Putin ha detto di temere che l’intera regione possa precipitare nel caos. Per questo motivo, la collaborazione russo-americana nella regione diventa fondamentale.

INTERVISTA SERGEI LAVROV

Tra cooperazione e non ingerenza A colloquio con il ministro degli Esteri russo. Nel suo intervento all’Assemblea Generale dell’Onu, ha parlato dell’inammissibilità di ogni ingerenza negli affari interni degli Stati. Vale solo per gli avvenimenti nel Vicino Oriente o anche per la Russia? Il principio di non ingerenza negli affari interni degli Stati è scritto nello Statuto dell’Onu. È un postulato fondamentale, un principio su cui si fonda il diritto internazionale. Se permettiamo di infrangerlo o di prendere alla

leggera la sua violazione, ci sarà una reazione a catena. Il mondo sprofonderà nel caos, come possiamo già vedere nel Vicino Oriente.

ti. Naturalmente, ci sono anche diversi problemi. Per esempio, le decisioni americane purtroppo vengono prese senza considerare i nostri interessi. A proposito del“reset”,considerando che il termine proviene dal mondo dei computer, appare subito chiaro che non può durare troppo a lungo. Altrimenti non si tratta più di resettare, ma di un baco nel programma. Non bisogna fissarsi sul nome delle diverse tappe del processo. È meglio pensare a come sviluppare i rapporti.

Considerando le divergenze tra Russia e Usa su una serie di questioni - la difesa antimissilistica, i temi della protezione dei diritti umani e dei rapporti internazionali - si può dire che il “reset” è fallito? La direzione che fu scelta allora, quella della cooperazione, si è rivelata giusta. Abbiamo ampliato il dialogo bilaterale ottenendo importanti risulta-

QUESTIONE ARABA GETTY IMAGES/FOTOBANK(2)

Come evolverà la situazione in Siria? Ci sono due possibilità. Se le rassicurazioni sul fatto che la priorità numero uno adesso è salvare vite umane sono sincere, allora bisogna portare a compimento gli accordi di Ginevra. Ossia, costringere tutti a deporre le armi e sedersi al tavolo delle trattative. Se invece la priorità numero uno è abbattere il regime e Bashar Assad, allora noi non potremo essere di alcun aiuto. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non si occupa di questo, per definizione. Si tratterebbe di un’istigazione a continuare una guerra fratricida, e noi dovremmo semplicemente capire che il prezzo da pagare per questa ossessione geopolitica di sostituire il regime esistente in Siria è di migliaia di vite umane. Parlando con i miei colleghi ho percepito che si rendono conto dell’inesistenza di alternative a questi due scenari, eppure non sono ancora pronti a rinunciare al proprio sogno geopolitico. Questo mi rattrista. Preparato da Elena Chernenko/Kommersant

IL COMMENTO

L’Ue, la Federazione e lo scudo antimissile degli Stati Uniti Andrei Kisljakov ANALISTA

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li esperti sono convinti che la parte europea dello scudo americano non sia soltanto inefficace, ma anche fonte di inutili tensioni nella regione. Il Ministero degli Esteri russo ha rilasciato una dichiarazione, riassumibile nel concetto che Russia e Usa possono comunque trovare un accordo. «C’è ancora tempo per giungere a un’intesa – ha detto il viceministro degli Esteri Sergei Rjabkov –, ma non è illimitato, e quando inizierà la realizzazione della terza fase, secondo un approccio di adattamento a tappe in merito alla costruzione (statunitense) di un sistema globale di difesa antimissile, per noi le cose potranno cambiare». A detta del viceministro, per fare in modo che non succeda, Mosca propone ai partner di fornire garanzie, giuridicamente vincolanti, per non indirizzare il sistema antimissile contro di essa.

In caso contrario, gli Stati Uniti dovranno fare i conti con una serie di “misure di compensazione” da parte della Russia. Quest’anno gli americani hanno investito nel sistema più di dieci miliardi di dollari. Nel rendiconto del bilancio del Pentagono si afferma che «mediante il supporto del programma di difesa antimissile, l’Amministrazione di Obama contribuisce alla stabilità mondiale. Tale sistema difenderà gli Stati Uniti e i loro alleati dagli attacchi causati da missili balistici con testate nucleari o equipaggiati senza dispositivi nucleari». Per questo propone di dotarsi di 46 missili antimissili SM-3 “Blok-1B” con base marittima, di continuare il processo di modernizzazione affinché possano essere posizionati sulla terraferma e infine di acquistare i mezzi materiali per la costruzione della rampa di lancio per la batteria antimissile “SM-3” in Romania. Nel frattempo lo scudo spaziale in Europa rimane per Mosca la principale causa di malcontento. Il livello di irritazione della Federazione non dipende dai cambiamenti nell’architettura dei mezzi americani. Il programma dell’Am-

ministrazione Bush prevedeva di posizionare in Polonia dieci missili intercettori con base terrestre, teoricamente in grado di contrastare, seppur con qualche limite, le forze strategiche russe, missilistiche e nucleari. Barack Obama ha “corretto” Bush junior, così l’Europa farà per ora a meno dei mezzi destinati all’intercettazione dei missili tattici e tattico-operativi. «Vogliamo che il sistema sia trasparente, che la Federazione russa sia realmente convinta che verrà costruito per gli scopi annunciati. Per questo diamo la possibilità di verificarlo», ha detto Radoslav Sikorski, ministro degli Esteri polacco. Dal canto suo, il Segretario di stato americano Hillary Clinton ha rilevato che il sistema «è di carattere puramente difensivo e non rappresenta una minaccia per la Russia». Le garanzie sono invece richieste soltanto agli Stati Uniti: si tratterebbe di un’azione politica, volta a dimostrare il riconoscimento americano della Russia come partner militare ed economico. Intanto la reale efficacia dello scudo americano nella sua “realizzazione polacca” suscita molte per-

plessità. Il presidente della Polonia, Bronislav Komorovski, ne ha parlato in un’intervista al giornale Wprost, all’inizio dello scorso agosto. «La Polonia deve necessariamente realizzare un proprio programma di difesa antimissile che faccia parte del sistema Nato; la partecipazione al progetto americano è stato un errore». Una piccola unità di militari è impegnata nella direzione dello scudo europeo. Qui vengono raccolti e analizzati i dati sul possibile lancio dei missili. Ma in caso di pericolo, nessuno può schiacciare il pulsante rosso. Non c’è neppure alcuna certezza che una difesa missilistica europea pienamente sviluppata risulti efficace. Avverte l’esperto tedesco Oliver Mayer, analista dell’Istituto di ricerca dei problemi del mondo e della politica (ente che ha sede ad Amburgo): «La fase critica inizierà nel 2018, quando un nuovo sistema antimissile verrà equipaggiato per l’abbattimento di missili a lunga gittata. E non c’è alcuna garanzia che sarà in grado di funzionare». Parole che dovrebbero far riflettere tutti.


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Fervono i preparativi in vista della Task Force italia-Russia (23-26 ottobre) su piccole e medie imprese e i distretti. Obiettivo: puntare sulle alleanze tra le aziende dei due Paesi.

Il fronte delle pmi sfida la crisi

LUIGI DELL’OLIO

ITAR-TASS

RUSSIA OGGI

La crisi non ferma la voglia di tessere relazioni internazionali con l’obiettivo di trovare nuovi canali di sviluppo del business. Dal 23 al 26 ottobre nelle Marche si svolgerà la 21esima edizione della Task Force Italia-Russia per lo sviluppo delle pmi e dei distretti, un’iniziativa che chiama a raccolta non solo le istituzioni politiche ed economiche dei due Paesi, ma anche gli imprenditori impegnati in progetti di partnership, o quanto meno interessati a muoversi in questa direzione. Gli ambiti oggetto di convegni, tavole rotonde e approfondimenti bilaterali spaziano dalle energie da fonti tradizionali e alternative alle tecnologie relative al risparmio energetico, dalla depurazione delle acque e trattamento dei rifiuti alla meccanica leggera, senza trascurare le nuove tecnologie nei settori dell’edilizia e la logistica, con particolare riguardo ai trasporti e ai terminali fluviali. L’organizzazione, che vede coinvolti il Ministero dello Sviluppo Economico italiano, la Rappresentanza Commerciale della Federazione russa in Italia, la regione Marche e Ice (l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione), annoverà la presentazione di circa trenta progetti russi, che potranno raccogliere manifestazioni di interesse da parte degli imprenditori dello Stivale. I pareri di alcuni tra i cinquecento partecipanti possono aiutare a cogliere meglio di qualsiasi analisi fatta a monte lo spirito dell’iniziativa. «La Task Force ha un focus sulle piccole e medie imprese, che ci sembra molto interessante», commenta Barbara Covili, amministratore unico dell’azienda milanese Clickutility on Earth. «Per le grandi aziende italiane non è difficile sbarcare in mercati nuovi, perché hanno le capacità economiche per farlo da sole, per le pmi invece il discorso è completamente diverso». Una posizione in linea con quella manifestata da altri imprenditori italiani che vorrebbero tentare la strada dell’espansione all’estero, consapevoli della stagnazione del mercato interno, ma che finora sono stati frenati in tal senso dalle difficoltà di muoversi in proprio, senza poter contare su un’adeguata struttura fi-

Energia

Il tema principale della tavola rotonda bilaterale sarà l’energia da fonti tradizionali e alternative

nanziaria e sul fronte delle competenze professionali. «La mia società partecipa alla Task Force presentando un progetto completamente incentrato sull’esportazione di conoscenze tecnologiche al servizio della smart city», aggiunge Covili. Per Artemi Kyzlasov, direttore generale della Zona economica speciale TitaniumValley spa, l’appuntamento marchigiano sarà l’occasione per presentare l’iniziativa volta ad attrarre aziende straniere per migliorare la produzione nella regione degli Urali. «Il road show in Italia ci consente di far conoscere alle industrie italiane i vantaggi della nostra piattaforma», spiega Kyzlasov. «La nostra esperienza dimostra che un road show di alto livello è in grado di attirare nell’arco di due giorni anche cento aziende; con il 30 per cento di esse le relazioni continuano in seguito, trasformandosi progressivamente in

vere e proprie collaborazioni». Elena Kuleshina, che rappresenta l’azienda Elektrostal, spiega la partecipazione all’evento con la volontà di «cercare nuovi mercati per la nostra produzione. In tal senso, l’Italia rappresenta uno sbocco molto importante. Ci auguriamo che la Task Force ci aiuti a stabilire nuovi rapporti commerciali». Infine per Ruslan Gajnetdinov, direttore del Dipartimento dello Sviluppo economico e dell’Impresa presso il Ministero dell’Economia della regione di Ulianov, la sua presenza sarà finalizzata soprattutto alla ricerca di nuovi contatti. «Puntiamo a dar seguito al dialogo avviato a distanza tra gli imprenditori dei due Paesi», spiega, indicando un esempio di progetto che vede già al lavoro imprese italiane e russe quello relativo allo sviluppo della zona portuale situata vicino al porto fluviale di Ulianovsk.

Il clima, l’atomo e il futuro dell’energia ANDREI REZNICHENKO RUSSIA OGGI

La crisi nucleare di Fukushima, in Giappone, ha costretto molti governi a rimettere in discussione gli investimenti nell’energia nucleare. La paura verso l’atomo deve comunque fare i conti nel Vecchio Continente con il piano Euro 2020, che stabilisce una serie di obiettivi per l’efficienza energetica, tra cui una riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas. Le centrali nucleari non emettono Co2, il che significa che potrebbero aiutare i governi a raggiungere questo obiettivo. Un passaggio al carbone e al gas per la produzione di energia elettrica potrebbe annullare tutti gli sforzi globali per combattere la minaccia di cambiamenti climatici, i cui effetti, come il caldo anomalo, le inondazioni, le tempeste e la siccità hanno già portato diversi governi nazionali a scelte conseguenti in tema di mix energetico. Nell’Europa orientale la situazione non è ancora chiara. La decisione della Bulgaria di abbandonare la costruzione della centrale nucleare di Belene, cui stava pensando la russa Rosatom, ha

causato tensioni politiche con la Russia. Lo stop è arrivato perché si teme che la regione individuata per il sito nucleare sia a rischio terremoti. Anche se la centrale era stata progettata con un reattore di terza generazione, ritenuto sicuro e rispondente agli standard europei. Secondo il governo bulgaro, la ragione principale dello stop è la mancanza di fondi per la costruzione. Tuttavia, dato che Rosatom si offriva di coprire tra il 70 e il 100 per cento dei costi, questa spiegazione non sembra reggere. E Rosatom ora vuole recuperare gli 1,3 miliardi di dollari già spesi. A dire il vero, il progetto non è del tutto tramontato. Un sostegno imprevisto è arrivato dall’ex primo ministro Simeone II, re di Bulgaria tra il 194346, che ritiene poco saggio abbandonare l’idea dell’impianto di Belene, dato che un numero crescente di Paesi vicini alla Bulgaria sta costruendo nuovi reattori nucleari, sulla spinta delle prospettive economiche e delle previsioni di consumo energetico nei prossimi decenni. La Romania, per esempio, ha già completato le prime due unità della sua centrale nucleare di Cernavoda e ha ottenuto l’approvazione da parte dell’Unione europea per la costruzione di due reattori. Anche la Turchia intende costruire una centrale nucleare con l’obiettivo di esportare energia

elettrica verso i Paesi confinanti. Se Sofia staccasse definitivamente la spina al progetto, potrebbe ritrovarsi in una depressione economica peggiore. di quella attuale. Senza un adeguato trade-off, infatti, la Bulgaria rischia di perdere competitività e aumentare la sua dipendenza dalle forniture internazionali. Un aspetto che la sta spingendo a riconsiderare le valutazioni fatte fino a questo momento, anche in chiave geopolitica.

UFFICIO STAMPA

Il disastro giapponese di Fukushima sta spingendo molti Paesi a un ripensamento sul nucleare. Così In Bulgaria, dove la Rosatom ha avviato una causa per danni.

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Lotta di potere: Rosatom chiede un risarcimento sull’incompiuta centrale nucleare di Belene, in Bulgaria

IL COMMENTO

La rotta del gas che unisce l’Europa Evgeny Utkin ANALISTA

arrivato l’autunno in Europa, ma non si è ancora visto il vero freddo, per cui l’emergenza gas resta un ricordo lontano. Intanto cresce l’attesa per il lancio del progetto South Stream, l’infrastruttura destinata a percorrere i fondali del Mar Nero per servire un Vecchio Continente che chiede forniture per le sue industrie e le sue famiglie. Per la fine di novembre si aspetta la decisione finale sul tracciato, anche se le linee guida non dovrebbero riservare grandi sorprese. Ci sono già accordi intergovernativi tra Russia e Bulgaria, Serbia, Ungheria, Grecia, Slovenia, Intanto, l’8 ottobre è partita la seconda linea del gasdotto Nord Stream, che unisce la Russia e la Germania attraverso il Baltico. Un intervento che consente di raddoppiare la capacità di trasmissione a 55 miliardi di mc l’anno. «L’avvio della seconda linea avviene nel perfetto rispetto dei tempi e del budget previsti, esattamente dopo 30 mesi dall’entrata in funzione della prima», sottolinea il presidente della società Nord Stream, l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder. E si pensa già di realizzare un’altra linea o una bretella verso il Regno Unito, che amplierebbe la rete verso Nord. Quindi la ragnatela di Gazprom si estende all’intera Europa, con l’obiettivo di assoggettarla alla sua influenza? Questa chiave di lettura, per quanto sostenuta da diversi analisti, è forzata. I gasdotti sono costruiti con i soldi di Gazprom e di altri azionisti privati che hanno scelto liberamente di consorziarsi. Il marchio del colosso russo serve semplicemente come garanzia che ci sarà gas a sufficienza per riempirli. Piuttosto qualcuno fa notare che queste grandi infrastrutture, progettate nella fase pre-crisi, ora devono fare i conti con un contesto economico profondamente cambiato. E non è detto che la loro attività a regime ridotto si riveli realmente profittevole.

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Società

La burocrazia e chi non vuole gettare la spugna Innanzitutto, conoscere bene le regole del gioco. E non gettare la spugna. Silvia (nome di fantasia), un’affermata professionista del Nord Est, ci ha messo due anni e mezzo prima di portare a termine, insieme al marito, la sua personale sfida con l’adozione internazionale. Una partita che si gioca sul campo della burocrazia e dell’emozione, in equilibrio spesso instabile fra ansie, timori e nodi amministrativi difficili da sciogliere. A fare luce sul tortuoso cammino di Silvia e suo marito, conclusosi a Natale 2010 con l’arrivo del loro figlio dalla Russiail nuovo accordo bilaterale tra la Federazione e l’Italia. «Il nostro è stato un iter relativamente breve, segnato dalla firma del documento tra i due Paesi». Così, dopo innumerevoli code agli sportelli, esami nelle cliniche mediche e alcuni viaggi nella Federazione, Silvia ha vinto la sua battaglia. E confessa: «Da quando è arrivato mio figlio, mi

Preparato da Lucia Bellinello

La tenacia di due genitori romani. Che hanno da poco festeggiato le due medaglie d’argento conquistate alle Paralimpiadi di Londra dalla loro figlia Oxana Corso. MARIELLA CARUSO RUSSIA OGGI

Fermata Porta Furba-Quadraro della metro A di Roma. Oxana Corso, medaglia d’argento alle ParaOlimpiadi di Londra nei 100 e nei 200 metri categoria T35 (dedicata ad atleti con disabilità cerebrali), ha vissuto quattordici dei suoi diciassette anni con mamma Angela, papà Piero e Olga, la sorella quattordicenne arrivata con lei dalla Russia, in un appartamento al quinto piano di un condominio dell’omonima borgata romana che punteggia via Tuscolana. Prima di allora la casa di Oxana e Olga era stata l’orfanotrofio numero 5 di San Pietroburgo. Fu lì che nel settembre 1998 Angela e Piero conobbero le loro figlie. Una storia di adozione come tante in quegli anni, Durante i quali non c’era ancora un albo degli enti autorizzati. Tutto era lasciato alla singola iniziativa e all’incontro fortunato con chi poteva fare da mediatore tra i genitori “sulla carta” e i loro potenziali figli. In questa storia quel mediatore ri-

LUCA FERRARI(3)

sento un po’ russa anch’io». La sua è una storia come tante, che si perde tra i fascicoli degli innumerevoli processi di adozione portati a termine in Italia. «È necessario essere molto informati per trovare la strada più breve da percorrere», racconta. Due anni e mezzo di attese, colloqui e test, ma anche di emozioni e speranze, fino a quel mini corso di russo per imparare a dire “privet”. «Ci vuole intraprendenza – confessa -. Come per tutte le cose importanti, è necessario lottare, e non scoraggiarsi». Con l’accordo bilaterale si è cercato di snellire l’iter, che in Italia viene gestito dagli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali. «Qualche vantaggio, c’è stato - prosegue -. Ad esempio, al posto di diversi incontri, brevi e spezzati in Russia, c’è un un viaggio unico più lungo». La donna ricorda il primo incontro con il bambino: «Siamo atterrati in Russia in mezzo a una bufera di neve. E nostro figlio, che all’epoca aveva un anno e otto mesi, era stato preparato dagli operatori russi ad attendere l’arrivo di mamma e papà». Dopo tre viaggi nella Federazione e numerosi incontri con gli operatori, finalmente l’atteso arrivo del bambino in Italia. Era il periodo di Natale, e lungo le strade si respirava il profumo delle caldarroste. «Il bambino è entrato in casa con occhi curiosi, esplorando l’ambiente così come fanno tutti i bambini quando si ritrovano in una situazione nuova. È stato comunque un momento molto naturale». Non sono mancati, infine, premurosi accorgimenti: «Abbiamo cercato di riprodurre, per quanto possibile, la stanzetta dove dormiva in Russia. E abbiamo evitato di andare in vacanza, permettendo così a nostro figlio di abituarsi in maniera graduale al cambiamento che lo ha portato a far parte della nostra vita».

Sono trascorsi quattro anni da quando è stato sottoscritto l’accordo bilaterale tra la Federazione russa e l’Italia in materia di adozioni internazionali. Un documento di 12 pagine che, attraverso 19 articoli, cerca di snellire un iter che può durare diversi anni, e costare alle coppie italiane svariate migliaia di euro. In un Paese che solo nel 2011 ha adottato 781 bambini russi (quasi 6mila nel periodo compreso tra il 2000 e il 2006, mentre in totale sono circa 140mila quelli che restano negli orfanotrofi in attesa di una famiglia), la necessità di facilitare il percorso di adozione si è fatta sempre più pressante. Tanto da portare alla sottoscrizione di un documento, firmato a Mosca dopo tre anni di trattative il 6 novembre 2008 ed entrato in vigore l’anno successivo. Un testo che oggi fa scuola, studiato con interesse anche da altri Paesi, a cominciare dalla Spagna. Una cura dimagrante che assegna all’Italia e alla Russia un primato di efficienza su questo fronte. Tracciato il sentiero per una migliore collaborazione, è però necessario intervenire laddove la burocrazia non si dimostra uno strumento a tutela del minore, ma una trave posta di traverso tra le ruote dei coniugi adottanti.


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IL COMMENTO

L’incertezza delle regole e i danni per i minori Julia Kalinina ESPERTO

P

LA

rima della firma dell’accordo bilaterale italo-russo, l’informazione in merito all’adozione internazionale era piuttosto scarsa. Si conoscevano principalmente gli aspetti negativi, legati soprattutto ai casi di maltrattamenti avvenuti negli Stati Uniti ai danni di alcuni minori. Ora, dopo la sottoscrizione del documento, c’è sicuramente più informazione, anche se la situazione in concreto non è cambiata molto. Da un certo punto di vista l’accordo tra i due Paesi si è rivelato un enorme passo in avanti: innanzitutto perché è stato il primo a essere siglato e poi perché ha permesso di stabilire alcuni punti cardine sui quali lavorare, spianando la strada per la realizzazione di nuovi documenti con altri Stati. Ma se guardiamo la situazione più da vicino, ci si accorge che in concreto non si sono ottenuti grandi vantaggi. Speravamo che con la firma dell’accordo potesse aumentare l’omogeneità nella produzione dei documenti da presentare durante l’iter adottivo. Ogni regione, invece, continua a fare a modo suo, con regole che spesso variano da luogo a luogo. Gli esami medici realizzati in Italia, per esempio, adesso in Russia non vengono riconosciuti, ed è necessario sottoporre la coppia a nuovi test nella Federazione. Inoltre la legge sulle adozioni russa si sta facendo sempre più severa e, se da un lato l’accordo bilaterale doveva servire per snellire le procedure, dall’altro non poteva che essere un documento a maggior tutela dei diritti del minore. Con conseguenti paletti sempre più rigidi. Ed ecco l’intoppo: come in tutte le fasi sperimentali, è necessario essere molto prudenti. Capita quindi che i giudici non si fidino degli attestati rilasciati in Italia, pretendendo così che vengano ripetuti anche in Russia. Si sta ovviamente lavorando per limare tutti gli spigoli che si sono creati. Ma ci vorrà del tempo. Intanto il Ministero continua a convocarci per ascoltare le nostre opinioni e prendere nota delle difficoltà che si incontrano quotidianamente. Anche dalla parte italiana è stato fatto un grosso lavoro e si sono impegnate molte risorse. Ma le cose ancora da fare restano tante. Soprattutto perché, a mio parere, c’è un po’ di delusione in merito ai risultati finora raggiunti. Sos Bambino è stato il primo ente ad essere accreditato in Russia, e in tutti questi anni abbiamo visto molti cambiamenti. La difesa dei diritti dei minori resta per tutti una priorità, e in questo senso l’accordo si dimostra uno strumento valido per tutelarne i diritti, agevolando l’adozione. Abbiamo comunque bisogno dell’impegno dello Stato per supportare le famiglie in questo iter adottivo, snellendo un processo che viene ostacolato, tra le tante cose, anche dall’enorme estensione di un Paese che non facilita l’applicazione omogenea di tutte le regole.

NUOVA

STRADA

PER LE ADOZIONI

L’autore è Capo rappresentanza di Sos Bambino a Mosca

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In alto, a sinistra Oxana Corso davanti alle sue medaglie. Sotto, la famiglia Corso: Olga (a sinistra) e Oxana (al centro) con la mamma Angela. A destra, mamma Angela e papà Piero

sponde al nome di Tatiana. «È stata una fortuna averla incontrata», raccontano Angela e Piero. Lei, seduta sul divano del salotto di casa nel quale troneggiano le foto di Oxana e Olga (anche lei atleta tesserata nella Cariri Rieti), e lui in piedi, orgoglioso di mostrare trofei, coppe e, naturalmente, quelle due medaglie d’argento conquistate a Londra dalla figlia più grande. «Ci eravamo attivati per un’adozione in Perù, quando un’altra coppia che aveva adottato un minore in Russia ci fece conoscere Tatiana. CCi ha assistito nelle pratiche, ci ha fatto da interprete e poi ci parlò della possibile adozione di Olga, una bambina di sette mesi che si trovava in un orfanotrofio a San Pietroburgo. Andammo a conoscerla. Nello stesso periodo c’era lì una coppia che avrebbe dovuto adottare Oxana, sorella naturale di Olga. Oxana aveva due anni e sette mesi, aveva trascorso due anni in ospedale per un problema al piede destro. L’accoppiamento andò male. Ce lo raccontarono e noi demmo subito la nostra disponibilità ad adottare entrambe le sorelle». La scintilla già scattata con la piccola Olga si ripeté anche per Oxana. «Quando la vidi nel corridoio dell’orfanotrofio, Oxana si girò e mi disse: ‘Papi’ e da quel momento nessuno

LE IMPRESSIONI

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Sono state gettate le basi per una collaborazione più proficua e questo è sicuramente il primo elemento positivo dell’accordo. Ci sarebbero alcuni punti da definire e correggere, per migliorare un documento che ha tutte le carte in regola per fare da modello anche ad altri Paesi”

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All’interno di questo accordo quadro sarebbe necessario lavorare sulle singole fasi del procedimento adottivo, per apportare effettivamente quelle migliorie che potrebbero, nel concreto, snellire l’iter e ridurne le difficoltà” Egles Bozzo PRESIDENTE DELL’ENTE AUTORIZZATO SOS BAMBINO

avrebbe potuto più togliermi mia figlia», continua con un pizzico di commozione Piero, che in quel lontano 1998 lavorava come cuoco e oggi fa il tassista. Cambiamenti anche per Angela, che all’arrivo delle bimbe smise di fare la parrucchiera per dedicarsi completamente a loro. «Quando arrivammo a San Pietroburgo rimanemmo impressionati da

tutti quei bambini soli, dalla povertà che si respirava appena fuori dal centro. Nell’orfanatrofio mancava di tutto - continua papà Pietro -. Ogni volta che andavamo a trovare le nostre figlie portavamo sempre dei doni anche a tutti gli altri: una volta comprammo 25 chilogrammi di banane e un’altra volta quattro termosifoni portatili e altro ancora. Tra mediazioni, documenti, regali, viaggi per l’adozione abbiamo speso cento milioni delle vecchie lire… ma, guardando indietro, resto convinto che ne sia valsa davvero la pena». La procedura non fu semplice. «Quando tornammo a San Pietroburgo per portare a casa le nostre bambine, avevo imparato alcune parole

russe per parlare con Oxana», aggiunge tornando a quei giorni «Ma da quel momento lei non ha più voluto pronunciare una parola in lingua russa». In Italia il problema di Oxana si rivelò più grave di quanto fosse stato rivelato alla famiglia. «Alla prima visita in Italia, il professor Pierro ci spiegò che si trattava di un problema serio, di una cerebrolesione. Oxana fu operata tre volte in sette mesi, portò il tutore per anni. Ma non si è mai abbattuta», continuano Angela e Piero. Oggi Oxana e Olga, sono due adolescenti romane che crescono con la giusta serenità familiare. «Vinco perché in gara mi diverto e vi partecipo con il sorriso sulle labbra», ha sottolineato Oxana, tesserata per la Us Acli Terzo Millennio, dopo aver conquistato la seconda medaglia d’argento a Londra. Una frase incorniciata nel salotto di casa Corso. Una serenità che sarà davvero completa quando, fra qualche anno, tutta la famiglia Corso farà un viaggio fino a San Pietroburgo: «Perché ci piacerebbe che le nostre ragazze conoscano il posto da dove arrivano», concludono i due genitori. Il successo è anche un po’ loro, che in questi anni non si sono mai persi d’animo quando si è trattato di affrontare le difficoltà.


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Arte

GIOVANI CREATIVI

NOUVELLE VAGUE

NELLA CITTÀ NASCOST DARYA GONZÁLEZ RUSSIA OGGI

Non è così facile fare il lavoro che piace. Bisogna superare decine di ostacoli e risolvere centinaia di problemi: economici, morali, creativi. E decidere se rassegnarsi alle criticità o se abituarsi al fatto che esistono, ogni giorno si fanno sentire, fanno affievolire le speranze, ma al tempo stesso sono una fonte di ispirazione. I giovani provano a trovare ispirazione in qualsiasi cosa. Tra creatività e sentimenti, pregiudizi e mancanza di soldi.

Tutto dipende solo dalle proprie paure: della miseria, dell’insuccesso, di non essere compresi, di perdere la gioia di vivere e così via. Possono impedirti di recitare qualcosa, ma uno spettacolo nessuno può impedirti di metterlo in scena. Nel teatro tutto è possibile, tranne la volgarità e la noia”

KIRILLLAGUTKO(5)

C’è uno spiffero. Un piede della poltrona antica si è incastrato nei buchi del parquet sconnesso; un violoncello appoggiandosi al davanzale sbircia fuori dalla finestra socchiusa. Degli archetti pendono dal soffitto, appesi a fili sottili, seguendo il fremito del variopinto vestito a fiori appeso alla parete. In un angolo c’è una sagoma di cartone su cui è raffigurato un uomo dallo sguardo intenso, dietro cui si intravedono delle chitarre e una batteria smontata. Sul divano c’è un gatto dal pelo rosso, Vatslav, che gongola mangiando un pezzo di formaggio fuso. Il caffè scorre veloce lungo le pareti della caffettiera. Sono le cinque del mattino. Il Cistoprudnyj Bulvar si risveglia, suonano i clacson, le ruote fanno rumore sui binari del tram, borbottano le voci stanche dei ragazzi del sabato. Sasha (Aleksandra, ndr) fuma una sigaretta. Tra poco la sessione di esami alla facoltà di Regia dell’Istituto Shukinskoe (dove studia a distanza) ancora una volta la priverà del sonno per un mese intero. Anno dopo anno Mosca si conferma come una delle città più care del pianeta. Per la sua cena che si trasforma gradualmente in colazione, Sasha ha comprato una bottiglia di vino a buon mercato, una fetta di formaggio e del caffè. Sei anni fa, quando compì 17 anni, questa studentessa della facoltà di Critica teatrale del Gitis, trasferendosi dalla casa dei genitori in un appartamento di cui condivide l’affitto con i compagni di studi, non pensava nemmeno che un giorno avrebbe potuto fare il

lavoro che amava. Alle spalle aveva quattro tentativi falliti di entrare alla facoltà di recitazione, e quindi aveva frequentato la facoltà di Studi teatrali, dove si iscrivono tutti quelli che non hanno avuto fortuna nelle audizioni. La porta cigola. Mettere una serratura non avrebbe senso: nessuno sa che qui abita della gente e le persone che invece lo intuiscono sono sempre ben accette. Sulla soglia appare un ragazzo biondo platino che con molta stanchezza trascina nella stanza un contrabbasso. Lesha, compagno di studi di Sasha alla facoltà di Critica teatrale, lavora per la nota rivista moscovita “Afisha” di cui firma una rubrica intitolata “Il teatro con Aleksei Kiseliov”. Nel tempo libero, quando non è impegnato a scrivere caustiche recensioni, suona il contrabbasso, compone musica sperimentale. E quando la tristezza prende il sopravvento mette in scena lui stesso degli spettacoli. A differenza di Sasha, Aleksei non ha problemi economici: la fidanzata gli ha proposto di vivere nello studio di suo padre, uno scultore, per cui non hanno affitti da pagare. «Una volta abbiamo trovato il testo stenografato di un incontro tra Putin e alcuni rappresentanti del mondo della cultura” dice Lesha. Il titolo era: “Il capo del governo Putin ha incontrato i partecipanti e gli organizzatori della serata letteraria e musicale di beneficenza “Il Piccolo principe”. Il testo era senza autore, e abbiamo deciso di provare a giocarci un po’, di dargli una forma drammatica. Lo abbiamo intitolato proprio come lo stenogramma. Abbiamo cercato di escluderne qual-

In senso orario: Sasha mentre va a studiare all’Istituto Shukinskoe, Masha e Olya al lavoro e Kostya con i suoi disegni

siasi aspetto politico, ma tale aspetto naturalmente esiste a priori. Nel nostro Paese non ci sono problemi di censura, se lavori in un collettivo indipendente - aggiunge Lesha - L’unico problema è trovare un finanziamento per il progetto: naturalmente, in questo caso, nessun fondo e nessun ente statale è disposto a darti supporto». Sasha si è presentata alle audizioni per attori con costanza e caparbietà, prima di capire che voleva fare la regista. All’Istituto Shukinskoe è riuscita a entrare al primo tentativo. Per pagarsi il primo semestre di studi ha dovuto lavorare per un anno come barista di notte e partecipare a vari festival teatrali organizzati dai suoi compagni di università. Le lunghe conversazioni con i clienti del bar, che sedevano malinconici dall’altra parte del bancone, gli straordinari sul lavoro e le notti insonni hanno temprato il suo carattere e le hanno insegnato a non mischiare i drink. Solo vino, oppure whisky. Le sue amiche della facoltà di Critica

teatrale a volte si concedono di mischiare rum e coca cola. Il lavoro al Centro teatrale Mejerchold (Tsim) comincia all’una del pomeriggio, c’è tempo per dormire fino alle undici. Masha Starigina, per gli amici “Maman”, si dedica alla sua attività preferita: si occupa degli spettacoli. In generale, le piace darsi da fare. Allo Tsim Masha lavora come prima specialista dei progetti creativi. Nel tempo libero, che Masha ama comunque dedicare interamente al lavoro, Maman pubblica gli annunci dei suoi amici registi sulla propria pagina di Facebook. L’annuncio di oggi recita: «Mi servirebbero per favore tre pianoforti rotti, un po’ di mobili vecchi e degli elettrodomestici guasti. Se avete quello che mi serve passo io a ritirarlo alla fine di settembre! Grazie per l’attenzione». Masha lavora insieme a Olia, un’ex compagna di corso alla facoltà di Critica teatrale. Il ragazzo di Olia, Kostia, è uno scenografo e ha studiato con uno dei migliori insegnanti del nostro Paese, Dmitri Krymov. Attualmente è in corso

una sua mostra, i suoi lavori sono esposti in un teatro a Neglinnaya. Oltre a questo ha vari altri progetti, ma per ora nessun impiego fisso. «Sopravvivere facendo soltanto il lavoro che si ama è un compito difficile per un giovane regista e per i suoi attori. Ci sono spettacoli che hanno successo e che attirano folle di spettatori, ma sono delle eccezioni, dei casi isolati. In parte è un problema di produzione o di finanziamenti statali, del sistema teatrale nel suo insieme, dei mezzi troppo scarsi che vengono assegnati per la messa in scena, sempre che vengano assegnati. Dopo gli“anni d’oro”dell’accademia gli studenti, abituati a un carico di lavoro costante, si trovano “abbandonati” e non sono in grado di guadagnarsi dei soldi con la loro professione», spiega Masha. Sasha ha un’idea: quattro attori, luci dall’alto, monologhi, minimalismo e una domanda retorica:“chi sono io veramente?”. Tutti gli spettacoli a grandi linee si assomigliano. Così come le storie della gente. Katia ha conosciuto


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Katia al buffet del centro culturale “Bulgakovsij Dom” dove lavora come regista

Sasha sette anni fa e la sua storia, a prima vista, è molto simile: non ha terminato gli studi di Giornalismo, si è iscritta prima alla facoltà di Recitazione e infine a quella di Regia. Forse per i retaggi della sua prima professione, Katia ha un approccio molto “giornalistico”alla creatività: «In Russia si può mettere in scena qualunque cosa, anche se non dappertutto - dice Katia - questo “qualunque cosa” dipende solo dalle proprie paure: della miseria, dell’insuccesso, di non essere compresi, di perdere la gioia di vivere e così via. Possono impedirti di recitare qualcosa, ma uno spettacolo nessuno può impedirti di rappresentarlo in scena. Il pubblico non sempre mi capisce, ma questo può significare che io non ho scelto la lingua in cui par-

essere politico, documentario, psicologico di tipo classico, realistico, metafisico, convenzionale oppure no, e via dicendo. Ma tutte queste non sono che parole. Nel teatro mi interessano le persone. Quelle con cui ho a che fare sul palco, prima di tutto, perché un simile grado di apertura, di sincerità tra persone che magari si conoscono appena è possibile solo in teatro, nel processo di lavoro. In teatro tutto è possibile, tranne la volgarità e la noia non lo dico io, lo disse Stanislavski. Vado a teatro per vedere delle persone “belle”. E una “bella” persona può decidere di dire qualunque cosa dal palcoscenico - imprecare, spogliarsi, parlar male di Putin, questo è quel che penso io. Stanislavski non si pronuncia».

Lesha nella sua casa, mentre suona il contrabbasso e compone musica

L’ingresso principale del Centro Russo di Scienze e Cultura a Roma

Non solo avanguardie e Urss “Abbiamo tanto da raccontare” Da lontano è come vedere solo“la cima delle montagne”. Ma bisogna guardare oltre. Capire che non ci sono solo l’Urss e l’antica Roma, le avanguardie e il Rinascimento. Perché «i nostri due Paesi sono ricchi di storia, di sfumature: patrimoni culturali immensi che bisogna mettere in comunicazione». Oleg Osipov è nella biblioteca del Centro Russo di Scienze e Cultura, l’istituto che dirige e che è stato fondato lo scorso anno. Una vita come corrispondente della ItarTass. E ora, questa nuova sfida.

Come è stato accolto l’Istituto? I cittadini russi ne stavano aspettando l’apparizione quasi con ansia. E molti italiani ci hanno detto che è stato come aprire una piccola finestra sul mondo della Federazione. Non c’era nessun tipo di posto simile, non con questo tipo di struttura: ingresso libero, una biblioteca consultabile liberamente. Il numero dei visitatori aumenta settimana dopo settimana. Durante i concerti siamo costretti a portare in sala anche le sedie a rottole e i divani.

Dottor Osipov, lei ha iniziato come giornalista... Sono nato in una famiglia di giornalisti. Mio padre era corrispondente e io sono nato durante una sua missione a Baghdad. Ho frequentato la facolta di Giornalismo dell’Università Statale di Mosca. E poi ho lavorato quattro anni in Africa e sette in Italia. Nel 2005 sono tornato in Russia e lì ho lavorato al sito di Dmitri Medvedev dedicato ai progetti nazionali prioritari. Poi, nel 2010, mi hanno proposto di venire qui come rappresentante dell’Agenzia federale dei connazionali all’estero.

I vostri corsi di lingua russa sono un successo. Il nostro vantaggio è quello di essere un’organizzazione statale: siamo parte del Ministero degli Affari Esteri. E i nostri attestati sono certificati. Come sarà la vita del Centro nei prossimi mesi? Proseguiamo con il nostro metodo: mostre, concerti, seminari e relazioni anche sui rapporti tra le comunità scientifiche

dei nostri Paesi. Inoltre, abbiamo contatti con numerosi enti italiani: dall’Accademia di Santa Cecilia a La Sapienza, all’Università di Sassari. Vogliamo creare una rete con scuole, licei e atenei. Poi il lavoro con le associazioni dei connazionali russi che vivono qui in diverse regioni, dal Trentino fino alla Puglia e con quelle basate sull’amicizia Italia-Russia. Che direzione vuole imprimere al suo lavoro? Cerchiamo di presentare non solo i classici della nostra cultura. Vogliamo creare una mappa capace di contenere tutti i sentieri della cultura russa. Bisogna lottare contro gli stereotipi. E trasferire questo anche in Russia, dove c’è un’immagine, positiva, ma frammentaria dell’Italia: creare una visione d’insieme. Perché non esistono solo le automobili, le canzoni di Sanremo, la cucina e l’antica Roma. Preparato da Vladimir Zavialov

Come è arrivato a dirigere il Centro Russo di Scienze e Cultura? Era un altro mio compito. Il 2011 è stato l’Anno dello scambio culturale ItaliaRussia. Ci siamo resi conto che malgrado le relazioni secolari, i nostri due Paesi non avevano centri culturali. Solo oggi è venuta l’idea di fondare gli istituti di Mosca e San Pietroburgo e qui a Roma. È stato difficile passare dal giornalismo alla direzione del Centro? Prima la mia attenzione era focalizzata sul ricevere quante più informazioni possibili. Adesso lavoro non solo per ricevere ma per proporre. È un altro tipo di lavoro, diverso. Certo, è stato difficile cambiare la mia forma mentis. Ma ci sto riuscendo. Aiutato molto anche il fatto che già conosceva l’Italia... Quella per il Belpaese è una passione antica. Ho cominciato a imparare l’italiano per capire i vostri cantautori. Leggevo i testi delle canzoni scritti sul retro degli Lp. Non ho mai fatto lezioni di italiano, l’ho imparato vivendo, leggendo i testi delle canzoni e parlando con la gente. Lavorare qui è meraviglioso, anche se non mancano gli intoppi. Per esempio: abbiamo aspettato per sei mesi il permesso delle autorità italiane per esporre due bandiere - della Federazione Russa e della Repubblica Italiana al balcone di Palazzo Santacroce. Tutto questo nonostante ci sia un accordo intergovernativo per la nascita dei centri.

ALESSANDRO PENSO(2)

TA

INTERVISTA OLEG OSIPOV

Nella biblioteca del Centro di Roma si possono leggere i libri degli scrittori russi

LUCA FERRARI

largli. Credo che il pubblico possa capire tutto». Katia abita in un grande appartamento in condivisione insieme ad attori, scenografi e altri giovani che lavorano al centro culturale “Bulgakovskij Dom”. In mezzo alla sua stanza c’è una grande vasca da bagno nella quale per ora le tocca dormire. In compenso, il suo spettacolo Moi papa (Mio papà, ndr) è stato in tournée in Polonia e in Germania, dove la regista Katia non è potuta entrare: le è stato rilasciato il visto troppo tardi. L’appartamento le è stato assegnato gratuitamente dai proprietari del centro culturale, e la giovane regista non ha bisogno di pagare l’affitto, che al centro di Mosca sarebbe caro. Qualche tempo fa Katia e Sasha insieme hanno messo in scena delle opere di Bulgakov, hanno ideato gite teatrali e serate di poesia. Katia guadagna 7mila rubli mensili (circa 150 euro, ndr), arrotonda lo stipendio come sceneggiatrice e costumista, fattorina, attrice e insegnante. Eppure, qualunque lavoretto faccia per guadagnare un po’, ribadisce orgogliosa: «Io sono una regista». Per Sasha questo è un momento fortunato: il responsabile del suo corso le ha proposto di mettere in scena uno spettacolo nel suo laboratorio teatrale; le prove del progetto sono in corso, Sasha interpreta il ruolo della protagonista e ha un mucchio di testo da imparare. Due settimane fa stava per abbandonare l’istituto, ma adesso non ha più fretta di farlo: «Il teatro può

Cultura

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Oleg Osipov, direttore del Centro russo di Scienze e Cultura


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Storia

no agli appartamenti da ampi corridoi di circa 4 metri illuminati da una fila di finestre. Agli architetti dell’inizio del Novecento si presentava un compito difficilissimo: attenuare i contrasti sociali, fornire lo spazio necessario a operai e padroni che si erano definitivamente scambiati di ruolo, rispondere alle esigenze dei nuovi uomini d’affari, di includere in modo armonioso le macchine nel loro stile di vita. Gli architetti si tuffarono alla ricerca di nuove forme, appassionandosi alle figure geometriche e all’idea di laconismo. Rifiutarono “l’arte per l’arte”, tastando però al contempo il terreno per un nuovo concetto di design come mezzo per rendere qualsiasi oggetto il più utile e accattivante possibile. Oltre alle abitazioni dei lavoratori a Mosca emerse con urgenza la richiesta di Palazzi del lavoro, fabbrichecucine, spaziosi garage e molto altro. Gli architetti del tempo seguirono la regola dell’eliminazione del superfluo a favore dell’utilizzo razionale di ogni elemento costitutivo dell’edificio. Grandi esperimenti furono fatti nella stessa direzione anche sul tema delle fine-

Le opere degli anniˇ20 e ˇ30 del secolo scorso hanno impresso una svolta radicale al modo di costruire nella Federazione. Ma il tempo mette a rischio la tenuta di molti manufatti. ANNA VEKLICH RUSSIA OGGI

«Un’incessante meccanizzazione della vita»: così l’architetto Moisei Ginzburg definì nel libro “Stil i epocha” (Stile ed epoca, ndr) gli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Fu uno dei primi a formulare i principi del costruttivismo nell’architettura e a rendersi pienamente conto che occorreva inscrivere ogni tipo di macchina, facente ormai parte integrante della quotidianità, in un nuovo stile di vita, nella sua psicologia ed estetica. A un certo punto nella Russia post rivoluzionaria i trionfanti lavoratori non chiesero più soltanto fabbriche, ma anche locali dove avrebbero potuto rilassarsi dopo una faticosa giornata di lavoro. La rete dei trasporti iniziò a svilupparsi, la popolazione cittadina cresceva e con essa la capitale. In queste nuove condizioni, gli elementi architettonici decorativi si trasformaroREUTERS

L’architettura della rivoluzione Nella foto in alto, Massimiliano e Doriana Fuksas insieme a Mosca. Il grande architetto racconta ai lettori di Russia Oggi le sue impressioni sulla capitale russa. Partendo dai ricordi e dalle origini familiari, l’intervista si trasforma in un viaggio tra i sogni che possono diventare realtà. Le costruzioni degli anniˇ20 e ˇ30 diventano la base di partenza per sviluppare il futuro, che necessariamente dovrà essere all’insegna della sostenibilità ambientale, concepita non solo con l’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti, ma come tratto caratteristico di tutta la progettazione urbana. Un obiettivo che è possibile raggiungere senza contrastare la storia dell’urbanistica cittadina e senza costi eccessivi.

Quante volte ha visitato Mosca per ragioni professionali o anche solo personali? Dagli anni Sessanta in avanti, direi almeno 15 volte. Se dovesse provare a descrivere la città, come la definirebbe? Direi che è una città in attesa, che si sta sviluppando per gradi, anno dopo anno, ma senza mostrare una particolare fretta. Sono convinto che, nel momento in cui prenderà davvero coscienza delle sue potenzialità, diventerà la più grande del mondo. Ci fornisce un giudizio di Mosca dal punto di vista architettonico? Guardando le costruzioni presenti in città, soprattutto nel nucleo centrale, il periodo più interessante secondo me rimane quello cosiddetto “di Stalin”,in cui emerge una dignità, una forza difficile da ritrovare in seguito. Un discorso che vale anche per gli edifici che non sono ancora stati restaurati: il loro valore resta comunque evidente nelle parti che sono giunte intatte fino ai giorni nostri. Anche se indubbiamente necessitano di interventi per far emergere tutto il loro valore. C’è un modello architettonico che la colpisce più di altri e orienta il suo lavoro? Su tutti il Neoclassico. Ma anche la piccola architettura con quei colori incredibili, piccoli verdi, piccoli azzurri, piccoli rosa. Segnali che dicono molto della storia russa tra l’Ottocento e il No-

vecento. Ci sono tentativi interessanti anche sul fronte dell’architettura contemporanea. Prendiamo il caso di Skolkovo (una sorta di Silicon Valley russa, situata alle porte di Mosca, ndr): qui ci sono tentativi di nuova architettura, esperimenti per certi versi interessanti, ma manca ancora una vera e propria caratterizzazione. C’è una cosa che le piacerebbe realizzare a Mosca? Si, molte. Ho in mente, per esempio, un quartiere con un elevato livello di sostenibilità grazie a un massiccio ricorso al green building, oltre che a scelte architettoniche mirate. Insomma, la mia idea è di tenere insieme bassi consumi energetici, integrazione con il territorio circostante e bellezza del manufatto. Si tratta di un risultato non così difficile da raggiungere, in fondo. L’importante è muoversi per piccoli passi, scegliere le soluzioni più adatte di volta in volta, senza pensare ai massimi sistemi. Tocchi una cosa e un piccolo problema ti fa vedere quella più grande. Si può distruggere un edificio perché il luogo dove si trova sta veramente male. Se no, lo puoi sempre sistemare e riorganizzare. Cosa la lega alla Federazione, al di là delle esperienze professionali? La mia famiglia ha origine lituane: così, quando è caduto il regime, è venuta a vivere a Mosca. Questa cosa si è tramandata nei ricordi dei miei avi.

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Preparato da Camilla Shin

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no in atavismi che occupavano dello spazio in modo ingiustificato. L’esigenza di nuove soluzioni per lo spazio urbano si manifestò con forza. La Rivoluzione e la Prima Guerra Mondiale avevano definitivamente cambiato la composizione sociale. Le donne erano chiamate alla produzione. Il femminismo provocato da fattori esterni spronò le moscovite a esigere una nuova moda, nuovi svaghi e negozi dove poter comprare l’occorrente per una moderna abitante di una grande città. Avevano bisogno di una casa “in coabitazione” dove la vita in comune permettesse di affrontare i crescenti ritmi lavorativi. A chi non era pronto a cambiamenti così radicali gli architetti proposero in alternativa le case di transizione, dove l’ambiente familiare non scompariva del tutto. Un edificio di questo genere, la Casa del Narkomfin (Narodnyj Kommisariat Finansov Commissariato del popolo delle finanze, ndr), costruito da Ginzburg in collaborazione con Ignatij Milinis, si trova ancora oggi sul Novinskij Bulvar ed è accessibile per scopi di studio culturale. La casa fa già parte della lista dei monumenti della cultura mondiale che rischiano di scomparire e necessitano di un massiccio restauro. Ha la forma di un parallelepipedo di sei piani lungo 85 metri e alto 17 metri, pensato per ospitare 200 persone, per le quali era stata progettata quasi una decina di tipologie abitative, tra cui uno studio su due piani con i soffitti alti 4,6 metri. Gli inquilini accedeva-

stre, di cui si conserva traccia a Mosca. Ora, però, la vera sfida è preservare questi manufatti in buona parte rovinati dal tempo e reperire i fondi necessari perché non si ceda alla tentazione di abbatterli per una ragione di costi.

Gli edifici del Ministero dell’Agricoltura e del CentrSoyuz sono esempi di costruttivismo russo


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