Pasqua Memoriale della Redenzione

Page 1

Luigi Schiatti

PASQUA

Memoriale della Redenzione


PASQUA

Memoriale della Redenzione


Luigi Schiatti

PASQUA

Memoriale della Redenzione


INDICE PER CAPIRCI ........................................................................... pag.

5

MEMORIALE .......................................................................... pag. LA PASQUA… OGGI ............................................................. pag.

6 6

LA PASQUA DEGLI EBREI ................................................ pag.

8

CELEBRARE UN RITO ................................................................. pag. 8 Il popolo di Israele La vigna del Signore Il fatto e il rito COMPIERE UN PASSAGGIO ........................................................ pag. 14 L’agnello pasquale

LA PASQUA DI GESÙ .......................................................... pag. 17 CELEBRARE UN RITO ................................................................. pag. 17 COMPIERE UN PASSAGGIO ........................................................ pag. 17 Come Gesù celebrò la sua ultima Pasqua? Il Triduo Santo di Gesù

LA PASQUA DELLA CHIESA ............................................ pag. 30 RICORDO ..................................................................................... pag. 31 RINNOVAZIONE ......................................................................... pag. 37 PREPARAZIONE .......................................................................... pag. 39 La speranza 2


IL TRIDUO PASQUALE ....................................................... pag. GIOVEDÌ SANTO ......................................................................... pag. VENERDÌ SANTO ........................................................................ pag. SABATO SANTO ........................................................................... pag. Davanti al sepolcro

42 42 44 48

DOMENICA DI PASQUA .................................................... pag. 52

3



PER CAPIRCI È un modesto aiuto per prepararci a rivivere “cordialmente” (sì, con il cuore!) la Pasqua annuale con rinnovato frutto. Non si tratta di uno studio teologico o biblico. Sono suggerimenti fondamentalmente derivanti dalla liturgia della Pasqua, di tutto il Triduo pasquale. È augurabile che col passare delle settimane della Quaresima si dedichi più tempo, soprattutto più cuore, a prepararci a ben celebrare la Pasqua, che è, come tutti sanno, l’atto centrale dell’intero anno liturgico e la fonte della vita della Chiesa. Scriveva il Card. Martini in una lettera pastorale: «… la Pasqua cristiana! È parola da cui tutta parte ed a cui tutta arriva la nostra vita religiosa e morale; è sorgente ed è traguardo; principio e fine. Non è estranea alla molteplicità e all’urgenza delle questioni, che in campi diversi impegnano la nostra esperienza e il nostro interesse, perché, se tutto in Cristo deve essere incentrato (Ef. 1,10), tutto ha riferimento a questo momento centrale e vitale delle nostre relazioni con Lui. E l’abitudine della celebrazione annuale non la misura, non la esaurisce». A sua volta Mons. Bruno Maggioni scrive: «Scorrendo i testi del Nuovo Testamento si resta sorpresi dalla varietà dei modi con cui si parla della risurrezione di Gesù. Questo mostra che la risurrezione penetrava e modellava tutte le manifestazioni dell’esistenza cristiana: la predicazione, il culto, la vita comunitaria, le scelte morali. Le comunità cristiane primitive hanno capito Gesù e se stesse partendo dalla fede nella risurrezione, e in questa fede hanno trovato il coraggio per leggere le loro vicende e per decidere le loro scelte». (B. Maggioni, I racconti evangelici della risurrezione, Cittadella editrice, pag. 5) E noi? Ci prepariamo a celebrare ogni anno la Pasqua in un modo “nuovo”? La nostra vita quotidiana, feriale, diventerebbe più… cristiana, addirittura più… “cristocentrica”. E saremmo tutti una testimonianza più efficace di Gesù vivente anche oggi nella storia. 5


MEMORIALE È un termine oramai riservato quasi esclusivamente a un uso liturgico. Comprende tre elementi, come tre facce inseparabili e complementari di un unico cristallo.: RICORDO – RINNOVAZIONE – PREPARAZIONE Ha sempre come oggetto un fatto-mistero della vita di Gesù, uomo-Dio e Salvatore. Il RICORDO ci invita a ripensare, richiamare alla memoria e quasi a rivedere almeno con la fantasia un determinato fatto della vita di Gesù. Questo primo elemento di un “memoriale” dà concretezza alla liturgia, che in tal modo non si riduce a una pura lettura di testi sacri, o a una semplice riflessione spirituale: la liturgia è… azione! La RINNOVAZIONE non è la ripetizione del fatto ricordato. Ma, mediante la celebrazione liturgica, si rinnova l’efficacia misterica e salvifica di quella azione di Gesù. In altre parole: si rende attuale, presente “qui e ora” ed efficace il valore salvifico di quanto Gesù ha compiuto durante la sua vita mediante quell’atto. La PREPARAZIONE ci rimanda addirittura all’incontro finale con Gesù glorioso e giudice, che avverrà al termine della storia. Ciò significa che ogni volta che noi celebriamo mediante la liturgia un “memoriale” della vita di Gesù, ci rendiamo più pronti positivamente all’incontro finale con Gesù a cui tendono inevitabilmente i nostri giorni con le nostre decisioni e azioni personali. LA PASQUA… OGGI La Pasqua non è uno dei tanti momenti dell’anno liturgico: è il momento più importante, da cui dipende tutta la vita della Chiesa e nostra personale. Inoltre fonda la sua origine nel popolo 6


d’Israele, e fu il punto di arrivo dell’intera azione salvifica di Gesù; fu il motivo per cui il Verbo si incarnò. La Chiesa, celebrando la Pasqua, ricorda e rivive sia la Pasqua degli Ebrei, sia quella di Gesù, e rende attuale ed efficace la redenzione per ciascuno di noi. Trattandosi dunque di un fatto eccezionalmente importante, anzi “unico”, i tre aspetti di questo “memoriale” vanno affrontati sotto tre angolature: a) la Pasqua degli Ebrei b) la Pasqua di Gesù c) la Pasqua della Chiesa, cioè nostra In concreto: che cosa voleva dire “fare Pasqua” per i nostri… fratelli maggiori, gli Ebrei?; per Gesù? E soprattutto: per noi, che cosa significa e comporta il “celebrare la Pasqua oggi, ogni anno”? È ovvio che i tre aspetti di questo “memoriale” riguardano in pienezza la Chiesa, cioè tutti noi, ciascuno personalmente e comunitariamente. Per tutti (Ebrei, Gesù, Chiesa) “fare Pasqua” significa: – Celebrare un rito – Compiere un passaggio.

7


LA PASQUA DEGLI EBREI CELEBRARE UN RITO Per iniziare, poniamoci qualche domanda: – Che cosa ha significato per gli Ebrei celebrare annualmente la Pasqua come ricordo? – Ricordo di che cosa? – Innanzi tutto: che cosa era per loro la Pasqua? – Era una festa istituita da loro o c’era già? Prima, però, poniamoci altre domande sul popolo ebreo: – Perché Dio ha scelto proprio il popolo d’Israele per essere attivamente presente nella vita degli uomini come “Signore della storia”? – Com’era il popolo ebreo? Che cosa aveva di speciale per essere preferito agli altri popoli? Era forse un popolo particolarmente religioso? – Qual era il rapporto di questo popolo con Dio? Schematicamente rispondo con questi rilievi: – Dio crea ogni cosa per amore; soprattutto crea l’uomo per avere un “tu” esterno a Sé a cui donarsi. Anzi, crea l’uomo a “sua immagine e somiglianza”; e per la felicità dell’uomo crea tutte le cose… belle! Vale la pena di rileggere i primi tre capitoli del libro della Genesi, che è il primo libro di tutta la Bibbia. – L’uomo Adamo, creato “libero” perché è a somiglianza di Dio, usa male della sua libertà e rifiuta Dio come fonte della sua realizzazione e felicità, e commette il “peccato originale”. È il racconto di Genesi 3. – Dio, però, promette subito di “rimettere” l’uomo nella sua condizione di felicità; in un certo senso vuol rifare la dignità dell’uomo. Dice espressamente Genesi 3,15: «Io porrò inimicizia tra te (serpente – Satana) e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». I Padri della Chiesa hanno sempre visto in questa “stirpe” una prefigurazione del Messia. 8


– Nel tempo, quando Dio volle, (Sì, quando Dio liberamente volle!), decise di attuare il Suo disegno… divino. A tale scopo scelse un popolo, il popolo ebreo, come… luogo, spazio concreto della Sua presenza tra gli uomini. Notiamo: un popolo, non un singolo uomo o una casta! – Dio si rende attivamente presente in questo popolo e partecipa alla sua vita concreta. Qualche volta la Bibbia ci scandalizza per la concretezza e rudezza con cui presenta Dio in azione nel popolo di Israele. Pensa alle guerre, alle stragi e alle varie atrocità commesse da tanti re e capi… per comando di Dio – dice la Bibbia! – Ma tutto questo modo di narrare fa parte del linguaggio degli autori dei vari libri e della cultura del tempo. – Col popolo scelto, il popolo d’Israele, Dio stabilisce per Sua iniziativa un patto, l’ALLEANZA, e fissa delle leggi che il popolo deve osservare, i Comandamenti, o Decalogo (Deuteronomio, 5, 1-22). – Che cosa mosse Dio a scegliere questo popolo, piccolo e capriccioso? Non lo sappiamo. Questo fa parte della libertà di Dio. A noi resta solo il dovere di accettare la divina volontà. – A questo punto si fa impellente un’altra domanda: Com’era questo benedetto “popolo d’Israele”? IL POPOLO D’ISRAELE Era un popolo diverso dagli altri: aveva una sua storia originale e religiosa. ORIGINALE – Era un popolo piccolo rispetto a quelli confinanti; diviso al suo interno in vari gruppi litigiosi tra loro; – spesso schiavo, ma mai sottomesso, tanto meno annullato; – trovava sempre in sé una forza strana per ricostituirsi, dopo guerre e sconfitte, grazie a uomini straordinari (i Patriarchi, i Giudici…) e interpreti della volontà di Dio (i Profeti). 9


RELIGIOSO – Vede la propria storia, anche politica, sempre in chiave religiosa: Dio stesso partecipa alla vita del popolo, e il popolo legge la sua storia come vittoria del suo Dio o come castigo per l’infedeltà di tutto il popolo a Dio. – Ha un profondo senso di dipendenza reale dal suo Dio. – Si sente addirittura guidato da questo Dio forte mediante “inviati”(Patriarchi, Giudici, Profeti…) – Ha vivissimo il senso della colpa per l’infedeltà nell’amicizia con Dio. E il peccato consiste sempre nella rottura dell’Alleanza con Dio. – Vive nell’attesa di un rinnovamento vero interno al popolo ed esterno ad esso, specie come vittoria sui popoli vicini. Come conseguenza, ha – una legge speciale e inviolabile (la Torah, la Legge!) – una liturgia precisa fondata sull’“agnello pasquale”, come ricordo della liberazione dalla schiavitù egiziana e attesa di un salvatore. In modo tutto particolare, anzi unico, il popolo d’Israele viveva un patto speciale di amicizia con Dio, l’ALLEANZA, che Dio stesso nella Sua libertà aveva stabilito con il popolo. Israele, però, doveva responsabilmente accettare l’iniziativa di Dio e viverla mediante l’osservanza della Legge, che per questo motivo aveva un valore sacro. LA VIGNA DEL SIGNORE La Sacra Scrittura usa un’immagine agreste e significativa per parlare del popolo d’Israele, il “popolo eletto da Dio” mediante l’Alleanza e per indicare il suo compito tutto particolare: la “vigna”. Il popolo d’Israele è… LA VIGNA DEL SIGNORE. – dice la Bibbia. Questa vigna è il luogo privilegiato della presenza attiva 10


di Dio tra gli uomini, nella storia. E Israele occupa un posto di preminenza di fronte a tutti i popoli circonvicini. E per noi cristiani questo popolo è davvero “il fratello maggiore”: per noi cristiani è impossibile prescindere dalla storia d’Israele. Mi pare opportuno ascoltare un passo significativo del profeta Isaia al riguardo: «Così dice il Signore Dio: “Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi». (Isaia 5, 1-7) Qualche parola di commento: Trattandosi del “popolo eletto” con un compito che sfida i tempi, ci saremmo aspettati l’immagine di un albero maestoso e che vive per secoli sfidando i capricci della natura: un ulivo, un cedro, una quercia…; invece Isaia preferisce la vite, che non pare, a prima vista, la scelta migliore. La VITE è brutta d’aspetto: sia per la pianta in sé, sia per i rami… lunghi, storti…; la vite non si regge in piedi da sola: ha bisogno di appoggiarsi a un sostegno, a un albero sicuro, o di essere appesa a qualche appiglio…; è capricciosa: vuole sole e acqua al tempo giusto e solo nella misura necessaria, se no non produce uva buona…; non sopporta troppi pampini; vuol essere potata al 11


momento giusto, ecc…; richiede assidua attenzione e cura da parte del vignaiolo… Però: – dà un frutto gustosissimo e dolce: a chi non piace l’uva?! – il vino è anche un aiuto alla salute se preso con moderazione; dà gioia e allegria, è occasione di amicizia, di comunione… Allora, la vite è un’immagine molto adatta per indicare il popolo d’Israele. Infatti – dice il Profeta – Dio è molto attento alla sua vigna, al suo “popolo eletto”(rileggi i primi versetti del brano). Il popolo invece è spesso peccatore e rifiuta, o almeno rompe, l’alleanza con Dio («essa produsse acini acerbi»)… È davvero toccante il… “dolore di Dio”: «Che cosa dovevo fare ancora…?» Era quindi inevitabile il castigo (vedi la seconda parte della citazione di Isaia). Però il castigo d’Israele non è inflitto da Dio, bensì è lo stesso popolo che, rotta l’alleanza con Dio, è in balia di se stesso, delle proprie passioni negative e della violenza degli altri popoli; ecco le guerre, le schiavitù, le distruzioni ecc. IL FATTO E IL RITO Mi chiedo: In che cosa consiste la Pasqua degli Ebrei? E che cosa celebra per loro il rito della Pasqua? In breve. Già molto anticamente i pastori nomadi dell’Oriente compivano un gesto simbolico e propiziatorio: uccidevano un agnello e lo consumavano insieme in segno di solidarietà, invocando la protezione di un dio, prima di dividersi per raggiungere i nuovi pascoli all’arrivo della primavera. Già questo fatto, il momento dell’anno in cui si compiva tale gesto – la primavera – dice vita nuova, freschezza, gioia…, ed era vissuto anche come gesto religioso. Anche i pastori israeliti in primavera compivano questo gesto comunitario e propiziatorio. 12


Nel 1250 a.C. circa questo rito si caricò di un significato particolare per i discendenti di Abramo: il passaggio dell’angelo di Dio durante la schiavitù egiziana nella notte della liberazione (Ricorda le dieci piaghe d’Egitto): Dio viene a liberare il suo popolo. Esodo 12 1-14 descrive il fatto della Pasqua, ossia il passaggio dell’angelo vendicatore a nome di Dio. Come mai? Il faraone d’Egitto non voleva lasciar andare gli Ebrei; Dio invia dieci castighi per costringerlo a lasciare libero il “popolo eletto”. L’ultimo castigo (L’uccisione dei primogeniti) convinse il faraone a lasciar partire gli Ebrei: «È la Pasqua del Signore! In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dei d’Egitto. Io sono il Signore!» (Esodo 12, 12) Quindi il fatto della Pasqua degli Ebrei consiste nel passaggio dalla schiavitù egiziana alla libertà. “Pasqua” significa proprio “passaggio”. La meta è la Terra Promessa, quindi per loro celebrare la Pasqua significava celebrare la raggiunta libertà. felicità. abbondanza di beni… per intervento del Dio dell’Alleanza. Un altro fatto significativo della Pasqua ebraica è il “passaggio del mar Rosso” (Esodo 14), come superamento di un ostacolo naturale umanamente insuperabile con le proprie forze. La Bibbia narra che le acque del mar Rosso si aprirono in due parti per lasciar passare gli Ebrei – e solo gli Ebrei – “a piedi asciutti”. (quindi senza sofferenza). Invece gli Egiziani inseguitori furono tutti annegati. Stando all’autore sacro gli Ebrei superarono questo ostacolo (il mare) perché erano fedeli a Dio e amici di Dio; gli Egiziani, no, perché erano presentati come avversari del vero Dio, Jahwè. Questo è il fatto. La celebrazione annuale della Pasqua ebraica era la rievocazione di questo fatto, che era fondamentalissimo per il popolo ebreo. La Bibbia ne presenta con descrizione precisa come doveva svolgersi il ricordo e la rievocazione del fatto del passaggio dell’angelo vendicatore. 13


Per quanto riguarda il rito della Pasqua ebraica suggerisco di leggere con attenzione alcuni capitoli del libro dell’Esodo; in particolare: il cap. 12: il passaggio dell’angelo uccisore dei primogeniti nella notte della liberazione dalla schiavitù egiziana; e la descrizione del rito imposto da Mosè; il cap. 14: il passaggio del Mar Rosso; il cap. 15: il canto di ringraziamento per la liberazione ottenuta e per la vittoria sulle acque del mare. COMPIERE UN PASSAGGIO Storicamente il popolo ebreo compì davvero un passaggio: per opera di Dio – dice la Bibbia – fu fatto passare da una situazione di schiavitù, quella egiziana, a quella di libertà nella Terra promessa, per essere liberi e per servire fedelmente Dio! Per questo motivo, soprattutto perché sa che la liberazione è opera di Dio, il popolo si scuote, va verso l’orizzonte sconfinato del deserto, dove il suo Dio l’aspetta, ed è disposto ad affrontare le difficoltà. Allora, celebrare annualmente il rito della Pasqua voleva dire soprattutto celebrare la bontà di Dio, la Sua attenzione di amicizia (l’Alleanza!) verso il popolo ebreo. E godere di tale amicizia di Dio impegnandosi ad osservare l’Alleanza, ossia impegnandosi ad osservare la Legge, i Comandamenti. Però il passaggio dalla schiavitù alla libertà è difficile e in certi momenti il popolo ne sente il peso. La schiavitù ha un suo fascino: non ci sono decisioni da prendere; le pentole sono piene di patate e di cipolle – dicono –. È assai più difficile gestire la propria libertà. Da qui la tentazione del deserto: tornare indietro, in Egitto: “Perché ci hai fatto uscire?” – gridano a Mosè –. Ricordiamo che la celebrazione annuale della loro Pasqua ha 14


per gli Ebrei il compito, non di rinnovare l’efficacia oggettiva del fatto della liberazione dalla schiavitù, bensì è un invito a ritornare con la memoria alla notte della liberazione e ad impegnarsi ancora a mantenere i patti stabiliti con Dio mediante Mosè. Quindi, si tratta di una rinnovazione morale, direi: volontaristica, ben differente dalla nostra Pasqua. Direi anche: per loro la celebrazione annuale della Pasqua è il passaggio dal semplice ricordo alla constatazione della realtà, ossia: la libertà donata da Dio. L’AGNELLO PASQUALE Nella celebrazione annuale della Pasqua aveva un posto particolare l’agnello. Riferendosi all’antica usanza dei pastori di sacrificare un agnello per festeggiare l’arrivo della primavera (cioè il rinnovo della vita della natura), la Legge ordinava agli Ebrei di uccidere un agnello per celebrare la loro Pasqua e di sporcare gli stipiti della porta del locale, in cui erano riuniti a consumare questa cena, con il sangue dell’agnello. Così, l’angelo vendicatore, vedendo gli stipiti sporchi di sangue, non entrava ad uccidere i primogeniti, ma… passava oltre, e gli ebrei erano salvi e pronti per partire verso il deserto e la terra promessa. Precisa è la descrizione che ne fa il libro dell’Esodo, al cap. 12°. La figura dell’“agnello pasquale” è sempre stata vivamente presente nel popolo per tutto l’Antico Testamento e sempre veniva scrupolosamente osservato questo ordine di Mosè. Anche Giovanni Battista ha usato questa immagine quando amministrava il battesimo. Ma, indicando il Messia presente, lo chiamerà addirittura l’Agnello di Dio; lo dice il Vangelo di Giovanni: «Ecco l’Agnello di Dio» (Gv. 1,36): «ecco colui che toglie i peccati del mondo». Senza dubbio la dichiarazione del Battista segna un chiaro e forte legame tra i due Testamenti, tra la vita liturgica degli Ebrei e il Messia, Gesù IL CRISTO. 15


È interessante questo legame mediante la figura dell’agnello: l’“agnello pasquale” del popolo ebreo diventa addirittura “Agnello d Dio” sulla bocca del Battista. Pertanto tutto quanto riguardava la figura dell’“agnello pasquale” riguardava anche la persona di Gesù; anzi, in Gesù si realizza realmente quanto detto allora sull’agnello. È utile fare qualche osservazione che dia luce alla dichiarazione del Battista: Nella mente degli Ebrei onesti del tempo di Gesù l’acclamazione di Giovanni Battista fa notizia. – Ci siamo – dicono –: la speranza e l’attesa del Messia salvatore e liberatore diventa finalmente realtà. Da qui nascono tanti pensieri, tanti desideri e tanti impegni di rinnovamento…! – Questo agnello è una persona e una persona ben definita: è Gesù di Nazaret! Però incomincia subito qualche perplessità, qualche difficoltà, persino qualche sfiducia nei suoi confronti: «È uno di noi! – dicono – Chi pretende di essere?». Gli israeliti si aspettavano un uomo forte, un… uomo d’armi, condottiero; non uno come loro. Un uomo “comune”, anzi, troppo comune. – Costui ci libererà dai peccati contro l’Alleanza con Dio, quindi dall’ira di Dio! E non saremo più schiavi.

16


LA PASQUA DI GESÙ CELEBRARE UN RITO Gesù, come un buon israelita, celebrava ogni anno la Pasqua secondo le prescrizioni di Mosè. Ogni famiglia, o gruppo di persone, si procurava un agnello, lo portava al tempio di Gerusalemme per farlo immolare dai sacerdoti; poi, a sera, in casa, lo si consumava tra preghiere e canti, rievocando quanto Dio aveva fatto per la liberazione dall’Egitto. Ricorda la notte del passaggio dell’angelo vendicatore. Dunque, anche per Gesù la celebrazione della Pasqua consisteva in un sacrificio, l’uccisione di un agnello, e nella conseguente cena in comune tra familiari e amici. Un valore particolare acquistava l’immagine di Isaia dell’“agnello pasquale”, che proprio in Gesù diventava l’“agnello di Dio”. Da ragazzo e da adulto Gesù celebrava ogni anno la Pasqua con Maria e Giuseppe e con i familiari. Invece negli anni della vita pubblica la celebrava ovviamente con i suoi discepoli, che sono diventati i suoi veri amici e i familiari. COMPIERE UN PASSAGGIO L’ultima Pasqua che Gesù celebra con i suoi discepoli non è più un semplice ricordo di un fatto storico (la liberazione del popolo ebreo dagli Egiziani); diventa realtà attuale, una nuova realtà, vero “passaggio” di Gesù; addirittura è l’atto salvifico per tutta l’umanità e l’atto che sta al centro di tutta la storia di ogni tempo e per ogni uomo di tutti i tempi. È… l’“ORA” di Gesù! Tutta la sua vita pubblica tende a questo momento straordinario e unico: è il motivo per cui il Verbo si è incarnato! 17


Quindi, l’ultima Pasqua di Gesù, la Pasqua per antonomasia, è… l’ora della storia, è il momento che sta al centro di tutta la storia; è quello che scandisce “il prima e il poi”. Tutto quanto ha preceduto questa Ora è una preparazione alla Pasqua di Gesù e a riconoscere che la vera Pasqua è quella di Gesù. E tutta la storia che viene dopo di Lui riceve luce e significato da questa Pasqua! Anche Gesù nella “Sua” Pasqua ha compiuto un vero passaggio: dalla morte (È un uomo!) alla vita; “da questo mondo al Padre” (Gv 13,1) Gesù non solo ha finalizzato tutta la sua vita alla “Sua” Pasqua, quella vera, ma l’ha preparata. Prima non permetteva ai discepoli e ai “miracolati” di parlare di Lui e dei suoi miracoli, perché non era ancora giunta la sua Ora (Ricorda alle nozze di Cana: “Non è ancora giunta la mia ora”). Adesso invece, perché è giunto il momento, vuole esplicitamente che si sappia che ormai è giunta la Sua “ORA” e la prepara con cura. Scrive C. M. Martini che Gesù, prima della sua passione, manifesta «una precisa volontà di farsi conoscere come re da tutto Israele. Anche il tempo e il luogo sono ottimamente scelti: il tempo è quello dell’approssimarsi della Pasqua, la festa principale dei giudei, quella che ricordava la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto; il luogo è Gerusalemme, dove solevano entrare per la coronazione i futuri re d’Israele e dove si radunava, in occasione delle feste, una moltitudine di gente da tutto il mondo allora conosciuto» (Martini, Colti da stupore, Mondadori, pag. 39). Tutto ciò Gesù lo vuole affinché la sua morte acquisti un valore solenne, regale, e non sia un semplice fatto individuale. Gesù vuole che questa sua particolare Pasqua sia celebrata in un certo luogo, al piano superiore di una determinata casa (il Cenacolo), manda due suoi discepoli da un amico che abita a Gerusalemme a dirgli: «Il mio tempo è vicino: farò la Pasqua da te con i miei discepoli» (Mt 26,18). E, mettendosi a tavola, dice: «Ho desiderato ardentemente mangiare questa Pasqua con voi» (Lc 22,15). Dice. “ardentemente”, perché sa con certezza che questa volta la sua Pasqua non è come le altre, non è solo “ricordo” della liberazione del popolo dalla schiavitù egiziana, ma è la “realizzazione” vera della liberazione del 18


popolo, non dalla schiavitù egiziana, ma da ogni schiavitù, soprattutto da quella del peccato; e anche della liberazione di tutta l’umanità dal peccato. Anzi, è certo che la Pasqua che sta per celebrare questa sera con i suoi discepoli è addirittura la riconciliazione definitiva di Israele con Dio, da cui l’uomo si era… allontanato con il peccato di Adamo. Quindi, questa Pasqua di Gesù “scavalca” tutta la storia bella e brutta di Israele e si ricollega con l’inizio della storia, di ogni vicenda umana. Qui, nel Cenacolo prima, sul Calvario poi, si realizza la promessa che Dio fece ad Adamo ed Eva nel paradiso terrestre: «Porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua; e questa ti schiaccerà il capo» (Gen 3,15). Davvero qui Gesù trasformava il segno (=la Pasqua ebraica) in realtà (=la Redenzione). Egli era il vero Agnello pasquale, di cui aveva parlato il profeta Isaia nei capitoli 52 e 53 (Il IV carme del Servo). In particolare medita i seguenti versetti del capitolo 53: «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti…. Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori. E non aprì la sua bocca…. Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, 19


per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi… Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione Vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce… Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini…» (Isaia 53, 3-12) Qualche osservazione: – Questa profezia è uno dei momenti culminanti della rivelazione dell’Antico Testamento. – Il IV carme del Servo di Jawhè è l’interpretazione della storia d’Israele come espiazione vicaria e redentrice in favore di tutta la comunità giudaica e di tutti i popoli della terra. – Il Servo, dipinto con tratti regali nel I canto e con caratteristiche profetiche nel II e nel III, ci è presentato qui, nel IV, come disprezzato e abbandonato dagli uomini, immerso nei dolori e vittima delle ingiustizie. L’autore carica volutamente le tinte per suscitare in tutti una reazione di compassione e di stupore. – Ma la sostanza della rivelazione non sta in questo quadro, così tetro, bensì nel frutto che la sua sofferenza ottenne per i giudei e per i pagani: le sue sofferenze ci hanno riconciliati con Dio a tutti i livelli. – L’autore sacro fa quasi un inventario della storia: Colui che un tempo aveva dato fecondità al seno sterile di Sara, ora avrebbe dato discendenti innumerevoli al Servo sofferente. Abbandonato nelle mani di Jawhè, il Servo ha ottenuto quello che non avevano ottenuto né l’Israele storico con la moltitudine dei sacrifici rituali, né i pagani con la loro grande quantità di sacrifici e di divinità. – Tutto quello che abbiamo detto del Servo di Jawhè gli evangelisti ispirati direttamente da Dio lo videro realizzato pienamente nel Gesù storico di Nazaret. 20


COME GESÙ CELEBRÒ LA SUA ULTIMA PASQUA? Ne parlano i tre Vangeli sinottici, Matteo, Marco, Luca. Riporto alcuni versetti della narrazione di Marco: «Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?”. Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: Il Maestro dice: “Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?” Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi”. I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà”. Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: “Sono forse io?”. Egli disse loro: “Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». (Mc 14,12-25) IL TRIDUO SANTO DI GESÙ Ottimi biblisti e maestri spirituali hanno egregiamente commentato i Vangeli della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù. Ovviamente rimando a loro per una conoscenza approfondita. Io mi limito a qualche pensiero sui momenti fondamentali della Pasqua di Gesù, ricordando che l’ultima Pasqua vissuta da Gesù comprende il Giovedì Santo, il Venerdì Santo e il Sabato Santo, con l’esplosione gioiosa della Risurrezione. 21


Giovedì Santo Durante l’Ultima Cena Gesù istituisce l’Eucaristia. D’ora in poi l’Eucaristia sarà la nuova Cena pasquale (“Nuova”, quindi. diversa dalle precedenti e definitiva, cioè che rimarrà per sempre e varrà per tutti gli uomini di ogni tempo!). Essa sarà il “memoriale” dell’esodo antico, ma ormai non più solamente per il popolo d’Israele, bensì per tutti i popoli, e realizzerà la liberazione dalla schiavitù del peccato per tutti. Il Giovedì Santo di Gesù, la sua ultima cena, la sintetizzo in tre parole: Amore: «Avendo amato i Suoi, li amò sino alla fine». Unità: «Padre, siano una cosa sola in me». Ubbidienza: «Quello che piace a Te, Padre, faccio sempre». Tutto questo a vantaggio di noi peccatori. Ecco l’Eucaristia! Venerdì Santo Anche il Venerdì Santo di Gesù lo riassumo in tre parole: Totale: Sì, l’amore di offerta di Gesù è totale; è un’offerta fisica e morale. Scandalo: Non poteva essere accettato dagli Ebrei il fatto che il Messia, il Liberatore morisse così, come il peggiore degli schiavi. Una tale morte avrebbe significato che Dio lo ha abbandonato! Incomprensibile: I pagani se ne ridevano: è semplicemente assurdo pensare e affermare che questo condannato in croce (!) è Dio ed è il liberatore del popolo. Eppure questa è la verità e questo è tutto il messaggio cristiano: «Et hunc crucifixum!» (S. Paolo). Proprio così afferma Paolo: «Ho solo questa notizia da annunciarvi: Gesù è il Messia, l’unico Salvatore di Israele e di tutti gli uomini. E questo… crocifisso!» Che assurdità, che pazzia per la mente umana, per le nostre ca22


tegorie razionali! Senza la fede è proprio impossibile accettare una cosa simile! È troppo vasta e profonda la produzione non solo scritturistica e teologica sul Venerdì Santo, ma anche da un punto di vista spirituale. Per questo motivo mi limito a qualche spunto per la riflessione personale. Brevemente: 1) Gesù in croce Padre Lafrance fissa il suo sguardo su Gesù in Croce e prova nel suo cuore una sofferenza acuta, perché sente Gesù che è tentato da una domanda lancinante: «“Padre, chi sono io per Te?”. L’eletto, il prediletto, oppure l’abbandonato e reietto?». Leggi lentamente e interiormente quanto scrive P. Lafrance: «Pur essendo Figlio – ci dice la lettera agli Ebrei (5,8) -, Gesù imparò l’obbedienza dalle cose che patì. Come ognuno di noi, ha dovuto attaccarsi alla parola del Padre per ottenere la risposta alla domanda che saliva dal più profondo della sua umanità carnale, fragile, che aveva assunto: “Chi sono?” Sai che fu circondato dalla delicatezza di una risposta inesauribile: “Sei il mio Figlio prediletto”. Ma sai anche, dall’angoscia della sua passione, che la risposta non toglieva in lui, una volta per tutte, il carattere drammatico della domanda. Lascia risuonare nel tuo cuore il grido di Gesù sulla croce: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. In altro modo Gesù ridice al Padre: “Chi sono per te?”. Il Figlio o il reietto? Il Salvatore degli uomini, o colui che ha l’apparenza di un verme (Salmo 22,7)? E la questione era tanto più lancinante poiché i passanti lo insultavano e mettevano in dubbio la sua relazione col Padre: “Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce” (Mt 27,40)… In questo abisso di tortura il Figlio unico è uscito vittorioso dalla prova per la forza dell’amore del Padre, ha ricevuto il nome che è al di sopra di ogni nome, ed è diventato Signore a gloria di Dio Padre (Fil 2,9-11). Ha creduto fino alla fine di essere il Figlio del Benedetto. Nella vita e nella preghiera sarai posto di fronte alla stessa domanda. Con Gesù, ripeti a lungo al Padre: “Chi sono?”, e lascia che ti risponda: 23


“Tu sei mio figlio prediletto. Hai tutto il mio amore”». (J. Lafrance. Quando pregate dite: “Padre…”, Edizioni O.R., pagg. 88 s) 2) Ancora Gesù in croce Suggerisco di fissare a lungo i propri occhi su un crocifisso, o su un’immagine eloquente di Gesù crocifisso. Facciamo passare le singole membra di Gesù, ascoltiamo i sentimenti, le reazioni del nostro cuore (e quasi dei nostri sensi) tentando di immedesimarci nella situazione fisica e morale di un uomo inchiodato su quel legno, soggetto ai capricci, agli insulti, ai maltrattamenti dei passanti non affatto ben disposti verso un uomo in croce. Impossibilitato di evitare le intemperie e aperto ad ogni abuso, perfino degli animali di passaggio, uccelli e insetti! Gesù ha vissuto una tale esperienza disumana solo per amore! È inaudito e inconcepibile! 3) «Ho sete!» Senti come si esprime S. Teresa di Gesù Bambino al riguardo: «Il grido di Gesù sulla Croce risuonava continuamente nel mio cuore: “Ho sete!”. Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e vivissimo… Volevo dare da bere al mio Diletto e mi sentivo io stessa divorata dalla sete delle anime”. Ed ella precisa la categoria a cui intende pensare: “I grandi peccatori, bruciavo dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne”» (C. De Meester, Teresa di Lisieux – Dinamica della fiducia, San Paolo, pag. 106) 4) Gli sputi in faccia! Siamo soliti fissare l’attenzione e il cuore su Gesù in croce, su quello che ha sofferto fisicamente dalla crocifissione alla morte. È giusto e salutare. Ma tutti i momenti della passione di Gesù meritano una nostra riflessione. Credo che, oltre alle sofferenze fisiche, Gesù abbia patito anche e – a mio parere – ancor più per le umiliazioni morali. Penso soprattutto a un momento tragico del finto processo per la sua condanna alla crocifissione. Mi immagino Gesù con le mani legate come un vero delinquente, incoronato di spine, e con una turba di soldati arrabbiati, inferociti, bisognosi di scaricare tutto il loro odio contro qualcuno, non contro… 24


qualcosa (Questo non dà soddisfazione!), ma proprio contro un uomo, inerme e senza sapere se è colpevole o no: a loro interessa solo “imbestialirsi” contro…! E gli sputano addosso, proprio in faccia, per umiliarlo, per sfigurarlo, per tentare di annullare la sua dignità umana. (Il volto umano è lo specchio, la rivelazione della dignità di una persona!). Proprio contro quel Volto, il Volto santo di colui che è ritenuto il Salvatore, il Liberatore dal male! E non uno sputo solo da parte di un solo uomo, ma tanti, in continuità, fino a quando pensano di aver annullato quell’uomo e si ritengono sazi del loro odio! Tenta di sentire tanti sputi sulla tua faccia: che cosa provi? Non sofferenza fisica, ma ti senti umiliato, quasi distrutto e annullato. E ti fai – scusa – schifo! Credo che sia stata una delle sofferenze peggiori subite da Gesù. In silenzio, senza reagire e senza ri-odiare, cioè: senza odiare a sua volta quegli uomini inferociti, solo per amore verso noi peccatori! Che mistero! Il Sabato Santo Il silenzio del sepolcro Sì, nel sepolcro di Gesù c’è silenzio, come in ogni altro sepolcro. Ma qui non è mancanza di parola, “afasia” ossia incapacità di parola, quindi povertà dell’essere e di vita. Non è certo una negatività. Gesù, il Verbo incarnato, la Parola fatta uomo, si è pronunciata tutta. Quindi il silenzio del sepolcro di Gesù è completamento, è annuncio e manifestazione diventato pienamente realizzato del pensiero-volontà del Padre. Il “Tutto è compiuto”, pronunciato da Gesù sulla croce, esprime una verità divina: «Tutto quello che ho udito dal Padre mio ve l’ho fatto conoscere, ve l’ho comunicato. Ora tocca a voi approfondire la mia parola, viverla e annunciarla. Così potrete davvero diventare miei amici». Il silenzio del sepolcro di Gesù è lo spazio contemplativo per eccellenza! Non può essere, pertanto, la fine, la conclusione del rapporto uomo – Gesù: tanto è ormai tutto finito! NO!: anzi è il momento della fecondità, o meglio, della gestazione in noi della Parola di Verità, che è l’Amore. Come nel grembo di una 25


mamma, dopo la fecondazione incomincia il tempo del silenzio e dell’apparente inattività, così il silenzio della tomba di Gesù ci dice: «Fratello, ora tocca a te… gestire, formare la mia parola nel tuo cuore. Allora finalmente diventerà vita vera!» Se non ci fosse stato lo spazio dei tre giorni di silenzio nel sepolcro di Gesù, avremmo corso il pericolo di scappare via impauriti e delusi perché oramai si vedeva la fine di tutto: tutto sarebbe stato concluso. Invece no: lì incominciava il lavorio nostro interiore, quello della fecondità e della vita. Nel sepolcro, la Parola di Dio, Gesù Cristo, era stata completata: era stata scritta anche l’ultima lettera, cioè la morte della morte! Quindi era… inevitabile che poi scoppiasse la VITA, mediante la Resurrezione. Ma adesso era… VITA “NUOVA”, che significa: non più soggetta al limite della natura umana; e… vita senza limite, ossia: vita eterna! La domenica di Pasqua Il sepolcro è vuoto! Per riflettere “cordialmente” sul mattino di Pasqua, credo che sia sufficiente rileggere con vero stupore il brano del Vangelo di Giovanni al capitolo ventesimo: l’incontro di Gesù risorto con Maria Maddalena: «Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?” Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: Donna, perché piani? Chi cerchi?” Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” – che significa “Maestro!”. Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di 26


Magdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” E ciò che le aveva detto». (Gv 20,11-18) La Maddalena, incontrato Gesù risorto, passa dal pianto, alla gioia, alla missione. Dal pianto…: Maria Maddalena va al sepolcro triste, e piange, convinta che ormai la bella vicenda di Gesù è proprio finita. Nel cuore la agita un forte dubbio: Allora, è proprio vero tutto quello che ci ha detto, oppure è stata un’amara e tragica illusione?! E noi…?! E piange. È vero: gli angeli al sepolcro le chiedono: «Donna, perché piangi?». Lei risponde: «Perché è morto il Maestro; quindi non ho più una direzione, una motivazione nella mia vita». Anche Gesù le chiede: «Donna, perché piangi?». Ma lei non lo riconosce, perché è chiusa nei suoi pensieri, nelle sue convinzioni negative, e il suo cuore è freddo come quello di un morto. ...alla gioia… «Vide Gesù, ma non lo riconobbe». In realtà vede Gesù, però non è sufficiente una esperienza visiva, esterna; occorre vederlo col cuore, vederlo con l’amore. «Maria!» Così la “sveglia” Gesù. Ma non è il sentirsi chiamata per nome che la porta alla realtà; è la voce di Gesù che la smuove, la libera dalle sue “fissità”, e dal suo gelo di cuore. Sì, la voce! La voce non è sinonimo di “pensiero”; esprime la personalità, manifesta l’interiorità e il cuore di Gesù. È proprio il cuore di Gesù che la costringe a… vederlo, a riconoscerlo e a dire: «Allora Gesù è davvero vivo, anzi è IL VIVENTE!» Il dialogo tra Gesù e Maria si risolve in tre parole: «Chi cerchi?» – «Maria!» – «Maestro!» E la gioia esplode: 27


«Ho visto il Signore!» Io l’ho visto! La conclusione si impone: «È proprio vero quanto ci ha detto: “Io sono la Via, la Verità, la Vita!”» E la gioia esplode! …alla missione. «Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: Ho visto il Signore». “Subito”, ossia con sicurezza e senza aspettare nemmeno un istante. Non poteva affatto trattenere la gioia, costringerla nel suo cuore, limitarla alla sua esperienza. La gioia è di per sé comunicativa. A me piacerebbe tanto vivere quell’esperienza della Maddalena! Due osservazioni conclusive sulla Pasqua di Gesù: 1) La “crisi” di Gesù Quella di Gesù non fu una Pasqua, cioè un “passaggio” indolore, scritto in anticipo e “recitato” da Gesù con distacco, come una specie di copione imparato a memoria. Al contrario, fu un passaggio attraverso un abisso insondabile di angoscia. Gesù sperimentò l’amarezza del fallimento, dell’abbandono (anche da parte del Padre!), del tradimento, della paura all’avvicinarsi della sua “ora”: pensa a Gesù nell’orto degli ulivi che suda sangue; pensa alla Via Crucis, e soprattutto a Gesù in croce! Mi permetto di scrutare il cuore di Gesù e vi trovo un grido ripetuto: «Perché…? Perché, Padre?». 2) Gesù, “il Vivente” Nell’Antico Testamento tante volte il Dio di Israele è chiamato “il Dio vivente”: «Chi è mai questo Filisteo non circonciso per insultare le schiere del Dio vivente?» (1 Sam 17,26) «I Giudei sono figli del Dio vivente» (Est 8,12) 28


«Il Signore è Dio vivente» (Ger 10,10) Gesù, perché risorge, vince e distrugge la morte. Quindi ha in sé il principio della vita; è non solo vivo, ma colui che dà la vita, è principio di vita. L’Apocalisse, il libro sacro che in un certo senso riassume l’intera Bibbia, afferma con chiarezza: «Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e gli inferi» (Ap 1,17b-18) Ritengo indispensabile per una vita cristiana autentica, dinamica, tesa… “alle periferie” – come caldeggia spesso papa Francesco – lasciarci afferrare dalla verità-vitale: Gesù, perché risorto, è il Vivente! Conseguenze – Allora è vero quello che ha detto e compiuto. – Qui, adesso, a me, a te… dice: «Io sono la via, la verità, la vita» «Io sono la vita vera» «Beati…, beati…» «Amatevi come io vi ho amati» ………. Non sono frasi ad effetto; sono la vita! – Gli Apostoli compiono miracoli… nel suo nome, perché sono certi che Gesù è vivo tra loro e agisce.: «Ma Pietro gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» (Atti 3,8) – Nasce la prima comunità cristiana: era formata da coloro che accettavano che Gesù era davvero risorto, quindi era ancora vivo e operava nella comunità. Ne parla il libro degli Atti al capitolo 2°.

29


LA PASQUA DELLA CHIESA Dire “Pasqua della Chiesa” vuol dire: la nostra Pasqua; cioè: che cosa è la Pasqua per noi, oggi; e come viverla in un mondo così individualista e ancor più relativista? A noi interessa, soprattutto, sapere come noi siamo chiamati a vivere la Pasqua ogni anno. E renderci conto della necessità di partecipare alla liturgia per vivere efficacemente la Pasqua annuale. Celebrare la Pasqua significa per la Chiesa, per noi, vivere comunitariamente il “memoriale” della Redenzione, ossia della passione, morte e resurrezione di Gesù. Richiamo ancora quanto scriveva C. M. Martini: «…la Pasqua cristiana! È parola da cui tutta parte ed a cui tutta arriva la nostra vita religiosa e morale; è sorgente ed è traguardo; principio e fine. Non è estranea alla molteplicità e all’urgenza delle questioni, che in campi diversi impegnano la nostra esperienza e il nostro interesse, perché, se tutto in Cristo deve essere incentrato (Ef 1,10), tutto ha riferimento a questo momento centrale e vitale delle nostre relazioni con Lui». Dunque, la celebrazione della Pasqua è per ciascun cristiano il momento più importante dell’intero anno liturgico e nessuno può esimersi a cuor leggero dal parteciparvi. Poco più avanti il Card. Martini precisa: «Quando cerchiamo il punto focale della rivelazione cristiana, dobbiamo fissare lo sguardo sul dramma della morte e della resurrezione di Cristo. Tutto l’Antico Testamento converge nel Vangelo; tutto il Vangelo converge nella Cena, nella Croce, nel sepolcro vuoto di Cristo. Anche il Natale… prepara la Pasqua e vi trova il suo termine». La celebrazione della Pasqua, quindi, esige una seria preparazione personale e comunitaria. La Pasqua non può essere celebrata come una delle tante feste, nemmeno come una “bella” festa e basta! Gli appunti che seguono tracciano una semplice pista: il lavoro di preghiera e di meditazione sarà sempre un impegno personale. 30


Mi permetto di insistere su questa necessità: allora la Pasqua di quest’anno lascerà un segno positivo e incisivo per tutto l’anno; in un certo senso sarà una personale resurrezione! RICORDO Il primo elemento di ogni “memoriale” è il ricordo di fatti passati riguardanti la vita di Gesù. A proposito della Pasqua si tratta di ricordare che significato ha avuto la Pasqua per gli Ebrei e come la vivevano. In particolare come Gesù ha vissuto la sua ultima Pasqua. Mi pare opportuno, anzi necessario, col passare delle settimane della Quaresima, dedicare progressivamente più tempo, più spazio delle nostre giornate a richiamare i fatti del popolo ebreo riguardanti la loro Pasqua. Quello del ricordo, del richiamare alla nostra memoria i fatti del passato, è il momento più facile e più bello, e nello stesso tempo è indispensabile. Senza il ricordo di quei fatti è impossibile rivivere oggi la nostra Pasqua. Pertanto, ogni anno in preparazione della celebrazione pasquale siamo invitati a rileggere, riascoltare, quasi a rivedere la storia del popolo d’Israele, per metterci un pochino in quella situazione. Soprattutto è necessario ripensare al comportamento d’Israele verso Dio; in particolare ripensare la ripetuta rottura dell’Alleanza, il patto solenne voluto da Dio con il Suo popolo. Richiamare alla nostra memoria, d’altra parte, la ostinata volontà di Dio di ristabilire l’Alleanza per sempre: la nuova Alleanza, quella definitiva fondata sulla morte e resurrezione di Gesù. Dicevo che innanzi tutto è necessario ripensare con calma come il popolo d’Israele celebrava ogni anno la sua Pasqua: in particolare il passaggio dell’angelo sterminatore (Esodo 12), quindi il ricordo della liberazione dalla schiavitù egiziana; il passaggio del Mar Rosso (Esodo 14) verso la Terra promessa, luogo di felicità e di abbondanza; da ultimo il solenne canto di ringraziamento (Esodo 15). 31


Però nn è sufficiente ripensare i fatti storici del popolo d’Israele; bisogna anche rivivere i sentimenti degli Ebrei in quel frangente: Libertà da ogni schiavitù; o meglio, la… certezza di libertà da ogni schiavitù. Fedeltà di Dio = attenzione di Dio verso il “popolo eletto”, = intervento di Dio nella storia del Popolo, = alleanza indistruttibile col Popolo. Ubbidienza a Dio, alle sue leggi, come risposta all’azione di Dio. In secondo luogo, mediante la celebrazione della Pasqua siamo chiamati a ricordare la Pasqua di Gesù, ossia il passaggio che Gesù ha compiuto dalla morte alla vita mediante la resurrezione; il passaggio dalla vita corruttibile, la nostra, alla vita incorruttibile, la vita “nuova”, non più soggetta ad alcun limite. Ricordare quindi la passione, la morte e la resurrezione di Gesù… per i nostri peccati! Ovviamente è più importante: – ripensare e rivivere i motivi della Redenzione: la gloria di Dio Padre e la liberazione dai nostri peccati; – rivivere i sentimenti di Gesù durante la sua passione, e riportarci con gli occhi del cuore ai luoghi e alle circostanze della passione, morte e resurrezione; – in particolare, è necessario rivedere le persone attorno al condannato Gesù e a Gesù risorto. A questo scopo siamo invitati a meditare i Vangeli, a leggere una vita di Gesù, a “contemplare” i testi liturgici. – ancora più necessario è risentire dentro di noi la fedele ubbidienza di Gesù al Padre:. Ricorda le due affermazioni categoriche di Gesù: «Faccio sempre la volontà del Padre mio»; «Padre, se possibile, passi via da me questo calice; però, non la mia, ma la tua volontà sia fatta». A questo proposito mi chiedo: Quanto io sono capace di essere aperto alla volontà di Dio su di me? Mi domando, almeno in 32


qualche occasione, che cosa mi chiede il Signore in questo momento, e la mia decisione è secondo la Sua volontà? ***** Dicevo che, per rivivere efficacemente la Pasqua annuale, è opportuno vedere i vari personaggi attorno a Gesù, entrare nel loro cuore e analizzare i loro sentimenti nei confronti di Gesù condannato a morire in croce perché ha bestemmiato – affermano i capi religiosi accusatori. Chi sono questi personaggi? Come si comportano? E perché? Mi permetto qualche suggerimento, facendo un elenco di personaggi e cercando quasi di… qualificarli: 1 – APOSTOLI = il dolore “umano” 2 – PIETRO = la roccia sgretolata 3 – GIUDA = fuori dalla ragione 4 – SOMMI SACERDOTI = il potere 5 – FOLLA ARMATA = le banderuole 6 – FALSI TESTIMONI = la falsità 7 – PILATO = il disimpegno 8 – I SOLDATI = i benpensanti 9 – IL CENTURIONE = l’incredulo 10 – LE DONNE e GIOVANNI = i fedelissimi 11 – MARIA SS. = l’amore più alto. Qualche commento: 1 – APOSTOLI = il dolore “umano” Dinanzi al dolore, quando un uomo è provato da grande sofferenza, il primo impulso è quello di abbandonare tutto e tutti, e fuggire, anche da se stessi. La situazione è quella di una grande perdita “affettiva” (Gesù è incarcerato, portato via) e di una delusione oltre ogni limite (il Figlio di Dio – il loro Maestro, “ morto”!). La conseguenza è la… fuga e un ripiegamento, una chiusura in sé. 33


Mt 26,31.56: «Allora Gesù disse loro: “Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”». «Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono». 2 – PIETRO = la roccia sgretolata Quando tutto va bene, quando non veniamo tirati in scena da protagonisti, ma solo come comparse, quando tutto sommato sono gli altri chiamati in causa, allora ci si fa forti dietro la maschera della totale disponibilità (leggi: della collettiva disponibilità!). Quando poi le cose, gli eventi, le persone, le situazioni ci fanno diventare protagonisti, allora la parte diventa difficile da sostenere e il coraggio di mantenerlo fino in fondo viene meno. Si vorrebbe proprio dire: “No, vi sbagliate, non sono io…”. Mt 26,35.69-75: «Pietro gli rispose: “Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò”. Lo stesso dissero tutti i discepoli». «Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: “Anche tu eri con Gesù, il Galileo!” Ma egli negò davanti a tutti dicendo: Non capisco che cosa dici”. Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti; “Costui era con Gesù, il Nazareno”. Ma egli negò di nuovo, giurando: “Non conosco quell’uomo!”. Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: “È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!”. Allora egli incominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!”. E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: “Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”. E, uscito fuori, pianse amaramente». 3 – GIUDA = fuori dalla ragione Il successo, la fama, la carriera, il potere, i soldi…, senza il giusto equilibrio, senza un giusto punto di confronto, portano l’uomo su un piano al di fuori della ragione, dove tutto è lecito e permesso, persino il tradimento del Figlio di Dio. E quando, in un momento di lucidità, si esce un po’ da questo vortice che ci tira sempre più in basso, purtroppo è sempre troppo tardi. 34


Mt 26,15-16.47: «(Giuda) disse: “Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo»… «Mentre egli ancora parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo». Mt 27,3-5: «Allora Giuda – colui che lo tradì -, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”. Ma quelli dissero: “A noi che importa? Pensaci tu!”. Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi». 4 – SOMMI SACERDOTI / CAIFA = Il potere È difficile accettare qualcuno che mette in discussione la nostra tranquillità di persone perbene, apparentemente in pace con se stesse, per metterci di fronte alla realtà delle varie situazioni, a volte crude e pesanti da gestire. Il nostro potere, il nostro “ego” è scosso; allora è molto più semplice… rimuovere, eliminare la ferita di tale “disturbo” ed andare avanti nella apparente tranquillità del nostro egoismo. Mt 26, 3-5: «Allora i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire. Dicevano però: “Non durante la festa, perché non avvenga una rivolta fra il popolo”». Mt 27,1: «Venne il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Geù per farlo morire». 5 – FOLLA ARMATA = Le banderuole Senza opinioni, senza personalità: è molto più semplice seguire il vento. Ieri “Osanna”, oggi “A morte!”. Mt 21,8-11: «La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva gridava: “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!”. Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: “Chi è costui?”. E la folla rispondeva: “Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea”». 35


Mt 26,47.55: «Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo». «In quello stesso momento Gesù disse alla folla: “Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato”». 6 – FALSI TESTIMONI = La falsità «La verità vi farà liberi» – «Io sono la Verità»… Solo con una menzogna e un inganno il Figlio dell’Uomo è tradito, catturato, e ucciso! È questa la vera “passione”: è la menzogna la vera padrona del cuore dell’uomo. Mt 26,4.59: «… e tennero consiglio per catturare Gesù con un inganno e farlo morire». «I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte, ma non la trovarono». 7 – PILATO = Il disimpegno Spesso la nostra posizione è quella di… “camere asettiche”, dove niente e nessuno ha il permesso di intromettersi e carpire una seppur minima considerazione, o presa di posizione.. Così non si rischia niente e tutto sommato se ne esce sempre vittoriosi. Mt 27,24: «Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla dicendo: “Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!”». 8 – I SOLDATI = I benpensanti – Anzi: “i troppo benpensanti!”. Erano troppo… “semplici” per capire, troppo… “miopi” per vedere, troppo… “vili” per opporsi! Mt 27,27-31: «Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: “Salve, re dei Giudei!”. Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli misero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo». 36


9 – IL CENTURIONE = L’incredulo. Non saremo mai convinti a sufficienza: avremo sempre bisogno della prova ultima per poter cambiare il nostro modo di pensare e il nostro modo di agire. E anche allora saremo tentati di dire: “Ma forse… siamo sicuri?”. Mt 27,54: «Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”» 10 – LE DONNE E GIOVANNI = I fedelissimi. L’amore esige fedeltà; la fedeltà esige l’amore! È la dipendenza prima e ultima della creatura verso il suo Creatore. Fedeli fino alla morte! Mt 27,55: «Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo». Gv 19,26: «Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”». 11 – MARIA, LA MADRE DI GESÙ= L’Amore più alto! Un Amore di Figlia, di Sposa e di Madre. Al di là del tempo, delle situazioni, della ragione e dei sensi: un amore libero… più alto anche del dolore e… della Croce! Gv 19,26: «…disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé». RINNOVAZIONE Ovviamente non si tratta di rinnovazione del fatto storico della morte e resurrezione di Gesù, ma dell’efficacia della Sua morte e risurrezione. È come se qui, ora, noi ci portassimo sul Calvario e al sepolcro vuoto. Nella celebrazione annuale si rinnova in noi il mistero pasquale. Più precisamente si rendono vivi in noi i frutti della Pasqua di Gesù. Ciò significa che mediante la nostra personale e comunitaria 37


partecipazione alla liturgia pasquale si rinnova il nostro passaggio dal peccato alla grazia (È il frutto della morte di Gesù), dalla vita carnale alla vita spirituale (ossia pneumatica – per dirla con S.Paolo). Acquistiamo pertanto la capacità di non essere più schiavi delle “cose”, ma… liberi, della libertà donata da Gesù risorto, per opera dello Spirito Santo. La Pasqua annuale è addirittura un sacramento, quindi un segno efficace della vita divina, frutto della morte e resurrezione di Gesù. Mi spiego: mentre ripresenta attraverso l’azione liturgica e i testi della Scrittura i fatti della Pasqua “vera” (cioè l’ultima) vissuta da Gesù, trasmette, opera in noi l’efficacia della morte e della resurrezione di Gesù; quindi la celebrazione liturgica ci dà una rinnovata liberazione dal peccato e una più intensa partecipazione alla vita “nuova” del Risorto, proprio come se adesso, qui Gesù morisse e risorgesse ancora! È pertanto necessario PARTECIPARE – alla celebrazione del Triduo santo, …con impegno, … e a tutte le celebrazioni; – alla Comunione pasquale (previa Confessione ben fatta) come momento personale sacramentale. Questa Comunione è vera partecipazione alla situazione di Cristo sofferente – morto – risorto – e alla Confessione che è l’atto di amore con cui Cristo viene a cercarmi per riunirmi più intimamente a Sé e alla Chiesa. N.B. La Confessione pasquale: – deve operare in me una vera conversione, ossia un cambiamento di vita e ancor più di mentalità; – deve segnare una svolta nella mia vita, quindi l’accettazione di Gesù, 38


dei suoi gusti e pensieri, del suo “stile” di vita… e distacco dall’egoismo ed egocentrismo, dall’orgoglio e dalla superbia, dall’invidia, dalla critica, dall’insoddisfazione continua e ingiustificata… – deve essere più solenne, perché è il mio mezzo più concreto per rivivere a livello personale il passaggio a una vita più cristocentrica; quindi dev’essere più preparata personalmente rispetto alle altre confessioni; più ampia nell’accusa dei peccati; e… con qualche serio proposito FRUTTI della celebrazione annuale della Pasqua Ogni anno la Pasqua, se vissuta come si deve e partecipata con fede, ci rende nuovi… IN Cristo Risorto! E sempre più nuovi… in Cristo IL VIVENTE, perché è risorto e non muore più! PREPARAZIONE Ogni memoriale ci proietta nel futuro; ossia, mentre rinnoviamo l’efficacia di un determinato mistero della vita di Cristo, l’azione liturgica ci fa compiere un passo in avanti verso l’incontro finale col Cristo glorioso alla fine dei tempi (la cosiddetta parusia). Da questo punto di vista ogni Pasqua annuale è – un ripetuto, continuo AVVENTO della Parusia. Ma non è solo un Avvento di intenti, desideri, volontà, impegno… È un Avvento, una preparazione reale, oggettiva, sacramentale, quindi efficace. 39


– È la fonte, il principio, addirittura la causa della SPERANZA cristiana, che è certezza dell’incontro finale con Cristo. – Quindi: ogni attimo di vita, ogni azione compiuta “da risorti” è positiva, buona in sé; è…santificante. LA SPERANZA È forse la prima necessità per la società di oggi La speranza è considerata la sorella minore delle tre virtù teologali; ma senza la speranza nessuno può vivere. La speranza è futuro, è l’ossigeno per respirare nelle vicende quotidiane. Se manca la speranza certamente si muore per asfissia, per soffocamento. Oggi sono in aumento gli esauriti, i depressi; sono molti, troppi i suicidi, proprio per la crisi della speranza. Un mondo senza speranza è fermo, bloccato su se stesso e inattivo. S. Ambrogio scrive: «Togli al pilota la speranza di arrivare alla meta ed egli vagherà incerto tra i flutti. Togli al lottatore la corona e questi giacerà inerte nello stadio. Togli al pescatore la capacità di catturare i pesci: egli cessa di gettare le reti». La speranza “cristiana” non è solo un valore umano o una “molla” psicologica. È certezza di un bene futuro ed ha come fondamento un fatto storico, ineliminabile: la risurrezione di Gesù, il quale per questo diventa IL VIVENTE, colui che vive e non muore più; colui che ha in sé il principio della vita e che trasmette la vita a coloro che diventano “Suoi”. Compito del cristiano è la testimonianza che davvero Gesù è risorto e continua a vivere. Riporto una riflessione del vescovo Mons. Enrico Masseroni: «La fede è lo sguardo sulla memoria e sul presente. Nella fede noi crediamo che la storia è segnata per sempre dall’evento redentivo. La speranza è lo sguardo sul futuro, sul compimento. La carità è la linfa evangelica del tempo ed è l’epifania dell’eterno. E noi, ogni giorno, nell’Eucaristia siamo chiamati a rigenerare la speranza della comunità stanca, in cammino come il profeta 40


Elia verso l’Oreb. Ma è fuori dubbio che oggi è proprio la speranza la virtù più in crisi…. La depressione è la patologia più diffusa nel mondo occidentale contemporaneo: la depressione come crisi del mondo interiore, come diffuso senso di inutilità, come assenza di tensioni ideali… La crisi della speranza non manca di attraversare le stesse comunità cristiane, come sindrome della stanchezza…. E assume diversi volti: della depressione…, della mediocrità…, della stanchezza e della delusione cronicizzata, perché in fondo “dire la fede” oggi è difficile e sembra di giocare su valori fuori corso. La speranza per i credenti non è un vago desiderio di essere di più; non è anzitutto una virtù, sia pure dono di Dio; non è neppure un vago sentimento di ottimismo nei frangenti della vita o della storia. La speranza è Qualcuno, ha un volto…. Il volto della speranza è il Risorto, perché in Lui si realizza il desiderio di vita di ogni persona. E così l’Eucaristia mette continuamente a fuoco il volto della speranza, il Risorto; perché senza Dio non c’è speranza per il mondo. La stessa morte, per il cristiano, non è l’inabissarsi della vita nel buio del nulla, ma è l’incontro con il Risorto. Pertanto l’Eucaristia corregge le speranze corte del mondo…. Forse, soprattutto oggi, urge la presenza di seminatori di speranza, seminatori di speranza, capaci di stare in mezzo per accendere luce e per incoraggiare cammini nei quartieri confusi di Babele… L’Eucaristia ricorda che il nome della speranza è la Pasqua. Non ci sono scorciatoie…». (E. Masseroni, Vi ho dato l’esempio, Paoline, pagg. 33-35)

41


IL TRIDUO PASQUALE Tutti sanno che la Pasqua non consiste solo nella Domenica di Pasqua, ma nel Triduo: Giovedì – Venerdì – Veglia e solennità della domenica. Vivere la Pasqua esige la partecipazione (attiva!) alle funzioni religiose, o cerimonie, di tutti e tre i giorni santi. Per viverli in profondità, suggerisco qualche spunto: GIOVEDÌ SANTO Mediante la liturgia del Giovedì Santo ci riportiamo al momento dell’Ultima Cena, vissuta da Gesù con i suoi Apostoli nel Cenacolo, durante la quale istituì l’Eucaristia e il Sacerdozio. Anche noi spiritualmente riviviamo l’istituzione dell’Eucaristia. Per viverla personalmente e con intensità, meditiamo, anzi, contempliamo quanto dice S. Giovanni al cap. VI del suo Vangelo. Già conosciamo tutti il racconto completo dell’Ultima Cena e dell’istituzione dell’Eucaristia. Mi pare però che i seguenti versetti del Vangelo di Giovanni possano coinvolgerci ancor più personalmente e vitalmente. «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui… Chi mangia questo pane vivrà in eterno». (Gv 6,51-59) È necessario ogni Giovedì santo rimetterci “nei panni” degli Apostoli e condividere con loro qualche dubbio più che onesto: «Come è possibile…?» Sì, sembra un’assurdità! Eppure anche a noi Gesù ripete ogni volta: «Volete andarvene anche voi?» Gesù non scende a patti né con gli Apostoli né con noi. È davvero molto esigente Gesù! 42


Credo che non sia sufficiente riflettere sul testo di S.Giovanni. Tentiamo di vederci a mensa con Gesù e gli Apostoli nel Cenacolo quella sera e chiediamoci: Quali erano i sentimenti di Gesù in quel momento così straordinario? Ne richiamo qualcuno. a) Innanzi tutto la volontà di redenzione: primo sentimento, fonte degli altri sentimenti del cuore di Gesù; volontà di redenzione significa volontà di rappacificazione tra l’uomo e Dio, perché in questo sta la gloria di Dio Padre. Il fine ultimo di tutto quello che Gesù compie è la gloria del Padre, e poiché la gloria del Padre sta nella riappacificazione tra Dio e l’uomo, Gesù vuole e realizza la riappacificazione affinché il Padre sia glorificato. b) Un secondo sentimento di Gesù è l’atteggiamento di offerta al Padre: un atteggiamento suo, libero, non una costrizione; il Padre non gli ha detto: «Fatti uomo e muori per me!» Gesù liberamente dice: «Io faccio sempre ciò che piace al Padre!» c) Un terzo sentimento di Gesù è l’accettazione della sofferenza come via alla redenzione. Non credo che Gesù abbia detto: «Voglio soffrire, bramo soffrire». Ha accettato la sofferenza solo perché era volontà del Padre, come atto redentivo. Non è dell’uomo accettare la sofferenza in sé, oppure volere la sofferenza, ma è atto cristiano accettarla come partecipazione alla croce di Cristo. d) Un altro sentimento: il desiderio di amore e di unione perenne con i Suoi. Desiderio che vuol dire bisogno forte, molto forte. Dice il Vangelo: «Avendo amato i Suoi, li amò sino alla fine». E che cosa ha fatto per loro? È morto in croce, proprio come ultimo atto di questo amore concreto verso i suoi amici. Ricordiamo quel grido dal capitolo XVII di Giovanni: «Ut unum sint in nobis» (affinché siano una cosa sola in me!); per questo – dice Gesù – accetto di soffrire, di morire in croce e poi risorgere. 43


VENERDÌ SANTO La liturgia del Venerdì Santo è ritenuta il momento centrale, almeno il più “sentito” dalla devozione popolare, specialmente nella liturgia del racconto della Passione e Morte di Gesù e nell’atto di baciare il Crocefisso, il Gesù morto. In questo atto gioca un po’ il cuore umano, un po’ di sentimento; ma è giusto che sia così. È verità sacrosanta e incancellabile che Gesù muore in croce per i nostri peccati! Scrive l’Apostolo Pietro nella sua prima lettera: «Cristo patì per noi… Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siamo stati guariti». (I Pietro 2,21-25) Per vivere più intensamente questo momento molto intenso, propongo una riflessione davanti al Crocefisso, che è uscita di getto dal cuore di una persona di mia conoscenza un venerdì santo di qualche anno fa. Davanti al Crocefisso È un avvenimento sconcertante il fatto che Gesù sia morto crocefisso. Noi spesso, normalmente, ci fermiamo sul… “Gesù è morto” senza badare troppo al come è morto. Non ha più un gran senso per noi, come invece lo aveva per il Nuovo Testamento, che Gesù sia morto crocefisso. Questa parola “crocefisso” è diventata quasi banale, non ci pensiamo più: è più importante dire che è morto, piuttosto che “è morto crocefisso”. Ma non era una morte qualunque quella del crocefisso, era una morte che significava qualcosa, che aveva un significato sinistro e complesso nel mondo (= società) e nel tempo in cui moriva Gesù. Per nessuno è stato facile accettare questo tipo di morte, la morte… in croce di Gesù. Infatti fu ritenuto uno scandalo dai Giudei: per loro morire crocefisso significava essere abbandonato da Dio. E fu considerata una pazzia dai Greci, per i quali quel modo di morire indicava un dio debole. Quindi per gli uni e per gli altri era inammissibile che un Dio, il Dio Salvatore, fosse morto proprio in croce. Anzi, il fatto che Gesù sia morto in croce è senza dubbio la prova che non era Dio e quindi non era il Salvatore. 44


Perché questo? Perché ci sono due modi di porsi davanti a Gesù in croce: – Con la ragione È l’atteggiamento di chi sa già come stanno le cose, di chi è abituato a “misurare la realtà, di chi giudica tutto con sicurezza e senza tentennamenti. È il caso dei Giudei e dei Greci – Con l’intelligenza È il modo di porsi di chi desidera onestamente e con umiltà conoscere, capire perché Gesù è morto in croce, perché Dio ha scelto proprio questo modo di morire per salvare l’umanità. Questo è l’atteggiamento di chi si pone in contemplazione davanti al crocefisso. Per non cadere nell’errore di chi “ragiona” (i Giudei e i Greci), in questi giorni della Settimana Santa, specialmente il Venerdì Santo e il Sabato Santo, fermiamoci a lungo davanti al Crocefisso, fissiamolo in silenzio e con profondo raccoglimento, cioè… contempliamo Gesù in croce; lasciamo che dal nostro cuore esca spontaneo un sentimento di meraviglia; sì, di meraviglia, frutto dell’intelligenza che interroga, che vuol sapere, che pone tante domande: “Perché, Gesù, sei finito in croce?” “Che cosa ha dato valore redentivo a quel tuo modo di morire?”. “In che senso è stato un gesto di obbedienza al Padre e di amore verso gli uomini?” Non ho la pretesa di rispondere con chiarezza indiscutibile o con una logica stringente. Non voglio comportarmi come i Giudei sotto la croce: “Scendi – Gli urlavano – e ti crederemo. Ha salvato altri, perché non salva se stesso?” Essi… “possedevano” già il fatto della croce; lo avevano già esaminato e valutato: per loro chi moriva in croce era un ladro, o un traditore e il disonore del popolo. Per questo sapevano con sicurezza come trattare Gesù in croce e che cosa imporgli. Invece il Centurione (pagano, quindi né Giudeo né Greco), “vistolo morire così” (= crocefisso!), lascia libero sfogo alla sua meraviglia e coglie la verità.: “Costui era veramente il Figlio di Dio!” A noi, proprio a me, a te, a ciascuno di noi, che cosa dice in questo Venerdì Santo: morto in croce? Aggiungo una parola sull’Amore, che dà valore redentivo alla morte in croce di Gesù. Com’è la logica del modo di amare di Dio? 45


– Dio è solo amore. Lo sappiamo certamente. Ma, un amore che non teme la contraddizione e l’inimicizia. Non si ritira di fronte all’inimicizia, né si vendica: invece la incontra. L’inimicizia è qualità di coloro che sono nemici: Gesù li incontra e li perdona! – Quello di Dio è un amore che vuol condividere tutto quello che può condividere senza contraddire se stesso. Incontra condividendo. Che cosa contraddice se stesso? Il peccato, l’odio, la falsità, in una parola, l’essere peccatore. Quindi il Cristo condivide con l’uomo le conseguenze del peccato, senza però diventare Lui stesso peccatore. Quindi condivide con l’uomo il dolore, il tradimento, l’umiliazione…, la morte! E una morte che riassume tutte le conseguenze, le negatività del peccato. Condivide realizzando uno scambio. Fin dove posso – dice Gesù – arrivo ad essere come te. Fin dove posso: non nel peccato, ma nella morte del peccatore sì, perché tu, con me, possa conoscere non la morte, ma la morte salvata. ***** Crocefisso per i peccati «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia» (I Pietro 2,24) Dunque: Cristo è morto in croce per i nostri peccati!” La meraviglia, di cui abbiamo detto sopra, di fronte al Crocefisso deve far riemergere in noi il senso del peccato: questo è l’unico motivo per cui Cristo è morto ed è morto in croce. Tutto questo ci invita personalmente a riscoprire il senso vero del peccato, ossia il senso religioso del peccato. Il peccato non è uno sbaglio; non è un atto…inevitabile che deriva dal nostro “io” profondo in modo inconsapevole o quasi; non è una conseguenza involontaria da parte di chi lo commette perché è costretto dalla società con la sua cultura, i suoi condizionamenti e la sua… violenza. L’uomo è libero! Ed è a immagine e somiglianza di Dio, di un Dio amorevole, sempre, e amante dell’uomo, sempre! Quanto più fissiamo il Crocefisso, almeno il Venerdì Santo, tanto più ci scopriamo peccatori e sentiremo un gran desiderio di confessarci! La confessio46


ne è una vera esaltazione della libertà dell’uomo: se Dio avesse cancellato d’autorità i peccati, avrebbe trattato l’uomo come automa. Davanti al Crocefisso, in un giorno così santo, siamo quasi costretti ad ammettere di essere peccatori e a dire: «Sì, Signore, ho peccato in questo e in quest’altro modo…» Tre insegnamenti conclusivi 1) Devo riconoscere che Gesù è il Messia morto in croce per i peccati miei, … nostri…! 2) La Pasqua vuole la mia conversione del cuore e della vita personale. 3) Con Cristo sofferente sono invitato a donarmi come seme di speranza e di liberazione nel terreno del mondo (= situazioni, gioie, dolori, scelte…) «completando nella mia carne – come dice S. Paolo nella lettera ai Colossesi (1,21) – quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa». Ora, davanti al Crocefisso, preghiamo col papa Paolo VI: Siamo qui, o Signore Gesù. Siamo venuti come i colpevoli ritornano al luogo del loro delitto, siamo venuti come colui che Ti ha seguito, ma Ti ha anche tradito, tante volte fedeli e tante volte infedeli, siamo venuti per riconoscere il misterioso rapporto fra i nostri peccati e la Tua passione: l’opera nostra e l’opera Tua, siamo venuti per batterci il petto, 47


per domandarti perdono, per implorare la Tua misericordia, siamo venuti perché sappiamo che Tu puoi, che Tu vuoi perdonarci, perché Tu hai espiato per noi. Tu sei la nostra redenzione e la nostra speranza. SABATO SANTO Invito a riflettere ancora su quanto ho proposto sul silenzio di Gesù nel sepolcro: Dio Padre tace perché con la morte di Gesù ha… pronunciato completamente la Sua Parola a noi uomini. Il Verbo è la Parola che il Padre ha detto, anzi: ha donato a noi uomini peccatori per rimetterci nella dignità originale, quella dell’uomo nel “paradiso terrestre” prima del peccato: uomini a Sua immagine e somiglianza. Quindi, il silenzio del Sabato Santo non è negativo, non è mancanza o incapacità di parola. È pienezza di parola: è completamento del disegno di Dio a nostro vantaggio. Aggiungo però un’altra riflessione. DAVANTI AL SEPOLCRO IN PACE! Adesso, Gesù, riposa… in pace! Finalmente! Hai compiuto alla perfezione la tua missione, il compito che il Padre ti aveva affidato. E l’hai compiuto alla perfezione. Per questo, gli uomini (se accettano!) sono salvati; e in ciò il Padre è glorificato; ossia, è annunciato, anzi è proclamato a tutte le genti il Suo amore misericordioso. 48


Gesù, per Te è finita ormai ogni forma di sofferenza. È… esausta; ossia è consumata e patita fino in fondo. Il silenzio, che regna nel tuo sepolcro (e fuori), non è segno di negatività, non è… “un vuoto” di qualcosa, non è solo “la” fine della tua vita; è addirittura la prova che “tutto è compiuto!”. Bravo, Gesù! Ti ringrazio e mi complimento con Te. Però, Gesù, permettimi di dirti che in fondo al mio cuore sento una strana percezione di smarrimento, di delusione. E dal profondo delle mie viscere sale invincibile un grido: «Eppure, non può essere tutto finito così!» Qualcosa, non so che cosa né quando, qualcosa deve accadere, altrimenti la speranza in me diventa inevitabilmente “disperazione”! Ma allora, la tua Parola, Gesù, è… realtà, oppure è semplicemente un insieme di suoni, che si pèrdono all’infinito?! Al massimo, potrebbero essere un’eco di una tua parola, e niente più. Questo non può essere: sarebbe la negazione totale della Verità. Ma Tu hai detto: «Le mie parole sono verità e vita!» Dunque: attendo vivo un Avvento misterioso, ma reale. Comunque, regna il silenzio! I CAPI Sento i capi, religiosi e politici, gridare in cuor loro: «Abbiamo vinto!» Sì, la ragione è (apparentemente) soddisfatta e la Legge è salva! L’“affare Gesù” è concluso, archiviato. Più nessuno potrà illudersi di vedere in Lui un capo, o addirittura un profeta, per non dire addirittura “il Messia”. Questo Gesù è diventato silenzio, perfino… un niente! «Siamo liberi!» – gridano – Riprendiamo il nostro posto nel popolo: ora lo possiamo guidare come vogliamo: tanto, Lui tace, non c’è più; è finito per sempre! E li vedo festeggiare il silenzio, il sepolcro… muto di Gesù! Eliminato Gesù, Dio, l’uomo rimane solo orgoglio! E così si rinnova il peccato del paradiso terrestre. I SUOI Poveri amici di Gesù! Che delusione! Li vedo svuotati; sembrano ombre mute, che esistono solo fin49


ché non c’è il sole, ma sono completamente inconsistenti. Si sentono perfino traditi. Dove sono le sue promesse: «Io sono con voi fino alla fine del mondo!» – «Non vi lascerò soli!» – «Chi crede in me non morirà in eterno!». Sono parole vuote?! Perché Gesù ha… osato fare queste affermazioni? Non vedeva che noi abbiamo rinunciato a tutto, lavoro, famiglia, risultati personali ecc, per seguire Lui?! Perché non ha previsto le conseguenze della sua morte nella nostra vita? Smarrimento, sfiducia, perfino… rabbia! Si guardano l’un l’altro come larve vaganti. Li vedo davanti alla pietra che chiude il sepolcro di Gesù. Immobili come statue di pietra; muti perché incapaci perfino di pensare. Non riescono nemmeno a versare una lacrima e con il cuore… asciutto. E regna il silenzio, dentro nel cuore e fuori. IO Sì, mi vedo presente come uomo… comune, non come sacerdote. Anch’io sono presente, fisicamente immobile davanti a quella strana tomba. Anch’io, quindi, provo le reazioni come gli altri., anzi: come “i Suoi!” Mi sorge impellente una domanda, affettuosa, non di rimprovero. Né sdegnata: «Gesù, dove sei finito? Sai che ho accolto il tuo invito e ho giocato tutta la mia vita su di Te. Adesso, di chi sono?» Ora non ho più un appoggio che ritenevo sicuro e incrollabile (fede, fiducia e appoggiarsi totalmente a un muro sicuro e stabile, a una roccia infrangibile). Anch’io, come “i Suoi”, provo smarrimento e delusione (non rabbia!). Anch’io sperimento il vuoto esistenziale della solitudine. Mi viene meno anche la Speranza, perché sappiamo per esperienza che è una virtù figlia della Fede, corre il rischio della disperazione. A questo punto perfino la Carità non ha più consistenza, perché è morto, finito Colui che è la realtà della Carità, Gesù in persona. Quindi, anch’io sperimento e subisco il peso del silenzio del sepolcro di Gesù. 50


MARIA SS. Non tento nemmeno di indovinare lo stato d’animo, il dolore, il mistero del cuore di Maria SS. Voglio però incaricare le mamme (che leggeranno queste pagine) di cogliere in modo umano la situazione, il “qui e ora” della Madonna davanti al sepolcro del Suo Gesù. Però oso indovinare un grido soffocato nel Suo cuore di mamma: «Eppure è vivo!» Perché l’Amore non può morire, mai! Sofferta conclusione: in tutti regna il silenzio! MA il mattino seguente il sepolcro sarà VUOTO!

51


DOMENICA DI PASQUA È sufficiente rivedere e risentire Maria Maddalena quando esplode nel grido: “Maestro!” E la sua necessità di correre a comunicare agli amici: «Ho visto il Maestro!» A me mancano davvero le parole per esprimere adeguatamente i sentimenti della Maddalena. Qui vedo lo spazio vuoto, colmo di stupore “ineffabile” – direbbe Paolo VI –; cioè uno stupore interiore che prende tutta la persona. Credo che ciascuno debba liberamente abbandonarsi, a lungo e sotto l’azione dello Spirito, a rivivere la situazione umana della Maddalena in modo strettamente personale e incomunicabile. Certe esperienze interiori non si possono davvero manifestare a nessuno, né condividere: sono proprie e basta! Il riesplodere del Gloria solenne nella Messa di Pasqua dice la gioia incontenibile della Chiesa perché Dio è vivo e operante ancora e sempre; perché Gesù, il Messia-Salvatore, è IL VIVENTE, per sempre! Quindi: Alleluia! È impossibile (e inutile) pretendere di commentare adeguatamente la gioia pasquale. Tantissimi lo hanno già fatto egregiamente. Però desidero concludere le mie riflessioni sul “memoriale della Pasqua” riportando due citazioni, che ritengo belle e significative. Eccole. La prima è addirittura del papa Benedetto XVI: «Il fatto che Dio abbia creato la luce significa che Dio ha creato il mondo come spazio di conoscenza e di verità, spazio di incontro e libertà, spazio del bene e dell’amore. La materia prima del mondo è buona, l’essere stesso è buono. E il male non proviene dall’essere che è creato da Dio, ma esiste solo in virtù della negazione. È il “no”. A Pasqua, al mattino del primo giorno della settimana, Dio ha detto nuovamente: “Sia la luce!” Prima erano venute la notte del Monte degli Uli52


vi, l’eclissi solare della passione e morte di Gesù, la notte del sepolcro. Ma ora è di nuovo il primo giorno – la creazione ricomincia tutta nuova. “Sia la luce!”, dice Dio, “e la luce fu”. Gesù risorge dal sepolcro. La vita è più forte della morte. Il bene è più forte del male. L’amore è più forte dell’odio. La verità è più forte della menzogna. Il buio dei giorni passati è dissipato nel momento in cui Gesù risorge dal sepolcro e diventa, Egli stesso, pura luce di Dio. Questo, però, non si riferisce soltanto a Lui e non si riferisce solo al buio di quei giorni. Con la risurrezione di Gesù, la luce stessa è creata nuovamente. Egli ci attira tutti dietro di sé nella nuova vita della risurrezione e vince ogni forma di buio. Egli è il nuovo giorno di Dio, che vale per tutti noi». (Basilica Vaticana, 7 aprile 2012) Da ultimo riporto per intero un’omelia di un pastore molto intelligente e capace di capire in profondità l’uomo di oggi. È l’omelia che Mons. Luigi Gandini (che fu Prevosto di Seregno) pronunciò nella sua Basilica la festa di Pasqua del 1993: «“Cristo è risorto dai morti, a tutti è donata la vita”. Con queste parole incomincia la Santa Messa. L’annuncio suscita una risposta piena di gioia in cielo e sulla terra: “Cantano gli Angeli in cielo e canta il tuo popolo in terra la tua risurrezione”. Celebrare la Pasqua è dunque celebrare la gioia per l’evento misterioso e santo della nostra salvezza: Cristo risorto è il nostro Salvatore! Far Pasqua vuol dire condividere l’esperienza del nostro Salvatore. Diremo infatti allo spezzare del pane, durante questa Messa, “Morivo con Te sulla croce, oggi con Te rivivo. Con Te dividevo la tomba, oggi con Te risorgo”. La Pasqua ci riporta così al centro della nostra esistenza, ce ne svela il mistero. Morivo con Te sulla croce. Non ci sarebbe nessuna risurrezione, se prima non ci fosse stata una morte. Non ha senso disgiungere la Risurrezione dalla Croce: è la Croce a darle lo splendore santissimo di immortalità. La Pasqua ci mette così di fronte non solo alla morte di Cristo, ma anche alla nostra morte. Cristo è risorto per non morire più. La nostra risurrezione pasquale invece cos’è? Una semplice commemorazione storica? Un momento di evasione soltanto? Sulla croce ci siamo un po’ tutti infatti! Ciascuno ha la sua, nessuno è senza, e tutti ci stiamo a fatica. La Pasqua non illude nessuno, a nessuno toglie la croce dalle spalle; la vi53


ta continuerà a consumarsi nel suo dovere quotidiano, nella sua fatica e nel suo dolore. Chi non vorrebbe che così non fosse!? Per tutti gridò questo rifiuto Gesù nell’orto degli ulivi proprio per non lasciarci soli nella nostra paura e nella nostra angoscia, così che pure noi potessimo ridire con fiduciosa sicurezza le parole che tra poco, allo spezzare del pane, pronunceremo: “Oggi con Te rivivo” Torneremo dunque alle nostre fatiche, ai nostri doveri quotidiani, senza illusioni, poiché soltanto la croce di ogni giorno, il dovere quotidiano, garantisce il senso della nostra vita e il suo autentico valore. La Pasqua impedirà che il baccano della sofferenza torni ad assordarci così da farci sentire della vita solo i rintocchi della campana a morto. La Risurrezione di Cristo svela la trama di luce, che illumina per sempre ogni fatica, e le impedisce anche di spegnersi nella morte. Nessun sepolcro è infatti in grado di spegnerla dopo che il Risorto lo scoperchiò. Con Te divido la tomba diremo allo spezzare del pane di questa Messa. Quale tomba? La tomba dello scoraggiamento, dell’abbandono, talvolta del rifiuto, financo della disperazione. Nella Messa vespertina di questa domenica leggeremo il brano di Vangelo che racconta uno di questi episodi di scoraggiamento: quello dei due discepoli di Emmaus. “Speravamo” sospirano, racchiudendo in cuore la loro delusione, allontanandosi da Gerusalemme tre giorni dopo la crocifissione e la morte di Cristo. Non disperati, ma amaramente rassegnati! Delle due anime che può avere la rassegnazione, la Pasqua ci invita a vivere la seconda, non la prima che è quella del “disimpegno”, che conduce a rifugiarsi sfiduciati nella tomba del proprio “Io”, quando le difficoltà e le delusioni ci fanno abbandonare il campo e ci rinchiudono nel nostro “individualismo”, che è sempre una tomba. La seconda invece, che è la paziente perseveranza nella fedeltà all’adempimento del dovere quotidiano. Questa cambia il cuore, purifica le mani, rende partecipi del dono di salvezza del Risorto, rende capaci cioè non solo di continuare a fare, ma di ricominciare a fare, nonostante le delusioni e gli insuccessi; come del resto i discepoli di Emmaus, che “senza indugio fecero ritorno a Gerusalemme” a ripetere le parole che tra poco diremo: Oggi con Te risorgo. C’è bisogno di ripetere queste parole, che sembra oggi siano sommerse dall’onda di molte altre, troppo, insufficienti a incoraggiare. La fiducia nella nostra risurrezione, nella nostra ripresa, oggi è non solo necessaria, ma anche doverosa: è la fede che ce ne dà la garanzia. La croce 54


di Cristo ha avuto la sua risurrezione e i Vangeli ce ne raccontano la maniera; da quel giorno ogni croce ha la sua risurrezione! Anche la nostra, dunque, quella che ciascuno di noi porta sulle sue spalle. Sarà allora la vita di ognuno a scriverne il racconto non soltanto con le parole, ma soprattutto con le opere di umile e fedele disponibilità, di delicata attenzione, e di sapiente collaborazione. In questo modo, non nell’individualismo sterile e dannoso, la vita continua a progredire. Che progredisca nel profondo di ogni coscienza, nell’intimità di ogni famiglia e nella convivenza sociale. Ce lo auguriamo tutti di vero cuore. In questa santa Pasqua». ALLELUIA CRISTO È RISORTO PER SEMPRE! ALLELUIA

55


Pro manuscripto



È Pasqua! «Gesù risorge dal sepolcro. La vita è più forte della morte. Il bene è più forte del male. L’amore è più forte dell’odio. La verità è più forte della menzogna. Il buio dei giorni passati è dissipato nel momento in cui Gesù risorge dal sepolcro e diventa, Egli stesso, pura luce di Dio. (...) Con la risurrezione di Gesù, la luce stessa è creata nuovamente». (Benedetto XVI) Pasqua di risurrezione anche nostra. È la meta a cui tende il percorso tracciato in queste pagine di riflessione. Alleluia!


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.