Marzo - aprile 2013 - e 3,00
Luca e PaoLo
L’omaggio a Giorgio Gaber in scena al Politeama Genovese
Bruno ceccoBeLLi
roi d’e d’eros in un tour per il mondo
Loris e Manrico cosso dei gemelli violinisti
Parco deLL’antoLa
Fabio Fazio il segreto del Festival dei record? È tornata la musica
amata dai genovesi
Genova coM’era sotto la Lanterna
itaLo caLvino
Le sue città invisibili conquistano
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LA PRO RECCO DELLA GENTE La Pro Recco Waterpolo 1913 è una delle società più titolate al mondo nell’ambito di tutti gli sport, che sfrutta la propria popolarità sportiva per perseguire essenzialmente finalità popolari
PRO RECCO E sOCiALE La Pro Recco si avvale del marchio unicef La Pro Recco collabora con la banca degli occhi melvin Jones La Pro Recco aiuta l’associazione filantropica Tene Ti Ala rappresentata dal suo giocatore maurizio felugo
PRO RECCO E GiOVANi La Pro Recco ha un nutrito settore giovanile che provvede a trasportare da e per le piscine ad ogni evento sportivo La Pro Recco divulga lo sport direttamente nelle scuole giovanili La Pro Recco organizza corsi e manifestazioni culturali collaterali per i giovani
PRO RECCO E PisCiNA La Pro Recco, la società più titolata del mondo pallanuotistico, non ha una piscina propria. il Presidente Angiolino Barreca ha presentato un progetto di rinnovamento della piscina di Punta s. Anna per esigenze sportive e balenari. La parola definitiva spetta alla Civica Amministrazione
26 sCuDETTi | 8 COPPE iTALiA | 7 COPPE DEi CAmPiONi | 5 suPERCOPPE EuROPEE | 1 LEGA ADRiATiCA 1 sCuDETTO fEmmiNiLE | 1 COPPA DEi CAmPiONi fEmmiNiLE | 1 suPERCOPPA EuROPEA fEmmiNiLE
www.prorecco.it
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Sommario MARZO/APRILE 2013
Direttore Responsabile Gabriele Lepri Direttore Editoriale Giordano Rodda Editore RR Editori - Via Palestro 15/9 16122 Genova - Tel. 0108592291 Responsabile Marketing e Relazioni esterne Umberto Paganelli umberto.paganelli@yahoo.it - 3349050983 Progetto Grafico RR Editori Grafica e impaginazione Barbara Macellari Servizi Fotografici Marcello Rapallino, Gianni Risso Segretaria di Redazione Adelia Mangano Hanno collaborato: Diana Bacchiaz, Silvia Barbagelata, Leo Cotugno, Chiara Farsaci, Gaby De Martini, Dario G. Martini, Daniela Masella, Gianpaola Mazzuoccolo, Umberto Paganelli, Anna Proverbio, Marcello Rapallino, Mauro Ricchetti, Virgilio Pronzati, Gianni e Iskandar Risso, Matteo Sicios, Anna Maria Solari Stampa Grafiche Vecchi Srl Viale Kennedy 27 28021 Borgomanero (No) Internet rreditori@gmail.com Distribuzione Potete trovare InGenova e Liguria Magazine nelle edicole della provincia di Genova e nelle edicole più importanti di S. Terenzio, Lerici, Zoagli, S. Michele di Pagana, Portofino, Bogliasco, Arenzano, Cogoleto, Varigotti, Finalborgo, Laigueglia, Cervo, S. Bartolomeo al Mare, Diano Marina, Imperia, Pieve di Teco, S. Lorenzo al Mare, Taggia e inoltre nelle edicole di La Spezia (Piazza Caduti della Libertà, Piazza Verdi, Via del Prione, Piazza Garibaldi, Via Garibaldi, Piazza Cavour), Sarzana (Via Gramsci), Chiavari (Piazza Mazzini, Corso Dante, Piazza Nostra Signora dell’Orto), Rapallo (Piazza delle Nazioni, Via S. Anna), Santa Margherita (Piazza Vittorio Veneto, Via Bottaro), Camogli (Via al Porto), Recco (Via Serreto), Varazze (Corso Matteotti, Piazza Dante), Celle (Via Colla), Albisola Superiore (Corso Mazzini), Albissola Marina (Via Billiati), Savona (Piazza Giulio II, Via Paleocapa, Piazza Mameli, Piazza Diaz), Vado Ligure (Via Aurelia), Spotorno (Via Garibaldi), Noli (Piazza Morando), Finale Ligure (Piazza Vittorio Emanuele II), Pietra Ligure (Via Matteotti), Loano (Via Aurelia), Borghetto S. Spirito (Corso Europa), Albenga (Piazza del Popolo), Alassio (Stazione FS, Via Garibaldi), Andora (Via Aurelia), Arma di Taggia (Via Blengina, Via S. Francesco), Sanremo (Piazza Colombo, Porto, Piazza Eroi Sanremesi, Corso Imperatrice, Corso Matuzia), Ventimiglia (Via della Repubblica), Ospedaletti (Corso Regina Margherita), Bordighera (Piazza Eroi della Libertà, Via Vittorio Emanuele, Piazza del Popolo), Lavagna (Piazza Cordeviola), Cavi di Lavagna (Piazza Sauro), Sestri Levante (Piazza Repubblica), Riva Trigoso (Via della Libertà) Registrato c/o il Tribunale di Genova il 18/11/2002 - N° 23/02
2/ Premiata ditta Fabio e Luciana
Fazio e la Littizzetto hanno portato sul palco dell’Ariston l’alchimia nata a Che tempo che fa e regalato momenti di grande musica per il sessantatreesimo Festival di Sanremo
6/ Un duetto perfetto
Loris e Manrico Cosso, i gemelli violinisti, dal 1985 Concertino dei primi violini al Carlo Felice, si raccontano e parlano della loro compilation
58/ Gli argenti del marchese in mostra a Palazzo Spinola
Fino al 10 marzo la mostra, a cura di Farida Simonetti, alla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola
70/ Ricordando Gilberto Govi
A novant’anni dal successo milanese dei «I manezzi pe majâ na figgia», la vita e la carriera del genovese che più di tutti ha fatto amare il dialetto
72/ Viaggio a Genova
8/ Luca e Paolo, ricordando Gaber
Il 20 e 21 marzo al Genovese in scena “Non contate su di noi”, tra monologhi inediti e canzoni leggendarie
10/ Le città invisibili di Italo Calvino
Dodici artisti per celebrare il grande scrittore ligure e le straordinarie città viste dal suo Marco Polo. Fino al 2 marzo a Sanremo
18/ Tra Natura e Cultura… a due passi dalla città!
A spasso per il Parco dell’Antola, una delle mete più amate dai genovesi e dai liguri
28/ Paola Pastura
Le opere e le mostre della pittrice genovese, dagli esordi informali alla ricerca di oggi
30/ Anche Manet ospite ad Antiqua
“Aspettando la minestra” del grande pittore impressionista tra gli ospiti d’onore della mostra d’antiquariato che lo scorso gennaio ha fatto il pieno di pubblico alla Fiera di Genova
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arrivando dal mare
Annotazioni sul centro storico di Genova a confronto con il Porto Antico, per chi ancora deve scoprire la città della Lanterna
82/ La storia dei tram a Genova
Uno sguardo al trasporto pubblico sotto la Lanterna a centocinquant’anni di distanza dall’istituzione dei primi tram
86/ L’affresco della Madonna, il segreto di Mareta
È di autore ignoto l’affresco cinquecentesco nella cappella vicino alla chiesa di Mareta, borgo della Valbrevenna affascinante ma minacciato da ristrutturazioni prive di criterio
88/ Celivo, tutti insieme per il volontariato
Il presidente del Centro Servizio Volontariato di Genova Luca Cosso parla di risultati e prospettive future
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/ Alla scoperta delle sorgenti del Po
/ Eroi d’Eros in un tour per il mondo
Cronaca di una escursione “allegra ma non troppo” da Genova al Monviso
42/ I conflitti di Rigoletto
La proposta di Capurro Ricevimenti presentata a Palazzo della Meridiana, tra piatti della tradizione, eccellenze del territorio e un occhio rivolto anche ai più giovani
Le cento pagine della collezione Eros di Bruno Ceccobelli evocano un mondo giocoso e sereno, lontano dalla pruderie e dalle censure Passata la bufera del recente passato, folto cartellone tra lirica, sinfonica e musical per la primavera del Carlo Felice
44/ Filippo Romoli
grafico e cartellonista
Un riallestimento mette in mostra una selezione di opere dell’artista savonese, attivo in particolare nell’ambito della promozione turistica nell’Italia del Dopoguerra
46/ Europa: unita?
Intervista con il Professore Michele Marsonet sul futuro dell’Europa e sulla politica tedesca
116/ Emotivatevi!, ecco i sapori “consapevoli”
120/ E a dicembre trionfano Asti e Moscato d’Asti
Mango e Nizza Monferrato hanno ospitato convegni e manifestazioni dedicati ai vini delle feste per eccellenza
130/ Marsiglia si tinge di blu
Grandi successi per gli italiani al 39° Festival Mondial de l’image sous-marine. Uno degli «Oscar della subacquea» vinto dal ligure Massimo Boyer
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In copertina: Fabio Fazio
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PREMIATA DITTA FABIO E LUCIANA
Luciana Littizzetto e Fabio Fazio intervistati da Verdiano Vera di Teleliguria.
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FAZIO E LA LITTIZZETTO HANNO PORTATO SUL PALCO DELL’ARISTON L’ALCHIMIA NATA A “CHE TEMPO CHE FA” E REGALATO MOMENTI DI GRANDE MUSICA PER IL SESSANTATREESIMO FESTIVAL DI SANREMO
razie, Raiuno. Che due come noi siano stati chiamati qui è una cosa da pazzi». Incorreggibile Fazio. Il buon Fabio, sornione come non mai, lo sa bene: è esattamente il contrario. I ringraziamenti da parte dell’ammiraglia toccano a lui e a Luciana Littizzetto, la coppia di Che tempo che fa che è riuscita a ottenere un riscontro d’ascolti stratosferico con un Festival dichiaratamente al risparmio. A dimostrazione che con un po’ di gusto la spending review non condanna a uno spettacolo in tono minore. Anzi: accantonati per forza di cose i superospiti stranieri che piombavano dagli elicotteri per staccare assegni spaventosi dopo dieci minuti netti di performance, si è optato con intelligenza su grandi musicisti di ieri (Caetano Veloso) e di oggi (Antony Hegarty, scoperto da Lou Reed e ormai definitivamente sdoganato sui palcoscenici di mezzo mondo) regalando uno spettacolo più coeso – e di gran lunga meno disastroso per il bilancio Rai. Non è che ci volesse molto, è vero: eppure ben pochi nelle scorse edizioni erano riusciti a resistere alla facile presa di un De Niro o di un Tyson per far lievitare l’audience. E le canzoni? Critici concordi: livello più alto che in passato. A volte di molto. “Merito di Fabio: non so come sia possibile, visto che se fosse per lui sarebbe tutto preludi, notturni e concerti brandeburghesi”, ha scherzato Luciana Littizzetto al microfono di Verdiano Vera poco prima del Festival, subito dopo aver precisato di avere “Lo stesso vestito di Belen l’anno scorso: lo spacco mi arriva al naso”. Menzioni d’onore per i soliti Silvestri, Gazzè e Cristicchi, ma su tutti ha rubato la scena Elio con le sue Storie Tese:
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come ai gloriosi tempi di Baudo e de “La terra dei cachi” (ricordate il braccio finto?), il vulcanico gruppo milanese ha saputo stupire non solo con le interpretazioni a base di ironia e tecnica sopraffina della geniale “La canzone mononota”, ma con costumi e idee da showmen consumati, dal duetto con Rocco Siffredi ai costumi che più irriverenti non si può. Sono forse loro i vincitori di questo Festival – premio Mia Martini della critica e per il miglior arrangiamento – malgrado Marco Mengoni abbia convinto e sia ormai impossibile accendere la radio per dieci minuti senza sentire almeno un paio di volte la sua «L’essenziale». Paradossalmente è stato Maurizio Crozza, uno dei
E CON SANREMO È ARRIVATO SPOTIFY Musica per tutti. Il 63° Festival della canzone italiana ha visto anche l’arrivo in Italia di Spotify, un modo rivoluzionario di ascoltare la musica. Finalmente anche nel Belpaese gli appassionati di musica possono avere accesso al servizio, che mette a disposizione in modo facile, istantaneo e legale, oltre 20 milioni di brani, da ascoltare sul proprio computer, smartphone, tablet, sistemi home entertainment e altro ancora. Basta cercare un artista, un album o una traccia e premere ‘play’ per ascoltare online o offline la propria musica preferita, ma non solo. Utilizzare il servizio significa viaggiare alla scoperta di nuove canzoni curiosando tra i brani selezionati dai propri amici, da artisti o da personaggi famosi o, ancora, lasciandosi guidare dalla funzione “radio” di Spotify. Spotify si caratterizza anche per la forte connotazione social: è possibile condividere brani e playlist su Facebook, Twitter, sul proprio blog o via e-mail per scoprire, gestire e condividere con un solo click la musica con i propri amici. Fondato nel 2008 a Stoccolma da Daniel Ek e Martin Lorentzon per combattere la pirateria musicale, ad oggi Spotify ha conferito ai titolari dei diritti d’autore oltre 500 milioni di dollari. Attualmente Spotify è la seconda principale fonte di ricavi per le case discografiche in Europa nel settore della musica digitale L’arrivo del servizio in Italia – che è avvenuto in contemporanea al lancio in Polonia e Portogallo, portando così a 20 il numero dei paesi in cui Spotify è presente – ha coinciso con l’apertura del Festival di Sanremo: un’occasione unica per contribuire alla promozione della musica italiana. Durante la settimana sanremese erano già disponibili sulla piattaforma contenuti in esclusiva streaming per alcuni degli artisti che hanno preso parte alla kermesse canora, come Chiara, Max Gazzè, Marta sui Tubi, Il Cile e Annalisa.
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Qui sotto Marco Mengoni: dopo aver trionfato a Sanremo 2013 conquista anche le classifiche di vendita con “L’Essenziale” che è già disco d’oro. A fianco: Antony a Sanremo con il brano ‘You’re my sister’. Sotto: Elio con le sue Storie Tese con la premiatissima “Canzone Mononota”.
protagonisti annunciati, a cadere sul più bello. Vittima di un’inaspettata contestazione dai contorni confusi (“Non ce l’avevano con lui, ma con un provocatore ben noto” ”No, non volevamo la politica sul palco dell’Ariston”), l’ex Broncoviz ha accusato il colpo, facendo temere che potesse abbandonare la scena. Reazione tutto sommato comprensibile, visto il filotto di successi che ha inanellato negli ultimi mesi; eppure il suo show, con cavalli di battaglia forse già un po’ troppo visti (Berlusconi, Bersani, Montezemolo con l’immancabile Giulia Sofia, il sublime Ingroia) non ha avuto la stessa incisività delle sue serate di grazia a Ballarò o Crozza delle meraviglie. Verve che non è mancata a Luciana Littizzetto, irresistibile col caschetto da Caterina Caselli o intenta a fare a pezzi “Quelqu’un m’a dit” dell’algida Carla Bruni. E il futuro? A Fazio, manco a dirlo, hanno già chiesto il bis. Lui glissa: “Ci vuole un progetto”. Ma ha ancora
senso Sanremo dopo i trionfi di X-Factor e Amici, che puntualmente si riflettono anche sulla classifica finale? «Io penso che Sanremo sia sempre il Festival di Sanremo, con la sua formula: una gara di canzoni inedite. Piuttosto, i talent hanno sostituito trasmissioni come Giromike o il Cantagiro», ha dichiarato a Teleliguria. «I talent dell’epoca erano quelli: manifestazioni per chi voleva farsi conoscere, ma sempre con la volontà di andare a Sanremo. È cambiato il percorso ma l’obiettivo è sempre lo stesso».
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di Anna Proverbio
UN DUETTO PERFETTO
LORIS E MANRICO COSSO, I GEMELLI VIOLINISTI, DAL 1985 CONCERTINO DEI PRIMI VIOLINI AL CARLO FELICE, SI RACCONTANO E PARLANO DELLA LORO COMPILATION
A
che età vi siete resi conto delle vostre inclinazioni musicali? «Eravamo molto piccoli», rispondono all’unisono i gemelli Cosso, che rivestono il ruolo di concertino dei primi violini nell’orchestra del Teatro del Carlo Felice di Genova. «Ricordo» prosegue Manrico «che per il nostro compleanno una zia, commessa alla Upim, ci regalò due piccoli pianoforti a mezza coda. Avevamo sei anni: cominciammo a suonare e da allora non abbiamo più smesso».
Nelle vostra famiglia c’era qualcuno che suonava il violino? «Il violino no, ma entrambi i nostri genitori erano appassionati di lirica. In particolare, il papà aveva studiato bel canto e, pur svolgendo un’altra attività, in gioventù aveva tenuto qualche concerto. I nomi stessi con cui ci battezzarono evocano ricordi operistici: Manrico, protagonista del Trovatore, e Loris di Fedora». Siete gemelli monozigoti? Avete altri fratelli o sorelle? «Sì, come si può arguire dalla somiglianza quasi assoluta, siamo stati concepiti dallo stesso ovulo materno… per il resto amiamo definirci “figli unici””. In verità abbiamo non solo gusti simili, ma condividiamo anche gli stessi hobby». Che scuole avete frequentato per imparare a suonare? «La nostra famiglia abitava in un piccolo paese dell’entroterra ligure e lì abbiamo frequentato le scuole sino alla terza media. Il proprietario del bar di Isoverde, Pietro Rovati, era un suonatore di violino molto bravo che in estate teneva concerti a Saint Moritz. All’epoca noi improvvisavamo nel suo bar dei piccoli concerti suonando diversi strumenti, chitarra, batteria, per i nostri amici. Quando si trattò di scegliere per noi un tipo di liceo, fu il signor Rovati che, trovando che avevamo talento, consigliò a nostro padre di iscriverci al Conservatorio Niccolò Paganini di Genova». Fino a che età avete studiato al Conservatorio? «Fino a ventiquattro anni, sotto la guida del grande Maestro Renato De Barbieri, che in estate ci portava con sé al festival
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L’intervista di Salisburgo dove abbiamo avuto la possibilità di frequentare il prestigioso “Mozarteum”». Quando avete iniziato a suonare professionalmente? «Ottenuto il diploma al Conservatorio abbiamo partecipato a vari concorsi, vincendo il primo premio a quello Internazionale di Musica da Camera a Stresa nel 1983. Da allora abbiamo svolto un’intensa attività violinistica, partecipando a Rassegne importanti come il Festival Rossini di Pesaro e i Notturni Leopardiani di Recanati. In seguito abbiamo fatto parte di numerose formazioni cameristiche come I Cameristi, il Complesso Barocco Genovese, Il Giardino Armonico. Abbiamo anche effettuato numerose registrazioni RAI». Quali altre esperienze artistiche avete avuto? «Nel 1980, Loris ha partecipato a Sanremo, come viola solista al melodramma-balletto Pierrot Lunaire da Schoenberg, con Rudolph Nureyev. Inoltre ha collaborato come primo violino nell’orchestra nazionale di Bordeaux. Abbiamo anche svolto attività in varie orchestre (RAI di Milano e Torino, La Fenice di Venezia, ecc.).Infine, dopo essere stati docenti di violino presso il Conservatorio A. Vivaldi, di Alessandria, dal 1985 abbiamo ricoperto stabilmente il ruolo di Concertino dei primi violini nell’orchestra del Carlo Felice di Genova, con la quale abbiamo effettuato nel 1986 una tournèe in Cina con Luciano Pavarotti. Infine nel 2008 e 2009 ci siamo esibiti nei più importanti teatri di Spagna, insieme all’organista Guido Iotti, riscuotendo un grande successo di pubblico e di critica». Avete registrato qualche CD? «Recentemente abbiamo inciso una compilation autoprodotta che comprende pezzi variegati, arrangiati da noi stessi. Nel disco si possono ascoltare brani che variano dalla musica
classica più nota, alle colonne sonore di celebri film e poi valzer, musiche tzigane fino ad arrivare alla canzone genovese più rappresentata e conosciuta che è divenuta il simbolo di Genova: Ma se ghe penso». E per chi volesse acquistarlo? «Per ora lo vendiamo noi stessi (abbiamo un sito Internet che riporta anche la nostra e-mail manlella@alice.it) , in ogni caso ci stiamo attivando per trovare una casa distributrice ed immettere questo disco al più presto sul mercato, perché ce lo hanno chiesto in molti».
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A IL 20 E 21 MARZO AL GENOVESE IN SCENA “NON CONTATE SU DI NOI”, TRA MONOLOGHI INEDITI E CANZONI LEGGENDARIE
di Leo Cotugno
dieci anni esatti dalla scomparsa di Giorgio Gaberscik, in arte Giorgio Gaber, il Politeama Genovese farà da sfondo, mercoledi 20 e giovedi 21 marzo, per una due giorni fuori abbonamento a cura di Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. Lo spettacolo “Non contate su di noi”, organizzato dal duo artistico della nostra città in collaborazione con la Fondazione Gaber, raccoglierà un’ora e mezza di testi scritti da Sandro Luporini e dagli stessi Luca e Paolo. Un ricordo personale del grande maestro. «Abbiamo conosciuto personalmente Giorgio Gaber quando eravamo giovanissimi aspiranti attori – attacca Luca Bizzarri. – Ci colpì in lui la grande sensibilità, la sollecitudine con cui ci diede preziosi consigli come l’esortazione ad esporsi in prima persona sia come attori che come autori». A quale tipo di spettacolo assisteremo? Risponde Paolo Kessisoglu: «Sarà una sorta di incursione nel teatro-canzone
LUCA E PAOLO,
RICORDANDO GABER
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Politeama Genovese Raccomandazioni al pubblico? «Luca e Paolo non hanno forzato né stravolto per cercare una strada alternativa all’es gaberiano: la platea ci potrebbe vedere leggere il gobbo elettronico mentre cantiamo l’impegnativa “La Peste” oppure venire fuori per un bis di “Barbera e Champagne” che sa di falò tra amici». “Non contate su di noi” ha già fatto tappa a Milano e Pavia, dopo Genova lo si potrà ammirare al Sistina di Roma. Di Luca e Paolo Delia Gaberscik, figlia del maestro, ha detto: «Sono talmente bravi ad imitare mio padre che non sempre sarà facile individuare il finto Giorgio Gaber».
di cui riproporremo pezzi pescati qua e là: indimenticabili “La ballata del Cerutti” e “Lo Shampoo”. Ma secondo un criterio né celebrativo né cronologico ma solo esistenziale». Chi è stato veramente Giorgio Gaber? «Nei suoi monologhi, canzoni, dialoghi, abbiamo conosciuto il volto di ogni uomo che, quando prende sul serio l’avventura della vita, incanta, scopre, giudica, si commuove, si arrabbia, si innamora disamorandosi e continuando a cercare. Questo spettacolo sarà un grande omaggio ma anche un tradimento: tra i pezzi noti e meno noti del teatro di Gaber e Luporini che rivisitiamo con affettuoso rispetto seppure alla nostra portata sono nascoste anche alcune “trappole”. Pezzi inediti, monologhi e canzoni né di Gaber, né di Luporini ma testi originali, insomma, scritti appositamente per questo spettacolo cercando di imitare (o più biecamente) copiare i testi dei maestri ed il loro stile». Chi vi accompagnerà in scena? «Simone Cazzulani al violino, Luca Colombo, che è anche l’arrangiatore dei pezzi, alla chitarra acustica, Paolo Costa al basso, Giovanni Boscariol alle tastiere, Elio Rivaglio alla batteria».
INFO Info Politeama Genovese http://www.politeamagenovese.it/luca_paolo.html Prenotazione telefonica: 010 8393589
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LE CITTA’À INVISIBILI DI ITALO CALVINO
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DODICI ARTISTI PER CELEBRARE IL GRANDE SCRITTORE LIGURE E LE STRAORDINARIE CITTÀ VISTE DAL SUO MARCO POLO. FINO AL 2 MARZO A SANREMO
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a Fondazione Mario Novaro prosegue la quasi trentennale attività di studio e approfondimento intorno alla cultura ligure realizzando una mostra dedicata a Le città invisibili di Italo Calvino, nel quarantennale della sua prima edizione (Einaudi, 1972). L’esposizione, promossa dalla Fondazione Novaro e dal Museo civico di Sanremo, con il sostegno del Comune e della Regione Liguria, è stata inaugurata il 16 novembre a Palazzo Borea d’Olmo (via Matteotti 143), dove si potrà visitare fino al 02 marzo 2013 (dal martedì al sabato, dalle ore 9 alle 19). Curata da Walter Di Giusto, la mostra riunisce le opere di dodici artisti o gruppi: Maria Rebecca Ballestra, Piergiorgio Colombara, Walter Di Giusto, Mario Dondero, Luca Forno, Raffaele Maurici, Giuliano Menegon, Plinio Mesciulam, Raimondo Sirotti, Luiso Sturla, Lara Stuttgard e Gruppo Wabi. Gli autori si sono ispirati al tema delle città invisibili, lontane nel tempo e nello spazio, entità che vivono grazie al racconto per parole e immagini. Nelle pagine di Calvino, i resoconti di Marco Polo a Kublai Kan qualificano i luoghi stranieri incontrati nel corso del viaggio. Oggi sono i protagonisti di questo progetto a fare lo stesso, attraverso la pittura, la fotografia, l’architettura, il web, addirittura il modello di abiti futuri, immaginando nuovi luoghi dove la vita sia possibile, diversa, migliore. Perché se
Qua sopra, dall’alto verso il basso: Sturla “Lettera dal fiume” olio su tela P. Colombara “Torre” disegno-collage.
A sinistra: Ballestra “La città sorgente” stampa su alluminio. Di Giusto, “Alti bastioni” olio su tela.
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In alto a sinistra: L.Forno “Calvino La città continua” fotografia. Sotto: M. Dondero “Immagine senza tempo” stampa digitale. Qua a fianco: L. Stuttgard “Abito Cloe” tecnica mista.
P.Mesciulam “Senza pietre non c’è arco” - polimaterico
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Dall’alto verso il basso: G. Menegon “Venezia” tecnica mista. Lara Stuttgard e i suoi abiti dedicati alle città invisibili. Due giovanissime Miss Liguria con gli abiti della stilista.
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Il museo Borea d’Olmo Sotto: Wabi “In-visibili” gesso e acciaio è vero che il mondo contemporaneo è globalizzato, quindi risente di ciò che avviene anche molto lontano, è pur vero che la nostra vita quotidiana si svolge qui e ora, in una dimensione locale da ripensare con le nuove leggi imposte da una comunicazione velocissima. Negli ambienti del museo Borea d’Olmo vengono esposte, oltre alle opere degli artisti, alcune edizioni del testo calviniano, fotografie, lettere e documenti sulla vita dello scrittore ligure. La mostra “Città invisibili” parte dalla città dove egli è vissuto in giovinezza, ma proseguirà in autunno all’Accademia Ligustica di Genova. Entrambe le inaugurazioni saranno arricchite da una minisfilata di abiti dedicati alle città e da alcune iniziative collaterali, tra cui incontri con studiosi e critici e laboratori con le scuole. Il catalogo si intreccia con una delle attività della Fondazione Novaro: l’edizione della “Riviera Ligure”, quaderni monotematici che dal 1990 hanno ripreso la tradizione sostanziata da Mario Novaro all’inizio del secolo scorso, dando origine a uno straordinario caso letterario. Il quaderno numero 69 rilegge la figura e l’opera di Italo Calvino, di cui scrivono Giorgio Bertone, Loretta Marchi, Leo Lecci, Claudio Bertieri, Gerson Maceri e Veronica Pesce. Ai loro saggi seguono pagine dedicate agli artisti invitati a partecipare alla mostra “Città invisibili”, ognuno presente con la riproduzione di una delle opere esposte accompagnata da una personale testimonianza: parole spesso poetiche, riflessive, originali quanto piccoli racconti. Un catalogo-rivista, dunque, da cui ripartire per altri viaggi mentali o reali.
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R. Maurici “Esotica� immagine web
Qui a fianco la presentazione della mostra
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R. Sirotti “Lirridiscenza purpurea di una farfalla” olio su tela
Qui a destra l’inaugurazione della mostra.
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TRA NATURA E CULTURA... 18 INGENOVA Magazine
di Silvia Barbagelata
A DUE PASSI DALLA CITTA’
Natura ligure
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A SPASSO PER IL PARCO DELL’ANTOLA, UNA DELLE METE PIÙ AMATE DAI GENOVESI E DAI LIGURI
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a Liguria è una terra ricca di varietà paesaggistiche ed ambientali. Il mare tocca le rocce che salgono veloci verso l’Appennino creando panorami ed atmosfere da scoprire, vivere e tutelare. Per rendere possibile tutto ciò un ruolo fondamentale è affidato ai Parchi Naturali, che si propongono numerosissimi obiettivi: il primo – e quello che probabilmente li accomuna un po’ tutti – è proteggere la biodiversità. In questa occasione vorremmo raccontare del Parco dell’Antola, che prende il nome da uno di monti più cari ai genovesi e che, raccogliendo le tradizioni, le peculiarità paesaggistiche e turistiche della Val Trebbia e della Valle Scrivia, si prefigge un altro obiettivo particolare: permettere ad un Qui sopra una foto di vasto pubblico di godere delle sue ricchezze, sempre un po’ Pian della Cavalla © nascoste, come forse il carattere dei liguri stessi. A. Macco.
La sua area si snoda tra la Val Trebbia e la Valle Scrivia e comprende ben dodici comuni dell’entroterra: in Valle Scrivia Busalla, Ronco Scrivia, Savignone, Crocefieschi, Valbrevenna e Vobbia; in Val Trebbia Torriglia, Propata, Fascia, Montebruno, Rondanina e Gorreto. L’area protetta presenta una notevole varietà di ambienti, valli e vette panoramiche, boschi, pascoli e radure, versanti rocciosi a strapiombo, corsi e bacini ricchi d’acqua, una fauna selvatica presente su tutto il territorio. I crinali dell’Antola permettono di “vivere” la natura grazie ad una ricca ed estesa rete escursionistica segnalata. Oltre alla valorizzazione e alla tutela quotidiana della biodiversità, il parco si impegna in molteplici attività di promozione del territorio, ponendo l’attenzione su aspetti culturali, turistici, educativi ed eno-gastronomici. Esso si impegna nel promuovere la cultura locale, le produzioni tipiche, valorizzando le aziende agricole che operano sul territorio con la creazione del logo “I Sapori del Parco”, che da qualche tempo è concesso dal Parco ad alcuni prodotti tipici provenienti o lavorati in Val Scrivia o Trebbia. Di fondamentale importanza è senza dubbio il centro di Educazione Ambientale, che propone ogni anno alle scuole un vario e ricco catalogo di proposte didattiche alle quali partecipano, ogni primavera, centinaia di ragazzini sia delle due vallate che anche e soprattutto di Genova.
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Natura ligure ciazione Urania. Le aperture della struttura sono indicate, periodo per periodo, sul sito dedicato www.osservatorioparcoantola.it. Per altre informazioni: Associazione Urania 333.9355539. Il Parco poi ha la gestione del Castello della Pietra di Vobbia, fantastico maniero in Valle Scrivia arroccato tra due torrioni di roccia naturale. Il Castello venne edificato attorno all’anno Mille ed è oggi in ottime condizioni per merito di un restauro completo avvenuto alcuni anni fa che ne ha permesso la riapertura al pubblico. Una visita guidata di circa un’ora accompagnerà i visitatori attraverso le diverse stanze
Il Parco in questi ultimi anni ha progettato ed realizzato due importanti strutture che, con finalità diverse, stanno permettendo ad un sempre più vasto pubblico di conoscere ed apprezzare le potenzialità dell’area protetta: la prima è il Rifugio Parco Antola, inaugurato nel luglio 2007 e che con i suoi 32 posti letto ha donato nuovamente un presidio all’Antola, da sempre una delle vette più care ai genovesi. Il Rifugio è aperto per molti mesi tutti i giorni e anche nei mesi invernali è possibile prenotare nei weekend per rifocillarsi dopo una ciaspolata nella neve. Federico e Silvia vi accoglieranno per una notte in vetta, per un buon piatto di polenta o anche solo per una cioccolata! (Rifugio Parco Antola 339.4874872 – info@rifugioantola.com). Dal settembre 2011 è invece aperto al pubblico l’Osservatorio Astronomico Parco Antola – Comune di Fascia in Loc. Casa del Romano, tra l’altro una delle partenze predilette dal pubblico per salire in Antola. La struttura, che vanta un telescopio tra i più importanti in Italia e in Europa, dispone anche di un magnifico planetario e di una sala conferenze nella quale, attraverso una breve parentesi introduttiva, hanno inizio le visite guidate, fin dall’inizio a cura dell’Asso-
Castello della Pietra è situato in una pittoresca posizione elevata tra due speroni rocciosi che ne costituiscono i naturali bastioni. Il castello è raggiungibile soltanto a piedi tramite un sentiero nel bosco, ed una scalinata, dopo venti minuti di suggestivo cammino.
Due splendide immagine del lago del Brugneto.
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fino a raggiungere gli spettacolari punti panoramici, a picco sulla Val Vobbia. Il Castello sarà aperto tutte le domeniche e i giorni festivi a partire dal giorno di Pasquetta (1 aprile 2013). Per tutte le altre informazioni potete contattare gli uffici del Parco al numero 010.944175. Il Parco inoltre mensilmente organizza alcune escursioni guidate, con l’accompagnamento di guide ambientali, per scoprire tutti i diversi aspetti della biodiversità dei suoi territori: escursioni alla scoperta degli habitat della fauna selvatica (daino e lupo, negli ultimi anni ricomparso anche sull’Appennino Ligure), ciaspolate attraverso i sentieri innevati, brevi camminate verso le fioriture dei narcisi, fenomeno spettacolare a cui si può assistere durante il mese di maggio in Val Brugneto (Val Trebbia), e molto molto altro… Tutte le iniziative del Parco si possono trovare sul notiziario trimestrale dell’Ente, Le voci dell’Antola, il prossimo in uscita nel mese di marzo, oppure sul sito ufficiale del Parco, www.parcoantola.it. Un’altra immagine del Castello della Pietra ©M.Esposito.
A maggio i narcisi sul Pian della Cavalla.
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COME, DOVE E QUANDO NEL PARCO Il contatto più immediato e diretto con il Parco dell’Antola è l’ufficio turistico di Torriglia, aperto tutto l’anno dal martedì alla domenica dalle 9 alle 13, che proverà a fornirvi le risposte a tutte le vostre curiosità. Chiamateci: 010.944175 o… scriveteci: info@parcoantola.it
Sopra la cupola dell’Osservatorio foto L.Grasso. Nelle due foto accanto e qui sopra il rifugio Le Terrazze.
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LA FESTA DELL’ATLETA 2012 DEL GENOVA NUOTO IL 2013 SARÀ L’ANNO DELLA SVOLTA di Enzo Barlocco
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gennaio 2012, la nostra festa, bellissima, colorata, animata, adeguata a celebrare una data destinata a segnare la storia del Genova Nuoto, ma non solo, perciò ci sentiamo ancora più orgogliosi di aver partecipato e di essere partecipi di una svolta che non è retorico definire epocale. Non solo, perchè finalmente abbiamo trovato una casa, che da anni ci vedeva come semplici “inquilini”, dopo aver vagabondato fin dalle origini nelle più diverse piscine del Comune di Genova, ma soprattutto perchè ci siamo messi alla testa di un movimento che è stato capace di raggruppare sotto un unico soggetto ben otto società della nostra provincia da ponente a levante, che hanno avuto la forza e la volontà di lavorare insieme, con unico scopo: dimostrare che si possono gestire impianti grandi come Sciorba, senza trascurare
alcuno degli aspetti che compongono le varie sfaccettature delle attività legate al mondo delle piscine. E’ stata questa condivisione la nostra arma vincente, che ci ha sorretti in quest’anno e mezzo, la certezza che insieme si vince, che è poi il concetto che ci deve guidare anche nella nostra attività agonistica. La vittoria di My Sport ci deve insegnare che questa è la strada e che d’ora in poi il Genova Nuoto è una grande società perchè appartiene ad un grande gruppo destinato a diventare sempre più grande. Nessuno è in grado di dire dove arriveremo, ma è certo che ora non dobbiamo avere più scuse, ora tutto dipende da noi. Pazienza se le difficoltà che dobbiamo affrontare sono enormi, ma se siamo arrivati fin qui significa che ce la possiamo fare, perciò dobbiamo sentire sempre di più l’attaccamento a questo progetto, forse un po’ ambizioso, ma per il quale vale la pena di lottare fino in fondo, ognuno con le sue competenze, dando sempre il massimo. A darci forza alla nostra festa sono intervenuti Anpi, Foltzer, Fratellanza Pontedecimo, Camogli, Aragno, Sisport Gym, Nuotatori Rivarolesi, a voler dimostrare che d’ora in poi non saremo mai soli e ricordarci che stiamo tentando di realizzare un sogno che non ha eguali.
La presidente della Genova Nuoto Mara Sacchi, il giornalista e responsabile settore stampa Riccardo Re e il Presidente della My Sport, Enzo Barlocco
Gli allenatori. Da sinistra: Davide Ambrosi, Veronica Spigno, Valerio Gasparini, Marco Repetto, Marina Fabbri, Christian Gattorno, Claudio Lattere e Nicola Morando.
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Arte e solidarietà GLI EVENTI SPORTIVI l Genova Nuoto è nato nel 1948. Ha operato per quasi 50 anni, 45 per l’esattezza, nelle indimenticabili Piscine di Albaro, raggiungendo il suo momento di maggior fulgore sotto la guida dell’avvocato Annibale Ghibellini, il Presidente che ha fatto grande la Società. Il Genova Nuoto ha avuto una vita intensissima, ricca di episodi da ricordare e di risultati da citare. Quando nell’ottobre 1998 si festeggiò il primo mezzo secolo di vita della Società, la Società stava uscendo da un periodo molto travagliato. La festa si tenne nel nuovo impianto della Sciorba, nel quale il Genova Nuoto si era trasferito nel febbraio 1994, data di entrata in funzione di questa nuova, prestigiosa e modernissima struttura. Da una decina d’anni l’impianto di Albaro aveva cominciato a sentire l’usura del tempo, aggravata da trascuratezza manutentiva. Cominciava così la grande avventura in Val Bisagno della società nata in Albaro. Praticamente senza piscina, con i pochi atleti superstiti divisi tra Bogliasco e la Crocera, il Genova Nuoto aveva corso il rischio di chiudere. L’apertura della Sciorba aveva rappresentato la sua salvezza. Iniziò da lì un nuovo capitolo della storia della Società, con un rinnovato entusiasmo, un buon vivaio sul quale lavorare, tanti bambini sui quali ricostruire un settore agonistico che nel periodo di disfunzione di Albaro si era ridotto a sole undici unità. Gli inizi non furono affatto facili, occorreva ricostruire un tessuto societario quasi completamente disperso, creando inoltre un’attenzione nella vallata verso le discipline natatorie, fino a quel momento pressoché sconosciute. La risposta della gente è andata oltre ogni più rosea previsione. Migliaia sono state le persone che in questi diciott’anni hanno affollato i corsi nuoto a vario titolo organizzati dal Genova Nuoto, a dimostrazione della lungimiranza dimostrata dai pubblici amministratori di allora, che con coraggio seppero trasformare un deposito di gomme e non solo … in uno dei più grandi e belli impianti natatori d’Italia. Dopo sette anni, nel marzo 2001, il primo grosso risultato del nuovo corso: il titolo italiano di Francesca Medori, prodotto d.o.c. della Sciorba, nei 200 dorso ragazze 87, seguito dalla convocazione in nazionale della stessa atleta a fine giugno, per la Coppa Comen disputata a Tunisi, e - neanche un mese dopo - dal suo secondo titolo italiano giovanile, questa volta sui 100. Si tenga presente che il precedente titolo nazionale conquistato dal Genova Nuoto risaliva al 1975 (Lorenzo Marugo 200 e 400 misti). Da allora il Genova Nuoto è ininterrottamente fino ad oggi, la prima Società di nuoto della Liguria, soprattutto il settore femminile fa parte ormai dell’eccellenza a livello nazionale. Il Campionato Italiano Assoluto vinto da Martina Carraro nel 2009 a Riccione nei 100 rana con annesso record nazionale, che le valse la partecipazione con la Nazionale maggiore ai Campionati del Mondo di Roma, rappresenta la punta di un iceberg che si dimostra sempre più esteso, come attestano i ben tre titoli conquistati nelle tre distanze della farfalla (50,100, 200) dalla nuova grande promessa Claudia Tarzia seguiti dalla vittoria con largo margine della giovanissima Giorgia Mai negli 800 stile libero ai Campionati Italiani Giovanili dello scorso anno a Riccione. I nostri ragazzi hanno ottenuto anche ottimi risultati ai Campionati Italiani di Fondo dove nei 3000 metri Francesco Ghettini si laurea campione italiano nella sua categoria. La qualità espressa da Atleti, Tecnici e Dirigenti consente inoltre di organizzare a Sciorba importanti meetings a livello giovanile ed assoluto quali il Trofeo Memorial Agosti, in memoria di un nostro giovane Atleta ed istruttore, e il Trofeo Nico Sapio, che ogni anno concentra in Val Bisagno il meglio del nuoto mondiale cui fanno da corona oltre 1000 giovanissimi delle varie categorie, tutti attratti dall’eccezionale scorrevolezza della vasca, corredata da un’organizzazione impeccabile tutta affidata al volontariato di Dirigenti, Genitori e Gente comune della vallata, in grado di rispondere sempre con entusiasmo. Accanto ai risultati agonistici, autentica vetrina dell’attività del Genova Nuoto, non meno importanti sono i numeri che raccontano di quanti giovani imparino a nuotare solo per migliorarsi fisicamente e moralmente, di quanti adulti, anziani, disabili trovino in vasca sfogo alla loro necessità di praticare una sana attività sportiva. Di questo il Genova Nuoto, ma crediamo tutta la Val Bisagno deve andare orgogliosa. E ricordare che solo vent’anni fa lì c’erano montagne di rifiuti e di pneumatici usati...
Nella foto in alto gli atleti Esordienti A festeggiano la vittoria alle Finali Estive 2012 Qui sopra da sinistra: Carola Zanardi, Claudia Tarzia, Francesco Ghettini e Giorgia Mai
Gli Esordienti B alla festa dell’atleta
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IN OCCASIONE DELLA 51ª EDIZIONE DEL PREMIO INTERNAZIONALE FEDELTÀ DEL CANE È STATA REALIZZATA UNA BELLA PUBBLICAZIONE DAL TITOLO “PUCCI E COMPAGNI. MEZZO SECOLO DI FEDELTÀ DEL CANE”, SCRITTO DA ETTA CASCINI E REALIZZATO DALL’ASSOCIAZIONE PER LA VALORIZZAZIONE TURISTICA DI SAN ROCCO DI CAMOGLI
STORIE DI CANI FEDELI di Anna Proverbio
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ante storie di cani sono racchiuse nel libro di Etta Cascini, giornalista esperta di teatro e collaboratrice di Sipario e Bell’Italia. Storie sì di cani, ma non animali aristocratici dal lungo pedigree: cani comuni, spesso “fantasy”, accomunati dal coraggio, dalla bontà, dall’intelligenza e dall’altruismo. Nel libro di Etta vengono infatti narrate le storie dei cani che sono stati insigniti dell’ormai cinquantennale Premio Internazionale Fedeltà del Cane di San Rocco di Camogli. San Rocco è il Santo protettore dei nostri amici a quattro zampe: la leggenda racconta che il pio uomo durante l’epidemia di peste si prodigò con grande generosità per curare gli ammalati, tuttavia, quando fu colpito egli stesso dal terribile morbo, nessuno volle più avvicinarlo. Soltanto un cane non lo abbandonò e gli prestò aiuto portandogli ogni giorno un pezzo di pane. Nelle immagini il Santo è sempre raffigurato con un cane accanto che stringe in bocca il pane. Il libro, illustrato da molte fotografie d’epoca, narra le storie più significative dei cani che sono stati premiati nel corso degli anni, i racconti, resi in prima persona come se a narrarle fosse il cane stesso, scorrono veloci. L’autrice dimostra una profonda conoscenza della psicologia di questi animali e sa immedesimarsi così bene nel loro ruolo che, leggendo le varie storie, si ha davvero l’impressione che
il testo sia stato scritto dai cani stessi. In fondo al testo sono raccolti consigli preziosi su come si debbono trattare questi animali, i più fedeli amici dell’uomo, compagni altruisti e generosi che chiedono poco ma sanno dare tantissimo. Il libro è dedicato a tutti coloro che hanno collaborato con passione alla realizzazione del Premio Fedeltà, e con particolare affetto a quelli che purtroppo se ne sono andati per sempre. Il costo di questo originale libro è di 12 euro e si può trovare: A Genova : Finisterre p.za Truogoli di S. Brigida A Recco: Capurro, Via Assareto A Camogli: Ultima Spiaggia, Via Garibaldi e Capurro, Via Repubblica A Santa Margherita Ligure: La libreria di Santa, Via Cavour. A San Rocco di Camogli presso il panificio Maccarini. In alternativa è possibile chiederlo all’Associazione per la Valorizzazione Turistica di San Rocco di Camogli, Casella postale 33, 16032 San Rocco di Camogli (GE), oppure tramite email: avtsanrocco@libero.it. Il ricavato è a favore dell’Associazione per la Valorizzazione turistica di San Rocco di Camogli che da 51 anni ogni 16 Agosto promuove a San Rocco il Premio Internazionale Fedeltà del Cane .
Libri
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L’ARTE DELLA SCULTURA WALTER S. ARNOLD, SCULTURE STATUNITENSE, È L’AUTORE DI «STAGLIENO: THE ART OF THE MARBLE CARVER», CON LE FOTOGRAFIE DI PAOLO MARCO GUERRA E FILY Q. ARNOLD
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n meraviglioso museo a cielo aperto: così definisce il cimitero monumentale di Staglieno lo scultore Walter S. Arnold, autore del libro “Staglieno: The art of the marble carver”. L’autore americano, risiedente a Chicago dove ha il suo atelier, dopo aver visitato il cimitero di Genova e colpito dalla bellezza delle statue che adornano le tombe di molti illustri cittadini, ha deciso di scrivere un libro illustrato da suggestive fotografie in bianco e nero per far conoscere ai suoi compatrioti questa straordinaria raccolta di capolavori scolpiti nel marmo. Le statue che adornano le tombe e le cappelle funerarie, realizzate da artisti genovesi, furono commissionate da facoltosi cittadini che volevano onorare i loro cari defunti. La perfezione stilistica con cui vennero ideati ed effigiati molti monumenti funerari di Staglieno ha fatto sì che il nostro cimitero abbia acquistato nel corso degli anni una notorietà internazionale. Il libro, edito dall’americana Edgecliff Press LLC LLC, per ora è disponibile soltanto in inglese ed è composto da una prefazione in cui si racconta come il Camposanto genovese, la cui progettazione risale al 1835, sia stato inaugurato nel Gennaio del 1851. La realizzazione di un nuovo luogo di sepoltura si era resa necessaria dopo l’epidemia di colera che aveva decimato la popolazione della nostra città. Il sito, scelto in base all’editto napoleonico che vietava le sepolture nelle chiese e nei centri abitati, fu sistemato nell’area di Staglieno, all’epoca poco abitata e allo stesso tempo vicina al centro della città. Dopo vari ampliamenti avvenuti nel corso degli anni, il Camposanto attualmente si estende su una superficie di 330.000 metri quadrati e comprende al suo interno aree dedicate alle sepolture di Protestanti, Ebrei, Greci Ortodossi e Musulmani. L’autore, dopo l’introduzione descrittiva, ha suddiviso il testo in undici capitoli a tema. Nel primo vengono esaminati gli angeli scolpiti, soprattutto quello realizzato dallo scultore Monteverde, mirabile esempio di Art Nouveau. Nel secondo si analizzano le figure femminili: alcune indossano abiti tipici dell’Ottocento, vita di vespa, ampie gonne, scialli, immagini di mogli e madri affrante dal dolore, pie e morigerate, con i capelli divisi dalla scriminatura nel mezzo e dai morbidi chignon. Altre volte invece le statue rappresentano giovani figure muliebri, bellissime, effigiate in pose sensuali, creature splendide, dalle forme perfette, scolpite quasi nude o coperte da sottilissimi drappi. Negli altri capitoli Arnold passa in rassegna l’espressione degli occhi e di seguito gli animali, soprattutto gli uccelli notturni: civette, gufi, colombe rese nel marmo con un piumaggio incredibilmente soffice. E poi gli ornamenti come orecchini, anelli, monete. Un altro capitolo è dedicato
agli accessori: cappelli, scarpe, guanti, testimonianza della moda di un tempo ormai lontano. Bambini e cherubini costituiscono il tema del settimo capitolo; nell’ottavo vengono studiati i libri, poi l’abbandono, i virtuosismi artistici e per finire i ringraziamenti ai fotografi che hanno aiutato Mister Arnold a realizzare le immagini che illustrano l’opera: Paolo Marco Guerra e Fily Q. Arnold. Molte le citazioni riportate nel testo di scrittori famosi che visitarono Genova nell’Ottocento, come Mark Twain o Lady Blessington. Speriamo che questo libro venga presto tradotto anche in italiano: solitamente le opere che descrivono i nostri patrimoni artistici vengono stampate prima nella nostra lingua ed in seguito tradotte in inglese. Questa volta è successo il contrario. Può darsi che questo originale testo dedicato a far conoscere agli stranieri i monumenti scolpiti nel marmo, racchiusi nel nostro cimitero, contribuisca a portare a Genova quel turismo culturale, interessato ed educato, fonte di lavoro e benessere per la nostra città.
di Anna Proverbio
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PAOLA PASTURA di Diana Bacchiaz
LE OPERE E LE MOSTRE DELLA PITTRICE GENOVESE, DAGLI ESORDI INFORMALI ALLA RICERCA DI OGGI
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aola Pastura è nata a Genova, il suo studio è in corso Torino 2\6 cell. 338.19.39.235. Dopo gli studi umanistici, ha frequentato l’Accademia Ligustica di Belle Arti, condividendo percezione di pensiero di quel naturalismo astratto tipicamente ligustico e di origine informale dal quale si diparte e si articola tutta l’attività artistica della sottoscritta. Nel 1987 ha contribuito alla nascita del gruppo artistico “Gruppo 10”. Dal 1989 fa parte dell’Associazione Culturale degli Amici d’Albaro, partecipando alla vita associativa con funzioni direttive. Nel 2000 ha eseguito un pannello (m.6x3) per la Chiesa di Santa Zita raffigurante una Ultima Cena, ed uno stendardo della Madonna di Lourdes. È inserita in cataloghi liguri e nazionali.
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Liguria artistica MOSTRE PERSONALI 1987 1989 1991 1993 1994 1995 1996 1997 1997 1999 2000 2001 2002 2004 2006 2006 2006 2007 2009 2009 2010 2011 2011 2012
Circolo Culturale Italimpianti “L’Approdo” Genov Genova Galleria Nuovo Fondaco pres. G: Scorza Genov Genova Lega Navale di Nervi pres. S. Ferrari Genov Genova Galleria “Il Punto” pres: G: Beringheli Genov Genova Centro Culturale “Le Prigioni” Sestri Genov Genova Centro Civico Buranello pres. E. Dellacasa Genov Genova C entro D’Arte e Cultura “Liguria” Fond. Sabatelli Genova Chiostro del Clapedium 1619 pres. R.A. Borzini e M. Galasso Genova Maison Gerbollier, Comune di La Salle Aost Aosta Galleria “Il Leudo” pres. M. Sciaccaluga Genov Genova Circolo Culturale “G. Bonelli” pres. N. Mura Albissola Savona Art Club “Il Doge” pres. D. Ferin Genov Genova Art Gallery Satura “12 Metri quadrati di roccia” Genova Book Shoop – Palazzo Tursi Comune di Genov Genova Ass. “Arte in ogni dove” Olimpiadi Invernali pres. R.Greco Torino Galleria Ghiglione “Ardesie” pres. L. Caprile Genov Genova Galleria Le Muse pres. M. Galasso Genov Genova Hall dell’Hotel San Biagio Genov Genova Art Club “Il Doge” pres. G. Angelini Genov Genova BIM Banca Intermobiliare Milano Hotel Diamante Spinetta Marengo Alessandria Galleria Il Punto “Il segno e il colore” Genov Genova Galleria dello Stand della Cittadella di Prarolo Vercelli Galleria Arianna Sartori Mantov Mantova
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ANCHE MANET
OSPITE AD ANTIQUA
“ASPETTANDO LA MINESTRA” DEL GRANDE PITTORE IMPRESSIONISTA TRA GLI OSPITI D’ONORE DELLA MOSTRA D’ANTIQUARIATO CHE LO SCORSO GENNAIO HA FATTO IL PIENO DI PUBBLICO ALLA FIERA DI GENOVA
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rande successo di pubblico, come di consueto, per Antiqua, la mostra mercato che più di ogni altra porta a Genova l’antiquariato più esclusivo e tenutasi alla Fiera di Genova dal 19 al 27 dello scorso gennaio. Antiqua, considerata dagli esperti del settore uno dei più importanti e qualificati appuntamenti a livello nazionale, è un affascinante viaggio nell’antiquariato, in un mix di epoche e di stili dove i visitatori hanno l’opportunità di ammirare opere d’arte di assoluto valore. Un percorso espositivo che si è snodato tra mobili, dipinti, sculture, argenti e gioielli. Una particolare attenzione è stata riservata agli allestimenti all’interno del padiglione Blu per unire le moderne linee architettoniche della struttura con lo charme delle opere esposte. Inoltre, è stata ricreata nella parte centrale della mostra una sorta di “agorà” che, come ai tempi degli antica Grecia, è stata a disposizione degli appassionati del settore per potersi incontrare e, nel medesimo tempo, ospitare un ciclo di lezioni pomeridiane sulla pittura, la ceramica e la lavorazione dei metalli.
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Antiquariato Nella pagina accanto vetrinetta con gioielli degli anni ‘50. La pochette in oro è di Van Cleef and Arpels
Pendente con diamanti e smalto nero metà ‘800 L’edizione di quest’anno si presentava con grandi novità. Durante la serata inaugurale di venerdì è stato un giovane tenore, accompagnato dalle note di un estroso pianista, ad accogliere i visitatori in un’atmosfera ovattata dove erano presenti oltre cinquanta antiquari scrupolosamente selezionati, alcuni dei quali presenti per la prima volta alla rassegna. Altra novità 2013, la presenza di una ceramista allieva del maestro G. B. Airaldi e un incisore diplomato all’accademia Linguistica di Belle Arti. Da segnalare tra i pezzi più preziosi e ricercati, un nucleo di sculture lignee religiose legate al territorio lombardo - piemontese – ligure, “crocevia geo-culturale dell’Italia nord occidentale”. In evidenza, una “Madonna in Trono con Bambino” in legno di pioppo dipinta e scolpita da un maestro di cultura lombarda tra gli ultimi anni del XIII secolo e il primo decennio del Trecento che ricorda, per certe soluzioni formali, le opere del Maestro di Giano; in particolare il Maestro degli Angeli del Duomo, opere provenienti dal Duomo di San Lorenzo e dalla Chiesa di San Francesco di Castelletto e oggi depositate al Museo di Sant’Agostino. Da rimarcare anche un “Crocifisso da arco trionfale”, risalente al primo quarto del XIV secolo, scolpito in legno di pioppo e dorato da una maestranza attiva nell’unica bottega, che operava in Piemonte in quel periodo, specializzata in Crocifissi. Infine, una straordinaria “Anconetta con Imago Pietatis” della fine del 1400 in legno intagliato, dipinto e graffito del Maestro di Troniano che si pone ai vertici della produzione lignea nella Lombardia Rinascimentale.
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Ampia la scelta dei dipinti: fra le opere esposte da segnalare due grandi dipinti, olio su tela, del Settecento raffiguranti “Nature morte di frutta fiori e ortaggi” attribuiti a Maximilian Pfeiler. L’eleganza delle gradazioni cromatiche e la sapienza della resa naturalistica dei motivi sono tipiche qualità dell’artista boemo. Divenne, infatti, uno dei più celebri pittori di nature morte, nella prima metà del XVIII secolo, soprattutto a Roma. E ancora, un paio rappresentazioni firmate Jacques Ignace Parrocel e datati 1706 che descrivono “Una battaglia ed un saccheggio”. Parrocel, appartenuto a una famiglia dedita soprattutto alla pittura di scene belliche, dedicò gran parte delle sue opere alle battaglie e fu uno dei più validi specialisti di questo genere che in quel periodo andava per la maggiore. Dipinse anche alla corte del principe Eugenio di Savoia a Vienna all’inizio del XVIII secolo. Degno di nota, un olio su tela della fine del XVII secolo dal titolo “Allegoria della Musica”, che ritrae una giovane donna mentre suona il violino di Lorenzo Pasinelli, pittore della scuola bolognese, formatosi presso la bottega di Simone Cantarini(1629 - 1700). Tra gli arredi risaltavano una coppia di consolle romane della prima metà del Settecento, alcuni tavoli da muro, finemente decorati con motivi di conchiglie e teste di ariete del XIII secolo; una museale specchiera in legno scolpito e dorato rivestita in ceramica attribuita a Giorgio Giacinto Rossetti, ceramista di Lodi che si trasferì a Torino chiamato dalla corte sabauda. Notevoli le ceramiche savonesi con marche di raro reperimento sul mercato antiquario, databili tra l’inizio del XVII e la metà del XVIII secolo provenienti da raccolte private. A far da cornice ad Antiqua sono state presentate alcune “guest star” di assoluto valore. La prima, l’eccezionale dipinto “Aspettando la Minestra” di Edouard Manet, una tra le più interessanti nature morte eseguita in attimi di intensa ispirazione dal grande maestro della pittura impressionista francese. Il dipinto in tela originale, firmato sul retro Manet Nature Morte, esprime una tale modernità da far pensare che possa esser stato eseguito nei primi del novecento, anticipando la modernità assoluta dell’impressionismo e
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Antiquariato scavalcando i normali criteri di espressione, fotografando con la mente e l’estro, uno scorcio bohemienne della propria esistenza. Pennellate lanciate sulla tela con immediatezza, fantasia e inventiva, con l’immaginazione della forma appoggiata nello spazio di una tela. Colori sfumati, quasi evanescenti che compongono un ricordo visivo che si scioglie per ricomporsi in un capolavoro. Effettuata la certificazione Raman delle Università di Modena e Reggio Emilia, attestante la verifica dei pigmenti dello strato pittorico databili entro il 1860. In attesa di convalida ed inserimento nell’Opera Omnia di Manet tramite la Fondazione Wildhenstein. Grazie alla collaborazione con l’Associazione Culturale Terza Esperide di Palermo, è stata esposta “La scultura del mistero… L’Uomo Bruco!”, statua futurista in bronzo a cera persa, raffigurante un uomo in fase di metamorfosi o forse in liquefazione. Questa scultura sembra portare in sé il germe delle forme metafisiche di De Chirico, esprimendo al tempo stesso un movimento dinamico-futurista. La datazione dell’Uomo Bruco è collocabile ai primi del 900, ma è guardando l’oggetto nella sua complessità che si aprono diversi quesiti. Nella scultura si manifesta una “liquefazione umana” in atto, ovvero una fusione in movimento con il volto che scivola, amalgamandosi all’altezza di un braccio che non c’è, perché già disciolto. Il volto capovolto con la fronte rigonfia sembra in reale parallelismo caratteriale con la famosa scultura “l’Antigrazioso” di Umberto Boccioni.
Spilla a fiore in oro e smalti Art Nouveau Francia, primi del ‘900
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Bracciale/orologio a serpente in oro e smalti firmato Bulgari, Anni ‘70. A fianco, spilla in oro, argento, diamanti e perla naturale, firmata Puricelli Milano 1850. Sopra alla spilla uno splendido satsum.
L’assoluta mancanza di piedistallo segue l’idea della scultura futurista, in quanto una base separava concettualmente la scultura dall’ambiente circostante che invece per i futuristi, doveva trasmettere movimento, come una dinamo. La mancanza degli arti, e la testa tagliata a sguincio, ricordano un’altra opera di Boccioni la famosissima scultura “Forme Uniche della Continuità nello Spazio”. Queste considerazioni diventano ancor più misteriose se confrontiamo la testa semi disciolta della scultura, capovolgendola, con un ritratto di Umberto Boccioni. Una idea geniale certo scaturita da un artista dal carattere complesso ed inquieto. Infine una vera chicca, un “Piatto mediceo” in argento niellato raffigurante “La Battaglia di Barga”, datato e firmato 1587. Si tratta di un piatto da parata, sbalzato, dorato al mercurio e cesellato, con al centro la raffigurazione di una complessa
scena di battaglia realizzata con la tecnica dell’incisione a niello. La tesa presenta raffigurazioni “raffaellesche” entro quattro medaglioni i condottieri Francesco Sforza, Cosimo de’ Medici, Filippo Maria Visconti e Nicola Piccinini, ovvero i protagonisti della storica Battaglia di Barga che avvenne alle porte di Lucca nel lontano 1437. Un evento esaltante che, a distanza di centocinquanta anni, venne commemorato con il dono da parte dei Medici di Firenze al doge di Venezia per sancire il forte legame di amicizia ed alleanza.
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Anello in platino e diamanti di epoca Déco, Francia, anni ‘30.
In alto a sinistra: spilla animale fantastico in pietre preziose. Francia, anni ‘40. In centro pagina antiche ceramiche di Albissola.
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di Daniele Crippa
L’
eros è, sin dai primi vagiti del neonato, il principale attore della vita, un attore che lo accompagnerà per sempre. La musica e la letteratura ne hanno fatto uno dei propri temi portanti, e così in tempi più recenti pure la fotografia e la cinematografia. Ma sono la scultura e la pittura che hanno regalato al mondo immagini di grande impatto emotivo. Sin dall’antichità gli artisti hanno raffigurato la fecondazione e la riproduzione della specie: la maternità era la grande madre rappresentata in maniera evidente o stilizzata come una grande vulva con il membro maschile ben presente. E con l’eros vero protagonista.
Troppo spesso le religioni hanno influenzato e costretto la creatività entro gabbie di falso perbenismo e di pruderie piccoloborghesi. Come non ricordare i veli sui seni dipinti da Giulio Romano o l’imposizione a Michelangelo di coprire le nudità della Cappella Sistina. L’unica opportunità ammessa di raccontare il momento erotico dell’estasi fu per secoli la descrizione del contrito e profondo pentimento di Maria Maddalena. D’altro canto, fu consentito a Bernini di raffigurare la sicura mascolinità dei suoi angeli. “Libertè, Fraternitè, Egalitè”. Il vento innovatore della rivoluzione francese permise a Canova di ritrarre tutto l’eros dell’epoca attraverso il virgineo bianco e provocante seno in marmo di Carrara appartenente all’icona erotica del momento, Paolina Bonaparte. E quanta voluta malizia nelle prime immagini fotografiche di Carroll, adolescenti cariche di tutto quell’eros così ben descritto in seguito da Nabokov. La sua Lolita era tanto intrigante come lo erano i carnevali veneziani voluti dalle aristocratiche signore, che così mascherate potevano regalare alle proprie fantasie incontri, a secondo delle loro voluttà, sia con un gondoliere che con Giacomo Casanova. Anche molti artisti dell’arte moderna ne hanno fatto un loro tema cruciale; tra i tanti ci piace rammentare i nudi di Schiele, le carni sfatte di Southine, l’interpretazione della nascita del mondo di Courbet ed i provocanti esempi femminili delle tante vogliose femmine sempre pronte all’atto sessuale di Picasso. Anche Bacon e Freud ci trascinano violentemente
EROI D’EROS IN UN TOUR PER IL MONDO 36 INGENOVA Magazine
La grande arte
LE CENTO PAGINE DELLA COLLEZIONE EROS DI BRUNO CECCOBELLI EVOCANO UN MONDO GIOCOSO E SERENO, LONTANO DALLA PRUDERIE E DALLE CENSURE alle nostre ancestrali pulsioni di bimbo o alle più silenziose paure sessuali. Saper descrivere in maniera elegante e raffinata le molteplici e differenti emozioni dell’animo umano è da sempre prerogativa di uno dei più interessanti artisti del nostro contemporaneo: Bruno Ceccobelli. Formatosi nel mondo artistico romano che quella creatività di un gruppo di giovani emergenti etichettò come gli appartenenti alla “Scuola di San Lorenzo”, è da anni uno dei più apprezzati protagonisti della nostra scena artistica. Difficile è stato per lui affrontare e risolvere un argomento così profondo, intrigato, intrigante e complesso, attraverso le cento pagine della collezione Eros: ne è sortito un libro da leggere, interpretare, accettare. Una sfida nata e stimolata a bordo piscina insieme al nostro grande orgoglio della critica internazionale, Arturo Schwarz. Chi non ricorda pure il fascino delle sue poesie erotiche? La mia casa di Portofino fu galeotta! Per ben tre anni ogni estate il piacere di condividere il sole ed il magico mare mediterraneo con questi cari amici era allietato dal partecipare alla gestazione, nascita e trasformazione di queste cento pagine cariche di vero eros. Fogli nei quali assistevamo all’evoluzione di incredibili personaggi che di volta in volta tornavano ad essere nostri compagni trasformati e carichi di altre emozioni e di sorprendenti simboli alchemici quasi che il tempo e le nuove intense pennellate apportate, fatte di molteplici strati pittorici, così cariche di altro pathos, ne accrescessero sensibilità e accumulassero sulla superficie dipinta le loro ultime historie vissute in questi tanti mesi di lontananza. Ogni nuovo segno apportato da Bruno ci sorprendeva ed era argomento di dialogo per intere serate. Mai un cenno di volgare provocazione, né di vanteria erotica ma sempre una elegante descrizione di profonde, dolci e calde emozioni da ricordare con il cuore. Non è certo facile, anche per un grande artista, interloquire per così tanto tempo con sé stesso e con gli altri ed essere lui il protagonista con i propri colori, con il suo pennello e con il cuore per descrivere quanto vi è di erotico nel nostro contemporaneo. Sono miniature dell’oggi che paiono fogli di un antico libro medioevale: non per nulla il nostro pittore vive a Todi, così vicina a quel Raffaello Sanzio da Urbino che, pur nell’avanguardia dell’epoca, di tanto passato permeava le sue opere. Ceccobelli nella sua continua ricerca artistica indubbiamente è il contemporaneo più vicino a quel grande maestro. Non era certo un rimando di simbologie il cardellino raffigurato in prossimità di una ciliegia o di un cetriolo in una pala d’altare? Ed oggi, di nuovo, quante immagini simboliche in queste cento pagine di racconti! Tutta l’opera di Bruno Ceccobelli è intrisa di simbologie, di rimandi al mon-
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do dei sogni, è strutturata sui pilastri della cabala e con ingenua semplicità legata al mondo di quel magico inconscio che muove tutti gli attimi della vita. L’artista sa cogliere quello che ci giunge dall’aria, dall’acqua, dal fuoco, dal sole, dalla superficie di un corpo nudo e, prerogativa ancor più importante, fissare nei suoi dipinti quello scatenarsi di pulsioni che la pelle sa far affiorare. Ed ecco allora apparire tra la mutandina, come protagonisti, curiosi, intriganti e maliziosi desideri. Un sorriso accentua sulle labbra nascoste fantasie e tante eccessive presenze maschili ossessionano un corpo pronto a vivere nuove esperienze. Le immagini della testa-pene e della vagina-occhio ci riportano ad ancestrali pitture per ricordarci che già fin dell’antichità si sapeva. L’artista sa scoprire, con una grazia silenziosa, quanto la parola eros sa far affiorare nelle nostre fantasie e queste disponibilità le racconta con grande garbo in questo suo impegnativo lavoro. Guardando queste opere d’arte sorprende come molto spesso non si possa che essere concordi ed il sentirsi un poco pure noi compartecipi di questa o quella avventura raccontata, anzi scopriamo che molto spesso ci piacerebbe essere uno tra i protagonisti di questo o quel racconto. Indubbiamente la sua ricerca non deve essere stata facile sia per la pruderie che spesso condiziona la sincerità dell’essere umano sia per l’impedimento culturale che condiziona le nostre libertà più sincere. In questo lavoro mai appare il senso del peccato, anzi vi è la gioia dell’eros inteso nel suo termine più costruttivo e gratificante. I corpi, i membri, le vagine sono fuse in un gioco gioioso e giocoso che non può che por tare vicini ad una serenità appagata. Cuori fatti a forma di vulva, l’istinto della specie che spinge la mente sempre verso lo stesso ossessivo pensiero, fantasie nelle quali la parte erotica ha sempre lo stesso parametro di rispetto verso una delle due “parti della mela”. Sia il corpo dell’uomo che quello della donna sono sullo stesso piano: entrambi si offrono, dimostrano la loro disponibilità
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La grande arte LA CLESSIDRA ALLA BIENNALE DI VENEZIA Lo stupore è nell’arte di Bruno. L’inconscio è nell’arte di Bruno. Il sesso è nell’arte di Bruno. L’alchemico è nell’arte di Bruno. L’amore è nell’arte di Bruno. L’ambiguità è nell’arte di Bruno. Nel 1986 in occasione della sua presenza alla Biennale di Venezia nella sezione “ Arte e Alchimia” l’artista ha ribadito attraverso il suo lavoro questa appartenenza a quell’impalpabile ed irreale credo che solo l’arte possiede. Da anni nel suo studio di Pietrasanta Bruno Ceccobelli ha ritrovato nascoste nel marmo magiche sculture. Il suo è un dialogo sottovoce con personaggi che dormono da secoli in affascinanti materiali che unicamente la natura più generosa può creare. Solamente chi possiede la chiave alchemica può aprire la porta della natura. Bruno Ceccobelli: può.. La Clessidra ha voluto essere Lei ha rappresentare l’arte del maestro umbro in questa manifestazione, poiché riteneva di essere la più adatta tra le sue figlie ad essere mostrata a questo particolare pubblico. L’ambiguità che è in ognuno di noi, la parte femminile e maschile del nostro essere, il sunto di tante e particolari sfaccettature e le dialettiche delle varie personalità umane sono il summit concettuale di questa opera così misteriosa, magica, ma al tempo stesso veritiera.
al puro scopo di raggiungere ed apprezzare il magico mondo dell’eros. Eros and Thànathos, il buio e la luce, l’eterna lotta tra il bene ed il male paiono nelle affascinanti cento pagine di questo racconto vinte, superate, cancellate dal raffinato mondo dell’eros di Bruno Ceccobelli. Ora il ciclo completo viaggerà in un tour che partendo da Buenos Aires, ove sarà esposto al Centro Culturale Borghes viaggerà di poi grazie al patrocinio dell’Ambasciata Italiana in Argentina in altri spazi museali in Cile ed in Perù per approdare, omaggio alla grande laison che unisce culturalmente la historia della migrazione italiana in Sud America, a Santa Margherita Ligure ospitato nei prestigiosi spazi di Villa Durazzo. Buenos Aires, gennaio 2013
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di Bruno Ceccobelli «Un tormento, perché non gode del presente, come il brutale amore, ma è del futuro e dell’assente, e del contrario sente all’ambizione, emulazione suspetto e timore» (Degli eroici furori, di Giordano Bruno, parte I, dial. II, 9) Per un artista simbolico la ricerca è l’arma del cielo; la ricerca della purezza, dell’unità, dell’armonia, dell’integrità lo porta ad una sospensione luminosa, ad una visione amorosa. D‘io ama l’uomo come l’uomo ama la bellezza. Non fosti concepito se non per fatti sensibili. L’errante è il solo uomo a ricominciare sempre da capo, pellegrino calamitato erra coscientemente senza riposo, per il piacere della Grazia, verso la via eterna: manipolare, tracciare, modellare, tingere, lisciare, sfumare, tagliare e mettere, caricare e scaricare, fare e disfare, così egli prova l’incanto
del ricercare-trovare-creare. Ostinato in maniera eccessiva, minuziosa, l’errante ha un comportamento maniacale verso la bellezza. L’errante dimora nell’economia della trasgressione che io chiamo “Vìola” , trasgressione di colore viola. Accettare l’errore è cogliere le accezioni metafisiche, accettare il nuovo, esso è venuto per cambiarci, ci permette di evitare (accuratamente) il già “detto”, sfuggire alle ovvietà o alla noia dei “colti”. L’errore non come perversione o falsificazione o mimesi, ma un osare la “regola distratta” che ci porti verso il non sapere. Comprendere l’errore puro è l’arte, accettare l’errore per crescere, per avere sperimentato di più di quello che si ha in memoria, il caso a casa, l’intento è trasgredire distrattamente per ritrovarsi “ebbro”. L’erotismo dell’uomo di cosmo (l’amante universale), favorisce la panspermia, magia celeste, eroico esempio del mistero
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della brama virile, archetipale testimonianza dell’impeto del Divino che cerca nella materia la pacificazione con le figure umane o umanizzate. L’erotismo contro la morte dell’intelligenza, il sesso è uno degli innumerevoli elementi di un complesso di possibili appigli per manifestare l’amore per l’indiviso, l’amore corteggia se stesso con qualsiasi mezzo atto a entusiasmare, estasi di colori... L’errante desideroso, scivoloso come un pesce muto, ha una vita laterale nelle profondità, vira di traverso, convinto che gli errori lo distrarranno dal torbido reale troppo annacquato e finisce, per poesia, nel fiume straripante dell’eros che se ne viene in un mare colmo calmo, generativo al fine estetico. L’estetica è l’etica della gratuità, canone del sublime, Bellezza che genera il Sacro. Tutto il resto è gusto, pornografia, esibizionismo onanistico, il brutto.
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I CONFLITTI
DI RIGOLETTO di Daniela Masella
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a primavera musicale del Teatro Carlo Felice propone un cartellone ricco di appuntamenti irrinunciabili. La stagione d’Opera dal primo al dieci marzo mette in scena Rigoletto di Giuseppe Verdi e il calendario della sinfonica offre parallelamente numerosi concerti con direttori e solisti di fama internazionale. Anche il musical è da citare con il bel debutto, il 9 aprile, di Oz on the road. Un’opera di confine (e non solo un’opera), in collaborazione con la Fondazione Luzzati, Teatro della Tosse e tratto dal romanzo di L. Frank Baum “The wonderful Wizard of Oz”. Il Teatro, dopo il difficile periodo storico in cui i tagli alla cultura ed altri problemi gestionali avevano provocato una pesante destabilizzazione nel normale decorso operativo, ora sta risorgendo a nuova vita con estremo impegno e
duro lavoro. Il sovrintendente Giovanni Pacor e tutto il team di collaboratori, dipendenti e sostenitori della Fondazione Carlo Felice stanno promuovendo necessari interventi innovativi per quello che concerne non solo la stessa programmazione artistica, ma anche la progettazione di eventi collaterali che possano dare la meritata fama e la giusta allure a questo importante tempio cittadino. Ricordiamo il progetto giovani rivolto alle scuole, che consiste in un ventaglio di spettacoli con differenti tipologie di rappresentazioni a prezzi veramente promozionali e con abbinati percorsi preparativi alla visione delle suddette recite, soprattutto a seconda della fascia scolastica interessata. Bisogna per questo obiettivo citare anche l’intenso lavoro svolto sia dall’ufficio stampa che da quello comunicazioni
PASSATA LA BUFERA DEL RECENTE PASSATO, FOLTO CARTELLONE TRA LIRICA, SINFONICA E MUSICAL PER LA PRIMAVERA DEL CARLO FELICE 42 INGENOVA Magazine
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del Carlo Felice, che con le relazioni esterne è sempre molto attivo ed operativo, e così il portale della Fondazione, che riporta in maniera curata e dettagliata tutte le notizie concernenti la vita artistica e culturale del Teatro. Torniamo al Rigoletto di Giuseppe Verdi, melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave tratto dal dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo. La prima sarà l’ 1 marzo 2013, le repliche il 2, 3, 5, 9 e 10 dello stesso mese. Direttore Carlo Rizzari, la regia Rolando Panerai, le scene Enrico Musenich su materiale scenografico in dotazione della Fondazione Teatro Carlo Felice, i costumi Regina Schrecker ed infine l’assistente alla regia ed ai costumi Vivien A. Hewitt. L’allestimento, l’orchestra e il coro sono della Fondazione Carlo Felice, il maestro del coro Patrizia Priarone. Il cast: Il Duca di Mantova-Jean-François Borras, Rigoletto-Lado Ataneli, Gilda-Nino Machaidze, SparafucileAndrea Mastroni, Maddalena-Annunziata Vestri, GiovannaRoberta Cotrozzi, il Conte di Monterone-Fabrizio Beggi, Marullo-Claudio Ottino, Borsa-Enrico Salsi, il Conte di Ceprano-Alessio Bianchini, la contessa-Benedetta Torre, Usciere di Corte-Gian Piero Barattero, Paggio della Duchessa-Elisabetta Valerio. Con Rigoletto, Verdi rinnova totalmente il cliché melodrammatico preesistente per esprimere attraverso l’espressione musicale sentimenti umani profondamente complessi; li fonde e li contrappone allo stesso tempo. Un esempio è il celebre quartetto dell’Atto III, “Bella figlia dell’amore”, dove il compositore esprime tutto il suo talento. L’ambiguità delle due facce di Rigoletto, quella buona e quella distruttiva, la spocchia del suo signore il Duca di Mantova e l’innocenza di sua figlia Gilda sono tutte personalità che a confronto mostrano differenti risvolti psicologici. L’originalità della vicenda aiutò Verdi a liberarsi da ogni convenzione. Per la prima volta il protagonista vive un grande conflitto interiore: Rigoletto, in pubblico, è un buffone di corte obbligato a far ridere, è la voce importante e cruda del suo dongiovannesco Duca; ma in privato è il padre premuroso di una figlia che tiene segregata per salvarla da quella corte corrotta di cui egli stesso fa parte. Per la prima volta nella storia dell’opera, il personaggio principale è una figura emarginata a causa della gobba che porta visibilmente come un peso sulle spalle, una caratteristica fisica che potrebbe essere il simbolo della faticosa e drammatica esistenza di Rigoletto ed il sacco in cui il sicario Sparafucile chiude il povero corpo di Gilda dopo averla uccisa, da sempre fa discutere per il suo cinico realismo da cronaca nera. Rigoletto, insieme a Traviata e Trovatore composti successivamente, formano la cosiddetta “trilogia popolare”. Fu un’opera di rottura, come d’altra parte lo era stato, nella
Parigi di vent’anni prima, il dramma Le roi s’amuse di Hugo da cui il librettista Piave aveva preso spunto. Non tutta la critica capì, per non parlare della censura che rese la vita difficile sia al compositore che al librettista. Il pubblico, invece, si entusiasmò da subito: la sera dell’11 marzo 1851, al Teatro La Fenice di Venezia, Rigoletto riscosse un grande successo e così nelle ventuno repliche successive. Le recite di Rigoletto dell’1 e del 10 marzo saranno trasmesse in diretta streaming su MyMoviesLive. Per accedere occorre collegarsi alla piattaforma www.mymovies.it.
NOTIZIE UTILI BIGLIETTERIE TEATRO CARLO FELICE Tel.: (+39) 010 589329; 010 591697, fax: (+39) 010 5381.335 e-mail: biglietteria@carlofelice.it Gruppi: (+39) 010 5381.305 e-mail: mailto:gruppi@carlofelice.it Biglietteria diurna (Largo Sandro Pertini) dal martedì al venerdì dalle ore 11.00 alle ore 18.00 sabato dalle ore 11.00 alle ore 16.00 Biglietteria serale e domenicale (Galleria Cardinale Giuseppe Siri) Spettacoli serali un’ora prima dell’inizio Domeniche di spettacolo pomeridiano dalle 13.30 alle 16.00 Domeniche di spettacolo serale dalle 8.00 alle 21.00
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FILIPPO ROMOLI GRAFICO E CARTELLONISTA UN RIALLESTIMENTO METTE IN MOSTRA UNA SELEZIONE DI OPERE DELL’ARTISTA SAVONESE, ATTIVO IN PARTICOLARE NELL’AMBITO DELLA PROMOZIONE TURISTICA NELL’ITALIA DEL DOPOGUERRA
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ino al prossimo primo aprile, alcune sale del secondo piano della Wolfsoniana di Nervi sono state riallestite con una trentina di manifesti e bozzetti turistici e pubblicitari di Filippo Romoli (Savona 1901 – Genova 1969), uno dei principali cartellonisti liguri. Si è optato per un riallestimento piuttosto che per una mostra temporanea per due ordini di ragioni. Innanzi tutto, la difficile situazione finanziaria generale obbliga a una riflessione profonda su quelle che sono le modalità di offerta e di fruizione dei contenuti culturali del museo. In secondo luogo, i manifesti di Romoli sono un comodato che la Wolfsoniana ha ricevuto da alcuni privati. Nell’ottica di un incremento del patrimonio del museo, vista l’impossibilità di reperire fondi per nuovi acquisizioni, è ormai da anni che la Wolfsoniana si muove per ricevere donazioni e comodati. Appare quindi doveroso, oltreché corretto, dare visibilità a queste significative sinergie con la sfera del privato, che consentono alle istituzioni museali pubbliche di adempiere alla loro missione. È su questa strada che la Wolfsoniana intende muoversi nel prossimo futuro. Di Filippo Romoli viene presentata una selezione della sua attività di illustratore e cartellonista. Assunto giovanissimo dalla Società Industrie Grafiche Barabino & Graeve di Genova, cui è legata la grande stagione del turismo in Liguria, l’artista savonese fu attivo in particolare nell’ambito della promozione turistica: delle principali
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mete di villeggiatura liguri (Alassio, Rapallo, Varazze, Santa Margherita, Ventimiglia, Bordighera, Diano Marina, Loano), ma anche nazionali (Abbazia, Riccione, Cattolica, Asti, Pila). Il suo impegno si dispiegò anche per alcuni importanti enti e aziende (Comune di Genova; società di navigazione come Cosulich, Lauro e Home Lines; ALI-Flotte riunite italiane; CIT Viaggi; società Lazzi-Gran Turismo), mentre, sul versante pubblicitario, per alcuni grandi industrie, come Marelli, Berio, Gaslini, Negroni e Galbani. Si è optato, infine, per una piccola selezione di bozzetti di materiale promozionale di minor formato (per dépliant, brochure, cartoline, ecc.) per hotel e alberghi di varie località italiane (da Cortina a Salsomaggiore), concludendo con alcuni prototipi di insegne che venivano usati nelle vetrine e all’interno delle agenzie di viaggio e degli enti preposti alla promozione turistica.
WOLFSONIANA Via Serra Gropallo, 4 - 16167 Genova Nervi tel: 0103231329 e-mail: info@wolfsoniana.it URL: wolfsoniana.it, classe100s.unige.it Orari: da mercoledì a domenica, ore 10.00 – 18.00; lunedì e martedì chiuso. Biglietti: intero 5,00 Euro; sono poi previste tariffe ridotte. Biglietto cumulativo Wolfsoniana e Galleria d’Arte Moderna (GAM): 8,00 Euro; è anche previsto un Biglietto cumulativo per Wolfsoniana, GAM, Raccolte Frugone e Museo Luxoro. Membership: Se sei interessato a sostenere la Collezione e a conoscere le attività dell’Associazione “Amici della Wolfsoniana” puoi scrivere a amici@wolfsoniana.it
FILIPPO ROMOLI Considerato uno tra i principali cartellonisti italiani del Novecento, Filippo Romoli nacque a Savona nel 1901. Nell’immediato primo dopoguerra, conseguito il diploma tecnico, si trasferì a Genova, dove risiedette sino alla sua scomparsa avvenuta nel 1969. Nel 1926 Romoli fu assunto come pittore pubblicitario dalla Società Industrie Grafiche Barabino & Graeve, dedicandosi in particolare alla realizzazione di manifesti turistici o di argomenti correlati. La sua ricerca artistica fu inizialmente connotata da un’adesione stilistica e iconografica alle istanze formali dell’art déco, ma, nel corso degli anni tra le due guerre, sviluppò anche significative tangenze espressive con le ricerche futuriste e con il gusto Novecento. Nel 1932 iniziò la sua collaborazione artistica, protrattasi sino al 1968, con la Società Lazzi-Gran Turismo, per la quale, oltre alle campagne pubblicitarie, disegnò anche il logotipo societario, le divise per gli autisti e le hostess e gli arredi per la sede, inaugurata in piazza De Ferrari nel 1949. Nel 1936 era intanto passato alla S.A.I.G.A., l’industria grafica che aveva rilevato la Barabino & Graeve e di cui fu dipendente sino agli anni Cinquanta, mantenendo tuttavia con essa un rapporto di collaborazione anche in seguito. Sempre nello stesso anno partecipò alla I Mostra Nazionale del Cartellone e della Grafica Pubblicitaria a Roma. Nel dopoguerra la sua attività di grafico, sostenuta da significativi riconoscimenti, si intensificò, ampliando la propria gamma linguistica e tematica, come confermato dall’elenco dei suoi principali committenti, tra i quali si possono annoverare gli enti turistici di diverse regioni italiane, le società di navigazione Cosulich, Lauro e Home Lines, la CIT Viaggi, le industrie Gaslini, Negroni, Galbani e l’AVIS (Associazione Italiana Volontari del Sangue). I manifesti di Romoli esposti nelle sale della Wolfsoniana provengono dal ricco e prezioso fondo che gli eredi dell’artista hanno generosamente offerto in comodato alla Wolfsoniana.
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EUROPA, UNITA?
INTERVISTA CON IL PROFESSORE MICHELE MARSONET SUL FUTURO DELL’EUROPA E SULLA POLITICA TEDESCA
a definire sorprendenti. In uno si legge testualmente: “La Merkel è impazzita”. In un altro: “Si nota che la Merkel è ormai entrata in campagna elettorale”, dando per scontato che punti alla rielezione. Ma non si capisce davvero cosa ci sia di strano in una simile constatazione. Dopo tutto è nata il 17 luglio 1954 e ha, quindi, solo 58 anni.
di Diana Bacchiaz
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osa ne pensa della politica tedesca di Angela Merkel? Cresce anche in Germania, per quanto lentamente, la consapevolezza che soltanto un’Europa unita di grandi dimensioni può essere in grado reggere il confronto – soprattutto economico – con gli Stati Uniti e i Paesi emergenti nello scacchiere internazionale. I tedeschi da soli, per quanto forti siano, non ce la possono fare. Era prevedibile ed è infine accaduto. Anche in Germania, il Paese che detiene la leadership effettiva della UE, si sta facendo strada con forza l’idea di indire un referendum sull’Europa. Si può notare che non è proprio una novità. Consultazioni popolari su questo tema così delicato si sono già tenute in molte nazioni. Nel caso tedesco, tuttavia, la questione assume una rilevanza particolare a causa della leadership dianzi nominata. Chi l’avrebbe mai detto che la cancelliera tedesca Angela Merkel, criticatissima all’estero per le sue posizioni rigoriste sui temi economici e per una – almeno apparente – alterigia nei confronti dei Paesi più deboli dell’Unione Europea, ha addirittura criticato i mercati accusandoli di “non aver servito la gente”. In realtà s’era capito da tempo che non è del tutto schierata con i “falchi” che ora in Germania hanno una notevole influenza, e soprattutto con il presidente della Bundesbank, il giovane Jens Weidmann, il quale a un certo punto sembrava in grado di dettare le linee guida non solo dell’economia, ma anche della politica tedesca. Ora la cancelliera si smarca in modo deciso e assume una posizione netta, da vero leader politico. Lo ha fatto, lei figlia di un pastore luterano, proprio in Baviera, il “Land” più meridionale e tra i più ricchi della federazione germanica. Regione che è la roccaforte tradizionale del cattolicesimo tedesco con una percentuale che supera il 70%, mentre negli altri “Lander” il rapporto tra protestanti e cattolici è assai più equilibrato. E lo ha fatto, per di più, in un’area da sempre dominata dalla CSU che fu guidata per un’intera vita da un rappresentante forte del cattolicesimo come Franz Josef Strauss. Per finire, proprio gran parte della CSU bavarese risulta tuttora schierata con i falchi di cui si diceva dianzi.Ho visto su alcuni quotidiani commenti che non esito
E la spinta antieuropea tedesca? In Germania cresce una tendenza antieuropea che diventa sempre più forte. L’irritazione tedesca nei confronti dei Paesi più deboli della UE – soprattutto quelli mediterranei – si manifesta ormai ogni giorno. Non vale rammentare che, nonostante quanto si crede, i costi della riunificazione tra Repubblica Federale e DDR furono in parte addebitati alle casse europee. I tedeschi sono straconvinti che gli altri vogliano usufruire dei loro soldi senza nulla – o quasi – dare in cambio. Varrebbe forse la pena che governi e parlamenti dessero il via libera ai referendum senza truccare le carte. E iniziassero a ripensare la costruzione europea lungo direttrici nuove. Compito arduo poiché l’assoluta prevalenza delle questioni economiche ha creato un meccanismo infernale, tale da rendere disastroso – ma sarà poi vero, e sino a che punto? – l’abbandono dell’euro e il ritorno alle valute nazionali. E’ difficilissimo, ma pur sempre meglio che lasciare ai mercati e alla speculazione il compito di distruggere ciò che resta della ipotetica Europa unita. Ma un’Unione Europea come è adesso ha ancora senso ? Un’Unione Europea strutturata in questo modo ha ancora un senso? Oppure è preferibile cominciare a pensare un futuro in cui essa non ci sarà più? Magari sostituita da un’entità più
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L’intervista leggera nella quale i vari Paesi riacquistino una sovranità più o meno completa? L’interrogativo può far sorridere, visto che molti segnali indicano l’intenzione della grande speculazione internazionale – di matrice soprattutto americana - di affondare l’euro una volta per tutte. E senza l’euro l’Unione cesserebbe di esistere in modo automatico, essendo la moneta il suo vero e unico elemento unificante. Di volontà politica “europea” meglio non parlare. Di coesione ovviamente ancor meno. Ed è una storia antica. La UE ha in effetti una sorta di premier che partecipa ai consessi internazionali accanto ai capi di governo dei vari Paesi. Ma si tratta di una figura che ha sempre contato pochissimo, per non dire nulla. Qualcuno rammenta interventi decisivi da parte di un Presidente della Commissione europea, incluso il nostro Romano Prodi? No, poiché a comandare sono i leader dei governi nazionali (e neppure tutti). Stesso discorso per il Parlamento europeo che – come ha rilevato lo stesso Schulz – è costantemente scavalcato dalle decisioni prese nelle poche capitali importanti della UE. Dunque un governo e un Parlamento che sono in pratica delegittimati, semplici notai che prendono atto di decisioni assunte in altre sedi. L’aria che si respira è davvero pesante, ma i segnali premonitori già si manifestavano prima della crisi Lei è un fautore dell’Europa Unita? Io sì , ed i fautori dell Unione devono arrendersi di front a uno stop, il sogno europeista, il bel sogno di un’Europa in grado di giocare un ruolo di primo piano nel panorama mondiale, traballa. Il Ma il pallino è in mano a banchieri e mercati, e la politica si manifesta – non sempre e non ovunque – soltanto entro i vecchi confini nazionali. Alcuni dei quali verranno forse spacchettati, com’è probabile accada nel Belgio affetto dall’incomunicabilità tra valloni e fiamminghi. Varrebbe forse la pena che governi e parlamenti dessero il via libera ai referendum senza truccare le carte. E iniziassero a ripensare la costruzione europea lungo direttrici nuove. Compito arduo poiché l’assoluta prevalenza delle questioni economiche ha creato un meccanismo infernale, tale da rendere disastroso – ma sarà poi vero, e sino a che punto? – l’abbandono dell’euro e il ritorno alle valute nazionali. E’ difficilissimo, ma pur sempre meglio che lasciare ai mercati e alla speculazione il compito di distruggere ciò che resta della ipotetica Europa unita.
MICHELE MARSONET Si è laureato in Filosofia presso l’Università di Genova e in seguito all’Università di Pittsburgh (U.S.A.). Dopo la laurea ha svolto periodi di ricerca in qualità di Visiting Fellow presso le Università di Oxford e Manchester (U.K.), alla City University di New York e alla Catholic University of America (U.S.A.). E’ attualmente Professore Ordinario di Filosofia della scienza e di Metodologia delle scienze umane nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova. E’ stato Direttore del Dipartimento di Filosofia (2000-2002 e 2008-2011) e Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova (2002-2008), dal 1° novembre 2008 a oggi è Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova. Il 9 ottobre 2012 è stato eletto Preside della Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova per il triennio 2012-2015. E’ Fellow del Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh. E’ stato Visiting Professor in molti atenei stranieri: University of Melbourne (Australia), University of Pittsburgh e Catholic University of America (U.S.A.), London King’s College, Leeds, Manchester, Hertfordshire, Stirling, Southampton e Middlesex (U.K.), Cork (Irlanda), Bergen (Norvegia), Siviglia e Malaga (Spagna), Friburgo (Svizzera), Lovanio (Belgio), Giessen (Germania), Varsavia e Cracovia (Polonia), Cluj (Romania), Malta, Valona (Albania), Reykjavik (Islanda). E’ Professore Onorario della Universidad Ricardo Palma di Lima, e nel 2009 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa della Universidad Continental di Huancayo (Perù). E’ autore di 30 volumi e curatele, di cui 5 in lingua inglese pubblicati in Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, e di circa 250 articoli, saggi e recensioni in italiano, inglese e francese su riviste italiane e straniere. E’ giornalista pubblicista. Principali volumi pubblicati Introduzione alle logiche polivalenti, Abete, Roma, 1976. Logica e impegno ontologico, Angeli Editore, Milano, 1981. Linguaggio e conoscenza, Angeli Editore, Milano, 1986. La metafisica negata, Angeli Editore, Milano, 1990. Logica e linguaggio, Pantograf, Genova, 1993. Scienza e analisi linguistica, Feltrinelli, Milano, 1994. Introduzione alla filosofia scientifica del ’900, Studium, Roma, 1994. Science, Reality, and Language, State University of New York Press, New York, 1995. The Primacy of Practical Reason, University Press of America, New YorkLondon, 1996. La verità fallibile, Angeli Editore, Milano, 1997. Prassi e utopia. I limiti dell’agire politico, Studium, Roma, 1998. I limiti del realismo, Angeli Editore, Milano, 2000. Donne e filosofia, Erga, Genova, 2001. Liberalismo e società giusta, Name, Genova, 2001. The Problem of Realism, Ashgate, Aldershot-London, 2002. Logic and Metaphysics, Name, Genova, 2004. Conoscenza e verità, Giuffrè, Milano, 2007. Idealism and Praxis, Ontos-Verlag, Frankfurt-Paris, 2008. Elementi di Filosofia della scienza, CLU, Genova, 2008. I problemi della società multietnica, Ecig, Genova, 2008. Il mondo plasmato dai media, Ecig, Genova, 2009. Mercato libero o intervento statale?, Ecig, Genova, 2010. Scienza e religione sono incompatibili?, Ecig, Genova, 2011. Il pensiero utopico è oggi in crisi. Si può, tuttavia, vivere senza speranze e senza grandi mete da raggiungere?, Ecig, Genova, 2012.
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Palazzo Lercari Spinola appartenente ai più prestigiosi palazzi dei Rolli sorge nel cuore del centro storico in Via degli Orefici 7; è inserito in un tessuto edilizio in cui è ancora possibile individuare frequenti elementi medievali. Prende il nome da due importanti famiglie genovesi che hanno impresso una traccia significativa nella vicenda politica, economica e artistica della città. Il palazzo, che conserva l’importante scalone voltato sino al secondo piano, compreso il solenne ballatoio, è arricchito da sculture di grande pregio e ospita affreschi d’indiscusso valore artistico. Di particolare pregio decorativo sono due sale affrescate a metà del XVI secolo, attribuibili ai fratelli Calvi, fino ad oggi rimaste inedite. Al secondo piano un affresco raffigurante l’Allegoria della Pace, forse del Boni, un salotto con sfondati architettonici e lo stemma Spinola completano il valore artistico di un edificio la cui valenza è rimasta troppo a lungo sottovalutata.
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Ufficio vendite: Via degli Orefici, 31 rosso, nell’ex confetteria “Vedova Romanengo” del Palazzo Lercari Spinola. Tel. 010.247.01.25 orari: martedi-giovedi-venerdi dalle ore 10:00 alle ore 18:00
In Genova Promotion Palazzo Lercari Spinola ha ospitato durante il Salone Nautico 2012 la mostra di grande successo “Interni Genovesi”. Questo ha consentito alla cittadinanza di ammirare gli affreschi di età barocca che adornano i saloni dell’edificio, superbamente restaurati, sotto l’attenta guida della Soprintendenza ai monumenti della Liguria.
Nei sette piani del palazzo (dotato di due ascensori e senza barriere architettoniche) sono previsti: al piano terreno spazi destinati ad attività commerciali, al piano primo e secondo prestigiose unità immobiliari con destinazione terziaria, dove primarie società del panorama genovese e non potranno trovare una sede di altissimo livello; gli altri piani ospiteranno eleganti unità abitative con tagli che vanno dai 32 mq. del monolocale al prestigioso appartamento di oltre 200 mq; mentre gli attici con splendide terrazze guarderanno i tetti di Genova. Tutte le unità sono realizzate con la stessa cura e attenzione ai dettagli: i materiali impiegati, tutti di prima scelta, uniti ad impianti tecnologici di ultima generazione sono in grado di garantire un elevato comfort abitativo e consumi bassissimi. Le persone che sceglieranno di acquistare un immobile in Palazzo Lercari Spinola, oltre ad abitare in un immobile di pregio indiscusso, dove arte e riqualificazione si incontrano, si troveranno a vivere in un contesto artistico di rara bellezza. I muri delle case che affiancano i vicoli del centro storico genovese raccontano la storia della città: i portali istoriati di ardesia scolpiti da abili artigiani lapidei, le statue delle Madonne che si affacciano agli angoli delle strade racchiuse nelle edicole votive, le facciate decorate dei nobili palazzi, le chiese medievali, costituiscono un immenso museo a cielo aperto, uno dei più grandi e belli d’Europa.
Il palazzo oggi:
Oggi il quartiere è una delle aree pedonali maggiormente frequentate di Genova, ricca – peraltro – di attività commerciali ed il palazzo Lercari Spinola è senza dubbio una prestigiosa opera perfettamente inserita in tale contesto. L’isolato di cui fa parte l’edificio è composto da tre edifici: il primo con accesso da Via degli Orefici 7, il secondo e il terzo da Via Conservatori del Mare 5 e 9. Nel dettaglio:
Via Orefici 7
Edificio composto da sei piani fuori terra: al piano terreno sono previste attività commerciali, ai piani superiori prestigiose unità immobiliari a destinazione residenziale e uffici di rappresentanza affrescati.
Via Conservatori del Mare 5
Edificio composto da cinque piani fuori terra: sono presenti al piano terra negozi, ai piani superiori appartamenti e tre unità open space ad uso ufficio al piano rialzato.
Via Conservatori del Mare 9
Edificio composto da sei piani fuori terra: le unità immobiliari sono ad esclusivo uso residenziale, solo al piano terreno sono presenti due unità a destinazione commerciale.
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GLI ARGENTI DEL MARCHESE IN MOSTRA A PALAZZO SPINOLA FINO AL 10 MARZO LA MOSTRA, A CURA DI FARIDA SIMONETTI, ALLA GALLERIA NAZIONALE DI PALAZZO SPINOLA. IN ESPOSIZIONE GLI ARGENTI DEL MARCHESE PAOLO SPINOLA GRAZIE ALLA COLLABORAZIONE CON IL SOVRANO MILITARE ORDINE DI MALTA
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a collaborazione con il Sovrano Militare Ordine di Malta, in particolare con il Balì Frà John Edward Critien, Conservatore delle raccolte d’arte dell’Ordine, che per la prima volta ha concesso un prestito così consistente del suo patrimonio, permette di presentare al pubblico l’intero nucleo di argenti, pressoché totalmente inedito, appartenuti al marchese Paolo Spinola, donatore insieme al fratello Franco allo Stato della secolare dimora familiare di Pellicceria, grazie a loro oggi Galleria Nazionale di Palazzo Spinola. Fu per volontà di Paolo che l’argenteria della famiglia, che come il resto del patrimonio è risultato di accrescimenti dovuti ai vari passaggi ereditari, fu donata all’Ordine di Malta nel 1958, e da allora torna ora per la prima volta nel Palazzo di Pellicceria, ricomponendo il legame tra la dimora e uno
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dei più prestigiosi elementi del suo arredo, e completando, con uno dei tasselli più significativi, la testimonianza della civiltà dell’abitare dell’aristocrazia genovese nei secoli d’oro della Repubblica, che la Galleria offre grazie alla conservazione dei suoi ambienti e arredi storici. Il consistente nucleo, che si presenta dopo un accurato restauro eseguito da Francesca Olcese, è costituito quasi esclusivamente da argenteria da tavola e si caratterizza per essere nella sua quasi totalità segnato dal punzone Torretta, che contraddistingue la produzione genovese. La data che per lo più accompagna quel punzone, e la presenza su moltissimi pezzi delle iniziali di appartenenza, colloca la maggior parte dei manufatti tra la metà del Settecento e l’inizio dell’Ottocento e permette di ricondurli ai diversi proprietari del palazzo. Si individuano così, tra i pezzi più antichi, alcuni riconducibili a Francesco Maria Spinola, figlio di Maddalena Doria, alla quale si deve la determinante ristrutturazione del palazzo a inizio Settecento; le iniziali “PF” suggeriscono invece la proprietà di Paolo Francesco Spinola, raffinato e attento acquirente di oggetti d’arte che a Roma colse anche l’opportunità di farsi ritrarre da Angelica Kauffmann e che probabilmente acquisì il grande vassoio di Valadier e commissionò i pezzi più aggiornati ai dettami del nuovo stile neoclassico. Oltre alle loro iniziali, quelle “GS”, di Giacomo Spinola o ancora “US”, da
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riferire a Ugo Spinola, documentano la formazione del nucleo attraverso eredità, doti, committenze dei proprietari della dimora di Pellicceria, e le ricerche nell’archivio conservato nel palazzo condotte da Matteo Moretti hanno documentato la formazione anche di questo ambito del patrimonio attraverso il succedersi delle generazioni, testimoniando però anche l’incidenza delle consistenti fusioni, per scelta dei proprietari, desiderosi di procurarsi metallo per commissionare nuovi argenti o perché pressati dagli eventi storici, dal dominio asburgico del 1747 ai venti rivoluzionari di fine secolo, evidenziando di conseguenza la rilevanza del nucleo pervenuto all’Ordine, preziosa parte di quell’ingente patrimonio. E’ infine evidente che, esponendo centinaia di argenti punzonati Torretta databili lungo oltre un secolo, la mostra si pone come una straordinaria e rara occasione per la conoscenza e l’approfondimento dell’evoluzione stilistica dell’argenteria genovese dal pieno barocco al neoclassico.
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Inoltre, trattandosi di tutti gli elementi dell’apparecchiatura della tavola, l’analisi delle tipologie e del loro mutare è preziosa materia per lo studio dell’evoluzione di gusti ed usi della tavola. Li ricostruisce Farida Simonetti, Direttore della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, nel catalogo edito dalla Sagep Editori grazie al fondamentale contributo di Magda Pedrini, analizzando centrotavola, decine di piatti, zuppiere e legumiere, i bauli colmi della ricca posateria, riprodotti in catalogo grazie alla campagna fotografica di Daria Vinco, della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria. Oltre agli argenti per la tavola, non mancano caffettiere e zuccheriere ed eleganti vassoi che dobbiamo immaginare al centro del salottiero rito del caffè, così come i candelieri e le lucerne nei diversi ambienti della casa che nell’argento trovavano il leit motiv dell’arredo. Il catalogo si conclude con un contributo di Frà John Edward Critien dedicato a un altro importante lascito al Sovrano Militare Ordine di Malta da parte della contessa Valeria Rossi di Montelera, in cui si confronta il nucleo di secolare formazione familiare degli Spinola con una più moderna collezione antiquariale nell’ambito delle raccolte d’arte del Sovrano Militare Ordine di Malta.
INFORMAZIONI: Galleria Nazionale di Palazzo Spinola - Piazza Pellicceria, 1 tel 010 2705300 - fax 010 2705322 e-mail: palazzospinola@beniculturali.it www.facebook.com/palazzospinola Orari: da martedì a sabato: 8.30-19.30 domenica e festivi: 13.30-19.30 - lunedì chiuso Biglietti: intero € 4,00 cumulativo Palazzo Spinola e Palazzo Reale intero € 6,50 ridotto (tra 18 e 24 anni) € 2,00 cumulativo Palazzo Spinola e Palazzo Reale ridotto € 3,25 minori di 18 anni e maggiori di 65 anni gratuito
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ata nel 2008, la Dianflex Liguria è una derivazione della Dianflex Corporation, azienda leader nel comparto dell’idraulica, del riscaldamento e della climatizzazione. Giombattista Alessandrello è il rappresentate unico della società per quel che riguarda la nostra regione. Coadiuvato dalla moglie Valeria, nella conduzione della ditta che comprende circa 23.000 articoli e tre corrieri, il signor Alessandrello si adopera con competenza ed energia nella conduzione dell’attività, che è in continua espansione. A Marzo la Dianflex Liguria sarà presente alla Fiera Primavera. Chi consegnerà il coupon sottostante, sia allo stand che alla sede della Dianflex Liguria, in Salita del Garbo n° 5 rosso, situata a fianco del Campo Sportivo Torbella, avrà diritto ad uno sconto del 30% sui prezzi di listino su tutti gli articoli della ditta acquistati per ristrutturare, arredare e costruire abitazioni (bagni, pannelli fotovoltaici, pavimentazioni…). Il coupon sarà valido per tutto il 2013.
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ail your way! In attesa che il tempo si stabilizzi, è il tempo di progettare una bella vacanza in barca. Subito riparte la voglia di veleggiare, di mettere in pratica le proprie conoscenze, di fare nuove amicizie e esperienze, ma il tutto assolutamente su una “barca a vela”. Alla Sailor’s Center le barche della flotta vengono mantenute “ready to sail” tutto l’anno e quando si viene assaliti dal desiderio di veleggiare, anche solo per un giorno, è tutto molto facile: basta chiamare ed esprimere le proprie richieste. Il team Sailor’s Center saprà trovare la soluzione adeguata alle diverse esigenze.
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La mia nuova rubrica dedicata alla moda e non solo, curata da me e dalle mie Blogger. Da molti anni, quotidianamente scrivo sul mio gruppo Facebook “Personal shopper Chiara Farsaci” articoli che ogni giorno affrontano un tema diverso: Fashion il lunedì, Beauty il martedì, Style il mercoledì, MenStyle il giovedì, Vintage il venerdì, Gourmet il sabato e Glamour la domenica. Anche in questa rubrica cercheremo di affrontare sempre temi diversi. Questa volta gli articoli parleranno del Vintage, in occasione dell’evento creato con me da Marco Luciani, “Il Vintage Temporary Shop 2”; per il secondo anno, dal 12 al 14 marzo, nello store ML Parrucchieri di Piazza Dante 6r, verrà allestito uno show-room con abiti vintage. Per ricevere l’invito scrivetemi: chiarafarsaci@gmail.com FASHION: La moda sfila sul cavo: Tutte le notizie sul mio nuovo programma, Liguria Fashion in onda da settembre su TeleLiguria. Ogni mercoledì alle ore 22 presenteremo un personaggio diverso; inoltre saremo presenti a tutti gli eventi “Moda” genovesi.
c h i a ra f a r s a c i @ g m a i l . c o m - t e l : 3 4 04 630 63 7
www.chiarafarsaci.it
di Chiara Farsaci
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BEAUTY:
STYLE:
Eclisse di design
Dita Von Teese è colei che meglio incarna il ritorno al vintage: trarre ispirazione dal passato per un look senza tempo. Quel che serve? innanzitutto un incarnato perfetto, realizzato con un fondotinta chiaro e al contempo luminoso; quindi uno sguardo magnetico, che potrete facilmente ottenere con un ombretto satinato color carne o al massimo champagne su tutta la palpebra mobile e l’immancabile linea d’eyeliner nero. Un abbondate passata di mascara nero(sono ammesse anche le ciglia finte), ed il rossetto rosso, che renderà le vostre labbra davvero seducenti. Il tocco in più? Applicate un pò di gloss trasparente al centro della bocca, in corrispondenza dell’arco di cupido, per dare un tocco di volume. A questo punto, per essere come Dita, vi manca solo una coppa di champagne!
Più che un’eclisse è stata una vera e propria “illuminazione” per il design degli anni ’60. Rientra ormai nel design vintage, ma è un classico a tutti gli effetti. Parliamo di “Eclisse” di Vico Magistretti. Realizzata nel 1965 per Artemide è, con le sue linee sinuose e la scelta dei materiali, un simbolo del design. L’ispirazione viene dalla lanterna usata da Jean Valjean ne “I Miserabili” di Victor Ugo. Quindi una lanterna cieca, usata dai ladri, viene riabilitata, ridisegnata per arredare e diventare protagonista. La struttura è in metallo verniciato nei colori bianco, arancio o silver; ma la vera innovazione sta nella struttura e nella progettazione di questa “lanterna moderna”. Composta da tre semisfere la lampada da tavolo può modulare la luce attraverso una semplice rotazione manuale. Proprio per la sua forma sferica e la possibilità di aumentare e diminuire l’emissione luminosa richiama una vera e propria eclisse lunare. Per la sua estetica primaria e la sua innovazione nella semplicità di un gesto vince nel 1967 il prestigioso “Compasso D’oro”. “Design è anche guardare gli oggetti di tutti i giorni con occhio curioso”.
Rossella & Francesca Farsaci
Luana Moretti
VINTAGE:
MENSTYLE:
“Vendenge”
Tendenza occhiali uomo estete 2013
Dita Von Teese, il ritorno al vintage
Il termine vintage deriva dal francese “vendenge” ed è utilizzato soprattutto per indicare i beni d’epoca nel campo della moda e dell’arredamento. Non rappresenta una banale corsa all’imitazione delle passate tendenze, anzi traveste il look moderno con un tocco di raffinata e intramontabile moda. Aiuta a dare libero sfogo alla sfera creativa della moda perché ci fa OSARE! Nelle boutique vintage si possono trovare abiti molto estrosi e vagamente bizzarri, opere d’arte prêt-à-porter e abiti stile femme-fatale. Nell’indossare questi capi “storici’’ ci caliamo direttamente in un’epoca attraverso un ricordo e quindi ci ricongiungiamo alla nostra sfera più intima: la memoria.
Cecia Ferrari http://morfeoarms.blogspot.it/
Avete presente gli occhiali da sole super colorati e bizzarri? Bene, metteteli da parte, perché la vera tendenza per vestire gli occhi in questa estate 2013 è sobrietà. Montature e lenti diventano scure, nei colori nero, blu, marrone. Un vero e proprio ritorno al vintage. Con uno stile decisamente più mascolino, sono cool modelli che celano gli sguardi, regalando a tutti un’intensità misteriosa e rendendo affascinante qualsiasi look. Modello sempre attuale, che assicura un fascino eccellente a chiunque lo indossi, è il classico Ray-Ban. Parliamo del modello aviatore, che è sul naso dei maschi di tutto il mondo dagli anni ’30. Peraltro, come dimenticare i più famosi sex symbol di Hollywood che li hanno sfoggiati, come Tom Cruise in Top Gun, Sylvester Stallone in Cobra, o indossati in cult come Le Iene di Tarantino o The Blues Brothers? Nelle versione classica o in marrone, con lunetta o senza, la famosa goccia è sempre fashion. Una piccola curiosità: la particolare forma serviva agli aviatori per avere una perfetta copertura del campo visivo, mentre la lunetta superiore fermava le gocce di sudore della fronte, in modo da non farle arrivare agli occhi. Anche il nome, Ray Ban è l’abbreviazione di Rays Banned, ovvero anti-abbaglio. Marta Fiore & Matteo
Il consulente museale
LO SPIRITO DEGLI ALPINI A SAVIGNONE PARTE DA QUESTO NUMERO UNA NUOVA RUBRICA PER SCOPRIRE I MIGLIORI MUSEI DEL TERRITORIO LIGURE di Matteo Sicios
S
ono entusiasta di inaugurare questa rubrica dal titolo “Il consulente museale” per due motivi. Il primo: è dedicata a voi, quelle tantissime persone che amano scoprire piccoli (grandi) musei del nostro territorio e restare sorpresi nel conoscere storie che mai avrebbero creduto avere come palcoscenico la nostra regione. Il secondo: è dedicata a voi, quelle tantissime persone che ancora non sanno di amare tutto questo. L’obiettivo è quello di consigliarvi una gita fuori porta alla scoperta di storie uniche, che potrete ascoltare, leggere e vedere solo in un determinato luogo, spesso nascosto e non molto pubblicizzato. Sperando di poter essere per voi un buon consulente, vi auguro una buona lettura del mio primo consiglio museale. Ho visto il Museo degli Alpini di Savignone, della sezione
di Genova dell’Associazione Nazionale Alpini. Se avete la fortuna, come l’ho avuta io, di farvi guidare dai membri del gruppo locale scoprirete qualcosa di più degli oggetti esposti, che sono comunque molti ed interessanti (uniformi, diplomi, oggetti, armi, distintivi, libri, bandiere, etc). Scoprirete lo spirito di un corpo militare che poco dopo la faticosa unità nazionale iniziò a muovere i suoi passi sull’arco della catena montuosa da cui prende il nome. Uno spirito autentico, ancora vivo, ma che trae le sue origini dal sacrificio dei tanti militari morti in Russia come in altri conflitti. Vi dico quello che più ha colpito me. Innanzitutto i documenti di reclutamento e dimissioni del mulo, che testimoniano la grande importanza che aveva questo animale (col migliore significato del termine), poi le foto e le lettere dei militari mandate alla sezione dalle famiglie (tra cui le lettere di rinvenimento dei soldati dispersi, a distanza di anni), ancora l’allestimento semplice, ma carico di sentimento della trincea e della galleria. Non c’è miglior modo per spiegare questa parte della storia del secolo scorso ai ragazzi che portarli in visita qui. Davvero si può toccare con mano le vicende della Grande Storia, attraverso l’ascolto delle Piccole Storie che hanno vissuto i nostri Alpini.Per saperne di più: www. museoalpini.com
Nelle foto, dall’alto: uniformi e distintivi delle truppe alpine. Ricostruzione di una galleria, con tutte le attrezzature e gli utensili necessaria alla sopravvivenza.
L’AGENTE DI VIAGGI NEL TEMPO di Matteo Sicios
Premesso che non sono un agente di viaggi nel vero senso del termine, è altresì vero che da anni ormai mi sono prefisso la mission di portare quanti più amici possibili in viaggio con me in luoghi che ormai non esistono più. Capisco lo scetticismo iniziale, ma vi assicuro che con una buona dose di immaginazione riusciremo a goderci il soggiorno in compagnia di persone davvero diverse dal solito. Sconsiglio la lettura a chi ha necessariamente bisogno di soggiornare in case moderne e dotate di tutti i comfort del caso... Questo mese promuoviamo un week end in un villaggio di recente costruzione che è stato inaugurato pochi anni fa, nel 374 d.C. Potrete trascorrere le serate in comode capanne con pareti in rami e terra, mura in pietre a secco e tetti in paglia. La cucina è casalinga, ma molto valida, le specialità sono tutte le pietanze cotte sul focolare in pentole di terracotta, da provare le zuppe di legumi e farro. Le giornate trascorreranno con passeggiate immerse in boschi di querce e carpini bianchi. Come arrivare da Genova: prendere l’autostrada A7 per Milano, uscire al casello di Busalla, prendere per Savignone. Giunti sulla piazza del paese, dove si trova la Chiesa, volgete lo sguardo verso monte, se avete lasciato l’auto, proseguite a piedi e sulla vostra sinistra si trova un gruppo di casette. Per saperne di più: Archeologia Medievale numero III, anno 1976, pagina 308, Edizioni Clusf info@matteosicios.com
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A NOVANT’ANNI DAL SUCCESSO MILANESE DEI «I MANEZZI PE MAJÂ NA FIGGIA», LA VITA E LA CARRIERA DEL GENOVESE CHE PIÙ DI TUTTI HA FATTO AMARE IL DIALETTO di Umberto Paganelli e Guglielmo Benvegnù
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ssere riuscito a far amare il dialetto genovese: questo è il mio vanto». Per assurdo, colui che dichiarò questo orgoglio, pur nascendo a Genova – il 22 ottobre 1885 – era di origine emiliana con padre modenese e madre bolognese. Il suo vero nome era Amerigo Armando Gilberto Govi: il nome Gilberto gli fu dato in onore dello zio paterno Gilberto, illustre scienziato mantovano.
E’ stato l’indiscutibile fondatore del nostro teatro dialettale, il De Filippo genovese. Una “maschera” inconfondibile, piena di espressione, di rughe scolpite in un volto che anche senza proferir parola trasmetteva sensazioni e sentimenti. Govi è stato un attore che ha precorso i tempi. Avvalendosi degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti, disegnava meticolosamente egli stesso le caricature dei volti dei suoi personaggi. Il suo talento teatrale faceva sì che durante le rappresentazioni teatrali alcune battute gli uscissero spontanee e “fuori copione”, dando ancor più carattere e personalità ai personaggi interpretati e molte volte mandando in panico i suoi collaboratori, per non parlare dei suggeritori. Forma la “Compagnia dialettale Genovese” iniziando ad esibirsi nei maggiori teatri genovesi e, per la prima rappresentazione fuori porta ,a Torino nel 1917, ma la consacrazione nazionale avvenne con l’allestimento de “I manezzi pe majâ na figgia” al teatro Filodrammatici di Milano nel 1923. Arriva anche il tempo del successo internazionale con la presentazione – assieme a Caterina Franca Gaioni, che diventerà anche la sua compagna di vita – di circa ottanta commedie
RICORDANDO
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sui palcoscenici di tutto il mondo. Oltre ai “Manezzi” vanno ricordate le celebri commedie “Colpi di timone” e “Pignasecca e Pignaverde”. Nel novembre del 1931 Govi ricevette una delle più grandi soddisfazioni artistiche e morali: venne proclamato Socio Onorario dell’Accademia Filodrammatica Italiana, la stessa che dieci anni prima lo aveva allontanato sottovalutando il suo innato talento. Gilberto Govi, nel fare teatro e nel rappresentare i perso-
naggi nati dalla fantasia di Bacigalupo, La Rosa, Bassano, Acquarone ed altri, rappresentava il sentimento dei genovesi, mettendo in evidenza degli spaccati di vita dell’epoca; rendeva “caricature” anche le situazioni sociali esaltando i caratteri tipici della commedia popolare. Bellissima una definizione di Leonida Repaci: “Govi, un demonio che saprebbe far ridere a crepapelle anche se recitasse per tre atti la tavola pitagorica”. Che Govi fosse stato un istrione teatrale ne fu prova quando, pur rappresentando gli stessi personaggi dietro la macchina da presa cinematografica, questi non avevano nulla a che vedere con il loro ambiente naturale, il teatro; il contatto con il pubblico e l’intensità espressiva solo in quel contesto parevano scaturire e prendere miracolosamente forma. Govi era un vero professionista: il “Commendatore”, così lo chiamavano tutti, che guidava la Sua Compagnia teatrale come un’azienda. Quando non faceva le prove si recava in ufficio ed a fine giornata tornava a casa da coloro che amava di più, Rina ed i loro cani. Anche l’etichetta che accompagna i genovesi, la spilorceria, fu attribuita a Gilberto Govi: ingiustamente però, vista la molta differenza tra essere spilorci ed essere parsimoniosi. Govi ed i genovesi, va sottolineato, hanno sempre dimostrato di possedere la parsimonia si, ma una grande generosità morale ed interiore. Il “Commendatore” è un “genovese” per eccellenza che ama la sua città, che ama i genovesi e che, esaltando il loro dialetto, ha contribuito a renderli unici. Quanto si potrebbe parlare ancora di un personaggio così ricco artisticamente, un uomo che ha vissuto la Genova degli “scagni”, dove andare in campagna era andare sulle alture del Righi, in “villa”, dove la famiglia rappresentava un principio imprescindibile; insomma, Gilberto Govi con le sue commedie ha fatto rivivere quei tempi e guardandole è come fare un viaggio a ritroso nel tempo, un tempo che ci ha regalato un simile ed indimenticabile personaggio.
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VIAGGIO A GENOVA
ARRIVANDO DAL MARE di Gabriele Lepri
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ANNOTAZIONI SUL CENTRO STORICO DI GENOVA A CONFRONTO CON IL PORTO ANTICO, PER CHI ANCORA DEVE SCOPRIRE LA CITTÀ DELLA LANTERNA
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La Torre degli Embriaci, oggi residenza privata.
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n occasione delle celebrazioni per i cinquecento anni della scoperta dell’America l’architetto genovese Renzo Piano ha inaugurato nel 1992 il Porto Antico, una vasta area a pochi passi dal mare. Ma nonostante il nome di antico non c’è quasi nulla. Il Porto antico è quella zona del porto di Genova attualmente adibita a quartiere abitativo, centro turistico, culturale e di servizi: il suo riadattamento è stato portato a termine nei primi anni Novanta sulla superficie di quello che un tempo era il cuore dell’attività portuale, regno dei camalli che facevano parte della Compagnia dei Caravana, e che era rimasto da molti decenni di fatto inutilizzato. L’area interessata, detta anche Area Expo e costeggiata nel lato a monte dalla strada sopraelevata, si estende dalla piazza Caricamento, dove ha sede l’antico Palazzo San Giorgio, fino ad arrivare alla punta del Molo Vecchio. Il ruolo dell’antico porto è diverso da quello originario: non più mercantile ma turistico e culturale, un vero e proprio parco urbano affacciato sul mare con numerosi poli di attrazione: l’Acquario, il Bigo, la Biosfera (la “bolla”), i Magazzini del Cotone (comprendenti il cinema multisala ora The Space Cinema, la Città dei bambini, sale giochi e la biblioteca De Amicis), l’isola delle Chiatte e il Galeone Neptune. Con il recupero di quest’area, la città ha finalmente riconquistato il suo sbocco sul mare, dove costruzioni e spazi sono stati ristrutturati ottenendo una sorta di grande piazza rivolta al Mediterraneo. L’acquario di Genova è uno dei più grandi d’Europa e anche la struttura è stata progettata da Renzo Piano; rappresenta un riferimento importante per la città ed il mondo scientifico. Svelando i segreti del mare
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ed il legame tra la sorte dell’uomo e quella degli oceani, l’Acquario offre l’opportunità di compiere un viaggio straordinario attraverso la ricchezza della vita marina. In 10.000 mq. di superficie espositiva, all’interno di ambienti fedelmente ricostruiti, si possono incontrare oltre seicento differenti organismi acquatici. La Bolla di Renzo Piano è invece una struttura a forma di sfera costruita in acciaio e vetro progettata per il G8 di Genova nell’anno 2001. La bolla è ubicata sul mare, di fronte l’Acquario di Genova ed ospita al suo interno un ambiente tropicale ricostruito, da cui ha preso il nome di “Biosfera”. All’interno della Bolla si trova un ambiente naturale tropicale con una vasta varietà di piante, ma anche piccoli animali, dall’iguana alle farfalle, dal cacatua delle Molucche, alle tangare, uccelli mangiatori di frutta dell’Amazzonia. Il Bigo, progettato da Renzo Piano nel 1992 ispirandosi alle gru delle navi di Genova, è una struttura originale che si staglia sull’acqua del Porto Antico. La struttura permette da un lato di sorreggere la tenso struttura della piazza delle feste, dall’altra regge un ascensore ruotante e panoramico che si solleva fino a quaranta metri d’altezza permettendo di avere una visuale completa della città. I Magazzini del Cotone si trovano sul molo vecchio del porto antico e ospitano sale cinematografiche, sala giochi, bar, ristoranti, e un centro congressi. Di notevole importanza è anche il Galata (inaugurato nel 2004) un museo atto a capire cosa significava andare per mare ai tempi della Repubblica marinara di Genova. Il museo espone anche una sezione dedicata ai transatlantici con carte nautiche e una simulazione di tempesta al largo di Capo Horn.
Palazzo Tursi, sede del Comune di Genova.
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In alto a sinistra: Palazzo Gio Francesco Balbi da Piazza della Nunziata. Sotto: Palazzo San Giorgio e Piazza Caricamento. In alto a destra: il ritratto di un giovane veneziano, dipinto a olio su tavola (47x35 cm) di Albrecht Dürer, firmato e datato 1506, e conservato nella Galleria di Palazzo Rosso di Genova. Sotto uno scorcio di Via Garibaldi.
L’isola delle Chiatte è una struttura galleggiante formata da vecchie chiatte in uso nel porto, attrezzate con panchine ed illuminazione: la struttura, progettata da Renzo Piano e intitolata a Luciano Berio, è un punto di vista panoramico di Genova e di tutto il suo porto. Il Galeone Neptune domina ormai da alcuni anni il porto antico di Genova, attrazione un po’ kitsch ma indubbiamente attraente che riporta fedelmente l’imbarcazione dell’epoca. Pur non essendo un galeone originale, ha anch’esso una sua storia poiché venne infatti costruito nel 1986 come set per il film di Roman Polanski: Pirati. La fedele ricostruzione storica di un Galeone è comunque una vera e propria imbarcazione immatricolata e funzionante. A pochi chilometri di distanza dal Porto Antico si trova la Lanterna, simbolo della città. Alta 76 metri, ma il punto più alto è a circa 120 metri sopra il livello del mare, domina tutto il porto e la visuale si estende dal promontorio di Portofino fino a tutta la costa ponentina, fu costruita nel 1128 in cima a Capo di Faro, luogo in cui fin dall’antichità venivano accesi falò per segnalare il porto ai naviganti. Dopo un periodo dedicato a lavori di restauro è stata riaperta al pubblico nel 2004. Fin dalla sua nascita, la Torre ha sempre assunto un ruolo prettamente militare, controllando il movimento delle imbarcazioni che transitavano nei pressi del porto.
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Attualmente la Lanterna è composta da due slanciati volumi sovrapposti di pianta quadrata, ed è tuttora circondata da Bastioni ottocenteschi, demoliti in parte intorno al 1927. All’interno si arrampica una scala su archi rampanti, mentre su ciascuna facciata si aprono diverse finestrelle quadrate, il cui scopo è quello di dare luce ed aria all’interno. A metà opera troviamo il primo ballatoio dal quale si aprono alcune feritoie: all’esterno troviamo lo stemma del Comune di Genova. Il fanale attuale, formato da una lampada alogena da 1 KW, gira per mezzo di un piccolo motore elettrico, ed ha una portata luminosa di 33 miglia. Sotto la pedana del faro è conservato il meccanismo che, fino a poche decine di anni fa, gli permetteva di girare. Di fondamentale importanza è anche il Palazzo del Principe, uno dei principali edifici storici cittadini, l’unica reggia che la Repubblica di Genova abbia mai riconosciuto come tale nella sua storia lunga otto secoli. Fu la residenza privata del principe Andrea Doria, dove vi ricevette sovrani di ogni nazione, ma non fu mai censita nei cinque Rolli istituiti dalla Repubblica per definire le dimore destinate ad ospitare gli illustri ospiti della città. Questo era dovuto al fatto che la sua ubicazione era esterna alle mura della città. Dalla sua reggia, Doria poteva avere un controllo sulla città pur mantenendosi ad adeguata distanza dal Palazzo Ducale, dove l’oligarchia
Nella colonna di sinistra partendo dall’alto: il Palazzo del Principe in una veduta d’epoca; La Strada nuova e sotto la facciata di Palazzo Rosso. Nella colonna di destra: il bacino di carenaggio della darsena in una riproduzione del 1851. Qui sopra il porto di Genova nel 1810 in un’acquatinta di Garneray.
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Uno scorcio di via del Campo. Il galeone “Neptune”, sul quale Roman Polanski girò “Pirati”.
aristocratica decideva ufficialmente le sorti della città e dei suoi abitanti. Oggi il Palazzo, di proprietà privata, è adibito a istituzione museale. Oltre a Palazzo Principe riveste particolare importanza anche la Torre degli Embriaci. La costruzione, una delle più illustri della città, sia per la sua bellezza, altezza e conservazione, sia per l’appartenenza alla famiglia di Guglielmo Embriaco, con i suoi 41 metri di altezza tutta in conci bugnati di pietra a vista è visibile da ogni punto della Genova storica. Fu fatta edificare per far intendere al popolo la grandezza dell’antica famiglia genovese di cui si hanno notizie a partire dal 990. Il monumento apparteneva al Palazzo Embriaci, costruito dalla famiglia degli Embriaci e passato poi ai Giustiniani, ai Cattaneo, ai Sale e ai Brignole, che lo ristrutturarono nel XVI secolo. Nella parte posteriore si erge la Torre, la più alta della città che rende omaggio alle gesta di Guglielmo Embriaco, detto “Testa di Maglio”, condottiero in Terra Santa e conquistatore delle mura di Gerusalemme nel 1099. La Torre, restaurata nel 1927, non è visitabile. Immediatamente alle spalle di questa vastissima area ristrutturata con ottima fusione tra antico e moderno, Genova ha il privilegio di avare il centro storico più grande d’Europa. Esso rappresenta una grande città del passato giunta a noi intatta nelle sue strutture, ed i suoi spazi sono animati dal flusso della vita che vi si svolge quotidianamente. Passeggiare nelle strade del centro storico significa immergersi nella realtà millenaria di Genova: sono ben conservate le testimonianze di ogni epoca trascorsa, come tutte le opere d’arte che si trovano all’interno di chiese e palazzi. Molti sono gli affascinanti particolari architettonici, opere di abili artigiani, e le numerose botteghe in cui per secoli sono confluite merci provenienti da ogni angolo del mondo. Nulla si sa delle fonti antiche sulle origini e sulla forma primitiva della città: la loro conoscenza è legata alle ricerche archeologiche. L’estensione di questo manufatto urbano, che occupa circa 150 ettari, è costituita da monumentali edifici residenziali che sorgono nelle aree centrali in numero di oltre duecento. Gran parte di questi palazzi sorgono nel triangolo cittadino formato dalle vie San Luca, Luccoli e Garibaldi. Da quest’ultima via si è poi diffuso il rinnovamento della città medioevale. Il centro storico, per chi lo visita per la prima volta, è subito riconoscibile in quanto è costituito da numerosi carruggi, termine genovese che significa vicoli, che separano a fatica i grandi palazzi, spesso uniti tra di loro, ai margini delle piccole strade. All’interno di esso non vi si trovano grandi spazi o piazze: al massimo si possono trovare piccole piazzette, salite e discese circondati da maestosi palazzi risalenti al Medioevo. Una sua ingente parte, comprendente le strade di via Garibaldi, via Cairoli e via Balbi, è stata dichiarata dall’Unesco nel 2006 patrimonio mondiale dell’umanità. Il fulcro attorno al quale ancor oggi ruotano i flussi del commercio e del turismo è dato dai portici di Sottoripa a piazza Caricamento, dove veniva creandosi la città dei mercanti e dei camalli della Compagnia dei Caravana. Buona parte dei vicoli che partono da Sottoripa, ha preso il nome di una specifico settore lavorativo, per lo più artigianale, volto a richiamare le varie attività che gli uomini svolgevano nel passato. Si hanno così via Orefici, vico Indoratori, piazza di Pellicceria, salita Pollaiuoli, Macelli di Soziglia, piazza Campetto, solo per citarne alcuni. Naturalmente, con il passare del tempo questa caratteristica ha perso molto del suo valore originario, anche se i vicoli genovesi continuano ad attirare molti turisti. Distinta dal caruggio, ma ad esso accomunata dalle anguste proporzioni, è la crosa, detta crêuza in genovese, ossia una piccola mattonata che dalle alture collinari scende ripidamente a valle.
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Piazza delle Erbe di sera.
Porta dei Vacca. La costruzione venne iniziata tra il 1155 e il 1159. Usata a lungo come prigione, fu teatro di giudizi ed esecuzioni capitali. Piazza Sarzano rappresenta il fulcro principale del centro storico: è la Genova arcaica, in passato l’unica vera grande piazza entro le antiche mura di Genova (IX secolo). Si tenevano giostre e tornei, botteghe di cordai e ortolani esponevano la loro merce. Al centro della piazza, un tempietto del XVI secolo, sormontato da un Giano bifronte, nasconde l’apertura delle grandi cisterne, un tempo serbatoio d’acqua della città. La Piazza in tempi remoti veniva utilizzata anche per allenare le forze armate e per le feste cittadine. Piazza della Commenda: un tempo era utilizzata come rifugio per le navi che vi approdavano. Nella piazza in seguito sorse l’imponente struttura che ancora oggi è presente, ma aveva proporzioni molto più grandi: all’interno vi si trovava anche una piccola Chiesa che accolse i papi Urbano V e VI e Adriano VI tra il 1367 e il 1500. Via San Luca: la strada che si sviluppa alle spalle del porto, aveva fin dal medioevo funzione prettamente commerciale. Nella via, dove spesso transitavano papi, dogi e re al loro arrivo a Genova, vi erano ampi
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In alto a sinistra: il Campanile e cupola della cattedrale di San Lorenzo. A destra, il palazzo dell Matitone visto dall’Acquario. Qui sopra: sulla sinistra, l’Acquario di Genova
palazzi con loggie aperte, di cui oggi restano solamente piccole tracce. Il nome della via deriva dalla Chiesa intitolata a Santo Evangelista. Piazza Campetto: alle origini in tale sito vi era semplicemente un piccolo orto, successivamente divenne il principale centro di fabbri ed artigiani. Durante il Risorgimento venne aperta l’antica libreria Antonio Doria, che ospitò numerosi convegni carbonari sino agli inizi del ‘900. Piazza delle Erbe: il suo nome originario era quello di Piazza Nuova da Basso, ma era denominata delle Erbe, poiché nell’800 si teneva il mercato degli ortaggi. Via del Campo: si tratta di una delle vie più antiche e famose del centro storico, citata da Fabrizio De Andrè in una delle
sue famose canzoni. Via Balbi: fu edificata sui terreni della famiglia Balbi nel corso del Seicento per migliorare la viabilità del porto e ai suoi lati nacquero in seguito maestosi palazzi con pareti affrescate dai più importanti pittori italiani dell’epoca. Via Garibaldi: è una delle più affascinanti strade del centro storico genovese, realizzata in pieno Rinascimento senza criterio medioevale da Cantone da Fabio. La creazione di questa strada faceva parte di un’opera urbanistica importante. Con essa iniziò la trasformazione di diversi imponenti palazzi l’uno accanto all’altro, talvolta interrotti da vicoli discendenti verso il porto. In seguito vennero edificati Palazzo Rosso, Bianco,Tursi e Spinola.
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Un tritone in Villa del Principe. Via San Lorenzo verso la cattedrale. Via Prè: attualmente è il tratto di strada più abbandonato e degradato di Genova e questo lo era già nell’antichità. Il centro storico, secondo antiche testimonianze, doveva terminare dove ora sorge la Porta dei Vacca e questo condizionò la scelta di non fare investimenti nella via. Vico Casana: la denominazione della via è di origine turca. Infatti Ghasana nella lingua locale significa stanza del tesoro, riferita alle ricchezze del sultano di Costantinopoli. Questo tratto di strada era quindi adibito alla vendita di oggetti preziosi nell’antichità. Via San Lorenzo: è la strada più grande del centro storico e qui ha sede la maestosa Cattedrale dedicata, per l’appunto, a San Lorenzo. La via fu realizzata solamente per portare i fedeli all’ interno della Chiesa. Il luogo di culto venne edificato intorno al 1400, per poi essere completato dalle due torri campanarie un secolo più tardi. Piazza Fontane Marose: essa è di origini medioevali ed esisteva già nel lontano 1206 come dimostrano gli atti conservati all’Archivio di Stato e le lapidi apposte su Palazzo Pallavicini. Meno certa è invece l’origine del nome, ma si pensa che la denominazione derivi da Fontana Amorosa. La fontana venne in seguito demolita intorno al 1849 per ultimare i lavori di ristrutturazione della piazza. In essa vi si svolgevano nell’antichità molti caroselli, diventati così cruenti da invogliare la Repubblica a proibire sia le cavalcate che i tornei.
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LA STORIA DEI TRAM A GENOVA IL
27 dicembre 2006 si è celebrato il quarantesimo anniversario della soppressione dei tram a Genova. Aa dire il vero c’è stato poco da celebrare, visto che da allora sono stati fatti modesti passi avanti per un trasporto pubblico di qualità. Le prime fonti sulla nascita dei primi tram a Genova sono datate 1878, anno in cui la Compagnia Generale Francese dei Tramways (già questo connubio mostra come il trasporto pubblico genovese sia molto legato ai transalpini) costruisce la prima linea di tram trainati da cavalli tra piazza Principe e Sampierdarena. Successivamente il progetto dei francesi mirò alla costruzione dei binari non solo nella zona di Piazza Caricamento, ma anche verso Voltri. Il servizio del trasporto pubblico attraversò due fasi complesse prima di raggiungere un sistema razionale e organizzato. Già nel 1890 la suddivisione delle zone della città operata dal Municipio fra le Società che ne avevano richiesto le concessioni impose un certo ordine nella organizzazione delle linee. Venne seguita una netta demarcazione geografica: la Società di Ferrovie Elettriche e Funicolari operò nella Valbisagno e nel centro Urbano, la Società dei Tramways Orientali mirò alla zona del Levante, infine la Compagnia Francese si riservò il servizio degli omnibus (vetture trainate da cavalli, l’unico mezzo pubblico di trasporto in voga in città). Gli anni che seguirono l’espansione del nostro capoluogo e la mobilità degli abitanti fra luoghi di lavoro e luoghi di residenza richiesero un potenziamento del trasporto pubblico e soprattutto una concezione unitaria della rete, tale da renderla maglia organica di collegamento tra i vari centri industriali. Al contrario però, intorno agli anni Novanta del diciannovesimo secolo, alcuni servizi di omnibus espletati all’interno del Comune della Società Ligure, assorbiti in seguito dalla Compagnia Francese, vennero abbandonati, e quest’ultima si rifiutò di assumerli. Il precursore della trazione elettrica fu la società Ferrovie Elettriche e Funicolari (FEF) che aveva iniziato a gestire la prima linea tra piazza Corvetto e piazza Manin a partire dal 1893: due anni dopo aprì il tronco superiore della funicolare del Righi, da San Nicola verso monte. Anche la Società Orientale, nonostante i grandiosi progetti iniziali, impiegò quattro anni per costituirsi. Si rilevò infine la mancanza di iniziative locali in un campo in cui il capitale straniero cercava di affermare la sua egemonia. Proprio nel
di Pamela Guarna e Gabriele Lepri
UNO SGUARDO AL TRASPORTO PUBBLICO SOTTO LA LANTERNA A CENTOCINQUANT’ANNI DI DISTANZA DALL’ISTITUZIONE DEI PRIMI TRAM
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Genova com’era
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La vettura 11 della vecchia Guidovia della Guardia.
1895, anno giudicato negativo per l’economia genovese, si impose l’intervento di un potente gruppo finanziario tedesco allo scopo di fornire i mezzi necessari per portare a termine le reti di trasporto locale date in concessione. Si trattò del gruppo guidato dal banchiere Rathenau, nel quale ingenti erano gli apporti della Allegemeine-Gesellscaft di Berlino e quelli della Bank fur Elektrische di Zurigo. Nel 1901 tutti i servizi di trasporto pubblico sono concentrati nella UITE e la AEG, attraverso le Officine Elettriche Genovesi, detiene il monopolio della distribuzione elettrica per illuminazione e per trazione. Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale la generale
situazione sfavorevole che si determinò nel paese fece sentire gravi ripercussioni sull’industria, in particolare quella dei trasporti. Furono soprattutto i costi fortissimi che riguardarono la manodopera, il carburante e i materiali in generale che gravarono sulle spese di esercizio della Società. Nel tentativo di far fronte alla crisi che riguardava le Società di trasporto, con Decreto Luogotenenziale datato 15 maggio 1919, si istituì un diritto supplementare sul prezzo dei biglietti. I relativi proventi vennero devoluti allo stato che creò così un discusso Fondo Unico nazionale al fine di sopperire ai miglioramenti economici concessi al personale. Entrò così per la prima volta in vigore un regime di sussidi governativi. Le opere di ricostruzione, pur tra notevoli difficoltà, non si arrestarono. In primo luogo si procedette al rinnovo del materiale mobile e al suo potenziamento: opera già progettata ma forzatamente interrotta a causa della guerra. Intanto il 14 aprile 1922 anche l’ultimo omnibus a cavalli aveva ceduto agli omnibus automobili. Il Comune di Genova impiantò a partire dal 1922 un servizio di tali mezzi fra Piazza Tommaseo, Piazza De Ferrari, Piazza Principe e Piazza Dinegro. Questo servizio fu decisamente più agibile e meno legato alle difficoltà dei percorsi. La città di Genova fu di fatto la prima a costruire un servizio urbano di autobus gestito dal Municipio allo scopo di alleggerire l’affollamento straordinario sulle autovetture. Il nuovo mezzo raggiunse ben presto ogni zona della città. Non solo: per migliorare i collegamenti, furono realizzate gallerie e nuove strade, come la galleria Certosa o lo sbancamento della collina di Albaro per velocizzare le linee del Levante. Ma l’autobus non era ancora un mezzo popolare di trasporto pubblico e non trovò utenti in numero tale da giustificare l’esercizio. Pertanto nella riunione del Consiglio di Amministrazione della UITE del 1926 se ne decise la soppressione. A partire poi dal 1932 l’Azienda Autonoma Autobus cedette le sue quote alla UITE. La prima rivoluzione per i tram si ebbe nel 1934 con la soppressione del carosello tranviario di piazza De Ferrari e dei binari in via XX Settembre: già allora l’intenso traffico di vetture tranviarie era ritenuto pericoloso per la sicurezza dei pedoni, che affollavano la strada e ne erano i padroni incontrastati. Di certo però il clima che si poteva respirare nella strada più importante della città era ben diverso da quello rumoroso e caotico odierno. La Seconda Guerra Mondiale contribuì negativamente ad accelerare un processo di eliminazione dei tram più vecchi e si rese necessaria anche una ristrutturazione del parco rotabile: la mitica “Littorina” (il soprannome attributo alle vetture tipo “Genova” al tempo della dittatura fascista), presente in quasi cento esemplari fu il modello di punta della flotta dei tram della UITE, affiancata da nuove e vecchie vetture come le “Casteggini”, le “Lambrette” e le “Due camere e una cucina”. Negli anni Cinquanta prese consistenza la seconda grande riforma del trasporto tranviario: i tram furono allontanati dalla zona di circonvallazione a monte e sostituiti dai filobus e cominciarono a comparire le linee automobilistiche “celeri”, con meno fermate, più veloci, ma anche più costose rispetto ai tram. La storia del tram a Genova giunse al termine con l’“Operazione Rotaie”: nessuna altra grande città decise di eliminare completamente questo mezzo di trasporto. Nemmeno Torino, capitale italiana dell’automobile, rinunciò ai propri mezzi su rotaia. Negli anni Sessanta il tram oramai venne considerato un ostacolo alla libertà di movimento dell’automobile e quindi si decise di togliere gradualmente le rotaie dalle strade cittadine e di sostituire i vecchi tram con i nuovi fiammanti autobus, che allora sembravano
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Genova com’era destinati ad un glorioso futuro. Erano i tempi della costruzione della sopraelevata, una “elastica pista volante” dedicata alle automobili, simbolo del boom economico dell’Italia che si avvia a diventare una potenza economica mondiale. La prima fase si attuò nel ponente: proprio i lavori di costruzione della sopraelevata richiese l’eliminazione dei binari da via di Francia; la realizzazione della nuova autorimessa di Cornigliano creò spazio per un lotto di oltre cento autobus. Poi seguirono nell’ordine la Val Polcevera , il Levante genovese ed infine la Val Bisagno. All’alba del 27 dicembre 1966, l’ultima Littorina percorre il tratto tra la Questura e Prato per concludere la propria gloriosa carriera. Il tram rimase nel cuore dei genovesi: già alla fine degli anni Settanta si cominciò a parlare di reintroduzione dei tram nella galleria Certosa e oramai è noto che queste proposte portarono, dopo lunghissimi lavori di costruzione, alla realizzazione della metropolitana di Genova. Qualche anno fa un’interessante proposta di realizzazione di due linee tranviarie venne presentata da Fiorenzo Pampolini, già consigliere di amministrazione di AMT, iscritto all’associazione Utenti Trasporto Pubblico. Il progetto si basò su due linee che andrebbero a coprire alcune direttrici di traffico che attualmente rimangono scoperte dal servizio della metropolitana, come i quartieri di Sampierdarena, Molassana ed il Levante. Il progetto non riguardò il vecchio tram che qualcuno ricorda con nostalgia, ma un tram moderno, molto confortevole e capiente, che viaggia il più possibile in sede riservata, permettendo buone prestazioni in termini di velocità commerciale e capacità di trasporto, prestazioni certamente superiori a quelle dei normali servizi gommati. Il sistema tranviario può rappresentare una valida integrazione alla metropolitana, specialmente quando i flussi di traffico non sono sufficienti a giustificarne economicamente la realizzazione. Il tram è una occasione per riqualificare la città anche dal punto di vista urbanistico: Genova non può lasciarsi perdere questa grande occasione.
Un’immagine di via Roma.
Un omnibus a cavalli napoletano.
Sotto, un moderno tram in servizio a Bordeaux, in Francia.
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L’AFFRESCO DELLA MADONNA,
IL SEGRETO
DI MARETA
È DI AUTORE IGNOTO L’AFFRESCO CINQUECENTESCO NELLA CAPPELLA VICINO ALLA CHIESA DI MARETA, BORGO DELLA VALBREVENNA AFFASCINANTE MA MINACCIATO DA RISTRUTTURAZIONI PRIVE DI CRITERIO Testo e foto di Mauro Ricchetti
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V
isto dal percorso che sale al paese, il borgo di Mareta sembra un insediamento fortificato, una muraglia di edifici adagiati sulle balze della collina. Le case sorgono da una foresta intricata di alberi, tra rocce affioranti e scoscese. Tre o quattro livelli di palazzata, disposta a scala ad elementi a più piani, sfalsati e degradanti, di un notevole interesse ambientale. Mareta è senza dubbio uno dei più piccoli paesi della Valbrevenna: le case in buona parte sono state ristrutturate e intonacate, il sottotetto spesso è stato gonfiato per utilizzarne lo spazio e renderlo abitabile. Quasi tutti gli edifici sono stati acquistati da villeggianti che li usano al massimo un mese all’anno, ma i residenti fissi sono cinque o sei. Sul minuscolo sagrato della chiesa di Mareta sorge una cappella che contiene al suo interno un bellissimo e inaspettato affresco cinquecentesco. Un tempo l’edificio, con un grande arco sul fronte, era aperto, simile a quei modesti ricoveri per pellegrini che si incontrano ancora lungo le strade dell’entroterra. Oggi risulta chiuso da una sapiente vetrata che consente una comoda vista del dipinto, senza il pericolo che venga sfregiato o ricoperto di firme e date. I colori dell’affresco sono vivaci e il disegno della Madonna con il Bambino con i Santi ai lati, eseguito con grande semplicità espressiva, appare intatto. Il volto della
Liguria nascosta
Madonna è dolcissimo e sereno. Non si conosce il nome dell’artista che lo eseguì: pare che fosse un pittore di passaggio, che abbia voluto lasciare, in quel piccolo villaggio di case in pietra dove aveva ricevuto alloggio e amicizia, un riconoscente omaggio agli abitanti. Dalla cappella, che da sola vale una visita a Mareta, il percorso di impianto del borgo si arrampica verso la montagna. Le case, in rovina, si diradano nei campi a gradoni. Incontriamo soltanto qualche vigna, alberi da frutta, galline, un simpatico e affettuoso gatto che si fa accarezzare facendo le fusa. Una gentile signora, vedendomi intento a fotografare, mi invita ad entrare nella sua casa ristrutturata di recente. Vuole mostramela, così in ordine, appena finita. Fuori è stata intonacata e la parte superiore della facciata e la copertura sono state rivestite da doghe di legno. Il tetto ovviamente è stato rialzato e dentro i pavimenti sono in parte in ceramica e in parte in marmo. Mi apre tutte le finestre per mostrami il panorama della la vallata e vedo i tetti delle case sottostanti un tempo realizzati con lastre di pietra ora rivestiti con un manto di marsigliesi o, peggio, con tegole di cemento. Dall’alto si scorge il torrente Brevenna che scorre tra fitti cespugli e si notano lungo le rive ruderi di antichi mulini. Ringrazio la signora per avermi mostrato la sua casa di cui è orgogliosa, ma mi chiedo perché i nostri borghi debbano essere stravolti da interventi casuali privi di un qualsiasi tentativo di inserimento e di rispetto ambientale. Possibile che non possiamo anche noi, come in Francia e in Svizzera, obbligare i proprietari a restaurare le loro abitazioni usando i materiali originari, che tra l’altro sono anche meno costosi? Certo la casa della signora di Mareta è tenuta con ordine, ma dell’antica tipologia del borgo contadino non conserva più nulla; è un’altra cosa, un episodio avulso e totalmente inadeguato. Eppure sarebbe bastato cosi poco: sarebbe stato sufficiente ristrutturare senza distruggere, senza inventare niente. All’interno intonaco bianco a calce; il pavimento doveva rimanere come era, in tavoloni di legno, pratico e
funzionale caldo d’inverno e fresco d’estate. Perché rivestire la facciata in tavole di legno? Non era meglio lasciare solo la nuda pietra ? Ed il tetto, se proprio bisognava rifarlo, sarebbe stato sufficiente ricoprirlo con le tipiche “ciappe liguri” con le falde sporgenti di appena pochi centimetri. La casa con l’architettura così detta “a chalet” , da manuale scolastico, è l’oltraggio maggiore che si possa fare all’architettura della nostra Liguria. Prima di lasciare Mareta, mi fermo a lungo osservare, ancora una volta, l’affresco della Cappella, ammirando la dolcezza del volto della Madonna e del Bambino, per fortuna restaurati con intelligenza e con amore dalla Soprintendenza ai beni artistici della Liguria.
Panorama della Valbrevenna.
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CELIVO, TUTTI INSIEME
PER IL VOLONTARIATO Testo e foto di Anna Proverbio
S
ono ormai molti anni che il Celivo, il Centro Servizi Volontariato, opera nella nostra città: tuttavia non tutti sanno che cosa sia, a chi si rivolge e come funziona. Ne abbiamo parlato con l’attuale Presidente, Luca Cosso. In che data è nato a Genova il Celivo e perché? Nel 1992, in applicazione della legge 266/91 (la legge quadro sul volontariato) si decise, imponendo alle Fondazioni Bancarie di finanziare questi Centri, in modo di poter di associare tra loro le numerose organizzazioni di volontariato presenti sul territorio della Provincia di Genova, attive nel campo della solidarietà, affinché potessero agire in maniera più coordinata ed efficiente. L’iniziativa ha avuto successo? Sì: diverse organizzazioni di maggior respiro, storia e diffusione accolsero con entusiasmo l’appello di iniziare un cammino comune e riuscirono a dar vita ad un piccolo centro autofinanziato, con sede presso un ente associato aperto due pomeriggi la settimana.
IL PRESIDENTE DEL CENTRO SERVIZIO VOLONTARIATO DI GENOVA LUCA COSSO PARLA DI RISULTATI E PROSPETTIVE FUTURE
Quando vi siete costituiti ufficialmente? Nel marzo 1995, con un atto pubblico. Ai soci fu chiesto di utilizzare le proprie particolarità per far crescere l’associazione sulla base di valori condivisi focalizzando l’attenzione sempre e soltanto sugli interessi di tutti e mai su quelli di un gruppo in particolare. Nel luglio del 1997, il Celivo, in conformità al bando regionale per l’istituzione dei centri di servizi, presentò al comitato di Gestione il proprio progetto che nel marzo 1998 lo approvò. Nell’anno successivo il Celivo ottenne l’iscrizione al registro regionale per l’istituzione del volontariato. In seguito gli uffici furono trasferiti nell’attuale sede, al piano stradale di corte Lambruschini a Brignole, facilmente raggiungibile con qualsiasi mezzo (Treno, Autobus, Automobile).
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L’intervista
In che anno avete ottenuto la personalità giuridica? Nel 2003, mentre nel 2005 si è potuto festeggiare il decennale della costituzione formale del Celivo, occasione propizia per valutare i risultati ottenuti nel tempo e fare il punto sui miglioramenti da apportare, valutando le nuove esigenze del futuro. Oltre al vostro punto operativo a Genova, esistono nella Provincia ligure altre sedi del Celivo? A partire dal 2006 sono stati messi in atto ben undici Sportelli del volontariato territoriali a Rapallo, Chiavari, Sestri Levante, Busalla e nei municipi I Centro Est, II Centro Ovest, III Bassa Valbisagno, IV Media Valbisagno, V Valpolcevera, VII Ponente, IX Levante. Nel corso degli anni i progetti del Celivo sono rimasti uguali? I nostri piani programmatici, nel tempo, sono cresciuti e si sono moltiplicati; ciò che è rimasto immutato è la gratuità e la pari accessibilità ai nostri servizi per tutte le organizzazioni di volontariato. I 78 Centri di Servizio, attualmente attivi a livello nazionale, lavorano in rete tra loro attraverso CSVnet (Coordinamento nazionale dei Centri di Servizio per il volontariato). Il Celivo è anche membro del Coordinamento regionale dei Centri di Servizio liguri. Quante sono le Associazioni che attualmente sono iscritte al Celivo? Circa ottocento. Sappiamo che il vostro centro organizza dei corsi di formazione per volontari: con che criterio scegliete i vari indirizzi propedeutici? Ogni associazione iscritta nei nostri registri può fare richiesta dell’ istituzione di corsi specifici che vengono sottoposti all’assemblea dei soci, organo sovrano che delibera sugli indirizzi generali delle azioni del Celivo e su qualsiasi altra decisione, seguendo i dettami del Regolamento e dello Statuto. Da chi è costituito il consiglio direttivo? Da un Presidente (dal 2011 Luca Cosso), un Vicepresidente, un membro dell’ufficio di Presidenza e nove consiglieri. Quali sono i settori di intervento delle organizzazioni di volontariato? Per ora sono sette e riguardano i comparti sanitario, socio assistenziale, educativo, ambientale, protezione civile, protezione animali, sportivo e ricreativo, culturale. Presso gli uffici del Celivo sono a disposizione gratuitamente tutti i materiali che possono servire per scegliere l’associazione più confacente agli utenti che desiderano diventare volontari: colloqui di orientamento, consultazione della banca dati sul volontariato del territorio, corsi di introduzione al volontariato, materiali formativi (depliant, pubblicazioni ecc.).
INFO
Sede centrale: Piazza Borgo Pila, 4 - 16129 Genova Tel. 0105956815 - 0105955344 - Fax 0105450130 e-mail celivo@celivo.i - www.celivo.it Orario: (tutti i giorni orario continuato) Lun, Mar, Mer, 9-17 Gio 9.00-19.00 Ven. 9-16.00
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Sport
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DALLA “GAZZETTA” ALLA TELEVISIONE, COME LO SPORT ENTRÒ NELLE NOSTRE CASE
L’
di Gabriele Lepri
introduzione della pagina sportiva nei quotidiani italiani è datata 1896 con la prima pubblicazione della Gazzetta dello Sport: le pagine non superavano le cinque unità e trattavano gare ciclistiche non ufficiali nel nord Italia organizzante dalla gazzetta stessa. Nello stesso periodo il Corriere della Sera, già avviato dal 1876, tramite l’inserto gratuito la Bicicletta cercava di contrastare quest’ultima e i suoi principali avversari come La Stampa e Il Mattino. L’attività agonistica era entrata nel nostro paese per ragioni sportive nelle società di mutuo soccorso mazziniane attraverso il tiro a segno perché solamente in questo modo si imparava a mirare. La svolta si ebbe qualche anno più tardi grazie ad alcuni giornalisti della Gazzetta che già da diverso tempo pensavano di organizzare un evento sportivo importante come il giro d’Italia: il Corriere della Sera rispose ideando una corsa automobilistica in Europa ma ciò non ebbe successo. La nascita della prima pagina sportiva è quindi da attribuire alla Gazzetta dello Sport. Qualche mese più tardi la Gazzetta decise di affiancare al tema ciclistico quello del calcio decisamente più ricco di eventi (diverse partita giocate nell’arco di un mese a differenza del ciclismo rappresentato pochissime volte, se non poche, all’anno): anni prima erano nate società calcistiche come il Genoa, il Milan, l’Inter, la Juventus, il Torino e la Pro Vercelli ( per citare le più importanti) che insieme ad altre organizzarono tornei italiani; al vincitore sarebbe stato aggiudicato lo scudetto. Il direttore del primo quotidiano sportivo non si lasciò sfuggire questo evento ideando pagine speciali che ebbero già allora molto successo soprattutto nel pubblico maschile: il giornale decise così di dare più spazio anche negli anni successivi al settore calcistico, senza però tralasciare il
ciclismo. Con il passare degli anni il quotidiano si ampliò ancora vennero trattati con continuità il nuoto, la boxe, l’atletica e ogni quattro anni le olimpiadi e i mondiali (specialmente per questi, la cui durata è di un mese circa, vennero ideate delle pagine speciali ricche di statistiche, precedenti, record). La Gazzetta assunse sempre più i connotati di un quotidiano di risultati. Solamente con l’avvento della seconda guerra mondiale il giornale ebbe un calo di interessi e di vendite: il conflitto fece passare in secondo piano il tema sportivo, ma questo settore cominciò a riprendere campo nei primi anni cinquanta trattando sempre gli stessi argomenti. Anni più tardi entrarono in scena due concorrenti per la nota testata, il Corriere dello Sport e Tuttosport, ma la Gazzetta ebbe sempre il suo predomino sia dal punto di vista delle
vendite che delle preferenze. Verso la metà del 1950 entrò in scena la televisione e nacquero diversi programmi sportivi, come Tutto il calcio minuto per minuto e Novantesimo
LA NASCITA DELLA
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Sport minuto (condotti da personaggi che hanno fatto la storia del calcio televisivo). Sulla scia di questi irruppe negli anni settanta il processo di Biscardi, programma televisivo dichiaratamente votato alla chiacchiera e alla polemica che riscontrò un immediato successo di pubblico grazie ai toni accesi, esasperati e agli scoop. I giornali sportivi si difesero dai concorrenti televisivi trattando temi che non venivano svolti durante la conduzione di questi: per dare più risalto a ciò ad esempio la Gazzetta decise di alternare a notizie sportive fatti che coinvolgevano direttamente la vita privata degli atleti e inchieste (un esempio lo è dato dallo scandalo del calcio scommesse degli anni Ottanta che portò alla retrocessione di squadre illustri come il Milan e dal recente fenomeno di “Moggiopoli”, piuttosto simile nei temi ). Ma saranno i mondiali svolti in Spagna nel 1982, ed i mesi che seguirono l’evento, a rappresentare lo sviluppo della nuova stampa sportiva: l’esperienza del mondiale confermò infatti il successo che il quotidiano sportivo aveva raggiunto fino a quel momento in termini di popolarità e di diffusione presso i lettori, al punto che Gazzetta e Corriere dello sport-Stadio raggiunsero i propri record, tuttora imbattuti, di tiratura nei giorni del torneo e continuarono l’ascesa anche negli anni successivi, con aumenti graduali pressoché continui fino alla fine del decennio Ottanta. Il boom editoriale della stampa sportiva era ormai un dato di fatto. I mondiali del 1982 svolti in Spagna rappresentarono un punto di svolta anche per La Repubblica, fondata nel 1976: inizialmente le sue pagine erano dedicate a temi politici, di attualità, cronaca, ma il grande assente era lo sport. Grazie ad essi il direttore decise di elaborare pagine sportive si affidò sia a cronisti maschili (Gianni Brera su tutti) che femminili: non veniva trattato solo il mondo del pallone ma anche altri temi come formula uno, boxe, e ciclismo. La Gazzetta dello Sport, grazie alla vittoria italiana, toccò il picco massimo di vendite in una sola giornata e tale primato è ancora oggi imbattuto, nonostante la nostra nazionale nel luglio 2006 abbia vinto di recente un altro titolo mondiale.
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IMMOBILE PIGNORATO O A RISCHIO PIGNORAMENT PIGNORAMENTO?
NON TUTTI SANNO CHE L’ASTA SI PUO’ EVITARE
I
l pignoramento è una procedura esecutiva che porta alla vendita forzata dell’immobile di proprietà e viene promossa da chi vanta un credito nei confronti del debitore, oggetto del pignoramento. I creditori possono essere svariati e vengono soddisfatti in base al loro grado di privilegio. L’errore più comune è quello di pensare che l’immobile oggetto del pignoramento sia ormai perduto, abbandonando la ricerca di una soluzione del problema. Nulla di più sbagliato, anche perché la messa all’asta dell’immobile non sempre risolve la propria esposizione debitoria. Perdere un immobile all’asta infatti è sempre la soluzione peggiore. Innanzitutto il bene si svaluta notevolmente, ma soprattutto i creditori cercheranno di soddisfarsi al meglio lasciando l’esecutato, nella maggior parte dei casi, ancora obbligato per il residuo debito. Solo raramente infatti, il valore immobiliare è sufficiente a sanare i debiti in sede d’asta. In tutti gli altri casi il cliente perderà l’immobile e rimarrà segnalato per la parte restante dei debiti. E’ importante perciò rivolgersi a professionisti qualificati e competenti, ma soprattutto esperti nello specifico campo dei pignoramenti immobiliari. La S.I.BA. è una struttura costituita da un nutrito gruppo di professionisti con diverse specializzazioni, che offre servizi professionali altamente qualificati. Lo staff, composto da esperti in mediazione, agenti immobiliari, consulenti bancari, avvocati, unendo sinergicamente ogni competenza è in grado di gestire con profitto e risolvere ogni problematica legata ai pignoramenti immobiliari. Molto spesso, il singolo professionista, agente immobiliare, avvocato o altro, non ha le complessive competenze che sono necessarie per definire questo tipo di situazioni. L’intervento della S.I.BA. mira a risolvere totalmente la situazione debitoria. Il punto di forza è quello di fornire un’assistenza e una consulenza globale al cliente, stragiudiziale e legale, per
tutto l’iter della pratica. In particolare S.I.BA. , valutata la corretta strategia, procede alla vendita dell’immobile sul libero mercato (se necessario) e contemporaneamente raggiunge accordi con tutti gli eventuali creditori, ottenendo considerevoli riduzioni del debito e garantendo l’estinzione di tutti i debiti, anche se molto superiori al valore immobiliare. Bisogna ricordare che è sempre possibile vendere un immobile, anche se pignorato. Si rimane proprietari finchè il bene non è aggiudicato all’asta. La sola presenza del pignoramento non comporta la perdita di tale diritto. Pertanto è possibile vendere un immobile prima che venga ‘perso’ in asta, a condizione che naturalmente tutti i debiti vengano sanati e la procedura esecutiva estinta. Proprio qui interviene S.I.BA., rendendo possibile il perfezionamento di tutta l’operazione, anche in presenza di debiti superiori al valore immobiliare. A maggior tutela del cliente, si evidenzia che la S.I.BA. non acquista immobili, né direttamente né indirettamente, ma, lavorando per il cliente esecutato, cercherà di alienarlo al maggior valore possibile. Questo a differenza di altri soggetti che propongono di acquistare l’immobile pignorato, valutandolo il meno possibile, nettamente in contrasto con l’interesse del cliente. Inoltre i suoi servizi in pratica non costano nulla. S.I.BA. sottolinea che non viene richiesta nessun tipo di spesa di istruttoria o qualsiasi altro genere di costo. La massima garanzia al cliente è il fatto che il compenso sarà dovuto solo ed esclusivamente a risultato ottenuto. Possiamo quindi affermare che S.I.BA. offre davvero la migliore soluzione alle problematiche legate ai pignoramenti immobiliari, tutelando gli interessi degli esecutati ed assistendoli in ogni fase. L’asta si può evitare.
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LE PIANTE DI PRIMAVERA
QUALI SONO LE PIANTE PIÙ BELLE PER SALUTARE L’ARRIVO DELLA NUOVA STAGIONE. A CURA DI BASILE GIARDINI
A
ccantonati gli ultimi sprazzi di un inverno mite all’inizio e insolitamente persistente soprattutto nel mee di febbraio, i nostri balconi e i nostri terrazzi possono tornare a fiorire in un’esplosione di colori e profumi. Ma quali sono le più belle piante primaverili? La primula, sinonimo di primavera, comprende circa 500 specie di piante erbacee annuali e perenni, alte da pochi centimetri fino a diversi decimetri, con foglie basali a rosetta sessili o picciolate, fiori coloratissimi riuniti in ombrelle, capolini, grappoli o verticilli sovrapposti, circondati da brattee, sorretti da lunghi gambi. I frutti sono generalmente
a capsula. Le più conosciute specie spontanee della flora italiana vi sono la P. veris, nota col nome comune di primula odorosa o primavera odorosa, spontanea sulle prode dei fossati, sulle Alpi e gli Appennini, dove fiorisce alla fine dell’inverno, la P. vulgaris, comune nei boschi, nota col nome comune di primaverina, e occhio di civetta, la P. farinosa, dai fiori colorati di rosa o rossi, comune sulle Alpi. La viola comprende circa 400 specie erbacee annuali o perenni e anche suffruticose, alte da 10 a 20 cm, con fioriture primaverili, in svariati colori e corolle dalla forma
caratteristica, generalmente con l’inizio della stagione calda, le piante interrompono la fioritura, stimolando la produzione dei semi, concludendo il ciclo vegetativo. Tra le specie più note, coltivate come annuali, la Viola tricolor, pianta spontanea in Europa, nota col nome comune di Viola del pensiero, da cui sono derivati molti ibridi e varietà come la Viola hortensis pianta molto rustica, con fiori, in alcune cultivar, molto grandi e di vari colori. Tra le specie perenni coltivate come biennali la Viola cornuta dai fiori di color violaceo. Tra le perenni la Viola odorata conosciuta col nome volgare di Viola mammola, con fiori molto profumati, di colore viola-intenso, con varietà a fiore grande. Infine, la Viola calcarata a fiori gialli o lillà. L’azalea e il rododendro sono piante appartenenti al genere Rhododendron della famiglia delle Ericaceae, originario dell’Eurasia e America. Tale genere comprende oltre 500 specie, infiniti ibridi e varietà, di piante arbustive, che vanno da 40 a 90 cm, con chiome a portamento aperto, grandi, ruvide, ovali o lanceolate, di colore verde scuro lucido superiormente, più chiare o di colore rugginoso sulla pagina inferiore, con il margine glabro e revoluto, fiori semplici
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o doppi, dai colori vistosi, campanulati, con lobi a volte ondulati, riuniti in grandi mazzi, alle estremità dei rami. Fioriscono fra la primavera e l’estate, a seconda della specie. Il genere Rhododendron è stato suddiviso in 8 sottogeneri. Le azalee, che appartengono ai sottogeneri, Pentanthera, rappresentato dal Rhododendron nudiflorum, e Tsutsusi, rappresentato dal Rhododendron tsutsusi, presentano chiome compatte e raccolte e foglie lanceolate di colore verde lucente, con grappoli di fiori dai colori vivaci, di tutte le sfumature del bianco, rosa, rosso, magenta, con alcune varietà a fiori bicolori. Esse si distinguono dai rododendri principalmente per le dimensioni, decisamente più ridotte rispetto ai secondi, ma anche per le foglie, che nelle azalee non sono persistenti. La camelia è una pianta a portamento arbustivo o ad alberello, sempreverde, alta in natura fino a 15 m. Le foglie sono semplici alterne, di colore verde più o meno scuro secondo la specie, lucide e coriacee, a volte carnose e provviste di stipole e ghiandole aromatiche, con i margini lisci o crenati, di forma ellittica, lanceolata o oblungo-lanceolata. I fiori sono semplici o doppi di colore bianco, roseo o rosso, privi di profumo o molto profumati; sono piante adatte ai climi temperati e umidi. La specie più coltivata come pianta ornamentale nei giardini, parchi e viali, è la C. japonica L., originaria della Corea e del Giappone, arbusto che raggiunge alcuni metri di altezza, foglie persistenti, ovali di colore verde cupo lucente, fioritura primaverile con fiori dai colori nelle varie sfumature dal bianco al rosso cupo, corolle a forma di rosa aperta e appiattita. In Italia anche se non più coltivata come un tempo, è diffusa nella zona dei laghi prealpini (è famosa la collezione di Villa Taranto sul Lago Maggiore), in alto Piemonte, dove si trovano numerosi boschetti utilizzati per la raccolta dei
fiori in boccio, e nell’Italia centro-meridionale e insulare; in condizioni pedo-climatiche ottimali, possono raggiungere dimensioni di oltre 10 m di altezza. In particolare da segnalare in Lucchesia la zona intorno a Sant’Andrea di Compito, frazione del comune di Capannori i cui terreni naturalmente acidi hanno favorito la coltivazione fin dal XVIII secolo; oggi vi si svolge in primavera la manifestazione “Antiche camelie della Lucchesia”
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ALLA SCOPERTA DELLE SORGENTI DEL PO P CRONACA DI UNA ESCURSIONE “ALLEGRA MA NON TROPPO” DA GENOVA AL MONVISO di Leo Cotugno
artire quando la città è ancora immersa in un sonno profondo. Alla ricerca di sensazioni antiche e gelosamente custodite nei meandri di strade austere e paesaggi naturali selvaggi ed incontaminati. L’escursionista doc non può, qualsiasi sia la sua età anagrafica, non concedersi una divagazione nel cuore della Valle del Po, una delle più affascinanti del Piemonte anche ad inizio primavera. DA SAVONA A SALUZZO- Innanzi tutto la relativa vicinanza di Genova a questa meta tanto originale: poco meno di duecento chilometri. La presenza di rimembranze epiche che profumano di una sola essenza: quella del Re Monviso. Per anni – lo avevano dipinto quale “più alta vetta d’Italia e d’Europa per quasi cinque lustri – la sua piramide granitica rimase l’emblema delle popolazioni valligiane, dove la cultura italica si mescola alla severità delle minoranze vallesi. Tutto questo il viaggiatore lo conosce alla perfezione. Raggiunta, in auto oppure in treno, Savona, entrerà in un mondo nuovo. E’ consigliabile affrontare la dolce fatica a bordo di un convoglio, direzione Saluzzo, toccando il cuore della Valle Bormida: le severe Alpi verranno dopo. Le ammiriamo per la prima volta ad una svolta che ci accompagna a Mondovì: il pedaggio richiesto dalla natura per farsi accogliere, dimenticando “ipso facto” gli umori instabili e – pubblicità docet – il “logorio della vita moderna”. I declivi delle piane piemontesi non hanno ancora incontrato il corso capriccioso del Grande Fiume. Siamo a metà strada, la prima sosta sarà nel cuore del Marchesato. Monviso: La Grande Piramide.
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Qui sotto la sorgente del Po. Nella pagina accanto “la Grande Piramide” del Monviso.
Saluzzo ci accoglie con la discrezione dei suoi abitanti e la mole abbagliante della sua Cattedrale. Per uno come me, abituato a entrare in chiesa attratto dall’arte più che dal dialogo con Dio, sotto le arcate a tutto sesto ed al Crocifisso ligneo essere turbato è qualcosa di nuovo ed anche sconvolgente.I soggetti rappresentati sono macabri, fascinosi: trovo opportuno, per coerenza a ciò che attende più avanti, che questo viaggio conoscitivo al Monviso abbia inizio proprio da qui, tra figure di martiri e piloni votivi. IL MICHELANGELO DEL MONVISO – Saluzzo ed il suo Marchesato conobbero il periodo di massimo splendore nel Basso Medioevo (circa attorno al 1190), quando l’uomo di montagna, isolato ed in perenne lotta con i rigori dell’alta quota, viveva in una continua condizione di prova morale, assediato dalla paura e dalle tentazioni del demonio.
Questa eterna lotta tra il bene ed il male fu per la cittadina piemontese sinonimo del suo più fulgido periodo di gloria culturale ed artistica, ben prima che in Italia brillasse la stella del Rinascimento. Grazie ad Hans Clemer, il “Michelangelo del Monviso”, al servizio del marchese Ludovico II: andava in giro per le vallate a dare vita ad affreschi, polittici e pale d’altare. Il messaggio del Vangelo raggiunse anche gli occhi dei montanari d’Occitania, ancora oggi devoti testimoni di quella conversione d’anima. STA LASSU’ – Lasciamo la Cattedrale per svoltare in Corso Piemonte. La meravigliosa visione del Re di Pietra ci accoglie subito dopo. Più ci allontaniamo dai vicoli marcati dalla “calatà” (in occitano o “calatè” in dialetto piemontese) più ci accorgiamo che il traffico e la vita vanno progressivamente
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Due immagini dell’ingresso al Buco di Viso dalla parte italiana.
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diminuendo. Lo sguardo si allarga sui contrafforti delle Cozie: Punta Gastaldi, Punta Sella, Visolotto. A Revello, sede dell’ex Collegiata dell’Assunta, proprio sotto il panettone verde del Mombracco, che incombe con i suoi giganteschi boschi di castagno, il benvenuto dell’Alta Valle Po. La strada qui appare ancora ampia ma è come un grande imbuto che andrà a mano a mano restringendosi. La salita procede morbida puntando al paese di Sanfront (metri 660) e risale in fretta la valle, che dopo Paesana (metri 730) si fa più stretta ed angusta, dominata da incombenti alture ricoperte da bosco misto e ripidi dirupi rocciosi. “Sta lassù” è tutto quello che si riesce a dire; il nastro sottile d’asfalto è proprio sopra il filo d’acqua del Po, qui serpeggiante, ancora sottile, tra cascatelle e morbide anse. Altissimo, sopra le selve e le poche case, il Viso: qui lo chiamano così, da fratello maggiore. QUI NASCE IL PO- Il borgo in ardesia di Ostana (metri 1250) ormai accoglie poche decine di residenti. E’ qui che si percepisce lo spirito del luogo in tutta la sua drammatica evidenza. Qualche anno fa si è arrivati a cinque effettivi, ci ha rivelato il sindaco Giacomo Lombardo, fervente lavoratore per il recupero dell’identità occitana: il piccolo paese sarà risollevato con progetti di carattere culturale entro il 2015, a mille anni esatti dall’insediamento del primo nucleo abitato in valle. Ostana pulsa di rinascita: è allo studio un centro multimediale in collaborazione con l’Università di Torino che prevede un investimento di due milioni di euro e si chiamerà Mibrirart: letteralmente “ammirare un luogo incassato”. Una struttura
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Escursioni munita di miniosservatorio astronomico per le scuole. L’ultima parte del nostro viaggio è leggera. Raggiungiamo la stazione sciistica di Crissolo (1334 metri), dove si erge il famoso Santuario dedicato a San Chiaffredo, patrono di Saluzzo, e ci inerpichiamo per i tornanti che ci portano a Pian del Re. Tra pietraie e ghiaioni lo sguardo spazia su un orizzonte immenso. Sino al roccione che celebra la sorgente del più lungo fiume d’Italia: “qui nasce il Po”. Ogni passo è un traguardo. Ce l’abbiamo fatta.
Qui sotto e a sinistra Pian del Re.
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Da quanti anni esiste Domoservice? “Circa quattro anni”, risponde Danilo Iacopozzi, Direttore Tecnico della ditta. Siete sempre stati in questa sede? “No, ci siamo trasferiti in Via Giulia De Vincenzi 27 abbastanza di recente. Qui a Molassana siamo relativamente vicini centro della città e a due passi dall’imbocco dell’autostrada; questa ubicazione ottimale ci consente di
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soddisfare completamente le esigenze della nostra clientela, anche la più sofisticata. Al piano terra abbiamo ampi spazi di manovra per movimentare attrezzature e mezzi di trasporto e gli uffici ai piani superiori sono stati ristrutturati con materiali di pregio, in modo da essere funzionali ed eleganti”. E per quel che riguarda le attrezzature? “La Domoservice è dotata di strumenti di lavoro di ultima generazione”, risponde Andrea Firrisi, amministratore della società. “Ad esempio attraverso l’utilizzo di apparecchiature a raggi infrarossi effettuiamo delle termo ricerche per individuare fuoriuscite da tubazioni; inoltre per mezzo del gas-tracer e di un correlatore siamo in grado di individuare con precisione di eventuali perdite”. Questo è davvero utile soprattutto per chi abita a Genova, dove spesso le coperture delle case sono costituite da terrazzi piani e le infiltrazioni d’acqua sono numerose e difficili da individuare. Fino ad ora si doveva procedere per tentativi e spesso era necessario rompere intere pavimentazioni, con danni e spese rilevanti, senza contare che spesso il materiale con cui erano stati realizzate le sommità dei fabbricati non era più disponibili. Questi problemi sono noti a quasi tutti i proprietari di attici o ultimi piani… “Effettivamente molte persone, ancora oggi” dice ancora Danilo Iacopozzi “ignorano l’esistenza di queste strumentazioni sofisticate, che consentono, con poca spesa, di fare una diagnosi precisa prima dell’intervento. È per questo motivo che abbiamo scelto pubblicizzare la nostra ditta, a cui chiunque potrà rivolgersi ottenendo un preventivo gratuito, un lavoro accurato a prezzi contenuti sia per quel che riguarda la ricerca del danno che l’esecuzione dei lavori di muratura”.
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Ingredienti biologici, tradizione artigiana, bontà, freschezza e genuinità: queste le caratteristiche di Neve Panis, il primo forno biologico genovese. Situato in via della Maddalena, Neve Panis è una realtà artigiana che sforna prodotti che rispettano il benessere delle persone e l’equilibrio dell’amdell’am biente, offrendo un’alternativa alla panificazione industriale e ai sapori omologati. Gli ingredienti usati per la preparazione di pane, focaccia e dolci sono di provenienza biologica, tracciati e garantiti direttamente dal produttore. Tutta la produzione è esente da additivi chimici e miglioratori. La cottura avviene in forno a pellet, legno naturanatura le a basso impatto ambientale: un forno all’avanall’avan guardia che unisce l’attenzione per l’ambiente a una cottura tradizionale come avveniva un tempo nei forni a legna. Tutto viene preparato seguendo ricette e metodi tradizionali: lievitazione naturale con pasta aciaci da, tempi di preparazione e modalità di cottura adeguati, atti ad ottenere alimenti di qualità, eleele vate proprietà nutrizionali e gusto. Oltre ai clasclas sici prodotti da forno, da Neve Panis si trovano specialità particolari: biscotti proteici e ipocaloipocalo rici (particolarmente indicati in caso di diete didi magranti e nell’alimentazione infantile) ricchi di fibre, dolci e brioches senza uova (quindi senza colesterolo) e molto altro. Su ordinazione, vengovengo no soddisfatte le più svariate richieste del cliente: pane iposodico, pizza vegan, torte per feste, salasala tini, croissant salati. I dolci, buonissimi, profumati e naturalmente sani, sono preparati con ingredienti selezionati come, ad esempio, il cacao dell’Ecuador, le prelibatissiprelibatissi me marmellate di frutta non trattata, le mandorle di Avola, le nocciole Piemonte Igp o le uova propro venienti da allevamenti certificati del basso PiePie monte. Il risultato sono dolci ottimi per la colaziocolazio ne, la merenda o uno snack. La scelta è ampia: ventagli, anicini, baci di dama, canestrelli, pandolci... e varia a seconda della stagione. L’uso di differenti tipologie di cereali, ad esclusione del frumento, quali farro, segale, avena ed altri, permette di variare la propria alimentazione e di beneficiare delle molteplici proprietà che ognuno di questi contiene. Le farine, di provenienza biologica e macinate a pietra, assicurano un prodotto sano, leggero, utile per integrare il frumento o sostituirlo in caso di intolleranze alimentari e allergie. Tutta la produzione esclude l’uso di
grassi animali e derivati. L’alimentazione biolobiolo gica è un’alimentazione sana: i prodotti biologici infatti sono quelli che non vengono mai a contatto con pesticidi e additivi chimici nocivi all’uomo e all’ambiente e, grazie al metodo totalmente natunatu rale con il quale vengono coltivati e trasformati, mantengono inalterato l’equilibrio tra sali mineraminera li, vitamine e proteine che sono gli elementi nunu trizionali essenziali. Importante il fatto che i cibi biologici non possono contenere organismi genegene ticamente modificati. È bello scoprire che possiamo concederci golose bontà alimentando il nostro benessere. Neve Panis - Il forno biologico Via della Maddalena 50 b r. Genova centro storico Tel. 010 2530309 www.nevepanis.com info@nevepanis.com
La Forneria e l’ Osteria della Piazza
In Piazza Colombo, nel cuore di Genova, il panipani ficio “La Forneria” accoglie i clienti offrendo una innumerevole svariata in qualità di pane cotto nel forno a legna d’olivo. Seguendo antiche e tramandate tradizioni di riri cette genuine e consolidate si soddisfano gusti e i palati di una clientela che può trovare ogni tipo di pane, alla zucca al rosmarino al forno, salate, grissini ai profumi di sapori liguri, focacce, torte dolci e pasticcini
Per accontentare chi da molti anni e più generazioni è cresciuto con tali prodotti genuini, ed artigiani, i titolari hanno deciso di offrire alla affiliata clientela, la possibilità di sedersi a tavola aprendo il ristorante “Osteria della Piazza” a fianco del rinomato panificio. Oltre a piatti liguri di carne e pesce, si possono gustare ricette di altre Regioni italiane, in un ambiente caratteristico colmo di calore familiare. La stessa calda accoglienza della “Forneria” investe chiunque decide di sedersi a tavola nella Osteria della Piazza” e richiama ad una dolce sosta giovani coppie, gruppi di amici, famiglie e chiunque decida di varcare la soglia. Nel Ristorante, come nel Forno gli ingredienti sono naturali ed anche la consueta “ Pizza” , è prepre parata con l’antica ricetta di un famoso napoletanapoleta no, Pasquale Gigliano , detto “ O Baffone” intorno alla fine del 1800. La focaccia al formaggio, tipicamente Ligure, vievie ne cotta come la pizza in forno a legna d’olivo. Nel menu vi è l’imbarazzo della scelta: primi tipitipicamente locali quali i” testaroli al pesto”, ai frutti di mare, i “ ravioli ai carciofi e taleggio”, si meme scolano con una carrellata di offerta tutta Made in Italy, “ linguine con cozze, pomodoro fresco e basilco”, e” linguine alla sicula”. Tra esempi di antipasti e secondi: profumate acac ciughe impanate e fritte, gratin di stoccafisso e papa tate, fritto di calamari gamberi e zucchine, insalata di seppie, fagiolini e pesto, orata al forno timone e rosmarino o alla ligure. Dolci e dessert ed ampia scelta di vini incontrano ogni tipo di esigenza. Insomma, tutta la Piazza Colombo emana un acac cattivante profumo che cattura ogni passante ed invita a provare la qualità ed il calore di persone ingegnose che innovano ed investono nel lavoro continuo per soddisfare ciascuno di noi. “La Forneria” Piazza Colombo,22-28 R. 16121 Genova Tel 010 580549 “Osteria della Piazza” Piazza Colombo 30-32 R. 16121 Genova Tel 010 5760308
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LA PROPOSTA DI CAPURRO RICEVIMENTI PRESENTATA A PALAZZO DELLA MERIDIANA, TRA PIATTI DELLA TRADIZIONE, ECCELLENZE DEL TERRITORIO E UN OCCHIO RIVOLTO ANCHE AI PIÙ GIOVANI
o scorso 22 novembre, nell’inusuale location delle cucine di Palazzo della Meridiana, a Genova, Paolo Capurro e Pippo Traverso hanno presentato alla stampa genovese la linea EMOTIVATEVI!, che sposa l’emozione dei sapori e delle eccellenze del nostro Territorio con l’utilizzo di alimenti di stagione, di coltivazioni o allevamenti biologici, a km zero. Una linea pensata per tutti, naturalmente, e che dovrebbe trovare ampio gradimento per le iniziative business di Aziende ed Enti tesi, anche per i propri invitati,a stimolare consumi consapevoli e più attenti alle tipicità. Sono intervenuti all’incontro anche Stefano Angelini, biologo responsabile dei servizi educativi di CostaEdutainment, con cui Capurro Ricevimenti ha collaborato per la realizzazione deiMenu Blu della linea EMOTIVATEVI!, il quale ha parlato delle logiche dell’attività dell’Acquario di Genova proprio in questo campo, ed ha presentato alcuni pesci di specie meno sfruttate, meno usuali ma estremamente saporite e di grandissima dignità. Ha poi preso la parola Renata Gentile, di Lupus in Fabula, progetti ludico didattici, con cui Capurro ha elaborato un programma di laboratori per le scuole , con momenti in aula e all’esterno, un percorso di apprendimento del gusto e della sana alimentazione che coinvolge ragazzi, genitori ed operatori, e che nasce dalla recente discesa in campo della scuola per correggere errate abitudini alimentari diffuse tra bambini e ragazzi. In un’atmosfera molto amichevole e informale, i cuochi Capurro Ricevimenti hanno proposto ai presenti un buffet lunch, in piedi, della linea Menu Blu EMOTIVATEVI! , mentre lo chef Federico Bernardi ha effettuato, in diretta, la preparazione del Cappon Magro, un piatto della tradizione ligure con ingredienti di terra (Green) e di mare (Blue), ed ha presentato la corretta sfilettatura di alcuni pesci di stagione.
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Nei “Menù Blu EMOTIVATEVI!”, compaiono piatti della tradizione regionale ligure basati su ingredienti di origine biologica e nell’ambito delle eccellenza del Territorio, e, per quel che riguarda pesci, molluschi o crostacei, vengono proposte specie meno sfruttate, solo di stagione, che rispettino una taglia minima, dei mari vicini. Pienamente in linea con le logiche di consumo ittico consapevole promosse da Acquario di Genova, ed anche con le nuove logiche di consumo di tantissime persone. Nei “Menù Blu EMOTIVATEVI!” Capurro Ricevimenti propone ad esempio piatti con totani , polpo e sarde, ma anche a base di sugarelli, leccia stellata, ricciola, palamita, pesce spatola, potassolo, pesce sciabola... specie meno usuali ma estremamente saporite e di grandissima dignità. E proprio su questo tema si è realizzata recentemente a Genova una cena ambientata davanti alla suggestiva vasca degli squali dell’Acquario di Genova, in cui il partner Capurro Ricevimenti ha offerto uno dei “Menù Blu” che saranno proposti a breve alle Aziende che sceglieranno tali strutture come location per eventi , ed ai visitatori in occasione degli speciali appuntamenti con le cene romantiche a lume di candela. Sulla base della stessa logica, ai “Menù Blu EMOTIVATEVI!” si affiancano i “Menù Green EMOTIVATEVI!”, con ricette che Capurro Ricevimenti ha rivisitato tra quelle della grande tradizione Ligure, e che prevedono l’utilizzo di ingredienti stagionali di agricoltura o allevamenti biologici, e a Km zero. Il programma gode del Patrocinio di “Valle del Biologico”, consorzio di produttori della Val di Vara, distretto alimentare che provvederà a molteplici forniture del progetto.
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Liguria magazine
UNA SERA A CENA IN LIGURIA TRA GRANDI PIATTI DI PESCE, IL RISTORANTE L’APPRODO DI ARENZANO DELLO CHEF GIOVANNI SCALA di Giulio Conchin
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ella splendida cornice del porto di Arenzano, dove già filtrano profumi di salsedine, dove già si ode lo sciabordare del nostro calmo mare e lo scampanellio degli alberi maestro delle barche in ormeggio c’è un ristorante dove si può trovare un ambiente accogliente, gustare piatti di cucina ligure, specialità di pesce e degustare ottimi vini della cantina. Si tratta del ristorante “L’Approdo” ad Arenzano in via Porto 16, nato dalla trentennale esperienza di Giovanni Scala: uno chef stimatissimo che crea con originalità ed equilibrio guardando al piacere del cliente e al dovere della ricerca, sempre con scelte basate su prodotti e materie prime di altissima qualità. Una professionalità ponderata e matura, con la capacità di formare una squadra che lo segue: un solido gruppo familiare con cui ha creato una sinergia ottimale sposando l’arte di una ottima cucina e curando tutti quei dettagli dell’ospitalità genuina ed elegante, assicurandosi il piacere dell’ospite passando dalla sua postazione della cucina alla sala. Giovanni Scala nasce a Genova il 20 Gennaio 1955, si diploma presso la scuola alberghiera di Genova “Marco Polo“ e la sua passion per la cucina diventa predominante; per arricchire la sua esperienza si imbarca giovanissimo su alcune navi da
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crociera, sino a divenire capo chef della Costa Crociere dove consolida una ottima esperienza in cucina internazionale e crea una cucina moderna ma sempre con attenzione, alta professionalità e maturità. Una volta presa la decisione di tornare a vivere in terra ferma, apre alcuni locali enogastronomici riscuotendo anche qui ottimi successi, come “La Cambusa” a Chivasso (TO), punto d’incontro per sportivi e amanti della buona cucina. Nel frattempo lo chef si aggiudica una minilaurea di alimentazione a Torino presso il castello di Rivoli. Il ristorante L’Approdo è curato in ogni suo minimo dettaglio, dalla location all’accoglienza fino alla cucina. Sono stato spesso a cena da Giovanni e tutte le volte sono rimasto ottimamente soddisfatto, ma la cosa che mi faceva più piacere era il sentir fare i complimenti di tutti i convitati. Di recente mi sono recato all’Approdo con un collega; una volta accomodati a tavola ci è stato offerto come di prassi un delizioso bianco vivace nel tipico flute, per poi proseguire con una meravigliosa focaccia di Recco e poi un antipasto di pesce servito in un gigantesco piatto di portata con una grande quantità di squisite cruditè come gamberi rossi di S. Margherita Ligure, ostriche della baia di S. Keber (le rinomate ostriche dello Zar), rossetti, scampi e infine delle tartine con un eccellente caviale grigio iraniano posato sopra una lingua di burro, il tutto accompagnato da un Fiano di Avellino. Giusto il tempo di fare due chiacchiere – il tempo tra una portata e l’altra è assolutamente importante – ed eccomi a ritornare ai complimenti dell’equipe di sala. Il primo è un risottino ai frutti di mare a dir poco fantastico, quasi un piatto di squisito pesce servito su di un letto di riso. Per concludere uno squisito dessert realizzato sempre e naturalmente dallo chef: una mousse alla nocciola e tarte-tatine alle mele paradisiaca, il tutto sposato con un Passito di Caluso inebriante. Per terminare una cena da re, un eccellente Rum di Zacapa invecchiato 23 anni , dal classico colore giallo oro all’ambrato scuro con un profumo floreale di frutta matura, un sapore dolce, armonico, pieno e vellutato; non per niente è definito il rum “invecchiato sopra le nuvole“ o anche “il cognac dei rum“. Altro non vorrei aggiungere: desidero lasciarvi un po’ di sorprese preparate dallo chef Giovanni Scala per una bella serata gastronomica in uno scenario riservato soprattutto a chi ama una cucina tipicamente ligure.
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ANDORA TRA GRANDI VINI ED ECCELLENZE DEL GUSTO NELLA SUGGESTIVA CORNICE DI MOLINO NOVO SI SONO TENUTI LA FIERA DEL VINO E DEGUSTANDORA
Il Sindaco di Andora Franco Floris con i quattro produttori premiati
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ndora non è solo l’incontrastata capitale regionale del basilico. Da ben sedici anni infatti promuove nel mese di dicembre una Fiera del Vino con produttori liguri, piemontesi ed emiliani. Ma non solo: anche oli extravergini di oliva, fagioli bianchi di Conio, zafferano, formaggio di pecore brigasca e caprini, miele, cardo gobbo di Nizza, salumi artigianali, birre locali, torroni, pandolce genovese, dolci di castagne e di nocciola ed altre golosità arricchiscono l’evento. Quest’anno la novità è stata l’esclusiva location. Le sorelle Gemma e Cristina Bolla (titolari dell’azienda Oro e Argento Group) hanno estratto dal cilindro una sede ideale: il suggestivo quartiere di Molino Nuovo, un presepe già di per sé, abbellito ulteriormente dagli addobbi e dalle tensostrutture della manifestazione. Distante pochi minuti di auto da Andora e raggiungibile dal centro città con un trenino messo gratuitamente dall’organizzazione, ha richiamato nei due giorni alcune migliaia di visitatori. Un successo annunciato, dove la qualità dei prodotti è stata ampiamente apprezzata sia dai gourmet che da un pubblico
di Virgilio Pronzati
attento ed esigente. Non sono mancati i convegni. Il primo: Il vino. Istruzioni per l’uso. Dalla vigna alla tavola, curato da chi ha scritto. L’altro: Pani dolci di Natale, a curato dell’Associazione Panificatori, Pasticceri ed Affini di Savona e Provincia di Savona. Nello stesso ambito si è tenuto il premio Degustandora, giunto alla sua 13ma edizione. Un riconoscimento dedicato ai migliori vini presenti, selezionati da esperti sommelier della FISAR, delle Delegazioni di Savona e Imperia. Anche quest’anno il lavoro della giuria non è stato agevole in quanto la qualità dei campioni anonimi di vino è stata di buon livello. Dopo una lunga e severa valutazione fatta su oltre trenta vini, la giuria ha segnalato i migliori di vini delle quattro categorie previste. A premiarli, il sindaco di Andora Franco Floris. Sezione miglior vino in assoluto: Dolcetto d’Alba Doc Superiore 2010 dell’Azienda Agricola La Torricella di Monforte d’Alba (CN). Sezione vini bianchi: Riviera Ligure di Ponente Doc Pigato 2011 della Cooperativa Viticoltori Ingauni di Ortovero (SV). Sezione vini rossi: Barbera d’Asti Docg 2011 dell’Azienda Agricola Calorio Filippino di Montà d’Alba (CN). Sezione vini dolci: Passito “Gianni” dell’Azienda Agricola Giovanni Ardissone di Chiusanico(IM). Ardissone lo scorso anno, aveva vinto il premio come primo assoluto. La giuria presieduta da Ivano Brunengo e Anselmo Nardo era composta da Eugenio Caviglia, Franco Demoro, Giovanni Ferlaino, Gian Guido Maiolino, Carla Moretto, Giovanni Pastor e Marco Rimoldi.
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MANGO E NIZZA MONFERRATO HANNO OSPITATO CONVEGNI E MANIFESTAZIONI DEDICATI AI VINI DELLE FESTE PER ECCELLENZA
E A DICEMBRE TRIONFANO
ASTI E MOSCATO D’ASTI Le suggestive colline del Moscato.
di Virgilio Pronzati foto di Pietro Bellantone e Consorzio di Tutela Asti e Moscato d’Asti
I
l 17 dicembre del 2012 il Consorzio per la Tutela dell’Asti e del Moscato d’Asti ha compiuto ottant’anni. Una data storica per il Consorzio, poiché ben pochi avrebbero immaginato un simile percorso: graduale ma di grandi soddisfazioni per l’affermazione dei prodotti tutelati, prima in ambito nazionale e poi nel mondo. Una valorizzazione del
comparto produttivo e vitivinicolo di un’ampia zona di quasi 10.000 ettari, con ricaduta economica non solo sui cinquantatré comuni interessati ma sull’intera regione. Sono oltre cento i milioni di bottiglie annuali tra Asti e Moscato d’asti, che rappresentano un grande valore aggiunto all’immagine del vino italiano nel mondo ed economico per l’intero settore. Nel dicembre scorso si è tenuto un summit sull’Asti e Moscato d’Asti nell’ex Foro Boario di Nizza Monferrato, la grande struttura situata al centro della città. Organizzato dal
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Enogastronomia Consorzio per la Tutela dell’Asti, il convegno, denominato “Un dolce brindisi al futuro”, ha richiamato oltre trecento persone tra giornalisti, produttori, rappresentanti di enti e associazioni di settore, ristoratori ed enotecari. A parlare tutti i personaggi che contano nell’intera filiera, imbeccati dal giornalista Sergio Miravalle. Interventi che hanno illustrato la realtà attuale del contesto viticolo, produttivo e commerciale dei due vini, in particolare sull’aspetto dell’esportazione, indispensabile volano per l’intera economia settoriale e non solo: basti pensare che tale comparto vale il 40% dell’intera viticoltura piemontese. Di particolare interesse tra gli interventi quelli di Giorgio Bosticco, direttore generale del Consorzio e presidente della commissione qualità del Moscato, e di Gianni Marzagalli, presidente del Consorzio di Tutela dell’Asti. Con slide e tabelle Bosticco ha posto sotto la lente d’ingrandimento tutti i dati dell’Asti (e del Moscato d’Asti), evidenziando quelli positivi e ancor più la necessità di rafforzare il mercato nazionale (solo il 15%) e quello di altri stati esteri, oggi in sensibile flessione (USA in testa), ed aprirne di nuovi in nazioni in via di sviluppo come Cina ed India. Marzagalli ha ribadito l’importanza della coesione di tutto il comparto per affrontare e superare il momento di crisi ed adottare strategie e progetti per affermare saldamente il marchio nei Paesi esteri. Con altri temi e quesiti, da segnalare gli interventi di Giovanni Bosco, presidente del CTM (Coordinamento Terre del Moscato) che sottolinea la necessità di premiare economicamente i vignaioli con vigneti con pendenze estreme del 50%, in quanto oltre alla qualità delle uve è salvaguardato il territorio medesimo, seguito da quelli di Giovanni Satragno di Assomoscato (viticoltori), Claudio Sacchetto Assessore regionale all’Agricoltura, Valter Bera e Andrea Ghignone, rispettivamente presidenti delle enoteche regionali di Mango e Canelli, Lorenzo Barbero, dirigente del Gruppo Campari e capo delegazione della commissione delle aziende spumantiere, Roberto Cabiale della Coldiretti, Lorenzo Giordano della CIA, Roberto Abellonio di Confagricoltura e Giovanni Borriero dei Comuni del Moscato. Durante l’incontro è stato proposto un simpatico ma indicativo raffronto tra i vignaioli dei sorì della zona del Moscato Docg e i ciclisti scalatori. Le vigne più assolate, appunto i sorì, hanno pendenze del 50% ed oltre, ambiente di lavoro che vignaioli eroici frequentano da generazioni, mentre i leggendari ciclisti vincitori di Giro d’Italia e Tour de France hanno scalato percorsi con pendenze tra il 20 e il 25%. Da qui l’accordo interprofessionale che prevede da quest’anno un premio di circa 1.000 euro ad ettaro per tali sorì. Gli ettari interessati sono 323, così suddivisi: 61% in provincia di Cuneo, 35% in provincia di Asti e 4 in provincia di Alessandria. Una cifra rilevante ma necessaria a mantenere questo storico patrimonio viticolo creato da generazioni di vignaioli eroici. Asti e Moscato d’Asti Docg sono i vini dolci aromatici e di bassa gradazione più venduti sul nostro pianeta, nati entrambi dallo stesso vitigno ma con di-
L’ENOTECA DI MANGO L’Enoteca Regionale “Colline del Moscato” ha sede nel Comune di Mango d’Alba, in provincia di Cuneo, all’interno del Castello situato al centro del borgo di origini medioevali. La costruzione è una struttura quadrangolare massiccia in stile barocco e dalle linee sobrie, costruita sui resti di un’antica fortezza del XII secolo per scopi difensivi; il maniero fu per diverso tempo di proprietà dei Marchesi di Busca ed è stato recentemente restaurato e riportato all’antico splendore. La storia dell’Enoteca “Colline del Moscato” presieduta attualmente da Valter Bera inizia più di diciassette anni fa e oggi conta circa 70 produttori aderenti con i loro vini; l’ente rappresenta i cinquantatré Comuni del territorio del Moscato d’Asti dislocati sulle tre province di Cuneo, Asti e Alessandria ed è quindi un importante punto di riferimento non solo per il prodotto vino, i prodotti tipici dell’enogastronomia manghese e langarola, ma anche e soprattutto per la cultura di questa terra. L’Enoteca è teatro di importanti manifestazioni come Anteprima Moscato d’Asti e Asti, e di molte altre a carattere folcloristico, turistico e culturale. Le “Colline del Moscato” di questa enoteca sono una preziosa sorpresa per il turista che le avvicina e ne scopre la rara bellezza paesaggistica descritta anche nelle pagine di due grandi scrittori come Cesare Pavese e Beppe Fenoglio.
versi metodi di produzione. L’inizio a Canelli, dove nacque il primo spumante italiano. L’artefice fu Carlo Gancia nel lontano 1865; lo denominò Moscato Champagne per l’omonimo metodo della rifermentazione in bottiglia. Questa prima sperimentazione dette le basi per produrre successivamente l’Asti Spumante, e già agli inizi del Novecento
Nell’ex Foro Boario di Nizza Monferrato i giornalisti al lavoro.
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VINI & PRODUTTORI L’elenco riporta nell’ordine i vini degustati. Asti Docg 2012 1) Arione di Canelli; 2) Az. Agr. Bera - Neviglie; 3) Capetta I.VI.P. spa - Santo Stefano Belbo; 4) San Maurizio della Cantina Vallebeldo spa - Santo Stefano Belbo; 5) La Selvatica Caudrina di Romano Dogliotti - Castiglione Tinella: 6) Platinum della Fratelli Gancia - Canelli. Moscato d’Asti Docg 2012 7) Adriano Marco e Vittorio - Alba; 8) Gallina degli Antichi Poderi dei Gallina Neive; 9) Arione di Arione spa - Canelli; 10) Az. Agr. Bera - Neviglie: 11) Sorì dei Fiori di Bocchino Giuseppe - Canelli; 12) Ribota di Boeri Alfonso - Costigliole d’Asti; 13) Borgo Moncalvo; !4) Valdiserre di Borgo Isolabella - Loazzolo; 15) Az. Agr. Brusalino - Mango; 16) Cà del Principe - Santo Stefano Belbo; 17) La Baudria di Canaparo Roberto - Santo Stefano Belbo; 18) Cesare Pavese delle Cantina Vallebelbo sca - Santo Stefano Belbo; 19) Canelli della Cascina Barisel - Canelli; 20) Cascina Castlet - Costigliole d’asti; 21) Cascina Galletto - Santo Stefano Belbo; 22) Bricco Riella della Cascina Pian d’Or - Mango; 23) Pian Pezzea della Cascina Valon - Neviglie; 24) La Caudrina di Romano Dogliotti - Castiglione Tinella; 25) Cerrino Sergio - Trezzo Tinella; 26) Armognò di Colle Peitino - Castagnole Lanze; 27) Corte dei Balbi Soprani - Santo Stefano Belbo; 28) Degiorgis Sergio - Mango; 29) Duchessa Lia ss - Santo Stefano Belbo; 30) Black Edition di Enrico Serafino - Canale; 31) Enrico Serafino - Canale; 32) Teresina di Ferrero - Santo Stefano Belbo; 33) Sorì Gala di Ferrero Federico - Mango; 34) Piasa San Maurizio di Forteto della Luja - Loazzolo; 35) Ghiga Giovanni - Castiglione Tinella; 36) Piccole Gioie di Ghione Anna - Canelli; 37) Grasso Fratelli - Treiso; 38) Cà du Sindic di Grimaldi Sergio - Santo Stefano Belbo; 39) Santa Teresa di Guasti Clemente - Nizza Monferrato; 40) I Vignaioli di Santo Stefano - Santo Stefano Belbo; 41) La Giribaldina - Calamandrana; 42) Nivole di Michele Chiarlo - Calamandrana; 43) Mustela - Trezzo Tinella; 44) Cascina Carretta di Negro Maria Luigina - Castagnole Lanze; 45) Roca Neira di Poderi Roccanera - Cossano Belbo; 46) Prunotto srl - Alba; 47) Santa Vittoria di Rabino Fratelli - Santa Vittoria d’Alba; 47 bis) Rapalino - Neviglie; 48) San Martino - Castagnole Tinella; 49) Solatio di Sarotto Roberto - Neviglie; 50) Volo di Farfalle di Scagliola - Calosso; 51) Tenuta del Fant di Tenuta il Falchetto - Santo Stefano Belbo; 52) Vignot di Terrabianca - Mango; 53) Grandius di Terrenostre - Cossano Belbo; 54) Tintero - Mango; 55) Tranchero - Mango; 56) Florentino di Vada - Coazzolo. Piemonte Moscato Doc 20012 57) Gatti Piero - Santo Stefano Belbo. Moscato d’Asti Docg 2012 58) Cà ed Balos di Cà ed Balos - Castagnole Tinella; 59) Cà ed Ceruli - Cassinasco; 60) Flori di Cascina Tinnirello - Mango; 61) Moncucco di Fontanafredda - Serralunga d’Alba; 62) La Tribuleira - Santo Stefano Belbo. Piemonte Doc Moscato Passito 63) Aviè di Cascina Castlet - Costigliole d’Asti; 65) Tardì di Cerrino Sergio Trezzo Tinella. Passito da uve stramature 64) Spurì di Cascina Galletto - Santo Stefano Belbo.
Nella foto in alto la degustazione dell’enologo Lorenzo Tablino.
l’astigiano Francesco Martinotti utilizzò per primo l’autoclave per produrre spumanti, mentre la prima azienda che utilizzò le autoclavi per produrre l’Asti fu la Cora di Costigliole d’Asti, seguita dalla Martini di Pessione e dalla Mirafiore-Fontanafredda di Serralunga d’Alba. Non si possono immaginare le festività pasquali e di fine anno senza questi due vini: poliedrici, versatili, invitanti e leggeri, trovano ideale abbinamento con una vasta gamma di dolci. Non solo: sono ideali per realizzare creme per farcire torte, pasticcini e panettoni, per caratterizzare
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macedonie di frutta, gelati, semifreddi e cocktail e, non ultimo, godibili in ogni occasione e nelle calde giornate d’estate. Unica manifestazione annuale con tasting professionale riservata ai giornalisti che valorizzi e promuova a livello istituzionale l’Asti e il Moscato d’Asti, Anteprima Moscato d’Asti e Asti Docg, nella sua quarta edizione svoltasi dal 6 al 16 dicembre scorso, ha riservato due novità. La prima: un consistente aumento di vini e produttori partecipanti, provenienti da oltre venti comuni, cioè poco meno della metà dei 53 comuni dell’intera zona di produzione. La seconda: una nuova location per la cena di benvenuto, l’ex Foro Boario di Nizza Monferrato. A precedere la cena, la gradita degustazione di Asti fatta da Lorenzo Tablino, le golose e irrinunciabili sfiziosità, coppe di Asti e Moscato d’asti e diversi cocktail a base dei due vini. Ecco il menu che ha deliziato circa duecento invitati: Carne cruda battuta al coltello, Vitello tonnato, Plin di cappone con sugo e castagne, Guancia di vitello cotta a bassa temperatura alla Barbera, verdurine e polenta, Semifreddo al torrone e cioccolato, salsa e cachi, Panettone della casa e caffè. Il tutto perfettamente abbinato, rispettivamente, all’Alta Langa Docg, Barbera d’Asti Docg, Moscato d’Asti e Asti Docg. Nell’ampia suggestiva sala dell’Enoteca del Castello di Mango adibita alle degustazioni, una ventina di giornalisti specializzati italiani ed esteri hanno degustato e valutato 65 vini, di cui sei Asti Docg 2012, cinquantacinque Moscato d’Asti Docg 2012, due Piemonte Doc Moscato Passito, rispettivamente delle annate 2008 e 2005, un Passito da uve stramature e un Piemonte Moscato. Dalle mie personali valutazioni, i sei Asti anche se ovviamente giovani (erano imbottigliati da poco) sono di buon livello. Vario il quadro dei 55 Moscato d’ Asti: 12 ottimi, 18 molto buoni, 14 medio-buoni, 6 discreti, 3 sufficienti e 2 tra il comune ed il mediocre. Buono l’unico Piemonte Moscato. Lo stesso per i due Piemonte
Enogastronomia Moscato Passito e, medio-buono, il Passito da uve stramature. Facendo una sintesi dei due vini Docg dell’annata 2012 all’olfatto hanno espresso per la maggior parte – secondo i lieviti usati – profumi più o meno intensi, fini, varietali con note floreale-fruttate, e in certi casi, con note vegetale-floreali. In bocca, quasi globalmente, hanno espresso piacevole dolcezza, freschezza e sapidità, una leggera ma equilibrata struttura e buona persistenza aromatica. Tra gli aromi percepiti, quelli floreali e vegetale-aromatici di fiori di sambuco, acacia, mughetto, zagara, salvia e muschio. Netti quelli fruttati con note d’ananas, banana, pesca, miele e agrumi. Terminata la degustazione appuntamento per tutti alla Trattoria del Campo, dove è stato servito un ottimo pranzo a base di specialità langarole, abbinate ai migliori vini albesi. Negli altri otto giorni, sempre all’Enoteca di Mango, dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 17, centinaia di visitatori hanno avuto l’occasione di degustare al banco d’assaggio tutti i vini già provati in precedenza dalla stampa. Mentre domenica 9 con inizio alle ore 15, l’Enoteca ha aperto le porte per un dolce evento: il Matrimonio col Moscato. Folti gruppi di appassionati (grandi e piccini) gourmet e golosi sono stati deliziati da autentiche galuperie offerte in degustazione dalle Pro Loco e gli Istituti di Arte Bianca, sposate all’Asti e al Moscato d’Asti Docg. Come sempre l’ospitalità è stata eccellente. Per chi ha scritto e per altri quattro colleghi, un’ospitalità con i fiocchi: l’esclusivo B&B Casaforte Alba di Mango, sito a due passi dal Castello Marchesi Busca e incastonato in un edificio risalente al XVII secolo completamente restaurato, dove spiccano due torri medievali. L’interno è un’armonica fusione tra l’antico e il moderno. Pareti in pietra, antichi pavimenti in cotto, testiere in legno, mobili in stile e tutti i confort. In più, camere con connessione wi-fi gratuita, un cortile, una biblioteca e una terrazza solarium. Nella libreria un computer con connessione internet via cavo gratuita., al mattino una ricca colazione a buffet con prodotti tipici locali. Per gli enoappassionati, degustazioni gratuite di vini. Il tutto a soli 15 minuti di auto da Alba e 10 km dall’uscita più vicina dell’autostrada, Castagnole Lanze.
L’intervento del presidente del Consorzio di Tutela dell’Asti e Moscato d’Asti Gianni Marzagalli.
INDIRIZZI E PATROCINI Patrocinio e contributi Consorzio Tutela Asti e Moscato d’Asti, e dalle Enoteca Regionali Colline del Moscato di Mango, di Cannelli e dell’Astesana. Indirizzi utili Associazione Enoteca Regionale Colline del Moscato - Piazza XX Settembre 19, Castello dei Busca - 12056 Mango (CN) - Tel 0141/89291 - Fax 0141/839914 - enotecamango@tiscali.it Trattoria del Campo - Località Canove 41 - 12056 Mango (CN) - Tel & Fax 0141/89330.
L’intervento di Valter Bera presidente dell’Enoteca Regionale di Mango.
B&B Casaforte Alba Via Molinari 31 - 12056 Mango (CN) - Tel 0141/89384
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HAPPY STOCKFISH HOUR AL
CAFFE’ DEGLI SPECCHI
A
di Virgilio Pronzati
distanza di pochi anni dalla scoperta dell’America, in Europa e in particolare negli Stati affacciati sul Mare Mediterraneo inizia una lenta ma costante diffusione di materie alimentari ittiche provenienti dai Paesi dell’Europa del nord. Oltre il pescato consumato fresco, dalla Norvegia sono arrivati il baccalà e lo stoccafisso: merluzzo eviscerato, privato di testa, coda e pinne, rispettivamente conservato sotto sale ed essiccato al freddo vento polare. Si tratta di prodotti che a Genova e Venezia hanno dato origine a golosi piatti già nel XV secolo: una storia che affonda le radici nel secolo precedente. Nel lontano 1432, un veliero della Serenissima al comando del capitano veneziano Pietro Querini che solcava i freddi e tempestosi mari del Nord naufragò in un’isoletta delle Lofoten, in Norvegia. Un incidente che per la cronaca di quei tempi era abbastanza comune, ma che segnò col tempo la nascita di un fiorente commercio e l’inizio di una nuova cucina. Nei suoi circa otto mesi di forzata permanenza a Rost, isola e borgo marinaro norvegese, Querini vide qualcosa d’inusuale e curioso, che descrisse nel suo rapporto per l’ammiragliato della Serenissima: «I socfisi seccano al vento e al sole e perché sono di poca humidità grassa, diventano duri come legno. Quando li vogliono mangiare, li battono col roverso della mannara che li fa diventare sfilati come nervi, poi compongono butirro e spetie per dargli sapore, et è grande et inestimabile mercanzia per quel mare di Alemagna». Se probabilmente i vichinghi conoscevano già il modo per essiccare il merluzzo, certamente lo cucinavano in poche e semplici maniere. Sempre nel Quattrocento arditi pescatori francesi, spagnoli (baschi), portoghesi ed inglesi trovarono un’alternativa ai pescosi ma perigliosi mari del Nord, solcando l’Atlantico e dirigendosi verso le coste di Terranova e del Labrador. Da lì il consumo di merluzzo essiccato (stoccafisso) prima e salato (baccalà) dopo conquista nuovi mercati. In più la
CHIARA MACI E MAURO ROSSI HANNO FIRMATO LE NUOVE DECLINAZIONI DELLO STOCCAFISSO NORVEGESE 124 INGENOVA Magazine
Enogastronomia facilità e stabilità di conservazione gli permette di sostenere sia lunghi viaggi per mare sia terrestri, diffondendosi non solo nelle città portuali ma addirittura in quelle più interne, distribuite in varie zone agricole. Da questo connubio nacquero nel nostro Paese numerosi piatti di straordinaria saporosità, dai meno ai più decisi, ma sempre golosi e invitanti. Liguria e Veneto se ne contendono il primato, seguite dalla Sicilia, Campania e Calabria. Come nel passato recente sino a oggi, passando nei carruggi di Genova si può sentirne l’intenso e deciso profumo che esce prepotente da affollate trattorie e ristoranti. Certamente nel passato contribuirono al consumo di stoccafisso e baccalà nelle classi meno abbienti sia il costo contenuto che la facilità di conservazione. Non a caso nei versi dell’antica poesia genovese “Pescio conca” si legge «O loasso di povei e di mainae», vale a dire - riferito a stoccafisso e baccalà - «Il branzino dei poveri e dei marinai». Il termine pesce conca deriva dall’uso di farlo ammollare nell’acqua. Da quelle necessità e osservanze religiose che proibivano la carne in certi periodi dell’anno nacquero succulenti piatti come lo stoccafisso al verde, all’agliata, lesso con le patate o con le fave (stocche e bacilli: piatto di reminescenze romane) “accomodato” (d’origine araba), in buridda, alla badalucchese, fritto e in frittelle, alla marinara e, non ultimo, il brandacujun, conosciuto anche in Provenza. Invece il baccalà, un po’ meno presente nella cucina genovese e ligure, oltre ai sempre diffusi frisceu (frittelle), è proposto all’agliata, fritto, al latte, lesso con o senza patate, con i cavoli, al verde, in zimino, in agrodolce, al forno, ripieno (anche in versione coda di baccalà ripiena). Nei secoli scorsi, entrambi in frittelle davano origine al mangiare veloce ma nutriente degli scaricatori di porto. A proporli i frisciolae, fumose e chiassose friggitorie di Sottoripa, situate di fronte al porto antico. Tornando al presente, le ghiottonerie a base di stoccafisso si sono moltiplicate: oltre le tipiche e ormai storiche preparazioni che resistono all’usura dei tempi e delle mode, valenti e fantasiosi chef e food blogger creano piatti policromi e sfiziosi. Una volta mangiare per scaricatori di porto, oggi su tavole stellate, ristorantini à la page, bistrot e sui tavolini di bar e caffè. Una moda, quest’ultima, ideata e lanciata anni fa dal Norwegian Seafood Council, ente creato dal Ministero della Pesca che controlla tutte le attività del settore, promuovendone col marchio NORGE immagine e consumo dei prodotti ittici in tutto il mondo. L’ente, coniugando sia le tendenze dei consumatori tradizionali che dei più giovani, nel novembre appena passato ha promosso in tre locali di tendenza di Milano, Genova e Napoli sfiziosi ed invitanti aperitivi norvegesi, gli “Happy Stockfish Hour”. Cinquanta versioni di “apericene” creati per l’occasione dalla simpatica e brava food blogger Chiara Maci, personaggio di punta della nota rubrica gastronomica de La 7, col servizio e l’abbinamento dei vini curato dai sommelier AIS. Non solo. Il cliente dopo avere consumato l’aperitivo norvegese, indovinando le risposte di un quiz sul tema, può vincere un’esclusiva cena a casa sua, realizzata per l’occasione da Chiara Maci. Il goloso tour iniziato al Clu di Napoli (dal 13 al 15), è proseguito fino al Caffè degli Specchi di Genova (dal 20 al 22), terminando a Le Biciclette di Milano (dal 27 al 29). I tre giorni della tappa nella città della Lanterna si sono tenuti nel Caffè degli Specchi, fascinosa location incastonata nel cuore antico di Genova e gestita dal bravo barman Mauro Rossi. Tre appuntamenti all’insegna della buona tavola e del buon bere alla scoperta degli aromi, profumi e sapori dello Stoccafisso di Norvegia. Nel corso delle tre serate, numerosi clienti sono stati deliziati dagli aperitivi norvegesi a base di stoc-
cafisso. Nella prima serata, il clou con l’attesa presenza di Chiara Maci che con la sua verve ha conquistato il folto pubblico. Nella serata seguente ha intrattenuto piacevolmente i clienti il Delegato dell’AIS di Genova Antonio Del Giacco, che ha illustrato compiutamente gli ideali abbinamenti col vino e con le birre, mentre la parte storica e gastronomica sullo stoccafisso è stata curata da chi ha scritto. Un’iniziativa di successo che ha visto per la prima volta la partecipazione della Superba.
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GRANDI SUCCESSI PER GLI ITALIANI AL 39° FESTIVAL MONDIAL DE L’IMAGE SOUS-MARINE. UNO DEGLI «OSCAR DELLA SUBACQUEA» VINTO DAL LIGURE MASSIMO BOYER
di Ilva Mazzocchi
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l più importante Festival subacqueo del mondo per le immagini subacquee, creato da Daniel Mercier, si è concluso a Marsiglia il 4 novembre 2013 con un successo eclatante per tutte le componenti positive che lo hanno caratterizzato e con un record di oltre 8000 visitatori paganti più svariate migliaia di ingressi degli operatori e delle scolaresche della città. Fra le ragioni del successo, la nuova collocazione nell’area espositiva del Parc Chanot, a ridosso del centro della città; la consistente presenza di espositori di fama mondiale dei settori tecnico, scientifico e professionale, gli stand e le iniziative di animazione per i più giovani; la vasca per i battesimi subacquei; centinaia di
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Sotto il mare centoquaranta filmati fra grande e piccolo formato; la presenza di molti VIP, anche storici, delle attività subacquee, e persino l’intervento all’inaugurazione di Frederic Cuvillier, Ministro dei Trasporti del Mare e della Pesca; l’opera organizzativa instancabile e altamente motivata del Presidente dl Festival Philippe Vallette e del Direttore Remi Attuyt. Seguendo la tradizione pluriennale, anche quest’anno l’Italia ha ottenuto prestigiosi risultati. Meglio di tutti hanno fatto Daniele Iop, Manfred Bortoli e il savonese Massimo Boyer che hanno vinto la Palme d’Or, un vero Premio Oscar della specialità nei “cortometraggi e video clips” con lo splendido lavoro “The Giant and the Fisherman” che documenta la simbiosi creatasi fra i pescatori di una baia nella Papua Occidentale indonesiana e gli Squali balena. Nei lungometraggi la Palme D’Or è stata assegnata al film “Les saumos surprise” di Bertrand Loyer. Nelle immagini fisse Stefano Gradi ha vinto il nuovo “Prix Mediterranée”. Domenico Roscigno si è piazzato 2° nel Prix Ocean Geographic Society a tema meduse. Nelle serie tematiche ottimo 2° poto per Luciano Candisani, Plongeur d’argent. Nella foto “Bianco e Nero” terzo posto di Adriano Morettin. Da segnalare anche l’assegnazione del Premio della Simpatia al siciliano Domenico Drago, grande fotografo subacqueo e fra i più premiati al Festival. Nella categoria “Portfolio” ha vinto con pieno merito lo svizzero Davide Vezzaro con una serie di dieci spledide immagini caratterizzate dall’originalità dei differenti soggetti catturati con magistrale padronanza delle differenti tecniche fotografiche. Nel “Bianco e nero” ha vinto il Plongeur d’Or il danese Jorgen Rasmussen con una perfetta immagine di Squalo balena. Negli ampi spazi del Palazzo delle esposizioni erano presenti decine di stand con le ultime novità della foto e videosub, degli stand con in mostra attrezzature storiche e persino una sezione del noto museo Frederic Dumas , ma sicuramente ha destato il maggior interesse quello dell’architetto Jacques Rougerie con un modello alto quattro metri del Sea Orbiter, un avveniristico laboratorio oceanografico galleggiante, simile a un’astronave sottomarina, in costruzione nei cantieri navali di Saint-Nazaire. Fra gli stand abbiamo incontrato molti VIP del mondo sommerso fra i quali Jean Michel Cousteau, André Laban, Michael Aw, Lucio Coccia, Mario Zucchi, Paolo Curto, Alberto Muro Pelliconi, André Ruoppolo, Mimmo Drago, Kurt Amsler, Dominique Serafini, Frédéric Di Meglio.
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Gressoney Saint Jean
n Valle d’Aosta, sul confine con la Svizzera e con il Piemonte, sorge la valle di Gressoney attraversata dal torrente Lys, le cui sorgenti provengono direttamente dal Monte Rosa: il più esteso massiccio montuoso delle Alpi italiane che, con la Punta Dufour, raggiunge l’altitudine di 4.634 metri s.l.m. I due comuni da cui la valle prende il nome sono Gressoney La Trinité e Gressoney Saint Jean. Il primo comprende la località di Staffal, situata a 1.850 metri s.l.m., coincide con il punto in cui termina la strada carrabile e quindi il luogo più alto raggiungibile con l’autovettura. Il secondo è invece Gressoney Saint Jean, il più esteso comune della vallata situato a 1.385 metri s.l.m., particolarmente frequentato durante la stagione estiva grazie anche all’area del laghetto Gover, un posto fresco e immerso nel verde sottobosco dove potersi rilassare e prendere il sole in tranquillità. Gressoney è anche detta la terra dei “Walser”, popolazione di origine germanica che tra l’XI ed il XIII sec. venne a stabilirsi sul versante italiano del Monte Rosa dal vicino Vallese e che da sempre era dedita al commercio, tanto che la Valle di Gressoney era definita anche “Krämertal”, la Valle dei Mercanti. In particolare, nella valle del torrente Lys, i Walser hanno fondato i villaggi di Gressoney, di Issime e di Niel, piccola frazione nel comune di Gaby. Ancora oggi l’architettura Walser caratterizza i centri storici di Gressoney e le tradizioni, i costumi e la parlata germanica, il “titsch”, mantengono vivo il legame con il passato e le terre di origine. Per mantenere viva e trasmettere la conoscenza e la storia di questo popolo alle generazioni future è stato realizzato l’eco-museo Walser a Gressoney La Trinité. Grazie alle visite guidate è possibile scoprire gli usi e le tradizione del popolo Walser, oltre ai loro costumi, gli oggetti di uso comune e le abitazioni in cui abitavano. Verso la fine del XIX sec. ebbe inizio a Gressoney lo sviluppo dell’attività turistica, anche grazie alla costruzione degli impianti di risalita che permettono, in inverno, di poter sciare sul vasto comprensorio e, in estate, di effettuare escursioni raggiungendo agevolmente l’alta quota. La località era nota per le sue incantevoli bellezze naturali, tanto che la Regina Margherita di Savoia la scelse per trascorrervi lunghi periodi di vacanza e proprio per i suoi soggiorni a Gressoney il re Umberto I fece costruire il Castel Savoia, originale resi-
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Vacanze
denza in stile neogotico. Il castello è facilmente raggiungibile anche a piedi grazie al “sentiero della regina”, un facile percorso quasi pianeggiante che dalla piana oltre il paese di Gressoney Saint Jean si collega attraverso boschi ombreggiati, cascate e prati alla residenza storica della regina. Tale itinerario viene chiamato così poiché è il sentiero che la Regina Margherita di Savoia era solita percorrere per recarsi nel centro del paese. Il castello è aperto al pubblico e intorno ad esso è anche possibile ammirare il giardino botanico composto dalla flora tipica della zona. Il Monte Rosa, attrattiva principale della zona, fa da cornice a questa valle montana. Le sue cime sempre bianche ricoperte dai numerosi ghiacciai assumono un colore rosastro con le prime luci del mattino e durante le ultime ore di luce serali. L’estate è la stagione ideale per esplorare i suoi versanti, grazie ai numerosi percorsi escursionistici. Il trekking è praticabile da chiunque, infatti sono presenti escursioni dalla durata breve e con dislivello ridotto, adatto a famiglie con bambini, oppure sentieri praticabili in parecchie ore, se non in diversi giorni potendo sostare presso i numerosi rifugi in quota. Tra questi c’è il Rifugio Capanna Margherita, il più alto rifugio alpino d’Europa situato a quota 4.559 metri s.l.m. sulla punta Gnifetti. Grazie alla presenza del comprensorio Monterosa Ski, con i numerosi impianti di risalita aperti anche in estate, raggiungere l’alta quota non è più un’impresa solo per pochi: nel novembre 2010 è stata infatti inaugurata la funivia che dal Passo dei Salati (2.971 metri s.l.m.) al confine tra la Valle d’Aosta e il Piemonte, arriva a Punta Indren a quota 3.260. Non è raro incontrare, durante le escursioni in alta quota, numerosi esemplari della tipica fauna locale, composta principalmente da stambecchi, camosci, marmotte e aquile. In bassa quota è invece possibile osservare caprioli, cervi, cinghiali, scoiattoli, lepri e molti altri animali il cui habitat principale è rappresentato dalle aree boschive. Per chi invece non ama particolarmente camminare in montagna, è presente a Gressoney Saint Jean l’Alpenfauna Museum “Beck Peccoz”, il Museo regionale della Fauna Alpina che espone numerosi esemplari di animali imbalsamati, in passato trofei di caccia.
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Sotto il mare di Gianni Risso
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nche il 2013 promette grandi cose per la fotografia subacquea nella nostra Regione. Come avviene puntualmente da molti anni, il programma più ricco e articolato è offerto dalla cittadina di Zoagli, dove il Comitato Madonnina del Mare, ampiamente supportato dall’Amministrazione comunale e con l’organizzazione logistica curata da www.apneaworld.com presenta una serie di eventi agonistico-culturali che troveranno degna conclusione alla grande festa del 5 agosto. Ecco il menù: X Trofeo Internazionale di fotosub digitale a partecipazione gratuita e aperta dal 1 marzo al 10 luglio a tutti i fotografi subacquei italiani e stranieri; XVII Trofeo di fotografia subacquea estemporanea a Tema Madonnina del mare di Zoagli con in palio prestigiose attrezzature della Mares, trofei, targhe e soggiorni alberghieri (Grand Hotel Bristol Resort & SPA, Hotel Zoagli e Hotel Cenobio dei Dogi di Camogli). Per il 5 agosto: esposizione delle foto più belle, visite gratuite alla Statua della Madonnina con gommone dal molo di Zoagli fin sulla verticale della statua per osservarla dalla superficie utilizzando batiscopi; fiaccolata dei subacquei e posa lumini in mare; in assoluta anteprima e vera novità, per la notte del 5 agosto spettacolare fiaccolata di subacquei in immersione (in coppie e con guide esperte) in contemporanea con la fiaccolata in superficie. Si preannuncia una notte di alta spettacolarità ed emozione per tutti. Il Diving Center Tortuga Portofino, con sede a San Michele di Pagana, con la collaborazione tecnico-organizzativa di www.apneaworld.com lancia un nuovo concorso estemporaneo di fotografia subacquea digitale che ha lo scopo di incrementare il turismo subacqueo e promuovere la conoscenza dei fondali del Promontorio di Portofino e dei relitti sommersi in zona. Il tema portante del concorso è “L’arcobaleno vivente dei fondali del Golfo del Tigullio e Promontorio di Portofino”. Per partecipare è necessario
NEL 2013 SONO IN PROGRAMMA CONCORSI ESTEMPORANEI E GARE NAZIONALI. ZOAGLI OFFRE IL MENU PIÙ RICCO
fare almeno una immersione tramite il Tortuga Portofino o il D.C. Pirates di Santa Margherita Ligure, ritirare e far convalidare la scheda di partecipazione ed entro il 30 agosto far pervenire le proprie immagini digitali (da minimo una a massimo cinque) agli organizzatori. Recapiti utili arnaldo@padicoursedirector.it e info@ apneaworld.com . Anche nel Calendario Nazionale Gare della FIPSAS ci sono degli appuntamenti imperdibili per gli appassionati. Si parte con le gare nazionali selettive di Safari Fotografico Subacqueo. Il 21 aprile a Vesima è in programma il “4° Trofeo Villa Azzurra” organizzato dal Circolo Ilva. Il 2 giugno il calendario offre il “Trofeo Comune di Bogliasco” organizzato dall’ASD CICASUB Bogliasco Seatram – Diveross e il 30 giugno appuntamento tradizionale a Genova Quinto per l’8 Trofeo LNI sezione di Quinto. Per la fotografia subacquea c’è solo una gara nazionale selettiva, quella per il “3° Trofeo Borgo di Tellaro” organizzata dalla società ASD La Rotonda di Lerici il 26 maggio.
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MARCELLO RAPALLINO PH: MARCELLO RAPALLINO ASS PH: MAURIZIO IANNOLO MODELLA: MARTA SPALLAROSSA MAKE UP: MATTEO BARTOLINI STYLING: AMICHEDICLASSE GIOIELLI: CICALA Location: Villa Bombrini, Cornigliano
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P O S T S CRIPTUM L’EDIZIONE 1989
di Sanremo è passata alla storia – del costume, se non altro – come quella “dei figli d’arte”. Cioè Rosita Celentano, Paola Dominguin, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi. Vennero chiamati all’ultimo minuto, senza aver fatto uno straccio di prova, e dovettero condividere gli oneri della conduzione sul palco dell’Ariston. L’operazione è già complessa di per sé (a quanto pare, a Sanremo la tensione è in agguato anche per i più scafati: con Crozza lo si è visto). Figuriamoci in quattro, e pure improvvisati. Infatti fu un mezzo disastro. L’idea di Aragozzini era quella di svecchiare la liturgia di Baudo. Il risultato fu tanto fallimentare che Fabio Fazio si è sentito in dovere di invitare Celentano, Dominguin, Quinn e Tognazzi con tanto di parrucchino nella quarta serata del Festival 2013, a distanza di quasi venticinque anni, per fare scherzosamente ammenda. “I grandissimi figli di”, ha chiosato Luciana Littizzetto. In realtà, ogni edizione di Sanremo – anche la più “rivoluzionaria”, e rivoluzionaria non lo è mai – non può esimersi dall’uso più o meno sapiente dell’effetto Amarcord. È per questo che tra i Marta sui Tubi e Cristicchi spunta fuori un rassicurante Al Bano; per questo a quello che si può considerare il simbolo della televisione del 2013, il pluristellato Cracco fresco reduce dal trionfo di Masterchef, fa da contrappunto Toto Cutugno, seppur accompagnato dal coro dell’Armata Rossa per una versione surreale de “L’italiano”. Non è per caso che Beppe Fiorello si trasforma in Domenico Modugno e intona quello che è diventato l’inno di ogni Festival, passato e futuro. Perfino i vincitori morali di quest’anno, Elio e le Storie Tese, con le loro performance ghiotte per il vocabolario del reporter – “geniali”, “dissacranti”, “provocatorie” – sono in sostanza una puntuale citazione di sé stessi: di quando cioè fecero impazzire Baudo con “La Terra dei Cachi” (era il 1996, l’anno del “minuto tratto dal brano”, da loro trasformato nell’intero pezzo condensato a velocità smodata). Neanche a farlo apposta, pure nel ‘96 arrivarono secondi e vinsero il premio della critica. Sanremo vive insomma della sua continua autocelebrazione: è il segreto di Pulcinella del suo successo. La raison d’être della festa laica più irrinunciabile d’Italia. Ci sono però dei momenti in cui la rievocazione crea degli strani cortocircuiti. A volte si tratta di dettagli – Baudo che non si tinge più i capelli, qualche vecchia gloria con problemi al girovita.
A volte c’è qualcos’altro. Di più decisivo. Sono fratture che tradiscono la natura posticcia della scena, rivelando i difetti della copia: ad esempio, i grandi assenti. L’edizione 1989 non fu solo quella di Tognazzi Jr e Rosita Celentano che si rubavano il tempo, o di Jovanotti ancora col cappellino all’indietro a maciullare la consonante centrale della parola “Vasco”. Nel 1989, Beppe Grillo aveva rischiato di far venire giù l’Ariston con un monologo di dieci minuti. L’inizio era stato soft, quasi bonario, con la presa in giro della cofana di Toto Cutugno (sempre lui: con il Carrisi, la vera anima sanremese), della veracità partenopea di Marisa Laurito e delle qualità del futuro Lorenzo Cherubini, ancora non barbuto cantore dei buoni sentimenti (quell’anno definito “una scorreggina”). Poi qualcosa era cambiato. Grillo inanellò un’ovazione dopo l’altra in un crescendo che si concluse con l’augurio del rapimento di Sandro Meyer, reduce dall’aver intervistato Marco Fiora, otto anni di cui uno e mezzo in mano ai sequestratori, con domande del tipo “Ti mancavano di più i giocattoli o la mamma e il papà?”. Il futuro animatore del Movimento Cinque Stelle aveva le maniche della giacca che gli risalivano di continuo sulla camicia bianca. Aveva concluso incitando gli spettatori ad alzarsi, se erano d’accordo con lui. E molti, tra gli applausi scroscianti, l’avevano fatto. La fenomenologia grilliana (piuttosto che grillina) è ormai argomento per instant-book tanto fecondo da meritarsi zone apposite in libreria, eppure è una tentazione succosa vedere proprio in quel Sanremo l’inizio di tutto: l’arte di infiammare le folle fino al gesto fisico, lo scontro frontale con i giornalisti, la volontà dichiarata di squarciare l’eufemismo. A un quarto di secolo di distanza, mentre i quattro figli d’arte erano da Fazio – da sempre il sacerdote di una televisione non urlata, garbata, ecumenica – Beppe Grillo aspettava. Per un po’ era girata la voce che potesse comparire a sorpresa sul palco dell’Ariston. Sarebbe stata la settima volta. Invece no, non era vero: Grillo e Sanremo ormai sono due entità differenti. Da una parte il furore dei meetup, dall’altra l’azzimata platea sanremese. C’è stata qualche parole di stima per Crozza, ma i pensieri erano altrove. Alle politiche imminenti. All’appuntamento di chiusura della campagna elettorale, in Piazza San Giovanni a Roma, la piazza della sinistra. La divaricazione, inevitabile, ha raggiunto la sua estensione massima. Il monologo dell’89 cominciava così: “C’è l’Europa, l’Europa che ci guarda”. Giordano Rodda giordano.rodda@gmail.com
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