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Geisha
from Cassandra 108
by cassandra
NARRATIVA GEISHA
Era una notte di inverno quando, nel cortile della mia casa di Okiya, la ‘Madre’ mi stava legando i polsi alla ringhiera del cortile come punizione per aver cercato di fuggire con mia sorella Satsu verso una meta lontana che ci avrebbe permesso di ricominciare da capo, senza più pensare alla vita che mi avrebbe atteso in quell’edificio, centro della vita notturna giapponese. Provengo da un paese di pescatori, dove la mia famiglia possedeva una piccola Machiya a picco sul mare. Mia madre ci insegnava l’arte del Ukiyo-e, della danza, della musica e del cha no yu. Mio padre, invece, un povero pescatore nato nella campagna giapponese che si avventurò verso il centro del Paese fino ad imbattersi nell’affascinante città di Okiya. Ora non resta molto della mia infanzia se non mia sorella che ormai è lontana da me e dalla mia vita. Quando avevo solamente nove anni mio padre morì a causa di una terribile tempesta che sopraggiunse dal mare. In seguito alla sua morte, mia madre vendette me e mia sorella a un intermediario, un certo Tanaka che ci consegnò alla casa delle geishe, amministrata dalla signora Sayuri Sakamoto. Nella cultura giapponese le geishe sono le donne più affascinanti, raffinate e colte di tutto il Giappone. Vengono tolte alla loro famiglia in tenera età e fatte entrare in una scuola, dove impareranno a curare al meglio il loro aspetto fisico, a vestirsi di kimono in seta, a truccarsi il viso con un pesante cerone bianco, occhi marcati di nero e bocca rossissima, fino a rendersi quasi una maschera sotto la pesante acconciatura. Per quanto possa sembrare straziante per una bambina di soli nove anni comportarsi come una donna matura e adulta, questo divenne il mio pane quotidiano da quando mia madre mi consegnò nelle mani del signor Tanaka. Il mio inteso addestramento iniziò nella primavera del 1938. In poco tempo mi venne insegnato come danzare, come cantare e conversare in modo colto e raffinato. Diventai un’esperta interlocutrice e maestra nell’arte oratoria. Scoprii lo scopo del mio intenso addestramento quando la ‘Madre’ della casa mi propose di intrattenere con le mie arti l'industriale Nobu Toshikazu. Venni costretta a tenere dei fugaci incontri con questo uomo che spesso si presentava alle porte della nostra casa per portare con sé altre ragazze. Con il passare degli anni divenni la geisha più celebre del quartiere di Gion. Di fatto ero al servizio del volere degli uomini della città. Osservare tutti quei volti inebriati dai numerosi calici di Koshu, mi faceva immaginare come sarebbe stato trovarsi nelle vesti di quegli uomini.
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Durante una serata trascorsa in compagnia del signor Hatsumomo, una donna anziana, che mi osservò a lungo, si presentò davanti a me con un gentile sorriso stampato in viso e un mazzo di erbe essiccate nel palmo della mano. Mi accarezzò il braccio e posò su un tavolo, che si trovava accanto a me, ciò che conservava nella sua mano. Si allontanò e dopo essermi guardata attorno, raccolsi quelle erbe tornando dal signor Hatsumomo. Venni accompagna alla casa della ‘Madre’ da un giovane uomo che mi lasciò all’ingresso dell’edificio. Raggiunsi la mia stanza e dopo essermi preparata per la notte, decisi di creare dei fumi con le erbe che l’anziana signora mi aveva ceduto quella sera. Accesi una piccola fiamma e le misi a bruciare. Poco dopo che mi fui stesa a letto caddi in un sonno profondo. Al mattino uno strano formicolio alla pelle degli arti inferiori mi provocò un certo prurito. Mi misi seduta e con la testa barcollante cercai di alzarmi. Feci un passo e sentii tutto il mio peso gravare sui piedi. Mi grattai il collo che sentivo incredibilmente freddo e fu in quel momento che la paura sopraggiunse. Corsi davanti allo specchio della mia stanza e per poco non caddi a terra. Capelli neri e corti contornavano la mia fronte. Mani grandi avevano preso il posto delle mie delicate e minute. Mi rovesciai dell’acqua fredda in viso per svegliarmi da quel sogno, ma fu completamente inutile. Iniziai a girovagare per la stanza, fino a quando pensai che sarebbe stato meglio uscire dalla casa della ‘Madre’. Presi i primi vestiti che trovai da uomo e corsi per le vie della città. Mi ero veramente trasformata in un uomo? Girovagando per la città in cerca di una risposta, una giovane ragazza mi si appese al braccio destro sventolando un ventaglio vicino agli occhi. La guardai negli occhi e riconobbi in quel volto una delle ragazze che facevano parte della casa in cui ero stata cresciuta. Scossi il braccio per farla allontanare e mi guardai attorno. In ogni angolo della città una ragazza aggrappata al petto di un uomo cercava di persuaderlo con il suo sguardo. Fu in quel momento che capii che quella era anche la mia vita. Era il mio destino e il mio posto nella società. Ero sempre stata questo. Un misero accessorio che vestiva l’egoismo degli uomini.