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Vincere senza saperlo?

SPORT VINCERE SENZA SAPERLO?

23 Maggio 1982, circuito di Monte Carlo. Alain Prost fa scorrere via la sua Renault tra le curve strettissime del principato. Vede qualche goccia di pioggia che leggerissima cade sulla visiera del casco e poi scompare. Sono sessanta giri che conduce la gara. Sessanta giri che disegna sull’asfalto traiettorie perfette, sfiorando i muretti di pochi centimetri. I giornalisti dicono sia tanto stronzo che intervistarlo ogni volta è una noia. Alcuni lo chiamano il professore, per il suo maniaco culto della precisione, perché fa di ogni minimo dettaglio un’ossessione. Alain non ha mai amato la pioggia e ora la sente cadere e impregnare l’asfalto ogni giro di più. Come un funambolo, corre su un filo ai trecento chilometri orari. Arrivato alla curva delle piscine, allarga la traiettoria di qualche centimetro in una gara di duecentocinquanta chilometri. Le ruote posteriori slittano sull’asfalto viscoso e Alain impatta contro il muro. Per lui è una botta da nulla, ma la sua Renault si è spenta e non si riaccende più. Riccardo Patrese arriva velocissimo, vede Prost scendere nervoso dalla sua macchina e lo sorpassa. Il giovane padovano guida concentrato la sua Brabham e suda freddo: non ha mai vinto un Gran Premio di Formula Uno. Molti piloti non amano il suo stile grintoso, che però affascina altrettanti spettatori. La gente dalle tribune e dai balconi di casa lo incita e lui corre più forte che può. Arrivato all’ingresso della mitica curva Loews, però, in un istante finisce in testacoda; l’auto imbizzarrita per poco non tocca la barriera e Patrese, fermo in mezzo alla pista nel tentativo di ripartire, vede sfrecciare in testa la Ferrari del francese Pironi, seguita dall’Alfa Romeo di De Cesaris e dalla Williams di Daly. Per questi piloti sta per iniziare un ultimo giro infernale.

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Pironi sente qualcosa di strano, e a poco a poco la batteria della sua Ferrari si scarica lasciandolo a piedi. Quando le telecamere cercano l’Alfa Romeo di De Cesaris, la inquadrano già parcheggiata a bordo pista poche centinaia di metri più indietro: ha finito la benzina, e i commissari sventolano la bandiera gialla per avvisare Daly del pericolo. Ma il pilota irlandese non le può vedere: ha perso il controllo della sua Williams e sconsolato è sceso dalla sua vettura. Al traguardo la gente guarda fissa l’ultima curva, aspetta il vincitore: ma nessuno arriva. Il silenzio della folla ferma il tempo, sospende ogni respiro. Si sente solo la pioggia che cade. Quand’ecco che appare sfrecciando l’auto di Riccardo Patrese, che, riuscito a ripartire, taglia il traguardo non sapendo di aver vinto. Così Riccardo Patrese vinse uno dei Gran Premi più indimenticabili della storia della Formula Uno. La categoria regina delle corse su monoposto si sta preparando a una delle rivoluzioni più drastiche della sua storia: per una serie di radicali modifiche apportate al regolamento sportivo, gli ingegneri hanno progettato una nuova generazione di auto, che per struttura e aerodinamica favoriranno le battaglie in pista. Un passo indietro decisamente necessario, atto ad evidenziare le doti psico-fisiche del pilota, ultimamente oscurate dal netto divario prestazionale tra le vetture costruite dalle diverse squadre. L’ambizioso obiettivo delle nuove auto è riscoprire la vera essenza delle gare motoristiche: chi le segue deve poter percepire la tensione emotiva. Quarant’anni dopo, questo sport non smette di regalarci emozioni. Nella scorsa stagione, tra gare pazze ed esaltanti corpo a corpo Max Verstappen e Lewis Hamilton hanno appassionato migliaia di spettatori. Dunque possiamo rispondere alla domanda: perché appassionarsi di Formula Uno? Dagli albori di questo sport ad oggi permane una costante: dal pilota, persona prima che atleta, sgorgano emozioni pure e tangibili. E quest’aria di novità intensifica l’attesa.

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