D'Anna_Storia e storiografia

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capitolo

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Decolonizzazione, Terzo Mondo e sottosviluppo Etichettare le nazioni come “ricche” o “povere” […] non era più sufficiente. Esistevano ormai quattro categorie: “nazioni sviluppate”, “in via di sviluppo”, “sottosviluppate”, “non sviluppate” […]. Tali divisioni sono state sviluppate solo negli ultimi vent’anni, quando gli esperti di globalizzazione hanno iniziato a comprendere che i rapporti internazionali non avevano più contenuto principalmente politico, ma erano pesantemente influenzati da temi economici. (Raymond F. Betts)

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L’ordine bipolare e i nuovi attori della storia

L’epoca della «coesistenza pacifica» e della contestazione Per un verso, la distensione tra Est e Ovest prometteva di rimpiazzare la guerra fredda con una cooperazione fondata sul mutuo riconoscimento di sfere d’influenza inviolabili in Europa. Per un altro, la moltiplicazione dei poli economici e l’ascesa di alcuni Paesi del Terzo Mondo prefiguravano un futuro meno rigidamente definito dal bipolarismo. (Federico Romero)

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capitolo

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Per la didattica capovolta

→Il → capitolo in PowerPoint →Mappa → concettuale interattiva →Audiolibro → dell’Essenziale e della Sintesi →Videolezione → La guerra del Vietnam

La «coesistenza pacifica» e la contestazione 1957

L’Urss lancia il primo uomo nello spazio

1961

I sovietici costruiscono il Muro di Berlino

1966-67

Rivoluzione culturale in Cina

1968-69

Movimenti giovanili di protesta negli Usa e in Europa

1969

Gli americani Armstrong e Aldrin atterrano sulla Luna

1976

GG AO I

A IERI

Il Vietnam viene riunificato e si svolgono libere elezioni

D

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O

→ Cittadinanza e Costituzione pp. 000-000

ggi potrebbe sembrare che la Guerra Fredda sia finita, ma le relazioni tra Occidente e Russia non sono mai state così «fredde», come dimostrano la crisi in Siria, la guerra in Ucraina, le tensioni in Corea del Nord e il dilagare inarrestabile dell’Isis.

i concetti chiave ▶▶ Quello della «coesistenza pacifica» fu un periodo in cui le due superpotenze Usa e Urss cominciarono a cercare delle vie di dialogo e di confronto.

l’americano Armstrong sulla Luna, 21 luglio 1969. ▶▶ I Paesi del Patto di Varsavia vissero una crisi che si manifestò quando il governo cecoslovacco varò alcune riforme democratiche (la «Primavera di Praga» del 1968), suscitando la repressione sovietica.

▶▶ Vi furono però momenti di tensione come la costruzione del Muro di Berlino (1961) e la ▶▶ I ragazzi americani ed europei contestarono la crisi di Cuba (1962). Una guerra vera e propria fu guerra e l’omologazione imposta dal consumismo. combattuta nel Vietnam (1962-1976) dagli Usa, Le proteste iniziarono nel 1968 negli Usa ma si che, condannati dall’opinione pubblica, ritirarono diffusero anche in Europa. le proprie truppe. ▶▶ Sul fronte interno, la Cina di Mao avviò ▶▶ Altro simbolo del periodo fu la «corsa allo spazio», la «rivoluzione culturale». Sul fronte che portò prima il russo Gagarin, 12 aprile 1961, internazionale, la Cina prese le distanze a fare il giro dell’orbita della Terra, poi dall’Urss, avvicinandosi agli Usa di Nixon.


capitolo 4

14.1

L’età dei Comuni

L’origine dei Comuni in Italia e in Europa

Il risveglio economico delle città Le origini del Comune risalgono all’xi secolo, quando, in seguito al forte sviluppo dei commerci, al risorgere delle città e alla crescita demografica, il potere passò dalle mani dei nobili a quelle dei borghesi, che formarono assemblee elettive con funzioni di autogoverno. All’inizio queste istituzioni sorsero nell’Italia centro-settentrionale, dall’esigenza dei cittadini più ricchi e influenti di avere organizzazioni politiche e giuridiche che tutelassero i loro interessi e consentissero loro di decidere autonomamente rispetto agli altri poteri, rappresentati dal re, dai signori, dai vescovi-conti. Le ragioni dello sviluppo comunale nel Nord Italia Alla vivacità e intraprendenza dei Comuni nord italiani contribuirono due fattori essenziali: ▪▪ la composizione sociale variegata e disomogenea: le città dell’Italia settentrionale non comprendevano solo mercanti e artigiani, ma anche i contadini più agiati, i piccoli e medi proprietari fondiari, alcuni esponenti di famiglie signorili, chierici e religiosi. L’insieme di queste figure sociali andò a costituire la borghesia medievale [→ D1]. ▪▪ la debolezza del potere centrale, vale a dire l’impero, accentuata nel tempo da alcune circostanze esterne. Innanzi tutto la lotta per le investiture [→ cap. 000, p. 000], che pose in conflitto l’impero e il papato, inducendoli a riconoscere concessioni e franchigie a favore dei Comuni che, di volta in volta, si schieravano dalla loro parte. Inoltre la Constitutio de feudis (1037), con la quale Corrado II riconobbe ai feudatari minori il diritto di lasciare il proprio feudo in eredità ai figli [→ cap. 1, p. 000]; proprio da questi ceti dinamici provenienti dal basso si sviluppò la classe dominante che diede luogo al Comune.

Borghese: in origine, «l’abitante del borgo», ovvero il rappresentante di quel ceto medio – sviluppatosi con la rinascita cittadina dell’xi secolo – che ha coscienza di distinguersi da nobiltà e popolo minuto, e, in virtù del suo crescente peso economico, aspira ad acquisire maggiore potere politico.

↓ Mercanti e cambiavalute in una miniatura nel registro di un monastero di Murano, 1325 ca. Grazie alla diffusione dei commerci, si sviluppò l’economia finanziaria. I mercanti avevano infatti bisogno di lettere di credito che sostituissero il denaro, che era scomodo da portare in viaggio e li esponeva al pericolo di rapine.

Le prime forme di aggregazione cittadina Proprio per sopperire alla mancanza di un potere centrale forte, quello dell’imperatore [→ D1], del re, dei conti o marchesi che rappresentavano le autorità legittime, i cittadini istituirono magistrature provvisorie che, assumendo anche decisioni politiche, consentivano di risolvere i problemi della vita quotidiana e garantire la pace e l’accordo necessari al benessere generale.

Ottone di Frisinga, Gesta Friderici, II, 13

D 1 I comuni italiani visti dal cronista Ottone di Frisinga cosa leggiamo Ottone, vescovo di Frisinga (1115 ca – 1158), ebbe modo di osservare direttamente la situazione dei Comuni italiani, in particolare quelli lombardi, accompagnando in Italia l’imperatore Federico Barbarossa. perché lo leggiamo Ottone descrive, con tono polemico, la formazione dei Comuni, che, in molti casi, avvenne come un’usurpazione compiuta a danno dell’autorità imperiale. In seguito, tuttavia, imperatori e papi legittimarono l’atto compiuto dalle comunità urbane.

[I Lombardi ossia gli italiani] imitano ancor oggi la saggezza degli antichi Romani nella struttura delle città e nel governo dello Stato. Essi amano infatti la libertà tanto che per sfuggire alla prepotenza dell’autorità si reggono con il governo di consoli anziché di signori. Essendovi tra essi tre ceti sociali, cioè quello dei grandi feudatari1, dei valvassori e della plebe, per contenerne le ambizioni eleggono i predetti consoli non da uno solo di questi ordini, ma da tutti, e perché non si lascino prendere dalla libidine del potere, li cambiano quasi ogni anno. Ne viene che, essendo la terra suddivisa fra le

Ecco enunciato il motivo principale dello sviluppo comunale: le città erodono spazi di autonomia per sottrarsi alle autorità feudali.

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La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

città, ciascuna di esse costringe quanti abitano nella diocesi a stare dalla sua parte, ed a stento si può trovare in tutto il territorio qualche nobile o qualche personaggio importante che non obbedisca agli ordini delle città. Esse hanno anche preso l’abitudine di indicare questi territori come loro «comitati2», e per non mancare di mezzi con cui contenere i loro vicini non disdegnano di elevare alla condizione di cavaliere e ai più alti uffici giovani di bassa condizione e addirittura artigiani praticanti spregevoli arti meccaniche, che le altre genti tengono lontano come la peste dagli uffici più onorevoli e liberali. Ne viene che esse sono di gran lunga superiori a tutte le città del mondo per ricchezza e potenza. A tal fine si avvantaggiano non solo, come si è detto, per la saggezza delle loro istituzioni, ma anche per l’assenza dei sovrani, che abitualmente rimangono al di là delle Alpi. (U. Balzani, Le cronache italiane nel Medioevo, Hoepli, Milano 1900, pp. 242-44)

1. grandi feudatari: i capitanei.

Ottone evidenzia una delle specificità dei Comuni nord italiani: il controllo dei territori limitrofi oltre la cinta muraria.

Nonostante il pregiudizio polemico, Ottone è lucido nel sottolineare la correlazione fra la ricchezza dei Comuni e la loro ampia partecipazione politica.

2. comitati: si tratta del contado [→].

Analisi guidata comprendere 1. Perché Ottone paragona i lombardi (gli italiani) agli antichi romani? 2. Cosa caratterizza la composizione sociale dei Comuni?

analizzare 3. Da cosa si evince il pregiudizio polemico di Ottone? Evidenzia nel testo le espressioni più critiche.

4. Quali passaggi del testo, invece, lasciano trapelare una certa ammirazione di Ottone?

La conquista del contado Appena costituito, il Comune italiano cercò subito di allargare il proprio ambito territoriale, sia con accordi pacifici sia con spedizioni armate a danno dei grandi feudatari del contado, che furono costretti ad accettare la legge del Comune e venire ad abitare in città almeno per qualche mese l’anno. Nelle aree in cui il contado entrò nell’orbita del potere comunale, il sistema feudale venne quasi del tutto eliminato.

Contado: inizialmente, l’insieme dei territori che circondavano una città e appartenevano alla diocesi; dopo la nascita dei Comuni, identificò la porzione di territorio rurale direttamente controllata da un Comune.

Un fenomeno non solo italiano Il Comune non fu tuttavia un fenomeno solo italiano: nella prima metà del xii secolo comparvero le prime istituzioni comunali anche in Provenza e nelle Fiandre, e solo tra la fine del xii e l’inizio del xiii secolo nel Nord della Francia, in Inghilterra e nell’area della Germania renana. ← Ambrogio Lorenzetti, particolare di una città medievale, inizi xiv secolo, affresco.

Elemento ancora dominante di alcune delle prime città medievali è il castello signorile fortificato. Le città medievali si caratterizzano per l’alta cinta muraria. Il contado è l’area adibita a coltivazione che si trova oltre la cinta muraria, nelle immediate vicinanze della città.


capitolo 4

L’età dei Comuni

Ma il processo che portò all’affermazione delle autonomie cittadini nelle diverse aree europee non fu lo stesso che si ebbe in Italia settentrionale, e perciò i Comuni d’oltralpe presentarono alcune caratteristiche differenti rispetto a quelli italiani. I Comuni dell’Europa nord-occidentale In Francia settentrionale, Germania e Inghilterra le associazioni di cittadini ottennero direttamente dall’autorità superiore del re o dei prìncipi territoriali alcuni poteri pubblici, attraverso la concessione di diplomi. Inoltre, essi si differenziavano dai Comuni italiani per alcuni aspetti specifici:

Diploma: documento ufficiale, di origine romana, mediante il quale un’autorità sanciva una prerogativa o un privilegio del richiedente; nel caso delle città, nel Medioevo i diplomi assunsero il nome di «carte di Comune» o «di franchigia».

gli abitanti delle città europee, i burgenses (borghesi), costituivano un gruppo sociale omogeneo, composto di grandi mercanti, banchieri e artigiani; ▪▪ i privilegi e i diritti che i diplomi riconoscevano loro cessavano appena al di là delle mura cittadine, dove il contado continuava a far parte del mondo feudale; ▪▪ nella maggior parte dei casi, i Comuni europei restarono sotto l’effettiva giurisdizione della Corona, non raggiungendo mai il carattere di Stato cittadino autonomo. ▪▪

Le città d’Europa nel XII secolo

Come si vede, il fenomeno dell’inurbamento (trasferimento dalle campagne in città) e di conseguenza della crescita cittadina non caratterizzò solo il Nord Italia ma tutta l’Europa. Il maggior numero di Comuni si

Mappa multimediale

Giurisdizione: la facoltà, da parte di una magistratura, di applicare le leggi e quindi di esercitare un potere amministrativo su un territorio.

sviluppò vicino al mare o a corsi d’acqua, che costituivano comode vie di comunicazione e permettevano alla popolazione urbana di aprirsi ai commerci, vero movente dello sviluppo comunale.

Regno di Norvegia

Estonia

Regno di Scozia

Regno di Svezia

Edimburgo

Dublino

York

Prussiani

Amburgo

Londra

Utrecht

Principati russi

Magdeburgo

Regno di Polonia

Canterbury

Oceano Atlantico

Parigi Orléans

Regno di Francia Santiago de Compostela

Regno León di León Regno di Portogallo

Regno di Navarra Burgos Pamplona

Colonia Treviri Reims Verdun Metz Toul Besançon

Avignone Arles

Barcellona

Cordova

D

o

m

in i

Città di origine preromana Città di origine romana Città di fondazione altomedievale

Cracovia

Praga

Magonza

Sacro Ratisbona romano impero

Aquileia Milano Bologna

Venezia Ravenna

Zara Spalato

Pisa

Ragusa Serbia

Spoleto Orvieto Roma

Patrimonio di San Pietro

Bari Napoli

Durazzo

Regno di Sicilia de gl i A lmo hadi

Cumani

Regno d’Ungheria

Salisburgo

Cluny Lione

Regno di Aragona

Regno di Castiglia Toledo

Siviglia

Tolosa Narbona

Lituania

Danzica

Regno Galles d’Inghilterra

Rouen

Mar Baltico

Regno di Danimarca Lund

Mare del Nord

Irlanda

Palermo

Mar Mediterraneo

Bulgari

Impero bizantino

Atene

Mar Nero

Costantinopoli

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La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

I Comuni e le monarchie nazionali Il motivo per cui le monarchie nazionali – soprattutto in Francia e in Inghilterra – accettarono di concedere alle città alcune autonomie giurisdizionali è presto detto: esse cercarono di utilizzare il ceto borghese e i Comuni contro i ceti nobiliari, che aspiravano ad accrescere il frazionamento politico prodottosi con il feudalesimo. In altre parole, indebolendo i signori locali, la Corona utilizzò le città per riprendere almeno in parte il controllo del territorio. In Germania, invece, le città restarono sotto il controllo del potere vescovile o delle dinastie ducali che si erano affermate con la crisi del potere imperiale. Anche dopo l’istituzione di assemblee locali (nella seconda metà del xii secolo), esse non raggiunsero mai la piena autonomia politica.

Comuni Nord Italia � approfittano dalla debolezza del potere centrale e locale � hanno una composizione sociale composita � esercitano potere anche sul contado Nord Europa � ottengono parziali autonomie dal potere centrale � hanno una composizione sociale omogenea � limitano la propria giurisdizione entro le mura

I Comuni dell’Italia meridionale Anche nell’Italia meridionale sorsero dei Comuni, aventi caratteri analoghi a quelli d’oltralpe: i re normanni [→ cap. 2, p. 000], pur riconoscendo alle città qualche franchigia, repressero ogni loro tentativo di ottenere piena autonomia politica. Ciò che differenziò inoltre le città meridionali da quelle settentrionali fu soprattutto la mancanza di un forte ceto borghese, capace di promuovere traffici e gestire attività manifatturiere importanti, o di esercitare la propria influenza nelle campagne. I Comuni rustici Nelle campagne e nelle valli montane si formarono i cosiddetti Comuni rustici: si trattava di villaggi di soli lavoratori della terra che riuscirono a ottenere dall’autorità locale (un feudatario o una città), dietro pagamento di un riscatto, il riconoscimento di specifici diritti, quali il libero uso del bosco, dei corsi d’acqua, dei forni e dei mulini. Grazie all’omogeneità degli interessi dei loro abitanti, legati esclusivamente alle attività agricole e pastorali, i Comuni rustici godettero di una pace interna che i Comuni cittadini non poterono mai sperimentare.

→D Nome autore Titolo titolo titolo

Vedere la storia I Comuni e le signorie italiani

▶ La leggenda dell’arciere di fuoco di Jacques Tourneur

(Usa, 1950) genere: storico/avventuroso interesse cinematografico: ★★ interesse storico: •• durata: 88 min. trama: sui monti della Lombardia un eroico cacciatore organizza la rivolta contro un feudatario dell’imperatore Federico Barbarossa (1122-190).

4.2

▶ Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli (Italia, 1968)

genere storico/drammatico interesse cinematografico: ★★★ interesse storico: ••• durata: 152 min. trama: trasposizione dell’omonima tragedia (1594-95) di William Shakespeare, ambientata a Verona al tempo della signoria di Bartolomeo Della Scala, al potere dal 1301 al 1304.

Le fasi di sviluppo e le tipologie del comune italiano

I conflitti interni ai Comuni I primi ordinamenti di autogoverno si affermarono soprattutto nelle città che erano state sedi vescovili, maturando al limite della legalità, senza alcun riconoscimento giuridico. In alcuni casi, fu lo stesso vescovo a legittimare queste associazioni private e a farle entrare nell’ordinamento cittadino; in altri, invece, furono i cittadini a imporsi sul proprio vescovo, privandolo con la forza delle sue funzioni ed estromettendolo a poco a poco dal governo della città. Si trattò comunque di un processo burrascoso e di regola non pacifico. La de-


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L’età dei Comuni

bolezza del potere centrale si traduceva infatti in uno stato di perenne conflitto tra i sostenitori della fazione filo-imperiale e di quella filo-papale, spesso facenti capo a due vescovi differenti, l’uno di nomina regia, l’altro investito dal papa. Ambrogio Lorenzetti

D 2 Allegoria del cattivo governo il contesto Commissionati dal governo di Siena, allora presieduto da nove cittadini, il ciclo di affreschi di Lorenzetti si compone di 4 scene: effetti e allegoria del buon governo, effetti e allegoria del cattivo governo. Il loro fine era di ispirare e ammonire i membri del governo che si sarebbero riuniti nella sala affrescata. perché lo leggiamo Il ciclo di affreschi testimonia gli ideali filosofici e politici del tempo. Dal carattere esplicitamente didascalico (tanto che è possibile identificare molte figure grazie ai cartigli che ne riportano la descrizione), l’opera non si limita a descrivere un’epoca, ma anche la sua mentalità e le sue aspirazioni, ed è perciò tanto più significativo il suo carattere laico, non religioso.

↓ A. Lorenzetti, Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo, 1338-39, affresco, Siena, Palazzo Pubblico, Sala dei Nove. Particolare dell’allegoria del cattivo governo)

Al centro della scena, in dimensioni maggiori in proporzione alla sua importanza, troneggia l’allegoria della Tirannide, che posa il piede su una capra, incarnazione del diavolo.

La diabolica “trinità” che circonda la Tirannide è composta da Avarizia (con l’uncino e due borse), Superbia (con il giogo) e Vanagloria (con lo specchio). Il corteo della Tirannide è composto da: Crudeltà, Tradimento, Frode, Furia, Discordia.

Ecco un passaggio del testo poetico posto a commento dell’intero ciclo: «dove è tirannia è gran sospetto, / guerre, rapine, tradimenti e ‘nganni. / Prendasi signoria sopra di lei / E pongasi la mente e lo intelletto / in tener sempre a iustitia

Analisi guidata comprendere 1. Qual è, secondo Lorenzetti, la causa principale del cattivo governo? 2. Qual è, invece, l’esito inevitabile del cattivo governo?

suggietto / ciascun, per ischifar sì scuri danni, / abbattendo e’ tiranni; / e chi turbar la vuole sie per suo merto / discacciat’ e diserto / insieme con qualunque sia seguacie, / fortificando lei per vostra pace».

In un cattivo governo, questa è la fine del cittadino giusto: fatto prigioniero e reso incapace di compiere buone azioni.

analizzare 3. Il ciclo di affreschi del buono e del cattivo governo alterna due scene realistiche e due allegorie. Cerca in internet le 4 sequenze e confrontale, motivando secondo il tuo parere la scelta stilistica di Lorenzetti.

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La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

La prima fase: consolare Gli abitanti più influenti delle città si staccarono dalla figura del vescovo e crearono assemblee non elettive, che chiamarono «arenghi» o «concioni», distaccate fisicamente dalla cattedrale. Questi cittadini nominarono come loro rappresentanti temporanei dei consoli (consules), il cui numero poteva variare da un minimo di due a un massimo di ventiquattro e il cui incarico generalmente durava un anno, per impedire loro di sviluppare un potere personale. Essi si impegnavano, prestando giuramento davanti alla cittadinanza, a governare tutelando il bene comune [→ D3]. In pratica i loro compiti erano i seguenti: far applicare le leggi, assumere il comando dell’esercito in caso di guerra, promuovere la realizzazione delle opere di pubblica utilità, organizzare la riscossione dei tributi, vigilare su fiere e mercati, nonché sull’emissione della moneta. Il primo ordinamento comunale fu dunque quello consolare, di cui si hanno le prime testimonianze alla fine dell’xi e inizio del xii secolo in città come Pisa (1081), Lucca (1085), Asti (1095), Milano (1097), Genova (1099), Cremona (1122), Bologna (1123) e Perugia (1131). L’evoluzione del Comune consolare Il potere dei consoli era limitato dal parlamento cittadino, l’arengo, formato da tutti coloro che godevano dei diritti politici. Tuttavia, diventando l’arengo sempre più numeroso, si ritenne opportuno convocarlo solo nei casi più gravi e sostituirlo con un organismo ristretto, il Consiglio di credenza, capace di trattare le questioni più delicate con maggiore prontezza e segretezza. Questo Consiglio fu costituito dai cittadini più influenti che appartenevano al ceto nobiliare. In una fase successiva, l’arengo, divenuto troppo numeroso, fu sostituito in alcuni Comuni da un Consiglio maggiore, composto da un numero di cittadini che poteva variare da 300 a un massimo di 600. Il governo consolare ebbe vita breve, perché il predominio della classe nobiliare, peraltro divisa in fazioni sempre in conflitto, fu presto insidiato dall’avanzata delle classi popolari, costituite dai ricchi mercanti e dai maggiori artigiani, vale a dire i ceti che, grazie allo sviluppo del commercio, avevano acquisito una funzione sempre più importante nell’economia cittadina. Essi reclamavano maggiori garanzie contro la prepotenza dei nobili e una più larga partecipazione al governo.

Breve dei consoli di Genova

D 3 I consoli: caratteri e funzioni il contesto Il documento, databile intorno alla prima metà del xii secolo, è un «breve», ovvero la formula giurata con la quale i consoli, in questo caso di Genova, s’impegnavano a tutelare il bene comune, le istituzioni civili e religiose della città e a rispettare la giustizia, secondo il principio di collegialità del consolato. perché lo leggiamo Il documento permette di cogliere le finalità ideali del Comune consolare.

In nome di Dio, amen. Dalla prossima festa della Purificazione di santa Maria per un anno, noi consoli eletti ci impegneremo per il bene del comune e agiremo secondo l’onore del nostro arcivescovato e della nostra madre Chiesa e della nostra città, in tutte le cose mobili1, con e senza querele2, tenendo presenti gli interessi della comunità. In piena consapevolezza non pregiudicheremo l’onore della nostra città, né gli interessi e l’onore della nostra madre Chiesa. Non pregiudicheremo i diritti di alcuno dei nostri concittadini, ma osserveremo e terremo fermi i dettami della giustizia, secondo quanto valuteremo essere meglio in base alla ragione e in buona fede [...]. Da solo non farò giu1. cose mobili: le questioni finanziarie.

2. querele: le lamentele.

In tutti i documenti di datazione medievale continua a essere presente, come una formula fissa, il riferimento a Dio, chiamato in causa come se dovesse «presiedere» ogni attività umana. Il bene del Comune è l’obiettivo dell’istituzione comunale. Nasce come «messa in comune» di diritti e privilegi delle comunità urbane, bisognose di tutela politica per le attività e i loro interessi.


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rare un testimone in città o nei sobborghi, né gli chiederò conto di un giuramento fatto, se non in presenza di altro console, anche quando mi trovassi fuori città per questioni inerenti al mio ufficio consolare. (Codice diplomatico della Repubblica di Genova, vol. I, a cura di C. Imperiale, Istituto Storico italiano per il Medioevo, Roma 1936, pp. 154-55)

Analisi guidata comprendere 1. Fai la schedatura del documento secondo lo schema proposto nell’Introduzione [→ p. 000]. 2. Qual è l’obiettivo che i consoli devono perseguire? 3. Qual è la durata di una magistratura?

L’età dei Comuni

È il principio della collegialità, fondamentale nella «democrazia» comunale, per il quale il potere non è detenuto da uno solo, ma più persone si controllano a vicenda.

analizzare 4. Quali sono i parametri in base ai quali i consoli si propongono di tener fermi i dettami della giustizia? A tuo parere, tali parametri costituiscono dei criteri di valutazione oggettivi?

Seconda fase: podestarile Così, verso la fine del xii secolo, in molti Comuni dell’Italia settentrionale si ricorse alla nomina di un magistrato unico, il podestà, scelto tra i cittadini. In seguito, si preferì nominare un podestà forestiero, che offriva maggiori garanzie di imparzialità [→ D4]. Il podestà (dal latino potestas, «autorità», «potere») era un amministratore, un tecnico della politica, che veniva assunto per un periodo compreso tra i sei mesi e i due anni, per garantire l’ordine pubblico, presiedere i consigli del Comune ed eseguirne le deliberazioni (il potere legislativo rimaneva infatti competenza dei consigli cittadini), amministrare la giustizia e guidare l’esercito in guerra. Egli poteva avvalersi di un gruppo di funzionari scelti (famigli), che collaboravano con lui nelle funzioni di governo. Al momento dell’assunzione dell’incarico, doveva giurare fedeltà allo Statuto comunale, ossia l’insieme delle norme che regolavano la vita e l’organizzazione del Comune; allo scadere del mandato, doveva sottoporsi al controllo di un Consiglio di sindaci e rendere conto del proprio operato. Il periodo podestarile rappresentò una fase di difficile equilibrio tra le classi, in cui i contrasti, i disordini civili, le rivalità sociali e personali furono tuttavia, come sostiene lo storico Roberto Sabatino Lopez (1910-1986), segno di vitalità e di democrazia. La questione della «democrazia comunale» Il sistema podestarile portò a nuovi mutamenti interni che aprirono le magistrature comunali al «popolo» [→ T3], ovvero quella che noi oggi chiamiamo borghesia, e che allora era detta più precisamente «popolo grasso», cioè il ceto dei ricchi mercanti, degli imprenditori e degli artigiani più importanti. Da esso si distingueva il «popolo minuto», che invece comprendeva piccoli artigiani, popolani salariati e contadini affluiti all’interno delle mura urbane, che non erano ammessi alla partecipazione politica. Per questo motivo, quando si parla di «democrazia comunale», bisogna tenere bene a mente che essa era appannaggio di un numero ristretto di persone, e non confonderla con la democrazia in senso moderno [→ Sic et non].

↓ A. Lorenzetti, Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo, 1338-39, affresco, Siena, Palazzo Pubblico, Sala dei Nove. Particolare dell’allegoria del cattivo governo)

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La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

G. Villani, Nuova Cronica, libro V, 32

D 4 L’elezione del primo podestà di Firenze il contesto Tra la fine del xii e l’inizio del xiii secolo, in molte città il governo consolare fu sostituito da quello podestarile, a causa della pressione dei ceti popolari e borghesi, che reclamavano una più larga partecipazione al governo comunale. perché lo leggiamo Giovanni Villani (1276-1348), un mercante e cronista fiorentino, racconta questa trasformazione istituzionale nella propria città.

Negli anni di Cristo 1207 i fiorentini ebbono la prima signoria forestiera, ché fino allora s’era retta la città con signoria di consoli cittadini de’ maggiori e migliori della terra, col consiglio del senato, cioè di cento buoni uomini; e detti consoli al modo di Roma tutto guidavano e governavano la città e rendean ragione e facevan giustizia e durava loro ufficio1 un anno. E erano quattro consoli mentre che la città fu a quartieri, per ciascuna porta uno; e poi furon sei, quando la città si partì a sesti2; ma li antichi nostri non facean menzione di tutti i nomi, ma dell’uno di loro di maggior stato e fama, dicendo: al tempo di cotale console e di suoi compagni. Ma poi, cresciuta la città di gente e di vizi e facendosi più malefíci3, sì s’accordarono per meglio del comune acciocché i cittadini non avessero sì fatto incarico di signoria, né per prieghi, né per tema o per disservigio o per altra cagione non mancasse la giustizia4 e ordinarono di chiamare uno gentile uomo d’altra città, che fosse loro podestà per un anno e rendesse le ragioni civili5 co’ suoi collaterali e giudici e facesse le esecuzioni delle condennagioni6 e giustizie corporali. E il primo che fu podestà in Firenze fu nel primo anno Gualterotto da Milano e abitoe7 al vescovado, imperciocché ancora non avea palazzo di comune in Firenze. (G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Fondazione Pietro Bembo, Guanda, Parma 1991) 1. ufficio: carica. 2. sesti: la suddivisione della città in sei porzioni dava origine ai sestieri, così come quella in quattro originava i quartieri, un termine poi entrato nell’uso per indicare in generale le suddivisioni amministrative interne a una città. 3. malefíci: azioni riprovevoli.

4. né per prieghi ... la giustizia: affinché la giustizia non venisse meno per raccomandazioni, per paura di ritorsioni, per scarsa cura o per qualunque altra ragione. 5. rendesse le ragioni civili: si occupasse degli affari della città. 6. condennagioni: condanne. 7. abitoe: abitò.

Analisi guidata comprendere 1. Fai la parafrasi del brano in italiano moderno. 2. Per quale motivo i consoli furono sostituiti dal podestà? analizzare 3. Quale immagine restituisce il cronista del periodo consolare di Firenze? 4. Quali passaggi del testo, invece, lasciano trapelare una certa ammirazione di Ottone? → Simboli delle Arti e dei mestieri della città di Orvieto, 1602, dipinto su legno. Da sinistra a destra, dall’alto in basso: medici, lanaioli, mercanti, spezieri, fabbri, sarti, calzolai, falegnami, scalpellini,

muratori, funai (fabbricatori e venditori di funi), orafi, tessitori, barbieri, pellicciai, guantai, ottici, pizzicagnoli, ortolani, portatori d’acqua, vasai, mugnai, fornai, tintori, armaioli, falconieri, panettieri, linaioli, macellai, vinai.

I Comuni ricorsero a un podestà forestiero per sanare le discordie interne e assicurare una conduzione del potere meno faziosa, più equanime.

Nel palazzo comunale continuarono a risiedere le magistrature collettive.


capitolo 4

L’età dei Comuni

Il Comune del popolo Verso la fine del xii secolo, per tutelare i propri diritti e i propri interessi, il popolo grasso si organizzò in associazioni di mestiere, dette Arti, che riunivano quanti esercitavano una determinata attività economica o una professione. Si trattò inizialmente di associazioni private che si trasformarono gradualmente in veri e propri organi del Comune, con finalità politiche. Contemporaneamente, il popolo grasso diede vita a compagnie armate, chiamate «società delle armi», la cui finalità era la difesa della città. Esse comprendevano gli iscritti alle Arti e i loro familiari e si contrapponevano alle consorterie nobiliari (societates militum), che da tempo si erano costituite come centri di potere autonomi, con propri consoli e un proprio podestà. Il sistema di governo «doppio» Si venne a creare così nel corso del xiii secolo un sistema di governo che può definirsi «doppio», in cui convivevano il comune podestarile, sostenuto dai nobili, e il comune del popolo, i cui rappresentanti erano i cosiddetti «anziani» o «priori delle Arti». Questi ultimi costituirono una magistratura collegiale che col tempo fu affiancata da un capitano del popolo con funzioni corrispondenti a quelle del podestà. Origine

Prima fase

Seconda fase

Terza fase

il Comune nasce con un patto giurato privato che, nel tempo, assume valore pubblico

il Comune consolare, organizzato in un’assemblea (arengo) in cui i cittadini più eminenti nominano dei consoli

il Comune podestarile, in cui i consoli sono sostituiti da un podestà, spesso forestiero

il governo doppio caratterizzato da compresenza di Comune podestarile e del popolo

TENDENZE

La crescita della città il fenomeno Il cambiamento più rilevante per la storia dell’Europa medievale, che influenzò anche il mondo moderno, fu la crescita delle città. Se nel x secolo la società europea era essenzialmente agricola; tre secoli dopo si era trasformata in società urbana: la città era divenuta cioè il centro della vita sociale, economica e culturale. Come era organizzata la vita cittadina? Nate con origini e caratteristiche differenti, le città (alcune sviluppate su preesistenti insediamenti romani, altre cresciute spontaneamente, oppure sorte sulla base di un piano deliberato), erano accomunate da un elemento fisico: le mura. Esse non servivano solo per la difesa, ma distinguevano il territorio cittadino dalla campagna: l’accesso alla città, infatti, avveniva attraverso le porte, che al tramonto venivano chiuse. La città tuttavia non finiva con le mura: attorno a esse si estendevano i corpi santi, ossia le proprietà in campagna di chiese e conventi. Con il rapido sviluppo demografico le cinte murarie si dimostrarono insufficienti a ospitare la popolazione, sicché sorsero al di fuori di esse i sobborghi, che ospitavano i nuovi cittadini. Un altro elemento distintivo della città erano i numerosi corsi d’acqua: fiumi, torrenti, canali, oltre a fornire

→ Atlante geostorico p. 000

l’acqua alle popolazioni, azionavano i mulini e mettevano in moto le macchine degli artigiani. Inoltre erano una fondamentale via di comunicazione: Milano, ad esempio, era attraversata da tre fiumi e canali navigabili (i navigli). Nella città comunale non esisteva alcun «centro» della vita collettiva: le diverse funzioni erano distribuite nel tessuto urbano. Questa organizzazione policentrica era dovuta allo sdoppiamento della funzione religiosa e politica: fino al xii secolo entrambi queste funzioni si svolgevano nell’area della cattedrale, ma dalla prima metà del Duecento i Comuni si dotarono di un palazzo pubblico e ciò determinò la divisione del sistema urbano in un polo civile e uno religioso, ciascuno con un proprio spazio antistante la piazza. A questo tipo di organizzazione urbana contribuirono gli ordini religiosi che sorsero nel xiii secolo [→ cap. 5]: le loro chiese e conventi, una volta dentro le mura, diedero impulso a nuove aggregazioni dell’abitato in quartieri, unità dotate di propri caratteri distintivi (parrocchia, piazza). Il policentrismo delle città dipese anche dal fatto che l’abitazione familiare era al contempo luogo di lavoro e di residenza e che di conseguenza le botteghe e i laboratori di uno stesso settore si aggregavano nel medesimo quartiere e nella stessa via, la quale prendeva il nome dal mestiere prevalentemente esercitato (via dei lanaioli, via degli orefici ecc.). Non solo le famiglie artigiane, ma an-

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La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

VEDERE LA STORIA

Il Medioevo smitizzato: Il leone d’inverno

▶ Il leone d’inverno di Anthony Harvey (Regno Unito, 1968) genere: storico/avventuroso interesse cinematografico: ★★ interesse storico: • durata: 135 min.

Il contesto cinematografico: la crisi dell’epica medievale

Alla fine degli anni Sessanta, all’epoca della contestazione giovanile, che negli Usa si intreccia con la protesta contro l’imperialismo americano e la Guerra del Vietnam (1964-75), il ciclo cinematografico di esaltazione dei cavalieri medioevali si interrompe bruscamente. Nuovi gruppi sociali, come quello dei «giovani», mettono in discussione anche le rappresentazioni tradizionali offerte dalla cultura e dallo spettacolo. L’obiettivo è quello di deridere gli eroi e il mito. La Guerra del Vietnam e la riscoperta delle rivendicazioni degli indiani d’America insinuano qualche dubbio sul valore della cavalleria. Essa è criticata anche dal movimento femminista, secondo il quale l’etica cavalleresca incoraggerebbe le donne a essere fragili e dipendenti, spingendo i cavalieri a trattarle come se si trovassero in uno stato perpetuo di vulnerabilità. Secondo le tesi espresse dalla scrittrice francese Simone de Beauvoir (1908-86) in Il secondo sesso (Le Deuxième Sexe, 1949), la cavalleria – da cui derivano certi princìpi che regolano ancora oggi i rapporti fra i due sessi – sarebbe omofoba, sessista, classista e discriminatoria.

La vicenda storica: Enrico II Plantageneto

Il film inglese di Antony Harvey (n. 1931), Il leone d’inverno (The Lion in the Winter, 1968), tratto da una commedia del 1964 di James Goldman (1927-98), è del tutto avulso da ogni simpatia per i cavalieri o per i crociati. Il protagonista del film è il re d’Inghilterra Enrico II Plantageneto (1133-89), interpretato da Peter O’Toole. Ricordiamo che per una serie di fortunate circostanze, il re d’Inghilterra Enrico II (1133-89), iniziatore del ramo dei Plantageneti, possiede più di metà della Francia: dalla madre eredita la Normandia, dal padre l’Angiò e dalla moglie Eleonora (1122-1204) l’Aquitania, diventando così il sovrano più potente d’Europa. Enrico II intende rafforzare con ogni mezzo l’autorità regia. A questo scopo, con le Costituzioni di Clarendon del 1164, stabilisce l’influen-

↑ Locandina del film Il leone d’inverno di A. Harvey (Regno Unito, 1968).

za del re sull’elezione dei vescovi e sottopone il clero ai tribunali regi anziché a quelli ecclesiastici. L’arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra Thomas Becket si oppone a tali provvedimenti. Per questo, nel 1170 è assassinato nella cattedrale di Canterbury da quattro cavalieri normanni che, presumibilmente, pensano di interpretare la volontà del loro sovrano. Dopo questo assassinio, Enrico II deve prestare dinanzi al legato papale.

La trama: la smitizzazione della storia

Siamo alla vigilia di Natale del 1183. Enrico II riunisce nel suo castello di Chinon la moglie Eleonora d’Aquitania (Katharine Hepburn) e i suoi tre figli Riccardo, il futuro Cuor di Leone (Anthony Hopkins), Goffredo (John Castle) e Giovanni (Nigel Terry), per scegliere l’erede al


capitolo 4

trono. Costui dovrà poi sposare Alice Capeto (Jane Merrow), già amante del re. Alla riunione viene chiamato, per il consenso alle nozze di Alice, il fratello di lei, Filippo II di Francia (1165-1223), interpretato da Timothy Dalton. Si scatenano così intrighi e invidie che mettono in luce la meschinità del sovrano e dei membri della sua famiglia, in preda a comportamenti passionali come l’incesto, la sodomia, il parricidio e il tradimento. La smitizzazione della dinastia dei Plantageneti, enfatizzata per venire incontro ai nuovi gusti del pubblico che non ama più gli eroi senza macchia e senza paura, non è però sufficiente a garantire l’attendibilità storica del film di Harvey: infatti, Il leone d’inverno si risolve in un’improbabile e logorroica commedia dai toni borghesi (ambientata, però, nel xii secolo!). Sulle vicende dei Plantageneti, da Enrico II a Riccardo Cuor di Leone (1157-99) esiste una dettagliatissima cronaca di Ruggero di Howeden (?-1201); tuttavia, «la vicenda narrata da Anthony Harvey ha ben poco a che vedere con la realtà storica» (S. Bertelli, cit., p. 175). Harvey vorrebbe rileggere La critica: la storia in una chiave inil tradimento timista e privata, ma ladella storia scia troppo spazio all’esibizione divistica dei due interpreti principali, Peter O’Toole e Katherine Hepburn (peraltro premiata con l’Oscar), che si muovono – come nota Sergio Bertelli – senza alcuna regalità, litigano come due plebei, e non hanno la più vaga idea di come si muovessero, gesticolassero o parlassero due monarchi medioevali. «Peter O’Toole/Enrico II, con una gamba sul bracciolo del seggiolone e sorseggiando da una coppa di metallo tenuta come si terrebbe oggi un cognac, discute con Timothy Dalton/Filippo II di Francia, chiamato a sancire le nozze della sorella Alice davanti a un camino fiammeggiante (siamo nel 1183). An-

che in questa scena, la caccia all’errore è aperta. I seggioloni sui quali entrambi i re siedono appaiono di foggia seicentesca; il camino […] non è conosciuto prima del Trecento. Ma è soprattutto il tipo di recitazione che è fasullo» (ivi, p. 177). Infatti, i sovrani del Leone d’inverno si comportano in modo troppo disinvolto. Bertelli ricorda che i monarchi dell’occidente europeo, per il loro carattere divino e la sacralità conferita loro con l’unzione, sono degli esseri distanti e inaccessibili. Come l’imperatore romano, essi sono dei semidei, o – trattandosi di monarchi cristiani – dei vicari di Cristo. Non si può rivolgere loro la parola, né essi rispondono in udienza, se non attraverso i loro ministri. Il suddito non può nemmeno guardare in viso il sovrano, per paura del malocchio: ci si può rivolgere al re solo guardando di lato. Evidentemente, lo spettatore del Leone d’inverno non può capire in alcun modo la distanza sacrale che divide il sovrano dai suoi sudditi, se segue la recitazione in chiave moderna e spregiudicata offerta da Peter O’Toole e da Katherine Hepburn. Insomma, il nuovo approccio “critico” del cinema ai temi cavallereschi non implica un significativo progresso del genere storico. Anzi: gli anacronismi rimangono, e si perde quasi del tutto il fascino dell’avventura, che per lo meno è presente nei la scheda continua online film in costume medioeRobin e Marian di R. Lester (Regno Unito-Usa, 1976) vale degli anni Cinquanta

Attività

↑ Simboli delle Arti e dei mestieri della città di Orvieto, 1602, dipinto su legno.

L’età dei Comuni

Il film storico come racconto del passato 1. Quale immagine del re Enrico II è proposta nel film Il leone d’inverno? 2. Perché la recitazione degli attori Peter O’Toole (Enrico II) e Katherine Hepburn (Eleonora d’Aquitania) secondo S. Bertelli non è consona al loro ruolo di sovrani? Il film storico come documento dell’epoca di produzione 3. Perché, alla fine degli anni Sessanta, all’epoca della contestazione giovanile, si interrompe bruscamente il ciclo cinematografico di esaltazione dei cavalieri medioevali? 4. Perché il film Il leone d’inverno è una significativa testimonianza dello spirito contestatore che nel 1968 comincia a trapelare anche nelle opere cinematografiche a sfondo storico? Da ieri a oggi 5. L’epica medievale è tornata oggi nuovamente in auge, ma in una chiave ancora differente: quale? Che informazione ci restituisce del nostro atteggiamento nei confronti del passato? Discutine in classe facendo esempi concreti.

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La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

Cittadinanza e costituzione

Cittadinanza e riconoscimento dei diritti La cittadinanza: un concetto antichissimo

Nell’Alto Medioevo il concetto di cittadinanza, che aveva avuto larga diffusione e uso nelle poleis greche e nella Roma repubblicana e imperiale, si perse per riemergere prepotentemente dopo l’anno Mille con il fiorire, in pieno Basso Medioevo, dei comuni. Vi erano naturalmente molte differenze tra città e città, nella definizione di ciò che garantiva la cittadinanza. Quasi sempre però bisognava possedere la terra nel contado controllato dal comune e avere un’abitazione entro le mura cittadine. Queste erano condizioni che riguardavano inizialmente solo gli aristocratici e gli ecclesiastici. Con l’ascesa sociale della borghesia e la sua conquista lunga e tenace del diritto di governare il comune, la cittadinanza divenne uno status a cui poteva aspirare un numero maggiore di persone. Il cittadino nell’alto Medioevo acquisiva il diritto di partecipare alla vita politica della città accedendo ai consigli e alle assemblee che governavano il comune e venendo eletto alle cariche pubbliche. A lui, d’altro canto, spettava il dovere di pagare le imposte e, quando necessario, l’onere della difesa armata della città. A compendio di quanto abbiamo appena detto possiamo leggere le promesse cui nel 1157 il nobile Ranuccio di Staggia obbligò se stesso e i figli, all’atto di acquisizione della cittadinanza di Siena:

i senesi e i loro beni; li aiuteremo nelle « Difenderemo guerre che stanno combattendo e che combatteranno

[…]. Daremo i nostri castelli ai senesi perché vi abitino, li recuperino e vi facciano la guerra […]. Abiteremo in Siena […] due mesi all’anno in tempo di pace con le nostre mogli e in tempo di guerra staremo agli ordini dei consoli. Faremo giurare tutti i militi della nostra terra, le nostre guardie […].

Il concetto moderno di cittadinanza

Oggi con il termine cittadinanza si indica il vincolo di appartenenza di un individuo a uno Stato e l’insieme di diritti e doveri che questa appartenenza comporta. Nel corso dei secoli

Il punto ▶▶Chi erano i cittadini nel Medioevo? ▶▶Che cosa significa essere cittadini di uno Stato oggi? ▶▶Come si acquisisce la cittadinanza italiana? ▶▶Che cosa vuol dire «cittadinanza» nel mondo globalizzato?

XVIII-XX i diritti di cui godono i cittadini sono andati sempre piú definendosi grazie all’elaborazione di Costituzioni democratiche che tutelano le libertà fondamentali (l’integrità della persona, la libertà di pensiero ecc.), i diritti politici (il diritto di voto, per esempio) e i diritti sociali (il diritto all’istruzione, alla salute ecc.). Perché ogni individuo possa effettivamente godere di questi diritti è fondamentale dunque che egli sia in possesso di una cittadinanza, come stabilisce l’articolo 15 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (1948) che all’articolo 15 stabilisce: individuo ha diritto ad una cittadinanza. Nessun « Ogni individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

Esistono tuttavia delle persone che non possiedono alcuna cittadinanza. Si tratta dei cosiddetti apolidi, cioè persone a cui lo Stato ha tolto la cittadinanza per motivi che devono però essere definititi dalla legge o perché vi hanno rinunciato volontariamente.

Il diritto di cittadinanza in Italia

La nostra Costituzione si occupa di cittadinanza espressamente all’articolo 22 laddove si afferma che nessuno può esserne privato per motivi politici. Nel redigere questo articolo i padri costituenti intendevano impedire che si ripetessero ancora gli abusi commessi durante il fascismo, quando il regime privò della cittadinanza gli oppositori politici in esilio e limitò fortemente i diritti dei cittadini di ascendenza ebraica che, con l’emanazione delle leggi razziali nel 1938, furono discriminati e perseguitati. Come recita la legge, gli italiani possono essere privati della cittadinanza da parte dello Stato solo in casi tassativamente indicati, per esempio quando accettino un impiego pubblico o svolgano il servizio militare per un Paese straniero e non rispondano all’intimazione del nostro Governo di declinare l’incarico o abbandonare il servizio armato.


capitolo 4

Come si diventa cittadini italiani?

Le leggi fondamentali dello Stato in tema di cittadinanza furono emanate nel 1912 e nel 1992. Esse si attengono a due criteri:

quello (prevalente) dello ius sanguinis, cioè «diritto di sangue», in base al quale è cittadino italiano chi ha uno o entrambi i genitori italiani; ▪▪

▪▪ quello dello ius soli, cioè «diritto del suolo», in base al quale è cittadino italiano chi nasce in territorio italiano se i genitori sono ignoti o apolidi.

A questi due criteri si aggiunge il volere dello straniero o dell’apolide. Egli può chiedere la cittadinanza se è marito o moglie di un cittadino italiano, se ha prestato servizio alle dipendenze dello Stato italiano, anche all’estero, se risiede legalmente e ininterrottamente sul territorio italiano da un certo periodo di tempo: in quest’ultimo caso, il termine necessario è di dieci anni per lo straniero e di cinque per l’apolide. Chiesta e ottenuta la cittadinanza, essi vengono «naturalizzati» italiani. Infine, va considerato il caso dei figli degli stranieri che vivono in Italia. La legge infatti stabilisce che diventa cittadino italiano, al compimento della maggiore età, il bambino nato nel nostro Paese da non italiani. Su tale norma il dibattito è accesissimo, perché essa rende assai lunga e difficile l’integrazione nella nostra società di giovani che, pur nati e cresciuti in Italia, vengono considerati stranieri dalla legge. La proposta piú discussa attualmente è quella di accorciare questo termine di tempo, in modo da concedere la cittadinanza prima della maggiore età. La questione della cittadiLa necessità di un nuovo concetto nanza è uno dei nodi piú delicati del vivere contemdi cittadinanza

poraneo, soprattutto per la grande mobilità assunta oggi dall’uomo, che porta decine di milioni di individui, in tutto il mondo, a stabilirsi in un Paese diverso da quello d’origine, di cui però non sono cittadini e dove non godranno dei diritti legati alla cittadinanza. Anche per queste ragioni nel nostro Paese si discute attualmente della possibilità di «mitigare» la legge per l’acquisizione della cittadinanza italiana – tra le piú severe – dando maggiore spazio al criterio dello ius soli o a quello dell’integrazione culturale, in base al quale la cittadinanza potrebbe essere concessa a bambini che, nati da genitori stranieri, abbiano frequentato regolarmente e con successo un certo percorso scolastico nel nostro Paese.

La cittadinanza europea

Un esempio interessante di cittadinanza che va in parte oltre i confini dello Stato nazionale è quello della cittadinanza europea, principio introdotto nel Trattato di Maastricht del 1992 che ha dato vita all’Unione europea. L’articolo 20 del trattato

L’età dei Comuni

(che ha subito successive revisioni) afferma che: «è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro». Esso stabilisce che i cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati e hanno, tra gli altri, il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono. Alcuni giuristi, tuttavia, affermano che anche la cittadinanza europea, come quella nazionale, resta un «bene esclusivo» che riguarda alcune categorie di persone (i cittadini dell’Unione) e non altre. Va però riconosciuto che essa è un primo tentativo di concepire la cittadinanza – anche se limitatamente allo spazio europeo – come un insieme di diritti che ogni individuo porta con sé, in qualunque luogo abbia scelto di vivere.

dibattito

dEbatE

Leggi il brano che proponiamo di seguito e, anche sulla base di quanto appena letto, organizza con i compagni un dibattito sul tema: quale significato ha oggi la parola cittadinanza? alcuni autori va emergendo una cittadinanza « Per postnazionale che consente di superare i limiti

della cittadinanza moderna. I diritti di cittadinanza tendono a essere ridefiniti nei termini di diritti umani (o di diritti individuali universali), che sono affermati e protetti a livello transnazionale, se non globale. I confini della comunità politica risultano cosí ampliati, legittimando una partecipazione «individuale», al di là di ogni specifica appartenenza. Si afferma una cittadinanza «pragmatica» che garantisce il riconoscimento di una serie di diritti anche in mancanza del riconoscimento di una cittadinanza nazionale. […] In questa prospettiva, la cittadinanza postnazionale non riguarda unicamente la costruzione di un regime di diritti umani a un livello transnazionale o globale, ma anche la possibilità di garantire libero accesso ai diritti civili, sociali e politici all’interno dello Stato-nazione per tutti i residenti legali indipendentemente dalla loro nazionalità. (da E. Colombo, L. Domaneschi, C. Marchetti, Una nuova generazione di italiani. L’idea di cittadinanza tra i giovani figli di immigrati, Franco Angeli, 2009)

Divisi in gruppi, discutete il tema confrontando le tesi di chi sostiene la «necessità» di una cittadinanza legata ai singoli Stati e quelle di chi, invece, pensa che vi sia bisogno di una cittadinanza «universale» che vada oltre i confini nazionali, senza distinzioni tra cittadini di uno Stato e non cittadini.

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La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

>>>>> sic et non <<<<< La «democrazia comunale»: fu vera democrazia?

>A

G

ià con Dante Alighieri, ma soprattutto con gli storici e scrittori dell’Ottocento, i governi comunali furono considerati l’espressione di un’età di progresso, poiché erano luoghi nei quali si discuteva a più voci dei problemi della città (come ripartire le imposte, come organizzare il sistema di difesa, come stipulare alleanze oppure come garantire riserve di grano ecc.): cioè, come oggi si dice, in modo pluralistico. Tali discussioni e decisioni erano il risultato di un confronto e di una partecipazione dei cittadini, anche se non tutte le voci erano ammesse: venivano infatti poste, nei diversi luoghi delle deliberazioni (assemblee, consigli, Arti ecc.), delle limitazioni sociali.

Era legata al possesso di beni Lo storico Roberto Sabatino Lopez, nell’opera La nascita dell’Europa, sostiene che, se si paragonano i Comuni con i contemporanei governi monarchici, essi appaiono come un esempio di «democrazia progressiva», cioè una forma di partecipazione e democrazia molto avanzata. Del resto nel 1832 lo storico e pensatore politico J. Charles Léonard Simon de Sismondi, nella sua opera Storia della nascita della libertà in Italia, ricordava come i Comuni irradiassero il sentimento di libertà e fossero l’esempio di quella inclusione sociale per la quale le deliberazioni erano prese collettivamente, dunque democraticamente. Tuttavia, va chiarito che

la “democrazia” comunale fu una democrazia legata strettamente al possesso dei beni mobili o immobili: solo chi possedeva un dato patrimonio era eleggibile alle cariche. Il popolo-borghesia era insomma ben distinto dagli strati inferiori della popolazione: ciò è ben evidente nell’usanza di distinguere il popolo grasso dal popolo minuto. (F. Gaeta, P. Villani, C. Petraccone, Storia medievale, Principato, Milano 1992, p. 119)

Fu dunque il popolo grasso delle Arti maggiori a partecipare attivamente alla vita politica cittadinanza. Il popolo minuto, rappresentato dalle Arti minori, veniva però consultato ogni volta che bisognava prendere una decisione importante per l’interesse comune.

>B

Era esercitata da una minoranza di cittadini Nei Comuni italiani del Duecento con «popolo» si definiva soprattutto la borghesia mercantile più potente. Esso si contrapponeva alla nobiltà, che costituiva il vecchio potere feudale. Pertanto,

la partecipazione politica che i regimi comunali offrono ai propri cittadini riguarda: una minoranza degli abitanti delle città (nei casi più felici il 20 percento della popolazione): ne rimangono esclusi, oltre alle donne, anche i lavoratori manuali, gli immigrati, i servi ecc. Per questo è improprio affermare che si tratti di regimi “democratici”: nei consigli oltretutto, non si discute liberamente, ma si ratificano leggi decise in comitati ristretti. (A. Zorzi, I Comuni, in AA.VV., Il Medioevo. Cattedrali, cavalieri, città, a cura di U. Eco, Encyclomedia Publishers, Milano 2011, p. 102)

Oggi, invece, si tende ad attribuire al termine «popolo» una funzione interclassista e generale, come nell’articolo 1 della Costituzione italiana («La sovranità appartiene al popolo», ossia a tutti), mentre nel Medioevo comunale rappresentava solo una parte o «fazione».


capitolo 4

>C

L’età dei Comuni

Era instabile e conflittuale, ma vitale Infatti verso il 1200, nel Comune, soprattutto italiano, vi fu uno

scontro durissimo tra il popolo, che cominciò ora a designare tipicamente l’elemento borghese della città, e i nobili, portatori di una tradizione militare e di comando in città e fuori. C’era tra le due parti un conflitto oggettivo sul piano economico [...] e [...] cominciarono a darsi (come i guelfi e i ghibellini!) una vera e propria organizzazione istituzionale, con proprie societates di quartiere unificate a livello cittadino appunto sotto quelle due categorie: le società di popolo [...] e militum di cavalieri o nobili». (M. Ascheri, Istituzioni medievali, il Mulino, Bologna 1994, pp. 270-71)

Va ricordato infatti che, dal punto di vista storico, l’assemblea cittadina dei Comuni rappresentava solo una delle istituzioni, per quanto la principale, in cui si formava la volontà dei cittadini. Vi erano poi le confraternite, le società rionali, i clan, le corporazioni, le società armate impiegate nella milizia comunale. L’esercizio della democrazia partecipativa, ai vari livelli, era dunque il segno distintivo di una parte della società comunale, una società basata su un patto (coniuratio) tra eguali, tesa alla ricerca di quella che i cives (cittadini) definivano bonum commune, «pubblico bene». Esso era perseguito attraverso il confronto, l’opposizione spesso anche violenta, che produsse instabilità e rivalità permanente, interna ed esterna al Comune, segno di vitalità democratica.

Due opposte tendenze in definitiva si controbilanciano [...] durante il regime comunale: il persistere della coscienza di essere res pubblica e l’aspirazione egemonica delle grandi famiglie cittadine in lotta fra loro». (R. Bordone, Nascita e sviluppo delle autonomie cittadine, in La Storia, a c. di N. Tranfaglia-M. Firpo, vol. 2, t. 2, Il Medioevo, Popoli e strutture politiche, Garzanti, Milano 1993, p. 453) esame verso la scrittura documentata di stato • Individua la natura e la provenienza dei contributi critici citati. • Schematizza i tre punti di vista sul tema della «democrazia comunale» in forma di mappa concettuale o tabella. • Sfruttando il materiale di questo Sic et non e attingendo alle tue conoscenze sul tema, scrivi un elaborato di circa 3 colonne, in cui esponi anche la tua personale tesi, argomentandola.

dibattito

dEbatE

→ Cittadinanza e Costituzione pp. 000-000

• Apri un dibattito in classe sul tema La «democrazia comunale»: fu vera democrazia?. La classe si dividerà in tre gruppi, ciascuno dei quali sosterrà e argomenterà una delle tre tesi proposte. L’insegnante svolgerà il ruolo di giudice.

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fonti ] voci del tempo Statuto dell’Arte della lana di Firenze (1317-1319)

D 1 Le regole e la disciplina delle Arti: il caso di Firenze che cosa leggiamo L’Arte della lana era una delle sette Arti maggiori della città, sottoposta a controllo e disciplinamento da parte della corporazione, che supervisionava tutte le fasi e gli aspetti della produzione dei tessuti in lana. perché lo leggiamo Lo Statuto è un esempio di organizzazione delle corporazioni.

[II, 4] È stato stabilito e ordinato che nessuno, sottoposto a quest’Arte, possa o debba vendere nessun tipo di lana, stame o vello o trama1 a chi non appartenga a quest’Arte e società e non abbia un registro degli acquisti e delle vendite come pubblico artefice, sotto pena di 25 fiorini piccoli [...]. E che nessun intermediario possa commerciare o piazzare nessuno di questi prodotti per chi non appartenga a quest’Arte, sotto pena di 100 soldi di fiorini piccoli [...]. [II, 7] È stato stabilito e ordinato che nessuno possa ed abbia il permesso di cominciare ad esercitare o a far praticare il lanificio in qualità di lanaiolo o stamaiolo, se non dopo aver ottenuto la licenza dei consoli e consiglieri di detta Arte […]. [II, 18] Poiché a causa delle frequenti illecite operazioni d’acquisto e di vendita di prodotti e mercanzie dell’Arte della lana, fatte in segreto, senza l’intervento degli intermediari e l’uso della pesa del Comune di Firenze, si commettono molti furti e illecite estorsioni, a danno e pregiudizio non lieve della predetta Arte e dei suoi componenti, è stato stabilito e ordinato che, allo scopo di far cessare e di evitare che si verifichino tali furti, tutti i mercanti di quest’Arte [...] siano obbligati a tenere uno o più pubblici libri sui quali registrare o far registrare, una per una, tutte le operazioni di acquisto e di vendita [...], sotto pena di 10 lire di fiorini piccoli d’ammenda per ogni omessa registrazione. [...]

[II, 19] […] Stabiliamo e sanciamo che a nessun membro di quest’Arte, a nessun artefice o gruppo di artefici, uomini e membri dell’Arte predetta, in nessuna forma, a nessun diritto né ad alcun altro titolo, sia lecito, possibile e consentito costituire, organizzare, formare e far funzionare alcun cartello2, associazione, accordo, conventicola3, regolamento, compagnia, radunata e macchinazione o altro contro l’ufficio dei consoli o contro detta Arte, contro gli artefici suoi membri o contro il loro onore, giurisdizione, balia, potestà e autorità, sotto pena di 200 lire di fiorini piccoli, da pagarsi dai partecipanti ad ogni radunata o associazione e da ogni capo, console e rettore delle medesime, i quali capi, consoli e rettori saranno per sempre esclusi dall’Arte e da qualsiasi sua attività e beneficio, e sotto pena di 100 lire di fiorini piccoli da pagarsi ogni volta da ogni affiliato. [...] [II, 37] Con la presente legge, che avrà perpetuo vigore, stabiliamo e disponiamo che i panni forestieri, prodotti e fabbricati fuori della città e distretto di Firenze, non si possano vendere, né lavorare, né adattare né conciare da parte di nessuno che sia sottoposto all’Arte della lana, sotto pena di 10 lire di fiorini piccoli per ogni pezza; e che nessuno appartenente a quest’Arte marchi o faccia marcare alcuno dei panni predetti col proprio marchio di fabbrica, anche per conto di terzi, sotto la medesima pena. [...]

(Documenti e testimonianze, a cura di F. Gaeta, P. Villani, vol. 1, Principato, Milano 1983, pp. 187-89) 1. stame ... trama: vari tipi di filato.

2. cartello: accordo tra produttori per limitare la concorrenza.

Analisi guidata comprendere 1. Indica con una crocetta se le seguenti affermazioni sono vere o false. a. Non è consentito praticare l’Arte della lana V F al di fuori della corporazione. b. Solo i membri dell’Arte possono scegliere V F liberamente con chi commerciare. c. L’unica associazione professionale consentita V F è l’Arte stessa.

3. conventicola: piccola adunanza segreta.

d. Le importazioni di prodotti stranieri V F sono gravate da dazi. analizzare 2. Il sistema delle corporazioni quali interessi tutelava principalmente? 3. Perché è possibile affermare che il mercato stabilito dalle Arti è rigidamente protezionistico? 3. Perché è possibile affermare che il mercato stabilito dalle Arti è rigidamente protezionistico?


L’età dei Comuni

S.D. Goitein, Letters of Medieval Jewish Traders

D 2 I rischi della navigazione verso Oriente che cosa leggiamo All’inizio dell’xi secolo, Amalfi era uno dei porti più importanti d’Europa, dal quale transitavano merci e persone. Questa lettera fu scritta in arabo, probabilmente in Egitto, da un giovane ebreo d’Italia, forse originario di Benevento e vissuto nei dintorni di Amalfi, da dove parte il viaggio che descrive. perché lo leggiamo La lettera testimonia i rischi ai quali erano esposti i commerci navali: per tutelarsi, i mercanti ricorrevano a forme di associazione e assicurazione [→ cap. 3, p.

Ho fronteggiato la morte e pericoli insopportabili dal giorno in cui ho lasciato i miei genitori, ai quali ho disobbedito. Anche quando ho visitato Amalfi, ci sono stati problemi mentre mi preparavo a lasciare la città. Era circondata da disordini e mi chiedevo perché dovesse accadere tutto ciò. M. Hananel e M. Menahem – possano essere ricordati con migliaia di lodi – sono stati molto buoni con me. Mi hanno presentato ai mercanti, e tutti i miei beni sono stati caricati secondo le loro istruzioni. [...] Hanno anche cercato di persuaderci a non continuare nel viaggio, ma non li abbiamo ascoltati, perché quello era il nostro destino divino. Siamo arrivati a Palermo [...] e abbiamo pagato delle somme per qualunque cosa [...]. Siamo rimasti lì una settimana e abbiamo aspettato. Alla fine, abbiamo trovato una grossa barca che salpava per Alessandria, in Egitto. Abbiamo pagato la tariffa e ci siamo imbarcati prima della festa del Nuovo Anno1. Ma, nel quinto giorno del mese di Tishri2, una tempesta si è scatenata su di noi [...], per tre giorni. Il terzo giorno la barca ha iniziato ad avere delle perdite e l’acqua entrava da tutte le parti. [Abbiamo faticato molto] per ridurre il carico e per rigettare fuori l’acqua, perché l’equipaggio era molto numeroso, di circa cento persone [...]. Il mare diventava via via più grosso e la barca è stata svuotata di quasi tutto il suo carico. Tutti giacevano stremati a terra, perché nessuno aveva più energia, e [pregavano] Dio. Poi si rivolgevano al capitano e lo pregavano, dicendo «Salvaci! Riporta la nave a terra

finché dura la luce, prima che arrivi il tramonto, quando tutto sarà perduto». E tutti piangevano gridando ad alta voce. La barca fu guidata verso la costa e tutti si abbracciarono, tremanti. [...] Alla fine, la barca toccò terra e si spaccò in diversi pezzi, come un uovo si sgretola quando un uomo lo preme con due mani. I passeggeri iniziarono ad essere sommersi e i pezzi della barca galleggiavano sopra di loro. Noi tre eravamo in una cabina nella parte più alta della nave e non sapevamo come scappare. Qualcuno dal basso ci chiamò: «Venite giù in fretta, uno per volta, trovatevi un pezzo di legno e saliteci sopra, forse Dio vi permetterà di salvarvi».

(S.D. Goitein, Letters of Medieval Jewish Traders, trad. it. di L. Boschetti, Princeton UP, Princeton 1973, pp. 39-42) 1. Nuovo Anno: il capodanno ebraico, come la Pasqua cristiana, cambia data di anno in anno; cade in settembre.

Analisi guidata comprendere 1. Quali pericoli sono elencati nella lettera? Indicali con una crocetta. Disordini cittadini. Cattive condizioni del mare. Discriminazioni razziali contro gli ebrei.

2. Tishri: uno dei mesi del calendario ebraico, corrispondente all’incirca al mese di settembre in cui, nei primi 2 giorni, si celebra il capodanno ebraico.

Insostenibili dazi nei porti di arrivo. Vulnerabilità delle imbarcazioni. Analizzare 2. Che conseguenze aveva la pericolosità della vita del mercante sull’economia?

221 fonti

capitolo 4


222

unità 1

La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

storiografia ] economia e società G. Piccinni, I mille anni del Medioevo

T 1 Abitare la città: i borghesi il punto di vista Gabriella Piccinni insegna Storia medievale all’Università di Siena, occupandosi principalmente delle strutture sociali nella loro concretezza, delle condizioni materiali di vita e di lavoro: la morfologia urbana, la società cittadina e quella contadina, il mondo del credito, la demografia. la tesi La nascita dei borghi modificò la città medievale dal punto di vista urbanistico e sociale: l’apparire della borghesia rese la società più complessa e varia, allontanandola dallo schema della società chiusa tripartita tipica del feudalesimo.

L

a parola borghese [...] nacque nel Medioevo per indicare l’abitante dei sobborghi della città che riprendeva vigore con il nuovo millennio: dapprima borghese era chiamato, cioè, l’ultimo arrivato, che abitava nei luoghi meno sicuri, i borghi, non aveva un lavoro certo, viveva di piccoli traffici. Poi, con il tempo, la situazione mutò. Con il crescere della popolazione aumentavano i bisogni e comparivano nuove professioni per soddisfarle, perché alle città non bastavano più quei pochissimi artigiani che in passato servivano alla vita di un vescovo e dei suoi ministeriali, dei funzionari che gestivano l’amministrazione, di alcuni militari e soldati, del clero. Il ceto degli artigiani e dei mercanti [...] si allargò e prese vigore a partire dai borghi, perché all’esterno delle mura c’era posto per nuove case e nuove botteghe. L’allargamento delle mura per accogliere questi gruppi di case fu uno dei segni più evidenti della crescita demografica urbana e dell’aumento di peso di questo ceto. La nascita dei borghi, dunque, aggiunse alla città medievale una caratteristica nuova non soltanto dal punto di vista urbanistico ma anche da quello sociale. Quando il borghese non fu più l’ultimo arrivato, ma una delle anime attive della ripresa economica e politica delle città medievali, possiamo dire che si sviluppava la borghesia e che proprio dal borgo essa prendeva il nome. L’apparire della borghesia medievale – che, come vedremo parlando del comune, non ha molto in comune

con quella che oggi chiamiamo con questo nome – cambiava la società urbana, che si faceva più complessa e varia. Essa assumeva una fisionomia molto diversa sia da quella più antica, che aveva diviso le persone soltanto tra liberi e schiavi, sia da quella, tutto sommato ancora semplice, che le avevano attribuito gli scrittori medievali, i quali l’avevano descritta come rigorosamente divisa tra ecclesiastici, militari (i nobili) e contadini (i lavoratori). […] Abbiamo detto che le attività commerciali e artigiane furono un fenomeno che caratterizzò fortemente le città. Non si deve, tuttavia, nemmeno immaginare una città popolata soltanto da mercanti e da artigiani e una campagna abitata unicamente da contadini e da signori. Se nelle città dell’Europa centro-settentrionale la società urbana era composta soprattutto da mercanti, ai quali si affiancavano gli artigiani e le famiglie per tradizione impegnate nel servizio militare, nell’amministrazione, nella giustizia (le città d’oltralpe erano cioè città «più borghesi»), in quelle dell’Europa mediterranea, e in particolare in Italia, a queste figure sociali si aggiungevano invece gruppi familiari con vasti interessi in campagna. Le città italiane continuarono sempre a essere centri verso cui convergevano le forze più cospicue della campagna: i nobili e i grandi proprietari non si erano isolati del tutto nelle loro terre e in città avevano spesso case e fortilizi dove vivevano almeno una parte dell’anno.

(G. Piccinni, I mille anni del Medioevo, Bruno Mondadori, Milano, 2007, pp. 178-179)

Analisi guidata comprendere 1. Per quale motivo la crescita demografica determinò una diversificazione sociale? 2. Perché la borghesia si sviluppò dapprincipio soprattutto fuori della cinta muraria cittadina? 3. Cosa differenzia, dal punto di vista della composizione sociale, i Comuni italiani da quelli d’oltralpe?

analizzare 4. In storiografia la «nascita della borghesia» si suole collocare nel Settecento. Con questo termine, infatti, si designa una classe ben diversa da quella del Medioevo. Fai una ricerca e costruisci uno schema di raffronto fra il borghese dell’xi e quello del xviii secolo.


L’età dei Comuni

storiografia ] cultura e mentalità H. Millet, Assemblee

T 20 La cultura assembleare il punto di vista Gabriella Piccinni insegna Storia medievale all’Università di Siena, occupandosi principalmente delle strutture sociali nella loro concretezza. la tesi Le esperienze di governo cittadino in Germania e Italia si svilupparono sulla base di una cultura associativa diffusa nel mondo medievale, che tuttavia non soppiantò i rapporti gerarchici.

P

er quanto riguarda le città, lo sviluppo del movimento comunale, tra la fine dell’xi e il xii secolo, pone sulla scena dei gruppi costituiti di cui generalmente non siamo in grado di ricostruire l’organizzazione. Inizialmente uniti dal bisogno di opporsi alla dominazione signorile attraverso una coniuratio, si trasformarono secondo uno schema maturato all’interno delle scuole in una universitas1 finalizzata alla gestione degli interessi comuni. [...] La coscienza che questi uomini avevano di formare un unico corpo sociale si vede nei simboli (sigilli, bauli destinati agli archivi) e nei rappresentanti che si davano [...] prima ancora che nella loro capacità di radunarsi. È molto difficile riuscire a sapere come si acquisiva o si perdeva lo statuto di appartenente a una comunità di cittadini. [...] Anche se l’adesione e i voti dei capifamiglia (fra cui si trovano occasionalmente delle donne) in teoria sono sempre richiesti per la designazione del sindaco e dei giurati della città o del villaggio, le fonti li presentano poco impegnati in discussioni o votazioni. [...] Elemento coevo allo sviluppo urbano, lo sviluppo delle associazioni di mestiere e delle confraternite permise a numerosi uomini del Medioevo di partecipare ad assemblee depositarie di una certa autorità. Destinate a controllare in primo luogo la produzione dei beni di consumo e lo svolgimento delle attività economiche, le associazioni di mestiere si dotarono di statuti che fissavano le condizioni di entrata nella corporazione (prestare giuramento e versare una quota) e le modalità di designazione dei dirigenti. Nonostante la struttura gerarchica che assicurava ai maestri la subordinazione degli apprendisti e dei soci, questi ultimi erano solitamente convocati

per deliberare sulle questioni più importanti [...]. Il giorno della festa annuale tutti i confratelli si raccoglievano per la messa, il banchetto [...] e una riunione, nel corso della quale il gruppo che aveva guidato la confraternita rendeva conto del suo operato e veniva rinnovato. Era anche l’occasione per una lettura solenne degli statuti e per una esortazione indirizzata a tutti. Il moltiplicarsi delle confraternite anche nei villaggi testimonia la vitalità del «mondo associativo» medievale. Le università di maestri e scolari offrivano dei modelli di organizzazione più democratica. [...] Di qualunque settore della vita comunale abbiano fatto parte – professionale, spirituale o intellettuale – tutte queste «università» sapevano di dovere la loro esistenza all’assemblea dei membri. Un’assemblea che veniva convocata più o meno frequentemente, più o meno remota, in alcuni casi quasi mitica, in ogni caso concepita come depositaria dei poteri esercitati da coloro che la rappresentavano ordinariamente. La pratica della democrazia diretta era dunque una componente ben presente nel panorama mentale degli uomini dell’Occidente medievale, ma un dato comune a tutte queste corporazioni2 era di operare in un contesto locale e di riguardare un numero relativamente ristretto di persone. Sia mentalmente sia materialmente, era sempre possibile concepire la riunione, almeno per un sottile incastro gerarchico. In questo modo, poté svilupparsi, in Germania e in Italia, una forma di organizzazione politica originale che univa un regime di assemblee a un governo oligarchico all’interno del ristretto quadro territoriale d’una città e dei suoi dintorni.

(Dizionario dell’Occidente medievale, a cura di J. Le Goff, J.C. Schmitt, Einaudi, Torino 2003, pp. 79-81) 1. universitas: in questo caso l’autore intende genericamente un’associazione pubblica e non un’associazione tra maestri e studenti.

Analisi guidata comprendere 1. Come nacquero le assemblee cittadine? Con quali scopi? 2. Quali erano i limiti della «democrazia diretta» medievale?

2. corporazioni: in questo caso l’autore intende genericamente un’associazione pubblica, e non un’Arte.

analizzare 3. Come riuscivano a conciliarsi il carattere oligarchico e gerarchico delle assemblee cittadine medievali?

223 storiografia

capitolo 4


224

unità 1

La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

storiografia ] istituzioni politiche G. Piccinni, I mille anni del Medioevo

T 1 Abitare la città: i borghesi il punto di vista Gabriella Piccinni insegna Storia medievale all’Università di Siena, occupandosi principalmente delle strutture sociali nella loro concretezza, delle condizioni materiali di vita e di lavoro: la morfologia urbana, la società cittadina e quella contadina, il mondo del credito, la demografia. la tesi La nascita dei borghi modificò la città medievale dal punto di vista urbanistico e sociale: l’apparire della borghesia rese la società più complessa e varia, allontanandola dallo schema della società chiusa tripartita tipica del feudalesimo.

L

a parola borghese [...] nacque nel Medioevo per indicare l’abitante dei sobborghi della città che riprendeva vigore con il nuovo millennio: dapprima borghese era chiamato, cioè, l’ultimo arrivato, che abitava nei luoghi meno sicuri, i borghi, non aveva un lavoro certo, viveva di piccoli traffici. Poi, con il tempo, la situazione mutò. Con il crescere della popolazione aumentavano i bisogni e comparivano nuove professioni per soddisfarle, perché alle città non bastavano più quei pochissimi artigiani che in passato servivano alla vita di un vescovo e dei suoi ministeriali, dei funzionari che gestivano l’amministrazione, di alcuni militari e soldati, del clero. Il ceto degli artigiani e dei mercanti [...] si allargò e prese vigore a partire dai borghi, perché all’esterno delle mura c’era posto per nuove case e nuove botteghe. L’allargamento delle mura per accogliere questi gruppi di case fu uno dei segni più evidenti della crescita demografica urbana e dell’aumento di peso di questo ceto. La nascita dei borghi, dunque, aggiunse alla città medievale una caratteristica nuova non soltanto dal punto di vista urbanistico ma anche da quello sociale. Quando il borghese non fu più l’ultimo arrivato, ma una delle anime attive della ripresa economica e politica delle città medievali, possiamo dire che si sviluppava la borghesia e che proprio dal borgo essa prendeva il nome. L’apparire della borghesia medievale – che, come vedremo parlando del comune, non ha molto in comune

con quella che oggi chiamiamo con questo nome – cambiava la società urbana, che si faceva più complessa e varia. Essa assumeva una fisionomia molto diversa sia da quella più antica, che aveva diviso le persone soltanto tra liberi e schiavi, sia da quella, tutto sommato ancora semplice, che le avevano attribuito gli scrittori medievali, i quali l’avevano descritta come rigorosamente divisa tra ecclesiastici, militari (i nobili) e contadini (i lavoratori). […] Abbiamo detto che le attività commerciali e artigiane furono un fenomeno che caratterizzò fortemente le città. Non si deve, tuttavia, nemmeno immaginare una città popolata soltanto da mercanti e da artigiani e una campagna abitata unicamente da contadini e da signori. Se nelle città dell’Europa centro-settentrionale la società urbana era composta soprattutto da mercanti, ai quali si affiancavano gli artigiani e le famiglie per tradizione impegnate nel servizio militare, nell’amministrazione, nella giustizia (le città d’oltralpe erano cioè città «più borghesi»), in quelle dell’Europa mediterranea, e in particolare in Italia, a queste figure sociali si aggiungevano invece gruppi familiari con vasti interessi in campagna. Le città italiane continuarono sempre a essere centri verso cui convergevano le forze più cospicue della campagna: i nobili e i grandi proprietari non si erano isolati del tutto nelle loro terre e in città avevano spesso case e fortilizi dove vivevano almeno una parte dell’anno.

(G. Piccinni, I mille anni del Medioevo, Bruno Mondadori, Milano, 2007, pp. 178-179)

Analisi guidata comprendere 1. Per quale motivo la crescita demografica determinò una diversificazione sociale? 2. Perché la borghesia si sviluppò dapprincipio soprattutto fuori della cinta muraria cittadina? 3. Cosa differenzia, dal punto di vista della composizione sociale, i Comuni italiani da quelli d’oltralpe?

analizzare 4. In storiografia la «nascita della borghesia» si suole collocare nel Settecento. Con questo termine, infatti, si designa una classe ben diversa da quella del Medioevo. Fai una ricerca e costruisci uno schema di raffronto fra il borghese dell’xi e quello del xviii secolo.


L’età dei Comuni

storiografia ] scienza e tecnologia T. Fiorini, Costruire le cattedrali: il cantiere e le tecniche

T 5 Costruire la città: il cantiere e le tecniche il punto di vista Gabriella Piccinni insegna Storia medievale all’Università di Siena, occupandosi principalmente delle strutture sociali nella loro concretezza. la tesi Nel xiii secolo alcune importanti innovazioni nelle tecniche di costruzione resero possibile rappresentare concretamente gli ideali religiosi nei cantieri medievali. Parallelamente, la professione degli architetti ebbe un notevole sviluppo, diventando sempre

le innovazioni tecniche Nel xii secolo la diffusione delle volte a crociera costolonate, già sperimentate in precedenza, permette di distribuire le spinte delle coperture su punti distanti tra loro – pilastri e colonne – e di sostituire il muro intermedio con grandi vetrate. [...] Con il cantiere di Amiens, dal 1230 circa, si assiste a un’ulteriore fase dell’evoluzione tecnologica medievale. Si impiegano qui, per la prima volta in modo sistematico, blocchi di pietra tagliati in serie col risultato di velocizzare la costruzione del muro. Data la velocità di posa è indispensabile evitare tempi morti nelle fasi di squadratura dei pezzi, spesso sbozzati già in cava, con il risultato ulteriore di risparmiare sui costi di trasporto e di aumentare la specializzazione nei vari settori della filiera produttiva. sistemi di progettazione Questo sistema per funzionare necessita di un’accurata progettazione che stabilisca con precisione forme e destinazione di ogni singolo elemento. È così che all’inizio del xiii secolo tra Île-de-France e Piccardia nasce il disegno architettonico. I sistemi tradizionali prevedevano una progettazione di massima e, via via che i lavori procedevano, la definizione più precisa dei singoli elementi. […] Per la definizione di dettagli si ricorreva a disegni in scala naturale, incisi sui muri o sui pavimenti della fabbrica, oppure all’uso di sagome come quelle usate da Guillaume de Sens (?-1180) nel 1176 a Canterbury. Queste pratiche continuano anche nel corso del basso Medioevo, come testimoniano il rosone inciso a Soisson, poco dopo il 1200, o la pianta completa, in scala, nella Liebfrauenkirche di Treviri. […] i disegni architettonici in europa I primi esempi di disegno architettonico rimastici sono i palin1. universitas: in questo caso l’autore intende genericamente un’associazione pubblica e non un’associazione tra maestri e studenti.

Analisi guidata comprendere 1. Come nacquero le assemblee cittadine? Con quali scopi? 2. Quali erano i limiti della «democrazia diretta» medievale?

sesti1 di Reims della metà del Duecento e i primi disegni per la facciata di Strasburgo, di poco posteriori. La gran parte dei disegni tuttavia risale solo al secolo successivo e testimonia un progressivo allontanamento delle pratiche italiane rispetto a quelle europee, riflesso di una differente organizzazione sociale del cantiere. I disegni d’oltralpe, specie quelli provenienti dall’area germanica, si basano sullo sviluppo geometrico di una figura elementare, un triangolo o un quadrato, che viene manipolata per ottenere una indicazione dell’alzato dell’edificio o di una singola parte di esso. [...] Per gli architetti transalpini il ricorso a figure geometriche non consiste solo in un principio estetico, nel fondamento della bellezza degli edifici, ma è al contempo garanzia di solidità delle strutture. […] l’italia: progettare per la città Nella penisola la situazione è alquanto diversa: il ricorso a schemi geometrici è secondario, semmai serve da coronamento, e a essi si preferisce uno sviluppo delle parti dell’edificio in base a calcoli proporzionali e aritmetici. Sono inoltre largamente diffuse rappresentazioni trasversali dell’alzato, che facilitano il lavoro delle maestranze e rendono più agevole il controllo da parte dei committenti. Anche le fasi di elaborazione risentono della presenza forte della committenza: accanto infatti a disegni di studio e a successive rielaborazioni fa la sua comparsa il modello tridimensionale, in legno o muratura, probabilmente in scala. Esso nasce forse sul cantiere fiorentino con Arnolfo di Cambio (1245 ca. -1302/1310) o con Giotto (1267-1337) […]. Lo scopo primario di questo modello è quello di rendere disponibile il progetto anche a un pubblico allargato 2. corporazioni: in questo caso l’autore intende genericamente un’associazione pubblica, e non un’Arte.

analizzare 3. Come riuscivano a conciliarsi il carattere oligarchico e gerarchico delle assemblee cittadine medievali?

225 storiografia

capitolo 4


226

unità 1

La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

SINTESI ▶ Come nacquero i Comuni: da patto privato a patto pubblico

I Comuni sono forme di autogoverno cittadino caratterizzate dall’autonomia nei confronti del potere feudale e monarchico, che nascono grazie alla crescita demografica e allo sviluppo economico-sociale. Tale processo avviene in tempi diversi (fine dell’xi secolo nell’Italia centro-settentrionale; prima metà del xii secolo in Provenza e nelle Fiandre; fine del xii secolo nel Nord della Francia e in Germania) ed è caratterizzato dal conflitto con il potere monarchico, ecclesiastico e feudale, dai contrasti tra le famiglie e dal riconoscimento delle associazioni cittadine. L’origine dei Comuni italiani è legata alla piccola nobiltà urbana, la quale forma associazioni private che assumono prerogative regie, cui col tempo si associano anche i rappresentanti dell’alta borghesia. Da associazione privata il Comune si trasforma quindi in istituzione pubblica e mira a espandere la sua influenza sul contado. I Comuni si sviluppano spesso nelle città sedi vescovili, poiché, approfittando del conflitto tra papato e impero, i cittadini smettono di appoggiare il vescovo e creano assemblee (arenghi), eleggendo dei consoli.

▶ La tipologia e lo sviluppo del Comune

italiano

Nel Comune consolare il governo della città è affidato a due o più consoli elettivi, affiancati dal Consiglio di credenza (formato da rappresentanti delle famiglie più importanti e con poteri solo consultivi). Questo tipo di organizzazione comunale, espressione della piccola nobiltà cittadina, crea però contrasti tra le principali famiglie, esclude dal governo gruppi di cittadini ed entra in conflitto con l’aristocrazia feudale, esclusa dalle magistrature. Alla fine del xii secolo, perciò, al Comune consolare si sostituisce quasi ovunque quelle podestarile: ai consoli subentra un podestà, spesso forestiero, che esercita il potere esecutivo (quello legislativo rimane agli organismi comunali), è espressione della borghesia cittadina e favorisce una stratificazione sociale fondata su tre gruppi: nobiltà, popolo grasso (borghesia), popolo minuto.

Audiolibro

Sintesi interattiva Mappa concettuale

Con il crescere di ricchezza della borghesia, al Comune podestarile fa seguito quello popolare, espressione del popolo grasso e delle Arti (solo gli iscritti alle Arti possono ricoprire cariche pubbliche). È guidato da un capitano del popolo e da magistrature collegiali e affianca alle istituzioni tradizionali organi riservati agli appartenenti alle Arti.

▶ I caratteri delle Arti

Le Arti, suddivise in «maggiori» e «minori», sono espressione del potere economico e politico della borghesia cittadina. Nate come associazioni di mestiere, riuniscono quanti praticano un determinato mestiere. Regolano prezzi e condizioni di lavoro e svolgono attività di mutuo soccorso.

▶ Le rivolte in città

Nel corso del xiii secolo la contrapposizione tra nobiltà e ceti popolari si intreccia con lo scontro tra guelfi e ghibellini. Emblematico è il caso di Firenze, dove il conflitto tra le due fazioni (e poi tra guelfi bianchi e neri) e la forza delle istituzioni popolari provoca scontri e rivolte, spingendo il popolo grasso verso un regime di tipo oligarchico (Ordinamenti di giustizia, 1283; tumulto dei Ciompi, 1378).

▶ Le repubbliche marinare

Durante l’xi secolo, grazie all’aumento dei traffici marittimi le quattro repubbliche marinare di Amalfi, Pisa, Genova, Venezia assumono il controllo di buona parte del bacino mediterraneo, intensificando i rapporti con l’impero bizantino e con il mondo arabo. Mantengono ordinamenti comunali, ma assicurano il predominio dell’aristocrazia mercantile ed evitano i conflitti interni.

▶ I Comuni in Europa: una comparazione geostorica Mentre in Italia i Comuni estendono il loro dominio alle campagne, in Europa il Comune rimane un’istituzione esclusivamente cittadina, che non entra in contrasto con l’aristocrazia feudale. Essi si formano a volte per nomina regia (Francia, Inghilterra), a volte sono subordinati al potere vescovile (Germania).


capitolo 4

L’età dei Comuni

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officina didattica Consolidare le conoscenze

Lo spazio 3. Colloca sulla carta i toponimi elencati utilizzando i

Il tempo 1. Inserisci negli spazi vuoti le date corrette, scegliendole tra quelle sotto riportate. xii • xi • 1172 • 1293 • 1378 • xii a. La crescita demografica e lo sviluppo economico-sociale delle città europee avvennero nei secoli     e xii. b. Il Comune podestarile nacque alla fine del     secolo. c. Il popolo grasso trovò espressione nelle Arti o corporazioni alla fine del     secolo. d. A Firenze, le Arti maggiori promulgarono gli Ordinamenti di giustizia nell’anno     . e. La rivolta dei Ciompi iniziò nel     . f. Il Maggior Consiglio a Venezia si costituì nel     . 10 punti max; 1 punto per ogni risposta esatta; 0 per ogni risposta non data; −0,5 per ogni risposta errata.

d. Avignone e. Venezia f. Orvieto Mare del Nord

Oceano Atlantico

Mar Nero

Punti

Il lessico 2. Completa le seguenti frasi e giustifica l’opzione che scegli. a. La coniuratio è una specie di patto giurato. Vero, perché Falso, perché b. L’arengo è un’adunanza di tutti cittadini che si riuniscono presso la cattedrale per eleggere il podestà Vero, perché Falso, perché c. La figura del podestà fu introdotta dopo il Comune consolare Vero, perché Falso, perché d. Il Comune maggiore e il Comune del popolo costituirono un sistema doppio di potere Vero, perché Falso, perché 8 punti max; 2 punti per ogni risposta esatta; 0 per ogni risposta non data; −0,5 per ogni risposta errata.

numeri. a. Utrecht g. Danzica h. Reims

Punti

Mar Mediterraneo

12 punti max; 2 punti per ogni risposta esatta; 0 per ogni risposta non data; −0,5 per ogni risposta errata.

Punti

Sviluppare le competenze Organizzare le informazioni 4. Scrivi un ipertesto di 4 parole chiave (max. cinque righe per ogni parola) sul tema dello sviluppo del Comune, avendo cura di trovare almeno due link tra esse. 5. Costruisci una mappa sulla lettura di G. Piccinni Abitare la città: i borghesi [→ T1, p. 000], mettendo al centro il concetto di borghesia-borghese. 6. Scrivi un sommario o promemoria (max. 10 righe; oppure 4 punti elenco) sulla differenza tra Comuni italiani e Comuni europei.

Sintetizzare 7. Rileggi attentamente il Sic et non e la lettura di G. Milani Abitare la città: la partecipazione politica [→ T2, p. 000]. Scrivi quindi una breve relazione, intitolata Democrazia, partecipazione e istituzioni nell’età comunale. La relazione non deve essere più breve di 10 righe né più lunga di 20. Il testo va diviso in paragrafi con brevi titoli o occhielli che ne richiamino il contenuto. Tieni presente che la relazione è destinata alla documentazione e ai materiali didattici del sito della tua scuola. Fai attenzione al registro (il linguaggio) che devi usare.


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unità 1

La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

SImulazione invalsi

VERSIONE COMPUTER BASED

G. Pepe, Lo stato ghibellino di Federico II

T Federico II visto da Gabriele Pepe Per Gabriele Pepe (1899-1971) il liberalismo – che egli professò in chiave umanistica e laica – non fu solo un movimento di emancipazione dall’Ancien régime, ma coincise con una dottrina della tolleranza. Pepe è stato particolarmente attento alla problematica religiosa e si è reso portavoce di un laicismo militante. In questo contesto, è significativa l’importanza che lo storico dà, nel brano che segue, alla portata innovativa della laicizzazione dello Stato avviata da Federico II. Pepe si è occupato, in generale, di questioni di storia medievale e moderna, discipline delle quali è stato docente a Bari. Nei suoi scritti, d’ispirazione laica, emerge un forte impegno etico.

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uesta storia di Federico II di Svevia non racconta i fatti ormai notissimi della vita di Federico, ma vuol dare una mia personale visione del formarsi, nel secolo xiii, della prima grande tirannide moderna. Le idealità e gli istituti di questa tirannide, lo spirito ghibellino, cioè, e laico, la visione umanistica della vita, l’ideologia unitaria italiana, la cultura giuridica e naturalistica, l’ordinamento accentratore burocratico dello Stato in Italia e l’assetto principesco della Germania, la trasformazione della concezione teologica e guerriera dello Stato in quella utilitaria e moderna ho tentato di esporre con un racconto della vita di Federico che contenesse soltanto, in forma pressoché scheletrica, in un lineare disegno, ciò che possa servire all’interpretazione storica di Federico senza apologie e senza valutazioni morali. […] Nello sforzo di realizzare il disegno dell’unità e di tagliare il nodo della storia medievale, quello dei rapporti con Feudo e Chiesa, Federico attirava nello Stato nuove forze sociali; distraendole dal servizio di gruppi nobiliari ed ecclesiastici, creava nel Regno, con la piccola nobiltà, lo Stato moderno, burocratico, e, in Germania, con gli ordini cavalleresco-religiosi, lo Stato principesco, militare. Sulla politica di Federico ammantata di ideologie anticlericali e imperialistiche, agiva la realtà storica di una nuova configurazione sociale europea, che trovò il principio della sua sistemazione nello stato nuovo che Federico riuscí a codificare nel Regno nel 12311 e che tentò [di] codificare in Germania nel 12352. Non

1. riuscí a codificare … nel 1231: lo storico si riferisce alla promulgazione delle Costituzioni melfitane, che fornirono una prima codificazione unitaria del diritto nel regno, realizzando l’unità e la certezza della legge, concezione alla base dello Stato moderno.

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seguí Federico predeterminate concezioni politiche, ma la sua politica e le sue ideologie, determinate dalle varie forze sociali del Regno e dei Papi, creano un complesso di posizioni spirituali, che segnano per l’Italia e per l’Europa l’inizio della storia moderna. Ideologie e opera politica di Federico si sviluppano dai suoi rapporti con clero nobiltà e borghesia, ma la sua opera è indipendente dagli interessi di questi gruppi. […] La lotta di Federico contro la Chiesa, contro gli ordini cavallereschi e i nobili fu lotta del Tiranno contro tutte le forze sociali che potessero compromettere l’efficienza dello Stato. […] La politica di Federico non poté evitare la caduta dell’Impero, ma nella lotta contro il Papato la resistenza opposta a interdetti e scomuniche con la disciplina laica dei servizi religiosi, le vaste operazioni di polizia contro Minoriti e vescovi, la simpatia che verso gli ultimi anni ostentarono a Federico vari gruppi di eretici, l’intemperanza di linguaggio di cortigiani che chiamarono Anticristo il Papa e Dio l’Imperatore furono, sí, causa a Federico dei piú tristi momenti della sua vita (ché non si lotta impunemente contro nessuna Chiesa), ma nello stesso tempo lasciarono un’eredità di ideologie, che, insieme ad altri movimenti del secolo, offrí materia alla formazione dello spirito scettico del Rinascimento e alla formazione dello Stato e della coscienza moderna. Vincitrice nel secolo XIII, la Chiesa sarebbe stata vinta nei secoli seguenti dalla corrosione che dei suoi istituti avrebbero fatta gli ideali laici, nati anche alla corte di Federico II3. […]

2. in Germania nel 1235: il riferimento è alla Pace di Magonza (1235), con cui Federico, oltre a pacificare il regno tedesco, cercò di creare anche in Germania un codice scritto che si sostituisse al diritto consuetudinario,

incerto e arbitrario, predominante fino a quel momento. 3. offrí materia … Federico II: la politica di Federico II avvia alla laicizzazione dello Stato che sarà tipica della modernità.


simulazione invalsi

Come il padre Enrico VI, anche Federico cercò con il suo testamento di salvare i possessi della sua Casa 65 in un momento difficile, liberandola dalla eredità di una politica antibaronale e anticlericale. Ma l’idea di tutta la vita di Federico non era stata l’unione di Impero e Regno pacifici, ricchi, retti da giuste leggi?4 Solo la necessità della difesa lo aveva reso tiran70 no, gli aveva fatto dissanguare il Regno, combattere terribilmente nobili e clero. La lotta lo aveva reso quale noi siamo venuti narrandolo, creandogli un involucro ideologico, una volontà e ideali tirannici, gli aveva dato il volto dell’Anticristo; lo aveva co75 stretto a una modernità di azioni e di idee, della quale forse non ebbe coscienza egli stesso, o della quale per lo meno non comprese tutta l’originali-

tà. I rapporti del Regno e dell’Impero con la Chiesa, nobiltà e borghesia lo foggiarono precursore dei Si80 gnori del Rinascimento, trovando nella sua formazione spirituale gli elementi primordiali della nuova civiltà laica e pagana. Quando la coscienza moderna si ribella al prepotere di classi laiche o ecclesiastiche nello Stato e afferma 85 i diritti superiori dello Stato e lo Stato concepisce in funzione della giustizia e dell’ordine, persegue la tradizione politica iniziata dai re del secolo XIII e specialmente da Federico contro la tradizione ecclesiastica. Ma, come il principe del Machiavelli, 90 come tutti i grandi politici, Federico fu un martire della lotta politica, se per il successo che non vide, dové rinunziare alla vita morale.

(G. Pepe, Lo stato ghibellino di Federico II, Laterza, Bari 1938, pp. 5-11, 120-21) 4. Ma l’idea … giuste leggi?: è l’idea dello Stato unitario retto dalla certezza e

dall’uniformità della legge, che Federico cercò di garantire con le Costituzioni melfitane.

1. Che cosa intende Pepe per «tirannide» (r. 000)?

4. Qual è il significato di «distraendole» (r. 000)?

a. dittatura b. monarchia accentratrice c. oligarchia d. impero sul modello dei tiranni dell’antica Grecia

a. divertendole b. ingannandole

2. Come si caratterizzò, secondo Pepe, la «tirannia» di Federico II? V F a. per una concezione laica della politica V F b. per una gestione assoluta del potere V F c. per una politica partecipativa V F d. per l’abbandono delle utopie universalistiche 3. Cosa s’intende per «trasformazione della concezione teologica e guerriera dello Stato in quella utilitaria e moderna»? a. il rifiuto di ogni ideologia a favore dell’utilitarismo machiavellico b. il tentativo di realizzare uno Stato ateo e pacifico, basato su una concezione epicurea della vita c. l’abbandono di ogni ambizione espansionistica in favore della pace d. il passaggio da una forma statuale militarizzata e religiosa a una burocratica e laica

c. sottraendole d. allietandole

5. Quali sono le caratteristiche dell’assetto statuale «moderno» preconizzato da Federico II? V a. l’unità e la certezza della legge V b. la fedeltà vassallatica V c. l’indipendenza fra religione e politica V d. la parità di diritti fra tutti gli uomini

F F F F

6. Come si comportò Federico II rispetto agli altri centri di potere? a. cercando il favore di tutti b. sfruttando di volta in volta il favore di un gruppo sugli altri c. indipendentemente da essi d. contrastando tutti indistintamente

7. Quale fu la politica federiciana rispetto alla Chiesa? a. di aperto conflitto b. di fragile alleanza c. subdola e oggetto di controversa interpretazione storiografica d. mutevole in base alle convenienze

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unità 1

La formazione dell’Occidente dall’Alto Medioevo all’età comunale

crocevia Guerra fredda e «guerra ideologica»

1

Il mondo diviso in blocchi: la Guerra fredda e l’equilibrio del terrore

I macro-concetti della storia

L

a Guerra fredda, costruita sull’antagonismo tra due superpotenze, fu la manifestazione di una guerra ideologica in cui si finì per negare qualsiasi legittimità all’avversario, percepito come minaccia al proprio universo di valori. Per comprendere, dunque, questa epoca fondamentale della storia contemporanea, protrattasi fino al 1989, anno della caduta del Muro di Berlino e del sistema comunista, è necessario mettere in relazione i due termini del problema: Guerra fredda e «guerra ideologica».

→ cap. 11

La progressiva costituzione del clima mondiale da Guerra fredda ebbe le sue premesse in alcuni cruciali momenti politici internazionali: ▪▪ con la Conferenza di Yalta (febbraio 1945), le differenze tra le nazioni occidentali e l’Unione Sovietica non poterono più essere nascoste: il mondo appariva già diviso in due sfere d’influenza, quella occidentale e quella comunista orientale; ▪▪ dopo la guerra, il 5 marzo 1946, W. Churchill pronunciò a Fulton un celebre discorso nel quale denunciò esplicitamente la presenza di una «cortina di ferro» che separava il «mondo libero» dal mondo comunista; ▪▪ il 12 marzo 1947, il presidente americano H. Truman affermò in modo perentorio che Washington non avrebbe più tollerato il passaggio, indotto con la forza, di un Paese democratico al comunismo. La dottrina Truman fu definita del «contenimento» (containment), poiché era finalizzata al contrasto del pericolo comunista. Iniziava, in questo senso, la Guerra fredda. ▪▪ La Guerra fredda è così definita perché non fu combattuta con le armi, ma ideologicamente e in tutti gli ambiti, dalla diplomazia all’economia, alla conquista dello spazio. Il conflitto restò latente in quanto costruito sull’«equilibrio del terrore», ossia sulla paura di una guerra nucleare catastrofica che, se messa in atto, avrebbe portato alla sparizione dell’umanità. Ciò comunque non evitò molte e ripetute guerre locali e regionali nelle quali intervennero gli Usa e l’Urss,

sostenendo governi a loro favorevoli. La spartizione del mondo in due zone d’influenza si impose come la soluzione più equilibrata per evitare uno scontro totale e diretto tra i due blocchi contrapposti.

2

I blocchi dal punto di vista economico, militare e politico

→ cap. 11

La formazione dei blocchi iniziò nel 1947, quando il segretario di Stato americano, il generale Marshall, propose ai Paesi europei un aiuto economico per la ricostruzione. In coerenza con la dottrina Truman, il piano Marshall, approvato nel 1948, era indirizzato anche agli Stati dell’Est europeo. Tuttavia, l’Urss rifiutò gli aiuti e si aprì pertanto la competizione tra le due superpotenze. La logica dei blocchi contrapposti si espresse nella costituzione di patti e alleanze economici e politico-militari, che generarono un panorama bipartito.

3 Le crisi

della Guerra fredda

→ cap. 11, 13, 14

La logica delle sfere d’influenza condusse però a diverse crisi, che portarono a sfiorare più volte una guerra di proporzioni mondiali. ▪▪ La prima crisi si verificò nel 1948 a Berlino, dove i sovietici bloccarono le vie di accesso alla città, divisa tra forze occidentali e comuniste. Nell’agosto del 1961 il governo della Repubblica democratica tedesca innalzò il Muro di Berlino per impedire la libera circolazione tra Est e Ovest. Il Muro divenne, fino al 9 novembre 1989, il simbolo della cesura tra i due sistemi.


crocevia

▪▪ La Guerra di Corea (1950-53), rappresentò invece

un vero «conflitto caldo» dentro la Guerra fredda, che condusse sull’orlo di una «terza guerra mondiale». ▪▪ Un altro conflitto che tenne il mondo con il fiato sospeso fu la controversia tra Usa e Urss per il controllo su Cuba. Nel gennaio del 1961 Washington ruppe le relazioni diplomatiche con L’Avana, dopo che Fidel Castro ebbe conquistato il potere con la rivoluzione nazionalista-comunista del 1959. L’embargo commerciale degli Stati Uniti spinse però Castro nell’orbita di Mosca. Questa situazione fu intollerabile per gli Usa, che provarono a rovesciare il governo di Castro: uno sbarco di esuli anticastristi a Cuba, nella primavera del 1961, si risolse però in un fallimento e in uno smacco per Washington. L’anno successivo, la crisi missilistica tra Stati Uniti e Unione Sovietica ebbe Cuba come epicentro e portò il mondo sull’orlo della guerra nucleare.

4 Dalla Guerra fredda

alla coesistenza pacifica

→ cap. 11, 14

Dopo i tragici bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, verificatisi durante la Seconda guerra mondiale, si aprì tra Usa e Urss la corsa agli armamenti. L’Unione Sovietica riuscì ben presto a recuperare il suo ritardo rispetto agli Stati Uniti: nel 1948 fece esplodere la sua prima bomba atomica; nel 1953, solo un anno dopo rispetto a quanto fatto dalla potenza rivale, fu in grado di costruire una bomba all’idrogeno (Bomba H). Nel 1956, con l’ascesa al potere in Urss di Chruščëv, iniziarono la destalinizzazione e un processo di disgelo e distensione tra le superpotenze. Si inaugurò così il periodo della «coesistenza pacifica», che coprì gli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Emerse la speranza che capitalismo e comunismo potessero convivere e competere nel mondo senza scontrarsi inevitabilmente in una guerra. Nel 1963 iniziò il lento processo del disarmo: Urss, Usa e Gran Bretagna aderirono al Trattato d’interdizione parziale delle armi nucleari. Seguì, nel 1968, il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), fino ad arrivare, nel maggio del 1972, al primo accordo Salt, con cui le due superpotenze si impegnarono a non fabbricare nuovi missili intercontinentali,

limitandosi al mantenimento di quelli già esistenti. Nuova consapevolezza della necessità di una convivenza pacifica tra superpotenze venne dalla sfida per la conquista dello spazio, culminata nel 1969 nello sbarco sulla Luna degli astronauti americani.

5 La decolonizzazione

e Paesi non allineati

→ cap. 13, 14

Durante la Guerra fredda prese corpo un graduale processo di decolonizzazione, cioè di ricerca e ottenimento dell’indipendenza da parte dei popoli sottomessi alle potenze imperiali che, nel giro di trent’anni, tra il 1945 e il 1975, portò alla nascita di decine di nuovi Stati indipendenti in Asia e Africa. Per sottrarsi dall’influenza politica e militare delle superpotenze, i Paesi decolonizzati cercarono fin dalla metà degli anni Cinquanta una difficile «terza via». Nell’aprile 1955, quando solo una parte degli imperi europei aveva già acquistato la libertà, si tenne la Conferenza di Bandung. Vi parteciparono i governi dei nuovi Stati di Africa e Asia, che si schierarono contro il colonialismo e la discriminazione razziale, istituendo al contempo il movimento dei «non allineati», che includeva al suo interno i popoli non schierati né con gli Stati Uniti né con l’Unione Sovietica. La decolonizzazione modificò radicalmente la mappa geopolitica del mondo, tanto da apparire agli occhi degli storici di oggi come il fenomeno globale forse più importante del Novecento.

6 La Guerra ideologica

→ cap. 11, 12

Per cogliere fino in fondo la problematicità della Guerra fredda, è necessario analizzare la contrapposizione ideologica che ne fu alla base: fu quest’ultima a produrre una faglia culturale e politica in tutti i Paesi del mondo. Essa si basava su una competizione tra valori differenti: pluripartitismo contro partito unico; libero scambio contro pianificazione economica e intervento statale; valori di benessere e libertà contro difesa dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Una manifestazione emblematica dello scontro ideologico ebbe luogo negli Stati Uniti, dove tra il

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