Sapori di Sicilia Magazine n.3/4 2017

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Anno 5 - Numero 3/4 - 2017

euro 2,90 La rivista dei prodotti tipici e tradizionali

Itinerari del gusto • DIRETTORE EDITORIALE Peppe Giuffrè


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Editoriale

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Sicilia è una terra meravigliosa dove storia, cultura e popoli si mescolano dando vita a un’atmosfera unica. A cornice di tutto questo c’è uno scenario naturale che esprime tutta la sua bellezza nei contrasti tra la montagna e il mare. In estate la nostra Isola raggiunge il suo massimo splendore. E in questo nuovo numero vogliamo non solo raccontarvelo, ma anche farvelo gustare. In Sicilia l'estate è dolce. Da sempre. Per voi, andremo quindi a spolverare tra le ricette delle nostre nonne quelle dei dolci estivi della tradizione: spongati, gelati di campagna e pezzi duri. Vi condurremo alle pendici dell'Etna o tra le campagne del Palermitano per farvi scoprire il frutto per eccellenza dell'estate: la ciliegia. E ancora un altro simbolo dell'estate siciliana: i tenerumi. Talmente siculi da non potere spiegare cosa siano al vostro amico milanese. Farete prima a regalargli un biglietto aereo e a farglieli assaggiare “live”. E con l’occasione, perché non portarlo in un borgo marinaro e fargli trascorrere una giornata in barca, così da potere scoprire oltre alle spiagge e ai panorami mozzafiato della nostra terra, anche le prelibatezze gastronomiche a base di pesce azzurro, piatti che si fanno ancora tali e quali a quelle delle antiche tradizioni? Magari facendogli fare un tuffo nel passato con un giro sulle barche di Aci Trezza di verghiana memoria. O, ancora, accompagnandolo per le antiche tonnare, santuari della lavorazione di un altro tesoro di cui è ricco il nostro mare: sua maestà il tonno. Per poi in serata brindare al tramonto con uno dei nostri vini, veri protagonisti dell'ultima edizione del Vinitaly 2017. Una tappa da non perdere nelle nostre estati siciliane e che ci consentirà di conoscere un prezioso presidio di Slow Food, è Ustica. Gustare le piccole ma famose lenticchie ci evocherà una Sicilia densa di tradizione. Cibo povero per eccellenza, coltivate da sempre su terreni lavici e fertili della piccola isola a Nord di Palermo, dove, da sempre, la tecnica di raccolta è esclusivamente manuale. Come in tutti i numeri di Sapori di Sicilia ci sarà spazio per le ricette dei grandi chef. Ciccio Sultano ci condurrà per mano nella sua cucina e svelerà il segreto che rende le sue ricette uniche, mentre gli chef Di Bernardo e Toro ci sveleranno i segreti delle cucine del G7 di Taormina. Per non parlare del nostro Peppe Giuffrè con la sua consueta ricetteria. Per fortuna non sempre a pranzo o a cena abbiamo un Capo di Stato. Ciò non significa che non possiamo permetterci piatti sfiziosi e raffinati. Come di consueto la nostra rivista vi darà un vasto ricettario per soddisfare i palati più esigenti; un ricettario comunque caratterizzato sempre dai cibi di stagione. Senza dimenticare quegli alimenti che non sono solo buoni, ma sono anche alleati della nostra salute. Sani dentro, belli fuori. Soprattutto adesso che non c'è più tempo per prepararsi alla prova costume. Siete impreparati all'evento? Niente panico, vi consigliamo quali cibi scegliere e quali lasciare sullo scaffale del supermercato. Vi abbiamo detto proprio tutto. Bene, ora scusateci. Anche noi della redazione abbiamo bisogno di un bel bagnetto. Continueremo a farvi compagnia con le nostre ricette e le notizie su cibo, vino e varie prelibatezze su www. sapori.sicilia.it.


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Vuoi mangiare sano?

Rispetta la stagionalitĂ

Ecco che cosa comprare

Ortaggi: zucchine, cetrioli, anguria, melone, fagioli freschi, peperoni, melenzane tunisine e lunghe, pomodori, cipolle, patate novelle, aglio nuovo Verdure: tenerumi, insalate varie Frutta: albicocche, pesche, uva, susine, ciliegie, perine, limoni Nella dispensa: olio extravergine di oliva, caffè, zucchero, latte, burro, formaggi, pasta lunga e corta, lenticchie, riso, sale, spezie, uova, vino da cucina, qualche confettura, bicarbonato, lievito per dolci, farina


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Editoriale Mattanza, la pesca del tonno come un rito La tradizione del mare tra barche, pescatori e pingisanti Il piacevole ritorno delle lenticchie di Ustica I segreti di Ciccio Sultano? L’esperienza e la proporzione Il G7 di Taormina e il menù dello chef che si divide tra musica e fornelli Roberto Toro, la classe in un piatto d’autore Vino, tecnica di assaggio in pillole Il meglio della Sicilia a Vinitaly e Sol&Agrifood Finger food mania alla siciliana Ciliegie, una tira l’altra La pasta estiva più buona? Quella con i tenerumi Crescione d’acqua, dono dei ruscelli di montagna Sicilia e Mediterraneo, legame antico ma sempre vivo Cibo nostrum, la cucina del Belpaese in festa Salviamo le tonnare Quel mare color del cristallo Ustica, fondali da sogno e paradiso dei sub Dolci estivi, tra religione e miti pagani L’Oriente a tavola, con la magia delle spezie Pasta, origine in etichetta presto anche in Italia Cucinare con gli scarti, perché tutto si trasforma... La clausura svelata, dolci monacali senza segreti Il festino dei palermitani per la santuzza Rosalia A Palermo il turismo ha fatto boom Prova costume... non ti temo Aci Castello e Aci Trezza, gioielli tra mare, mito e arte Favara, quell’insolita meta dell’arte contemporanea

62 ACI CASTELLO E ACI TREZZA

64 64 FAVARA

RUBRICHE 12 32 66 82

Ricetteria di Peppe Giuffrè L’orto e la frutta della prima estate Dalle cucine dei ristoranti siciliani L’avena, un chicco che vale un tesoro

SAPORI di SICILIA MAGAZINE bimestrale 2017 anno 5 - n. 3/4

soc. coop. a r.l.

Via Principe di Palagonia, 100 90145 Palermo www.sapori.sicilia.it

Hanno collaborato: Martina Comito, M. Laura Crescimanno, Vanessa D’Acquisto, Maria Teresa Di Blasi, Omar Gelsomino, Alessandro Iannelli, Giorgia Iannelli, Carola Parano, Paola Roccoli, Emanuela Rotondo, Rachele Sanfilippo, Maria Grazia Sclafani, Anna Statello, Maurizio Turrisi, Manuela Zanni Direzione, redazione: Via Principe di Palagonia, 100 - 90145 Palermo - tel. 091.7302609 email: redazione.saporisicilia@gmail.com - abbonamenti.edimed@gmail.com

Direttore responsabile: Alessia Boschetti

Concessionaria della pubblicità: EDIMED soc. coop. a r.l. Via Principe di Palagonia, 100 - 90145 Palermo - tel. 091.7302609 email: commerciale.saporidisicilia@gmail.com

Direttore editoriale: maestro chef Peppe Giuffrè

stampa: Punto Grafica Mediterranea srl Via Z4, 18/20 - Fondo La Rosa, C.da Battaglia - 90039 Villabate (Pa)

Consulente editoriale: Vittorio Corradino Coordinamento redazionale: Angela Sciortino impaginazione ed elaborazione grafica: Loredana Greco

Testata registrata presso il Tribunale di Palermo, n. 18 del 05/11/2013 ISSN 2783-3242 - Iscrizione ROC n. 26415 IVA assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74, comma 1, lettera c, del DPR 633/72, così come modificato dalla legge 30/12/91 n. 413 Chiuso in tipografia il 7 luglio 2017


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Mattanza la pesca del tonno come un rito di Vanessa D’Acquisto

L’antico rituale della mattanza si svolgeva tra maggio e giugno, quando i tonni scelgono le acque tiepide del Mediterraneo per riprodursi

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a pesca del tonno e il rituale della mattanza (dallo spagnolo “matar” e dal latino “mactar” entrambi con il significato di “uccidere”) sono stati elementi cardini dell’economia siciliana. Le prime testimonianze della pesca del tonno si hanno nei graffiti e in alcuni resti del II millennio a.C. trovati nell’isola di Levanzo. Nel IV secolo a.C. il poeta Archestrato da Gela dedica una parte del suo poema “Gastronomia” al tonno, indicando i luoghi migliori dove pescarlo e le più appropriate maniere per cucinarlo. Fu la dominazione araba a definire le tecniche di pesca e di preparazione del prodotto salato. In più agli Arabi si deve l’etimologia di alcune parole: “raisi”, capo dei pescatori; “surra”, parte grassa del tonno; “sciabica”, imbarcazione. La pesca abbondante del tonno nelle acque siciliane dava la possibilità di avere una grossa quantità di pesce da conservare, ma anche da destinare al mercato. Ciò avveniva soprattutto nelle città di Palermo e di Trapani. Periodi di crisi si alternarono a periodi di prosperità. La ripresa definitiva si ebbe nell’800 grazie all’intervento dei Florio. Dal 1825, presero in affitto la gestione delle tonnare di San Nicola, di Solanto, di Sant’Elia, di Favignana e Formica (quest’ultime due rimanevano le uniche produttive anche nei periodi di crisi), aumentando

in ognuna di esse la produttività. Invece, acquistarono la tonnara dell’Arenella, a Palermo, dove introdussero il sistema di pesca a reti fisse e la conservazione del tonno sott’olio e non più sotto sale (causa della diffusione dello scorbuto tra i marinai). Nel corso del XX secolo, le tonnare iniziarono a non essere più utilizzate a causa della crescente presenza della produzione giapponese sul mercato internazionale a prezzi competitivi. Ed è proprio il Giappone l’acquirente principale del tonno rosso del Mediterraneo. Per la cucina giapponese il tonno è diventato una prelibatezza molto ricercata per l’alto contenuto di grasso, cosa che lo rende adatto alla preparazione di sushi e sashimi. La crescente richiesta ha portato ad una crisi del settore. Il progresso tecnologico ha migliorato l’efficienza della pesca, aumentando il prodotto pescato, ma la conseguenza è stata la diminuzione della popolazione marina (fino al 60%) che ha spinto i governi ad assegnare una quota fissa di pescato ad ogni imbarcazione. La quantità di tonni nel Mediterraneo è aumentata, ma ciò ha provocato una diminuzione del pesce azzurro (sarde e acciughe in particolare), nutrimento principale dei tonni e di conseguenza si è innescata la crisi per i pescatori di queste specie. Per aggirare le quote e far fronte alla crescente domanda del mercato si è passati all’allevamento. Non si tratta però

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del tonno non si butta via nulla Il tonno viene definito "il maiale del mare" perché ogni sua parte viene usata in cucina. Ogni parte ha un nome preciso. • La ventresca (in siciliano "surra") è la parte più grassa e più pregiata del tonno che corrisponde alla parte addominale. Oltre che al naturale, viene conservata sott'olio. • Il musciame si trova superiormente alla ventresca. Essiccato nei forni, viene conservato sott'olio. • Lo scapece, la parte meno pregiata del tonno, viene cotto al vapore e poi conservato sott'olio. • La bottarga è la sacca ovarica del tonno. Viene salata e successivamente essiccata. Il nome deriva dall’arabo batarikh (uova di pesce salate, nel senso di “conservato sotto sale”) • Il lattume è la sacca del liquido seminale. Si distingue dalla bottarga per il colore: rosa il lattume, arancione la bottarga. Viene conservato sotto sale. Inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani insieme alla bottarga. • La buzzonaglia è la parte del tonno meno pregiata, è costituita dagli scarti della preparazione del tonno sott'olio ed è costituito dalle parti di filetto più vicine alla lisca molto scure perchè molto irrorate di sangue a piccoli pezzi. • Il polmonello e cuore vengono lavorati entrambi in maniera simile alla bottarga.

di una classica acquacoltura, ma di una serie di allevamenti in cui i tonni vengono ingrassati e ripescati, alterando la natura del tonno e il senso stretto della sua pesca, ossia la mattanza. L’ultima mattanza, l’antico rituale che unisce tradizioni, religiosità, istinti primordiali e lotta per la sopravvivenza, si è svolta a Favignana nel 2007. Il periodo migliore per la mattanza era tra maggio e giugno, quando i tonni scelgono le acque tiepide del Mediterraneo per riprodursi. Per la pesca venivano gettate in mare le reti che formavano cinque camere di cui quattro tenute in profondità da pesanti ancore di piombo. L’ultima, la cosiddetta camera della morte, era lasciata libera. Un uomo controllava quanti tonni erano entrati nelle camere e lo comunicava al rais (il capo della tonnara), il quale, valutando se il numero fosse sufficiente e le condizioni del mare e del tempo favorevoli, ordinava la mattanza per la mattina successiva. Ecco allora che alla luce dell’alba le muciare (barche) legate le une alle altre e trainate da un unico barcone come una lenta processione di morte si avvicinavano alle reti. Poi il silenzio, rotto soltanto dal rais che recitava le preghiere. Quando i tonni giungevano nella camera della morte, le • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

barche si disponevano attorno ad essa. Al grido del rais partiva l’assummata: i tonnaroti con rapidità e sincronia tiravano le reti. Con una calma quasi surreale e una gestualità solenne il rais impartiva gli ordini. Le grida indistinte venivano sostituite da un unico coro: «Aja mola!» («forza, moro!», oppure «Allah, che muoia!», non è certa la provenienza), o invocavano Gesù, la Vergine Maria e San Giuseppe per una buona pesca. Oppure veniva intonato qualche canto dedicato alla ragazza più bella del paese, quasi a sdrammatizzare il momento. La camera si alzava, l’acqua ribolliva, i tonni cercavano una via d’uscita, colpendosi tra di loro. Ad un fischio sonoro il rais ordinava la mattanza. I tonnaroti con gli arpioni si avventavano sulle lucenti e argentee sagome dei pesci che in un attimo si coloravano di un rosso rubino, così come il quadrato di “battaglia” e con un unico sforzo issavano il tonno sulla barca. Così come era avvenuto all’inizio, il rais ordinava la fine. La rete di colpo veniva mollata e scompariva portando con sé ogni testimonianza dell’avvenuta lotta selvaggia. Tornava il silenzio che accompagnava la processione di ritorno delle barche.

Spaghetti con uovo di tonno ingredienti per 4 persone • 400 g di spaghetti • 40 g di uovo di tonno • 2 spicchi d’aglio, un mazzetto di prezzemolo • olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b. procedimento Tritate finemente le fettine di bottarga. In una padella soffriggete l’olio con l’aglio schiacciato, aggiungete una parte del trito della bottarga, togliete dal fuoco e pepate. Nel frattempo cuocete gli spaghetti. Allungate la salsina con un po’ di acqua di cottura della pasta; scolate gli spaghetti al dente e versateli nella padella della salsa, mantecando per circa tre minuti. Servite gli spaghetti spolverando con il prezzemolo e il restante trito di bottarga.

Tunnina ammuttunata ingredienti per 6 persone • 700 gr di tonno (un trancio) • 400 gr di concentrato di pomodoro • 300 gr di piselli freschi • 2 spicchi d’aglio, 1 cipolla • un ciuffetto di menta fresca • olio extra vergine d’oliva, sale e pepe q.b. procedimento Tritate l’aglio e la menta. Praticate dei piccoli tagli nel trancio di tonno nei quali inserirete l’aglio, la menta, il sale e il pepe. In un tegame riscaldate l’olio e fate rosolare il tonno, poi toglietelo e mettetelo da parte. Nello stesso olio fate soffriggere la cipolla tritata finemente, poi unite i piselli e il concentrato di pomodoro e un po’ d’acqua. Aggiungete il tonno e salate e pepate. Abbassate la fiamma e lasciate cuocere per circa un’ora. Servite il tonno accompagnato dal sugo. Potete utilizzare il sugo anche per condire la pasta.

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La tradizione del MARE

tra barche, pescatori e pingisanti di Maria Teresa Di Blasi

Le imbarcazioni portavano il nome del pesce catturato ed erano decorate come carretti siciliani. La tradizione delle barche di Acitrezza è stata una delle più importanti del Mediterraneo

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n tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev’essere”, così scrisse Giovanni Verga nel celeberrimo incipit del romanzo “I Malavoglia” che ha fatto conoscere il piccolo borgo di pescatori di Acitrezza al mondo intero. Ma andiamo con ordine e cominciamo dall’inizio, proprio da quei “faraglioni” che contraddistinguono il paesaggio di questa parte della costa; le tre strane protuberanze di lava che si innalzano dalla schiuma del mare rimandano alla presenza dei Ciclopi (Kyclopes, dall’occhio circolare) il più famoso dei quali aveva nome Polyphemos. In Omero (Od. 9, 170-542) Odysseus, giunto con i suoi compagni nella caverna del gigante, subisce da lui violenza, decide quindi di accecarlo stordendolo con il vino e colpendolo con un tronco ap-

puntito. Sfuggito con uno stratagemma all’ira del gigante, Ulisse raggiunge le navi che rischiano di essere travolte dagli enormi massi, i faraglioni appunto, che Polifemo vi scaglia rabbiosamente contro senza peraltro colpirle. Ai giorni nostri la scienza ha collegato i faraglioni ai fenomeni eruttivi dell’Etna, ma la magia di questi luoghi non ne è stata intaccata ed essi continuano ad attirare la curiosità dei visitatori e dei turisti. Oltre a Giovanni Verga, la peculiarità di questi luoghi e le storie di mare e miseria ad essi connessi, hanno ispirato Luchino Visconti che, nel 1948, vi ambientò il film “La terra trema”. La pellicola, oggi un monumento della cinematografia mondiale, vedeva quali protagonisti gli stessi abitanti di Acitrezza divenuti non comparse ma veri attori. Fu lo stesso Visconti a proclamare il suo amore per Verga e Acitrezza: “A me lettore lombardo, abituato al limpido rigore della fantasia manzoniana, il mondo primitivo e gigantesco dei pescatori di Acitrezza era sempre apparso sollevato in un tono immaginoso e violento di epopea: ai miei occhi lombardi, la Sicilia di Verga era apparsa davvero l’isola di Ulisse, un’isola di avventure e di fervide passioni, situata immobile e fiera contro i marosi del mare Jonio”. UN MONDO DI BARCHE, PESCATORI E “PINGISANTI” La tradizione delle barche di Acitrezza (e del Catanese in generale) è stata, nel passato, una delle più importanti di tutto il Mediterraneo; Salvatore Finocchiaro, studioso e appassionato della storia locale, ha ricostruito minuziosamente la

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storia di queste barche ormai scomparse dagli anni Sessanta del secolo scorso. Con il suo eloquio competente ed affabulatore ci racconta che gli scafi erano funzionali al tipo di mestiere che si esercitava, pertanto veniva spontaneo identificarli col nome del pesce catturato o dell’attrezzo utilizzato: “sardare”, “cozzolare”, “conzare”, “nassarole”, “fiocinare” erano le tipologie navali del golfo di Catania le cui acque abbondavano di pesce. Chi le costruiva era il “mastro d’ascia”, artigiano del legno di profondo ingegno e spiccato senso pratico, che applicava un’arcaica tecnica empirica detta del “mezzo garbo”. Esso era una sagoma di legno che riproduceva, a grandezza naturale, la mezza sezione maestra dello scafo dalla quale si principiava per realizzare le ordinate che, assieme alla chiglia e alle ruote di prua e di poppa, costituivano l’ossatura della barca. La lunghezza di questi piccoli natanti andava dai 19 palmi (1 palmo = 25 cm) per le “fiocinare”, le più piccole e manovriere, ai 40 palmi per le “sardare”, potremmo dire le ammiraglie concepite esclusivamente per la pesca del pesce azzurro con l’uso della “tratta” o menaide, un particolare tipo di rete pelagica derivante. Gli spostamenti delle barche avvenivano a remi e a vela. Il “mastro velaio” si faceva carico del taglio delle vele che cuciva a mano assemblando “ferzi” di cotone. La superficie veniva calcolata in relazione al fattore di potenza della barca ed in funzione delle possibili condizioni di vento. Erano grandi e leggere per le brezze, piccole e pesanti per il forte vento di burrasca. Molto importante era la decorazione che da quelle dei carretti siciliani la cui tecnica si diffonde a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Attraverso la veste decorativa veniva espresso il significato del rapporto ancestrale fra l’uomo ed il mare: il pescatore si voleva presentare al cospetto del mare dando il meglio di sé, offrendo una cosa bella come una “zita” nella speranza di avere in cambio prodigalità e provvidenze. Il decoro seguiva canoni ben precisi; realizzato da pittori di professione, i “pingisanti”, si rifaceva ai motivi dell’arte

siciliana stratificatasi nel corso dei millenni. I colori erano composti dalla miscela di terre naturali con olio di lino cotto: essenziali erano l’arancio vivo, il giallo oro, l’azzurro mare, il verde prato. Si partiva, quindi, con la “campitura”, ossia la predisposizione dei fondi che essenzialmente erano di colore bianco e giallo contornati da linee di arancio. A questo punto, per sovrapposizione di colori, il pingisanto passava alla decorazione dell’impavesata, per tutta la lunghezza della barca da prua a poppa, creando una serrata alternanza di arabeschi con motivi geometrici e floreali. Completati i decori della parte interna si procedeva con la “figurazione”, ossia la creazione di icone simboliche che, per consuetudine, occupavano sempre gli stessi settori. Così, sui masconi prodieri veniva pitturata la sirena simbolo omerico del mare bello e insidioso, su quelli poppieri il paniere sormontato da un festone di fiori e foglie, sulle fiancate due linee sinusoidali speculari contrappuntate da foglie, sul dritto di poppa la palma d’ulivo o la spiga di grano, sul dritto di prua l’immancabile occhio apotropaico che aveva anche la funzione di elevare la barca a rango di persona umana. Sulla terminazione del dritto prodiero, dalla tipica sagoma a collo di cigno o a cariatide, veniva raffigurato il santo protettore: San Giovanni Battista, per esempio, nelle sardare di Acitrezza. VENERE, LA “SARDARA” NATA DALLA SPUMA DEL MARE “Venere”, è la barca ideata e progettata da Salvatore Finocchiaro nel 2006. Lo scafo è una fedele ricostruzione delle antiche sardare, barche remo-veliche di verghiana memoria che solcavano le acque della riviera dei ciclopi di Acitrezza per andare di notte a pesca di sarde ed alici, pesci molto apprezzati per la loro bontà. Lo scafo si presenta riccamente decorato come da tradizione. La barca, infatti, unico bene di produzione del pescatore, era considerata non un oggetto ma una persona. Il nome “Venere” ricorda la dea greca della bellezza che per l’appunto nasce dall’onda spumeggiante del mare in tempesta.

Riso con le acciughe Ingredienti • 400 gr di riso • 6 pomodorini spellati • 50 gr di olive nere • 2 spicchi d’aglio • 2 acciughe diliscate • olio evo, sale, pepe, basilico q.b. Procedimento Soffriggete l’aglio con poco olio, aggiungete i pomodori a pezzetti e lasciateli cuocere per qualche minuto, unite le olive, il sale il pepe e continuate la cottura fino a che la salsa si sarà ristretta. Fate sciogliere le acciughe con un po' di olio e mescolate al condimento. Cucinate il riso in abbondante acqua salata, scolatelo e conditelo con la salsa e abbondante basilico.

Mascolini in tortiera Ingredienti • 40 gr di mollica di pane • 1 uovo • 30 gr di pecorino grattugiato • 800 gr di mascolini • 15 gr di olio evo • 20 gr di pangrattato • prezzemolo • sale e pepe q.b. Procedimento Ponete la mollica di pane in bagno nell’acqua, strizzatela con le mani. In una terrina rompete l’uovo e aggiungete la mollica, il pecorino grattugiato, il prezzemolo il sale e il pepe. Mescolate il tutto con un cucchiaio di legno finché non sia completamente amalgamato. Togliete la testa le alici, apritele in due senza dividerle; levate la spina e spalmate sulle alici aperte una parte del composto preparato. Richiudetele ricomponendole e allineatele in una teglia dove avrete versato qualche cucchiaiata di olio. Cospargete di pangrattato, versate un filo d’olio e passate la teglia al forno per qualche minuto.

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Il piacevole ritorno delle Lenticchie di

Ustica di Alessia Boschetti

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circa 35 miglia a Nord di Palermo, in mezzo al mare Tirreno c’è Ustica, la “perla nera del Mediterraneo”. Appena 1300 abitanti su una superficie che supera di poco gli 8,5 km quadrati. Su questa piccola isola crescono le lenticchie più piccole d’Italia: colore marrone scuro con delicate sfumature verdoline, coltivate da sempre sui terreni lavici e fertili di questo lembo di terra vulcanica in mezzo al mare. Il pregio di questa lenticchia è da attribuire alla facilità di cottura e soprattutto al gusto intenso e al suo tipico aroma. Non a caso, la lenticchia di Ustica è un presidio Slow Food. E intorno a questo prodotto è nata un’associazione che riunisce tutti i produttori del presidio. Tutti seguono il disciplinare approvato da Slow Food e utilizzano metodi di coltivazione biologici certificati. La lenticchia ha sviluppato caratteristiche uniche adattandosi all’ambiente di coltivazione. Grazie, infatti, al clima e ai suoli vulcanici dell’isola si determina lo sviluppo delle caratteristiche proprie del prodotto: facilità di cottura, gusto e aroma intensi. La colorazione dei semi è marrone mentre il colore interno è arancio. Per capire perché ad Ustica di coltiva questa lenticchia, bisogna sapere che alla fine del 1700 l’isola, fino ad allora rifugio dei pirati, venne abitata stabilmente da persone provenienti dalle vicine isole Eolie a cui vennero

affidati campi da coltivare. L’ordinamento colturale più utilizzato fu quello cerealicolo in cui, seguendo i principi agronomici della rotazione, al frumento seguivano leguminose o piante ortive. L’agricoltura divenne fiorente fino agli anni ‘60 e molti prodotti venivano esportati. I compratori ripartivano con i loro motovelieri carichi soprattutto di lenticchie richiestissime sul mercato napoletano. Fino al secondo dopoguerra l’agricoltura fu la base dell’economia isolana, la pesca non ebbe mai grande rilievo. Di lenticchie ne mangiarono tante i numerosi confinati che durante il fascismo trascorsero parecchi anni ad Ustica. Antonio Gramsci nel 1929, anch’egli confinato nell’isola, le cita nelle sue lettere anche perché le lenticchie erano frequentemente rappresentate nei suoi frugali pasti. Successivamente, l’emigrazione verso Nord da parte di quasi tutto il Mezzogiorno e l’avvento del turismo portarono la gente del luogo ad abbandonare le coltivazioni traguardando guadagni più sicuri e promettenti. Oggi, invece, grazie a Slow Food e alla sua visibilità, si assiste al recupero e allo sviluppo della coltivazione della lenticchia. I sei produttori che fanno parte dell’associazione “Lenticchia di Ustica” confezionano il prodotto sotto un’unica immagine. La produzione nel corso degli ultimi anni è aumentata notevolmente di pari passo al ritorno alla terra di tanti • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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Pasta e lenticchie Ingredienti per 4 persone • 250 gr di lenticchie di Ustica • 300 gr di pasta tipo vermicelli spezzati • 1 cipollotto novello • 1 ciuffetto di prezzemolo • 1 rametto di rosmarino • 1 rametto di maggiorana fresca • 1 costa di sedano, 1 aglio novello • sale, pepe, olio evo q.b. Procedimento Lavare le lenticchie e, senza tenerle a bagno, cuocetele in 200 cl d'acqua, con una costa di sedano, qualche gambo di prezzemolo, 1 cipollotto, salando verso fine cottura. Unitevi la pasta e preparate un intingolo imbiondendo nell'olio l'aglio, il rosmarino e la maggiorana; unitelo alla minestra di pasta e lenticchie, fate insaporire e rifinite col pepe.

giovani che ha di fatto reso possibile il recupero del tipico paesaggio rurale fatto di piccoli appezzamenti delimitati da muretti a secco. La lenticchia è una pianta annuale il cui ciclo vegetativo ad Ustica si compie da gennaio a giugno. Le tecniche di coltivazione sono fatte tutte nel rispetto dell’ambiente e della natura. Non si utilizzano né concimi chimici, né erbicidi e le erbe infestanti si tolgono, ancora oggi, a mano, con la zappetta. Le piantine si lasciano seccare sul campo, e nel periodo tra maggio e giugno si effettua la raccolta

che prevede una fase di estirpazione e una di trebbiatura per separare le lenticchie dal resto della pianta. Le lenticchie prima di essere confezionate vengono selezionate e sottoposte a un trattamento a freddo per evitare lo sviluppo di parassiti durante lo stoccaggio. Un tempo cibo povero per eccellenza, le lenticchie di Ustica oggi rivalutate (anche economicamente) sono un ingrediente fondamentale della cucina locale. Le due ricette classiche sono la zuppa, arricchita con le verdure locali e profumata con finocchietto selvatico e la pasta e lenticchie preparata con spaghetti spezzati. Tenere e saporite sono un cibo facile da cucinare: non hanno bisogno di ammollo e cuociono in appena tre quarti d’ora.

Zuppa di lenticchie usticense Ingredienti • 500 gr di lenticchie di Ustica • 1 cipolla, 1 spicchio d’aglio • 6 pomodorini • 1 zucchina, tenerumi, 1 patata e 1 carota tagliate a cubetti • finocchietto selvatico • sedano, basilico, olio evo Procedimento Le lenticchie vanno cotte in acqua fredda portata lentamente ad ebollizione, l’acqua va dosata in modo da ottenere la giusta consistenza della zuppa. Per facilitare la cottura non bisogna mettere sale e mescolare finché le lenticchie non saranno morbide. Le verdure possono essere soffritte nell’olio extravergine d’oliva prima di essere aggiunte o possono essere messe a crudo contemporaneamente alle lenticchie. Quindi aggiustate di sale, pepe o peperoncino, un po’ di finocchietto selvatico, l’olio e continuate la cottura. Servite con crostini di pane, magari insaporiti con l’aglio.

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le ricette di Giuffrè MagGiu_05 10/07/17 10:54 Pagina 12

Crema di ceci alle erbe con tonno scottato al sesamo È la stagione migliore per il tonno rosso mediterraneo che si sposa molto bene con sesamo e pistacchi e i tanti aromi che regala l’ambiente siciliano. Nel tonno rosso sono quasi totalmente assenti i grassi saturi. Buona la percentuale di grassi insaturi, in cui prevalgono gli Omega-3 che lo rendono protettivo per i livelli alti di colesterolo. La carne del tonno contiene anche proteine, potassio, selenio, vitamina B12, niacina e fosforo e rappresenta un alimento a bassissimo indice glicemico. Il tonno, inoltre, se consumato con altri alimenti contenenti ferro, contribuisce al suo assorbimento. Ingredienti per 6 persone

Procedimento

500 gr di tonno rosso, 500 gr di ceci 1 mazzo bieta, 1 mazzo spinaci 1 cipolla, sesamo, 1 spicchio d’aglio 1 mazzo di basilico, qualche foglia di menta 50 gr di pistacchi sgusciati, salsa di soia pepe, olio evo 1 rametto di rosmarino 2 foglie di salvia 1 rametto di timo vino Nero d’Avola

Mettete in acqua i ceci per 12 ore dopodiché metteteli a cuocere con la cipolla, il rosmarino, la salvia, la menta e il timo, a metà cottura aggiungere spinaci e bieta. Tagliate il tonno a tocchetti spessi 3 cm. Mettetelo a marinare con vino, salsa di soia e foglie di menta per circa 1 ora quindi toglietelo dalla marinatura e giratelo nel sesamo. Mettetelo a cuocere avendo cura di farlo rimanere di color rosa al centro. Preparate un pesto al mortaio con: ¼ di spicchio di aglio, basilico, menta, pistacchio ed olio di oliva. Mettete nel piatto i ceci dopo averli frullati, posizionare il tonno al centro

Anelletti calia e simenza La curcuma che dà il colore agli anelletti di questa pietanza, è davvero un superfood. Aiuta a fronteggiare le infiammazioni ed è molto utilizzata per trattare l’artrite (sfiamma e lenisce il dolore). La curcumina contenuta in questa spezia, sostiene l’attività del fegato e favorisce la digestione. Attivo anche nel contrasto dell'azione dei radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento cellulare, rafforza il sistema immunitario, aiuta a prevenire il diabete di tipo 2 e agisce su cervello e sistema nervoso: un solo grammo al giorno di curcuma può aumentare la memoria.

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Ingredienti

Procedimento

500 gr di pasta formato anelletti 500 gr di pomodoro costoluto 1 mazzo basilico foglia larga 1 rametto menta 50 gr bottarga di tonno 50 gr semi di zucca, 50 gr arachidi 50 gr pistacchi, 50 gr di mandorle 2 cucchiai di curcuma olio evo, pepe q.b.

Tagliate il pomodoro a dadini, unite basilico e menta tagliata a listarelle, grattugiate la bottarga, mettete i semi di zucca, le arachidi e i pistacchi. In un mortaio fate un pesto con mandorle menta e basilico. Cuocete gli anelletti in acqua abbondante con due cucchiai di curcuma. Scolateli al dente e passateli in acqua fredda. Servite dopo avere amalgamato il tutto con olio evo e regolato di sale e pepe.


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Ricciola alla pantesca

A un anno di distanza dal devastante incendio che ha distrutto parte del patrimonio boschivo di Pantelleria del 2016, è partito il crowdfunding per riforestare l'isola. L'obiettivo da raggiungere: piantare diecimila alberi.

Ingredienti 800 gr di ricciola 200 gr di pomodorino di Pachino 30 gr di capperi, 100 gr di olive 1 cipolla, prezzemolo, olio evo, sale e pepe q.b. Procedimento Sfilettate la ricciola o fatevela sfilettare dal vostro pescivendolo. Soffriggete la cipolla in olio d’oliva extravergine, aggiungete i pomodorini, i capperi, le olive e la ricciola. Far cuocere per 10 minuti, prezzemolate e servite.

Passione albicocche

Ingredienti

Procedimento

500 gr di albicocche 50 cl di latte p.s. 50 cl di panna 50 gr di amido di mais 100 gr di zucchero d’uva 10 cl di rhum

Pulite 400 gr di albicocche, scottatele in acqua e rhum e passatele al passatutto. Mettete sul fuoco il latte con l’amido di mais e metà dello zucchero d’uva. Girate fino a quando non si addensa. A questo punto unite la passata di albicocche. Montate la panna con il restante zucchero d’uva. Tagliate le albicocche rimaste a listarelle e decoratele con la panna; la crema può essere adagiata su pan di Spagna, crostata o biscotti, oppure semplicemente sul piatto. Per la decorazione, lascio la scelta alla vostra fantasia.

Dolci, profumate, ricche di betacarotene e licopene, sono utili per la pelle e per tenere sotto scacco il colesterolo e i radicali liberi responsabili dell’invecchiamento cellulare. Le albicocche sono inoltre alimenti ad alto contenuto di fibre, utili per dimagrire e tenere sotto controllo l’iperglicemia.

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Sultano imp_06 10/07/17 10:55 Pagina 14

I segreti di

Ciccio Sultano?

L’esperienza e la proporzione di Omar Gelsomino

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Foto di Marcello Bocchieri

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nnumerevoli sono le menzioni e i riconoscimenti avuti in tanti anni di carriera: due stelle Michelin per dieci anni consecutivi e i recenti "Quattro Cappelli" assegnati dalla Guida de L'Espresso, ma anche le menzioni di Gambero Rosso. Ciccio Sultano oltre ad essere il titolare del rinomato ristorante Il Duomo a Ragusa Ibla, da oltre un anno è presidente de Le Soste di Ulisse, un'associazione nata nel 2002 e che riunisce oltre una trentina di ristoranti gourmet, venti charming hotel, due maestri pasticceri e le più importanti cantine siciliane. Da poco ha avviato “I Banchi”, la sua nuova "avventura", dove sublima i palati fini con le eccellenze gastronomiche siciliane ed italiane. La sua, così come quella di tanti altri talenti gastronomici siciliani, è la classica storia del self-made man che ha cominciato facendo tanta gavetta: a tredici anni a servizio in un bar occupandosi dalla tavola calda alla gelateria, dalla pasticceria all'american bar. Sarà la nostalgia dell’adolescenza, sarà che la gioventù fa apparire tutto roseo, sta di fatto che quel periodo viene ricordato da Sultano come «una bellissima esperienza, decisamente indimenticabile». Presto il “vero” lavoro scelto per necessità ma per il quale in breve tempo è scoppiata una vera e propria passione: «A diciassette anni ho scoperto la mia ragione di vita, che consiste – spiega lo chef bistellato – nello svolgere questo lavoro con impegno e profonda passione, occupandomi in modo strutturato e prioritario del mondo enogastronomico». Da allora tanti gli anni spesi a cercare le materie prime migliori, gli accostamenti più riusciti, l’equilibrio nei sapori, l’eleganza nel gusto e nella presentazione. Un lungo studio e approfondimenti che portano Sultano a dichiarare che, alla fine, per preparare dei buoni piatti «servono l'esperienza e la proporzione, un dono quest’ultimo che purtroppo non si impara a scuola né si può ricercare. Ad armonizzare il tutto serve il buon palato. Avere la proporzione in bocca è come disporre di una tavolozza di colori che poi vengono messi insieme per creare. Dopodiché la tecnica è quella che completa il piatto, introducendo la componente tattile, duttile e termica, i tre elementi che vanno a definire la piacevolezza del piatto». Ciccio Sultano mantiene da dieci anni in modo continuativo due stelle Michelin e per riuscirci l'impegno deve essere costante. «Le stelle si possono anche perdere - ammette lo chef – per questo l’impegno deve essere quotidianamente ad alti livelli. Lo si deve fare innanzitutto per garantire ai nostri ospiti il piacere di stare seduti nel nostro ristorante, poi è innegabile la soddisfazione di raggiungere, dove possibile, l’eccellenza in ciascuno degli ambiti contemplati dalla guida Michelin». • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


Sultano imp_06 10/07/17 10:56 Pagina 15

Ciccio Sultano è anche presidente de Le Soste di Ulisse «un'associazione nata per volontà di un gruppo di amici – spiega – allo scopo di unire la Sicilia e di cementare sempre più quell’amicizia. Un progetto, di per sé straordinario, che, vi assicuro, ci invidiano». Gli amici che inizialmente insieme vollero le Soste, di cui ora fanno parte albergatori, ristoratori e main sponsor, erano oltre Sultano: Enrico Briguglio, Pinuccio La Rosa, la famiglia Campisi, Peppe Carollo, Nino Barraco, i fratelli Rizzo, il cavaliere Benanti, Giovanni Guarneri, Angelo Treno, Peppe Barone, Pino Cuttaia, Nino Graziano. Sempre pronto e disposto a nuove sfide e avventure, ha nella sua agenda tanti appuntamenti di non ne fa mistero: «C’è un libro, edito da Giunti, che racconta le nostre ricette, ma anche la realizzazione di una settantina di video sulla cucina siciliana. E poi, in collaborazione con Copystudio di Ragusa, si sta lavorando alla realizzazione di una mappa delle Soste di Ulisse, funzionale e soprattutto bella, così bella che verrà la voglia di incorniciarla e appenderla al muro». Lo chef ragusano non abbandona la traccia del suo personale percorso individuato tanti anni fa. Migliora e perfeziona la propria idea di cucina totale, dal prodotto alla composizione del piatto, all’accoglienza che oggi ha ritrovato in chiave contemporanea, attraverso il servizio, lo splendore che caratterizzava le tavole delle due Sicilie tra Settecento e Ottocento. Già dall’anno scorso, ho selezionato un gruppo di persone che non hanno a che fare direttamente con la cucina, ma che sono capaci di leggere un piatto da più punti di vista. Un modo per ragionare intorno al cibo, un confronto molto stimolante. Oggi come ieri e dopodomani, continuiamo a pensare al futuro». È chiaro che per intraprendere una professione così importante e prestigiosa bisogna averne le capacità. Suggerisce Sultano: «L'importante è che lo si faccia bene e con il cuore. La cucina educata e la cucina gourmand sono due aspetti fondamentali per la nostra cultura e il nostro modo di fare. Non dobbiamo essere per forza tutti stellati o meno, l'importante è realizzare un progetto sano, buono, ma soprattutto dobbiamo sapere a chi ci rivolgiamo».

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Parla lo chef ragusano due stelle Michelin, “Quattro cappelli” della Guida de L’Espresso e diverse menzioni Gambero Rosso. Dalla gavetta dell’adolescenza al successo della maturità

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Il G7 di Taormina e il menù dello chef che si divide tra musica e fornelli di Maria Laura Crescimanno

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aormina si gode la eco di un riuscito G7 e si rimbocca le maniche pronta ad affrontare il solito pienone d'estate. Sandro Di Bernardo, chef del neo Bistrot dell'Hotel Metropole (terrazze spettacolari a strapiombo sul blu dove si sono alternati vip e delegazioni durante le giornate di incontri), ci accoglie con insolita calma. Sarà il suo carattere, sarà che è ben abituato a stressanti carichi di lavoro. Di Bernardo, infatti, è anche chitarrista rock e si divide normalmente tra i fornelli e la sala d'incisione. Il Metropole, hotel storico tra gli ultimi 5 stelle ad aver aperto i bat-

tenti dopo un complesso restauro lungo il corso principale a pochi passi da Porta Catania, è, oltre che santuario di relax, panorama e cibo raffinato, anche un ritrovo per appassionati di musica dal vivo. Per il G7 ha ospitato la delegazione francese e quella canadese, con a capo il giovane ed ammiratissimo presidente Trudeau, che oltre al buon cibo, non ha rinunciato allo jogging. Una sfida non da poco, soddisfare palati d'alto rango puntando alla perfezione in qualsiasi dettaglio. Light lunch, finger food di ispirazione mediterranea al tramonto, colazioni riservate: un ciclo continuo per il ristorante

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G7 a Taormina imp_07 10/07/17 10:56 Pagina 17

sulle splendide terrazze del neo Bistrot, dove lo chef D'Alessandro, taorminese, 49 anni, alcuni dei quali passati a lavorare ai Caraibi, si è destreggiato con il suo staff e con la sapiente regia della proprietà. Tra i nuovi piatti pensati anche per deliziare i grandi del pianeta, che resteranno nel menù per tutta la stagione, figurano vere delizie che esaltano i prodotti a km 0, incluse alcune proposte per i vegani. Come entrèe, una tartare di gambero di Mazara e mozzarella di bufala, oltre ai crudi di pesce del giorno. Tra i primi, risotto al nero di seppia con pecorino, gambero crudo e caviale di melone. Ancora un primo, un raviolo di pasta fresca con farcitura di carne di maiale, sugo con tre tipi di burro, radicchio e mandorle. Il secondo di pesce, quasi un piatto unico dal nome “La selezione del pescatore” si

presenta come un quadro per lo studio dei cromatismi: riso nero venere, insalata e bouquet di verdure grigliate, tranci di pesce del giorno. Per i vegani, mini polpette di lenticchia nera, tofu al peperoncino e germogli, oppure peperoni arrosto con crema di avocado e seìtan alla paprika. Per finire, una tartare di fragole con mousse di cioccolato di Modica. Lo chef per la prima colazione molto gradita dal premier canadese, ha preparato di persona diversi tipi di pane e focacce, dolce e salato, alla curcuma, alle olive, accompagnati da superba marmellata di agrumi, o da oli selezionati di Nocellara dell'Etna. Ma è nei suoi primi piatti che sanno di mare e di intensi profumi siciliani, che D'Alessandro mette tutto l'amore per la sua terra.

The big blue (dedicato a Enzo Maiorca e Jacques Mayol e ispirato al film Le Grand Blue di Luc Besson, girato a Taormina nel 1988)

• 250 g riso carnaroli • 2 seppie intere col loro inchiostro • 4 gamberi rossi di Mazara • 1 scalogno, 1 carota, un gambo di sedano tritati • brodo di pesce light • pecorino siciliano stagionato q.b. • 33 cl di centrifugato di cantalupo • 1 siringa grande di alginato di sodio e cloruro di calcio • sale pepe e olio evo • 300 gr sugo di pomodoro • 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro • alloro in foglie • curry di madras • 2 cipollotti tropea freschi • vino bianco (grillo o zibibbo vinificato Procedimento

• 20 tartufi di mare crudi • 1 scalogno tritato • mezzo limone • 1 ciuffo di erba cipollina tritata • 10 gocce aceto bianco • 4 fragole • bottarga di tonno • sale pepe e olio evo q.b.

Procedimento Lessate gli spaghetti al volo e cuoceteli fino a un minuto dopo di "al dente". Poi scolateli e ghiacciateli in una bastardella con acqua e ghiaccio. Battete dolcemente al coltello i frutti di mare a crudo e mescolateli in un recipiente aggiungendo l'acqua delle ostriche filtrata, la polpa di ricci, lo scalogno, l'erba cipollina, l'aceto e il limone. Aggiustate la salsa fredda di sale e pepe. Togliete la pasta ghiacciata dall'acqua e aggiungetela alla salsa. Mantecate a freddo e impiattate con l'aiuto di un mestolo e un forchettone nel piatto di portata. Aggiungete al nido di spaghetti il concasse di fragole e la bottarga di tonno grattuggiata. Finite il piatto con un filo d'olio evo, pepe nero e erba cipollina. • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

Ingredienti per 4 persone

secco)

Ingredienti per 4 persone • 200 gr spaghetti al volo Verrigni o spaghettini • 6 ostriche • 10 occhi di bue • un bicchiere di polpa di ricci freschi • 6 scampi crudi • 6 gamberi rossi di Mazara crudi • 20 cozze crude

Risotto al nero con gambero rosso, pecorino e caviale di melone cantalupo

Per il risotto: soffriggete il trito di scalogno, carote e sedano. Aggiungete il carnaroli e tostate. Bagnate col vino rimanente. Cuocete il risotto in modo classico con l'aiuto del brodo di pesce: 15 minuti di cottura e 2 di mantecatura a fuoco spento. A metà cottura aggiungere il ragù al nero di seppie. A parte battete separatamente uno a uno i 4 gamberi all'interno di un foglio di carta forno oleata fino a ottenere un carpaccio a forma di medaglione. Preparate precedentemente il caviale di melone (vedi tecniche di sferificazione di Ferran Adrià, difficoltà medio/alta). Quando il risotto è perfettamente mantecato, dispotelo nei piatti di portata. Posizionate al centro il carpaccio di gambero rosso e al centro del carpaccio posate delicatamente un cucchiaio abbondante di caviale di melone. Aggiungete una spolverata generosa di pecorino, formando una striscia trasversale al risotto. Finite con un filo d'olio e pepe nero.

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Tradizione e classe imp_08 10/07/17 10:57 Pagina 19

Roberto Toro

la classe in un piatto d’autore R

oberto Toro, resident chef del Belmond Grand Hotel Timeo di Taormina, ha lo sguardo attento e il sorriso accattivante di chi della cucina conosce tutti i segreti. Siciliano doc, cresciuto a Palagonia tra il cibo genuino e quella cultura contadina che solo una famiglia di agricoltori può dare, Roberto ha fatto della tipicità il suo credo in cucina. Una filosofia che troviamo anche nella ricetta del “filetto di tonno in crosta di quinoa” che lo chef ha presentato in una cooking class organizzata in occasione dell’ultima edizione di “Cibo Nostrum”. Si tratta dello stesso piatto che un paio di settimane prima avevano potuto gustare i potenti della terra, riuniti a Taormina per il G7, nel corso della cena all’Hotel Timeo offerta dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «L’idea di questa ricetta – spiega Roberto Toro – nasce dalla volontà di valorizzare al meglio un prodotto tipico della nostra terra, anzi del nostro mare: il tonno, pesce azzurro del mar Mediterraneo, viene accostato ad un cereale senza glutine, la quinoa, fornendo al piatto una nota di croccante che aiuta ad esaltarne il sapore». «Dal punto di vista nutrizionale – prosegue lo chef del Timeo – il tonno è uno straordinario alimento, poiché è ipocalorico ma, allo stesso tempo, ricco di grassi essenziali; l’abbinamento con la quinoa, adatta anche a chi soffre di celiachia, crea in questa ricetta un perfetto equilibrio dietetico e salutistico, mentre la salsa speziata a condimento, regala un tocco di sapore agrumato unico dato dalle arance rosse». (vic)

Tonno in crosta di quinoa Il filetto di tonno, dopo essere stato lievemente scottato, viene impanato nella quinoa già cotta e resa croccante in padella e finisce la sua cottura in forno. Il piatto viene servito su una julienne di zucchine saltate in padella con olio d’oliva e uno spicchio di aglio in camicia e infine condito con una salsa speziata a base di arance rosse di Sicilia, insaporite dall’infusione con varie spezie come cardamomo, anice stellato e semi di finocchio.

Ingredienti 160 gr tonno, 50 gr quinoa, 140 ml acqua, 30 gr burro, 1 zucchina, 30 gr bianco d’uovo, 100 ml succo d’arancia, 50 gr zucchero, 80 gr aceto bianco, 2 gr cardamomo, 2 gr anice stellato, 5 gr pepe in grani. Procedimento Cuocete la quinoa con l’acqua fino al completo assorbimento di tutto il liquido. Sciogliete il burro in una padella antiaderente e aggiungete la quinoa. Spadellate fino alla completa doratura. Preparate la salsa mescolando il succo d’arancia, lo zucchero e l’aceto: mettete il composto sul fuoco e fate bollire per 5 minuti. Aggiungete tutti gli aromi lasciandoli in infusione per 20 minuti e successivamente filtrate la salsa. Passate il tonno nel bianco d’uovo e nella quinoa croccante e cuocete in forno a 180°C per 6 minuti. Fate una julienne di zucchine e saltate in padella aggiungendo un pizzico di sale. Adagiate le zucchine al centro del piatto, tagliate il tonno a metà posandolo sopra le zucchine. Condite con la salsa d’arancia speziata.

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Vino di Carola Parano

tecniche di assaggio in pillole

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’è chi lo fa perché è trendy, chi per professione. E c’è pure chi lo fa solo per puro piacere personale. Di sicuro per degustare in maniera professionale servono conoscenze, competenza e tanto allenamento. Per chi non lo sapesse, il vino si degusta con gli occhi, con il naso e con il palato. E tutti questi sensi devono essere ricondotti alle capacità sensoriali ancestrali che appartenevano all’uomo preistorico “più animale”, per il quale percepire un odore o un sapore tenue o leggero rientrava nelle “normali” capacità umane. Solo dopo un lungo allenamento dei sensi, quindi, il vino potrà essere sottoposto all’esame visivo, olfattivo e gustativo. Per farlo in maniera “professionale” si usano le schede tecniche approvate da Onav (Organizzazione nazionale assaggiatori vino) e Ais (Associazione italiana sommelier). In questa breve guida il lettore sarà accompagnato in un esame del vino secondo parametri definiti “standard”. IL VINO SOTTO UNO SGUARDO ATTENTO E si parte con l’esame visivo. In questa fase vanno considerati limpidezza e colore inteso come tonalità ed intensità. Per la limpidezza, il bicchiere va messo in controluce inclinato su una superfice bianca. Quando i vini sono “ben strutturati”, non è facile far passare la luce; quando si abbassa

il bicchiere si può valutare l’unghia che si trova nel punto estremo di con tatto del vino al bicchiere stesso. Qui è valutabile il colore: più tende all’aranciato, più il vino è maturo o stramaturo. Facendo roteare il vino nel bicchiere si possono vedere gli archetti che vengono lasciati sulla parete interna del calice: dalla loro ampiezza si può capire il grado alcolico del vino, più sono stretti maggiore è la gradazione alcolica del vino. Altra caratteristica visiva è il colore che viene valutato per tonalità: osservando la base cromatica, questa può essere porpora, cerasuolo, rubino, granato, rosso cupo e aranciato. Da osservare anche l’intensità del colore, caratteristica che è data da quanta materia colorante è presente nel vino e che dipende dal vitigno utilizzato. METTIAMO IL NASO DENTRO AL CALICE Si passa poi all’esame olfattivo, tecnica difficile e per la quale è necessario tanto allenamento della memoria che mantenere i ricordi sensoriali del maggior numero di degustazioni già eseguite. In questa fase dell’assaggio si devono verificare quattro aspetti: franchezza, intensità, finezza e armonia. Il vino è “franco” quando è pulito, ovvero non presenta estraneità; “intenso” quando si manifesta con una certa potenza al naso mantenendo le proprie

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qualità odorose; “fine” quando è evoluto ed elegante; “armonico” quando tutte le caratteristiche percettive dell’odore e olfatto sono in perfetto equilibrio tra esse. LA PAROLA AL PALATO Esaurite le sensazioni percepite con il naso, si passa all’esame gustativo. Che non sempre trova corrispondenza con le caratteristiche olfattive e visive. E’ infatti possibile che un vino sia armonico ma non buono al palato, ottimo all’esame gustativo e poco intenso e così via. Per affrontare l’esame gustativo devono essere conside-

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rati tre tipi di percezioni: il sapore (acido, sapido, amaro), tattili (morbido, tannico, irritante, termico) e retronasali. La morbidezza del vino viene data dalla quantità di zucchero, di alcol e di glicerina, mentre la durezza viene data da acidi, tannini e sali minerali. Seguendo queste brevi e poco approfondite indicazioni non si è già perfetti degustatori, ma qualche timido giudizio davanti ad un bicchiere di vino potrebbe anche essere espresso, senza usare termini a vanvera e assicurando una discreta corrispondenza con le reali caratteristiche di ciò che si sta bevendo.

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Merlot

vitigno internazionale ben ambientato in Sicilia

Fatta un po’ di scuola e un dopo un discreto allenamento, forse si è anche nelle condizioni di riconoscere un tipo di vitigno piuttosto conosciuto ma non così in fondo quale è il merlot, il vino inchiostrato, da uve nere, morbido, caldo, vellutato, suadente, austero, raffinato, in poche parole accattivante. Dove nasce, qual è stato il suo luogo d’origine? A Pomerol, in un villaggio francese, in Bordeaux in un’area molto piccola e da un terreno argilloso arricchito da ossido di ferro e capace di compattarsi durante l’estate evitando così l’eccessiva alimentazione della pianta. Il Merlot è ormai presente in tutti gli angoli del pianeta, dimostrando di avere grande capacità di adattamento, diversificandosi nelle caratteristiche organolettiche e nella struttura. La fermentazione avviene in acciaio e l’invecchiamento con metodo classico in barrique intorno ai 18 mesi. Ma come è alla degustazione? All’esame visivo il Merlot appare di un bel colore rubino scuro, inchiostro nero che invecchiando tende a diventare granato. All’esame olfattivo si sentono mirtilli, viole, ribes nero, prugne, ciliegie, foglie di pomodoro, finocchio, rabarbaro e le classiche note di humus. L’odore che lo differenzia e lo rende riconoscibile è una nota di erba, presente in tutto il vino, fusa all’odore del frutto. All’esame gustativo è armonico, pieno di amarene e ciliegie, tannico ma non eccessivamente, corposo, vellutato dai sapori di erba e di terra. Alcuni Merlot in Sicilia assumono un retrogusto di spezie che si abbina ai frutti rossi ed un grado alcolico superiore a quello prodotto nel resto del mondo. La coltivazione del Merlot in Sicilia appare a molti una stranezza, abituati come siamo a pensare che l’isola sia solo Nero d’Avola, Cerasuolo, vini dell’Etna. Non abbiamo probabilmente la giusta educazione ai vini ben strutturati e corposi quali possono essere quelli derivanti da Syrah, Merlot o Cabernet Sauvignon coltivati in alcune parti della Sicilia e nello specifico in provincia di Trapani. La terra, il clima, il sole, l’altitudine fanno di questa provincia un luogo principe per questi vitigni che nell’immaginario collettivo sembrerebbero propri solo del nord est d’Europa. E invece non è così. In Sicilia ci sono ottimi vini dalle caratteristiche tipiche di Syrah, Merlot o Cabernet Sauvignon che assumono toni, odori, sapori e colore senza l’aiuto di altri vitigni e quindi in purezza. Vini che se ben equilibrati in cantina e ben stabilizzati possono essere degustati non solo con le carni nei classici menu tipici degli anni ‘80 e ’90, ma anche con il cioccolato. Nell’ultimo Chocomod, la kermesse dedicata al cioccolato di Modica, si è avuto modo di apprezzare un ottimo Merlot di una cantina del Trapanese con il cioccolato agli agrumi. Inaspettato anche questo risultato così come l’abbinamento al pesce a trancio ed ai crostacei. Questo vitigno versatile, misterioso, stupefacente dà vita a un vino che può essere usato anche in riduzione come elisir da far gocciolare delicatamente sul panettone già lavorato al Merlot, con i canditi lasciati a macerare per 48 ore dentro al vino stesso. Allora scopriamo la forza energetica ed alcolica dei vitigni internazionali e globalizzati come il Merlot, lasciandoci trascinare dalle spezie orientali, dal terroir mediterraneo e dai frutti nordici creando così una splendida dimensione alchemica. (c.p.) • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

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Il meglio della Sicilia a Vinitaly e Sol&Agrifood di Maurizio Turrisi

Alla kermesse di Verona è stata apprezzata la grande versatilità delle aziende siciliane e il loro ricco e variegato panorama produttivo

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a Sicilia è diventata un brand affermato in ambito vitivinicolo ed olivicolo ed i numeri messi in mostra a Verona rafforzano una tendenza che fa sperare il meglio per l’intero comparto agricolo dell’Isola. Nei quattro giorni del Vinitaly, sono state registrate oltre 130 presenze totali e di queste, quasi 40 mila hanno degustato vino siciliano in uno dei 152 stand del padiglione 2 del complesso. C’è quindi voglia di Sicilia grazie ad una grande versatilità produttiva delle azien de isolane, che tra un bianco e un rosso, un vino dolce, un rosato e uno spumante stanno esportando in giro per il mondo la grande tradizione produttiva di un vero e proprio continente vitivinicolo con una vendemmia che, praticamente, dura quasi cento giorni: da fine luglio, nei vigneti lungo le coste, ad ottobre, alla pendici dell’Etna. Ecco i sette elementi che hanno caratterizzato la presenza della Sicilia alla edizione 2017 di Vinitaly e Sol&Agrifood. I VITIGNI AUTOCTONI Il messaggio era chiaro fin dall’inizio e condiviso dai produttori e dalle istituzioni del vino isolano: puntare sui vitigni autoctoni per far emergere tutta la grande biodiversità del vino siciliano, attraverso etichette in grado di esprimere al massimo i crismi della territorialità. Quest’anno al Vinitaly, ancora di più degli altri anni, i produttori hanno scommesso su questo grande patrimonio puntando ad accreditarsi come punto di riferimento di qualità e i risultati dimostrano che l’obiettivo è stato centrato. La presenza del pubblico all’interno del padiglione è stata impor-

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Torta al vino rosso Ingredienti • 200 gr di farina • 100 gr di burro • 150 gr di zucchero • 3 uova • 100 gr di cioccolato fondente • 160 ml di vino rosso • mezzo cucchiaino di cannella in polvere • 1 cucchiaino di cacao amaro • un pizzico di sale • mezza bustina di lievito Procedimento

tante, mentre analizzando le tendenze a chiusura della fiera emerge il sempre forte interesse dei mercati storici come, la Germania e gli Stati Uniti, e il costante aumento di attenzione dei buyers asiatici sempre più interessati a queste produzioni di qualità e di forte identità, elementi che evidenziano il grande stato di salute del vino siciliano. I GIOVANI Le aziende siciliane con il passare del tempo stanno diventando delle solide realtà da tutti i punti di vista e in questo consolidamento produttivo, Vinitaly è stato un evento che ha messo in mostra la presenza di giovani leve che stanno prendendo le redini dell’intero comparto produttivo. Sono enologi, come Benedetto Alessandro, responsabili della linea produttiva, come Alessia Bevilacqua di Terrazze dell’Etna, esperti di internazionalizzazione come Giovanna Caruso di Caruso & Minini, addetti al marketing e alla comunicazione come le sorelle Annamaria e Clara Sala di Gorghi Tondi. Insomma questi ed altri giovani rampanti sono i degni continuatori di una generazione di produttori che ha permesso al vino siciliano di uscire dalla logica della produzione di vini da taglio per brillare, finalmente, di luce propria. I SOCIAL Da un’indagine condotta dal Gambero Rosso e Almaware, è scaturito che il vino ha conquistato il mondo dei social network. I dati della ricerca hanno evidenziato un boom di conversazioni nei

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tre principali social (Facebook, Twitter e Google+) durante i giorni della fiera veronese; sono stati monitorati oltre 42 mila post contrassegnati dall’hashtag #Vinitaly2017. Numeri che hanno permesso a questo argomento di essere nella top ten dei trend topic durante la settimana che ha preceduto la Pasqua. La Sicilia ha conquistato la vetta del podio delle regioni più citate calamitando il 12% del totale delle conversazioni. Per quanto riguarda la menzione dei vini e delle zone a maggior vocazione, il Grillo e l’Etna hanno registrato un ottimo trend, confermando così anche il grande successo riscosso tra i consumatori. LA MEDAGLIA CANGRANDE DELLA SCALA A BAGLIO DEL CRISTO DI CAMPOBELLO Anche quest’anno è stata conferita la medaglia Cangrande della Scala ai benemeriti della viticoltura italiana. Per la Sicilia, a ricevere il prestigioso riconoscimento assegnato dal Ministero delle Politiche Agricole su segnalazione degli Assessorati Regionali all’Agricoltura, è stata l’azienda Baglio del Cristo di Campobello. Il premio, dalla scorsa edizione è intitolato ad Angelo Betti, ideatore del Vinitaly, ed è rivolto a coloro che, con il loro operato, hanno contribuito al progresso qualitativo della produzione viticola ed enologica della propria regione e di tutta l’Italia. La medaglia è un nuovo attestato di stima alla produzione di qualità della famiglia Bonetta che, attraverso i propri vini, incarna pienamente tutta l’anima della viticoltura siciliana.

Sciogliete il burro e il cioccolato a bagnomaria o a microonde, fino ad ottenere una crema liscia. Montate le uova con zucchero fino ad ottenere un composto gonfio e spumoso. Unite alla montata di uova il cioccolato e il burro fusi e mescolate bene. Setacciate la farina con il lievito, la cannella, il cacao amaro e il sale. Versate il vino rosso nell’impasto del dolce e aggiungete a poco a poco la farina setacciata con gli altri ingredienti. Mescolate bene in modo da ottenere un composto liscio e omogeneo. Imburrate e infarinate uno stampo per torte e versateci il composto. Cuocete in forno statico a 180 °C per circa 50 minuti (fate la prova stecchino). Sfornate e una volta fredda decorate con lo zucchero a velo o se vi piace di più con glassa di cioccolata.

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IL RITORNO AL VINITALY DI CANTINE PELLEGRINO Al Vinitaly 2017, dopo cinque anni di assenza è tornata ad esporre Cantine Pellegrino, storico marchio dell’enologia siciliana. Dopo un periodo di ragionata assenza, la famiglia è tornata in grande stile alla fiera di Verona presentando ad appassionati e operatori del settore due importanti novità: la nuova immagine di Cantine Pellegrino e il progetto dei 4 vini delle tenute di famiglia. Un ritorno tanto atteso anticipato da due importanti riconoscimenti giunti prima dell’inizio ufficiale della 51° edizione del Salone Internazionale dei vini e distillati di Verona, ottenuti per la produzione vinicola e per il lavoro sul restyling delle

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etichette. Cantine Pellegrino si è aggiudicata il premio cantina con il miglior vino per prezzo/piacere (Marsala Doc Vergine Riserva Dry 2000) conferito dagli assaggiatori della prima edizione della guida 5StarWines - the Book 2017 e il premio speciale “Immagine Coordinata 2017” assegnato dalla giuria del 21° Concorso Internazionale Packaging di Vinitaly. LE PRIME BOTTIGLIE DI OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA A MARCHIO IGP SICILIA Nel padiglione dedicato al Sol&Agrifood hanno fatto il loro debutto le prime bottiglie di Olio Extra Vergine d’Oliva a marchio Igp Sicilia, il cui iter del riconoscimento è stato definitivamente approvato dalla commissione europea lo scorso mese di novembre. L’Isola, dopo la Toscana, è la seconda regione che si può fregiare di questa certificazione di qualità in grado di tutelare ancora di più il consumatore sulla tracciabilità e sulla qualità dell’olio extravergine d’oliva. Tutti gli olii a marchio IGP Sicilia, raccontano infatti un percorso produttivo che avviene totalmente ed esclusivamente in Sicilia.

L’OLIO DELLA PACE PER MEDICI SENZA FRONTIERE A Verona è stato presentato ufficialmente il progetto di Solidarietà “L’olio per la pace” promosso da Premiati Oleifici Barbera in collaborazione con Coop Alleanza 3.0 per sostenere Medici senza Frontiere. L’olio è un blend di nettari provenienti da Tunisia, Spagna, Grecia e Italia e nella sua essenza vuole esprimere il meglio dei profumi e dei sentori del Mediterraneo. L’olio per la pace sarà distribuito in oltre 420 punti vendita italiani di Coop Alleanza 3.0, la più grande cooperativa di consumatori del nostro paese presente in dodici regioni italiane, che sposa la dimensione imprenditoriale con quella etica e sociale. Per ogni bottiglia venduta saranno devoluti cinquanta centesimi di euro a Medici senza Frontiere per sostenere le missioni degli operatori umanitari, impegnati ogni giorno a offrire soccorso e cure mediche a milioni di persone che, per sopravvivere, sono costrette a fuggire dai propri paesi, rischiando la vita in lunghi viaggi della speranza.

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Finger food mania alla siciliana di Rachele Sanfilippo

Per aperitivi in terrazza o cene in piedi basta dare libero sfogo alla fantasia, ma con una rigorosa avvertenza: non servono forchette e coltelli...

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opo fast food e street food, “forestierismi” ormai immessi nel comune lessico italiano, ecco a voi il finger food, che letteralmente tradotto dall‘inglese, significa “cibo da mangiare con le mani” o meglio, “con le dita”; ma risulta più cool la pronuncia in lingua originale. Ma cosa sono i finger food? Semplicemente bocconcini di cibo da poter mangiare facilmente con le mani e che, il più delle volte, si ingurgitano in un boccone; non servono infatti posate e complicate apparecchiature da tavola, così da risultare perfette per un buffet estivo all’aperto, un aperitivo in terrazza, un cocktail, o perfino una cena fredda in compagnia d’amici o per una ricorrenza speciale. Questa nuova forma di ristorazione è diventata un vero e proprio settore specializzato per gli appassionati; cosicché la “finger food mania” gode anche di chef d’eccellenza, professionisti che curano queste monoporzione fin nei minimi dettagli e gode anche di food designer specializzati nel progettare e realizzare tutti i tipi di attrezzature necessarie a rendere più bello un bocconcino già di per sé buono. Sì, perché il motto del finger food è: non solo bello da vedere (cromaticamente e geometricamente), ma buono da mangiare, con sapori che esaltano i contrasti degli ingredienti, partoriti dalla creatività culinaria di chi ne ha fatto un mestiere. Pensare in grande per realizzare un piccolo capolavoro che stuzzica i nostri

sensi è il fine ultimo, ma probabilmente l’esigenza di creare questi piccoli capolavori di gusto, nasce dal fatto di dare la possibilità anche alle “donne di classe” di non sbavare il rossetto per mangiucchiare liberamente. Un gossip ci racconta, infatti, che Joan Collins (la perfida Alexis nella soap opera Dinasty) non volendo subire sbavatura al suo perfetto rossetto durante le riprese, chiese ai suoi assistenti se le potessero portare dei piccoli bocconcini da gustare senza perdere la classe! Ma il finger food diventa famoso nel 2002, quando a Salisburgo, durante l’Expo-Gast, fu richiesto ai partecipanti di competere realizzando delle creazioni culinarie che potessero essere gustate “in punta di dita”. In seguito all’evento, riviste specializzate di settore codificarono delle vere e proprie regole, scritte nero su bianco per definire meglio ciò che prende il nome di finger food. Anzitutto, deve essere un alimento di piccole dimensioni e di facile esecuzione, che si mangia in un solo boccone, possibilmente con le mani, o con l’ausilio di piccole attrezzature (come: bastoncini, mini cucchiaini o forchettine, pirottini). Altrettanto importante è la loro articolazione nella struttura compositiva, cioè miscelare i diversi ingredienti secondo criteri di analogia (diverse gradazioni di dolce, amaro, piccante) o di contrasto (dolce/salato, freddo/caldo, morbido/duro). Poi la loro dimensione visiva deve essere armoniosa ed equilibrata, con un’attenzione particolare alla regolarità dei tagli ed alle dimensioni, sempre precise. Infine – e non

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Crostini allo yogurt, frutta e miele Ingredienti • 1 pagnotta di pane nero di Castelvetrano • 500 gr di fichi ben sodi • due vasetti di yogurt • qualche cucchiaio di miele

Sei ricette in “punta di dita” da servire agli ospiti senza rinunciare ai prodotti tradizionali delle nostre campagne

Procedimento Tagliate il pane ottenendone fette alte 1,5 cm circa. Spalmatele con yogurt naturale o greco, disponete sopra i fichi fatti a fettine o altro frutto di stagione a vostro piacere e guarnite con una pioggerella di miele.

Cubotti di melone al prosciutto Ingredienti

Sfogliatelle con mousse di mortadella e pistacchi Ingredienti • 1 confezione di sfogliatine • 150 gr di mortadella • 50 gr di panna fresca • 80 gr di philadelphia • pistacchi tritati (a granella) • sale q.b

• 1 melone bianco • 250 gr di prosciutto crudo • una manciata di foglioline di basilico • pepe q.b. Procedimento Dal melone, che deve essere maturo al punto giusto, ricavate dei cubotti di circa 3 cm di lato. Avvolgeteli in una fettina di prosciutto crudo. Ponete su ciascun cubotto una fogliolina di basilico e infilzate con uno spiedino che terrà fermi gli ingredienti e faciliterà la presa ai vostri ospiti.

Procedimento Per realizzare la mousse frullate in un mixer da cucina la mortadella tagliata a pezzi, la panna, la philadelphia ed un pizzico di sale. Sistemate le sfogliatine o i crostini di pane ottenuti tagliando a fettine il pane e tostandole nel forno, mettete il composto in una sac à poche con un beccuccio a stella e ricopritele con la mousse. Finite con un po’ di granella di pistacchi.

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Funghetti in pastella di birra Ingredienti • 500 gr di prataioli piccoli • 2 bicchiere di farina 00 • 2 cucchiaino di sale • birra e olio evo q.b.

Polpette di zucchina Ingredienti • 800 gr di zucchine • 100 gr di ricotta • 250 gr di pangrattato • 120 gr di parmigiano reggiano • 1 uovo • menta o timo, olio di semi • sale e pepe q.b. Procedimento Prendete le zucchine, lavatele e asciugatele, quindi spuntatele tagliando le estremità più dure. Usando i fori più grandi di una grattugia “minerva” grattugiate le zucchine ponendole in un colino con un peso sopra in modo rilascino tutti il liquido in eccesso. Salate leggermente la polpa di zucchine, aggiungete la ricotta e il parmigiano reggiano grattugiato. Unite al composto l’uovo e le foglioline di menta oppure di timo sminuzzate. In ultimo aggiungete 120 grammi circa di pangrattato e regolate di sale e di pepe. Amalgamate tutti gli ingredienti in modo da creare un impasto morbido. A questo punto formate con le mani delle piccole palline tutte della stessa grandezza, in modo che la cottura sia uniforme per tutte. Successivamente, passatele nel pangrattato rimanente in modo che si formi la giusta impanatura durante la cottura. Fate scaldare sul fuoco dell’olio di semi e friggete le polpettine che scolerete appena saranno dorate adagiandole su della carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso. Servite subito ben calde.

meno importante, un’attenzione particolare va all’accostamento cromatico delle materie prime (che di base devono essere almeno tre) ed un’attenzione alle norme igienico-sanitarie da non sottovalutare mai. Se consideriamo che secoli fa il cibo era esclusivamente toccato con le mani, e se consideriamo che tutt’oggi in alcune popolazioni è ancora culturalmente accettato introdurre in bocca il cibo con le mani, possiamo considerare il finger food un ritorno alle origini, un salto nel passato che ci riporta a periodi antecedenti il XVI secolo, quando fu codificato il galateo, che ci impose la cultura delle posate e della mise en place. I nostri sensi sono così tutti coinvolti in un’esperienza finger food: un boccone diventa ancora più appetibile

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Procedimento In una ciotola versate la farina setacciata. Aggiungete il sale, versate sopra la birra e mescolate a mano o con un cucchiaio fin a quando la farina non si scioglie e non otterrete un composto liscio ed omogeneo. Mettete la pastella in frigorifero. Pulite i funghetti e cuoceteli, girandoli spesso e fino a quando risulteranno ben dorati da ogni lato, in una padella dove avrete fatto scaldare dell’olio extravergine di oliva. Quando cotti cospargeteli di sale e non appena saranno completamente raffreddati, tirate fuori la pastella di birra e rimescolatela delicatamente. Prendete i funghetti con una forchetta e immergeteli uno ad uno nella pastella facendo attenzione a coprire per bene ciascun fungo. Disponeteli su una teglia rivestita con la carta da forno ed aspettate che la pastella si asciughi. Infornate i pratolini in forno preriscaldato a 180°C per circa 10 minuti, o almeno fin quando avranno raggiunto il colore e la croccantezza desiderata. Potete servire i funghetti in pastella di birra caldi oppure freddi.

Crostini con burro salato, erba cipollina e alici Ingredienti • un pacco di sfogliatine o in alternativa un pane del giorno prima formato baguette • 50 gr di burro, sale (meglio se fior di sale) • 10 fili di erba cipollina sminuzzata • alici 1 per finger Procedimento Se non volete usare le sfogliatine, tagliate a fettine il pane e tostatele nel forno. Prendete il burro e ammorbiditelo tenendolo fuori frigo. Aggiungete l’erba cipollina e due pizzichi di sale e girate bene in modo che sia ben distribuita. Mettete il burro in una sac à poche ponendo attenzione alla temperatura del composto che non deve essere nè troppo caldo nè troppo freddo, altrimenti non riuscirete a dosarlo. Ricoprite le sfogliatine o i crostini con un giro di burro aromatizzato e posizionate sopra una alice arrotolata.

col “tatto” che è il senso più primordiale dell’uomo, ma anche con “l’olfatto” in grado di captare i sentori aromatici, con la “vista” che istantaneamente percepisce forme, colori ed accostamenti; ma stranamente, anche con l’udito, che ci permette di ascoltare le diverse consistenze. Queste miniature si compongono non solo di mignon, spiedini, e dolci composti in pirottini fantasiosi, ma trovano ispirazione realizzando in piccolo anche ottimi primi e secondi piatti della più alta gastronomia tradizionale; insomma, tutto dipende dalla creatività dello chef e dall’esigenza del committente. La principale peculiarità di queste monoporzioni è il modo in cui vengono servite che apre un ampio capitolo. Cibo rivisitato che diventa originale e servito

in seducenti contenitori, stimola alla degustazione. Così il mercato si è adeguato alla richiesta di piccole vettovaglie per party sempre più chic ed i food designer hanno scatenato la loro fantasia per far fronte alla richiesta, con porcellane e contenitori in vetro o plexiglas, che diventano piccoli gioielli di design. Ma vi chiederete, mini porzioni per mini appetiti? Che sia tutto mini, non impedisce ai grandi mangioni di essere appagati, perché è possibile assaggiare e riassaggiare tante volte ciò che più piace; ma attenzione, questo affascinante mondo emozionale di forme, colori e sapori, potrebbe coinvolgerci a tal punto da non aver più il confine delle quantità di cibo ingurgitato! Sfogo alla fantasia allora e buon divertimento con la “finger food mania”.

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a cura di Alessandro Iannelli

ALBICOCCA Coltivato in Cina da tempi remoti, il Prunus armeniaca era noto già ai Romani ma la sua coltivazione fu introdotta in Sicilia dagli Arabi. L’albicocca ricca di potassio e di carotenoidi (preziosi per la salute di occhi e pelle), contiene vitamina K, fondamentale nella coagulazione. È fonte di vitamine del gruppo B, in particolare tiamina, riboflavina, niacina e acido pantotenico, coinvolte nel processo di metabolismo e nel funzionamento del sistema nervoso. Fra le varietà siciliane ricordiamo la Maiolina, citata nel XVII secolo dal botanico Cupani: dolce e rustica, ma è stata penalizzata commercialmente dalle dimensioni ridotte. Coltivazione: evitate i terreni basici e argillosi, a meno che il portainnesto non sia un mirabolano. Partite da albero di 3-4 anni, da mettere a dimora durante il riposo vegetativo, immergendo le radici in una poltiglia di fango. Spargete quindi concime a lento rilascio. Tra le varietà autofertili si consiglia la “Ninfa”, per pezzatura, sapore e resa. Se piantate più esemplari tenete una distanza di almeno 4 metri lungo i filari, 5 fra gli stessi. Contenete le irrigazioni nei 20 giorni precedenti la raccolta per evitare spaccature. PESCA L’origine è asiatica e si ritiene che il Prunus persica sia stato introdotto in Europa dagli eserciti di Alessandro Magno. Le proprietà nutritive sono simili a quelle dell’albicocca, rispetto a cui presenta meno vitamina C ma più manganese,

L’orto e la frutta

minerale la cui carenza crea disturbi a livello ematico, del sistema nervoso e del metabolismo dei glucidi. Tra le varietà si-

lore viola chiaro e forma simile alla zucchina; si segnala poi la “pianta delle uova”, melanzana che ricorda nell’aspetto un uovo e il cui sapore ricorda i funghi. Coltivazione: richiede piena esposizione al sole ed un terreno sciolto, neutro o sub-acido. Da preferirsi una concimazione preliminare del terreno, evitando concimi ad alto tenore di azoto. La semina va effettuata a partire da febbraio, con filari di 80 x 60 cm. Dato l’andamento rampicante, l’uso di tutori agevolerà la crescita. La pianta va innaffiata regolarmente, senza eccessi e senza bagnare le foglie. La maturazione è sca-

ciliane spiccano due Igp, quella tardiva di Leonforte, gialla, di buona pezzatura e particolarmente dolce e la Montagnola di Bivona, a polpa bianca con una striatura rossa, anch’essa dolce e profumata. Un tempo si riteneva che nettarina e percoca fossero incroci di pesca con susine e albicocche, le indagini genetiche hanno accertato che si tratta di variante della stessa specie, il Prunus persica. Coltivazione: la maggior parte delle varietà è autofertile. Le indicazioni sono molto simili a quelle fornite per l’albicocca, con l’unica differenza che preferisce un terreno dal ph leggermente più alto. Suggeriamo la varietà tabacchiera, successo commerciale degli ultimi anni, dalle eccellenti proprietà organolettiche, con l’unica avvertenza che non si conserva a lungo. Si adatta bene al nostro clima l’Elegant Lady, dalla buccia color bordeaux, con polpa soda e di ottima pezzatura.

lare, a partire da giugno e per tutta l’estate: la raccolta per ogni melanzana va effettuata prima della completa maturazione, quando è ancora morbida e non si sono formati i semi.

MELANZANA Originaria dell’India, fa la comparsa nel Mediterraneo nel VII secolo. Buona fonte di potassio, vitamina K, magnesio (prezioso contro lo stress e prima di uno sforzo fisico) e vitamine del gruppo B, in particolare acido folico, prezioso per lo sviluppo fetale. Contiene cinarina, utile a regolare le funzioni del fegato. Tra le tante varietà ricordiamo la dolce Perlina, di co-

POMODORO Fu importato in Europa dal Nuovo Continente ma il consumo si diffuse solo nel XVII secolo. Eccellente fonte di vitamina A e C, vanta buone quantità di magnesio, vitamina D ed E. Come riflette il nome scientifico Solanum lycopersicum, è la maggiore fonte di licopene, carotenoide dalle marcate proprietà antitumorali. Il pomodoro di Pachino, coltivato nelle province di Ragusa e Siracusa, è l’unico italiano a vantare il marchio Igp: deve le sue proprietà aroma-

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Orto Estate MagGiu imp_12 10/07/17 11:07 Pagina 33

d’

estate

tiche alla luminosità invernale, la salinità delle acque e ai fertili terreni argillosi dell’areale. Da segnalare altresì il siccagno

delle Madonie (famosa la salsa di Valledolmo,) e il pizzutello siccagno cui è dedicata una sagra a Villalba (Cl). Usato

soprattutto per la preparazione di dense e profumate salse, si è adattato ad aree poco piovose ma umide e dai terreni ricchi di potassio e non necessita di irrigazione se non in maniera contenuta nelle prime fasi di sviluppo. Un siccagno coltivato nella valle del Belìce è presidio Slow Food. Coltivazione: il terreno ideale è sciolto e subacido. È ideale mescolare concime al terreno in ragione di circa mezzo chilo per metro quadro prima della semina, da effettuarsi a partire da febbraio in posizione soleggiata. I sesti di impianto saranno di 70 x 50 cm per i pomodori a portamento indeterminato, da legare ad un tutore; di 130 x 80 cm per le varietà a portamento determinato. Da preferirsi l’irrigazione a goccia. In media trascorrono 4 mesi dalla semina alla raccolta.

Torta con albicocche secche e ricotta Ingredienti

Albicocche secche croccante dono del sole Non tutti sanno che anche le albicocche possono essere essiccate e in tal modo conservate anche diversi mesi. E come per i fichi si tratta di una tradizione prevalentemente meridionale. A differenza delle albicocche secche vendute nei supermercati, quelle preparate a casa ricorderanno nella forma i pomodori secchi. Il processo smorzerà la leggera asprezza del frutto, facendone una nota di sottofondo: caratteristica che, insieme alla morbida croccantezza, rende le albicocche secche perfette per la preparazione di dessert. Di seguito indichiamo due metodi di preparazione, quella tradizionale e quella al forno. In entrambi i casi le albicocche andranno preliminarmente lavate, tagliate a metà e private dei noccioli, e poi quando secche, conservate in sacchetti di tela o barattoli a chiusura ermetica. Va da sé che il lento disseccamento sotto il sole darà il risultato ottimale. Preparazione tradizionale. Tempo di preparazione: 10-15 giorni. Disponete le albicocche su una tavola in posizione soleggiata per il tempo necessario affinché risultino secche al tatto. Abbiate cura di rigirarle una volta al giorno, poco dopo l'ora di pranzo, e di portarle dentro la sera, quando l'umidità rallenterebbe il processo. Sarà opportuno ripararle dagli insetti, si consigliano garze leggere o una comune zanzariera. Preparazione al forno. Tempo di preparazione: 11-13 ore. Riponete le su una teglia su cui avrete prima steso della carta forno. Cuocetele per 5-6 ore (a seconda della dimensione dell'albicocca) a 70°C, tiratele fuori e giratele, quindi procedete per altre 5-6 ore prima di spegnere il forno. Attendete che si freddino prima della conservazione. ...E i noccioli? Se avete preparato le albicocche secche e vi sono rimasti diversi noccioli, non buttateli. Contengono amigdalina, un composto tossico se ingerito oltre certe quantità, il cui sapore amarognolo lo rende però perfetto per la preparazione di liquori che richiede 3 mesi circa, ma ne varrà la pena, specialmente quando potrete offrirlo ai vostri ospiti.

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• 300 gr di albicocche secche • 250 gr di farina, 150 gr di zucchero • 250 gr di ricotta, 1 busta di lievito • 3 cucchiai di oliva evo, 150 ml di latte • mezzo limone, sale q.b. • 2 uova Procedimento Fate a pezzetti piccoli (di dimensione simile a quella dell'uvetta nel panettone) metà delle albicocche. Amalgamate la farina con il lievito. In una ciotola battete insieme lo zucchero e le uova, per circa 7-8 minuti (o 2-3 minuti se disponete di fruste elettriche), poi versate il contenuto in un pentolino insieme alla ricotta e a 2 cucchiai d'olio, quindi mescolate fino all'amalgama; aggiungete 15 gocce di limone, 1 pizzico di sale, la farina e anche in questo caso mescolate fino a raggiungere un buon amalgama; infine unite all'impasto le albicocche a pezzettini e amalgamate il tutto. Stendete uniformemente il terzo cucchiaio d'olio sulla tortiera precedentemente ricoperta da carta forno, quindi versate l'impasto, pareggiate con un cucchiaio la superficie con un cucchiaio e poggiatevi delicatamente le rimanenti albicocche. Cuocete per 30-35 minuti a 180°C. Vi accorgerete che la torta è pronta quando, infilando uno stuzzicadenti, questo rimarrà asciutto. Lasciate raffreddare 15-20 minuti prima di tagliare a fette e servire.

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Ciliegie una tira l’altra di Maria Grazia Sclafani

In Oriente, e in particolare in Giappone, da secoli si coltivano varietà da fiore. Allo spettacolo della fioritura primaverile si attribuisce il valore simbolico del divino 34

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enerine, duracine, amarene, marasche, visciole: chiamatele con il loro nome, chiamatele come volete, ma sono sempre ciliegie. E se è vero che una tira l’altra è perché sono davvero buone, ma soprattutto fanno bene alla salute. Forse non tutti sanno che la ciliegia nasce sia dal Prunus avium, che è il ciliegio dolce, sia dal Prunus cerasus, detto anche agriotto o visciolo, e lega la sua origine ai territori occidentali dell’Asia. Il ciliegio è una pianta della famiglia delle Rosacee. Questo sembra rendere meno sorprendente il fatto che tutti gli alberi da frutto di questa famiglia (come il melo, il mandorlo, il pesco, il susino) diano luogo, in diversi momenti della primavera, a fioriture di spettacolare bellezza. In Oriente, e in Giappone in modo particolare, vengono coltivate da secoli varietà da fiore della pianta, proprio per godere di questo spettacolo primaverile, cui si attribuisce un valore simbolico, come a una manifestazione vistosa e sontuosa del ciclo delle stagioni e, dunque, del divino. Le innumerevoli varietà che si sono andate sviluppando nei secoli, sia spontaneamente sia per successivi innesti (soltanto in Italia se ne conoscono ben più di un centinaio), si suddividono in due grandi gruppi: le ciliegie tenerine, a polpa tenera (frutto del Prunus avium var. juliana) e le ciliegie duracine, o duroni, a polpa soda (frutto del Prunus avium var. duracina). Il nome scientifico della pianta può facilmente trarre in inganno. Il Prunus avium, che deve il suo nome al fatto

che gli uccelli, attratti dal frutto dolce e dal colore vistoso, contribuiscono alla sua disseminazione, definisce la ciliegia dolce, quella che tutti meglio conosciamo. Il nome di Prunus cerasus, che sembrerebbe designare appunto il ciliegio, si riferisce, invece, alla pianta che produce la ciliegia amara, o amarena, o anche visciolo, particolarmente ricercata per la conservazione sotto spirito e in pasticceria. Originario quasi certamente dell’Asia Minore o della Persia, era già ben conosciuto ai Greci, tanto che Teofrasto (IV-III secolo a.C.) ne parla come di una coltivazione già stabilizzata. Nel I secolo a.C. le ciliegie erano già note a Roma, a Lucullo, grande generale, ma anche uomo raffinatissimo e gran buongustaio, si attribuisce l’introduzione della specie nell’antica Roma, quando dalle sue campagne d’Oriente portò alcune piante che producevano frutti particolarmente dolci e invoglianti. Le piantò nel giardino della sua magnifica villa sulla collina del Pincio, proprio in cima all’attuale scalinata di Trinità dei Monti, e affascinò i suoi concittadini con lo spettacolo primaverile della fioritura e con lo stupore estivo di sapori ancora sconosciuti. Nella mitologia greca era la pianta sacra a Venere e i suoi frutti pare portino fortuna agli innamorati. In Sicilia si dice che le dichiarazioni d’amore fatte sotto un ciliegio saranno sempre fortunate. E sembra infatti che il legame d’amore tra le ciliegie e la Sicilia sia proprio uno di questi.

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LE CILIEGIE DELL’ETNA... La zona del Catanese è famosa per le sue ciliegie e da decenni nel mese di giugno, vi si tiene una sagra dedicata a queste pianta. La zona del massiccio etneo è molto nota per la produzione di ciliegie di qualità. È soprattutto nella fascia collinare e litoranea, lì dove i terreni profondi e franco-sabbiosi, che si producono i frutti migliori dal gusto dolce ed equilibrato, ma non stucchevole con contenuto zuccherino medio alto e, soprattutto, da un’acidità molto bassa. E grazie a queste particolari caratteristiche da qualche anno è stata ottenuta la Dop (Denominazione di Origine Protetta). Con le varietà tipiche dell’Etna, la Mastrantoni, la Napoleone, la Raffiuna e la Maiolina, la produzione delle ciliegie etnee raggiunge mediamente le 1.300 tonnellate, interessando ben dodici comuni dove l’uomo ha faticato a trasformare le “sciare” (dall’arabo terra bruciata) in terreni fertili che ha dedicato alla produzione delle ciliegie. ...E QUELLE DI CHIUSA SCLAFANI Di colore rosso vivo, succosa e dolce, la ciliegia di Chiusa Sclafani non passa meno inosservata della cugina catanese, con cui ha instaurato una sana competizione. Non ha ancora ottenuto la certificazione territoriale, ma è apprezzata e trasformata in marmellate, creme, succhi, gelati, granite e liquori. Tutti rigorosamente bio. Posto al margine sud-occidentale dei Monti Sicani, nella regione del corleonese, il territorio di Chiusa Sclafani si estende nello spartiacque tra la Valle del fiume Belice e quella del fiume Sosio.

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Ogni anno, nel mese di giugno, migliaia di turisti affollano il piccolo paese di per la sagra dedicata alla ciliegia «Cappuccia». Grazie al microclima che lo contraddistingue, costituisce una delle aree più vocate per la coltura del ciliegio. I produttori di Chiusa Sclafani ne hanno riconosciuto la potenzialità e da un paio ne hanno intensificato la coltivazione, facendone un vero e proprio business. UNA TIRA L’ALTRA E FANNO BENE ALLA SALUTE! Depurativa, remineralizzante e anticaldo: ecco alcune virtù delle ciliegie siciliane. Non è un caso che maturi proprio adesso, visto che la sua polpa, ma anche le foglie e i peduncoli, sono ricchi di sali minerali che contrastano la stanchezza di inizio estate. La ciliegia è leggermente lassativa e lo zucchero che contengono è adatto ai diabetici. Per questo è un ottimo alimento per chi soffre di glicemia alta, ma anche di ritenzione idrica e per chi è in sovrappeso: contengono appena 40 kcal per etto, danno subito un effetto di sazietà e soddisfano il desiderio di zuccheri. L’ideale è consumarla fuori pasto, come spuntino, perché a digiuno esplica al meglio la sua azione terapeutica. Ricca di vitamine e di oligoelementi, la ciliegia abbassa i livelli di colesterolo “cattivo”, è un buon tonico e un efficace remineralizzante. È, dunque, consigliata a chi fa sport come integratore. Infine, non va dimenticato che questo piccolo frutto, non a caso legato al culto di Venere, è una miniera naturale di flavonoidi, sostanze antiossidanti che rallentano l’invecchiamento cellulare.

Tarte tatin alle ciliegie Ingredienti per 4 persone • 250 gr di ciliegie • 2 cucchiai di zucchero (meglio se di canna) • burro q.b. (in alternativa margarina senza grassi idrogenati) • 1 rotolo di pasta brisée Procedimento Lavate e denocciolate le ciliegie avendo cura di lasciarle intere, aprendole delicatamente a metà e mettetele da parte. Ricoprite con carta da forno una teglia e cospargete il fondo con lo zucchero e con qualche fiocco di burro. A questo punto ponete e ciliegie molto vicine tra loro in modo da ricoprire interamente il fondo e infornate in forno preriscaldato a 180°C per quindici/venti minuti. Quindi tiratele fuori dal forno. Intanto prendete la pasta brisée e ricavate due cerchi di diametro uguale alla teglia, sovrapponeteli uno sull'altro e con un mattarello uniteli. Adagiateli delicatamente sopra le ciliegie caramellate e infornate nuovamente a 200°C per venti minuti. Sfornate e sformate, aiutandovi a capovolgere con un piatto o un coperchio. Togliete la carta da forno. Servite tiepida, magari accompagnata con del gelato alla vaniglia.

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La pasta estiva più buona ? Quella con i

tenerumi

di Martina Comito

Le prime tracce della zucca lagenaria longissima si riferiscono a ritrovamenti di oltre 9000 anni fa. Pare che sia stata la prima specie di zucca coltivata al mondo. Con essa i Fenici e le popolazione dell’India e dell’Africa realizzavano strumenti musicali

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olti li chiamano “tenerezze”, ma per noi siciliani, e di più per i palermitani, sono i tenerumi. Il nome è evocativo e suggerisce di cosa si tratta. Sono i teneri germogli e le giovani foglie dalla consistenza vellutata della zucchina lunga, la Lagenaria longissima che al Nord chiamano “da pergola”. La varietà è molto diffusa in Sicilia. Non c’è, infatti, orto casalingo che non la contempli fra le specie coltivate, così come non manca mai negli orti più “professionali” degli agriturismi e degli agricoltori che frequentano i mercati del contadino. La pianta produce zucchine lunghe 60-70 cm circa – ma anche di più, arrivando a superare anche un metro e mezzo – di colore verde chiaro; foglie e teneri germogli si presentano con un colore verde scuro.

La storia della zucchina da pergola comincia molti secoli fa. Le prime tracce di questa specie, infatti, risalgono a ritrovamenti che risalgono a oltre il 7000 a.C. e pare che sia stata la prima specie di zucca conosciuta al mondo. I Fenici e le popolazione di India e Africa la coltivavano per realizzarci strumenti musicali. Le piante, posizionate preferibilmente in posti soleggiati, coltivate in pieno campo producono zucchine, foglie e germogli (tenerumi) da marzo ad agosto. Da qualche anno, vengono anche coltivate in serra per ottenere tenerumi da ottobre a febbraio. La specie predilige clima caldo e necessita di una buona preparazione del terreno in cui sia effettuata una corretta concimazione a base di stallatico. La raccolta delle prime zucchine avviene trascorsi 50-60 giorni dalle semina; per raccogliere i germogli, ovverosia i tenerumi, invece basta aspettare 25-40 giorni, ricordando che se la crescita della pianta avviene sotto telo ombreggiante, la qualità dei teneri germogli sarà migliore. Cosa si fa con le foglie più giovani e i teneri germogli? Entrambi vengono generalmente utilizzati per la preparazione di ottime minestre. Ma ponete attenzione, prima di utilizzare le foglie per la preparazione delle pietanze: dovrete pulirle per bene. Dei tenerumi acquistati solitamente in piccoli mazzi, raggruppati e legati, bisognerà tagliare tutte le foglie esclu• MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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dendo solo quelle troppo danneggiate e indurite. La parte più estrema dei piccoli fusti, quella con le foglioline più piccole e tenere, potete reciderla intera in quanto è molto tenera. Se invece i tenerumi provengono dal vostro orto, difficilmente ci sarà qualche foglia di troppo o danneggiata. Tuttavia in entrambi i casi, mettete le foglie dei tenerumi in acqua fredda e sciacquatele un paio di volte fino a quando non saranno completamente pulite e quando sul fondo del recipiente non ci sarà più alcuna traccia di terra. Successivamente non vi resta che assemblare 56 foglie e tagliarle a striscioline. Una volta tagliati, i vostri tenerumi sono pronti per essere cotti. I tenerumi hanno pochissime calorie, sono un concentrato di sali minerali e potassio e possiedono (così come le zucchine prodotte dalla stessa pianta) proprietà disintossicanti e diuretiche. Una volta cotti (lasciati nella loro acqua così che non vadano perse le sostanze nutritive), e conditi solo con un filo d’olio extravergine, possono essere utilizzati come una verdura in piatto resa piacevolissima al palato da quella particolare consistenza vellutata delle foglie. La Lagenaria longissima fa parte della cucina della sopravvivenza e grazie alla commestibilità di ogni parte della pianta, nei periodi di povertà, era considerata un vero tesoro. La “pasta con i tenerumi”, vol• MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

garmente chiamata “pasta chi tinnirumi”, e per i bambini ribattezzata “pasta con le pezze”, è uno dei primi piatti della cucina siciliana tra più amati. Soprattutto dai palermitani che attendono ansiosamente la bella stagione per gustarne un bel piatto che, benchè minestra, si adatta perfino alla calde giornate estive. Molto saporita e delicata, di facile digeribilità e molto rinfrescante, si può gustarla anche fredda e asciutta, esattamente come era stata pensata originariamente la “pasta con le tenerezze” nella Sicilia orientale e in particolare nel Ragusano. La pianta della Lagenaria regala anche numerose zucchine. La forma varia e dipende da come è coltivata la pianta. Se la si fa crescere sostenuta da un pergolato, le zucche saranno come le candele delle processioni: dritte e lunghe. Se la pianta cresce poggiata a terra e senza sostegno, la zucca avrà una forma irregolare e contorta e ricorderà un grosso serpente. Con la zucchina è possibile preparare delle ottime zuppe o preparare una semplice minestra a cui aggiungere la pasta. E’ un ortaggio digeribile, quasi del tutto privo di calorie e molto ricco d’acqua, ricchissima di potassio, vitamina E, acido folico e vitamina C. Alla zucchina vengono attribuite anche proprietà disintossicanti, diuretiche, sedative, antinfiammatorie e leggermente lassative.

Pasta chi tennerumi Ingredienti per 4 persone • 400 gr di spaghetti spezzettati • 4 mazzi di tenerumi • 250 gr di pomodori pelati a pezzettoni • 2 spicchi d’aglio • zucchero q.b. • sale q.b • olio extravergine d’oliva Procedimento Immergere le foglie e i germogli dei tenerumi in abbondante acqua. Ripetere questa operazione fin quando al fondo non vi siano più residui di terra. A questo punto lasciarli in acqua salata per circa dieci minuti. Successivamente sgrondateli, tagliateli a striscioline e mettete da parte. In una pentola con due cucchiai d’olio soffriggere l’aglio, aggiungere il pomodoro e aggiustare con sale e poco zucchero. Adesso potete allungare con acqua e sale, tenendo presente che con questa acqua dovrete cuocere i tenerumi e poi la pasta: quindi se si preferisce una minestra piuttosto brodosa aggiungere più acqua. A questo punto aggiungete i tenerumi e, a cottura ultimata, la pasta. Servite calda con un filo d’olio a crudo. Per chi la preferisce asciutta, come di solito fanno i palati più fini, basta farla raffreddare.

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Crescione d’acqua dono dei ruscelli di montagna

di Alessandro Iannelli

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’estate siciliana ci investe ormai con la sua calura. Quale occasione migliore per regalarci una giornata fresca e andare in cerca del crescione d’acqua, preziosissima fonte di sostanze antibatteriche ed antitumorali? Conosciuto anche con i nomi di pepe d’acqua e di nasturzio (quest’ultimo condiviso con il comune tropèolo), letteralmente “che fa storcere il naso”, cattura l’attenzione con un odore pungente cui corrisponde un sapore deciso che lo rende perfetto elemento di sapide insalate estive. Questa caratteristica aveva anche suggerito alla fantasia degli antichi favolose proprietà afrodisiache, ma anche quella, secondo Plinio il Vecchio, di “scacciare il torpore della mente”. Nome scientifico Nasturtium officinale, appartiene alla famiglia delle Brassicacee e fiorisce nel periodo fra maggio e luglio. Rifugge le zone afose e per questa ragione in Sicilia va ricercato ad un’altitudine compresa all’incirca fra i 400 ed i 1500 metri: non a caso, è più conosciuto nell’areale di Madonie, Nebrodi ed Iblei.

Il Nasturtium officinale appartiene alla famiglia delle Brassicacee e fiorisce nel periodo fra maggio e luglio

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A differenza del crescione inglese (Lepidium sativum) e del crescione dei prati (Cardamine pratensis), affini per aspetto e per alcune proprietà, vegeta in ambienti umidi a ridosso o dentro specchi d’acqua, laddove molte specie perirebbero per soffocamento delle radici. Un tempo il crescione d’acqua veniva coltivato in un discreto numero di ettari. La coltivazione in Italia è stata ormai abbandonata per le elevate esigenze idriche e la sensibilità all’inquinamento e all’attacco del fungo Spongospora subterranea. Ciò ha determinato, in gran parte della penisola e della Sicilia, la scomparsa del crescione d’acqua sia dalle tavole che dal panorama di conoscenze collettive. Tuttavia questo vegetale va riscoperto sia per le proprietà organolettiche davvero uniche, che per quelle nutritive rimarchevoli che hanno persino indotto qualcuno ad associarlo ai superfood: gli alimenti che, secondo una nota formula commerciale, sono da considerarsi preziosi alleati della salute umana. La raccolta di una pianta come il Nasturtium officinale si pone poi per un sici-

liano come esperienza alternativa e complementare a quella di più comuni erbe spontanee: significa infatti riallacciarsi a parte di un patrimonio culturale il cui ricordo si è affievolito in buona parte dell’Isola, ma che è rimasto preservato in zone collinari e di montagna, nei piccoli comuni isolati rispetto alle coste. Significa dunque riunire la Sicilia nella riscoperta della ricchezza e complessità del territorio. A maggior ragione non può sfuggire un elemento così peculiare del patrimonio vegetale. Ancor più delle marcate proprietà organolettiche spiccano, infatti, quelle nu• MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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Insalata di fichi, salumi e pepe d’acqua Ingredienti per 4 persone • 250 gr crescione d'acqua (includete i fiori se presenti) • 150 gr prosciutto crudo di suino nero dei Nebrodi • 100 gr bresaola, 40 gr caciocavallo palermitano • 40 gr primosale • 8 fichi viola • 1 cipollotto, 1 limone, 4 cucchiai olio evo Procedimento Sono stati scelti i fichi viola unicamente per il contrasto cromatico che creano con gli altri ingredienti, ma quelli verdi andranno altrettanto bene. Tagliateli a metà lasciandoli faccia in su, versatevi sopra uniformemente due cucchiai d'olio e cuoceteli in griglia per 5 minuti a fiamma media. In un bicchiere mescolate gli altri due cucchiai d'olio con il succo di limone ed un pizzico di sale, fate a fettine il cipol-

trizionali: il pepe d’acqua si segnala per un contenuto calorico estremamente ridotto, 15 Kcal per cento grammi; vanta elevate quantità di calcio e di alcune vitamine del gruppo B, preziose perché poco immagazzinate dal nostro organismo: B1, B3 e B9 o acido folico, essenziale nello sviluppo del feto. Di rilievo la presenza, in quantità superiore a molte Brassicacee - circa 1 mg per etto - di α-tocoferolo o vitamina E, di cui sono note le funzioni antiossidanti ed in particolare le proprietà antitumorali. Notevoli la presenza di luteina, preziosa per il corretto funzionamento della retina, e di • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

lotto e a scagliette sottili il formaggio. Quindi su un vassoio ampio stendete prosciutto, bresaola, cipollotto e caciocavallo, versate sopra il contenuto del bicchiere, mescolate e distribuite gli ingredienti in modo tale da massimizzare il contrasto dei colori. Poggiate infine delicatamente i fichi, quindi attendete qualche minuto che si freddino: a questo punto l'originale e fantasiosa insalata è pronta per essere servita.

isotiocianati, composti di un olio essenziale che conferisce proprietà diuretiche, antibatteriche, antinfiammatorie ed espettoranti già note agli antichi. Anche per via del particolare habitat, la pianta è facilmente riconoscibile. L’altezza media è di 40 cm, ma può spingersi fino al metro. Le foglie leggermente ovali, spesso concave e bilobate alla base, sono carnosette e parzialmente idrofobe (singole gocce scivolano lungo la loro superficie senza bagnarle). Il fusto è cavo, i fiori sono piccoli, bianchi con 4 petali raggruppati a due a due: in genere crescono in gruppetti di 5-6 a formare un cerchio al cui interno si svilupperanno delle silique anch’esse di dimensioni contenute. Solo la cardamine amara (anch’essa commestibile) ne condivide l’habitat e gli rassomiglia, ma non è comune in Sicilia e si distingue per le foglie opache ed allungate, disposte in gruppi di 2-3. Nel caso del crescione d’acqua tuttavia altri fattori inducono alla prudenza: vanno evitati gli esemplari che vegetano in acquitrini e acque stagnanti, nonché quelli in aree attraversate da pascoli. In entrambi i casi infatti la pianta è suscettibile di portare con sé il verme responsabile della fascioliasi, fastidiosa malattia epatica tipica degli ovini, o anche alcuni dei batteri responsabili di forme di tifo. Andranno invece preferite le piantine cresciute in corrispondenza di ruscelli cristallini dove non vi sia traccia del passaggio di bestiame. La cottura mette al riparo da tali rischi, ma comporta la perdita di gran parte delle proprietà nutritive e non vi impedirà però di apprezzare il sapore unico della pianta che “fa storcere il naso”.

Se volete mangiare il crescione d’acqua

è bene sapere che...

Per il suo sapore deciso, piccante ed acre (specie in fioritura), nonché per il periodo di raccolta, il crescione d'acqua si presta particolarmente alla preparazione di gustose insalate, con le quali delizierete il palato dei vostri amici. Il consumo crudo del crescione d'acqua richie de tuttavia prudenza. Raccogliete e consumate crudi solo quelli cresciuti in corrispondenza di ruscelli e fiumiciattoli, non da specchi d'acqua chiusi e comunque non dove vi sia traccia di pascoli. Un'ulteriore misura di prudenza consiste nell'immergere pianta e fiori (dopo averli abbondantemente risciacquati) in acqua per 15 minuti, spremendo il succo di un limone medio (o l'equivalente in aceto) ogni 2 litri d'acqua. Ciò abbasserà il ph dell'acqua, uccidendo per osmosi molti microorganismi.

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Spaghetti cozze e vongole IngredIentI • 250 gr di cozze • 250 gr di vongole • 180 gr di spaghetti • 2 cucchiai di olio evo • prezzemolo q.b. • aglio q.b. • sale e pepe q.b. PreParaz Ione Per iniziare occupatevi della pulizia di entrambi i molluschi : immergete le vongole in una bacinella piena di acqua e sale per un’ora e mezza circa e immergete le cozze all’interno di una bacinella piena di acqua, sciacquatele attentamente una per una, eliminando tutte le cozze aperte o con i gusci rotti. Poi pulite anche i gusci dei molluschi: sempre sotto l’acqua corrente sfregate le cozze tra di loro in modo da eliminare i filamenti attaccati a queste e poi pulitele una per una con l’aiuto di una paglietta. Infine, eliminate il bisso o la barbetta (il piccolo filamento presente nella parte bassa della conchiglia). Per fare ciò basterà spostare verso in basso il filamento tirandolo via in modo energico. non appena sia le cozze che le vongole saranno adeguatamente pulite, mettetele insieme all’interno di un tegame e lasciatele cuocere coperte a fuoco vivace. Quando le cozze e le vongole si saranno aperte, spegnete il fuoco e sgusciatele filtrando il liquido di cottura dei molluschi che lascerete da parte. Fate soffriggere in una padella uno spicchio d’aglio insieme al prezzemolo tritato. Quando l’aglio si sarà dorato leggermente, aggiungete le cozze e le vongole insieme al loro liquido di cottura e lasciate cuocere a fuoco basso per qualche minuto, dopo il quale dovrete spegnere il fuoco e coprire con un coperchio. Mettete a cuocere gli spaghetti, ricordandovi di riaccendere il fuoco delle vongole e delle cozze qualche minuto prima di scolare la pasta. Fate saltare gli spaghetti in padella, aggiungendo, qualora fosse necessario, qualche cucchiaio di acqua di cottura della pasta.

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regione siciliana Assessorato Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea

Sicilia e Mediterraneo

legame antico ma sempre vivo S

piagge di sabbia piatte e infinite, oppure di sassi, piccole e scoscese, scogliere candide, dalle molte sfumature dell’ocra, del giallo e del grigio, perfino nere di lava. Con i suoi mille e cinquecento km di coste, incluse le isole minori, la Sicilia garantisce mille diverse soluzioni per una vacanza al mare. O per un momento di relax in ogni periodo dell’anno. Le grandi città offrono tutte lidi attrezzati di grande richiamo, la palermitana spiaggia di Mondello con i suoi eventi sportivi, la sabbia bianca e le palme, l’architettura liberty, o la playa di Catania cara agli scrittori, il litorale di San Leone fuori Agrigento o Fontane Bianche a Siracusa, solo per citare le più note. Le più affollate in piena stagione sono le spiagge top delle isole minori e quelle delle località turistiche famose per la bellezza della sabbia fine come borotalco, per le azzurre trasparenze del mare e per la natura spettacolare che fa da cornice, che non ha nulla da invidiare ai Caraibi. Il paradiso si trova tra le spiagge della costa tirrenica fra Capo d’Orlando e Patti (Messina), la caraibica San Vito Lo Capo (Trapani) e le vicine, piccole insenature di Castelluzzo e della riserva dello Zingaro, o Isola Bella sotto Taormina (Messina) con

Il profilo delle barche, il sapere legato ai venti, alle stelle e all’orientamento, i mestieri di pesca, le tradizioni culinarie, sono stati, nel corso secoli, i caratteri distintivi della cultura e della storia del Mediterraneo 42

le vicine lunghissime spiagge di Letojanni e Fiumefreddo. A Cefalù, la cittadina normanna in provincia di Palermo, si resta senza fiato di fronte all’azzurro del lungomare di sabbia e ciottoli che si stende sotto la Rocca, mentre fuori città si aprono le spiagge libere di Settefrati, Mazzaforno e Sant’Ambrogio. Ma è a Sud, di fronte all’Africa, che la Sicilia conserva forse più intatti i suoi litorali, grandi spazi segnati dal paesaggio delle dune africane. Chilometri di dune lavorate dal vento dove cresce soltanto bizzarra vegetazione spontanea interrotta da baie, isolotti, promontori, castelli, torri, tonnare, borgate di pescatori. Qui il sole tramonta lentamente mentre il mare diventa color del vino: uno spettacolo che può durare anche un’ora. Ed è la luce a dirti che ti trovi nel lembo di terra più a Sud d’Europa. È la Sicilia arida cara ad Andrea Camilleri, nel cuore della provincia ragusana tra carrubi, mandorli, ulivi interrotti dalla geometria della pietra bianca con il mare africano a fare da sfondo. E sempre in tema di paesaggi africani, la riserva naturale di Vendicari (Siracusa), con i suoi cinque pantani salmastri è un luogo d’incanto in qualsiasi stagione. I pantani furono un tempo utilizzati come saline, mentre la


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grande tonnara sovrastata dalla torre d’avvistamento di epoca sveva, fu abbandonata negli anni ‘40. Tra erica, ginepro, tamerici, si giunge alla Cala delle Mosche, quasi un lembo d’Africa, la sabbia leggera, l’acqua limpida e molto salata ricca di ricciole, cefali, saraghi come solo in alcune isole minori succede. Ma la vera regina dal fascino incantato, prediletta da registi e fotografi è la cosidetta “Balata o Scala dei Turchi” alle porte di Agrigento per la straordinaria architettura gessosa biancoocra scavata dal vento e dalle onde. Oltre il capo di Siculiana (Agrigento) si snoda l’interminabile oasi di sabbia che nell’estremità orientale prende il nome di Torre Salsa, vero santuario della natura protetta. TURISMO 2.0, LA RICERCA DI ESPERIENZE Dal mare alla cultura legata alla pesca con le sue tradizioni antiche che si rinnovano. Non solo spiagge, dunque: il turista appassionato che non rinuncia alla ricerca degli antichi sapori e dei riti legati ai mestieri del mare, trova in Sicilia infiniti spunti per una vacanza dal sapore davvero speciale. Molti borghi marinari hanno recuperato (ma tanti devono ancora farlo) il meglio delle loro tradizioni unite ad un patrimonio artistico e cultu• MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

rale di grande richiamo. Il profilo delle barche, il sapere legato ai venti, alle stelle, all’orientamento, i mestieri di pesca, le tradizioni gastronomiche hanno rappresentato, nel corso secoli, un carattere distintivo della cultura e della storia del Mare Nostrum. La pesca, poi, è una attività primaria che accompagna l’uomo fin dagli albori della civiltà per questo pensare di scoraggiarla appare una follia. Piuttosto è più ragionevole “regolamentarla” rendendola sostenibile per l’equilibrio naturale e per la sussistenza delle popola-

zioni che mantengono vivi i numerosi e suggestivi borghi che nel corso dei secoli si sono sviluppati lungo le coste siciliane. MARE NOSTRUM DA TUTELARE Il Mediterraneo è universalmente riconosciuto come uno degli ecosistemi marini più belli al mondo e forse per questo tra i più fragili. Ed ha anche una storia millenaria che si intrecciandosi al mito lo rende ancora oggi misterioso e affascinante al tempo stesso. Ma dopo anni di massiccio e selvaggio sfruttamento deve


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essere salvaguardato. Il tema è più che mai attuale, e deve essere affrontato esigendo un rapporto più consapevole tra l’uomo e la natura, tra le attività produttive e ricreative dell’uno e i delicati equilibri biologici dell’altra. Le nuove politiche di programmazione del Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (Feamp) 2014-2020, valorizzano questo patrimonio e consentono il rilancio, a 360 gradi, del territorio costiero della Sicilia. La nostra isola, infatti, offre infinite opportunità per scoprire tutto ciò che ruota intorno al mare: a partire dal tessuto produttivo all’interno del quale la piccola pesca costiera artigianale assume una centralità strategica e diventa il principale motore di una nuova economia, grazie alla quale le giovani generazioni possono trovare un progetto di vita. Ma cosa si intende per pesca artigianale? Secondo una definizione del’ Unione Europea è quell’attività aleieutica - dal greco “arte e pratica della pesca” - esercitata con imbarcazioni di lunghezza inferiore a 12 metri che operano all’interno delle 12 miglia dalla costa, utilizzando attrezzi di alta selettività. Nella maggior parte dei casi è praticata da piccole imbarcazioni che lavorano alla giornata, sulle quali l’armatore è spesso pescatore aiutato dalla propria famiglia. Il valore aggiunto è sicuramente la qualità del pescato, che si distingue per freschezza, variabilità e stagionalità. La stretta relazione tra il pescatore, l’attrezzo e la specie da pescare rendono nei fatti questa attività di pesca tra le più sostenibili sotto l’aspetto ecologico e socio-economico.

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LA RIVALUTAZIONE DELLA PESCA ARTIGIANALE La Regione Sicilia, per far fronte alle nuove esigenze ambientali e tutelare il livello occupazionale del settore ha adottato dieci Piani di Gestione Locale che sono in pratica gli strumenti di autogestione della pesca costiera artigianale in cui è prevista la limitazione o l’eliminazione di attrezzi a forte impatto ambientale. Negli ultimi anni sono stati circa un migliaio i pescatori siciliani che hanno aderito ai Cogepa, i consorzi di gestione della pesca artigianale e delle organizzazioni di produttori (Op), proprio perché hanno compreso l’importanza di tutelare le risorse ittiche per cercare di convivere con il mare, l’elemento fondamentale per la loro sussistenza. In particolare, per il 2007/2013 il sostegno finanziario del settore è stato il Piano operativo del Fondo europeo della pesca (noto come Fep). Ha di fatto dato una spinta all’ammodernamento dei pescherecci e ha previsto il pagamento di premi ai pescatori e a proprietari di pescherecci, che intendessero usare tecniche di pesca più selettive. Contributi sono stati destinati anche agli Enti pubblici per migliorare le condizioni di sicurezza delle aree di approdo e a privati per interventi di ammodernamento dei cantieri navali. Di notevole rilevanza sono stati anche gli interventi a servizio della cantieristica con riduzione dei tempi di alaggio e varo delle imbarcazioni da pesca. Sono stati finanziati dei punti di commercializzazione diretta in zone vocate alla recettività turistica come Tusa o Giardini Naxos. Il bilancio finale degli interventi è stato positivo anche per i Gruppi di azione costiera, i cosiddetti Gac. Con i bandi a regia diretta (cioè della Regione Sicilia) sono stati realizzati settanta interventi nel pesca-turismo e nell’ittoturismo; circa 170 pescatori siciliani hanno avuto accesso ad esperienze formative, venti interventi sono stati diretti alle aziende che hanno realizzato ex novo, o solo ammodernato e migliorato strutturalmente, le unità di trasformazione e commercializzazione del pescato. Con gli avvisi a titolarità Gac, sono state realizzate, su varie aree costiere, strutture al servizio diretto del settore come i quattro Centri servizi alla pesca, i tre mercati del pescatore e i due centri di raccolta del pescato. Gli interventi hanno riguardato oltre alla sicurezza alimentare e alla certificazione di provenienza del pescato, anche l’eco-cultura con la creazione e il miglioramento dei musei e degli ecomusei del mare,

l’ideazione di cinque itinerari del gusto e un’isola ecologica direttamente in area portuale, oltre alla creazione di dieci itinerari naturalistici. ECOSOSTENIBILITÀ DELLA PESCA E CONSUMO CONSAPEVOLE Artigianalità, biodiversità, sostenibilità sono quindi i tre principali fondamenti caratterizzanti la pesca siciliana che sono state incoraggiate in maniera mirata e che, al fine di salvaguardare i pescatori, il tessuto sociale marinaro e le loro radici storiche, saranno ancora sostenute dal nuovo Feamp. Si è compreso, infatti, che investire su questi elementi può determinare le condizioni per creare modelli di sviluppo integrato basati sull’identità marinara, sulla valorizzazione dei borghi e dell’immenso patrimonio materiale e immateriale rappresentato dall’architettura industriale marinara, dai fari e dalle tonnare. Una oculata politica, svolta con l’utilizzo efficace dei fondi comunitari, è stata una delle più importanti occasioni di confronto tra le istruzioni e le diverse realtà marinare per ragionare di ecosostenibilità della pesca, di specie ittiche dimenticate, di valore nutrizionale e di caratteri organolettici dei prodotti ittici selvatici e alle-

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vati, di sicurezza alimentare, di imprese della pesca e dell’acquacoltura, di laboratori artigianali. Ma è stata anche l’occasione per affrontare il tema del consumo consapevole, evidenziando l’importanza delle scelte quotidiane su che cosa e quanto mangiamo, perché solo così si può influire sullo stato di salute dell’uomo e del pianeta. LA SICILIA DEI BORGHI MARINARI Mazara del Vallo, Sciacca, Licata, Porticello, Marzamemi, Portopalo di Capo Passero, sono oggi le marinerie più significative per numero di pescherecci e quantità di pescato che vola sui mercati del Nord, ma non meno affascinanti sono i borghi di antica origine la cui storia è legata al mare come Cefalù, Giardini Naxos, Milazzo, Marsala, Menfi. Attorno alle grandi tonnare di Sicilia, ormai dismesse (e spesso in abbandono) o trasformate in spazi ricettivi, si ritrova tutto il sapore della civiltà mediterranea. Come a Marzamemi in provincia di Ragusa, dove la grande tonnara con la chiesetta del ‘700 che si apre sulla piazza basolata, ingloba i corpi bassi in pietra viva trasformati per la fruizione turistica in un bar ed altri punti di ritrovo e consentono di godersi lo spet• MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

tacolo della piazza. A Portopalo di Capo Passero (Siracusa), a Favignana (Isole Egadi) e a Scopello (Trapani) sorgono le altre grandi tonnare che testimoniano un pezzo dell’economia siciliana che non esiste più. È questa la patria di una gastronomia di terra e di mare ancora autentica e di grande qualità. Da qui, oltre che da Lampedusa provengono i rinomati prodotti legati al tonno che giungono sulle tavole di tutta Italia. La bottarga, uovo di tonno essiccato secondo gli antichi rituali di una volta, è la regina sulla pasta, da gustare accompagnata dai pomodorini essiccati, in salse e paté dal gusto deciso. In queste borgate di mare non è difficile gustare, in piccole trattorie alla buona, un cous cous di pesce come quelli di una volta. Ricetta tunisina, semola “incocciata” da mani sapienti, insuperabile zuppa con pesce di giornata con quello che regala il mare: cernie, scorfani, gallinelle, rane pescatrici, pesci San Pietro, gronghi, murene, palombi e tanto altro ancora. I borghi marinari disseminati sui chilometri di costa siciliana in cui pescatori, ristoratori e operatori del turismo hanno fatto squadra reinventandosi il proprio lavoro, sono diventanti veri e propri paradisi della vacanza legata al mare ed alle sue risorse. Qui è una festa al mattino presto andare al mercato del pesce per assistere alla vendita del pescato. Lungo le assolate banchine dei porti pescherecci, è facile incontrare i pescatori che, con le tipiche imbarcazioni in legno modernamente attrezzate, durante i periodi di ferma, portano in mare i turisti interessati a conoscere storie e tecniche di pesca con le reti o alla traina. È la pescaturismo, dall’alba al tramonto, momenti indimenticabili che si concludono con l’immancabile spaghettata a bordo a base di pesce appena pescato. È il gusto semplice del mare che rimarrà impresso: la pasta ca’ anciova (estratto di pomodoro,

pasta di acciughe, aglio, peperoncino e mollica tostata) oppure il tonno fresco con cipolla, capperi e pomodoro. Della gastronomia del mare c’è chi ha fatto veri santuari per gourmet, unendo la magia del tramonto sul mare africano alla sapienza di chef in grado di conservare gli antichi sapori pur innovando la tradizione. È il caso di Menfi, piccolo borgo di mare affacciato sul litorale agrigentino, o di Licata o di Aci Trezza, ma non sono da meno i ristoranti delle altre borgate marinare storiche del palermitano, del catanese e del messinese.


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La cucina deL beLpaese in festa di Angela Sciortino

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Alfio Visalli mentre taglia il tonno

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hi a Cibo Nostrum 2017 non c’è stato, non potrà nemmeno immaginare il tripudio di cibo (e di vino) che è stato protagonista di una festa durata tre giorni tra l’Etna e il mare di Taormina e Giardini Naxos. E non potrà nemmeno immaginare la marea di gente (turisti stranieri e non, ma anche tanti siciliani) che ha invaso il Corso Umberto della “Perla dello Ionio”. Taormina Cooking Fest, l’evento centrale di Cibo Nostrum, la “Grande Festa della Cucina Italiana”, organizzata con numerosi partners e sostenitori dalla Federazione Italiana Cuochi, ed entrata di diritto tra gli eventi nazionali Fic (grande sostenitore il presidente Rocco Pozzulo), si è svolto a Taormina a partire dalle 18 e fino ad esaurimento di piatti e di vino (e sfinimento dei 150 chef arrivati da gran parte della Sicilia e dell’Italia). Cibo Nostrum, nato sei anni fa grazie alla felice intuizione del “vulcanico” Seby Sorbello, chef patron di Gourmanderie Sabir a Zafferana Etnea e presidente dell’Associazione cuochi etnei, dopo un paio d’ore era già sold out con oltre trentamila presenze, cosa che ha permesso di raccogliere 50 mila euro (l’assaggio libero di vino e pietanze costava 30 euro) per sostenere la Fondazione Limpe per la ricerca medico-scientifica sulla malattia del Parkinson. A Taormina, sugli ottocento metri che separano porta Messina da porta Catania e nelle tre piazzette che si trovano lungo il percorso, si è passato da un banco di assaggio di pietanze salate, ad uno di dolci, ad uno di vini (tutti siciliani con la prevalenza di quelli dell’Etna), senza un attimo di tregua: tante, troppe le pietanze per poterle apprezzare tutte. E tutti i partecipanti, vuoi per motivi professionali come i giornalisti, vuoi per “amor di panza”, vuoi per amore della buona cucina e delle elaborazioni fantasiose degli chef nostrani, si sentivano come bimbi al luna park che non sanno quale attrazione provare per prima. Prese letteralmente d’assalto le postazioni in cui Alfio Visalli prima si è esibito nel taglio del tonno, e poi con Ciccio Sultano ha proposto il “Thunnus Thynnus Ti Punch” da mangiare e da bere. Tantissime le tentazioni della “rosticceria” siciliana rivista e corretta: dall’iris salata al pistacchio di Bronte di Giuseppe Raciti, alle classiche crispelle rappresentative dello street food catanese, dagli arancini (come li chiama lui) con Vastedda del Bèlice e mortadella d’asino di Rosario Umbriaco fino all’arancimonamour di Pietro D’Ago• MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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Seby Sorbello, presidente dell’Associazione Cuochi Etnei

stino, proposta innovativa ai sapori di mare, con un ragù di seppioline e una base di riso Artemide, condito con finocchietto selvatico, agrumi, mandorle, basilico e caviale di lumaca madonita. C’era di tutto e non solo siciliano. A cominciare dalla Puglia che ha proposto il piatto tipico salentino di fave e cicoria proposto da Francesco Lanza e quello della Murgia a base di ceci neri. Ma c’era anche il Veneto che con Nicola Andreetto e Paolo Forgia ha offerto un baccalà mantecato con polvere di olive nere e caviale rosso al campari e la Lombardia che non poteva che portare in Sicilia un risotto: quello con limone e galletto Vallespluga cotto sous vide. Per gli addetti ai lavori, prima che la kermesse della cucina d’autore riempisse di profumi Corso Umberto attraendo una folla di golosi impenitenti e palati curiosi, sette cooking lab con altrettanti chef di rango: Giancarlo Conoscenti di Metro Academy di Bologna; Massimo Mantarro, due stelle Michelin chef del Principe di Cerami (San Domenico Palace Hotel di Taormina); Giuseppe Raciti di Zash Boutique Hotel di recente incoronato migliore chef under 30 del Sud Italia nonché finalista italiano al Bocuse d’Or; Paolo Gramaglia stella Michelin del ristorante President di Pompei; Paolo Barrale, chef stella Michelin del Marennà a Sorbo Serpico e neo presidente dell’associazione Chic, Charming Italian Chef; Marco Sacco, due stelle Michelin al Piccolo lago di Verbania; Roberto Toro, residente chef dell’Hotel Timeo di Taormina. L’arrivederci alla prossima edizione del 2018 a chef e giornalisti è stato dato alla Cantina Cottanera con La Scampagnata di Cibo Nostrum. Il pranzo (altro che scampagnata…) è stato curato dagli “Chef con la Coppola”: Simone Strano, Giuseppe Raciti, Giovanni Grasso e Giuseppe Torrisi, che senza un lamento e rischiando l’insolazione, hanno continuato a proporre bontà di ogni tipo in veste “campagnola”. Si è spaziato dalla pasta al sugo di maiale, agli arrosti sulla brace, agli hamburger d’asino e di cavallo, alla caponata di alici, al pesce spatola fritto con caponatina, alle crispelle con ricotta o alici, alla parmigiana di alici in versione da passeggio con maionese al basilico, solo per citarne alcuni. Molte delle pietanze hanno esaltato il pesce azzurro, il leit motiv della manifestazione sponsorizzata anche dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali che ha così sensibilizzato gli chef verso la valorizzazione in cucina di un ingrediente versatile e povero (per prezzo), ma ricco di proprietà nutritive. • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

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Salviamo le Nasce, per iniziativa di Nino Castiglione, l’Associazione che ha come mission il recupero e la valorizzazione degli antichi opifici dove si lavorava il tonno

Nino Castiglione

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hi è il “Signore delle Tonnare”? È Nino Castiglione, un nome che da oltre ottant’anni si lega al mare, alle sue tradizioni e all’industria del tonno. Si deve alla passione e al coraggio dell’uomo che ha salvato gli impianti trapanesi da una fine ingloriosa, se ancora oggi in Sicilia si può parlare di tonnare e della cultura di quel mondo permeato di miti e tradizioni. Adesso il testimone di questa mission è passato al nipote che porta il suo stesso nome e che con la medesima passione conduce un progetto di recupero, salvaguardia e valorizzazione delle tonnare siciliane. Non lo fa da solo, però. Il progetto, da sogno di un visionario, si è trasformato oggi in una mission per l’associazione onlus “Salviamo le tonnare”. Nino Castiglione jr, che la presiede, ha coinvolto nell’iniziativa tanti altri soggetti: donne, uomini e istituzioni che hanno a cuore il destino di un pezzo di storia della Sicilia, di un passato fatto di edifici industriali, barche, attrezzi, ricordi, riti e miti. «Per prima cosa ci concentreremo sulla tonnara di Bonagia - spiega Castiglione - per poi estendere la nostra iniziativa alle altre tonnare della Sicilia, collaborando con tutte le associazioni e le istituzioni che hanno a cuore il destino di questi edifici, nel tentativo di creare un’unica grande squadra che lavori in modo da fare rivivere le tradizioni passate della pesca in Sicilia, le stesse che io ho conosciuto e amato grazie a mio nonno». È la passione la causa di tutto. Quella stessa passione che, tramandata negli anni dal nonno fondatore dell’azienda che produce conserve di pesce a Trapani, ha fatto rinascere oggi in Castiglione jr l’amore per la propria terra, per il mare e

per le sue antiche tradizioni, facendogli prendere a cuore il recupero di tutte le attività relative alle tonnare, molte delle quali lasciate in stato di degrado e di abbandono. La prima iniziativa di “Salviamo le tonnare” è l’allestimento all’interno della torre della tonnara di Bonagia di un museo per far rivivere la storia della tonnara e tutto il mondo che girava intorno alla pesca del tonno. «Vorremmo far conoscere a tutti, turisti e non - spiega l’imprenditore - l’importanza della mattanza, l’evento che si ripeteva ogni anno e che ha fatto la storia di un popolo che in passato, almeno nella provincia di Trapani, viveva solo di pesca». La tonnara di Bonagia è un ricco esempio di tradizioni, un luogo dove si fondono le bellezze dell’architettura antica con il presente e che oggi, grazie all’imprenditore


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Andrea Bulgarella, è stata trasformato in resort turistico dove ai viaggiatori viene regalata un’esperienza unica e surreale che li catapulta in uno dei posti di culto dell’antica pesca trapanese. In questo luogo magico dal 29 luglio al 2 settembre è in programma “Il signore delle tonnare”, una trasposizione teatrale dell’omonimo libro di Ninni Ravazza dedicato al vecchio Nino Castiglione. Lo spettacolo - un percorso sulla vita dello storico imprenditore e sulle vicende legate alla sua tonnara – rievoca attraverso la poesia e la musica la Sicilia di un tempo lontano, offrendo anche l’occasione per mettere a confronto l’etica contemporanea con i valori tradizionali dell’antica cultura popolare.

Ne “Il signore delle tonnare” la parola diviene spettacolo e si interfaccia con la canzone siciliana, dove un cantastorie, girando in un tempo e in un territorio indefinito, incontra tanti personaggi fondamentali che faranno accrescere in lui il coronamento di un sogno. Lo spettacolo è messo in scena dall’Associazione teatrale “Amatori Teatro Dialettale Trapani Arte” con la regia di Biagio Mancuso; il testo, la sceneggiatura e la voce narrante appartengono a Giuseppe Vultaggio; le voci cantanti sono di Nicoletta Bellotti e Adriano Buscemi, mentre la direzione musicale è del suonatore di “friscaletto” Piero Corso, alla chitarra Gioele Corso e alla fisarmonica il maestro Salvo Graziano. La speciale partecipazione del gruppo “Val d’Erice Folk Studio”, infine, arricchisce e completa la perfomance teatrale. «Lo spettacolo spiega Castiglione - avrà un duplice scopo: servirà a non fare dimenticare gli usi e i costumi che ci legano a questa meravigliosa terra e a raccogliere i fondi per il restauro della prima del gruppo delle muciare, le barche della mattanza,

che languiscono in un totale stato di abbandono e di incuria». «La performance sarà poi l’occasione per far conoscere la mission e i progetti dell’associazione Salviamo le tonnare», afferma Castiglione. In cantiere tante idee che hanno bisogno di braccia e di soldi. A cominciare dalla sistemazione e messa in sicurezza della Torre di Bonagia con l’apertura di un museo per turisti e visite didattiche per gli studenti delle scuole del territorio. Per continuare con la rivalutazione collettiva di tutta l’area della costa, operazione che necessita del coinvolgimento sia dei cittadini che dell’amministrazione comunale di Valderice. «Pensiamo sia possibile sottoscrivere un protocollo di intesa dove privato e pubblico uniscano le loro forze per recuperare le bellezze di questa terra», afferma con convinzione l’imprenditore trapanese. «Pensiamo pure di coinvolgere i cittadini e gli operatori dando loro il compito della tutela dell’area e dei vascelli della tonnara di Bonagia», aggiunge. Poi nell’ambizioso progetto dell’associazione c’è anche la proposta di una nuova offerta turistica con cui si possa valorizzare il patrimonio architettonico e immateriale, focalizzando l’attenzione sulla conoscenza della storia di un territorio e di un popolo fondata su antiche tradizioni. E siccome per fare tutto ciò servono quattrini, verrà organizzata una raccolta fondi grazie alla collaborazione delle attività economiche del litorale trapanese e dell’agro ericino dove verranno posizionati numerosi contenitori-salvadanai. Ma non è escluso che un elemento di modernità, come il lancio di una campagna di crowfunding sul web, possa aiutare a raggiungere prima gli obiettivi.

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color del CRISTALLO Un viaggio immaginario lungo le spiagge di sabbia bianchissima e le suggestive scogliere della Sicilia per immergersi nel mare più bello del 2017

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icilia, una terra che racchiude millenni di civiltà e storia. Terra di passione, mare, sole e buon cibo che vanta siti archeologici unici ed incredibili. Oltre a paesaggi mozzafiato, capaci di stimolare i sogni più ambiziosi. L’Isola si conferma nel 2017 tra le destinazioni turistiche più amate da italiani Da Taormina ad Agrigento sino alle Isole Eolie: il buon cibo, la storia ed il clima conquistano tutti coloro che vi mettono piede. Scelta come destinazione anche da molti vip, la Sicilia è la meta ideale in cui trascorrere le vacanze, sicuramente, anche per le sue splendide spiagge. E di spiagge qui ce ne sono davvero per tutti i gusti: lunghe e attrezzate, calette nascoste nella macchia mediterranea, di sabbia o di ciottoli, raggiungibili in barca o a piedi. E quest’anno non siamo solo noi siciliani a parlarne bene. Sono molte le località che, come già in passato, hanno ottenuto la Bandiera Blu, riconoscimento assegnato della Fee, Fondazione per l’educazione ambientale, per le destinazioni più attente all’ambiente e alla pulizia del mare. Tra queste le spiagge di Lipari e Vulcano, Ispica-Santa Maria del Focallo, Marina di Ragusa e Menfi, in provincia di Agrigento. Il 2017 vede poi una new entry, Santa Teresa di Riva. Ma nell’elenco ci sono anche due aree del Messinese: Tusa con i suoi otto chilometri di spiaggia e una buona porzione delle Eolie (due tratti a Lipari, due a Vulcano e uno a Stromboli). Le bandiere blu, è bene ricordare, fra i parametri “extra” tengono in considerazione la disponibilità di acqua potabile

in spiaggia, l’accessibilità per i disabili, il monitoraggio degli habitat della fauna marina e la possibilità di raggiungere la costa con mezzi di trasporto ecologicamente sostenibili. La Sicilia eccelle quindi non solo per la natura del paesaggio, ma per l’armonia con cui l’uomo si relaziona ad essa. Un ragionamento analogo si può fare per “Il mare più bello 2017”, il riconoscimento concesso come ogni anno da Legambiente e Touring Club: i parametri presi in considerazione per assegnare il marchio di massima qualità, le “Cinque vele”, sono la qualità dell’acqua e la disponibilità di un sistema fognario efficiente, ma anche la gestione dei consumi • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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energetici e idrici, la possibilità di fare la raccolta differenziata e persino la sicurezza alimentare. Con questi criteri, che da quest’anno premiano un comprensorio anziché un comune, è tornata al massimo punteggio Ustica, che condivide il riconoscimento con la zona di San Vito Lo Capo e con un’altra isola, Salina. Il popolo del web, consultato da Legambiente la scorsa estate nel sondaggio “La più bella sei tu”, non ha avuto dubbi. La spiaggia del cuore in Italia è Bue Marino, a quattro chilometri da San Vito Lo Capo: una caletta di ciottoli bianchi incastonata tra mare e montagna, affacciata sul tramonto, che si raggiunge lungo una comoda sterrata nella macchia mediter• MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

ranea. Un piccolo capolavoro della natura, dove il mare ha sfumature turchesi e il fondale declina lentamente. Ma lungo la costa frastagliata come un festone, che si apre in dirupi e calanchi, si incontrano altre insospettabili spiagge. Come nella regina delle riserve, quella dello Zingaro, dove, seguendo per sette chilometri il sentiero che dalla Torre dell’Impiso tocca la Tonnarella dell’Uzzo, la Grotta Grande, si arriva alla spettacolare Cala Ficarella, dai colori caraibici, una distesa di sassolini bianchi, protetta da una foresta di palme nane. L’ultima nuotata è al tramonto, davanti alla tonnara di Scopello, dove sembra ancora di ascoltare la cialoma, il canto propiziatorio che proveniva dalle barche che salpavano. Vale un viaggio nell’Isola anche la spiaggia della Riserva naturale integrale del Belice, un luogo selvaggio dall’atmosfera africana- In cima, le rovine del tempio greco di Eraclea Minoa fondato dai Dori di Selinunte nel 570 a.C, tra Marinella di Selinunte e Porto Palo, quasi cinque chilometri di sabbia finissima dalle sfumature dorate protetta da una sfilata di dune, habitat naturale di coloratissimi Martin pescatore, rare ghiandaie marine, cannaiole che nidificano nei canneti. E capita che approdino qui per deporre le uova le tartarughe Caretta Caretta. E poi ancora mare cristallino e spiagge incontaminate lungo la costa tra Sciacca e Agrigento, una delle

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più autentiche. È il Capo Bianco, uno dei tratti più suggestivi, nei dintorni della foce del Fiume Platani. Uno scenario da cartolina, con il mare che si insinua fra le rocce e la sinfonia di azzurri e blu è la Spiaggia dei Conigli, a Lampedusa. Qui, tornano a deporre ogni anno le uova le tartarughe Caretta Caretta. La spiaggia dei Conigli a Lampedusa è stata definita la “spiaggia perfetta”, secondo una ricerca pubblicata dal quotidiano britannico The Independent, che ha identificato

nella sabbia bianca, nell’acqua turchese, nelle temperature mai sotto i 21 gradi gli ingredienti della dream beach per eccellenza. Nell’isola di Salina, patrimonio dell’Unesco e riserva naturale dal 1981 sull’estrema punta occidentale, un cratere vulcanico sommerso di cui sono ancora

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ben visibili i resti ospita la spiaggia di Pollara, di ciottoli neri, sotto una grandiosa falesia di tufo chiaro coperta di capperi e fichi d’India a strapiombo sul mare. Sulla spiaggia si respira un’atmosfera d’incanto, sospesi tra cielo e terra: chi legge un libro, chi nuota, chi si gode la magic hour, quando il sole tocca l’orizzonte prima di scomparire tra il canto delle cicale. L’acqua cambia colore a seconda delle ore: una sinfonia di turchese, smeraldo, azzurro pallido. È celebrata anche in “La prima indagine” di Montalbano la maestosa Scala dei Turchi, lungo la costa di Realmonte, vicino a Porto Empedocle, che abbraccia la costa agrigentina fino a Capo Rossello. Si resta ammaliati come il commissario davanti alla scenografica scogliera bianco ocra, con i gradoni piatti scavati dal vento e dalla pioggia, dove allungarsi al sole, e la spiaggetta candida che sfiora l’acqua color smeraldo. Il nome della Scala dei Turchi deriva dalla forma e dalle incursioni di cui fu teatro, da parte di pirati arabi chiamati genericamente “turchi” che, secondo la leggenda, ormeggiavano le navi in queste acque. A 200 metri dalla riva affiorano due scogli, “u zitu” e “a zita”, che ricordano la storia di due giovani innamorati del posto. Nelle Egadi, a Favignana, area marina protetta, Cala Rossa è nella top ten delle spiagge europee, secondo Tripadvisor Traveller’s Choice awards. Lo sguardo spazia su un angolo po-

linesiano con acque azzurro intenso quasi sempre calme, ridossato dallo scirocco, dove si specchiano i pinnacoli e le gallerie delle cave di tufo dismesse. A Cala Rossa si fa un tuffo nella storia: qui si è combattuta una delle battaglie della prima guerra punica e il nome deriva appunto dal sangue che tinse la baia dopo la battaglia. Per un tuffo al tramonto nel mare smeraldo è un must la Tonnara di Scopello, nella Riserva naturale dello Zingaro, vicino a San Vito Lo Capo. Originaria del 1300, la tonnara è dismessa, come tante altre nella zona, tra le lunghe file di ancore che un tempo tenevano bloccate al fondo le reti. Dopo il

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bagno potete deliziarvi con l’immancabile cassatella oppure, se amate il salato, con il pani cunzato. Lungo la costa ionica, tra Noto e Pachino, le raffiche di vento baldanzoso, profumato di zagare, sono un presagio. Di chilometri di dune, ginepri e tamerici piegate, rocce scolpite. Qui la Riserva naturale di Vendicari nasconde un capolavoro, Calamosche. Una torre di avvistamento, solitaria e austera, baluardo nel 1400 contro i pirati saraceni, annuncia questo piccolo paradiso, con l’acqua trasparente ricca di ricciole e saraghi. Le palme nane, mirti e olivastri, agavi e cespugli fioriti lambiscono la spiaggia. Di sabbia bianca, si raggiunge in una ventina di minuti a piedi. I Caraibi nel Mediterraneo. In fondo, la vecchia tonnara, l’isolotto dove nidificano le tartarughe e approdano centinaia di specie di uccelli migratori che si fermano a stormi. Nelle Eolie, a Lipari, tra le scogliere a picco ad Acquacalda si scopre la spiaggia della pomice, bizzarra coltre dall’aspetto di neve fresca, abbagliante sotto i raggi del sole. Lo specchio d’acqua davanti è turchese, grazie ai giacimenti della candida pietra, estratta per anni dalle cave adiacenti, depositata sui fondali. Uno dei passatempi preferiti dai bagnanti è scivolare sulle dune. Cala dell’Uzzo, vicino a San Vito Lo Capo, si scopre lungo una costa che si può anche percorrere a piedi, seguendo per sette chilometri il sentiero che dalla Torre dell’Impiso tocca la Tonnarella dell’Uzzo, la Grotta Grande,

e sfocia nella spettacolare cala Ficarella, dai colori caraibici. I fondali regalano ai sub emozioni straordinarie. Cala Junco è invece la star di Panarea. Situata sulla costa meridionale, è un sogno di pietra, acqua smeraldo e turchese, nei pressi del villaggio preistorico di Punta Milazzese. Racchiusa tra rocce dalle forme stravaganti, si conquista in una passeggiata di mezz’ora lungo un antico sentiero da Drautto. All’arrivo, appare l’anfiteatro dalle sfumature rossastre, con la piscina naturale su cui si apre la caletta. A Pantelleria, uno dei simboli dell’Isola è l’Arco dell’Elefante. Si chiama così per via di una particolare conformazione rocciosa che ricorda la proboscide di un pachiderma intento ad abbeverarsi al mare. La costa è rocciosa, ma liscia e digrada dolcemente: per questo è meta di bagnanti durante tutta l’alta stagione. In provincia di Palermo, c’è Cefalù, splendido paradiso siciliano, la meta ideale per chi ama una vacanza tranquilla tra mare e buon cibo. Con una delle cattedrali arabe normanne più belle del mondo che sorveglia il litorale dall’alto. Poi c’è l’esclusiva la spiaggia di Mondello, dove è possibile godersi il mare in un clima mite per nove-dieci mesi l’anno. Insomma, la Sicilia è una terra straordinaria al punto da stimolare grande attrazione nei confronti di chiunque ne co

nosca anche soltanto lontanamente la fama. Perfino Sigmund Freud ne parlava così: “La più bella regione d’Italia: un’orgia inaudita di colori, di profumi, di luci, una grande goduria”. Ma quel che ne fa una terra quasi necessaria da visitare e unica al mondo, è il fatto che da un’estremità all’altra, essa si può definire uno strano e divino museo di architettura. Ecco perché perderne la possibilità di conoscerla a fondo sarebbe una vera e propria offesa agli antichi dei che la scelsero come dimora.

Un Anno fA le linee gUidA per l’UTilizzo delle CosTe

Maurizio Croce, assessore regionale al Territorio e Ambiente

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Ma chi si occupa dell’utilizzo e della “salute” delle coste siciliane? La competenza è della Regione e per l’esattezza dell’Assessorato al Territorio e Ambiente, guidato dall’assessore Maurizio Croce. Proprio un anno fa, nel luglio del 2016, gli uffici regionali hanno predisposto le “Linee guida per la redazione dei Piani di Utilizzo delle Aree Demaniali Marittime da parte dei comuni costieri della Sicilia”; si tratta, in pratica, della “carta” che tutti i Comuni rivieraschi devono rispettare per redigere i propri piani d’uso. Ma che cos’è il Piano di Utilizzazione del Demanio Marittimo? «È il documento di pianificazione comunale – spiega l’assessore Croce – che regola le modalità di utilizzo della fascia costiera demaniale e del litorale marino, sia per finalità pubbliche sia per iniziative connesse ad attività di tipo privatistico, in conformità ai princìpi definiti dall’Unione Europea ed alla vigente legislazione statale e regionale di settore». Restano fuori dai piani di utilizzazione del demanio marittimo, i parchi e le riserve naturali, che restano disciplinate dai regolamenti e dai piani previsti dall’attuale normativa in materia di aree naturali protette.

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fondali da sogno e paradiso dei sub di Gianni De Bono

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ibattiti sulle problematiche connesse alle attività subacquee con laboratori, conferenze e tavole rotonde soprattutto legate alla medicina iperbarica, all’archeologia e alla biologia marina. Ma anche giorni di piacevole intrattenimento grazie ad immersioni, sport, mostre, visite guidate, nonché a intermezzi gastronomici. Anche quest’anno si preannuncia particolarmente ricca di appuntamenti la 58a edizione della “Rassegna Internazionale delle Attività Subacquee” che si svolgerà a Ustica dal prossimo 29 agosto al 3 settembre. Immersioni subacquee negli itinerari archeologici, regate, convegni, presentazioni di libri, proiezioni di documentari, escursioni e visite guidate ai principali siti culturali dell’isola saranno il leitmotiv di una storica iniziativa che è ormai radicata nella tradizione culturale e turistica della Sicilia. Ustica, la “perla nera” del Tirreno, ha avuto assegnato le “Cinque Vele” per l’edizione 2017 della nuova Guida Blu di Legambiente e Touring club, una bussola per orientarsi tra le più belle località di mare italiane. La piccola isola al largo di Palermo torna, quindi, a essere la “capitale” delle attività e delle scienze legate al mare. Il tutto grazie al rinnovato impegno dell’Accademia internazionale di Scienze e tecniche subacquee che insieme al Comune, all’Area protetta di Ustica e alla Soprintendenza del Mare organizzano la rassegna. L’isola che vanta la prima riserva marina d’Italia, punto di “approdo” per gli appassionati del mare, sarà ancora una

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volta il palcoscenico naturale delle attività di carattere culturale, scientifico e sportivo ancorate al mondo sommerso. L’Accademia di scienze e tecniche subacquee, presieduta da Sebastiano Tusa, che ha dato un contributo fondamentale alla realizzazione della nuova edizione della Rassegna, riunisce le personalità che hanno ricevuto il “Tridente d’Oro”, premio creato nel 1960 e considerato il “Nobel delle attività subacquee”. Si tratta infatti del massimo premio d’eccellenza a livello mondiale per attività particolarmente meritorie svolte nelle attività subacquee: scientifiche, tecniche, tecnologiche ed iperbariche, divulgative e artistiche, sportive ed esplorative. Nei suoi oltre cinquant’anni di vita sono stati insigniti del Tridente d’Oro oltre 190 personaggi: da Jacques-Yves Cousteau a Walt Disney, da Folco Quilici a Jacques Piccard al grande Enzo Maiorca, ma anche scienziati, ricercatori, pionieri, giornalisti e docenti meno noti al pubblico ma espressione dell’eccellenza nel loro settore. Dal 1985 l’Accademia conferisce anche gli “Academy Award” a società, enti e associazioni che si siano resi particolarmente meritevoli nelle attività subacquee. Quando il Tridente d’Oro venne assegnato per la prima volta nel 1960, esistevano pochissime aziende subacquee. Le scuole e i centri di immersione erano ancora a livello embrionale, la tecnologia e le attività subacquee riservate ad un ristretto ambito di appassionati. «Si può affermare che il Tridente d’Oro abbia di

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fatto accompagnato lo sviluppo delle attività subacquee - spiegano gli organizzatori della Rassegna - contribuendo con il suo prestigioso riconoscimento ad indicare i protagonisti che via via ne scrivevano la storia». La Rassegna di quest’anno è organizzata in collaborazione con due prestigiose realtà del settore: la Padi (Professional association of diving instructors) e la Dan Europe (Divert alert network). Padi è un’organizzazione di addestramento subacqueo leader nel mondo, con più di 6400 dive centers e resorts e 133 mila singoli professionisti che hanno emesso più di 25 milioni di certificazioni in tutto il mondo. Oggi è possibile trovare corsi Padi per immersioni subacquee quasi ovunque. Il sistema di addestramento subacqueo Padi si basa sulla formazione progressiva che introduce in più fasi le abilità, le informazioni relative alla sicurezza e la conoscenza dell’ambiente locale per studenti subacquei. Dan Europe è invece un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che si occupa di medicina e ricerca scientifica allo scopo di promuovere la sicurezza dei subacquei. Ad oggi conta più di centomila iscritti in tutta Europa. Esiste dal 1983 e la sua missione è quella di garantire informazioni e servizi specialistici per il beneficio dei suoi membri e di tutta la comunità subacquea. Nell’ambito della Rassegna Padi e Dan Europe realizzeranno interessanti laboratori, incontri e eventi di carattere ricreativo ma soprattutto tecnico-scientifico.

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«La 58° edizione della Rassegna – spiegano ancora gli organizzatori – intende rimettere al centro dell’attenzione le problematiche connesse alle attività subacquee, al mare Mediterraneo, al suo stato di tutela, alle tante attività economiche che su esso insistono e alla ricerca scientifica». Con le sue “Cinque Vele”, quindi, Ustica accoglierà coloro che vorranno approfondire le tematiche della subacquea di vario genere (da quella archeologica a quella biologico-naturalistica e sportiva) con la conoscenza della storia, delle caratteristiche geologiche e morfologiche e delle attività produttive dell’Isola.

La piccola isola al largo di Palermo torna ad essere anche quest’anno la “capitale” delle attività e delle scienze legate al mare

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Dolci estivi tra religione e miti pagani di Paola Roccoli

Molti dolci siciliani tipici dell’estate affondano le loro radici nella storia religiosa dell’Isola che si intreccia con culti e leggende pagane

Il pezzo duro

Ingredienti • pan di Spagna • liquore per dolci • panna • gelato al torrone • gelato al pistacchio • gelato al cioccolato Procedimento Tagliate a fette il pan di Spagna imbevuto nel liquore, disponetelo nel fondo di uno stampo di alluminio a forma di tronco di cono, mettete uno strato di gelato al torrone, uno di panna, uno strato al pistacchio, un altro strato di pan di Spagna, poi di gelato al cioccolato. Chiudete lo stampo e ponetelo in freezer per un paio di ore. Tagliate a fette e servite.

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utte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorzonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana. Sorbetti, spongati, pezzi di gelati e tante altre dolcezze sono i protagonisti delle feste patronali che in estate si svolgono in ogni angolo della Sicilia e che Giuseppe Tommasi di Lampedusa decanta nel Gattopardo descrivendone la natura intrinseca. Molti di questi esemplari della pasticceria dedicata all’estate affondano le loro origini nella storia religiosa dell’Isola, ma spesso a queste si intrecciano una infinità di culti e leggende pagane. Andiamo a vedere quali. È usanza a Nord di Siracusa e precisamente ad Augusta, il 23 di maggio, per il culto di San Domenico Guzman, di mettere in scena la rappresentazione dello scontro bellico tra cavalieri cristiani e gli invasori saraceni, con a capo San Domenico, che al galoppo di un cavallo bianco e la sua folgorante spada, si oppone all’invasione della città. Durante questa antica festa è tradizione consumare il pezzo duro, una mattonella di gelato di diversi strati e diversi gusti, a volte accompagnato da uno strato di pan di Spagna. Anche a Ferla – altro comune del Siracusano – si consumano i pezzi duri di gelateria durante la festa del santo patrono San Sebastiano, occasione in cui si annunciavano i fidanzamenti a parenti e amici.

del Santo tutti i gelati preparati, dando la colpa del freddo anomalo al Santo e alla sua golosità, che secondo il mastro Minisciazza avrebbe voluto per sé tutti i gelati da lui preparati. SPONGATO E GELATO DI CAMPAGNA A Palermo è molto sentito u Fistinu, la festa di Santa Rosalia celebrata in onore della Santuzza che liberò Palermo nel 1625 dalla peste nera, grazie al ritrovamento delle sue reliquie che furono recuperate dal Cardinale Doria, arcivescovo di Palermo, sul Monte Pellegrino dove la Santa si era rifugiata a vita contemplativa. Il 14 di luglio la spettacolare festa tiene appesi gli sguardi al cielo dei palermitani e dei turisti in vacanza. In quei giorni si è soliti gustare il gelato di campagna, dolce secco a base di mandorle, pistacchi e frutta candita, a cui la scrittrice Dacia Maraini dedica un passo in “Bagheria” e chiamato così per l’aspetto e i colori di un gelato. È diventato il dolce dedicato alla Santa, sostituendo i moscardini che una volta venivano preparati dalle monache del Monastero della Concezione. A partire dagli anni ‘60 a Palermo è rimasta la tradizione di servire il gelato in coppe di champagne in alpacca; per Palermo sono gli spongati, per Messina e Ragusa la coppa Savoia. La specialità di San Vito lo Capo, è il “caldo-freddo”, una coppa di ceramica

IL PEZZO DI GELATO DI MINISCIAZZA Lu gelatu a piezzu veniva offerto l’ultima domenica di agosto a Canicattì per la festa patronale di San Diego. Una leggenda narra che il gelataio Minisciazza confezionò un grosso quantitativo di gelato per la festa, ma purtroppo quel giorno ci fu un freddo anomalo e nessuno dopo la processione andò a comprare il gelato. Così il mastro gelataio in un momento di sconforto e di poca lucidità, andò a gettare ai piedi della statua • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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lata, cotta al forno e ricoperta di una glassa chiamata zuccherata.

con il caldo freddo un pan di Spagna inzuppato di liquore, il gelato e alla fine una colata di cioccolata calda. CUBBAITA E TARALLI A REGALPETRA Per Leonardo Sciascia nelle “Parrocchie di Regalpetra” la festa di Racalmuto, la città natale dello scrittore, viene paragonata alla leggendaria festa di Pamplona in Spagna. Lo scrittore descrive la celeberrima arrampicata dei muli sulla lunga scalinata del paese, durante le celebrazioni della festa di Maria Santissima del Monte che cade nella seconda settimana di luglio: la festa di venerdì con la rievocazione del miracolo del 1503 e il sabato la sfilata dei ceri delle confraternite e del cero degli “schietti” cioè degli scapoli del paese. Il cero, sormontato da una struttura in legno alta cinque metri e sontuosamente decorata, posta al centro della piazza, diventa terreno di battaglia per accaparrarsi la bandiera ricamata in oro, ubicata sopra il cero, con l’augurio di prendere moglie entro l’anno per chi riuscirà nell’impresa. Chi ha custodito la bandiera dall’anno precedente, preparerà una festa nella sua abitazione, allietata dalla musica dei tamburinari, durante la quale offrirà un lauto banchetto con varie pietanze, frutta secca, e i dolci della tradizione: la cubbaita, i biscotti taralli dolce tipico del luogo. Si conclude la domenica con la processione della Vergine su un carro a forma di nave e i fuochi d’artificio nella piazza Barona. Per il Santo Patrono di Sclafani Bagni, l’Ecce Homo, che cade la prima domenica di luglio, è uso confezionare una squisita pigno-

LA PAGNOTTELLA DI NOTO E AVOLA Un altro dolce estivo di Noto e Avola è la pagnotella, fatta con pan di Spagna a forma rotonda, inzuppato di rhum e gelato al gusto di zuppa inglese. E proprio la zuppa inglese pare avere origini palermitane. Quando Ferdinando di Borbone e la consorte Maria Carolina vennero allontanati da Napoli nel 1798, sotto la protezione della flotta inglese dell’ammiraglio Nelson, si rifugiarono a Palermo e la loro dimora fu la Palazzina Cinese. Si racconta che i sovrani, per omaggiare la giovane moglie dell’ambasciatore inglese, Lady Halmiton venuta in visita a Palermo nella dimora dei

sovrani, fecero preparare dal monsù un dolce particolare che prese il nome appunto di zuppa inglese. Dove si fonde religione e mito è la città di Messina: il 15 agosto viene onorata la patrona della città, la Madonna

Testa di turco di Scicli

Ingredienti Per la pasta: • 150 gr di farina bianca • 150 gr di burro • 350 g di acqua • 5 uova • 1 limone • Sale e zucchero q.b. Per il ripieno: • crema al cioccolato, crema chantilly o crema di ricotta.

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della Lettera e in questa occasione le si dedicano le ‘nzudde, biscotti ricoperti di bianca glassa e mandorle. Il fercolo argenteo della Madonna si festeggia il 3 giugno, mentre il 15 si celebra la processione della Vara, piramide votiva, che in origine era dedicata al culto di Demetra, con in evidenza i simboli del sole e della luna. Secondo la leggenda, i messinesi inviarono attraverso San Paolo, che aveva operato l’evangelizzazione della città, una lettera alla vergine che si trovava a Gerusalemme; la Madonna rispose con una lettera in ebraico, legata con una ciocca dei suoi capelli. Da qui prese il nome di Madonna della Lettera. LA TESTA DI TURCO DI SCICLI Un’altra leggenda narra, che nel 1091 presso la spiaggia di Donnalucata sbarcarono i saraceni per conquistare la vicina Scicli. Gli abitanti terrorizzati si inginocchiarono a pregare la Madonna della Pietà, ad un tratto apparve una raggiante nuvola con l’immagine della Madonna delle Milizie, una amazzone bellissima sopra un cavallo bianco e con una folgorante spada. Questa guidò miracolosamente i Normanni giunti con a capo Ruggero D’Altavilla. La guerra fu breve e sanguinosa, ma si concluse con la vittoria dei cristiani. In seguito apparve un angelo che intonò un ringraziamento alla Madonna delle Milizie. Per ricordare la vittoria dei cristiani, gli abitanti di Scicli gustano per quella ricorrenza la testa di turco un enorme bignè ripieno di crema chantilly con la parte superiore che ricorda un turbante: la rappresentazione della testa mozzata del nemico saraceno.

Procedimento Versate in un tegame l'acqua, il burro, un pizzico di sale e uno di zucchero. Portare ad ebollizione a fuoco moderato. Togliete dal fuoco il tegame, versate la farina e mescolare con un cucchiaio di legno. Rimettete sul fuoco il tegame, mescolando continuamente fino a quando l'impasto si stacca dalla pentola. Lasciate intiepidire e aggiungete le uova, uno alla volta, mescolando continuamente fino al completo assorbimento. Aggiungere la scorza di limone e continuare a lavorare l'impasto. Formate un grosso bignè e infornate a 190°C per 15 minuti. Sfornatelo, appena raffreddato, tagliatelo in due e riempite di crema al cioccolato, o chantilly. Spolverizzate con zucchero a velo.

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L’ Oriente

a TAVOLA

con la magia delle spezie

di Manuela Zanni

Le spezie, profumato simbolo del misterioso Oriente, se usate con sapienza in cucina, sono in grado di trasformare una pietanza in un vero capolavoro

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hiunque abbia letto la Maga delle spezie, dell’indiana Chitra Banerjee Divakaruni sarà di certo rimasto colpito dal modo in cui l’affascinante protagonista Tilo si rapporti alle spezie, considerandole dotate di una propria personalità che rende ciascuna di esse adatta a curare uno specifico aspetto dei tanti mali che affliggono – soprattutto dal punto di vista spirituale – il genere umano. Universo misterioso e profumato d’Oriente, le spezie, se usate con sapienza in cucina, sono in grado di cambiare sapore e aroma ad un piatto trasformandolo in un vero e proprio capolavoro. Oggi, come una volta, le spezie possono realmente migliorare la nostra salute in modo naturale senza effetti collaterali. Con l’avvento della medicina moderna il loro uso in campo medico, molto comune in passato, è andato scemando, ma le spezie non hanno perso le loro virtù officinali. Le più recenti scoperte scientifiche confermano le indicazioni tradizionali delle spezie e mostrano che il loro consumo regolare costituisce uno straordi-

nario mezzo per la prevenzione di numerose malattie degenerative, compresi i tumori. Per esempio pochi sanno che lo zenzero svolge una spiccata azione antireumatica, documentata scientificamente, mentre altre spezie sono utilissime nei problemi gastrointestinali, perché migliorano la digestione e l’assimilazione dei cibi, come il pepe nero, esercitano un effetto antispastico, come il cardamomo, e antinfiammatorio come la curcuma. Altre ancora, come il pepe lungo, lo zenzero e il rafano, sono un potente alleato per combattere le più comuni patologie respiratorie. Ognuna delle spezie imprime al cibo il suo specifico aroma, che però può variare a seconda delle preparazioni. Per esempio, la cottura, lenta e prolungata, stempera la nota piccante di molte spezie, addolcendole e fa sì che l’aroma possa meglio amalgamarsi e diventare un unicum con il cibo. In genere le spezie andrebbero acquistate il più possibile “intere”, cioè non polverizzate e conservate ben sigillate. La macinatura, infatti, innesca una serie


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Chips di melanzane al sumac Ingredienti • melanzane lunghe • olio extravergine d'oliva q.b. • sumac • yogurt di kefir (o bianco naturale) • spicchi di limone Procedimento

di ossidazioni che, in breve, riducono l’aroma e l’efficacia terapeutica. L’acquisto nei mercatini, pertanto, dove vengono proposte in sacchi aperti, esposte alla luce e all’aria, non è consigliabile. È buona norma conservarle al buio e in contenitori ben sigillati che ne mantengano inalterate le caratteristiche organolettiche e le proprietà benefiche. Ad esempio, la curcumina, il più importante principio terapeutico della curcuma, che possiede notevoli proprietà antitumorali e antiossidanti, si degrada velocemente alla luce. Di seguito passiamo in rassegna alcune spezie poco note dall’aroma e dalle proprietà sorprendenti mostrandovi come usarle in alcune ricette semplici e gustose. L’assafetida è una specie perenne della famiglia delle Ombrellifere, originaria dei paesi del Medio oriente dall’aspetto simile al finocchio, con fiori giallo verdi e grandi radici polpose. La parte di Assafetida che viene utilizzata, è la resina gommosa che si estrae nei mesi estivi dalle radici di almeno quattro anni. Questa pianta presenta interessanti proprietà terapeutiche disinfettanti, digestive, antispasmodiche, lassative e antimicrobiche che la rendono ottima per trattare indigestioni, flatulenza, stitichezza, spasmi e dolori di varia natura. Il suo gusto pungente, facilita la digestione e aumenta l’appetito. È soprannominata la “spezia dei bambini” poiché a causa del suo odore molto persistente, a metà tra la cipolla e l’aglio, può essere utilizzata al posto di questi ingredienti spesso poco graditi ai più piccoli. Il gusto pungente e persistente ben si presta alla cucina vegetariana indiana e alla cucina ayurvedica in cui viene utilizzata per insaporire piatti a base di riso in generale, verdure, curry • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

e salse e stufati di carne e pesce. Visto il suo sapore particolarmente persistente, l’assafetida va usata con parsimonia e per questo è bene utilizzarla in polvere grattugiata al momento. La Cannella (Cinnamomum zeylanicum) e la Cassia (Cinnamonum cassia), assieme ad una mezza dozzina di altre piante appartenenti alla stessa famiglia, sono accomunate dal fatto di possedere lo stesso aroma di cannella. Tuttavia non vanno confuse tra loro come se fossero una cosa sola. La Cassia infatti, nota anche cannella cinese, è una delle spezie più antiche la cui presenza è infatti documentata nella Cina del 2500 a.C. e nell’Egitto del 1600 a.C.; fu introdotta in Europa attraverso le piste carovaniere delle spezie provenienti dall’Oriente. La vera cannella, detta Regina, invece, fu introdotta molto più di recente, è originaria di Ceylon ed era conosciuta solo dalle popolazioni indigene fino a quando non venne scoperta dagli olandesi. Entrambe queste spezie sono ricavate da piccoli arbusti o alberelli sempreverdi vagamente simili all’alloro e sono costituite dalla corteccia dei rami sottili, che una volta essiccata al sole acquista la forma di “cannucce” arricciate. Nella cassia la corteccia è più spessa e sugherosa, ha un aroma pungente caratteristica che la rende più adatta a ricette salate, mentre la cannella ha un colore pallido ed è sottile come un rotolo di carta, ha un aroma più delicato, particolarmente adatto per preparazioni dolci. È anche più pregiata e costosa. Spesso viene acquistata in polvere, dato che non è semplicissimo polverizzarla anche se, come già suggerito, è sempre preferibile macinarla al momento, non solo perché sprigioni al meglio il proprio profumo, ma anche le proprietà. Prima

Preriscaldate il forno a 180°C. Tagliate le melanzane a fettine sottili nel senso della lunghezza e mettetele in una teglia con un bel po’ di olio (le melanzane assorbono molto) e mescolate. Infornate per 25-30 minuti, finché non saranno croccanti. Spolverate con il sumac e servite subito con yogurt e limone tagliato a spicchi. Abbinamento consigliato: Terre Siciliane Grillo Igt “Family & Friends Riserva” 2015 - Feudo Maccari. Espressione insolita e ambiziosa del Grillo dal colore giallo paglierino intenso. Al naso esprime note di frutta esotica e di agrumi maturi, sentori erbacei e tracce di vaniglia e di burro. Al palato è morbido, ricco, piacevolmente opulento, ben sostenuto da una certa freschezza e da una chiusura lievemente sapida. Di grande fascino e persistenza grazie alla maturazione in barrique di rovere francese che regala, accanto ai naturali sentori fruttati, accattivanti note speziate. Ottimo come aperitivo ma ideale anche a tutto pasto, con primi ricchi e secondi grigliati.

tra tutte quelle antisettiche poiché contiene un olio essenziale, il fenolo, il quale combatte con efficacia i batteri responsabili della putrefazione ed è, perciò, molto importante, da un punto di vista pratico, soprattutto nei paesi caldi, come antisettico naturale. Ha, inoltre, molte virtù medicinali come vermifugo e stimolante dell’apparato digerente. La fava Tonka è il seme della pianta chiamata anche Coumarona odorata, appartenete alla stessa famiglia del fagiolo. Può raggiungere i 25 metri di altezza e talvolta anche i 40 e il tronco ha un diametro di 1-2 metri. Ha foglie grandi alternate e fiori rosa-violetti. I frutti, che assomigliano a piccoli manghi, cadono in terra a maturazione e vengono raccolti per essere essiccati almeno per un anno. Poi si rompono e liberano i semi dall’interno (fave), quasi sempre uno per frutto. I semi sono marrone chiaro appena raccolti,

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Polpette di sedano rapa con assafetida Ingredienti per 12/15 polpette • 1 sedano rapa intero • 80 gr di farina di piselli • pangrattato q.b. • curry q.b. • assafetida q.b. • sale integrale marino q.b. • olio extravergine d'oliva q.b. Per la salsa • 125 gr di yogurt bianco di soia al naturale • 1 piccola rapa rossa, al vapore o bollita • 1 cucchiaino di olio di girasole • aneto essiccato q.b. • sale integrale marino q.b. Procedimento Pulite il sedano rapa, tagliatelo a cubetti grossolani e fate bollire in abbondante acqua salata fino ad ammorbidire la polpa. Quindi scolate e lasciate raffreddare. Una volta raffreddato, asciugate bene l'acqua in eccesso utilizzando un panno o della carta assorbente, quindi passatelo al passaverdure. Unite la farina di piselli, le spezie, aggiustate di sale e amalgamate fino ad ottenere un impasto omogeneo. Con le mani umide formate delle palline di impasto e passatele nel pangrattato fino ad esaurire tutto il composto. Una volta formate le polpette, riponetele in frigorifero a riposare per almeno un'ora. Trascorso il tempo necessario, cospargete le polpette con dell'olio extravergine e cuocete per venti minuti a 160180°C nella friggitrice ad aria, oppure scaldare qualche cucchiaio d'olio in una padella antiaderente e fate dorare le polpette, avendo cura di girarle spesso. In alternativa potete cuocerle anche in forno, su una placca rivestita di carta forno, con un filo d'olio extravergine a 180°C per 15-20 minuti. Per preparare la salsa di accompagnamento di rapa rossa, frullate una piccola rapa rossa cotta al vapore o bollita, precedentemente tagliata a cubetti, con un vasetto di yogurt vegetale bianco al naturale, un cucchiaino d'olio di girasole o di mais e un pizzico di sale. Servite le polpette accompagnate dalla crema, con una spolverata di aneto essiccato. Abbinamento consigliato: Rosato - Terrazze dell'Etna. Da Nerello Mascalese. Colore rosa con riflessi violacei che ne esaltano la brillantezza. Al naso profuma di frutta a polpa rossa con sentori di fragole e accenni balsamici. Al palato è sapido con una grande freschezza, dal corpo ben strutturato, è un vino di grande piacevolezza. Grazie all’assaggio fresco e vivace, trova un’unione perfetta con i sapori delicati della terra ma anche con antipasti di mare.

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oblunghi, lunghi tre-quattro centimetri e larghi uno e contengono una mandorla bianca. Quando essiccano diventano quasi neri e rugosi. Presentano un aroma ricco, caldo, erbaceo, vanigliato con un leggerissimo sentore di tabacco e di caramello. Grazie al profumo piuttosto forte che sa prevalentemente di vaniglia e di mandorla, la fava tonka è molto amata dai pasticceri (infatti in genere basta mezza fava per profumare un dolce) che la usano grattugiandola e dosandola con parsimonia. In genere si usa in aggiunta, o in sostituzione, a tutte quelle preparazioni in cui tradizionalmente si usa la vaniglia, la mandorla e con il cioccolato in genere. Il sapore molto simile a quello delle mandorle e della vaniglia rilascia delle note affumicate e speziate davvero molto gradevoli che ben si sposano con il cioccolato e sono perfette da utilizzare nelle creme al latte, budini, creme brulè e gelati. La fava tonka deve essere grattugiata in piccole dosi all’ultimo momento, per mantenere l’aroma, e poi aggiunta agli altri componenti della ricetta. Il sumac è una spezia rosso porpora ampiamente utilizzata nella cucina araba medio-orientale. È ricavata dai frutti essiccati e macinati della pianta del som-

macco il cui sapore aspro e aromatico ricorda vagamente il limone. Esistono due tipi diversi di sommacco: quello mediorientale, Rhus coriaria, conosciuto come sommacco siciliano, e quello nordamericano Rhus aromatica. In totale sono oltre duecentocinquanta le specie di sommacco conosciute e alcune di queste sono velenose. Pertanto bisogna fare attenzione a non confonderle tra loro. Il colore del sommacco è di un intenso porpora e ha un gusto acre, simile a quello della buccia di limone grattugiata. Trova vasto impiego nella cucina araba e mediorientale, in particolare libanese e curda. Lo si aggiunge a piatti a base di pesce e carne, lo si mescola alle cipolle affettate e anche nella preparazione di qualche bibita. Le bacche possono essere usate anche fresche, spezzate e tenute in ammollo in acqua per circa un quarto d’ora, quindi si estrae il succo che accompagnerà le verdure; in alternativa vengono cotte in acqua per creare una sorta di salsa molto densa che si usa sempre con le verdure. Si sposa benissimo anche con le lenticchie e il pollo. È perfetta per insaporire pesci grigliati, spezzatini di carne o le tipiche salse a base di yogurt.

Tortine alle albicocche e fava tonka Ingredienti • 200 gr farina di grano tenero • 250 gr di yogurt (se preferite vegetale) • 200 gr di albicocche • 125 gr di zucchero di canna • 8 cl di olio d’oliva • 2 uova (preferibilmente di galline allevate all’aria aperta) • 5 gr di lievito per dolci • ½ fava tonka • una presa di sale Procedimento Sbattete le uova con lo zucchero, lo yogurt, l’olio e il sale. Incorporate la farina e il lievito. Aggiungete la fava tonka grattugiata e le albicocche tagliate a pezzettini avendo cura di tenerne da parte due per la

decorazione. Versate questo impasto in alcuni pirottini per tortine. Completare con un piccolo spicchio di albicocca e infornare a 170°C per una ventina di minuti finché le tortine saranno dorate. Abbinamento consigliato: Moscato dello Zucco - Cantina Cusumano. Colore ambrato. Al naso sentori di uva passa, albicocca, miele d’acacia che in bocca si trovano in perfetta armonia e coerenza regalando un palato complesso lungo e persistente. La spiccata tendenza acida ne impedisce la stucchevolezza. Adatto con dolci al cucchiaio, creme, budini, ma anche biscotti secchi e pastine da tè.


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Origine in etichetta Pasta presto anche in ITALIA di Giorgia Iannelli

Per il latte e i suoi derivati, l’obbligo è già scattato il 19 aprile. Adesso tocca al grano duro per la pasta di semola

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uest’anno in Italia è entrato in vigore per il latte e i prodotti lattiero-caseari l’obbligo dell’indicazione della provenienza della materia prima, pratica già da tempo adottata per olio, miele, frutta, ortaggi e carni. A partire dal prossimo anno, la stessa legge potrebbe entrare in vigore anche per la pasta e i prodotti derivati dal grano. A fine 2016 infatti l’Italia ha inviato alla Commissione europea uno schema di decreto per introdurre l’obbligo dell’etichettatura della pasta che indichi non solo il paese di origine del grano utilizzato, ma anche il paese in cui è avvenuta la sua macinazione (le due fasi infatti, produzione e molitura, non sempre coincidono). Ma perché la necessità di questo decreto? L’Italia è il maggiore produttore e consumatore di pasta e prodotti derivati dal grano duro, eppure questo vantato primato nasconde un’ombra. Infatti non tutto ciò che viene dichiarato made in Italy è al 100 per cento di origine italiana, perché circa il 30-40 per cento di quello utilizzato viene importato dall’estero (soprattutto dal Canada). Ebbene sì, il simbolo per eccellenza dell’Italia, la pasta – e lo stesso dicasi per altri prodotti da forno – è spesso prodotta con grano non italiano

o comunque non solo italiano. Per di più il grano importato costa molto meno del grano prodotto nel Bel Paese, motivo che l’anno scorso ne ha causato in Italia il crollo del prezzo con la conseguente accesa protesta denominata “guerra del grano”, soprattutto nelle regioni maggiori produttrici (Puglia, Sicilia, Molise, Basilicata). Non si tratta però solo di un discorso economico, ci sono in gioco anche altri fattori che riguardano la sicurezza alimentare. Portiamo intanto allo scoperto il primo paradosso della legge italiana a riguardo: in Italia il livello


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massimo consentito di micotossine presenti nel grano è ben superiore al limite adottato da quello di alcuni dei paesi da cui lo compriamo. Tradotto: ciò che altrove per legge non si può usare neanche come mangime per gli animali, ce lo mangiamo noi. Ed ecco spiegato il motivo di un prezzo così basso. Andiamo al secondo paradosso: in Italia è vietato l’uso del glifosato, un potente diserbante, nell’ultima fase di maturazione del grano, quella della cosiddetta pre-raccolta. Eppure tale divieto non vale nei paesi da cui viene importato, in alcuni dei quali anzi per via dell’alto tasso di umidità, si pensi appunto al Canada, è per così dire “necessario” l’utilizzo del glifosato proprio in fase di pre-raccolta (quando il seme però, essendo già formato, lo può assorbire più facilmente), per velocizzare l’essiccazione e quindi la maturazione del grano. Il problema è che non si è stati ancora in grado di stabilire se e quanto questo diserbante sia dannoso per la nostra salute. Il glifosato è infatti da qualche tempo al centro di una querelle scientifica che si trova in una sorta di impasse, essendo contrastanti i risultati degli studi condotti. C’è chi lo dichiara potenzialmente cancerogeno, chi ne esclude i rischi per la salute in relazione alle quantità residue presenti nel grano, che sono comunque entro i limiti consentiti dalla legge. Torniamo dunque al discorso di partenza. L’indicazione dell’origine del grano nell’etichetta permetterebbe, secondo chi ne è fautore, di tutelare e valorizzare la produzione di qualità del grano italiano, proteggendo dunque il marchio “made in Italy” da eventuali speculazioni, e andrebbe a beneficio del consumatore rispettando il suo diritto alla trasparenza. Alcune aziende produttrici tuttavia non vedono di buon occhio questo provvedimento e sostengono che se viene usato

esclusivamente grano italiano la pasta non è di qualità, benchè la qualità dipenda anche dal processo di lavorazione, e che comunque i grani esteri sono sottoposti a rigidi controlli per verificare che la quantità di eventuali sostanze tossiche rispetti i limiti di legge. A questo proposito, va detto che l’associazione GranoSalus (associazione di produttori di grano del sud Italia) ha lanciato l’anno scorso una petizione per chiedere che venga abbassato in Italia il limite massimo di micotossine consentito. La loro osservazione, peraltro non priva di logica, è che tale limite è posto sulla base del consumo medio europeo di pasta, che è 5 volte inferiore rispetto a quello italiano. In conclusione, è vero che il grano estero è sottoposto a controlli che ne garantiscono (almeno così si spera) la non pericolosità per la nostra salute, almeno secondo i limiti di cui si è parlato, ma è altrettanto vero che difficilmente è salutare quanto quello italiano, che non è sottoposto al trattamento di pre-raccolta e cresce con un clima ideale che rende più difficile la proliferazione delle micotossine. L’etichettatura dunque, al di là delle ragioni che possono stare sia da una parte che dall’altra, è un importante strumento di informazione che garantisce l’indiscusso diritto dei consumatori ad un consumo consapevole.

Spaghetti ai ricci di mare Ingredienti • 300 gr di spaghetti • 20 ricci di mare • 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva • 1 cucchiaio erba cipollina affettata • q.b. sale e pepe Procedimento Tenete i ricci con una mano protetta da un panno, apriteli a uno a uno, eliminando la parte piatta con un paio di forbici; fatene scolare l'acqua, filtrandola in una ciotola, asportate con un cucchiaino la polpa arancione e mettetela da parte. Portate a bollore in una pentola abbondante acqua salata e cuocetevi gli spaghetti; quindi scolateli, raffreddateli sotto l'acqua corrente, scolateli di nuovo e disponeteli sopra un piatto da portata. Sbattete con una frusta l'acqua dei ricci insieme con l'olio d'oliva, salate, pepate e con la salsa ottenuta condite gli spaghetti, cospargendoli con gli spicchi di polpa di riccio e l'erba cipollina tritata.

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Dalle cucine dei ristoranti siciliani ristorante

ristorante

Palazzo Branciforte

Sicilia’s Cafe de Mar

Via bara all'olivella, 2 palermo tel. 091.321748

Via lungomare dei ciclopi acitrezza (ct) tel. 095 276129 Chef Giuseppe Patti

Chef Gaetano Billeci

r i c e t ta

linguine in crema di piStacchio e uoVa di riccio

Spaghetti alla carbonara di gambero roSSo e guanciale di Suino nero con finto tuorlo allo zafferano

Ph. Rossana Brancato

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Ingredienti per 4 persone 320 gr di linguine di semola di grano duro 160 gr di granella di pistacchio di Bronte 4 cucchiai di polpa di riccio sale e pepe q.b. olio extravergine q.b. prezzemolo fresco q.b. 1 spicchio d'aglio Procedimento In una padella di grandi dimensioni far dorare uno spicchio d’aglio con olio extravergine d’oliva. Levate lo spicchio d’aglio e create un emulsione aggiungendo la granella di pistacchio e acqua di cottura delle linguine. In una ciotolina disponete la polpa di riccio e aggiungete poco prezzemolo fresco tagliato molto sottile. La cottura delle linguine deve essere molto al dente, circa 3 minuti in meno dei tempi consigliati dal produttore della pasta. Mettete le linguine nella padella dove avete preparato l’emulsione di pistacchio e mantecate per 2/3 minuti. Se necessario aggiungete ancora un po’ di acqua di cottura della pasta. Impiattate le linguine creando due nidi di dimensioni diverse per raffigurare i faraglioni di Acitrezza. Completate il piatto versando sopra i “Faraglioni di linguine” un cucchiaio per piatto di polpa di riccio.

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Ingredienti per 4 persone 300 gr spaghetti “Cavaliere Cocco” 200 gr gambero rosso sgusciato 100 gr di guanciale suino nero - 200 gr patate scalogno, timo, zafferano ennese q.b. brodo vegetale, olio evo, burro, sale e pepe q.b. Procedimento In una casseruola rosolate con una noce di burro lo scalogno tritato e ed il timo, aggiungete le patate tagliate a brunoise e fate dorare mescolando bene per evitare che gli amidi versati possano attaccarsi al fondo della casseruola; versate il brodo vegetale e gli stimmi di zafferano quando le patate inizieranno a disfarsi; togliete dal fuoco e passate con un frullatore ad immersione. In una padella antiaderente fate tostare a fuoco dolce il guanciale in modo che si fonda il grasso e diventi croccante; raggiunta la giusta croccantezza, unite una parte dei gamberi tritati (questo per far sì che i sapori si possano legare perfettamente al palato) infine aggiungete una piccola parte di crema di patate precedentemente preparata e pepe nero. Cuocete gli spaghetti in abbondante acqua salata ed aggiungeteli alla salsa ancora al dente, terminate la cottura in padella e servite con della pancetta disidratata e un guscio d'uovo colmo di crema di patate da versare.

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Dalle Cucine MagGiu_26 10/07/17 11:17 Pagina 67

ristorante

ristorante

Don Camillo

Quattroventi Comfort Food

Via delle maestranze, 96 Siracusa tel. 0931.67133 Chef Giovanni Guarneri

Via enrico albanese, 30/32 palermo tel. 091.6259187 Chef Filippo Ventimiglia

r i c e t ta

tuma perSa VeStita in SalSa di porcini

parmigiana di peSce Su ragù di Seppie

Ph. Luca Scamporlino

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Ingredienti per 4 persone 8 fettine sottili di filetto di vitello 8 pezzetti di tuma persa (2 cm x 1 cm) una manciata di pistacchi di Bronte tritati 8 fette di lardo di suino nero dei Nebrodi ½ Kg di porcini dell’Etna 2 spicchi d’aglio alcune foglie di salvia fresca olio d’oliva Dop monti Iblei sale, pepe, prezzemolo q.b.

Ingredienti per 4 persone Per la parmigiana 1 melanzana di circa gr 500 100 gr di ragusano Dop semistagionato 500 gr salsa di pomodoro fresca 400 gr di tonno fresco - basilico, sale e pepe q.b. Per il ragù di seppie 400 gr di seppie - 300 gr di passata di pomodoro 1 cipolla - 1 spicchio d’aglio basilico, sale e pepe q.b. - vino bianco

Procedimento Passate i pezzetti di tuma nell’olio e successivamente nella farina di pistacchi tritati, spianate le fettine di filetto e rivestite la tuma infarinata di pistacchi, lardellate gli involtini ottenuti e steccateli alternando le foglie di salvia. Pulite i funghi trifolarli con aglio olio prezzemolo, sale e pepe, togliete l’aglio, frullateli per ricavarne una salsa densa. Schiacciate uno spicchio d’aglio, strofinatelo in una padella antiaderente, scaldatela sul fuoco e cuocete gli involtini coprendoli per fare in modo che il formaggio diventi morbido. Disponete nel piatto la salsa di funghi, tagliate gli involtini a fischietto e poneteli sul piatto completando con un filo d’olio e 2 foglie di salvia fritta.

Procedimento Pulite le melanzane e privatele della pelle. Con l’aiuto di un’affettatrice, ricavate 16 fette di melanzane e tagliatele nel senso della lunghezza; la restante parte tagliatela a fettine più piccole. Tagliate a fettine il tonno fresco e conditelo con foglie di basilico, sale e pepe. Friggete le melanzane in abbondante olio extravergine d’oliva. Rivestire con le 16 fette 4 stampi monoporzione in alluminio. Assemblate la parmigiana a strati, alternando le fettine di tonno, la salsa di pomodoro, il ragusano e le fettine di melanzane per almeno tre volte. Infornate per circa 14 minuti a 180°C in forno ventilato. Per il ragù pulite le seppie mettendo da parte il fegato ed il nero, tagliatele a cubetti. In una pentola fate soffriggere una cipolla tritata finemente ed uno spicchio d’aglio. Aggiungete le seppie facendole rosolare e sfumatele con del vino bianco. Aggiungete 300 gr di passata di pomodoro e cuocete per circa 40 min. A metà cottura aggiungete il nero di seppia, precedentemente frullato con il fegato ed un filo d’acqua e continuate la cottura fino al termine così da ottenere un sugo molto ristretto. A questo punto potete assemblare tutti gli ingredienti versando due cucchiai della salsa ottenuta e adagiate il tortino di melanzana cotto in forno. Decorate con foglioline di basilico fresco ed un filo d’olio extravergine di oliva.

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Cucinare con gli SCARTI

perché tutto si trasforma... di Manuela Zanni

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n cucina non esiste, o quasi, qualcosa che non possa essere riutilizzato in maniera fantasiosa e creativa dando luogo ad una pietanza bella da vedere e buona da gustare. Per questo motivo la “cucina con gli scarti” è diventata oggi di gran moda. In realtà, a ben guardare, si tratta di un restyling dell’antico modo di cucinare messo in pratica dalle nostre nonne che, precorrendo i tempi più per necessità che per scelta deliberata, hanno inventato la cucina degli avanzi che consisteva nel riutilizzo di ciò che rimaneva in cucina o nei piatti. Basta pensare alla pasta fritta o alla frittata di pasta preparate con la pasta rimasta il giorno precedente che veniva fritta semplicemente in padella, nel primo caso, e unita all’uovo nel secondo. O, ancora, le polpette di pane preparate con il pane

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raffermo della settimana. E ci stiamo limitando a citare solo alcuni esempi. La cucina “senza sprechi”, nella sua accezione moderna, va però ben oltre. Non bisogna fare, infatti, l'errore di confondere la “cucina degli scarti” con la “cucina degli avanzi” perché la prima è molto di più della seconda. Sprecare, infatti, significa buttare via il cibo non consumato, ma ancora buono da mangiare. Lo scarto è tutto ciò che si getta in pattumiera dopo aver privato un ingrediente di tutte quelle parti come bucce, gambi, foglie e semi che non vengono utilizzate per la preparazione della pietanza. Tutte queste parti, che sono eliminate perché ritenute non commestibili, invece, dal punto di vista nutrizionale sono spesso più ricche delle parti “nobili”.

Il postulato di questa nuova “filosofia” del cibo è che siamo noi a decidere cosa è buono e cosa non lo è. E per farlo, dobbiamo imparare nuovamente a rispettare il cibo, proprio come facevano i nostri nonni per i quali i torsoli di pera, il pane raffermo, perfino i noccioli di prugna erano ingredienti, non scarti. Cucinare con gli “scarti” consente, inoltre, di mettere alla prova la propria creatività. La cucina degli sprechi, infatti, è fantasiosa, ricca e genuina. Alla base di tutte le ricette c’è una semplice idea: usare il più possibile gli ingredienti, senza gettarne la metà nella spazzatura come avviene, ad esempio, nel caso di fave, piselli, carciofi. Vediamo insieme alcuni utili consigli per come utilizzarli in cucina e, di seguito, alcune semplici e gustose ricette.

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Vellutata di porri e sedano

Bucce di patate fritte

Ingredienti

Ingredienti

foglie esterne dei porri, foglie e gambo del sedano, olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b., granella di pistacchi, crostini di pane

1 kg di bucce di patate bio, olio extravergine di oliva, 1 spicchio d’aglio, rosmarino, sale Procedimento

Procedimento Sbollentate le foglie e i gambi dei porri e del sedano in abbondante acqua salata fino ad ammorbidirli. Quindi scolateli e versateli in una ciotola unendo un mestolo di acqua di cottura e frullate il tutto con un mixer ad immersione fino ad ottenere una crema liscia ed omogenea. Regolate di sale e pepe. Lasciatela raffreddare e servite condita con un giro d’olio, una spolverata di pepe e di granella di pistacchi accompagnata da crostini di pane.

Asciugate grossolanamente le bucce di patate. In una padella scaldate due cucchiai d’olio e aggiungete lo spicchio d’aglio. Aggiungete le bucce di patate e fatele dorare, fin a quando non saranno croccanti. Conditele con sale e origano e mescolate. Per guarnire aggiungete del rosmarino tritato. Per ottenere una versione più leggera mescolate le bucce di patate con un filo d’olio d’oliva, sale e aglio in polvere e cuocete il tutto in forno per circa mezz’ora.

Polpette di carote e barbabietola

Pale di fico d'India in agrodolce

Ingredienti

Ingredienti

250 gr di scarti di carote (quelli ottenuti con l’estrattore), 250 gr di scarti di barbabietole (quelli ottenuti con l’estrattore), una patata grande, una cipolla, un cucchiaino di curcuma, olio extravergine di oliva, sale e pepe q.b., pangrattato

4 pale di ficodindia, 10 pomodori ciliegini, 2 scalogni, olive bianche e nere, una costa di sedano, 4 cucchiai di aceto di vino bianco, 4 cucchiai di zucchero, olio extravergine di oliva, sale q.b.

Procedimento Bollite la patata in acqua salata e in una padella dorate le cipolle insieme alla curcuma. Quando saranno ben cotte unitele in una ciotola capiente agli scarti di carote e barbabietole ottenuti dall’estrattore di succhi. Quindi aggiungete la patata spellata e schiacciata e impastate il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo. Regolate di sale e pepe. A questo punto fate delle palline e passatele nel pangrattato schiacciandole leggermente. Foderate una teglia di carta forno e sistematevi le polpette. Conditele con un giro d’olio. Cuocete in forno a 200°C per circa 20 minuti. Servitele tiepide accompagnate da una insalata di stagione.

Procedimento Dopo aver indossato un paio di guanti di lattice lavate le pale di fico d’india e con l’aiuto di un coltellino affilato rimuovete le spine. Quindi tagliatele in strisce e poi a pezzetti. A questo punto riempite una pentola capiente di acqua salata e portatela a bollore. Quindi sbollentate le pale tagliate a pezzi. Appena saranno morbide passatele in una padella in cui avrete rosolato le cipolle con l’olio e unitevi il sedano tagliato a pezzi, le olive e i pomodorini tagliati a metà. Lasciate cuocere per circa 20 minuti. A questo punto unite l’aceto, lo zucchero e un pizzico di sale. Cuocete fino a far sfumare l’alcool dell’aceto. Quindi fate riposare e, una volta raffreddata, servitela come contorno.


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la clausura imp_28 10/07/17 11:21 Pagina 71

La clausura svelata

dolci monacali senza segreti di Vanessa D’Acquisto

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Palermo il monastero di clausura domenicano di Santa Caterina d’Alessandria fino a poco tempo fa ospitava le ultime suore e, come gli altri monasteri della città, era specializzato nella preparazione di dolci. Le ricette della pasticceria conventuale costituiscono un patrimonio immateriale da salvaguardare, in quanto ultimo retaggio di un’antica tradizione. Le ricette venivano tramandate oralmente da sorella a sorella. E quelle che conosciamo noi sono il frutto delle molteplici e successive rielaborazioni dei maestri pasticceri. I dolci costituivano le uniche entrate per il monastero (salvo le donazioni): venivano acquistati dal pubblico attraverso la ruota, anticamente utilizzata anche per abbandonare i bambini non desiderati o frutto di amori clandestini.

Lo chef Peppe Giuffrè

Il progetto di recupero del monastero dell’associazione “Il Genio di Palermo” ha dato il via ad una serie di manifestazioni iniziate con il corso sulle antiche ricette delle monache patrocinato di Slow Food e tenuto dallo chef Peppe Giuffrè nei locali di Santa Cita di via Lampedusa. I partecipanti hanno avuto l’opportunità di conoscere la storia e gli aneddoti legati alle ricette più popolari ma anche a quelle meno conosciute e di assistere al lavoro di Peppe Giuffrè e dei suoi assistenti mentre preparavano i dolci. Ma quello che più ha divertito e coinvolto gli “aspiranti pasticceri” è stato il momento in cui è toccato a loro cimentarsi nelle preparazioni. Sotto la guida attenta dello chef e dei suoi assistenti, tutti hanno fatto del loro meglio per realizzare i dolci quanto più somiglianti agli originali, facendo tesoro di tutti i preziosi consigli sugli ingredienti da usare e sulle loro possibili alternative e sul metodo di preparazione. Ed ecco che vengono ricreate le fedde del Cancelliere che realizzavano le monache del monastero del Cancelliere; il trionfo di gola, prelibatezza ricercatissima del convento di via Montevergini; le minni di virgini dal monastero delle Vergini; la martorana, dall’omonimo monastero da cui prese appunto il nome e

infine la cassata fridda (quella classica), dal monastero di Valverde. Ma il progetto è andato oltre. Ed il passo successivo è stata l’apertura del monastero di Santa Caterina al pubblico. Durata troppo poco secondo alcuni (dal 7 al 25 aprile), ma sufficiente perché i Palermitani, ma anche molti turisti, potessero vedere con i propri occhi dove questi prelibati dolci venivano preparati e venduti (attraverso la famosa ruota), e conoscere la vita delle monache di clausura. E fatto eccezionale, i dolci hanno varcato nuovamente la soglia del monastero. Grazie al contributo dello chef Giuffrè, che ha preparato cassate, agnellini pasquali, minni di virgini e pasta reale agli agrumi, i visitatori hanno potuto acquistare all’interno del monastero i dolci della tradizione monacale. Chi purtroppo non ha potuto seguire il corso e consigli dello chef, o acquistare i dolci da lui preparati, può cimentarsi nella preparazione seguendo le ricette contenute nel libro “I segreti del Chiostro. Storie e ricette dei monasteri di Palermo”, edito da Il Genio editore, presentato in occasione dell’apertura del monastero e nato con l’intento di raccogliere storie, tradizioni e curiosità di una pagina della storia culinaria del capoluogo siciliano.

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Santa Rosalia imp_29 10/07/17 11:21 Pagina 72

IL FESTINO DEI PALERMITANI PER LA

Santuzza Rosalia di Vanessa D’Acquisto

Il 15 luglio del 1624 Rosalia liberò la città dalla peste e conquistò i palermitani che la adottarono a Santa Patrona, l’unica a cui rivolgere suppliche, invocazioni e voti

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L

uglio per i palermitani, non si scappa, è sinonimo di Festino, la festa dedicata a Santa Rosalia, Patrona della città. Il legame tra la Santa e la città affonda le sue radici nel lontano 1624 quando a Palermo imperversava la peste. A nulla valsero le suppliche dei cittadini, delle autorità laiche e religiose della città alle quattro Sante Patrone (Santa Ninfa, Santa Oliva, Santa Cristina e Santa Agata). Si provò di tutto, anche quanto suggerito dal saponaio Vincenzo Bonelli. Egli affermò che, recatosi su Monte Pellegrino con l’intento di suicidarsi (disperato perché la moglie era morta di peste), gli apparve Rosalia che gli suggerì di recuperare le sue ossa e di portarle in processione per le vie della città per porre fine all’epidemia. E così fu fatto il 15 luglio e così avvenne: la peste venne debellata. Da quel momento Rosalia conquistò i palermitani che la adottarono a Santa Patrona della città, l’unica a cui rivolgere suppliche, invocazioni e voti e a cui dedicare una festa sontuosa. Non fatevi ingannare dal nome “Festino”, perché la festa non ha nulla di riduttivo. Infatti le celebrazioni duravano ben cinque giorni. Durante i quali venivano montati altari ai Quattro Canti; venivano poste enormi illuminazioni lungo corso Vittorio Emanuele e via Maqueda; si organizzavano corse dei cavalli lungo il Cassaro e l’ultimo giorno veniva portata in processione l’urna argentea contenente i resti di Santa Rosalia. Il numero dei giorni di festeggiamento venne portato a cinque nel 1751 per ringraziare la Santa che aveva protetto la città dal terremoto di quell’anno. Piccola curiosità: nel 1793 il viceré Caracciolo decise di ridurre i giorni della festa a tre per destinare i soldi ad altre spese, ma ciò provocò la reazione feroce non solo popolare, ma anche dei notabili della città. Il viceré,

così, fu costretto a ritornare sui suoi passi e ripristinare l’originale durata dei festeggiamenti. Nel corso dei secoli il festino perse la sua antica fastosità. Le giornate si ridussero a tre, le corse dei cavalli furono eliminate per ragioni di sicurezza. A partire dagli anni ’90 e fino a qualche tempo fa, i giorni di celebrazione ritornarono ad essere cinque, ma con qualche differenza rispetto all’organizzazione del ‘700. Il clou delle celebrazioni è sempre stato la sera del 14 luglio, giorno in cui viene rappresentata la storia di Santa Rosalia. Un evento atteso da tutti i palermitani, ma che attira anche molti turisti. Lo spettacolo inizia a Palazzo dei Normanni, dove viene rappresentata la vita a Palermo nel 1600, prima e dopo l’arrivo della peste. Lo scenario si sposta al piano della Cattedrale dove, tra le suppliche e le richieste di intervento degli “appestati” e del clero cittadino, viene svelato il carro trionfale e la statua di Santa Rosalia, proprio per indicare il suo l’intervento miracoloso. Da qui inizia il corteo del carro trionfale lungo il Cassaro, preceduto da piccoli carri e figuranti. Ai Quattro Canti la Santuzza, sotto una pioggia di petali e coriandoli, riceve l’omaggio floreale del sindaco della città al grido unanime della piazza “Viva Palermo e Santa Rosalia”. Il corteo riprende il cammino fino a giungere a Porta Felice e, dopo un breve spettacolo, iniziano i fuochi d’artificio. Negli ultimi tempi le celebrazioni sono state ridimensionate, secondo le idee e i mezzi messi a disposizione dall’amministrazione comunale, ma comunque le caratteristiche generali rimangono invariate. Ogni anno il Festino viene organizzato secondo un tema specifico: il futuro, la città multiculturale, i più deboli e il perenne conflitto tra bene e male. Ma di sicuro non cambia l’intenzione di

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Santa Rosalia imp_29 10/07/17 11:21 Pagina 73

Insalata di polpo Ingredienti per 4 persone • 1 polpo di un kg • 2 limoni • 2 mazzi di prezzemolo • 1 spicchio d’aglio • olio evo, sale e pepe q.b. Procedimento creare un carro trionfale così grande da provocare meraviglia agli spettatori. È certo che al momento della rivelazione ci sarà sempre qualcuno che storcerà il naso, affermando che quello del Festino precedente fosse più bello. Ma ci consola il fatto che lo sarà di più di quello successivo. La struttura del carro è rimasta pressoché uguale nel corso del tempo: una maestosa barca ospita i protagonisti della rappresentazione, musicanti e gente comune con su in cima la statua di Santa Rosalia, come descrisse il Pitrè, “delle candide vesti, dal capo coronato di rose (Rosalia), dal volto raggiante di bellezza”. Come ogni celebrazione di piazza, anche il Festino ha i suoi piatti tipici, che si possono fare a casa, ma che acquisiscono un altro sapore se si consumano per strada come accompagnamento allo spettacolo. Si comincia con il classico pani ca’ meusa (il pane con la milza con annessa questione: “schietta o maritata?”). Chi si vuol tenere leggero (si fa per dire) può indirizzarsi sul panino con panelle e crocchè. Se volete sgranocchiare qualcosa in attesa dell’inizio

delle spettacolo potete farlo con un coppino di càlia e simenza (rispettivamente ceci e semi di zucca salati e tostati), insieme a pistacchi, noccioline, noccioline americane, luppini e cruzzitedde (castagne secche) tutti venduti dalle bancarelle adornate a festa, ricche di luminarie e dipinte con i motivi dei carretti siciliani e le scene tratte dalla vita di Santa Rosalia. In alternativa si può optare per le calde pollanche (le pannocchie di mais) cotte nelle enormi quarare di rame. Potete togliervi qualche sfizio con le stigghiola, che vi conducono da loro con le nuvole di fumo che si propagano per il centro storico, e lo sfincione (o meglio, sficionello perché venduto dalle lape). Ma il simbolo del Festino sono i babbaluci: piccole lumache bollite e soffritte in abbondante aglio e olio, l’ideale per accompagnare i fuochi d’artificio. A conclusione della serata, come a dare sollievo ad una giornata così carica di “emozioni”, una fetta di muluni (anguria) rigorosamente “agghiacciato”.

Sciacquate il polpo. In una grande pentola fate bollire abbondante acqua salata. Non appena l’acqua bolle, immergete il polpo e fatelo cuocere per circa 20 minuti. Controllate la cottura infilzando i tentacoli con una forchetta, se faticate ad infilzare prolungate la cottura. Quando sarà cotto, spegnete il fuoco e lasciate il polpo dentro l’acqua per altri 10/15 minuti circa. In una scodella mescolate insieme l’olio, il sale, pepe, aglio tagliato a pezzetti, il succo di limone e il prezzemolo tritato. Togliete il polpo dall’acqua e tagliatelo a pezzetti. Unitelo alla salsa e servite con una spolverata di prezzemolo tritato.

Babbaluci a picchi pacchiu Ingredienti per 4 persone • 1 kg di lumache • 4 spicchi d’aglio • 1 mazzetto di prezzemolo • 1 cipolla • 300 g di pomodori maturi • olio evo, sale e pepe q.b. Procedimento Procedete come nella precedente ricetta fino al momento in scolate le lumachine. In un’altra pentola fate soffriggere l’aglio tagliato a pezzetti e la cipolla tritata in abbondante olio. Aggiungete i pomodori pelati e tritati. Infine versate le lumache e fate cuocere per un paio di minuti. Pepate e infine aggiungete il prezzemolo tritato. Servite calde.

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turistipalermo imp_30 10/07/17 11:23 Pagina 74

A Palermo il TURISMO ha fatto BOOM di Emanuela Rotondo

Il capoluogo siciliano vive una vera e propria rinascita turistica: passeggeri in netto aumento nello scalo Falcone-Borsellino e prenotazioni in crescita negli alberghi cittadini

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alzoncini corti, sandali ai piedi e cappellino in testa: un gruppo di vacanzieri asiatici sta con il naso in su ad ammirare le statue equestri sul tetto del Teatro Politeama. Gli autisti dei bus rossi di City Sightseeing cercano di intercettare i croceristi appena arrivati al porto per portarli in giro per una visita mordi e fuggi della città. Un po’ più avanti un paio di turisti si trovano davanti a un dilemma: granita siciliana o pane con panelle? Benvenuti a Palermo, il capoluogo siciliano che nel giro di un paio d’anni ha ritrovato la sua vocazione turistica.

A dirlo sono i numeri. Secondo uno studio di Confcommercio, tra il 2008 e il 2016, a Palermo, le attività legate alla ricettività turistica come alberghi, bar e ristoranti hanno registrato un +45,1% nel centro storico e un +8,4% fuori dal centro storico. Tutti vogliono lavorare nel turismo e chi ha un immobile sfitto non ci pensa due volte a trasformare le stanze in un b&b o in una casa vacanza. Incrociando questi dati con quelli dello Sportello unico attività produttive (Suap) del Comune di Palermo, si registra un boom anche di pubblici esercizi, locali di intrattenimento e pub con 454 aperture a fronte di 142 cessazioni e un saldo po-

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sitivo di 312 attività: la crescita di questo settore è stata del 16,18%. Tra 2012 e il 2016 impenna soprattutto il numero di pub e ristoranti che segnano un saldo positivo di 1.928. Merito dei turisti? Sicuramente i numeri delle presenze sono incoraggianti. E le previsioni per l’estate in arrivo lo sono ancora di più. «Palermo, così come tutto il resto della Sicilia – dichiara il presidente di Confesercenti Sicilia, Vittorio Messina – è stata una destinazione top già nel 2016 e ci sono tutti i presupposti affinché lo sia anche quest’anno. Di certo il boom è stato determinato anche dall’allarme terrorismo che ha penalizzato le mete classiche come quelle della sponda Nord del Mediterraneo ma anche le capitali europee». «Il rovescio della medaglia – osserva Messina – è stato che stranieri e italiani hanno preferito destinazioni più vicine e sicure. A trarne vantaggio sono state proprio città come Palermo che riescono ad offrire una vacanza di arte e cultura e, allo stesso tempo, anche di mare e divertimenti. E poi non bisogna dimenticare che la Sicilia è una regione con un grande patrimonio enogastronomico: ogni provincia ha una sua storia che racconta il territorio e già solo la scoperta di cibo e vini vale tutto il viaggio, specialmente per gli appassionati gourmet. Il tutto senza spendere cifre esorbitanti e magari approfittando di qualche volo diretto e low-cost». Ed è proprio il traffico passeggeri che registra la performance migliore. Secondo la Gesap, la società di gestione dell’aeroporto Falcone-Borsellino, le festività di aprile hanno portato un boom di presenze: i transiti sono cresciuti del 10,6% rispetto allo stesso mese del 2016, pari a un aumento, in valori assoluti, di 45 mila passeggeri. E l’andamento delle prenotazioni aeree fanno sperare bene. Nel periodo maggio-ottobre i transiti saranno superiori a mezzo milione al mese. A luglio e agosto supereranno i 600 mila passeggeri. Nel dettaglio, rispetto all'estate 2016, nei prossimi mesi – sempre secondo la Gesap – si prevedono per-

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centuali positive a due cifre con punte di circa il 14% a luglio, mentre è previsto un rallentamento della crescita nei mesi di settembre ed ottobre. «Prevediamo di chiudere il 2017 con un aumento di passeggeri intorno al 7%, per arrivare a toccare il tetto di circa 5.700.000 passeggeri – dicono Fabio Giambrone e Giuseppe Mistretta, presidente e amministratore delegato delle Gesap, la società di

gestione dell'aeroporto di Palermo». «È chiaro – concludono i due manager – che a beneficiarne sarà il territorio, la città, in termini di turismo e accoglienza nelle strutture ricettive, anche nel periodo invernale, grazie al prolungamento di molte rotte verso le principali mete europee». Senza dimenticare poi che Palermo è stata nominata Capitale italiana della cultura 2018. Riuscirà la città ad essere all’altezza?

panelle e crocchè su FaceBook tutto Fa marketIng nasce sui social “Visit Palermo” insieme con un por tale di informazione turistica

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n primo piano un bel panino con panelle e crocché e sullo sfondo la spiaggia di Mondello immortalata in uno scatto che non ha nulla da invidiare al mare delle Maldive. Oppure un video breve che invoglia a fare un giro alla Vucciria e a provare lo street food. Contenuti così valgono migliaia di “I like” e oggi, si sa, la promozione turistica passa anche e soprattutto dal web e dai social media. Ecco perché è da poco sbarcata sul Facebook la pagina “Visit Palermo”, già seguita da quasi 49 mila persone, e il portale VisitpalermoItaly.eu. A lanciare l’iniziativa è stata la Marketing Italia, l’azienda campana che ha già creato Visit Naples (quasi 12 milioni di copertura) e che adesso ha replicato l’esperienza in cinque città d’Italia, fra cui proprio Palermo. L’obiettivo del progetto è quello di far conoscere cosa di bello si più fare in città. Il portale tradotto in inglese è una sorta di guida on line dove è possibile trovare informazioni sui tour da fare, dove dormire e mangiare. Poi ci sono i social dove vengono condivise foto, esperienze ed idee da vivere a Palermo. Il cibo la fa da padrona. «Mi è capitato – racconta Paolo Landi, cofondatore di Marketing Italia - di mangiare gli spaghetti con le cozze alle due di notte a Palermo. Impensabile, altrove. Chi non è palermitano, lo apprezza molto, magari il palermitano no, non ne percepisce il valore. E non lo trasmette». Ed è qui allora che subentra il marketing che nell’era di internet vuol dire essere ai primi posti nelle pagine dei motori di ricerca. «Basti pensare – aggiunge Ruben Sanpietro, anche lui socio dell’azienda con sede a Napoli – che lo scorso anno il 78 per cento dei turisti ha scelto dove andare in base alle informazioni trovate sul web». Insomma, inizia la gara per il post con più visualizzazioni.

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Prova costume... di Maria Grazia Sclafani

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arrivata l’estate, le giornate si sono allungate e viene voglia di scoprirsi. Con il cambio armadio arriva anche la fatidica domanda: sono in forma? Ovviamente dovreste prendere in considerazione di porvi questa domanda tutto l’anno e prendervi cura di voi stessi senza ricorrere a mezzucci dell’ultimo minuto. Ma questo probabilmente già lo sapete... Cominciamo col dirvi che la prova costume non va presa come un appuntamento per giudicare il proprio corpo in base a modelli prestabiliti: ognuno ha la propria tipologia di fisico e va rispettata, altrimenti si parte subito col piede sbagliato.

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non ti temo

Quindi individuate i vostri punti forti e valorizzateli. Detto ciò, non vi resta che tenere ben a mente alcuni consigli che vi diamo, per stare meglio con voi stessi e per non perdervi neanche un minuto della splendida stagione. Innanzitutto, più che dimagrire (operazione che richiede un certo lasso di tempo, per avere effetti durevoli) è possibile sgonfiarsi e debellare la ritenzione idrica. Poi, si può agire sulla mancanza di tonicità iniziando a muoversi di più. Il primo step, per affrontare l’emergenza della prova costume, è bere di più. Ormai questo messaggio è entrato a far parte del sapere comune. Peccato però che, spesso, tra il dire e il fare ci sia davvero di mezzo il mare. Un bicchiere di acqua tiepida e limone il mattino a digiuno e acqua lungo tutto l’arco della giornata a piccoli sorsi. Bere di più e meglio aiuta sia a migliorare l’attività del metabolismo (velocizzandola) sia a drenare i liquidi in eccesso migliorando l’aspetto della pelle a buccia d’arancia. Spesso quando si pensa di aver fame, in realtà si tratta solo di bisogno di idratazione. Quindi se arriva un languorino inaspettato, provate a placarlo sorseggiando piano un bicchiere d’acqua fresca. Oltre che sull’acqua, potete puntare su infusi, decotti e tisane. Sono molto efficaci tè verde, betulla, gramigna, centella asiatica, peduncoli di ciliegio (decotto molto semplice da preparare una volta mangiate le ciliegie). Spesso, può semplicemente bastare diminuire drasticamente il consumo di sodio. Come fare? Usando (poco) sale grosso, solo in cottura, eliminando dalla dieta salumi e formaggi stagionati, dicendo temporaneamente addio a patatine, snack salati da aperitivo, focacce, cracker, cibi in scatola e carni conservate. Le erbe aromatiche aiutano tantissimo.

Oltre a limitare il consumo di sale da cucina, conferiscono sapore particolare anche alle pietanze “light”. A colazione e a pranzo è bene continuare a consumare cereali, in porzioni ragionevoli (60-70 grammi) e sempre accompagnati da tanta verdura. La soluzione ideale, per sgonfiarsi, è sostituire la pasta con il riso integrale. Quest’ultimo, ricco di fibre e vitamine, aiuta a mantenersi sazi a lungo favorendo al contempo l’eliminazione di scorie e tossine. Un piatto “furbo”, è l’insalata mista. A patto, però, che non contenga ingredienti “pericolosi” per la linea: wurstel, salumi, formaggi stagionati, maionese sono out. Sì, invece, a: verdure a volontà e multicolor, proteine magre (pesce, carni bianche), uova sode, erbe aromatiche, semi oleosi, un filo di olio extravergine di oliva, senape, peperoncino e aceto di mele. Una dieta equilibrata, che permetta di perdere peso in modo graduale, può prevedere anche mezzo bicchiere di vino al giorno. Ma se vi è urgenza di sgonfiarsi in breve tempo, no a: vino, superalcolici, birra, cocktail vari e sorbetti “digestivi”. Attenzione, però, a non sostituire l’alcolico con altrettanto deleteri cocktail analcolici. Questi ultimi contengono sempre molto zucchero, soprattutto sciroppo di glucosio, controindicato per il mantenimento di linea e salute. Aiutatevi con le tisane. Se è la pancia ad essere gonfia e prominente, provate con: finocchio, cumino, anice, cannella, melissa, liquirizia. Invece, se il problema è generalizzato e sembra che il metabolismo dorma da un bel po’, è molto efficace sorseggiare un decotto di zenzero durante tutto l’arco della giornata: questa radice “magica” è termogenica e contribuisce a far bruciare grassi e calorie. E poi muovetevi, camminate, correte se potete. L’estate va vissuta, non guardata come se fosse un film dal divano!

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Aci Castello e Aci Trezza gioielli tra mare, mito e arte di Anna Statello dove mangiare e dormire

gente di mare Via Dietro Chiesa, 20 tel. +39 095.8178781 il Covo marino Lungomare Dei Ciclopi, 149 tel. +39 095.7116649 a Putìa di Colapesce Via Marina, 13 tel. +39 095.7116135 B&B epos acitrezza Via Provinciale, 262 tel. +39 095.278161

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eta imprescindibile per gli amanti del mare, degli appassionati del mito e dei cultori della letteratura e del cinema d’autore, il piccolo comune di Aci Castello e la sua famosa frazione Aci Trezza offrono allo sguardo del visitatore una straordinaria cartolina in cui il paesaggio naturale e quello architettonico si fondono in modo indissolubile. Emblema di questo connubio è proprio il famoso castello, che si erge su un promontorio a strapiombo sul mare. La storia del castello è abbastanza travagliata e non priva di lacune; quello che sappiamo per certo è che la rocca su cui sorge era originariamente separata dalla terra e che solo a seguito dell’eruzione del 1169 si congiunse alla terra ferma. La prima costruzione accertata del castello è normanna (come evidenziano gli archi a sesto acuti) e risale alla fine del XI secolo,

probabilmente tra il 1070 e il 1080; alcune fonti citano una preesistente struttura romana denominata Castrum Jacis su cui, a sua volta, sorse una costruzione bizantina nel VI secolo ed infine una araba (denominata qalat) agli inizi del X secolo, certamente parte di una più ampia rete difensiva della zona costiera circostante. Vicende storiche alterne lo vedono dato in concessione al vescovato prima e al demanio poi; nel 1126 accoglie le spoglie di Sant’Agata, di ritorno da Costantinopoli; subisce assedi nel periodo nella lotta per il predominio tra Angioini e Aragonesi e si trova spesso al centro di dispute durante tutta la dominazione borbonica. Il grave terremoto del 1693 lo danneggia gravemente e i lavori di ricostruzione e restauro sono numerosi nel tempo; l’ultimo discusso intervento risale al 1969. Il castello ospita oggi il museo civico, composto da una sezione di mineralogia, una di paleontologia e una di archeologia (esposizione essenzialmente di reperti sottomarini rinvenuti nel tratto di mare circostante, a testimonianza dell’antica presenza di insediamenti umani nell’area); l’orto botanico e la “Sala Jean Calogero”, in cui sono esposti tre dipinti donati dalla famiglia dell’artista alla cittadinanza. La storia di questo piccolo borgo marinaro è, evidentemente, ben più antica del castello normanno: la posizione strategica della rocca permetteva ampio controllo sul tratto di mare circostante e sul passaggio delle navi che navigavano da e per Messina sin dall’epoca della colo• MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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Casereccie con pesce spada e melanzane ingredienti per 4 persone • 350 gr di caserecci, 2 melanzane • 250 gr di pesce spada tagliato a cubetti • 200 gr di pomodorini • 1 spicchio d’aglio • 1/2 bicchiere di vino bianco secco • menta fresca, olio evo, sale, peperoncino Procedimento

nizzazione greca. Di tale periodo non è rimasta nessuna testimonianza tangibile, ma la cultura greca ha donato a questa terra un ricco patrimonio di racconti mitologici, tutt’oggi scolpito nella memoria storica dei suoi abitanti. Tra i più famosi c’è la leggenda di Aci e Galatea, da cui si origina il prefisso ‘Aci’, presente nella toponomastica di tutta l’area circostante. Narra dell’amore tra la ninfa Galatea e il pastore Aci, contrastato dalla gelosia del ciclope Polifemo: quest’ultimo, non riuscendo a conquistare la ninfa, scagliò la sua ira contro il giovane Aci, colpendolo a morte. La disperazione di Galatea commosse gli dei al tal punto che decisero di trasformare il corpo senza vita del suo amato nel fiume ipogeo che i greci chiamavano Akis: ancora oggi vicino Aci Trezza, esiste una sorgente chiamata “u sangu di Jaci” (il sangue di Aci), a causa del colore rossastro dovuto alla presenza di sedimenti di ferro nei pressi della fonte. Un altro mito legato al borgo di Aci Trezza e ai suoi famosi faraglioni, è addirittura narrato nell’Odissea: si tratta del famoso episodio in cui Ulisse riuscì a beffare con l’astuzia il ciclope Polifemo, scappando dalla sua grotta con i compagni. Ancora una volta l’ira del Ciclope accecato ebbe un forte impatto sul paesaggio: i faraglioni che si stagliano di fronte ad Aci Trezza sarebbero il vano tentativo di affondare le navi ormai in fuga dell’eroe greco. Oggi il tratto di mare che comprende le isole Ciclopi (ossia i faraglioni e l’isola Lachea), fa parte dell’area marina

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protetta dell’omonimo arcipelago, gestita da un consorzio costituito dal Comune di Aci Castello e dal Cutgana (Centro Universitario per la tutela e la gestione degli ambienti naturali e degli agroecosistemi) dell’Università di Catania. Molteplici le attività offerte: dal pesca-turismo ai vari percorsi marini e terrestri volti alla scoperta della flora e della fauna locale (per maggiori informazioni è possibile visitare il sito www.isoleciclopi.it). Gli appassionati di letteratura e di cinema potranno visitare il museo Casa del Nespolo, una piccola abitazione che consta di un cortile in pietra lavica e due stanze: una di queste è adibita all’esposizione di fotografie e testimonianze del capolavoro cinematografico neorealista di Luchino Visconti “La terra trema”, girato ad Aci Trezza nel 1948; l’altra, intitolata ai Malavoglia, raccoglie fotografie scattate da Verga stesso e diversi i antichi strumenti di lavoro dei pescatori trezzoti. La pesca è stata in effetti in passato la principale fonte di sostentamento di quest’area, anche se oggi è certamente il turismo il fiore all’occhiello di questo borgo. Le numerose strutture ricettive e le vecchie osterie trasformate in ottimi ristoranti di pesce ne fanno un punto di ritrovo immancabile, soprattutto nella stagione estiva. In particolare in concomitanza con la festa del patrono, San Giovanni Battista, ha luogo un ormai consolidato evento gastronomico, la “Sagra del Pesce Spada di San Giovanni”, giunta quest’anno alla 28°edizione.

Dopo aver lavato, tagliato e messo sotto sale per circa 20 minuti le melanzane, procedete con la frittura. In un’ampia padella, mettete a soffriggere lo spicchio d’aglio schiacciato ed aggiungete il pesce spada a tocchetti per qualche minuto a fiamma alta, poi sfumate con il vino. Tagliate i pomodorini e aggiungeteli al pesce spada insieme a metà delle foglie di menta, quindi salate leggermente e lasciate cuocere per circa cinque minuti. Aggiungete quindi le melanzane e il resto della menta, mescolate per qualche minuto e poi spegnete e lasciate a riposare. Scolate la pasta precedentemente cotta in abbondante acqua salata, mescolate al condimento e servite calda.

Pesce spada alla siciliana ingredienti per 2 persone • 2 fette di pesce spada • 4 filetti di acciuga, 4 spicchi d’aglio • 2 pomodori, 30 gr di capperi • 30 gr di olive nere 1/2 bicchiere di vino bianco secco • prezzemolo tritato, sale, pepe • olio extravergine di oliva q.b. Procedimento Versate l’olio in padella e fate imbiondire l’aglio tritato; sbucciate i pomodori, tagliateli a pezzetti ed aggiungeteli al soffritto. Unite quindi anche le acciughe, i capperi e le olive e sfumate con il vino bianco; a questo punto mettete in padella anche le fette di pesce spada, precedentemente sciacquate per eliminare eventuali residui di sangue, ed asciugate. Condite con sale e pepe, coprite il tegame con il coperchio e fate cucinare a fiamma bassa per circa mezz’ora. A fuoco spento aggiungete il prezzemolo tritato e servite ben caldo.

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Favara quell’ insolita meta

dell’arte contemporanea di Vanessa D’Acquisto

dove mangiare e dormire

Le Traveggole via Sottotenente Saieva, 10 tel. +39 0922.437146 tel. +39 328.1745388 info@letraveggole.it

re Chiaramonte Vicolo Matina tel. +39 0922.662090 i dammusi enoteca via Aldo Moro, 218 tel. +39 0922.660278 tel. +39 320.2653714 marcovalentibodega@gmail.com

Belmonte Hotel & B&B via Belmonte, 4/10 tel. +39 0922.437146 info@belmontehotel.com

villa Bosco B&B c.da Pioppo tel. +39 0922.35446 tel. +39 340.3553588 villabosco@live.it

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lcuni ritrovamenti di ceramiche fanno risalire i primi insediamenti nel territorio favarese alla tarda età del rame (III - II millennio a. C.). La vicinanza di Agrigento non sottrasse il territorio dalla dominazione greca, testimoniata dalla presenza di una fortificazione in Contrada Caltafaraci (a ovest della città). Ma fu la dominazione araba a dare un’impronta maggiore. A cominciare dal nome: Favara, infatti, deriva dalla parola araba fawar che significa “polla d’acqua che sgorga con impeto”. Con ogni probabilità, ciò indicava un territorio fertile grazie all’abbondanza di acqua, scelto nel XIII secolo come sito su cui costruire il primo nucleo abitativo. Le costruzioni si svilupparono attorno al castello, simbolo della città che apparteneva alla famiglia siciliana

dei Chiaramonte. Alla morte di Andrea nel 1392, la famiglia si estinse e i beni furono divisi tra i Moncada e i Cabrera (altre famiglie nobili siciliane). Delle sorti del castello non si seppe più nulla, si sa solo che fu abitato fino al Seicento. Nel Settecento venne adibito a carcere e sono ancora visibili sulle pareti i graffiti dei prigionieri. Nell’Ottocento il castello subì altri interventi. Dopo un lungo periodo di abbandono, venne restaurato ed oggi è usato come sede di rappresentanza del Comune e ospita eventi culturali, come la “sagra dell’agnello pasquale”, il dolce tipico e più famoso di Favara. Ritornando alla storia della città, intorno al XVII secolo venne sistemato lo spazio antistante il castello, mentre l’assetto attuale della città risale al XVIII e XIX secolo.


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Agnello pasquale Secondo la tradizione, le prime ha preparare questo dolce furono le monache del Collegio di Maria del quartiere “Batia” di Favara che oralmente tramandavano la ricetta. La prima testimonianza scritta della ricetta è datata 1898 e apparteneva ad una ricca famiglia della borghesia favarese. Era un dolce esclusivamente familiare. Solo dalla seconda metà del ‘900 la produzione dell’agnello si diffuse fuori dalla tradizione familiare. ingredienti per 4 persone • 1,4 kg di zucchero a velo, 1 kg di mandorle, 1 kg di pistacchi, 500 ml di acqua Procedimento Sbollentate e sgusciate le mandorle e i pistacchi, quando si saranno raffreddati macinateli separatamente. In un pentolino fate bollire 700 gr di zucchero e 250 ml di acqua, togliete dal fuoco e unite le mandorle. Impastate fino ad ottenere una pasta liscia ed omogenea. Seguite lo stesso procedimento con i pistacchi. In una metà dello stampo ponete la pasta di mandorle spessa 1 cm avendo cura di lasciare uno spazio al centro dove porrete la pasta di pistacchi, mentre nell'altra metà dello stampo lo lascerete vuoto. Unite le due metà e lasciate indurire. Estrarre poi con molta cura. Potete decorare a vostro piacere: semplicemente con un fiocchetto e lo stendardo, oppure colorate con i colori alimentari. Se volete dare un tocco estroso, in una sac a poche mettete della pasta di mandorle ammorbidita con dell’acqua e create il manto lungo dell'agnello.

Nel Settecento la città ebbe un periodo di prosperità grazie all’apertura delle prime industrie che portò alla formazione della borghesia cittadina. Un ulteriore incremento della ricchezza si ebbe nel secolo successivo grazie all’individuazione di giacimenti di zolfo nella zona. Purtroppo, a seguito della concorrenza straniera, l’ultima miniera fu chiusa circa trent’anni fa. Un nuovo intervento sull’aspetto della città avviene purtroppo nel gennaio 2010 a seguito di una tragedia: il crollo di una palazzina fatiscente provoca la morte di due sorelline. La tragedia accende l’attenzione sul problema dell’abbandono del centro storico favarese, preferito ai moderni condomini della periferia. Per evitare che le ruspe spazzassero via ciò che rimaneva del quartiere de “i Sette Cortili” (il luogo della tragedia che è chiamato così perché costituito da sette piccoli cortili), il notaio e appassionato d’arte Andrea Bartolo e la moglie decidono di intervenire ristrutturando i primi due palazzi. Il risultato che ne segue è quello della trasformazione del quartiere in grande Centro culturale e turistico dal nome “Farm Cultural Park”. Il Centro ospita gallerie e spazi espositivi dove vengono allestite mostre e installazioni di arte contemporanea, presentazione di libri, corsi e incontri su temi diversi, dall’architettura alla cucina, residenze per gli artisti, per gli architetti e per gli ospiti, spazi per feste ed eventi. In più ci sono bar, locali, negozi di design, librerie, ludoteche e altro ancora. • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

L’originalità del progetto è stato premiato con l’invito, per due volte, alla Biennale di Architettura di Venezia. Il Farm Cultural Park, inoltre, è servito da impulso a tutta la cittadinanza di Favara che ha riscoperto il suo centro storico. Qui, nel frattempo, si è assistito all’apertura di nuovi locali e alberghi, capaci di attirare anche pubblico dai paesi vicini. Lo scopo principale del progetto, in continuo svolgimento, non è solo quello di recuperare un centro storico in declino, ma far sì che Favara divenga la seconda attrazione turistica della provincia di Agrigento, dopo la Valle dei Templi. In aggiunta, il Farm Cultural Park e Favara sono state riconosciute da un blog britannico come meta turistica dell’arte contemporanea, contribuendo a dare un volto nuovo e moderno della Sicilia. Favara è anche conosciuta per essere la “città dell’agnello pasquale”, un dolce di mandorle e pistacchi tipico del periodo di Pasqua. Altro dolce favarese è la pasta Elena, fatto con il pan di Spagna e ricotta. Per la festa di San Giuseppe viene preparata una minestra, “la minestra di San Giuseppe” appunto, preparata con verdure di stagione, legumi e una particolare varietà di pasta. Ma, ad oggi, è possibile gustare la minestra anche altri giorni l’anno, poiché i ristoratori della città lo hanno inserito nei loro menu, al fine di mantenere vive le tradizioni cittadine. Infine, non si può fare a meno di citare u chichireddu: un tipo di pane a forma di ferro di cavallo, fatto con semola di grano duro, dal peso di 500 grammi e dalla lunghezza di circa 30 cm.

Pasta Elena I pasticceri Francesco Butticè e Vincenzo Albergamo crearono questo dolce in onore della regina d’Italia Elena di Savoia, in occasione della sua visita ad Agrigento. Pare che la regina apprezzò molto il dolce, ma questo non procurò loro tanta fama: rimane infatti pratica mente sconosciuto. ingredienti per 4 persone Per il pan di Spagna: • 180 gr di farina 00 • 180 gr di zucchero • 6 uova • un pizzico di sale Per la bagna: • 100 ml di acqua, 2 cucchiai di zucchero Per il ripieno: • 300 gr di ricotta, 100 g di zucchero, • ½ bustina di vanillina Per guarnire: • 200 gr di mandorle tostate • 4 cucchiai di miele • 2 cucchiai di acqua • zucchero a velo Procedimento Innanzitutto lasciate scolare bene la ricotta in frigo almeno per un giorno. Preparate il pan di Spagna mescolando i tuorli d’uovo con lo zucchero, aggiungete poco alla volta la farina. A parte montate a neve gli albumi con un pizzico di sale, uniteli al composto e mescolate con cura dal basso verso l’alto per evitare di smontare il composto. Imburrate e infarinate una teglia dal diametro di circa 26 cm. Infornate a 180°C per 30/40 minuti. Appena cotte, lasciate raffreddare bene. Nel frattempo setacciate la ricotta e rimescolatela con lo zucchero e la vanillina. Ricavate dal pan di Spagna dei dischetti di 9 cm l’uno, tagliateli a metà nel senso orizzontale e bagnate la parte inferiore con la bagna di acqua e zucchero. Ponete un cucchiaio di ricotta condita e coprite con l’altra metà. Sciogliete a bagnomaria il miele con l’acqua e bagnate la parte esterna dei dischi di pan di Spagna e ponete le mandorle tritate, tranne la parte superiore che spolvererete con lo zucchero a velo. Conservate in frigo per 30 minuti prima di servire.

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L’avena

un chicco che vale un tesoro di Martina Comito

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a pianta dell’avena fornisce un cereale in chicco, ricco di proprietà benefiche, nutrizionali e dimagranti. È fonte di energia, ricchissima di fibre solubili capaci di placare l’appetito. Questa caratteristica è importante per tutti quei soggetti che lottano contro i chili di troppo, poiché aiuta a controllare l'apporto di cibo prolungando il senso di sazietà dopo il pasto. Garantisce un corretto funzionamento dell’intestino specialmente per i soggetti più pigri, aiuta la digestione e riduce il colesterolo. Per tutti questi motivi assumere l’avena dovrebbe essere essenziale nella nostra alimentazione. L’avena può essere gustata sia sotto forma di fiocchi che al naturale. I chicchi sono costituiti per il 70 per cento di amido, insieme ad altri carboidrati. È il cereale più ricco di proteine pari al 14 per cento e contiene grassi per il 7%. Contiene poi molte vitamine del gruppo B, enzimi, sali minerali come calcio e fosforo, oligoelementi e l’avenina, una sostanza che riesce a tonificare, a fornire molta energia e a mantenere in equilibrio il sistema nervoso. L'avena contiene dei particolari composti fenolici azotati, chiamati avenantramidi. Si tratta di potenti antinfiamma-

tori in grado di proteggere dai tumori e di inibire la proliferazione delle cellule tumorali. Se durante il procedimento di lavorazione viene mantenuta pura (senza contaminazioni da altri cereali) può essere anche utilizzata da tutti i soggetti celiaci o intolleranti al glutine. Fino a pochi anni fa l'avena era utilizzata come mangime per gli animali, ma oggi grazie alla riscoperta dei suoi benefici, anche nelle nostre cucine ha trovato un ruolo importante. Infatti a cominciare dalla prima colazione, si può degustare in fiocchi con frutta secca o con frutta fresca di stagione. Ancora possiamo usare i fiocchi d’avena nelle preparazioni dolci o salate come ad esempio le bar-

rette di cereali, zuppe e minestre. L'avena rispetto a tutti gli altri cereali è riveste un ruolo importante nell’alimentazione veg per via del suo contenuto di lisina. La lisina generalmente è presente nei legumi, mentre scarseggia nei cereali, ad eccezione dell'avena, appunto. La macinazione permette di ottenere dall'avena un'ottima farina con cui è possibile preparare delicatissimi biscotti o semplicemente del pane casalingo. Ma la sua generosità va oltre la cucina. L’avena viene, infatti, utilizzata anche per gli effetti benefici estetici della persona: con la sua farina si possono realizzare maschere per il viso, scrub per il corpo e shampoo.

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Anno 5 - Numero 3/4 - 2017

euro 2,90 La rivista dei prodotti tipici e tradizionali

Itinerari del gusto • DIRETTORE EDITORIALE Peppe Giuffrè


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