Sapori di Sicilia Magazine n.3 - 2016

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euro 2,90 Anno 4 - Numero 3 - 2016

La rivista dei prodotti tipici e tradizionali

regione sicilia

Sapori di Sicilia Magazine

Itinerari del gusto • DIRETTORE EDITORIALE Peppe Giuffrè


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Editoriale

C

hiudete gli occhi e pensate all’estate. La prima cosa che vi verrà in mente è una maglietta leggera e colorata. Come accade a tutti noi all’inizio della bella stagione, anche Sapori di Sicilia si rifà il look e indossa una veste grafica più leggera e ariosa. E ad un cambiamento di forma associa anche una nuova coordinatrice redazionale: Angela Sciortino, agronoma, giornalista e soprattutto innamorata della Sicilia. Con lei, insieme al nostro chef e direttore editoriale Peppe Giuffrè, andremo alla ricerca delle eccellenze enogastronomiche, dei posti più belli e suggestivi e delle persone che portano in giro per il mondo la Sicilia e i suoi colori. Parlare d’estate equivale a dire mare, sole, divertimento e vacanze, cercando mete d’eccellenza. Qualcuno di voi starà sicuramente pensando di recarsi all’estero, magari in luoghi esotici, ovvero studiando itinerari culturali di particolare attrattiva, dimenticando sicuramente che la Sicilia è la terra delle vacanze e che l’80 per cento del patrimonio culturale e archeologico d’Italia è proprio qui in Sicilia. In questo numero parleremo, della giusta voglia di relax e di leggerezza, dopo un inverno di lavoro. Parleremo di gelato, simbolo estivo e che in Sicilia ha visto la propria origine, di quello senza addensanti, emulsionanti e aromi, preparato con ingredienti genuini e materie prime freschissime come si faceva un tempo. Nelle sere d’estate, poi, cosa c’è di meglio di un piacevole drink? Sapori di Sicilia vi offre una selezione dei migliori long drink per accompagnare le calde sere d’estate. Per non parlare delle birre artigianali, rigorosamente siciliane e perfette per condividere con gli amici le serate da ricordare. E per una cena speciale, a lume di candela? Il nostro chef Peppe Giuffrè ci offrirà un intero menù, dall’antipasto al dolce, semplice e raffinato, ma soprattutto cento per cento made in Sicily. Vi preoccupa la prova costume? Niente di meglio se non che affrontarla con frutta e ortaggi di stagione. Le nostre ricette a chilometro zero, light e gustose, anche in questo numero sono numerose per accontentare i palati più esigenti. Che cosa aspettate ancora? Iniziate a sfogliare questo nuovo numero, e buona lettura!


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Vuoi mangiare sano?

Rispetta la stagionalitĂ Ecco che cosa comprare in estate Verdure: peperoni, melenzane, basilico, cipolle, fagiolini, prezzemolo, pomodoro, rucola, sedano, zucchine, fagioli freschi, tenerumi, fiori di zucca Frutta: pesche, susine, gelsi neri, anguria, limoni verdelli, melone giallo, uva da tavola Nella dispensa: burro, caffè, formaggi, latte, olio extravergine d’oliva, pasta lunga e corta, prodotti da forno, qualche confettura, sale, spezie, uova, vino da cucina, zucchero


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SOMMARIO

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Editoriale Tutti pazzi per il gelato Artigianale o industriale, ce n’è per tutti i gusti Nasce l’olio Igp di Sicilia Ricetteria di Peppe Giuffrè Le Soste di Ulisse Ricetteria di Angelo Treno Birra…e sai cosa bevi! Islamedfood: la dieta mediterranea in un viaggio culturale Umami, il quinto gusto La passione estiva per i cocktail La Sicilia dal gusto tropicale La Portulaca Dal Maghreb a Trapani è sempre cous cous Ballarò la poesia di un mercato Peccati di gola, dolci e salati L’antica tradizione della manna Piatti veg e vini rosati, un connubio perfetto La seduzione dei colori in cucina Curcuma, radice della salute Dagli Aztechi l’antica ricetta del cioccolato di Modica La Sicilia con Sambuca cala il tris Alla riscoperta di Caccamo, Cartagine di Sicilia Il lupino giallo salutare e benefico

RUBRICHE 30 36 44 49 50 59

L’orto e la frutta d’estate La cucina di casa Dalle cucine dei ristoranti siciliani Ricette dal web - E chi è Cannamela è!!!!! Dal sito lapulceeiltopo.it - A Fera o Luni Il sapore dei ricordi

soc. coop. a r.l.

Via Principe di Palagonia, 100 90141 Palermo www.sapori.sicilia.it buongiornoredazione@virgilio.it redazione.saporisicilia@gmail.com

Direttore responsabile: Alessia Boschetti Direttore editoriale: maestro chef Peppe Giuffrè Coordinamento redazionale: Angela Sciortino Impaginazione ed elaborazione grafica: Edimed soc.coop. a r.l.

64 ALLA RISCOPERTA DI CACCAMO CARTAGINE DI SICILIA

Hanno collaborato: Ivana Calabrese, Martina Comito, Oliva Barbara Corrao, Maria Laura Crescimanno,Vanessa D’Acquisto, Alessandro Iannelli, Giorgia Iannelli, Maria Rita Pisano, Paola Roccoli, Rachele Sanfilippo, Maria Grazia Sclafani, Anna Venturini, Manuela Zanni Direzione, Redazione e Ufficio Pubblicità: tel. 091.349006 Concessionaria della pubblicità: FREE PRESS soc. coop. a r.l. Via Principe di Palagonia, 100 - 90141 Palermo Stampa: Punto Grafica Mediterranea srl - Villabate (Pa) - tel. 091.6303336 Anno 4 - n. 3 - tRImeStRAle 2016 Registrato presso il Tribunale di Palermo, n. 18 del 05/11/2013 ISSN 2783-3242 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 26415 IVA assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74, comma 1, lettera c, del DPR 633/72, così come modificato dalla legge 30/12/91 n. 413

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tutti pazzi per il

gelato di Rachele Sanfilippo

Disidratazione e calo energetico: tutti i fastidi legati alla stagione estiva. Per combatterli bisogna bere molto e mangiare frutta e verdure. E poi sono da privilegiare gli alimenti freschi che reidratano e forniscono un giusto apporto energetico. Il gelato rientra tra questi: è un alimento completo e può sostituire un pasto. È l’irrinunciabile passione fredda per golosi 6

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l gelato in estate diventa protagonista assoluto, piace a grandi e piccini, appaga lo spirito dei golosi, rinfresca e dà energia, senza però appesantire eccessivamente il nostro organismo. In coppetta, cono o farcendo a più non posso una brioche (in dialetto brioscia) diventa pasto completo. Gli ingredienti principali del gelato sono acqua, latte (o panna), zucchero. A questi si aggiungono aromi ed ingredienti vari che contribuiscono a determinare l’apporto calorico e la grande variabilità nutrizionale del gelato. Alcuni di questi (sorbetto e gelati alla frutta in genere) hanno un ridotto contenuto calorico; altri, come quelli elaborati a base di panna, cacao e mandorle, arrivano invece a contenere più di 300 chilocalorie per 100 grammi. Ma calorie a parte, chi fu l’inventore del delizioso dolce ghiacciato? La storia del gelato si articola per secoli, ma è curioso sapere che è con la maestria araba che si arriva alla consistenza del sorbetto (in arabo “Sherbeth”, cioè “bevanda fresca”), il progenitore del moderno gelato. Quando gli Arabi occuparono la Sicilia, nell'anno 827, usarono la neve delle montagne e il succo dei frutti di stagione.

Perfezionarono i loro sorbetti con l’introduzione dello zucchero di canna al posto del miele, ponendo così le basi alla rinomata tradizione gelatiera artigiana dell'Isola. Gli apprendisti gelatieri siciliani impararono dai musulmani e con la loro creatività migliorarono le tecniche. A cominciare dalla refrigerazione: per mantenere basse le temperature, alla neve aggiunsero il sale marino disponibile in abbondanza in Sicilia. O ancora usarono lo zucchero di canna coltivata sul posto (già, la Sicilia era terra di canna da zucchero…) e i limoni verdelli dagli stessi Arabi introdotti in Sicilia. Nacque così la ben nota granita di limone. Dalla Sicilia il dessert cominciò ad essere conosciuto e consumato nel Nord Italia, arrivando poi in Francia e da qui in tutta l’Europa. Il gelato, quello a base di agrumi, gelsi e gelsomini ebbe il suo trionfo però nel Cinquecento, con l'introduzione di nuova frutta, piante, aromi e spezie, tè, caffè, cacao da altri continenti. La vera svolta nella storia del gelato artigianale e nella sua commercializzazione, risale al Rinascimento ad opera del siciliano Francesco Procopio dei Coltelli che ereditò dal nonno una rudi• MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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mentale sorbettiera. Perfezionò ulteriormente la produzione del gelato e decise di partire alla conquista di Parigi per aprire un caffè diverso da qualsiasi altro per le specialità proposte. Il “Caffè Procope” divenne ritrovo alla moda e caffe letterario, frequentato dai più grandi intellettuali dell’epoca (tra cui Rousseau, Voltaire, Balzac, Victor Hugo, Diderot, D'Alembert, etc.). La moda del sorbetto con Procopio uscì dalle corti e si diffuse fra la colta borghesia francese. Possiamo affermare, dunque, che la diffusione su scala industriale del gelato nel mondo, partì dalla Sicilia e che la sua texture odierna è frutto di ricerche, metodi, lavorazioni, ingredienti, ingegno e creatività che si affinano nei secoli e che contraddistinguono ancora i gelatieri moderni. Il gelato è sempre un must d’estate e proprio tutti si lasciano incantare dall’irresistibile voglia di assaggiare quei coloratissimi ghiaccioli, semifreddi, sorbetti, granite e gelati, in bella mostra in vetrina. Ci sono gelaterie che hanno una offerta vastissima (anche 60 gusti differenti) con nomi accattivanti e fantasiosi come lo “scaccio” o la “pistakiosa”, quelle che creano nuove tentazioni golose che ci fanno tornar bambini riscoprendo gusti al biscotto ”plasmon”, al “pan di stelle”, al “puffo”; quelle che propongono mix creativi come “setteveli alla frutta”, “fichi e noci”, “pere e cioccolato fondente”, quelle con gusti agli ortaggi come pomodoro basilico, quelle che abbinano sapori dolci e salati come il caciocavallo ed il miele. Insomma ce n’è per tutti i gusti frutto dell’estro dei maestri gelatieri siciliani. Lo stesso estro e inventiva che sono stati premiati nelle varie manifestazioni in giro per il mondo. L’estro certamente non è mancato a chi ha sperimentato nuovi gusti

destinati a sorprendere e conquistare i consumatori più attenti al mangiar sano. È il caso del gelato al fungo Ganoderma noto agli esperti come il fungo della salute per le sue innumerevoli proprietà benefiche e salutistiche. I gusti più gettonati restano sempre le intramontabili creme e quelli a base di frutta, possibilmente di stagione e meglio se a Dop (Denominazione di origine protetta) come il pistacchio di Bronte. Alcuni gelatieri, nella scelta degli ingredienti prediligono prodotti bio e/o a km 0, introducendo nella qualità del gelato altri elementi di qualità oltre che intrinseca, anche etica. Facendo un giro nelle principali gelaterie siciliane, si riscontra un’attenzione maggiore alle variegate esigenze alimentari. Non sono ancora la maggioranza, ma spesso ci si imbatte in preparazioni destinate a consumatori esigenti per scelta o per forza: così troviamo gelati destinati a chi vuole ridurre gli zuccheri o i grassi; ai celiaci e agli intolleranti al lattosio; ai vegetariani e ai vegani. Ma non tutti i gelati sono uguali. E solo un occhio e un palato allenato riescono a riconoscere un gelato di qualità. Per orientarci consapevolmente nella scelta di un buon gelato artigianale, il primo step in gelateria è analizzare la cremosità, la leggerezza, il sapore, la freschezza e la genuinità. Un bravo gelatiere investe sulla materia prima: l’impiego di buoni ingredienti e il giusto equilibrio di essi nella composizione della ricetta, definiscono il corpo del gelato. La maestria nel dosare gli ingredienti, l’uso delle giuste attrezzature, l’aria che deve essere incamerata per movimentazione meccanica e non per insufflazione (altrimenti ci si trova in presenza di gelato industriale), servono a conferire al gelato la sua corposità.

Gelato liquirizia e menta Ingredienti • liquirizia in bastoncini • 30 gr foglioline di menta • 70 gr zucchero di canna • 250 gr panna montata • 200 gr latte • 2 uova Procedimento Mettere insieme in una casseruola latte e bastoncini di liquirizia precedentemente frantumati. Fare scaldare a fiamma moderata, mescolare spesso senza mai far bollire - fino a far sciogliere la liquirizia. Nel frattempo sbattere le uova con lo zucchero, unire il latte bollente e le foglie di menta. Rimettere sul fuoco e lasciare cuocere facendo addensare la crema, senza far bollire. Lasciare raffreddare ed incorporare il tutto alla panna montata. Infine, versare nella gelatiera, e lavorare il composto per 30 minuti circa. Se non si dispone di una gelatiera si può usare il freezer versando tutto in un contenitore con coperchio, facendo però attenzione a non riempirlo del tutto perché il composto aumenterà di volume. Dopo circa un’ora, mescolare energicamente (o frullare a bassa velocità), rimettere in freezer e ripetere l’operazione dopo un’altra ora. Ripetere ancora l’operazione dopo un’altra ora, se necessario. A questo punto, lasciare riposare in freezer per due ore ed il gelato sarà pronto.

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artigianale o industriale

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ce n’è per tutti i gusti

rtigianale o industriale? I consumatori non hanno dubbi: preferiscono sempre più il primo perché ha un contenuto di grassi inferiore. Ma le differenze non si fermano qui. Artigianale è sinonimo di ingredienti freschi e materie prime selezionate, lavorate e miscelate insieme sapientemente. Un buon gelato artigianale, oltre alla selezione di ingredienti di alta qualità, dovrà presentare un corretto bilanciamento dei componenti della sua parte grassa (il latte, unito talvolta a quello del tuorlo d'uovo) e degli zuccheri. Nel gelato artigianale troviamo poi altri ingredienti: stabilizzanti, addensanti (come la farina di semi di carruba), uniti spesso ai prodotti derivati dal cacao, semi a guscio (nocciola, pistacchio, mandorla, noce, pi-

noli). Il prodotto finale deve essere ben pastorizzato (il trattamento serve a renderlo igienicamente sicuro), ben mantecato e visto che è destinato all’immediato consumo - una volta passato brevemente in abbattitore a – 40°C, non necessita di essere conservato in celle frigorifere. Questo trattamento viene invece riservato al gelato fabbricato dalla grande industria dove il prodotto viene congelato a -18°C per mantenere a lungo il cuore del prodotto. Il gelato artigianale, una volta preparato viene posto nel banco refrigerato in esposizione ad una temperatura di -13°/-14°C. L’utilizzo degli ingredienti freschi che caratterizza il gelato artigianale implica la

Le fresche alternative al gelato Sorbetti e granite sono ottimi rimedi per placare dolcemente la sensazione di calura che ci affligge durante l’estate. I due prodotti si differenziano per ingredienti base e per la lavorazione. Il sorbetto è un composto semplice a grana fine, a base di acqua, zuccheri (al massimo il 25%) e succhi o polpe di frutta (circa il 50%) a cui possono aggiungersi liquori o distillati. Non contiene panna o latte come il gelato ed è il tipico fine pasto dei ristoratori più attenti. Serve a “sciacquare la bocca” o come digestivo alla fine del pasto. La granita è realizzata con gli stessi ingredienti del sorbetto, ma la sua lavorazione – che è poi quella che determina la consistenza – è differente. Mentre il composto gela, infatti, viene continuamente mescolato. In questo modo la parte che via via cristallizza assume una consistenza granulare. Una particolarità: quella siciliana è più dolce di quella che possiamo sorbire nel resto d’Italia, e la granite siciliane non sono tutte uguali né per gusto, né per consistenza. Da Trapani a Messina, da Palermo a Catania, da Agrigento a Siracusa ogni città ha la sua “granita perfetta”. Generalmente a farla da padrone sono i gusti alla frutta. La più diffusa è quella al limone, segue quella a base di gelsi e di frutta

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di stagione (da pesca a fragola, dal melone all’anguria al mandarino, all’immancabile pistacchio). E se il gelato può essere mangiato in cono, coppa e brioche, anche la granita diventa dessert da passeggio in bicchiere di plastica. Ma il must della granita è quella servita in bicchiere di vetro accompagnata da una brioche (per i più affamati le brioche possono diventare anche due). Nel catanese la colazione estiva tradizionale è a base di granita (mandorla macchiata caffè o cioccolato) ca brioscia co’ toppu (pasta a base di uova che assume la caratteristica forma semisferica con una pallina sopra chiamata “toppu”, dal francese toupet). Nel messinese il gusto prediletto è caffè o fragola con panna che deve essere rigorosamente fresca. Molto apprezzata dai siracusani è quella alla mandorla (con la varietà pizzuta di Avola); i palermitani amano la tradizione e preferiscono quella al limone e quella al gusto gelsi. Tutte, comunque, variano nella struttura con i caratteristici cristalli di ghiaccio che si sentono più o meno maggiormente nella grana. C’è poi la cremolata che è molto simile alla granita per composizione, ma ha un più elevato contenuto di frutta (circa l’80%); contiene meno saccarosio e in molti casi prevede l’aggiunta di latte. R.S.

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deperibilità del prodotto che, pertanto andrà consumato entro pochissimi giorni dalla preparazione. Molti di quelli che si definiscono “artigiani del gelato”, avendo la necessità di conservare più a lungo il prodotto, al posto degli ingredienti freschi, utilizzano una miscela di componenti preparata con modalità industriali, i cosiddetti “semilavorati”. Non è comunque una pratica scorretta: per i gelatieri non c’è nessuno divieto di utilizzare grassi vegetali, aromi e additivi liofilizzati o di sostituire la frutta fresca con quella essiccata o con succhi concentrati. Queste basi

semilavorate già pronte semplificano molto il lavoro dell’artigiano gelatiere, aumentano la varietà di gusti disponibili fuori stagione e danno al gelato una vita più lunga. In commercio ne esistono di ottima qualità (alcune sono prodotte anche in Sicilia) che non deteriorano minimamente il gusto del prodotto finale. Sta di fatto, però, che per i cultori del gelato artigianale il loro uso – anche in accoppiata a ingredienti freschi – fa perdere le peculiarità del prodotto. Purtroppo il consumatore spesso non è abbastanza informato sull’uso dei composti semilavorati. Completamente differente è il gelato industriale, un prodotto realizzato per la lunga conservazione. Sia in stecco, cono, coppetta, biscotto o vaschetta, il suo ciclo vitale, dalla produzione alla distribuzione fino al consumo, dura diversi mesi. Com’è ovvio che sia, contiene una serie di sostanze che di naturale hanno ben poco: proteine, coloranti, additivi e aromi di sintesi, con frequente utilizzo di latte in polvere e grassi vegetali spesso idrogenati. Già da anni, i produttori di gelato a livello industriale, possono introdurre una proteina sintetica, la Isp (ice structuring protein), isolata da un pesce artico e riprodotta in laboratorio attraverso la fermentazione di un lievito ogm, che impedisce

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al gelato un rapido scioglimento. L’uso di questa sostanza serve principalmente a facilitare il trasporto del gelato nei diversi punti vendita. Ancora una grande differenza tra artigianale e industriale è rappresentata dall’aria, sia in quantità che in modalità di incorporazione. L’aria che viene incorporata anche nel gelato artigianale conferisce la struttura e determina morbidezza e cremosità. Al gelato industriale viene incorporata molta più aria per mantenersi soffice: fino al 100 - 130% a partire dalla miscela base. Quello artigianale contiene aria solo per circa al 40 - 60%. Nella tecnica di produzione dei gelati è stato introdotto il concetto di “overrun” che indica la crescita in volume dal composto base gelato espresso in percentuale. Se proviamo a lasciar sciogliere una vaschetta di gelato artigianale e una comprata al supermercato, ci accorgeremo del differente overrun: quella industriale dimezzerà il suo volume. Durante la preparazione industriale l’aria viene insufflata già in fase di congelamento per evitare che il prodotto diventi una massa compatta durante i medi di giacenza. Piccola ma significativa categoria è quella del gelato soft, un prodotto diverso dai due sopra elencati. Viene chiamato comunemente “gelato americano”, si accaparra una buona fetta di consumatori, soprattutto giovanissimi frequentatori di fast food. Richiede investimenti di minore entità, viene prodotto direttamente da una macchina che lo espelle e lo deposita direttamente su cono o coppetta a temperatura più alta del gelato artigianale (-4/-6° C) e di quello industriale (-13°/-18° C). Il nome ne indica le peculiarità: appare più soffice, più cremoso e meno freddo. Rispetto al gelato artigianale è più ricco di grassi e contiene meno zuccheri, ma il suo overrun risulta superiore al 50%. R.S.

Gelato al gelsomino Ingredienti •1 tazza di fiori di gelsomino • 1 limone • 100 gr. di zucchero semolato • 1 albume Procedimento Lasciate macerare i fiori di gelsomino in una ciotola con 3,5 lt d’acqua per una notte, poi filtrate il liquido. Preparate uno sciroppo con 1,5 dl d’acqua e lo zucchero e lasciate intiepidire, quindi aggiungete il succo di limone e il liquido dei gelsomini. Versate tutto nella gelatiera e quando il composto inizia ad addensarsi, incorporate l'albume montato a neve, lavoratelo un po’ e ponetelo in freezer fino al momento di servirlo. Se non avete la gelatiera, fatelo solidificare in freezer in un contenitore. A questo punto, ad intervalli di mezz'ora, battetelo con una frusta elettrica e incorporate l'albume montato, rimettetelo in freezer fino al momento di servirlo.

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nasce l’ di Ivana Calabrese

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opo un lungo e difficile percorso, e a compensare l'accordo sull'import dell'olio tunisino, è arrivato il tanto atteso riconoscimento all'olio siciliano di qualità. l'Igp, l’Indicazione Geografica Protetta, potrà finalmente essere apposto nell’etichetta comunicando qualità e identità territoriale certificate e garantite all'origine. Già perché, com’è noto, l’Igp è un marchio di qualità rilasciato dall'Unione Europea che identifica prodotti con particolari peculiarità legate ad un determinato territorio - compresa la loro stessa origine storica - e che rispettano un “disciplinare di produzione”, cioè delle vere e proprie regole di produzione. L'olio extravergine di oliva per potere portare il marchio Igp Sicilia dovrà essere ottenuto da olive provenienti da specifiche varietà raccolte e molite in Sicilia; in più dovranno essere rispettare condizioni ambientali e colturali tipiche della zona di origine

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IGP

di Sicilia

e l’olio dovrà essere imbottigliato in Sicilia. “Questa circostanza ci permetterà di vincere una delle sfide principali per la nostra agricoltura: costruire il valore aggiunto al prodotto nel nostro territorio, senza farlo sfruttare ad altri”, osserva l’Assessore all’Agricoltura Antonello Cracolici. L'Igp Sicilia è riservato agli oli extravergine provenienti solo ed esclusivamente da olive coltivate e molite in Sicilia, con limite di acidità inferiore a 0,8, con polifenoli (le sostanze antiossidanti per eccellenza) maggiori di 100 e con basso valore di perossidi. Ogni fase della produzione verrà monitorata cosicché possa essere garantita la tracciabilità del prodotto, consentendo la tutela degli oli isolani ed evitando fenomeni di contraffazione. Il controllo sulla conformità della produzione sarà affidato all’Irvos, l’Istituto Regionale Vini e Oli di Sicilia. “L’individuazione dell’Irvos – spiega Lucio Monte, direttore dell'Istituto – è stata

effettuata dal Comitato promotore in sede di approvazione del disciplinare di produzione”. E continua: ”Quale organismo di controllo e certificazione pubblico, l’Irvos ha ottenuto il riconoscimento ufficiale dal Ministero delle Politiche Agricole nello scorso maggio 2015 e ha iniziato subito con gli assoggettamenti ed il rilascio della cosiddetta denominazione protezione nazionale transitoria che è propedeutica e rende possibile la commercializzazione di prodotto a marchio durante il periodo di approvazione dell’Igp da parte della Ue”. Attualmente non è possibile utilizzare né il bollino né la denominazione Igp: si aspetta, infatti, l'ufficialità del riconoscimento con la pubblicazione in gazzetta, atto che consentirà alla Igp Olio di Sicilia la piena operatività e che indurrà i produttori a costituire un Consorzio di Tutela e Valorizzazione. “Quest'anno – dichiara Michele Riccobono, responsabile dell'organismo di controllo e certificazione dell'olio dell'irvos – abbiamo certificato circa 15.000 chili di olio in protezione, ancora pochissimo rispetto ai potenziali 500.000 quintali e ai circa 120.000 che potrebbero da subito richiedere la certificazione”. A differenza di quanto accade nel settore del vino dove i controlli avvengono a campione, gli olivicoltori assoggettati alla Igp saranno tutti controllati e caricati sul Nuovo Registro Telematico Sian per l'olio d'oliva che è stato reso obbligatorio da luglio dell'anno scorso. “Al momento – continua Lucio Monte – l'interesse da parte degli olivicoltori è elevato, pertanto siamo sicuri che il volume e il numero degli assoggettati aumenterà notevolmente, ricordiamo anche che l'assoggettamento per gli olivicoltori per la prossima campagna scade il 30 giugno e che sul sito dell'Istituto http://www.vitevino.it sono disponibili tutti gli allegati per la procedura di assoggettamento”.

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Carpaccio di zucchine con gambero rosa e portulaca I cristalli di sale, quelli usati da molti chef per guarnire e insaporire sofisticate pietanze, sono grandi da 1 a 4 millimetri e vengono raccolti sulla superficie dell’acqua delle vasche evaporanti delle saline. Per raccoglierli si usa un retino, sono molto soffici al palato e caratterizzati da particolare purezza. La sensazione o il gusto di “salato” che ci sembrerà diverso rispetto all’uso del sale fino è determinata dalla grandezza dei cristali di sale usati che, proprio in funzione della dimensione del cristallo e quindi della superficie di contatto, interagiscono diversamente con i recettori del gusto posti sulla nostra lingua. Ingredienti 2 zucchine genovesi 500 gr di gambero rosa 1 limone 1 mazzo di portulaca prezzemolo origano olio extravergine di oliva cristalli di sale marino pepe nero

Procedimento Affettare le zucchine sottilissime dopo averle rigate con un riga-ortaggi. Fare un emulsione con olio, origano, succo di limone e prezzemolo e lasciarla a macerare. Lessare il gambero con il guscio per 3 minuti in acqua salata. Lasciatelo raffreddare, quindi sgusciatelo. In un piatto disporre le fettine di zucchine a lettiera, adagiare il gambero a rosone ed irrorare con l’emulsione; mettere le foglioline di portulaca, pepare e salare con i cristalli di sale.

Spaghetti d’estate Quando senti l’odore della salsa fatta con il pomodoro Pizzutello, vuol dire che è arrivata l’estate. E così da mezzo secolo a Paceco dove l’ecotipo locale è stato tradizionalmente coltivato. Da lì la coltivazione si è estesa anche ad Erice e Trapani. È un tipo di pomodoro molto rustico che viene coltivato in pieno campo e in alcune zone siccitose grazie alla grande adattabilità a climi aridi. I terreni argillosi e l'assenza di irrigazioni conferiscono a questo pomodoro un gusto unico, per niente acido e di sapore assai gradevole. Il frutto del Pizzutello maturo è rosso vivo, di piccole dimensioni tondo o leggermente allungato con il classico pizzetto con polpa asciutta, fine e delicata. È talmente saporito che la salsa può essere cucinata anche senza sale. Ingredienti per 6 persone 2 zucchine genovesi 500 gr di gambero rosa 1 limone 1 mazzo di portulaca prezzemolo origano olio extravergine di oliva cristalli di sale marino pepe nero

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Procedimento Soffriggere la cipolla aggiungendo il pomodoro tagliato grossolanamente far cuocere a fuoco moderato per circa 15 minuti e a fine cottura aggiungere una manciata di basilico. Frullare il tutto per ottenere una salsa liscia con ancora l'agro del pomodoro. Tagliare le melanzane a dadini e friggerle. Fare ammorbidire il peperone al forno per circa 10 minuti a 190°C e tagliarlo a listarelle. Cuocere gli spaghetti in abbondante acqua salata e scolarli al dente. Quindi condirli con poca salsa e caciocavallo. In un piatto versare la salsa specchio mettere uno stampino quadrato dove sistemare le melanzane a strati con il primosale grattugiato a julienne; in cima decorare con le listarelle di pomodoro, qualche foglia di basilico e mettere una abbondante forchetta di spaghetti arrotolati.


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Pesce azzurro in canna al pesto del salinaio I salinai la conoscevano bene e spesso la inserivano nelle povere ricette a base di pesce azzurro. La salicornia, pianta alofita spontanea commestibile è nota anche come “asparago di mare” per la netta somiglianza con l’asparago selvatico e cresce in abbondanza in prossimità delle saline di Trapani e nelle zone dunali litoranee. La Salicornia ha sapore salato e iodato. Può essere consumata sia cruda (all’inizio della stagione) che cotta utilizzando i germogli e le parti giovani e tenere della pianta. Il sapore lievemente amarognolo la rende anche un ottimo ingrediente per la preparazione di zuppe e salse di accompagnamento a primi e secondi piatti, in particolare a base di pesce e crostacei. Risulta dal gusto delicato se utilizzata nelle frittate o in pastella. La Salicornia contiene proteine, vitamine, molti sali minerali tra i quali iodio, calcio e potassio. Era conosciuta dai Vichinghi che per prevenire lo scorbuto, grazie all’elevato contenuto di vitamina C, la portavano con loro nelle lunghe navigazioni. Ingredienti 1 canna da fiume 36 tocchetti di pesce azzurro 1 limone, 18 foglie di alloro basilico, salicornia (o asparago di mare) semi di finocchietto, mandorle olio extravergine di oliva Procedimento Squamare e sfilettare il pesce tagliarlo a tocchetti, infilare nella canna alternando 1/2 fetta di limone ed una foglia di alloro. In un mortaio mettere la salicornia, il basilico, i semi di finocchietto e pochissimo sale marino grosso. Pestare energicamente riducendo il tutto in una passata verde, aggiungere le mandorle continuando a pestare; infine aggiungere l'olio extravergine di oliva. Arrostire gli spiedi con il pesce da entrambi i lati su brace di carbone di legna di ulivo. In alternativa è possibile usare una griglia in ghisa sul fuoco. Gli spiedi vanno serviti su foglie di limone irrorandoli con il pesto.

Il Femminello di Siracusa è una varietà di limone che ha guadagnato il marchio Igp, Indicazione geografica protetta, per le caratteristiche uniche che riesce ad estrinsecare nel suo areale di produzione: un territorio che si estende da Nord a Sud per 50 km della costa ionica della Sicilia, rinfrescato dai fiumi Anapo, Asinaro e Marcellino che scorrono giù dai monti Iblei, e immerso nella bellezza e nella natura, patrimonio umano e paesaggistico unico al mondo. Caratterizzato da elevato contenuto in succo e dalla ricchezza di ghiandole oleifere nella buccia, oltre che per l'alta qualità degli oli essenziali, la varietà siracusana di limone è denominata “Femminello” per la notevole fertilità della pianta che rifiorisce più volte in un anno.

Granita di limone femminello con passata di fragole Ingredienti 2 Kg di limoni Femminello di Siracusa 200 cc di acqua, 50 gr zucchero grezzo 100 gr di miele di sulla 300 gr di fragole, 100 gr di mandorle sgusciate 1 mazzetto di menta, 1 rametto di basilico Procedimento Spremere i limoni filtrare, aggiungere l'acqua, lo zucchero, metà del miele e il basilico tagliato finemente. Mettere il composto nel congelatore avendo cura di girare spesso con una frusta per ottenere una cristallizzazione uniforme. Frullare le mandorle, aggiungere le fragole con la menta mettendo il miele rimasto fino ad ottenere una salsa vellutata. In un bicchiere versare una parte di granita, un po’ di salsa di fragole, un altro strato di granita, completare con la salsa di fragole, quindi decorare con foglioline di menta e fiori di gelsomino.

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Le Soste di Ulisse l’itinerario mediterraneo fa tappa in ristoranti stellati e residenze di charme richiamando turisti da tutto il mondo di Oliva Barbara Corrao

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’associazione siciliana “Le Soste di Ulisse” propone una serie di itinerari sulle orme del mitico eroe omerico. Scorrendo il poema di Omero, infatti, si scopre che l’eroe viene ospitato in luoghi di grande fascino, come regge, palazzi, abitazioni sontuose. I suoi anfitrioni sono di volta in volta sovrani, divinità, principesse. Gli vengono offerte cene gourmand che manderebbero in estasi i più grandi chef titolati. Il suo viaggio si può considerare a tutti gli effetti un grand tour cultural-goloso durante il quale il re di Itaca non si fa mancare nulla, né i piaceri della vita – buon cibo, buon vino, buona compagnia – né i piaceri derivanti dalla scoperta di nuove usanze, civiltà, tradizioni e costumi. Forse ispirato da questa rilettura spregiudicata del poema omerico, un gruppo di ristoratori e albergatori siciliani, che vanta al suo interno alcuni tra i più bei nomi dell’hôtellerie e della ristorazione isolana, ha deciso di proporre una serie di itinerari sulle orme del mitico eroe. Viaggi che, contrariamente a quello che viene proposto dalle guide più accreditate, prendono il via dalla cultura alimentare dell’Isola e solo in un secondo tempo portano alla scoperta delle sue importanti testimonianze artistiche. Il turista goloso è così guidato attraverso una storia di sapori e di profumi, incontra padroni di casa gentili e preparati, viene accolto in location di grande fascino, il tutto impreziosito dalle struggenti bellezze dell’isola stessa. Non è facile scegliere quali delle rotte del re di Itaca seguire, ma si può decidere di cominciare con il “triangolo d’oro” dell’Isola, la sua parte più meridio-

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nale. Il viaggio parte da Ragusa Ibla e la prima delle “soste” si fa alla Locanda Don Serafino realizzata in un edificio del ’700 e precisamente nelle scuderie di un palazzo nobiliare. Questo hotel di charme

cucina semplice e raffinata insieme, fatta di profumi e di colori, caratterizzata da un rispetto quasi maniacale della territorialità. La carta di Angelo Treno è una sollecitazione continua dei sensi con i suoi “boc-

Uno scorcio di Ragusa Ibla

regala alcune chicche come la junior suite con un arco gotico del ’300 e la “suite della roccia” con un bagno ricavato in una grotta naturale. La sosta successiva è presso la Fattoria delle Torri, nel centro storico di Modica. Anche qui la location è un palazzotto antico, affacciato su Corso Umberto I, la strada del passeggio modicano, con una salle à manger dove gli archi di pietra incrociano quadri e installazioni di giovani artisti locali e un giardino mediterraneo dove zagare ed erbe aromatiche profumano l’aria. La terza sosta di Ulisse si svolge tra cedri, limoni e arance a Piazza Armerina dove, fuori dal centro storico e circondato dai boschi della riserva di Rossomanno, si trova il ristorante Al Fogher di Angelo Treno, patron e chef del locale, con anni di esperienza nelle regioni del Nord-Est. Nel locale, intorno al focolare, si gusta una

coni del Mediterraneo”: tartare di tonno all’essenza di arancia, gambero croccante, pesce al vapore condito con finocchietto selvatico e sardella piccante e il filetto di coniglio in pasta, l’intrico di tagliolini neri e di cicerchia saltati in padella con filetto di sgombro su passata di ciliegino di Pachino, le triglie alla beccafico accompagnate da charlotte di melanzane e il cestino di ricotta con croccantino al miele e gelato al pistacchio di Bronte. Dopo la sosta golosa è la volta della scoperta di Piazza Arme-

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rina. Prima di tutto bisogna uscire dalla città e percorrere una manciata di chilometri per ritrovarsi davanti alle sontuose rovine della Villa Romana del Casale, una grandiosa e sfavillante villa utilizzata come “buen retiro” e residenza di caccia dai membri della famiglia imperiale tra la fine del III e gli inizi del IV secolo.d.C. Il sito conserva un fascino ed una suggestività rari, merito senza dubbio della sua perfetta struttura, ma anche dello splendido ciclo dei mosaici che ricoprono i pavimenti della villa. Qui si trovano, per esempio, le famose ragazze in bikini, versione ante litteram delle bellezze al bagno dei nostri tempi, ma anche rappresentazioni di battute di caccia estremamente realistiche e scene “marinare” con mostri, pesci, tritoni. Anche nel centro città non mancano le sorprese, dal duomo in stile barocco ai monasteri e ai palazzi disseminati sul colle Armerino, dalla chiesa di San Rocco alla infilata di vicoli e scalinate che si spalancano su piazzette e cortili caratteristici. È arrivato il momento di spingersi dal centro dell’Isola verso la costa, cioè verso Licata, a poche decine di chilometri dalle rovine greche di Agrigento. È qui che il viaggiatore goloso può avere un incontro ravvicinato con Pino Cuttaia e la sua cucina creativa dove l’amore e la passione per la Sicilia sono evidentissimi. Le sue creazioni costituiscono una sorta di dichiarazione d’amore per l’Isola e soprattutto per il suo mare. Ecco infatti il carpaccio di gambero rosso e l’arancina di riso che contiene, a sorpresa, un ragù di triglie oppure la spatola a beccafico con caponata di verdure. E, per finire in dolcezza, la cornucopia: la rivisitazione del classico cannolo con tanto di crema di ricotta ma con aggiunta di marmellata di arance biologiche.

Tutti insieme appassionatamente

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ono passati quindici anni da quando alcuni qualificatissimi chef siciliani decisero di riunirsi in associazione con un solo obiettivo: far conoscere i prodotti siciliani e i suoi molteplici usi in cucina. Le Soste di Ulisse con più di quaranta strutture associate, tra ristoranti, pasticcerie, hotel di charme e cantine, ridanno vita in Sicilia al Gran Tour dell’Ottocento. La filosofia rivive proprio nei ristoranti e nelle cantine che offrono al viaggiatore, ieri come oggi, un percorso del gusto nella tradizione del cibo e del vino con le sue diversità da una parte all’altra dell’Isola. Le Soste di Ulisse raccontano una terra che esprime produzioni di accertata eccellenza e varietà, trasformate ogni giorno con magia, professionalità e gusto da chef pluripremiati. A presiedere l’associazione per tanti anni lo chef Enrico Briguglio che, prima della sua prematura e recente scomparsa soleva dire: “Abbiamo compiuto più di quindici anni e ne abbiamo fatto di strada da quando eravamo un gruppo di ristoratori entusiasti; sotto l’effige di Ulisse oggi rappresentiamo invece l’eccellenza siciliana e vogliamo portarla in giro per il mondo”. Oggi l’associazione è guidata da Pino Cuttaia. Il patron de La Madia di Licata vede la Sicilia come una grande regione dove storia, società e ambienti naturali si fondono in un tutt’uno. Per lui Le Soste di Ulisse propongono un viaggio per scoprire il cuore della Sicilia più autentica in tutti i suoi aspetti più affascinanti. Accanto a Cuttaia, nella figura di tesoriere, troviamo un altro chef stellato, Ciccio Sultano. A lui spetta una interpretazione più ampia: il viaggio rappresentato dalle Soste di Ulisse viene realizzato all’interno del territorio del mondo e non solo della Sicilia. Gli chef e i pasticceri de Le Soste di Ulisse: Salvatore e Giovanni Cappello Pasticceria Cappello - Palermo Alberto Rizzo Osteria dei Vespri - Palermo Patrizia Di Benedetto Ristorante Bye Bye Blues - Palermo Giuseppe Costa Ristorante Il Bavaglino - Palermo Tony Lo Coco Ristorante I Pupi - Bagheria (Pa) Giuseppe Carollo Ristorante Nangalarruni - Castelbuono (Pa) Daniela Cappelli Ristorante Broccia - Panarea (Me) Gaetano Nani Ristorante Hycesia - Panarea (Me) Crescenzo Scotti Ristorante ll Cappero - Vulcano (Me) Ludovico De Vivo Ristorante Capofaro - Salina (Me) Martina Caruso Ristorante Signum - Salina (Me) Davide e Nino Ristorante Duomo - Taormina (Me) Pietro d’Agostino Ristorante La Capinera - Taormina (Me) Massimo Mantarro Ristorante Principe Cerami San Domenico - Taormina (Me) Nuccia, Pina, Nina, Pinuccia Ristorante Antica Filanda - Caprileone (Me)

Domenico Colonetta e Francesco Patti Ristorante Coria - Caltagirone (Ct) Andrea Macca Ristorante Donna Carmela Carruba di Riposto (Ct) Giovanni Santoro Ristorante Shalai - Linguaglossa (Ct) Marco Baglieri Ristorante Crocifisso - Noto (Sr) Giovanni Guarneri Ristorante Don Camillo - Siracusa Claudio Ruta Ristorante La Fenice - Ragusa Ciccio Sultano Ristorante Duomo - Ragusa Ibla Vincenzo Candiano Ristorante Don Serafino - Ragusa Ibla Pierpaolo Ruta Dolceria Bonajuto - Modica (Rg) Ninni Radicini Ristorante Fattoria delle Torri - Modica (Rg) Angelo Treno Ristorante Al Fogher - Piazza Armerina (En) Damiano Ferraro Ristorante Capitolo Primo - Montallegro (Ag) Pino Cuttaia Ristorante La Madia - Licata (Ag) Gaetano Basiricò Ristorante Serisso 47 - Trapani

Panorama di Modica

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di

Angelo Treno chef di Al Fogher

Reale di Manzo Ingredienti per 4 persone

Preparazione

4 pezzi di reale di manzo da gr 250 4 uova biologiche cotte in camicia 400 gr di fagiolini 200 gr di patate tagliate a cubetti 1 spicchio d’aglio in camicia 12 bacche di ginepro 4 foglie d’alloro 4 ciuffetti di timo 4 ciuffetti di maggiorana 2 carote piccole 1 costa di sedano (costa: trancio o pezzetto) 1 cipolla 2 cucchiai di ribes nero pesto di rucola selvatica olio exvergine di oliva burro chiarificato (burro sciolto precedentemente) sale e pepe qb

Mettere a marinare per 2 ore circa il reale di manzo con tutti con tutti gli aromi, le carote, il sedano e la cipolla tagliata a cubetti. Dopo la macerazione, prendere un sacchetto per congelare, introdurvi il manzo e gli odori, richiuderlo bene e tenere in frigo per un'altra ora. In seguito rosolare il reale con il burro chiarificato, 5 minuti per parte, dopo di ciò fate cuocere in forno a vapore per circa 8 ore a 85°. Dopo la cottura adagiate il reale su un nido di fagiolini e patate, condite con un po’ di liquido di cottura del reale aggiunto di sale grosso, olio extravergine di oliva, ribes nero e pepe macinato al momento. Sovrapponete su ogni reale un uovo cotto in camicia, versate sopra un po’ di pesto di rucola e qualche pinolo. Si ricorda che per la cottura in camicia bisogna prendere un pentolino, riempirlo d’acqua q.b. e metterlo sul fuoco, mescolare l’acqua e contemporaneamente rompere il guscio dell’uovo versandone il contenuto dentro l’acqua; appena cotto, scolare e utilizzare come prevede la ricetta.

Caramelle al pesce Ingredienti per 4 persone Per la pasta casereccia 8/9 uova caserecce o biologiche 1 kg di farina rimacinata 3 cucchiai di olio extravergine di oliva 2 cucchiai di concentrato di pomodoro 2 bustine di zafferano siciliano sale e pepe q.b. Per il ripieno 500 gr di gamberi (ma in sostituzione può essere utilizzato tutto il pesce del nostro mare Mediterraneo), come razze e orate Tenerezze (ovvero i germogli teneri della lagenaria longissima) e basilico o altri odori e aromi secondo i gusti come cipolla, aglio, chiodi di garaofano, ecc.

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Preparazione Amalgamare gli ingredienti per la pasta casereccia e lasciare riposare l’impasto per circa un’ora o più in frigo. Nel frattempo pulite il pesce e i gamberi privandoli del loro guscio, della testa e del filino marrone sopra il dorso. Non dimenticate di metterne da parte un certo numero da destinare alla decorazione senza privarli della testa. I gamberi sgusciati, lavati e asciugati con carta assorbente, vanno fritti, includendo, tutti gli odori e gli aromi (aglio, cipolla, chiodi di garofano ecc.). Al termine della frittura si scola l’olio in eccesso e gli odori, si filtra il tutto, si lascia riposare e si mixa, ottenendo così il ripieno per le caramelle. Stendete con il mattarello la pasta fino ad ottenere una sfoglia dello spessore di non oltre 1 mm e mezzo. Dalla pasta tagliate forme rettangolari all’interno delle quali va inserito un cucchiaio di ripieno di pesce; unite, quindi, i lembi del rettangolo con un po’ di pressione con le dita sulla pasta. Riempite con il ripieno tutti i rettangoli, e mentre li fate riposare un po’, mettete a bollire l’acqua per la cottura delle caramelle. Appena l’acqua bolle aggiungete il sale marino, quindi cuocete le caramelle nell’acqua bollente avendo cura che quest’ultima le copra del tutto. Se volete, preparate o del purè di patate o del semolino piccante su cui adagiare le caramelle con il ripieno del pesce del nostro Mediterraneo. Servite in piatti larghi e bianchi in modo da far risaltare il contenuto, ponendo su ciascuna caramella uno dei gamberi sgusciati che avevate messo da parte in precedenza. Infine, non dimenticate una grossolana spolverata di Piacentino Ennese.

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Birra...

e sai cosa bevi!

Viaggio attraverso le produzioni artigianali della Sicilia

di Manuela Zanni

È una delle più diffuse e antiche bevande alcoliche del mondo. Ciò nonostante, è stata sempre schiacciata dalla personalità, solo in apparenza più incisiva, del suo parente più prossimo, il vino. In questo breve tour ci siamo immersi nel mondo affascinante delle birre artigianali prodotte in Sicilia. Ecco cosa abbiamo scoperto per voi 18

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roviamo testimonianze di produzione della birra già presso i Sumeri. La più antica legge che regolamenta la produzione e la vendita di birra è, senza alcun dubbio, il Codice di Hammurabi (1728-1686 a.C.) che condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati e chi apriva un locale di vendita senza autorizzazione. Troviamo tracce del consumo di birra presso la cultura mesopotamica, nell’Antico Egitto e tra i Babilonesi. Si parla di birra anche nella Bibbia. Nel Deuteronomio si racconta che durante la festa degli Azzimi si mangiava per sette giorni il pane senza lievito e si beveva birra. I Greci, pur non producendola, la consumavano, acquistandola dai Fenici, in maniera copiosa in occasione delle feste in onore di Demetra e delle Olimpiadi. Ma i veri artefici della diffusione della birra in Europa furono comunque le tribù germaniche e celtiche. Il processo di produzione della birra prevede la fermentazione alcolica con ceppi di zuccheri derivanti da fonti amidacee, la più usata delle quali è il malto d’orzo, germinato ed essiccato, noto semplicemente come malto. Per produrre la birra, il malto viene immerso in acqua calda dove gli enzimi, presenti nella radichetta formatasi durante la germinazione, convertono

gli amidi in zuccheri. Questo mosto dolciastro viene aromatizzato con erbe, frutta o, più comunemente, con il luppolo. Successivamente viene impiegato un lievito che dà inizio alla fermentazione e porta alla formazione di alcool e anidride carbonica. Quest’ultima viene per la maggior parte espulsa, insieme ad altri prodotti di scarto derivanti dalla respirazione anaerobica dei lieviti. In questa fase del processo, i diversi ingredienti e metodi utilizzati sono elementi in base ai quali vengono classificate le birre in ale, lager o birre a fermentazione spontanea. La produzione di birra è possibile con qualunque tipo di cereale. Questo però deve venire preparato affinché i suoi zuccheri diventino fermentescibili. In alcuni casi è sufficiente una semplice cottura, come avviene con il mais, mentre in altri casi è necessario “maltare” il cereale ovvero tostarlo. A basse temperature si ottiene il minimo effetto di tostatura e si parla di “malti chiari". In proporzione a quanto si aumenta la temperatura del forno e/o il tempo di permanenza in esso, il malto risultante diventa più scuro. Si può arrivare fino al punto di bruciarlo producendo così i “malti neri” o “malti torrefatti". Il grado di tostatura del malto determina, poi, il colore della birra.

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Il luppolo è l’additivo principale utilizzato per compensare la dolcezza del malto poiché contiene la luppolina, sostanza che conferirà il sapore amarognolo caratteristico della birra. Esistono diversi tipi di luppolo, amari, aromatici e ambivalenti che, di norma, vengono essiccati. Di recente è stato introdotto l’uso di luppolo non essiccato per alcune birre stagionali che deve essere impiegato nella preparazione della birra entro poche ore dal raccolto. Oltre al luppolo, esistono numerosissimi additivi botanici per la birra, tra i quali si possono citare la frutta, piante aromatiche in aggiunta o in sostituzione del luppolo stesso come ad esempio la canapa, il rosmarino, la castagna e il tabacco e le spezie quali zenzero, coriandolo, bucce d’arancia, pepe e noce moscata, solo per citarne alcuni. Sono numerose le possibilità di classificare le birre. La classificazione che trova maggior impiego fa riferimento al tipo di lievito utilizzato e, conseguentemente, al tipo di fermentazione. In questo senso le birre si dividono in tre grandi famiglie: le ale, le lager e le lambic. Le ale sono prodotte con i lieviti della specie Saccharomyces cerevisiae e seguono un processo ad “alta fermentazione” che predilige temperature elevate. È il procedimento più antico che rimane tuttavia ancora profondamente radicato specie nella cultura birraria anglosassone e fiamminga. Le lager, prodotte con i lieviti della specie Saccharomyces carlsbergensis, seguono un processo a “fermentazione bassa” che predilige temperature basse. Il procedimento industriale è più recente e garantisce una maggior stabilità e ripetibilità, permettendo a queste birre di essere di gran lunga le più diffuse sul

mercato. Le lambic sono prodotte esclusivamente in una regione del Belgio meridionale, dove il mosto è esposto a lieviti indigeni selvatici, come il Brettanomyces bruxellensis; il processo si sviluppa seguendo una fermentazione spontanea, che conferisce a queste birre caratteristiche uniche al mondo. Spesso alle ale sono riconosciute caratteristiche di maggior complessità grazie ai sapori e agli odori ricchi di aromi floreali, speziati e fruttati, mentre le lager sono più frequentemente “pulite” ed evidenziano soprattutto il carattere di malto e luppolo. Dopo secoli di emarginazione la birra è finalmente assurta al rango di bevanda eccelsa di cui parlare, scrivere, da degustare e abbinare ai cibi smettendo di considerarla solo una bibita “take away” da consumare distrattamente davanti ad un pub o da bere ghiacciata al mare da una bottiglia appanata, o ancora da utilizzare come abbronzante e schiarente per capelli “fai da te” secondo una moda degli anni ‘80. Oggi si è compreso che per conoscere la birra fino in fondo, occorre ascoltarla, leggerla e interpretarla. Questa operazione è avvenuta grazie alla passione di maestri birrai artigiani che ne hanno cominciato a studiare gli affinamenti, e alla costanza di sommelier ardimentosi che non hanno avuto paura di sporcarsi il palato con una bibita in passato considerata di serie B, cominciando ad analizzarne i sentori al naso e in bocca come avviene per i vini più pregiati. Ultimo, ma non per importanza, un ruolo determinante nell’affermazione della birra è stata l’abilità di alcuni intraprendenti chef che hanno scoperto come l’ampio spettro di profumi e sapori delle birre, può rappresentare un quid innovativo e stimolante

Pane alla birra Ingredienti per 4 persone per il lievitino: • 100 ml di birra • 100 gr di farina • 4 gr di lievito di birra • 1 cucchiaino di malto per l’impasto: • 200 ml di birra • 400 gr di farina • 4 gr di lievito di birra • 10 gr di sale • 10 gr di semi misti Procedimento Mettete in una ciotola la birra, il miele ed il lievito e mescolate. Aggiungete la farina e mescolate bene il tutto. Fate lievitare al coperto per 4 ore. Una volta lievitato, aggiungete la birra, il lievito e la farina ed iniziate ad impastare. Poi aggiungete il sale e impastate il pane fino ad ottenere un panetto morbido. Date al pane la forma che preferite. Spennellate la superficie con un po’ d’acqua e spolverizzate con semi misti. Infornate il pane in forno già caldo a 180°C, poi cuocete per 30 minuti. Servite tiepido accompagnato dalla vostra birra preferita.

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La storia delle birre prodotte con fermentazione spontanea affonda nel passato più remoto: sembra addirittura che gli antichi Egizi, migliaia di anni fa, abbiano “scoperto” la birra proprio in questo modo anche per l’arte culinaria. Mauro Ricci, che in Sicilia rappresenta il Kuaska Institute, l’istituto che prende il nome da Lorenzo Dabove, in arte Kuaska, uno dei maggiori esperti italiani in tema di birra, ci ha tracciato il panorama delle birre artigianali siciliane. “La birra è una bevanda sociale ma per piacere a tutti spesso viene mistificata a danno della sua autenticità. Ciò che rende una birra di qualità infatti, oltre alla materia prima, è anche e soprattutto, il procedimento tramite il quale viene prodotta che fa la differenza”, spiega Ricci. “Uno dei principali equivoci in fatto di birre – continua Ricci – riguarda la definizione di birra artigianale per la quale, sebbene sembri ovvio, occorre un requisito essenziale di base, ovvero che venga fatta da un artigiano. A questo concetto se ne associa uno altrettanto importante in base al quale affinché una birra possa essere definita siciliana, occorre che il birraio sia siciliano in

Tiramisù alla birra

modo che la birra ne rispecchi le origini. In questo settore che, nonostante la crisi, risulta in controtendenza, sono una ventina i piccoli produttori di birra in Sicilia e il fenomeno è in continua crescita”. La realtà, infatti, è che oltre ad aumentare gli appassionati e i conoscitori, sta crescendo in maniera esponenziale anche il numero dei produttori che decidono di scommettere su questo mercato che, sul territorio nazionale, rappresenta il 2 per cento del consumo totale di birra. Dal 2011 ad oggi, i microbirrifici in Italia sono più che raddoppiati passando da 400 ai circa 900 attuali. Anche nell’Isola queste realtà sono in continua crescita, tra microbirrifici che producono quantità limitate di birra, brewpub ovvero locali che producono birra per il consumo interno e beer firm, impianti preesistenti che vengono affittati a privati per la produzione di birre.

Contemporaneamente al fenomeno che ha visto negli ultimi 3 anni la comparsa di microbirrifici siciliani, emerge anche la tendenza sempre più diffusa, grazie al nutrito popolo degli homebrewers, di fare la birra in casa “perché i siciliani spiega Ricci - vivono in un’isola che ha connotazioni tendenzialmente agricole quindi è gente di terra ed è più attenta all’idea di fare qualcosa che ricordi le proprie origini e che, al contempo, costituisca un passatempo soddisfacente”. Quella degli “Homebrewers Siciliani” è un’associazione senza scopo di lucro, che nasce nel luglio del 2013 dalla comune passione di amici homebrewers per la birra di qualità o birra artigianale nonché della birra fatta in casa. Per questa associazione, trasmettere la cultura birraria significa condividere il piacere per questa bevanda, catalizzatrice dei rapporti sociali di chi la beve e di chi la

Ingredienti per 4 persone Per la crema: 3 tuorli, 100 ml di panna, 150 gr di savoiardi, 150 gr di mascarpone 30 ml di birra artigianale chiara, 3 cucchiai di zucchero, cacao amaro Per la bagna: 100 ml di birra chiara, 1 cucchiaio di zucchero, 100 ml di caffè Procedimento Preparate lo zabaione alla birra, montando i tuorli con lo zucchero in una ciotola capiente fino ad ottenere un composto spumoso. A questo punto unite la birra e mescolate. Mettete il composto sul fuoco e cuocete fino a farlo bollire. Poi spegnete e lasciate raffreddare. Nel frattempo montate la panna fredda di frigo, aggiungete il mascarpone e amalgamate bene. Aggiungete al composto lo zabaione alla birra che avete preparato, lavorando delicatamente il composto con una spatola in modo da ottenere una crema liscia ed omogenea. Riponete poi in frigo la crema. Adesso preparatela bagna, mettendo in un pentolino la birra. Scaldatela sul fuoco e aggiungete poi il caffè, mescolate e togliete dal fuoco. Inzuppate i savoiardi nella bagna di birra e caffè. Assemblate il dolce alternando uno strato di biscotti e uno strato di crema fino ad esaurimento degli ingredienti. Potete presentare il dolce in piccoli boccali di birra. Lasciate riposare in frigo per circa un’ora. Prima di servire cospargete le coppette con la polvere di cacao.

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produce, partendo dagli stili conosciuti, per andare a scoprire le peculiarità delle birre e saperle apprezzare. Tra le finalità dell’associazione rientra la divulgazione della birra di qualità e dell’homebrewing (ovvero birrificazione casalinga). Per fare questo organizzano corsi di degustazione con la collaborazione dei massimi esperti del settore, concorsi, corsi di homebrewing e cene con abbinamenti mirati che vedono la birra come protagonista assoluta ad accompagnare le pietanze dagli antipasti al dolce. La versatilità della birra la rende, se adoperata con l’adeguata competenza e creatività, un ingrediente prezioso all’interno di un piatto, oppure sfumata o ridotta in salsa per aromatizzare antipasti, primi, secondi e dessert. La ricetta che vi proponiamo di seguito ne è un esempio.

Risotto alla birra e cavolo verza

in sicilia seguendo la via della birra Timilia Strada VIII Zona Industriale Catania tel. 095.713 9930 Rocca dei Conti C.da Michelica Zona Artigianale Modica (Rg) tel. e fax 0932 903701 cell. 342.1790822 Irias Via Rosmarino n. 84 Torrenova (Me) tel. 0941.785710 cell. 328.1241181 - 393.1377161 Paul-Bricius & Company Srl Via Duca d'Aosta, 18 Vittoria (Rg) tel. 0932.1910082 Cantirrificio Vittoria Via dell'Euro,17 Vittoria (Rg) tel. 0932.862949 Epica Area Artiginale, 1 Sinagra (Me) tel. 333.3173272 Oktoberfest SS113, Contrada Vallone del Falco Cefalù (Pa) tel. 0921.423195 24 Baroni Contrada Sant'Onofrio Nicosia (En) tel. 0935.646737 Yblon Zona Industriale I Fase, viale 4 Ragusa tel. 0932.1865611

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Ingredienti per 4 persone Per la riduzione di birra scura: 3 dl di birra artigianale scura 1 cucchiaio raso di zucchero di canna (muscovado) 1 buona presa di sale Per il risotto: 250 gr di riso vialone nano 3 dl di birra artigianale scura una verza piccola 30 g di burro 30 g di grana una cipolla bionda brodo vegetale pepe nero in grani 80 gr di toma (o altro formaggio preferito) olio extravergine di oliva sale e pepe q.b. Procedimento Per preparare la riduzione di birra scura unite il sale e lo zucchero alla birra scura e ponetela sul fuoco e lasciare ridurre fino ad ottenere una consistenza sciropposa. Lavate la verza e tagliatela a listerelle sottili. In una casseruola rosolate la cipolla e la verza con 4 cucchiai di olio d’oliva per circa 3 minuti. Nel frattempo portate a bollore il brodo. Tagliare il formaggio a cubetti. Unite il riso alla verza rosolata e sfumate con la birra e versate poi il brodo, ben caldo, poco alla volta. Portate a cottura e regolate di sale. Fuori dal fuoco unite il burro, la toma e il grana. Mantecate e lasciate riposare 2 minuti. Servire ben caldo con la riduzione di birra scura.

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IslaMedfood

foto di A. Allegra

la dieta C mediterranea in un viaggio culturale

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ultura e arte mediterranea, alimentazione sostenibile, ritorno al buon cibo per promuovere uno stile di vita sano, raccontare i territori e la vera cucina della tradizione. In poche parole, la dieta mediterranea che diventa un viaggio culturale. Patrimonio dell’Unesco come stile di vita, la dieta mediterranea è un modello salutistico, un’heritage che i siciliani hanno nel Dna. Figlio dell’esperienza di Expo 2015, Islandsmedfood è già una realtà tra la Sicilia, le città capoluogo e le isole minori. Due le attività già partite nelle Case Med: cooking show e week end lunghi rivolti ad un pubblico di stranieri e di appassionati di cultura e lifestyle mediterraneo, per un’esperienza sensoriale che include i mercati, i luoghi di produzione, i siti naturalistici e la visita dei più singolari musei della città, legati al Mediterraneo: il Riso, museo d’arte contemporanea, il Salinas, museo archeologico regionale e la Fondazione Palazzo Branciforte. I viaggi slow si adattano alle esigenze di un turista curioso e goloso, che vuole apprendere i segreti, entrare in cucina, scoprire le radici della cultura alimentare del Mediterraneo e vivere la Sicilia e le sue isole sentendosi come un ospite di casa, tra gusto, calore e benessere. Testimonial d’eccellenza, lo chef trapanese Peppe Giuffrè, che conduce i workshop del mattino ai mercati del centro storico, e dedica uno spazio della caffetteria del Museo d’arte Contemporanea di Palazzo Riso ai cooking show per raccontare i segreti della cucina mediterranea. I workshop partono ogni martedì, sabato e domenica su richiesta per gruppi da sei a dieci partecipanti. In luglio ed agosto, ci si sposterà al porto della Cala, per cucinare insieme e degustare a bordo di un tipico peschereccio, alla scoperta dei segreti del pesce azzurro e della storia del tonno rosso, re del Mediterraneo. “Si parte sempre dal centro di Palermo, di recente inserita nell’Heritage Unesco con l’itinerario d’arte arabo-normanno, e con i mercati storici di araba suggestione - spiega Maria Laura Crescimanno, travel journalist ideatrice del progetto - per raccontare il lifestyle del Mediterraneo a partire dal cibo. Un fil rouge che ci porta a scoprire luoghi di grande charme per il calore dell’accoglienza,

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foto di A. Allegra

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sia nell’ interno dell’Isola, che negli arcipelaghi, per andare a scoprire luoghi di produzione e paesaggi agricoli ancora intatti di grande suggestione. Nelle case Med coinvolte, il turista sarà sempre coccolato come ospite di casa, entrerà in cucina e capirà il senso della dieta che il mondo ci invidia perché garantisce sostenibilità all’ambiente e longevità a chi la pratica, se unita all’attività all’aria aperta”. I viaggi mediterranei alla scoperta di food, heritage e territori, toccano poi Ustica con i suoi paesaggi marini protetti, oppure la valle dei Templi di Agrigento e le campagne attorno a Trapani, fondamentali tappe del viaggio nel mondo

dell’olio e del vino, della pasta di antichi grani, del sale e del pesce locale. Qui gli ospiti di Islandsmedfood saranno accolti nelle case Med, selezionate con cura per le caratteristiche di ospitalità, stile architettonico ed autenticità mediterranea. Sono l’agriturismo Hibiscus a Ustica, con i suoi prodotti biologici, la lenticchie di slow food ed il vino biologico locale, coltivati con amore e raccontati dai proprietari esperti agronomi. A Trapani la Casa Med è l’Officina Gastronomica dello chef Peppe Giuffrè, dove sarà possibile apprendere tutti i segreti di antiche tradizioni come il cous cous, il pane e la pasta di casa, la prepa-

razione delle minestre contadine ma anche della più autentica cassata. Ad Agrigento invece si farà tappa all’azienda Mandranova, per degustare e cucinare insieme ai padroni di casa con l’ottimo olio extra vergine della casa. Visite ad altre aziende produttrici di olio extra vergine e di grani antichi completeranno il week end. Nell’isola di Salina, ad accogliere gli ospiti sarà l’Hotel Signum di Malfa con la sua esclusiva Spa. Qui la giovane Martina Caruso, di recente premiata con la stella Michelin, racconterà con un suo workshop, la cucina dei capperi e della malvasia.

l’idea nata dall’orgoglio siciliano

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n grande giornalista britannico dice che per i siciliani il cibo è questione di orgoglio: forse è proprio così. ed è stato proprio l’orgoglio a far nascere l’idea a una giornalista, uno chef e un tour operator, al ritorno dall’ expo 2015. lo abbiamo chiamato “half day workshop”, pensando di raccontare il nostro modo di cucinare e di fare cultura con il cibo agli stranieri e dedicandolo a tutti coloro che non conoscono bene il piacere di prepararsi i cibi con le proprie mani, iniziando dal mercato, il luogo dell’incontro, dei colori e dei profumi. l’ idea è quella conviviale: lavorare insieme, conoscere, divertirci e degustare alla fine con un buon vino nel bicchiere, convinti che il cibo debba dare una mano all’ambiente, e rispondere a nuovi criteri di sostenibilità della produzione e del riuso. e allora, abbiamo pensato di raccontare tutti i segreti della dieta mediterranea ai turisti, e continuare a farlo con i social network, con foto e video. Per i più esigenti, che vogliono rivivere atmosfere d’altri tempi e mettere le mani in pasta con i piatti tipici della tradizione dei monsù, in un palazzo nobiliare ci dedicheremo anche alla cucina dei Vicerè, per celebrare i timballi, la pasta con le sarde, il pesce, i dolci e la cassata. in luglio ed agosto, per sfuggire al caldo, ci trasferiremo alla cala al tramonto per cucinare su un peschereccio il pesce di giornata e raccontare la storia del tonno rosso, il re del nostro mare. il tour tipo prevede l’incontro di buon ora a casa giuffrè nel cuore di Palermo. da lì ci rechiamo al mercato di Ballarò per immergerci tra le voci ed i colori guidati dallo chef Peppe giuffrè, maestro di cucina mediterranea, alla scoperta dei prodotti di giornata, solo quelli consigliati, che ci raccon-

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tano della cultura isolana, dai Fenici agli spagnoli. scopriremo insieme i segreti salutistici della dieta Mediterranea, anche questa parte del patrimonio Unesco da proteggere e diffondere come buona prassi di cucina sostenibile e salutistica. rientriamo, quindi, a casa giuffrè. dopo che i nostri sensi sono stati tutti rivolti ai prodotti del mercato (olive, legumi, frutta, verdure, pesce, pane, cibo di strada, erbe e spezie) a come sceglierli, dove comprarli, vederli, assaggiarli, arriva il momento di trasformarli in ricette salutari e gustose. lo faremo al rientro in cucina, quando, guidati dalla creatività e dalle stagioni, prepareremo un piatto tipico della dieta mediterranea e ne scopriremo tutti i segreti. lo chef Peppe giuffrè ed il suo staff proporranno agli ospiti “l’aperitivo consapevole” e altri piatti mediterranei da scoprire insieme: profumi e sapori dalla terra e dal mare, raccontati e gustati direttamente dai partecipanti del workshop con un occhio attento alla sostenibilità dell’ambiente che ci circonda ed alla salute a tavola. non mancherà una passeggiata nella storia. Per finire ci addentreremo a piedi sino al vicino quartiere dell’olivella per una visita al museo archeologico regionale salinas, che racchiude preziose testimonianze della Palermo Punica e della sicilia antica, per ammirare le prime testimonianze dell’agricoltura nel bacino del Mediterraneo. Visiteremo il riso, museo d’arte contemporanea e le sue esposizioni di artisti mediterranei, oppure andremo alla Fondazione Palazzo Branciforte, per ammirare la collezione archeologica e quella di pupi siciliani donata dalla famiglia cuticchio. Maria laura crescimanno

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Umami il quinto gusto di Giorgia Iannelli

Viene definito come un piacevole gusto “savoury”, cioè sapido o anche saporito, capace di intensificare gli altri sapori e non a caso viene aggiunto a molti cibi confezionati. È l’umami, che nel 1985 la comunità scientifica internazionale ha riconosciuto ufficialmente come quinto gusto base 24

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ra già stato identificato nel 1908 da Kikunae Ikeda, un docente dell’Università di Tokio, il quale l’aveva “individuato” nelle alghe kombu, da cui aveva estratto uno dei componenti responsabili dell’umami, il glutammato monosodico. L’umami è recepito da specifici recettori della lingua pertanto è indipendente dagli altri quattro gusti base (acido, amaro, dolce e salato). Non si tratta dunque di una novità importata da un altro paese, bensì di un sapore che è sempre esistito, ma che il mondo occidentale, a differenza di quello orientale, non è mai stato abituato a riconoscere. Il gusto umami è dato dalla sinergia fra il glutammato monosodico e due nucleotidi, inosina e guanosina. Il glutammato è stato ampiamente demonizzato nel mondo occidentale, probabilmente in relazione alla “sindrome da ristorante cinese”, cioè quella sensazione di malessere che molti provano dopo aver mangiato cinese, o meglio “similcinese” (ovvero l’adattamento dei piatti asiatici al gusto occidentale), e che è stata associata all’abbondante uso del glutammato. Tuttavia gli studi ne hanno

negato la tossicità, collegando invece tale sindrome alla grande quantità di cibi fritti e di oli di dubbia qualità usati nei ristoranti cinesi. È stata anzi dimostrata l’importanza, sia diretta che indiretta, del glutammato per la salute: essendo un sale di sodio, è un valido sostituto del sale da cucina, rispetto al quale dà la stessa sensazione di sapidità con concentrazioni più basse; può essere usato nel trattamento di malattie o stati d’età avanzati in cui si soffre di inappetenza, poiché provoca un aumento della salivazione, necessaria per le funzionalità gustative della lingua, e i recettori preposti alla percezione dell’umami stimolano un’area del cervello definita “centro del piacere”, aprendo l’appetito. Il glutammato, e in misura diversa l’inosina e la guanosina, sono presenti in moltissimi alimenti, sia naturali che lavorati, come formaggi, pomodoro maturo, piselli, mais, alcuni funghi, patate e carni cotte, vari tipi di pesce (tra cui tonno, merluzzo, sgombro), crostacei, molluschi, salumi, uova. È proprio uno dei formaggi più famosi al mondo, il parmigiano reggiano, ad • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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avere la più alta concentrazione di glutammato tra i cibi “occidentali”. Questo perché la stagionatura, così come la cottura e la maturazione, ne aumentano la concentrazione nei cibi. Dunque, piatti per noi assolutamente comuni come pasta con pomodoro e parmigiano, pasta con ragù o pesce, brodi di carne, pollo alla cacciatora, piselli con prosciutto, hanno proprio un sapore umami. Così come l’umami è il gusto caratterizzante di moltissimi piatti della tradizione siciliana: pasta con le sarde, melanzane alla parmigiana, spezzatino alla siciliana, sfincione, pesce stocco alla ghiotta, calamari ripieni al sugo, pasta ’ncasciata, anelletti al forno e così via. C’è anche un vino siciliano particolarmente umami, il Marsala, mentre un altro vino, il Tascante Buonora Carricante, risulta particolarmente adatto a bilanciare questo gusto. Nel mondo orientale gli alimenti più umami sono invece le alghe, soprattutto le alghe kombu, che rappresentano l’alimento in assoluto più ricco di glutammato, i brodi a base di alghe o di pesce essiccato, i funghi shiitake,

soprattutto quelli essiccati, il sushi, la salsa di soia e altri condimenti a base di pesce e crostacei. C’è però un alimento universale, consumato in tutto il mondo, che ha un sapore umami: il latte umano, che contiene quantità elevate di glutammato, responsabile secondo gli studiosi del piacere con cui i neonati lo “poppano”. Viene allora da chiedersi come mai, se siamo abituati a questo gusto fin dalla nascita e se esso è presente nella nostra alimentazione giornaliera, è per noi occidentali molto difficile riconoscerlo. Una delle cause è senz’altro il fattore “culturale”: semplicemente non siamo stati “allenati” a identificarlo. Dall’altro lato il gusto umami non si percepisce immediatamente, ma diventa persistente dopo qualche tempo che è in bocca o ancora di più dopo la deglutizione, motivo per cui viene spesso percepito come retrogusto. Non resta dunque che prendere atto del fatto che i gusti base non sono quattro, ma sono e sono sempre stati cinque. Forse presto apprenderemo che sono sei. Gli studiosi, infatti, stanno esplorando il gusto della “grassezza”.

Stoccafisso a’ ghiotta Ingredienti per 4 persone • 600 gr stoccafisso • 500 gr patate • 400 gr pomodori di Pachino • 50 gr olive verdi • 20 gr capperi • 30 gr di pinoli • 30 gr uvetta passa • cipolla • alloro • farina • olio extravergine di oliva • sale e pepe rosa Procedimento Comprate lo stoccafisso già spugnato e pronto per la cottura, pulitelo, eliminate la pelle, lavatelo sotto l’acqua corrente, tagliatelo a pezzi ed asciugatelo per bene. In tegame versate un bicchiere di olio evo e fatevi rosolare una grossa cipolla tritata finemente. Quando sarà avvizzita unitevi i pezzi di stoccafisso infarinati. Lasciateli cuocere lentamente a fuoco lento basso e quando saranno dorati aggiungete i pomodorini sbucciati, privati dei semi e tritati grossolanamente, le olive snocciolate, i capperi lavati, i pinoli, l’uva passa precedentemente ammorbidita in acqua tiepida e poi strizzata. Salate e pepate, lasciate cuocere per 15 minuti ed intanto mettete a cuocere la patate intere in abbondante acqua salata. Aggiungete le patate bollite “al dente” e tagliate a fette spesse a far cuocere per altri 40 minuti o finché lo stoccafisso non risulterà cotto, scuotendo ogni tanto il tegame.

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la passione estiva per i

cocktail

di Maria Grazia Sclafani

Enrico Marino

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’estate, come la vendetta, va servita fredda. Per celebrare degnamente l'arrivo della bella stagione, quale modo migliore se non sorseggiare un dissetante cocktail? Ne parliamo insieme ad Enrico Marino, quarantenne, appassionato di vini e della buona tavola, assaggiatore certificato Onav (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino) e moschettiere di Armagnac. Con lui abbiamo preparato innovativi accostamenti tra alcoolici e prelibatezze siciliane, uniti a un gusto intenso e rinfrescante, che colpiscono nel segno e non passano mai di moda. Drink freschi e appaganti, ideali per animare le afose notti estive ed esaltare una serata in discoteca o sulla spiaggia. I cocktail dell'estate 2016 vi attendono per essere consumati non solo sulla terraferma, ma anche in mare aperto. Basti pensare a pescherecci e traghetti che di notte organizzano cene a base di pesce e alcolici. “Il trend di quest'anno – spiega Enrico Marino – prevede gustose conferme e abbinamenti inaspettati per un'estate tutta da bere. Tra ultime ten-

Cocktail pompelmo e zenzero

ici Analcol

Questa ricetta è l'ideale per accompagnare un aperitivo romantico oppure una cena a due. Ottimo come bibita dissetante e per accompagnare dolcetti alla frutta fresca e facilissima da preparare. Ingredienti • 100 gr di radice di zenzero • 4 pompelmi rosa • 4 arance • zucchero secondo il gusto • 2 litri acqua naturale Procedimento Sbucciate lo zenzero e tritatelo, sbucciate le arance e il pompelmo. Versate il tutto in un mixer e frullate. Aggiungete l'acqua, lo zucchero e filtrate tutto. Aggiungete del ghiaccio e servite subito. Il pompelmo e lo zenzero sono due elementi ricchi di proprietà benefiche. Per un mix esotico e sensuale consigliamo l'abbinamento a esotici piatti come i gamberi allo zenzero e le banane allo zenzero.

denze e vecchie glorie, i cocktail dell'estate 2016 colpiscono per la loro varietà. Sono drink per tutti i gusti: tropicali, italiani e internazionali, dagli ingredienti selezionati e spesso particolari”. Ma, secondo i barman, a trionfare negli happy hour delle vacanze estive saranno i grandi classici. I cocktail analcolici non sono altro che una miscela proporzionata ed equilibrata di diversi ingredienti non alcolici e aromi. Possono essere di quattro tipi: pre dinner, after dinner, long drink e any time. I primi vengono serviti come aperitivi per stimolare l’appetito. Gli after dinner vengono serviti dopo cena per sostituire o accompagnare un dessert. I long drinks sono dissetanti e caratterizzati dalla presenza di succhi di frutta e bevande gassate, spremute e centrifughe. Gli any time possono essere serviti in qualsiasi momento. Ecco i cocktails in grado di shakerare i nostri sensi e la nostra estate con un sapiente mix di ingredienti alcolici e analcolici accostati ad una ricercata selezioni di prodotti rigorosamente made in Sicily.

Cocktail carote lime e menta Se sei un super sportivo o sei a dieta consigliamo questo cocktail che, è dissetante e nutriente. Grazie alle carote è una bomba di vitamina A, mentre il lime assicura la vitamina C.

Ingredienti • 8 dl di succo o centrifugato di carote • 2,5 cc di acqua minerale • 2 lime • 2 rametti di menta • sale Procedimento Lavate e grattugiate la scorza dei lime e mescolatela con qualche pizzico di sale. Bagnate leggermente il bordo di 4 bicchieri e passateli nel miscuglio di sale e lime, quindi metteteli in frigorifero. Versate il succo di carota in una brocca capiente e diluitelo con l'acqua minerale. Mescolate bene, poi versatelo nei bicchieri tolti dal frigorifero e aggiungete del ghiaccio. Decorate con le foglioline di menta, delle fettine di lime e bastoncini fini di carote, quindi servite. Consigliamo l'abbinamento con cruditè di verdure in pinzimonio.


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Biancosarti spritz

Alcolici

Ingredienti • granita al limone • 40% di Biancosarti • 55% di spumante brut (metodo classico) • mezzo limone (succo) • 1 schizzo di soda Procedimento In un tulipano da vino bianco versare lo spumante ed il Biancosarti, riempire con la granita al limone, ed infine un schizzo di soda e mezzo limone spremuto. Dare mezza mescolata e guarnire con una fetta di cedro. Da accompagnare con delle bruschette con melanzane arrostite, prosciutto affumicato, un pizzico di olio extravergine di oliva ed una spolverata di origano o in alternativa con cucunci e prosciutto crudo.

Alcolici

Gin Tonic Ingredienti • Gin q.b. “a discrezione del cartante” • cubetti di ghiaccio leggermente salati (anche acqua di mare) • polvere di peperone disidratato • acqua tonica • 1 fetta di limone • 1 fetta di cetriolo

Procedimento Prendete un bicchiere highball, impregnate il bordo di limone e passatelo sul peperone disidratato, riempitelo fino all’orlo di ghiaccio salato, versate il gin, colmate con acqua tonica e spremete uno spicchio di limone e guarnite con una fetta di limone. Potete accompagnarlo con uno spiedino alternato di ostriche e cetriolo tagliato a cubi, o con del salmone affumicato su un letto di lattuga cristallina, condita con olio extravergine di oliva, pepe e una spolverata di origano.

Caipiroska alla fragola Ingredienti • 50 ml vodka secca • ghiaccio tritato grossolanamente • 50 gr fragole • 30 gr lime • 20 gr zucchero di canna raffinato • foglie di menta

Procedimento Prendete un bicchiere alto e capiente (tipo fashioned), mettete lo zucchero, il lime e parte delle fragole che avete precedentemente tagliato a cubetti; pestate il tutto delicatamente con un pestello; dopo aggiungete le fragole rimaste ed il ghiaccio tritato, coprite il tutto con della vodka secca; prendete un cucchiaino lungo e mescolate bene. Alla fine guarnite con delle foglioline di menta. Aperitivo fresco di stagione da accompagnare con della frutta altrettanto fresca, come ciliegie, albicocche, in questo periodo anche nespole e gli ultimi mandarini.


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Sicilia

dal gusto tropicale di Maria Rita Pisano

Lungo le coste dell’Isola alcuni agricoltori innovativi hanno scelto di coltivare avocado e mango. Il mercato apprezza la qualità del prodotto locale, ma le quantità sono ancora limitate

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a alcuni anni in Sicilia vengono coltivate con successo piante da frutto subtropicali. E tra queste spiccano mango e avocado. Si tratta di prodotti agricoli considerati di nicchia, ma negli ultimi anni stanno riscontrando interesse tra i produttori della nostra regione. La fascia costiera tirrenica della Sicilia che va da Campofelice di Roccella e Lascari in provincia di Palermo e arriva fino a Milazzo in provincia di Messina, è caratterizzata dalla presenza di coltivazioni arboree di antica tradizione. Olivo e agrumi, rappresentati soprattutto dal limone, coltivati in queste zone litoranee oggi non sono più redditizi come un tempo e per questo è necessario trovare delle valide alternative. In molti casi si tratta di terre vocate alla produzione del mango. I fruttiferi sub-tropicali ed in particolare il mango (Mangifera indica), sono infatti capaci di ambientarsi alle condizioni pedo-climatiche locali e di generare redditi più soddisfacenti per i produttori. C’è poi un’altra zona della Sicilia per la quale si cercano valide alternative alla coltura degli agrumi e che invece, è risultata più vocata alla coltivazione dell’avocado. Si tratta dell’areale compreso tra Fiumefreddo ed Acireale dove il clima particolarmente mite, unito ai terreni vulcanici costituisce il mix ideale per la produzione del frutto tropicale.

Qui, infatti, i frutti dell’avocado riescono a presentare un colore verde intenso e acquisiscono un sapore unico perché l’equilibrio tra calcio e potassio riesce a conferire all’avocado stabilità tra acidi e zuccheri. Il mango, frutto originario dell'India dal gusto tipicamente dolce, ricorda vagamente per forma, consistenza, sapore e aroma un altro frutto delle zone temperate, la pesca. Ma rispetto a quest’ultima ha una pezzatura decisamente superiore. In quanto ad aroma e sapore, poi, le differenze sono decisamente più marcate e al solo assaggio è possibile rendersene conto. È presente sul mercato per gran parte dell’anno, in Sicilia è disponibile da luglio a fine ottobre. Ricchissimo di carotenoidi e di vitamine A, C, ed E, contiene piccole quantità di Omega-3. La presenza di fibre, rende il mango, un buon alleato per combattere la stitichezza e per migliorare la funzionalità del tratto intestinale. È poi un ottimo alleato dell’abbronzatura, grazie alla presenza di betacarotene che stimola la produzione di melanina. Il mango, però, non è consigliabile nei regimi alimentari rigorosi di una dieta dimagrante perché è un frutto piuttosto calorico. A 100 grammi di polpa corrispondono, infatti, circa 55 Kcal e pertanto è più consigliato agli sportivi e a chi studia. Studi scientifici sul mango hanno dimostrato che l’elevata presenza di vitamina A porta benefici ai denti e agli occhi, mentre la presenza di vitamina C rafforza il sistema immunitario e aiuta il corpo ad assorbire il ferro. Questo prezioso frutto, però, vista l’elevata presenza di zuccheri lo rende non idoneo al consumo per chi soffre di diabete. “Il mango è una coltura che si è acclimatata bene in alcune zone della Sicilia e rende molto perché i frutti sono pagati in media 2.80 euro al chilo e 3,50 se bio”, spiega Claudio Monfalcone, Responsabile UO 127 dell’Ispettorato Provinciale dell'agricoltura di Palermo. “Questa coltura – continua Monfalcone - al quinto anno di età può rendere fino a 12 mila euro per ettaro per arrivare ai 60-70 mila euro del-

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l’undicesimo anno. Se si considera un costo d'impianto di circa 30 mila euro per ettaro e che i costi di manodopera si attestano intorno 5 mila euro all’anno, il punto di pareggio si raggiunge già a partire dal quinto anno”. Come si coltiva il mango? La superfice a disposizione determina lo spazio di espansione della pianta che può raggiungere anche i 30 metri di altezza ed i 10 metri di diametro della chioma. Bisogna poi fare attenzione alla posi-

pora scuro a maturazione completa. La polpa ha il tipico sapore tendente al nocciola. La produzione inizia a settembre-ottobre e si protrae fino ad aprilemaggio. L’avocado, o “aguacate” come viene chiamato in spagnolo, vanta proprietà nutritive molto interessanti. Ricchissimo di betacarotene (il precursore della vitamina A), potassio, vitamine del gruppo B e dell'antiossidante glutatione, è in grado di contrastare nei globuli rossi i processi ossidativi. L’avocado è ricco,

Zuppa di mango con pomodoro e gamberetti Ingredienti

zione dell’impianto che deve essere posto al riparo dal vento che può far cadere i frutti. Il seme del mango viene piantato dopo la germinazione, che avviene dopo circa due settimane dalla raccolta del seme. Esso va trattato: si raschia il seme, si avvolge in un panno e quindi si conservare in un luogo caldo e soleggiato. Un altro frutto subtropicale che, viste le richieste del mercato e i prezzi raggiunti, riscontra sempre più interesse tra i produttori siciliani, è l’avocado. La zona di maggiore coltivazione è la zona vulcanica della Sicilia. Tra i paesi vocati alla produzione di avocado sono Giarre, Giardini Naxos, Fiumefreddo, cioè la zona alle pendici dell’Etna. È, infatti, la presenza di preziosi microelementi tipica dei terreni vulcanici a conferire all’avocado un sapore unico, ma anche colore, compattezza, e cremosità apprezzata dai consumatori. Persea americana – questo il nome scientifico dell’avocado - predilige terreno da sabbioso ad argilloso. Il frutto con pezzatura variabile tra i 140 e i 400 grammi ha forma di pera, presenta buccia mediamente spessa con tessitura rugosa e colore verde scuro fino a quando si trova sulla pianta che tende poi al por• MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

inoltre, in grassi, proteine, amidi, fibre e fosforo. È un ottimo alleato per la riduzione del colesterolo, ed è anche una buona fonte di energia: in 100 grammi di questo frutto si trova il 7 % di zuccheri, il 19% di grassi e circa il 2% di proteine per un totale di 230 calorie. Il frutto si presenta di consistenza burrosa e sapore delicato, con note di noce e pera. Secondo la varietà viene raccolto in diversi periodi dell'anno, spesso prima della completa maturazione, rallentata sulla pianta dall'inibizione dell'etilene. È venduto sul mercato con un prez zo medio di 2,50 euro se si tratta di prodotto bio. Ma come va coltivato l’avocado? L'albero adulto si attesta intorno ai 10-12 metri ed è scarsamente autofertile, per cui per ottenere una buona produzione in giardino serviranno due piante, così da assicurare l’impollinazione incrociata. Partendo dal seme, la tecnica più comune per la coltivazione, è quella di immergere per metà il seme in un bicchiere d’acqua, trattandolo con breve taglio con 3-4 stuzzicadenti. Quando, dopo 10-12 settimane, saranno spuntate le radici e un germoglio di almeno 10 cm, potrete interrare in terreno ben drenato.

• 2 manghi • 500 gr pomodoro maturo • erba cipollina • brodo vegetale • olio d'oliva extravergine • sale e pepe q.b. Per la guarnizione • 200 gr di gamberi • 1 avocado • 1 mango • miscela di spezie con zenzero, chiodi di garofano, cannella, anice e cumino Procedimento Pelate i pomodori e il mango; pulire le cipolle e tagliatele a dadini. In una casseruola, aggiungere un filo di olio d'oliva, il calore e friggere i diversi ingredienti, mango, pomodori e scalogno e taglio. Sale e pepe e aggiungere il brodo vegetale. Lasciate cuocere a fuoco lento per venti minuti. Servire il piatto caldo. Per la guarnizione Pulire il mango e avocado e tagliate a dadini. Sbucciare i gamberetti. In una padella, aggiungere l'olio d'oliva e soffriggere questi ingredienti. Versare in un piatto la nostra zuppa di pomodoro con mango e guarnire con i gamberi saltati.

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L’ortoe la a cura di Alessandro Iannelli

PEPERONE Come tutte le solanacee necessita di esposizione solare, prospera però in ambienti un po’ più umidi e caldi rispetto ad altre piante della famiglia. È ricco di carotenoidi, utili a prevenire alcune malattie dell’occhio, nonché di antiossidanti che contrastano l’invecchiamento cutaneo; contiene buone quantità di ferro, calcio e vitamine A e C nonché quasi tutte quelle del gruppo B che regolano diversi processi del metabolismo cellulare. Come coltivarlo. È esigente in fatto di terreno: predilige un fondo neutro o subacido, di medio impasto, ricco di calcio e magnesio, da non lasciare mai troppo asciutto. Seminate a febbraio, ponendo 2-3 semi ogni 30-40 cm. Dopo un paio di mesi è utile pacciamare il terreno e dare un concime ad alto tenore di azoto. La produzione di frutti comincerà lo stesso anno, ad agosto e settembre. FICO D’INDIA Originario del Messico, nel nostro immaginario è da sempre parte integrante anche del paesaggio siciliano. Matura fra agosto e ottobre, è possibile inoltre in-

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durre una produzione tardiva di pezzatura più grande, quella dei cosiddetti “bastardoni”, staccando i frutti in maturazione durante l’estate. Ricco in polifenoli, fibre e sali minerali - in particolare potassio e magnesio - può contribuire a regolarizzare la glicemia e le funzioni intestinali. Come coltivarlo. Sarà sufficiente staccare un cladodio (cioè una “pala”) da una pianta, praticare poi dei taglietti perpendicolari alla base e interrarlo per circa 5 cm: dopo qualche settimana verranno emessi nuovi

cladodi o fiori, a seconda del periodo. L’operazione può essere condotta anche d’inverno, ma in tal caso dovrete attendere il risveglio vegetativo in primavera. GELSO NERO Dal delicato gusto zuccherino, matura scalarmente fra giugno ed agosto, contiene vitamine A e C, è ricco di ferro e soprattutto di antociani: antinfiammatori e antipertensivi, contrastano la fragilità capillare e i danni causati alla pelle dai raggi solari. Rispetto al gelso bianco si adatta meglio ai climi caldi. Come coltivarlo. Sconsigliamo di partire dal seme, perché servirebbero anche 10 anni per vedere dei frutti. Meglio acquistare una piantina in vivaio, specificando il nome scientifico, Morus nigra, per evitare ambiguità, dato che alcune varietà di Morus alba, il gelso bianco, producono anche frutti neri. Mettere a dimora a fine inverno, innaffiare una volta a settimana, più spesso nei primi mesi successivi al trapianto e nel periodo di maturazione dei frutti. Una potatura ogni 2-3 anni, in autunno, stimola la produzione di un maggior numero di nuovi rami, quelli che in genere portano i frutti. • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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frutta d’estate FICO Costituiva un mistero per i naturalisti greci perché apparentemente non porta fiori: in realtà ci sono ma si sviluppano all’interno del ricettacolo, quest’ultimo ingrossandosi dà poi luogo ad un tipo di falso frutto detto siconio. L’impollinazione avviene ad opera di una piccolissima vespa, la blastòfaga. In età moderna sono state selezionate varietà partenogenetiche, le più comunemente coltivate oggi, in grado di sviluppare il frutto senza l’intervento di impollinatore. Il fico è bifero, cioè produce frutti in due periodi dell’anno: fra giugno e luglio i fioroni, più grandi e scuri; da agosto ad ottobre i forniti, superiori per sapore. Ricco di potassio e magnesio, risulta prezioso prima un’attività fisica intensa, per l’alto contenuto in zuccheri e per la presenza della vitamina B6, che promuove il rilascio di glicogeno. Come coltivarlo. Piantate i semi a febbraio o marzo, si raccomanda di acquistarli per essere sicuri di

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ottenere una buona varietà. Se optate per una piantina, interratela fra novembre e marzo. Dotato di profonde e robuste radici, il fico si adatta a terreni compatti e calcarei e la pianta adulta non necessita di irrigazioni.

SUSINE Vengono incluse sotto questa denominazione il susino europeo o prugna, violaceo e ricco di antociani, ed il susino giapponese, rosso o giallo, leggermente più adatto ai climi caldi. Ricco di potassio, vanta buone quantità di calcio, fosforo, magnesio e vitamine A, C e del gruppo B. La maturazione è compresa fra giugno e settembre, a seconda delle varietà: tra quelle siciliane segnaliamo il prugno di Monreale meglio noto come Sanacore, tardivo (matura fra la seconda metà di agosto e i primi di settembre), coltivato nella Conca d’Oro: ovale e di colore giallognolo, con leggero retrogusto di mandorla amara, è presidio slow food e prodotto agroalimentare tradizionale riconosciuto dal ministero. Come coltivarlo. Seminate a fine estate scarificando il seme, che germoglierà in primavera. Se acquistate la piantina, mettetela a dimora durante il riposo vegetativo e innaffiate regolarmente d’estate, evitando però ristagni idrici.

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Portulaca un tempo pianta medicinale per gli Egizi, antinfiammatoria per eccellenza, oggi protagonista di insalate estive

di Alessandro Iannelli

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molti orticoltori capita di trovarsela intorno, estirparla in preda a frustrazione e vedersela ricrescere nel giro di pochi giorni, senza avere idea di poterla consumare. La portulaca, detta anche erba porcellana per l'aspetto lucido delle foglie ovali, è una pianta succulenta e spontanea, infestante negli orti, estremamente coriacea grazie alle profonde radici. Il nome scientifico, Portulaca oleracea, si deve alla capsula, in latino “portula”, da cui cadono i semini neri all'appassire del fiore. Originaria delle aree subtropicali dell'Asia centrale, era usata già dagli Egizi come pianta medicinale e in tal senso è citata anche da Plinio il Vecchio. Ha portamento tendenzialmente prostrato, può comunque raggiungere un'altezza di 40 cm. Il suo ciclo è annuale: comincia a svilupparsi in primavera e fiorisce in maniera scalare da giugno a ottobre, per spegnersi nel tardo autunno. Presente dall'antichità su tutto il territorio italiano e comune anche in Sicilia, preferisce le aree irrigue ma ha sviluppato meccanismi - come la fotosintesi a stomi chiusi - che le permettono di resistere in condizioni di siccità. Può crescere pressoché in ogni anfratto, incluse le crepe dei marciapiedi, per cui non è semplice indicare un areale di ricerca in aperta campagna ma vanno comunque battute di preferenza le aree soleggiate e calde, predilette dalla portulaca. Come per ogni pianta alimurgica, si sconsiglia la raccolta in zone inquinate, presso canali di scolo o in terreni che potrebbero essere stati trattati da pesticidi. Tutta la pianta, fiori inclusi, è commestibile. Si consumano di norma le foglie e il fusto (di preferenza i getti apicali, più teneri), sia crudi in insalate

L’Euforbia prostrata è simile alla portulaca, ma è tossica

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“Purciddana” in pastella Ingredienti per 4 persone 300 gr di portulaca (fusto e foglie insieme) 3 uova 200 gr di farina 150 gr di pangrattato 100 gr di caciocavallo 30 gr di semi di finocchio olio per frittura (circa 250 ml) Procedimento Lavate abbondantemente la portulaca, tagliate in rametti di 3-4 cm, sbollentate per 3-4 minuti e riponete su uno scolapasta; preparate la pastella con gli altri ingredienti (olio escluso ovviamente) mescolandoli per bene, lasciate dunque riposare per mezz’ora; mettete a scaldare l’olio a fuoco medio in padella ampia e pro-

fonda e dopo un paio di minuti cominciate ad immergere singoli rametti di portulaca nel preparato e poi poneteli in padella, non più di 3-4 per volta, lasciandoli fino a doratura (circa 4-5 minuti) e riponendoli poi in un contenitore profondo ricoperto da tovagliolini o da un panno pulito, per assorbire l'olio in eccesso. Lasciate riposare qualche minuto, poi servite.

che in minestre (a cui conferiscono densità per l'alto contenuto in mucillagine), o ancora in pastella come i fiori di zucca e in varie frittate; si può inoltre conservare sott’aceto o usare come erba aromatica per condire primi piatti e insalate di riso. Si può essiccare o mettere in conserva per un consumo fuori stagione. Viene usata anche come foraggio per il pollame (lo fanno in Grecia). Potete decidere di raccoglierla per il gradevole sapore rinfrescante, acidulo e leggermente salato, con note di piccantezza, ma interessanti sono anche i valori nutrizionali: oltre che per il contenuto in mucillagine, sfruttato soprattutto in passato per contrastare infiammazioni intestinali ed urinarie, si caratterizza per la ricchezza di vitamina A e C, mentre fra i sali minerali spiccano potassio, manganese, magnesio e ferro e, fra gli antiossidanti, flavonoidi e betalaine, dalle proprietà antitumorali, nonché l'acido Omega3 α-linolenico (solo nel consumo crudo, con la cottura si degrada), che fornisce un contribuito nella riduzione del colesterolo nelle arterie, seppur non in modo paragonabile agli Omega-3 contenuti in alcuni pesci. Le foglie, diuretiche, vermifughe e rinfrescanti, sono inoltre usate in impacchi antinfiammatori. Ai raccoglitori di erbe poco esperti si raccomanda attenzione: d'aspetto simile alla portulaca sono le tossiche euforbie, su tutte l'Euphorbia prostrata. I fiori non sempre aiutano il riconoscimento, per la notevole varietà nel genere Euphorbia (quelli della E. prostrata sono comunque molto piccoli e pelosi, mentre quelli della portulaca si presentano a 5 petali, di diversi colori e leggermente bilobati). Per evitare pericolose confusioni si deve ricordare che la portulaca è glabra in ogni sua parte, a differenza delle euforbie, munite di peli bianchi su foglie e fusto. Entrambe le specie possono presentare entrambe foglie con bordo rosso, ma l'Euphorbia prostrata le ha seghettate e a gruppi di due con profilo simmetrico, nella portulaca presentano bordo liscio e si sviluppano per lo più in gruppi di 4. Il fusto di portulaca, di colore fra marroncino e rosso intenso, può svilupparsi in altezza fino a 40 cm, quello dell'Euphorbia prostrata è del tutto schiacciato sul terreno e, spezzandolo, rilascia una sostanza lattiginosa. La portulaca, per il suo sapore e poiché si sviluppa in un periodo in cui si prediligono piatti freddi e crudi, rappresenta un ideale complemento di insalate miste. In Sicilia, dove la pianta viene chiamata “purciddana”, si prepara la semplice e rinfrescante insalata ferragostana a base di pomodoro, cetriolo, portulaca e cipolla. Inusuale oggi, ma discretamente diffuso un tempo proprio nella nostra regione e a cui ben si presta la portulaca è poi la preparazione di un fritto pastellato, una ricetta semplice che sorprenderà i vostri ospiti.

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Dal Maghreb a Trapani è sempre di Martina Comito

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li Arabi ci hanno lasciato numerosi vocaboli tuttora in uso nel dialetto siciliano, l'arte e alcuni piatti tipici. Tra questi il più diffuso è il cous cous nome che in dialetto diventa “cùscusu”. La pietanza, piatto tradizionale di tutto il Maghreb dove l’agricoltura generalmente si basa sulla coltivazione dei cereali, è molto diffusa anche nell'Africa occidentale, in Oriente, in Belgio e in Francia dove è secondo piatto preferito dei cugini d’Oltralpe. Secondo la leggenda il cous cous ebbe origine ai tempi di Re Salomone che, a causa delle sue pene d’amore, passava le notti insonni, smaniando e deperendo a vista d'occhio. Il medico di corte, vedendo che il sovrano si spegneva sempre più giorno dopo giorno, decise di preparare un impasto di se-

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cous cous mola di grano duro insaporito da alcune essenze vegetali. Il re a più riprese se ne cibò, riprese vigore e poté finalmente regnare in pace. Per gustare la migliore versione siciliana del cous cous bisogna andare nella provincia di Trapani. Il “cuscusù” di pesce è un piatto tipico inserito nei menù di ristoranti e trattorie a Favignana e San Vito Lo Capo e a Trapani. Qui è un piatto di uso quasi quotidiano anche nelle famiglie. La semola è incocciata e poi cotta a vapore in una speciale pentola forata di terracotta smaltata così come si fa nei paesi del Maghreb, ma il condimento è diverso: al posto delle carni e delle verdure, nel trapanese si condisce con un brodetto di pesce misto di scorfano rosso, scorfano nero, cernia, pesce San Pietro, boghe, gallinella, luvaro, e anguilla delle saline della zona, insieme a qualche gambero o scampo. Il cous cous nel trapanese è così tanto amato ed

è così radicato nella tradizione gastronomica locale che dal 1998 è al centro di un vero proprio festival mondiale. Durante il Cous Cous Fest di San Vito Lo Capo, che molti definiscono uno dei degli eventi gastronomici più interessanti dell'estate, ogni anno grandi chef siciliani insieme a quelli provenienti da diversi paesi stranieri partecipano a una grande festa in piazza preparando il tipico piatto alla presenza di un pubblico numerose che arriva da ogni dove. La degustazione delle diverse versioni di cous cous avviene in piazza o lungo l’incantevole spiaggia di San Vito e una giuria assegna il Premio per miglior Cous Cous. L’appuntamento che si rinnova ormai da diciannove anni e che viene definito dagli organizzatori il Festival del’Integrazione Culturale, quest’anno si svolgerà dal 16 al 25 settembre. I vincitori della scorsa edizione sono stati l’Italia e le Isole Mauritius.

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La preparazione del couscous è molto delicata e richiede attenzione nei particolari. Si parte dalla un chilogrammo di semola di grano duro macinata non troppo fine, un cucchiaino di sale e mezzo bicchiere di olio. Dopo avere amalgamato per bene tutti i composti all'interno di una ciotola, si inizia a versare l'acqua (in media 6 bicchieri e comunque quella che viene assorbita dal composto) e mescolare il tutto. Altra fase importante è il momento della raschiatura che consiste nel mettere il composto all'interno di un passino con dei buchi grandi e lasciar far cadere la semola. A questo punto la semola incocciata va cotta a vapore nella cuscusiera.

Turbantino di cous cous agli aromi di campo, scorzette di agrumi e pistacchi di Bronte Ingredienti • 500 gr di semola di grano duro • 2 cipolle • 150 gr di pomodorini secchi • 200 gr di mandorle pelate e tostate • 3 arance • 3 limoni • 50 gr granella di pistacchio di Bronte • 1 rametto di foglie di menta fresca • 1 mazzetto di basilico • 4 foglie di alloro • sale, pepe • olio extravergine d’oliva Procedimento Dopo aver ottenuto la semola a piccoli grani condire con olio, pepe e alloro. Nella pentola inferiore della cuscusiera mettere l’acqua, olio di oliva, cannella, alloro, buccia d’arancia e di limone. A cottura ultimata stendere il couscous in una teglia affinché si raffreddi. Affettare a julienne le cipolle e metterle a stufare in padella con olio d’oliva, aggiungere i pomodori secchi tritati, il succo di tre arance e due limoni. Continuare a cuocere per qualche minuto. Unire il composto al couscous insieme ai pistacchi e mandorle tritate, la menta fresca e il basilico tagliato a julienne. Condire con sale, pepe e, se necessario, aggiungere il rimanente succo di agrumi e un filo d’olio d’oliva. Guarnire il piatto con scorzette di agrumi e granella di pistacchio. Ricordate di servirlo freddo.

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Insalata di cous cous al tonno e polpi Ingredienti • 500 gr di semola a grana grossa • 300 gr di polpo • 1 cipolla • 1 peperone giallo • 1 peperone rosso • succo di 1 limone • 200 gr di tonno sott’olio • alloro, foglie di sedano • 6 foglie di menta • 6 foglie di basilico olio extravergine di oliva, pepe, sale Procedimento In un recipiente versare la semola poco per volta e con poche gocce di acqua salata (roteandola con la mano) ridurla a piccoli grani. Condirla con un trito di cipolla, mezzo peperone giallo, mezzo rosso e sistemarla in un contenitore di terracotta (la così detta cuscusiera) con qualche foglia di alloro. Cuocere il couscous a vapore per un’ora e mezza mettendo nell’acqua di ebollizione gli odori (sedano, carota, chiodo di garofano, pomodoro) e saldare la pentola del brodo con la cuscusiera con la pasta di pane in modo che il vapore non esca. Versare la semola in una zuppiera e lasciare raffreddare. Bollire il polpo e tagliarlo a rondelline, sgocciolare il tonno e sbriciolarlo. Mettere nel mixer i peperoni rimasti, la menta, il basilico, il prezzemolo, il succo di limone, un bicchiere d’acqua, sale, pepe, olio e frullare fino ad ottenere un impasto liquido e omogeneo. Con questo sugo condire il couscous e lasciare riposare per un’ora. Unire il polpo, il tonno e servire freddo decorando foglie di menta, basilico e prezzemolo.

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saporidisicilialacucinadicasadisaporidisicilia

antipasto

Melanzane a canazzo

Ingredienti • 4 patate • 2 melanzane nostrane • 2 pomodori • 2 cipolle • olio extravergine d’oliva • sale e pepe q.b. • ½ bicchiere di aceto bianco • 1 cucchiaio di zucchero di canna

Affettate la cipolla a mezzelune sottili e mettetela a soffriggere a fiamma bassa in una casseruola con dell’olio d’oliva. Intanto pelate e lavate le patate, poi tagliatele a tocchetti medio-grandi ed aggiungeteli alla cipolla. Lavate i pomodori, tagliateli a metà ed aggiungeteli al resto. Aggiungete un po’ d’acqua calda. Pulite la melanzana, lavatela e tagliate anch’essa a pezzetti medio-grandi. Salate, aggiungete dell’acqua calda fino quasi a coprire il tutto, aggiungete un bel ciuffo di basilico, coprite con un coperchio e lasciate cucinare per 15-20 minuti. In ultimo, aggiungete un bel ciuffo di foglie di basilico spezzettate. Servite il canazzo tiepido o freddo con un filo d’olio a crudo ed una spolverata di pepe nero.

Pasta con muddica atturrata

primo

Ingredienti • 350 gr di pasta lunga (spaghetti o linguine) • 2 spicchi d’aglio • 200 gr di pangrattato • olio extravergine di oliva • sale • pepe • prezzemolo tritato

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Preparate la “muddica atturrata” facendo abbrustolire in un padellino il pangrattato con l’olio e mettetelo da parte. Poi, mettete nella stessa una padella, due spicchi d’aglio sbucciati e schiacciati e mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva e fatelo soffriggere, prestando attenzione che non bruci. Appena l’aglio comincia ad imbiondire togliete la padella dal fuoco, salate, pepate, togliete l’aglio e mettete da parte. Cuocete la pasta in abbondante acqua bollente salata, scolatela al dente, versatela nella padella con l’olio e amalgamate il tutto. Se necessario, aggiungete qualche cucchiaio di acqua di cottura della pasta. Spolverate con la “muddica atturrata” e con il prezzemolo tritato e servite fumante.

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Polpette di pane al sugo Ingredienti Per le polpette (circa 25 pezzi) • 500 gr di pane raffermo • 400 gr di latte (per ammollo) • 1 uovo • 1 mazzetto di prezzemolo • 1 spicchio di aglio • olio di semi per friggere Per il sugo 2 lattine di pomodori a pezzi (o pelati), 2 spicchi di aglio, 1 cipolla, 1 gambo di sedano, 1 carota, 2 cucchiai di olio, sale e pepe

Tagliate il pane a fette, mettetelo in una ciotola e bagnatelo abbondantemente con il latte. Lasciate per 10 minuti, poi scolate il latte in eccesso, strizzate forte il pane e sbriciolatelo con le mani. Tritate il prezzemolo e l'aglio e aggiungeteli al pane insieme all'uovo, salate, pepate e impastate fino ad ottenere un impasto compatto con cui formerete delle polpette di media grandezza che friggerete nell'olio caldo finché saranno dorate. Asciugate sulla carta assorbente e mettetele da parte. A questo punto per preparare il sugo pulite le verdure e tritatele grossolanamente. Fatele appassire nell'olio quindi versate il pomodoro e mezzo bicchiere di acqua, salate, pepate e cuocete a fuoco basso per 40-45 minuti. Ponete le polpette nel sugo e servite calde.

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secondo

Crostata con albicocche e pistacchi dessert

Ingredienti • 300 gr di pasta frolla (potete usare la vostra ricetta preferita), • 4 cucchiai di marmellata di albicocche • circa 12 albicocche circa ben sode e mature • una manciata di pistacchi sgusciati e non salati

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Rivestite la teglia con carta forno, imburrate ed infarinate i lati. Stendete la frolla ad uno spessore di circa 4 mm e foderate con essa la teglia. Ritagliate bene i bordi e bucherellate il fondo con una forchetta. Lavate e asciugate bene le albicocche. Distribuite un paio di cucchiai di marmellata sul fondo e poi disponete le albicocche dopo averle tagliate a metà. Stemperate la marmellata restante con qualche goccia di succo di limone e spennellate i frutti. Distribuite pistacchi tritati grossolanamente al coltello sopra le albicocche infornate a 180° per circa 40 minuti o finché i bordi non saranno dorati. Servitela a temperatura ambiente.

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ballarò

la poesia di un mercato di Vanessa D’Acquisto

Ci sono luoghi in città dove il tempo sembra essersi fermato, dove si è avvolti da odori e da suoni che ci proiettano in tempi e in luoghi a noi lontani. Sono i tradizionali mercati di Palermo

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urante la dominazione araba, Palermo subì una trasformazione tuttora visibile. La divisione della città in quartieri fece in modo che, all’interno della città, si creassero delle zone che ricoprissero una funzione specifica: il governo della città, la professione della fede, i bagni, i giardini e i suq. Ed è in uno di questi quartieri, nell’Albergheria, che sorge uno dei più grandi mercati della città: Ballarò. Questo mercato di “grascia” (ossia di prodotti alimentari), secondo alcuni scrittori del passato deve suo il nome ad una lapide posta dai romani in ricordo di una battaglia vinta contro i Cartaginesi. La lapide portava l’iscrizione “Bell. Rom.” (abbreviazione di Bellum Romanorum) che il popolo storpiò, appunto, in “Ballarò”. Ma storici e studiosi siciliani non appoggiano pienamente questa ipotesi e sono più propensi ad accettarne altre due sull’origine del nome. La prima afferma che il nome derivi dall’arabo “segeballarath”, nome composto da “sege”, cioè sede, e “ballarath”, fiera o mercato. Secondo lo studioso Gaspare Palermo, il nome era in uso fino al tempo di Federico II, e il Marchese di Villabianca riferisce che il nome fu cambiato in Ballarò dopo la guerra del Vespro del 1282. Secondo Michele Amari, invece, il nome deriva da “suq-al-Balarî”, ossia il

luogo di vendita delle mercanzie provenienti dal casale “Balharâ”, villaggio di contadini vicino a Monreale. I prodotti che venivano venduti nel mercato provenivano dai villaggi agricoli situati lungo il fiume Kemonia e dai giardini che all’interno della città erano posti lungo lo stesso fiume. Formato principalmente da vie strette e tortuose, il mercato fu soggetto a una prima modifica nel 1468, quando il senato palermitano tentò di acquistare alcune case da abbattere per lasciar posto a una piazza principale. Le spese, però, non erano sostenibili e la proposta fu abbandonata. L’idea fu poi ripresa nel 1784, ma fu bocciata per la scarsa resa del progetto: la strada lunga e stretta non sarebbe potuta diventare una piazza, bensì un largo viale che non avrebbe smaltito l’affluenza di persone. Nel 1794 si decise di scegliere un altro luogo destinato ad ospitare la piazza. Si scelse il piano del convento del Carmine (l’attuale piazza Carmine), allungando e ingrandendo così il mercato. Da quel momento Ballarò non fu sottoposto ad altre sostanziali modifiche strutturali. Con l’espansione della città tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il mercato subì un graduale spopolamento fino a una battuta d’arresto delle attività

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Panelle Ingredienti • 500 gr di farina di ceci • 1,5 lt di acqua • prezzemolo, limone • sale e pepe q.b. Procedimento Fate sciogliere la farina a freddo nell’acqua. Appena sarà sciolta, cuocete a fuoco moderato, unite il prezzemolo e girate fino a che il composto sia solidificato. Versate tutto il composto su una superficie liscia e umida, preferibilmente di marmo, e lasciate raffreddare e solidificare per bene. Appena il composto è freddo e solido tagliare a fette quadrate o triangolari di medio spessore e friggetele in abbondante olio bollente. Servite ben calde condite con sale, pepe e limone e accompagnate da pagnotte con sesamo. commerciali durante la seconda guerra mondiale. L’esodo della popolazione nel secondo dopoguerra verso le nuove periferie non intaccò la vitalità di Ballarò, che, invece, lentamente riprendeva la propria attività. Ai giorni nostri, Ballarò vive una seconda vita, grazie anche alla presenza di nuovi cittadini provenienti da ogni parte del mondo, che conferisce al mercato quella multiculturalità tipica delle grandi metropoli del mondo. Camminando tra le bancarelle è un brulicare di colori, odori e voci. Ogni mattina il venditore allestisce il suo teatrino. Costruzioni di casci e casciteddi su cui viene esposta la merce in vendita; lampadine accese anche di giorno per mettere in risalto i colori dei prodotti; ombrelloni aperti fino a coprire per intero la via. La frutta e la verdura è divisa sui banconi per tipologia e cromatura; il pesce è disposto sulle balate di marmo e coperto dal ghiaccio per mantenere la sua freschezza; la carne è esposta nei banconi frigoriferi mobili e appesi sui ganci dietro di essi, tutto questo fuori dalle botteghe. E dopo, il venditore inizia la sua cantilena, la sua “abbanniata”, per pubblicizzare la sua mercanzia e attirare il compratore. Di • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

sera, quando la giornata di vendita è finita, il mercato si trasforma. Tavoli e sedie prendono il posto della bancarelle; birra, vino, vari liquori, street food palermitano prendono il posto di frutta, verdura, carne e pesce. Adesso sono i locali e le piccole taverne che offrono ai clienti i loro prodotti, dando la possibilità a chi decide di sedersi ai loro tavoli di passare una serata in compagnia, libera da pensieri e preoccupazioni. Chi non vuole sedersi ai tavoli e sulle panche non è detto che debba andare via. Si trovano posti di fortuna, come le cassette di plastica della frutta o quelle delle birre, e si continua così la serata. Come di giorno, gente di ogni classe sociale, età e luogo di provenienza affolla il mercato uniti dal desiderio di stare insieme e condividere un attimo di spensieratezza. Tutto ciò non dura fino a tardi. Nel rispetto degli abitanti della zona, la piazza si spegne ed è sgombrata e ripulita anche da coloro che prima la frequentavano; le casse della frutta e della birra messe al loro posto, le bottiglie buttate nei cestini. Il mattino dopo il mercato ricomincia la sua attività, come una giostra che gira senza sosta nel tempo.

Cazzilli Ingredienti 500 gr di patate farinose prezzemolo o menta olio extravergine di oliva o per friggere sale e pepe q.b. Procedimento Lavare e lessare le patate intere e con la buccia in acqua salata; scolatele e lasciatele raffreddare. Pelate le patate e passatele al passaverdura per ottenere una purea fine e senza grumi a cui unirete il sale, il pepe, il prezzemolo tritato o, se preferite, la menta. Una volta ottenuto un composto omogeneo prendendo di volta in volta piccole quantità formate con le mani unte d’olio d’oliva i cazzilli che, in attesa di essere fritti, verrano disposti su un vassoio. Friggete le cazzille in olio extravergine di oliva (oppure di arachide) a circa 175°-180° e servite caldissime.

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Peccati di gola dolci e salati

di Maria Grazia Sclafani

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oltanto chi lo ha vissuto in prima persona, può comprendere quale soddisfazione si provi nel creare qualcosa con le proprie mani. Quello del creare e del trasformare è un talento che appartiene a Mamma Andrea, al secolo Andrea De Cesare, che ci accoglie nel suo atelier del gusto, in un’ala di Palazzo Sammuzzo, un tempo dedicata alla lavorazione del tonno. Ci vuole un pizzico di coraggio ma anche una passione che non conosce riposo e tanta fantasia per dare un’energica sferzata alla propria vita e reinventarsi in un settore completamente nuovo. Sono questi gli ingredienti de “I peccatucci di Mamma Andrea”. Agrumelli, canditi d’arancia ricoperti di cioccolato, pasta reale declinata in modo esclusivo, soffici e ricercati “peccatucci”, “sospiri”, gelée di frutta e vino; e ancora marmellate extra di rari agrumi siciliani, confetture classiche o stravaganti con e senza zucchero aggiunto, creme di latte, creme fondenti, mieli, conserve di frutta secca, gelatine coloniali, gelatine di vino, liquori. Queste alcune delle specialità dolci. La selezione salata, invece, è ideale per creare sfiziosi primi piatti o per arricchire qualsiasi preparazione, imperdibile pomodoro secco e mandorle, carciofi e pistacchio o la crema al finocchietto selvatico. Aprire una scatola di Peccatucci è di schiudere uno scrigno dove cura artigianale, continua ricerca, attenta selezione delle materie prime e creatività si fondono per esprimersi in preziose delizie dolci e salate. “I Peccatucci di Mamma Andrea” si iniziano a gustare già con gli occhi, con emozione che poi evolve in meraviglia quando si iniziano a scartare le preziose confezioni o si prendono tra le mani i gioielli sotto vetro vestiti di merletti vezzosi e nastri delicati. LA StorIA Se glielo domandate, Mamma Andrea risponderà che mai e poi mai avrebbe pensato di diventare un'imprenditrice, men che meno nel settore dolciario anche se, confessa, “sono sempre stata una golosa. So già in quale girone dantesco andrò a finire!”

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Nata a Cagliari, dopo una travagliata parentesi romana, Andrea diventa siciliana per scelta e per amore. “Nel 1976 mi ritrovai in Sicilia, con una bambina piccola che cresceva insieme a me. Qui pensavo che nessuno mi avrebbe mai trovata. Ero scenografa e insieme a Danilo Dolci portavo in giro il suo teatro sperimentale. E' stato il teatro a farmi incontrare Giacomo, il mio secondo marito, avvocato che frequentava un corso di mimo. Fu subito amore. E l'inizio di una nuova vita”. Nel 1986 arriva la svolta: il Teatro Partinico rimane definitivamente senza soldi e Andrea deve reinventarsi. ”Fui invitata ad una cena di Capodanno a casa di amici – ci racconta Andrea - preparai una torta “scenografata”, di grande impatto visivo. Tra gli invitati di quella sera, c'era anche un ricco imprenditore che mi fece una proposta: avrebbe comprato ben 100 di tutti i dolci che sarei stata in grado di proporgli. Ne inventai 47 tipi diversi. Fu di parola. Li acquistò tutti. Erano nati “i peccatucci”.

La creatività e la passione per i sapori del passato suggerirono di recuperare le ricette della tradizione culinaria siciliana ormai andate perdute e di reinterpretarle con il gusto estetico tipico della tradizione sarda. Ricorda Mamma Andrea: “Un salto nel tempo: ecco cosa mi chiedevano le donne della borghesia palermitana che venivano in negozio per svelarmi le loro ricette. La cosa buffa era che mi raccontavano lo stesso piatto, ognuna in maniera diversa. Il loro desiderio era di rivivere la dolcezza della loro infan-

zia”. E allora ritornava l'esperienza da scenografa. Era come se, leggendo un testo teatrale, Andrea dovesse tradurlo in forma. E nel tradurlo, tradirlo un po'. “Perché la cucina siciliana mi sembra rude, “volgare” e allora – ci confida Andrea - subentrava il mio tocco sardo, più attento all'estetica”. Mamma Andrea ha così, trovato un mondo antico e nuovo, pieno di teatralità per l’affermazione della ricchezza nella tavola della domenica o, in quella delle grandi feste popolari e religiose dell’Isola.

L'AzIendA “Con i primi 20 milioni di lire, una cifra considerevole per l'epoca – ricorda Andrea – affittai un negozietto di 60 metri quadrati: era il 1989. Poi un magazzino. Poi ancora il piano sopra il negozio come laboratorio”.

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Marco Piraino. Classe 1985, ama definirsi un manager del gusto. Con una laurea in economia e commercio nel cassetto, Marco da sempre è dietro ai fornelli, tanto da far diventare la sua passione professione. E' allievo di Peppe Giuffré ed è impossibile non rimanere incantanti dalle sue decorazione e ipnotizzati dai suoi cooking show. A lui, nell’impresa “ereditata” da Andrea De Cesare, spetta la scelta degli alimenti e delle materie prime, l’ottimizzazione dei processi, l’area di ricerca e sviluppo, la logistica, il marketing, facendo da "collante" tra l’azienda e i consumatori.

Pietro Sorci. Classe 1985, laurea in economia aziendale, master in management al Politecnico di Milano, Pietro da sempre viaggia in lungo e largo per l'Europa. Olanda, Belgio e Norvegia sono state le tappe della sua formazione accademica. Parla correntemente inglese, francese e spagnolo, ma non lascerebbe mai Palermo e la sua famiglia. Consulente per importanti aziende e start up, è attento ai nuovi processi di marketing e comunicazione. Fermamente convinto del valore di ogni singolo individuo, per Pietro, le aziende non sono fatte da numeri, ma da persone.

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UnA grAnde fAMIgLIA Mentre parliamo, i collaboratori di Mamma Andrea sono al lavoro. Con lei, da sempre. Ogni operaio conosce i processi di lavorazione di ogni singolo “peccatuccio”. È un elemento indispensabile di un ingranaggio perfetto, che non deve conoscere intoppi. Nella grande area di lavorazione, all'odore acre del tonno e del sale che aleggiava un tempo, dai primi anni novanta si è sostituito l'odore dei pistacchi, delle mandorle e del cioccolato dei “peccatucci”. “Io per prima sono stata un po’ imprenditrice e un po’ operaia. Da sempre i miei dipendenti sono stati la mia grande famiglia allargata, i miei alleati più forti. Senza la loro collaborazione - afferma orgogliosa - Mamma Andrea non esisterebbe”. In estate i collaboratori scendono a tredici, ma nel semestre che precede il Natale, quando si realizza il massimo della produzione, arrivano ad essere una trentina: dobbiamo far fronte alle moltissime richieste”. Purtroppo nessuna delle sue due figlie ha voluto prendere le redini dell'azienda. “Certo mi dispiace – ammette Andrea – ma penso che ognuno abbia il diritto di scegliere la propria strada”. Andrea, fa poi un sintetico bilancio personale, e dice: “La

crisi economica ha messo molto in discussione le scelte aziendali del passato. Da donna ho avuto tante difficolta a conciliare lavoro e famiglia. Gli anni passano anche per me. E la mia vena artistica e creativa mal si concilia col rigore dei conti e dei bilanci. Penso che sia giunto il momento di lasciare il testimone ai due eredi ideali, che ho scelto per continuare il mio percorso”. gLI eredI Pietro e Marco sono due giovani che hanno una gran voglia di dimostrare il proprio talento. “Marco Piraino lo conosco da sempre – dice Andrea - mio marito e suo padre erano e sono grandi amici. Ho seguito i suoi progressi professionali da lontano, ho fatto il tifo per le sue intuizioni, ho gioito per i suoi successi. Lui è una ventata di aria fresca, curioso e desideroso di ascoltare e fare tesoro della mia esperienza. Pietro Sorci, invece, è un perfetto mix tra razionalità e creatività. Sta cercando di mettere in sesto i conti dell'azienda, rispettando il mio desiderio di conservare il posto e il futuro di ogni singolo dipendente. Si stanno dando già tanto da fare: lavorano al mio fianco e non si lamentano mai dei ritmi di lavoro a cui li sottopongo. I successi sono alle porte: è solo questione di tempo”.

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I Peccatucci imp_18 27/05/16 10:53 Pagina 43

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Dalle cucine dei ristoranti siciliani ristorante

ristorante

Via Francesco crispi, 9 Milo (ct) Tel. 095.955566

contrada grotte Monreale (pa) Tel. 091.414237

Quattro Archi

Chef Lina Castorina

Chef Salvatore e Carmelo Dalfino

r i c e T Ta

r i c e T Ta

arancino al caVolo Trunzo

TurbanTe di TagliaTelle

Ingredienti per 4 persone 500 gr di riso Carnaroli, 1 mazzo di cavolo trunzo di Aci (presidio SlowFood), 1 tazza di salsa di pomodoro, 100 gr di cacio ragusano (presidio SlowFood), 100 gr di mozzarella, 1 porro, olio extravergine di oliva, aglio rosso di Nubia (presidio Slow Food), sale e pepe q.b., 1 uovo fresco, 100 gr di farina bianca 00, 300 gr di pan grattato, 2 litri di olio di arachide, succo di limone

Ingredienti per 4 persone per le tagliatelle: 90 gr di farina di grano tenero, 10 gr di farina di riso e 60 gr di uova per il condimento: 200 gr di scampi, un astice da 300 gr, aglio, filetti di acciughe, polpa di pomodoro per la colatura: erbe spontanee, olio extravergine d’oliva

Procedimento Pulite il cavolo trunzo. Tagliate sottilmente sia il cavolo che le foglie dopo averle arrotolate. A questo punto bollite il tutto in abbondante acqua salata. Una volta cotto, scolatelo avendo cura di conservare il brodo di cottura. In una padella saltate la verdura sbollentata con uno spicchio di aglio rosso. Aggiungete la salsa di pomodoro e lasciate raffreddare, quindi mettete il cacio ragusano e la mozzarella a pezzi. Tagliate sottile il porro e friggete in una padella larga quindi aggiungete il riso e tostatelo per alcuni minuti, mettete a piccole dosi il brodo di cottura, conservato precedentemente. Cuocete fino ad ottenere un risotto asciutto. Aggiungete metà del cacio e lasciare raffreddare. A questo punto prendete un cucchiaio abbondante di riso e poggiatelo sul palmo della mano formando un incavo pronto a ricevere l'impasto di verdura e mozzarella. Chiudere il tutto con un’altra cucchiaiata di riso e dare la forma desiderata. Nel frattempo preparate la pastella con la farina, l’uovo e acqua, sbattendo bene per non formare grumi. A questo punto passate l'arancino nella pastella, a seguire nella mollica o pangrattato. Friggete in abbondante olio a 170°C. Servire l'arancino su una fonduta di cacio ragusano.

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Riccardo III

in salsa di crosTacei e colaTura di erbeTTe sponTanee

Procedimento Per preparare la pasta mettere il tutto in planetaria ad impastare. Fate riposare l'impasto in frigo per un’ora, poi, prendetelo, stiratelo delicatamente e passatelo nella macchina per tagliatelle. Estraete la polpa dalla carcassa dei crostacei. Utilizzate queste ultime per preparare la bisque, unendo dell’acqua, che servirà come brodo per salsa. Nel frattempo spadellate la polpa tagliata a coltello con aglio intero e filetti di acciughe. Aggiungere la bisque alla polpa e lasciare cucinare il tutto a fuoco lento. Nel frattempo cuocete le tagliatelle. Giunte a cottura maneggiatele con il condimento. Guarnite il piatto con una colatura di erbette spontanee ottenuto dopo aver lasciato a maturare le erbette spontanee una notte nell’olio d’oliva e averle frullate.

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locanda

ristorante

Don Serafino

L’Ottava Nota

Via 11 Febbraio, 15 ragusa Tel. 0932.220065

Via butera, 55 palermo Tel. 091.616 8601

Chef Vincenzo Candiano

Chef Vladi Farina

r i c e T Ta

r i c e T Ta

peTTo di ViTello brasaTo

uoVo di gelaTina

Ingredienti per 4 persone 400 gr di carne di vitello, una costa di sedano, una carota, 2 cipolle grandi, un bicchiere di vino rosso, acqua, sale, rosmarino, olio extravergine di oliva Per la crema di patate affumicate: 4 patate lesse e sbucciate ed affumicate: 400 ml latte, sale, caciocavallo grattugiato, 50 gr burro, olio extravergine d’oliva, timo, salvia, rosmarino, maggiorana, 20 piccoli funghi prataioli, erba cipollina, sale e pepe, succo di limone, olio extravergine di oliva, sesamo tostato, cerfoglio

Ingredienti per 4 persone 500 ml di succo d'arancia, 120 gr zucchero, 4 gr di alginato, cloruro sferificante q.b., acqua q.b. Per la meringa: 100 gr di albume, 60 gr di zucchero, 20 gr di acqua

con purè di paTaTe aFFuMicaTe e Funghi MarinaTi

Procedimento Sulla piastra ben calda marcate la carne, nel tegame colorare le verdure con olio, sfumate con il vino e unite la carne marcata, coprire con acqua, profumare con aromi e cuocere a fuoco lento per circa tre ore. Togliete la carne dalla pentola e fate salare, mettere tra due placche e fate raffreddare bene con un peso sopra. Intanto fate ridurre il fondo di cottura per altre 2 ore circa, filtrate, e lasciare riposare al fresco per almeno 2 ore e sgrassare in superfice, regolare di densità e di sapore anche aggiungendo rosmarino fresco tritato. Una volta fredda ricavare le porzioni rettangolari da gr 150 circa e sistemate in una pirofila. Una volta lessate e sbucciate le patate mettetele in una graticola di acciaio all'interno di una pentola alta e capiente dove alla base avete già sistemato rametti secchi di erbe aromatiche, incendiatele con un cannello e soffocate la fiamma chiudendo bene, in questo modo si otterrà l'affumicatura. Passate le patate allo schiacciapatate versatele in pentola con latte caldo e montate col burro, regolare di sapore. Spellare ed affettare i funghi, condirli solo 5 minuti prima di servire i piatti con gli ingredienti elencati. Scaldate la pirofila con il vitello possibilmente al vapore e coperto a temperatura non superiore a 80°C quindi rosolare singolarmente le porzioni in padella antiaderente, regolare di sale e glassare con il fondo di cottura caldo e legato, sistemare delle cucchiaiate di purè nei piatti, su di esso il vitello, glassare ancora, quindi il sesamo tostato, i funghi marinati ed infine un filo di extravergine ed il cerfoglio.

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all’arancia e Meringa

Procedimento Unire e passare al mixer succo, zucchero e alginato, congelare il succo in stampini in silicone a mezza sfera, quindi passarli in abbattitore. Successivamente fare un bagno alle mezze sfere in acqua e cloruro per circa due minuti e mezzo, facendo attenzione a non romperle. A questo punto, lavate le sfere in acqua fredda (facendo sempre attenzione a non romperle). Nel frattempo preparate la meringa montando l'albume con un pizzico di sale. In un tegamino sciogliete lo zucchero con l'acqua e portate alla temperatura massima di 106 gradi e non oltre, dopo di che aggiungete lo sciroppo agli albumi e mescolate dal basso verso l'alto. Sistemate la meringa con un sac a poche su un piatto piano, con un cannello bruciare l'esterno della meringa per dare l'impressione dell’albume fritto. A questo punto sistemate con cura il tuorlo di gelatina al centro, e spolverare il tutto con del cioccolato di Modica in polvere.

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Manna imp_20 27/05/16 11:05 Pagina 46

l’antica tradizione della

manna

di Maria Grazia Sclafani

Per secoli è stata utilizzata come dolcificante a bassissimo contenuto di glucosio e fruttosio. Interessanti le sue proprietà depurative e leggermente lassative

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I

Greci e i Romani la conoscevano col nome di “miele di rugiada” o “secrezione delle stelle”. La sua etimologia deriva dall’ebraico Mân Hu, ovvero “cos’è?”, essendo stata questa, come narra il XVI libro dell’Esodo, la domanda che gli Ebrei affamati si rivolsero nel veder cadere un cibo sconosciuto, miracolosamente mandato loro da Dio nel deserto: la manna. Ma esiste una manna che non cade dal cielo, e non è un miracolo. Piuttosto, stilla dal frassino, che nella mitologia nordica è l’Yggdrasil, l’“Albero della vita”, che abbraccia l’universo: le sue radici arrivano al cuore della terra, i suoi rami riempiono il cielo, sulla sua chioma si radunano gli dei. Un tempo la manna si raccoglieva in diverse parti d’Italia: in Sicilia, in Calabria, nel Gargano, nel Beneventano, nel Molise, nel Lazio nei boschi della Tolfa, nella Maremma toscana. Era una pratica conosciuta dai contadini, tramandata in famiglia da padre in figlio. Fu soprattutto la produzione di mannitolo di sintesi, fin dall’inizio dell’900, a far diminuire la richiesta del mercato e a portare praticamente verso l’estinzione quest’antica coltura. Oggi la manna si raccoglie solo in Sicilia, nella terra selvaggia e splendente delle Madonie, precisamente nei comuni

di Pollina e Castelbuono. Qui la tradizione ha resistito all’industria, rischiando sì la scomparsa, ma ha superato il periodo più difficile, rinnovando di stagione in stagione l’antica gestualità che caratterizza la produzione della manna. LA RACCOLTA Le due varietà da sempre utilizzate per produrre la manna sono il Frassino ornus, prevalente a Pollina, che produce una manna più cristallina, più buona, ma in quantità notevolmente più bassa, e il Frassino angustifolia, prevalente a Castelbuono, che garantisce maggiore quantità ma minore qualità. Nel secondo dopoguerra è stata trovata una nuova varietà, il verdello, che produce una manna di qualità molto simile all’ornus ma con quantità da angustifolia. Durante l’estate, i frassinicoltori incidono la corteccia dei tronchi per lasciar fuoriuscire una sostanza azzurrina e resinosa che, esposta al sole torrido, si rapprende formando stalattiti biancastre di manna. La raccolta avviene con il mannaruòlu (per incidere), la rasula (per raschiare la manna che rimane nei solchi della corteccia) e una grande foglia di ficodindia (che

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Curarsi con la manna La manna costituisce una sostanza farmacologicamente importante perché viene utilizzata contro diverse patologie. Principalmente è usata per combattere i problemi di stitichezza e come purgante privo di azioni secondarie, sia in età infantile che adulta. Nei casi di avvelenamento, la mannite produce un aumento della diuresi e favorisce così l’allontanamento delle sostanze tossiche dell’organismo attraverso i reni. In soluzioni ipertoniche viene utilizzata per rimuovere edemi polmonari e cerebrali. La manna è consigliata anche per l’allontanamento dei parassiti intestinali. In dosi moderate stimola la secrezione delle vie biliari. Inoltre, essendo ben tollerata dai diabetici, può essere utilizzata anche come dolcificante alimentare che non dà i problemi degli zuccheri raffinati.

raccoglie la parte colata a terra). Non tutta la manna raccolta è di elevata qualità: solo quella che scivola a stalattite e non entra in contatto con la corteccia è manna purissima. La manna raschiata dalla corteccia, invece, ha molte impurità. Dopo la raccolta la manna viene posta ad asciugare al sole in luoghi ben ventilati per una decina di giorni e poi si conserva in contenitori semiermetici. A metà settembre, quando c’è una bella giornata di scirocco leggero, viene riesposta al sole per una seconda veloce asciugatura. MANNA IN CUCINA Leggere e spugnose, quasi insapori, le stalattiti di manna sono da secoli un dolcificante naturale a bassissimo contenuto di glucosio e fruttosio con proprietà depurative e leggermente lassative. Oggi la maggior parte della manna è destinata alla trasformazione: se ne estrae mannite che, confezionata in pani, è utilizzata dall’industria cosmetica oppure da quella farmaceutica per la produzione di lassativi, diuretici, dolcificanti. La manna pura, definita varietà cannolo, è la più pregiata ed è commercializzata nelle erboristerie come depurativo e lassativo. Ma questo antichissimo prodotto può anche essere un buon dolcificante per la pasticceria: utilizzato in torte, biscotti, budini e moltissime altre specialità dolciarie. A promuovere il suo utilizzo ci ha pensato un pasticciere di Castelbuono, • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

Nicola Fiasconaro, titolare dell’omonima azienda familiare, famoso per la sua produzione di panettoni in Sicilia. Ed è proprio un panettone, glassato alla manna, la sua invenzione. “Ho realizzato il Mannetto circa 20 anni fa – spiega Nicola Fiasconaro – la sua caratteristica principale è che nella glassa, dopo la cottura, accorpiamo una percentuale di pasta di manna che dà un sapore e un profumo inusuale e accattivante”. Un’altra caratteristica molto interessante della manna è che questa si comporta come un vero e proprio lievito. Perché non utilizzarla, ad esempio, per produrre del pane? Già oggi, nel laboratorio di Fiasconaro, si realizzano delle brioches dove il lievito di birra è sostituito interamente dalla manna liquida. La manna non è solo uno zucchero, ma anche un sale. La pasta di cacao è acida, ma se si aggiunge la manna perde parte di questa acidità. Si possono ottenere così dei fondenti ancora gradevoli: ad esempio, un fondente al 90% aromatizzato all’anice.

Torta di soia Ingredienti • 100 gr di semi di soia • 300 gr di farina di mais • due cucchiai di olio d’oliva extravergine d’oliva • 50 gr di manna • 500 ml di acqua • 1 bustina di lievito vanigliato • 1 cucchiaino di sale Procedimento Tenere a bagno i semi di soia per 12 ore in un litro d’acqua. Scolare e sciacquare e passare al frullatore assieme all’acqua, l’olio d’oliva extravergine, la manna e il sale. Unire la bustina di lievito e la farina di mais. Mescolare bene e versare in una pirofila in precedenza leggermente unta con olio. Passare al forno a 180°C per circa un’ora. La superficie, a cottura ultimata, deve essere dorata, ma non croccante.

Bevanda della salute Ingredienti • 5 uova • 5 bicchierini di Marsala • 10 arance • 1 bicchiere d’acqua • 100 gr di manna Procedimento Amalgamare i tuorli, il marsala, il succo delle arance e l’acqua in cui è stata sciolta in precedenza la manna. Aggiungere ghiaccio in cubetti e servite.

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asce per scherzo, da un’idea “licca” di Salvatore Marano: mettere insieme, tramite facebook, le persone che cucinano con amore e attraverso le pietanze raccontano la vita quotidiana dei Trapanesi. Il gruppo è nato il 3 maggio dello scorso anno e da allora è in continua crescita, tanto che attualmente conta più di 53 mila adesioni di “licchi”, ovvero buongustai. Ma riscuote successo anche tra massaie e appassionati del buon cibo che tramite i piatti da loro realizzati raccontano la passione per la cucina. Il gruppo facebook “E chi è cannamela, è!!!”, dal nome un po’ suggestivo che ricorda un’espressione familiare tipica del trapanese e destinata a descrivere una pietanza deliziosa, è composto da cuochi dilettanti e apprendisti, di Trapani e non solo. Il gruppo è seguito da siciliani presenti in varie città italiane ed europee. Ma perché chiamare il gruppo facebook in un modo tanto singolare? Spiega Salvatore Marano, fondatore del gruppo e “licco” per primo egli stesso: “Per ricordare un caro amico, Natale Campo che ebbe questa espressione di apprezzamento quando assaggiò un cous cous fatto con testa di cernia e alcuni frutti di mare su cui la moglie aveva ripiegato – benchè non troppo convinta della buona riuscita del piatto - non avendo trovato in pescheria le molta varietà di pesce con cui era abituata a realizzare la pietanza”. Il popolare gruppo “E chi è cannamela, è !!!!!” in collaborazione con Sapori di Sicilia, ha indetto alcuni concorsi per amanti della buona cucina. In questo numero pubblichiamo i risultati del concorso “il secondo piatto più bello” vinto da Sharon Marano con il pollo farcito su prato di rucola e margherite di purè e da Valentina Di Gregorio con involtini di lacerto con salsiccia e crema di carciofi.

InvoltInI dI lacerto con salsIccIa su crema dI carcIofI con Patate al forno, Pancetta croccante e PePeronI julIenne Ingredienti per 2 persone 4 fettine di lacerto 2 fettine di prosciutto e 2 di provoletta 150 gr di salsiccia pasqualora pangrattato e sale q.b. 3 cuori di carciofi, 1 spicchio d’aglio 1 foglia di salvia, 2 patate intere 2 fette di pancetta affumicata spessa 1 peperone rosso olio extravergine di oliva, sale q.b.

Valentina Di Gregorio

Procedimento Salate le fettine, mettete il prosciutto, la provola infine la salsiccia. Arrotolare le fettine per ottenere un involtino, panate e friggete per bene. Per preparare la crema di carciofi su cui adagiare gli involtini, trifolare i cuori di carciofo con aglio olio sale e l’aroma di salvia. Cuocere a fuoco lento fino a completa cottura. Frullare per bene il composto fino a farlo diventare una crema. Per le patate al forno con pancetta croccante, pelare le patate e fare dei tagli a fisarmonica senza arrivare a fondo. Mettere olio e sale in forno a 180° per circa 30 minuti. A cottura quasi ultimata inserire nei tagli dei pezzetti di pancetta e far cuocere ancora finché diventerà croccante. Servire ben calde. Infine i peperoni: tagliateli alla julienne e friggeteli in pochissimo olio finché non si saranno appassiti.

Pollo farcIto su Prato dI rucola e margherIte dI Purè Procedimento Salate le fettine, mettete il prosciutto, la provola infine la salsiccia. Arrotolare le fettine per ottenere un involtino, panate e friggete per bene. Per preparare la crema di carciofi su cui adagiare gli involtini, trifolare i cuori di carciofo con aglio olio sale e l’aroma di salvia. Cuocere a fuoco lento fino a completa cotSharon Marano tura. Frullare per bene il composto fino a farlo diventare una crema. Ingredienti per 8 persone Per le patate al forno con pancetta croc1 pollo disossato di circa 2 Kg cante, pelare le patate e fare dei tagli a fi800 gr di tritato misto sarmonica senza arrivare a fondo. 200 gr di prosciutto cotto Mettere olio e sale in forno a 180° per circa 200 gr di formaggi misti 30 minuti. A cottura quasi ultimata inserire (sottilette, provola piccante, parmigiano) nei tagli dei pezzetti di pancetta e far cuo2 uova intere, pangrattato q.b. cere ancora finché diventerà croccante. prezzemolo, cipolla, aglio, Servire ben calde. Infine i peperoni: tagliasedano, rosmarino, alloro teli alla julienne e friggeteli in pochissimo sale e pepe q.b., vino Marsala olio finché non si saranno appassiti. • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •

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La Pulce e il Topo imp_23 27/05/16 11:33 Pagina 50

A Fera o Luni

di Pietro Angenica e Manuela Arena

Il mercato storico di Catania I

I mercati storici catanesi rimasti ancora in vita – e si spera per molto tempo ancora – sono essenzialmente due: la cosiddetta Fera 'o Luni che si tiene in piazza Carlo Alberto, e la Piscaria di piazza Alonzo di Benedetto. L'attività mercantile è una delle attività maggiormente diffuse e antiche a Catania, come testimoniano gli atti superstiti dall'incendio del Comune del 1948, relativi agli intensi traffici della capitale del regno di Trinacria. La fiera di piazza Carlo Alberto è nota popolarmente come “Fera 'o Luni”, cioè fiera del Lune o fiera del lunedì. Caratteristiche sono le esposizioni degli alimenti: si riprende, infatti, la tipologia dei mercati orientali, delle medine e dei suk e ciò attira i turisti che restano affascinati dalla grande varietà di alimenti e merci varie esposte. Il nome verrebbe, secondo alcuni autori, dalla presenza di un tempio dedicato alla dea romana Luna (Diana) o – dato l'articolo al maschile – al dio assiro-babilonese Luni. Popolarmente si diffuse la tradizione che il mercato fosse attivo soltanto il lunedì e da qui il nome. Lo storico mercato del Lune durante il Medioevo aveva sede nella piazza antistante la facciata della regia cappella di Santa Maria

dell'Elemosina che, a seguito del piano di ricostruzione successiva al terremoto della Val di Noto del 1693, si ridusse a uno spiazzo stretto tra i palazzi barocchi, la fabbrica del Palazzo dell'Università e l'abside della medesima chiesa. La piazza era difatti chiamata Platea lo Foro o Foro Lunaris, e anch'essa era soggetta a stagionali allagamenti dovuti alla presenza del fiume Amenano, imbrigliato poi nel mulino Marletta, un tempo ubicato a sud della piazza, dov'è ancora oggi il palazzo omonimo. Dopo il sisma del 1693, il mercato cambiò la sua ubicazione e dallo spiazzo antistante la facciata della Regia Cappella venne spostato inizialmente nel Piano degli Studi (Piazza dell'Università) per poi essere ubicato nel 1832 in piazza Carlo Alberto, dove è tuttora ospitato. La fiera che vi si svolge attualmente è un appuntamento giornaliero, con la sola eccezione della domenica, ed ha un vasto assortimento di prodotti: dalla gastronomia all'abbigliamento, dai casalinghi ai prodotti etnici, fino all'ortofrutta e alla vendita di giocattoli. Il mercato negli ultimi decenni è diventato un vero crocevia internazionale, con commercianti - oltre che italiani - di origine africana e cinese.

Crispeddi Ca riCotta e C'anCiovi Le crispelle che nella Sicilia orientale sono chiamate anche sfinci dall’etimo arabo “sfang”, fanno parte del finger food catanese soprattutto nel periodo che va da Natale a San Giuseppe. La tenera pasta delle crispelle ha bisogno di lievitare a lungo entro i grandi recipienti di ceramica smaltata. Poi le crispelle vanno fritte facendole galleggiare in grande padelloni di oltre in metro di diametro e profondi circa cinquanta centimetri. La tecnica raffinata e veloce di manipolazione della pasta quasi liquida, è qualcosa che non s’insegna. Tutti possono diventare “pizzaioli”, ma bravi “crispellari” no. La tecnica del “virtuoso” è un dono ancestrale e nativo. E il lavoro del bravo crispellaro viene seguito dal vivo sempre con rapita ammirazione. ingredienti 500 gr di farina 00, 200 gr di latte 200 gr di acqua, 20 gr di lievito di birra 100 gr di acciughe salate, 200 gr di ricotta fresca, sale 1 litro e mezzo di olio extravergine di oliva (i crispellari usano lo strutto, in questo caso ne va sciolto circa 700 gr) procedimento Dentro una bacinella di ceramica impastare la farina con l'acqua calda e il latte, moderatamente salati, assieme al lievito. Impastare con le mani a lungo, finchè non sia presente nessun grumo. Otterrete una pasta sofficissima, al limite dello stato liquido, che verrà coperta e lasciata a lievitare almeno tre ore. Preparare, accanto alla padella dai bordi alti per figgere, un piatto con le acciughe diliscate, ridotte a pezzetti da tre-quattro centimetri e un altro piatto con la ricotta fresca setacciata. Avvicinare il recipiente con la pasta

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lievitata e munirsi di un altro recipiente colmo d'olio in cui verranno bagnate le mani. Una volta che la pasta farcita sarà stata immersa nell'olio o nello strutto bollente si preparerà la successiva crispella. Con rapidi gesti, per le crispelle d’acciu ga, prendere un pezzetto d’acciuga con la mano sinistra, mentre la destra tiene un pezzetto di circa trenta-quaranta grammi di impasto. Con tutt’e due le mani manipolare velocemente la pasta, dando una forma allungata, fino a coprire completamente il pezzetto d’acciuga, quindi lasciare cadere la crispella, dentro il padellone facendo attenzione a non fare schizzare l'olio bollente. La pasta, a contatto col liquido bollente, immediatamente s’increspa (da questo deriva infatti il nome) ed è pronta quando assume un bel colore dorato compatto. Alle crispelle farcite con la ricotta viene data una forma rotonda, dopo fritte poi si mettono a sgocciolare dall'olio in eccesso. Un piccolo trucco: per una compatta doratura le crispelle vanno fritte due volte. Servite ancora caldissime vi posso assicurare che scalderanno il corpo e anche il cuore.

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La Pulce e il Topo imp_23 27/05/16 11:33 Pagina 51

i “Piatti monumentali” Ecco a voi i piatti vincenti del contest “Piatti monumentali” organizzato dal sito lapulceeiltopo.it in collaborazione con il magazine Sapori di Sicilia. Il concorso gastronomico è stato organizzato con l’intenzione far conoscere la storia, l’arte e le tradizioni delle città italiane. Ai partecipanti è stato chiesto di dare sfogo all’inventiva, partendo da un monumento di cui ricercare le origini, i detti popolari e la storia ad esso legato. Dopo lo studio, i cuochi hanno pensato ad un piatto che potesse rappresentarlo al meglio e lo hanno realizzato.

ccardi Enza A

Baccalà a sfincione ingredienti • un filetto di baccalà in pezzo unico di 700/800 gr • 1 cipolla grande • 1 scatola di pomodoro pelato • origano • 2 o 3 pugni di pan grattato • olio extra vergine di oliva q.b. • sale e pepe q.b. procedimento Preparare una emulsione con il pomodoro pelato che avremo ridotto in poltiglia, l’olio, il sale, il pepe e l’origano. Mettere il filetto di baccalà in una teglia irrorata di olio extravergine di oliva, aggiustare di sale e pepe e mettere, sopra il pesce, le patate affettate (naturalmente dopo averle lavate e pelate), aggiustate di sale, se ritenete necessario. Ora affettare la cipolla e mischiarla al pomodoro pelato condito e versare il tutto sulle patate affettate, distribuendo bene e cercando di coprire l'intera superfice. Spolverizzare con il pan grattato. Infornare per circa 30 minuti a 220°C, più 5/7 minuti con funzione grill per far fare una crosticina in superficie. Controllare la cottura con la forchetta: se affonda morbidamente nelle patate, significa che potete uscire la teglia dal forno. Lasciare raffreddare un po’ e poi servire porzionando.

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antucci S o d n i r Alme

Paccheri cco iammaru e u spada

(Paccheri con gamberoni e crema di pesce spada) ingredienti • 300 gr di paccheri • 1 fetta di pesce spada • 4 gamberoni • 6 pomodorini • 1 piccola zucchina • asparagina • 1 bicchiere di panna fresca • 50 gr di burro • 1 spicchio di aglio • prezzemolo • 1 bicchierino di cognac • alcuni capperi procedimento Portare a bollore abbondante acqua e cuocere per 15 minuti i paccheri, nel frattempo tagliare a strisce il pesce spada e farlo cuocere in una padella con il burro. Unire i pomodorini a spicchi, la zucchina a rondelle e l’asparagina priva delle punte, prezzemolo e la panna fresca e far cuocere per 5 minuti. Passare al mixer 2/3 del pesce spada e frullarlo unendo un po’ di sale e del pepe. In un’altra padella far sciogliere una grossa noce di burro e unirvi un mezzo spicchio di aglio tritato e far cuocere i gamberoni con il prezzemolo, le punte di asparagina e alcuni capperi, quindi versare nella padella il bicchierino di cognac e flambare. Scolare i paccheri e condirli con la crema e le strisce di pesce spada, servire con un gamberone e decorare con un filo di olio extravergine d’oliva, prezzemolo, capperi e una grattugiata di bottarga di tonno. Accompagnare il tutto con un buon bicchiere di Falanghina del Sannio.

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Vegetariani imp_24 26/05/16 15:23 Pagina 52

di Manuela Zanni

Piatti veg e vini rosati

un connubio perfetto C

he piaccia o no, che sia per moda, salute o etica, il numero delle persone che hanno deciso di fare a meno nella propria alimentazione di ingredienti di origine animale e dei loro derivati, è in notevole aumento e gli chef sono tenuti sempre più a confrontarsi e ad adeguarsi a questa realtà. Questa consapevolezza sfata il pregiudizio in base al quale chi è vegetariano, o addirittura vegano, non possa, al contempo, essere un buongustaio in grado di apprezzare la cucina di qualità, oltre che, attento agli abbinamenti dei cibi con i vini. Il motivo del pregiudizio risiede nell'idea che i piatti vegetariani e vegani, non essendo "né carne né pesce" siano degli "ibridi" il cui gusto raramente possa essere in grado di soddisfare palati raffinati, dimenticando molto spesso che i piatti più noti della tradizione, a cominciare da quella siciliana, come la parmigiana, la caponata, la pasta con i broccoli "arriminati", solo per citarne alcuni, nascono vegetariani senza bisogno di apportare alcuna modifica alla ricetta d'origine. In merito agli abbinamenti dei piatti vegetariani e vegani con i vini, anche in questo caso esiste il pregiudizio in base al quale chi è vegetariano dia scarsa importanza a quest'aspetto, reputato fondamentale per chi crede, che cibo e vino siano due facce della stessa medaglia, necessari l'uno all'altro perché l'uno possa esaltare l'altro e viceversa. Per risolvere quest'annosa questione, ci vengono incontro alcuni vini rosati siciliani, anch'essi a loro volta vittima di pregiudizi poiché schiacciati dalla indiscutibile personalità dei vitigni autoctoni siciliani a bacca rossa e dalla sempre maggiore affermazione degli ottimi bianchi siciliani. Esistono delle realtà interessanti anche tra i vini rosè che meritano di essere conosciute. Infatti quello dei vini rosati siciliani è un mondo molto affascinante ad oggi ancora a molti sconosciuto poiché, in passato, questi vini non raggiungevano dei ri-

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sultati particolarmente apprezzabili. Oggi, invece, esistono rosati di qualità grazie ai quali è possibile scoprire le potenzialità delle varietà di uve autoctone siciliane quali Nerello mascalese, Nero d’Avola e Perricone. I vini rosati, grazie al loro carattere aggraziato, ben si prestano agli abbinamenti con i piatti vegetariani poiché non ne coprono il sapore come farebbero la maggior

parte dei rossi dal carattere più deciso. Al contempo, in alcuni casi i rosé, grazie alla maggiore personalità che rivelano rispetto ad alcuni vini bianchi, meglio di questi ultimi accompagnano le pietanze veg. Di seguito vi proponiamo un menù interamente vegetariano, dall'antipasto al dessert, in cui abbiamo abbinato dei vini rosati le cui diverse caratteristiche rendono ciascuno adatto ad una portata diversa.


Vegetariani imp_24 26/05/16 15:23 Pagina 53

il pranzo vegetariano Crostini Con Crema di tofu e brunoise di Pomodoro ingredienti 1 toscanino di pane integrale, crema di tofu, pomodori ciliegini, origano, olio extravergine di oliva, sale e pepe q.b. Procedimento Lavate e tagliate i pomodorini in piccoli pezzi (taglio brunoise, cioè a cubetti con lato di 1-3 mm), conditeli con olio, sale, pepe e origano. Ricavate dei crostini dal pane e tostateli in forno. Spalmate sopra ciascuno di essi la crema di tofu e ricoprite con la brunoise di pomodorini. Abbinamento consigliato: Arcuria Etna Rosato dell’azienda Calcagno prodotto ad alberello da Nerello mascalese in contrada Arcuria a Passopisciaro comune di Castiglione di Sicilia (Ct) sul versante nord dell’Etna. Dopo poche ore di contatto con le bucce, la fermentazione del mosto avviene in vasche di acciaio a temperatura controllata. L’affinamento prevede sei mesi in botti d’acciaio e almeno quattro mesi in bottiglia. Colore rosa tenue con riflessi corallo dal profumo fragrante e delicato, con note floreali e piccoli frutti rossi delicatamente accostato a sottonote minerali. Sapore fresco, sapido, minerale di grande persistenza. Ottimo con antipasti e insalate fredde, primi piatti e carni bianche.

CasereCCe Con Pesto di Pomodori seCChi e mandorle Con molliCa "atturrata" ingredienti per 4 persone 350 gr di caserecce, 150 gr di pomodori secchi, 50 gr di mandorle, olio di oliva extravergine, pangrattato Procedimento In un mixer frullate i pomodori secchi e le mandorle aggiungendo l'olio d'oliva in modo da rendere il pesto ottenuto piuttosto fluido. Cuocete le caserecce in acqua bollente salata, e ancora al dente, scolatele, avendo cura di conservare l'acqua di cottura, e passatele in una padella in cui avrete messo il pesto. Nel frattempo in un padellino abbrustolite il pangrattato con poco olio fino ad ottenere un colore dorato intenso. A questo punto cuocetele attraverso il metodo della risottatura, aggiungendo cioè qualche mestolo di acqua di cottura di volta in volta in modo che la pasta termini la cottura intridendosi del condimento. Servite fumanti cospargendo con la mollica “atturrata". Abbinamento consigliato: Brusìo Rosato Doc Sicilia di Fazio Casa Vinicola in Erice. Nero d'Avola prodotto ad Erice a 250/300 metri s.l.m. e vinificato in bianco con breve macerazione a temperatura controllata. Colore rosato brillante con riflessi corallo. Profumo: delicato con evidenti sentori di fragola e note di lampone maturo. Sapore: fresco, persistente, fruttato. Ideale come aperitivo ma splendido con primi in cui vi sia la presenza di pomodoro, zuppe di pesce, verdure grigliate, carni bianche, pesce alla griglia.

involtini di seitan alla siCiliana ingredienti per 4 persone 4 fette di seitan, pangrattato, una cipolla bionda, concentrato di pomodoro, uva passa e pinoli, olio extravergine di oliva, sale e pepe q.b. Procedimento Tagliate ciascuna fetta di seitan in 3 fette sottili. In una padella rosolate la cipolla fino a farla diventare trasparente. A questo punto unite il pangrattato, il concentrato di pomodoro, l'uvetta e i pinoli in modo da ottenere un impasto compatto. Ponete un po’ del composto all'interno di ciascuna fetta di seitan e chiudetela aiutandovi con uno stuzzicadenti. Cuocete gli spiedini in forno cospargendo di olio e sfumando con il vino (preferibilmente lo stesso che userete per l'abbinamento). Servite con un contorno di patate e cipolle al forno. Abbinamento consigliato: “Rosà” 2014 Doc Sicilia - Gulfi. Ottenuto da Nero d’Avola della zona di Chiaramonte Gulfi in provincia di Ragusa, coltivato ad alberello dall’azienda Gulfi in modo da ottenere vini di grande finezza e complessità. Rosa cerasuolo chiaro, al naso esprime note croccanti di ciliegia, viola e di mirtillo. Al palato è fresco, piacevolmente acido, caratterizzato da un buon equilibrio e da un finale ben definito, sul frutto. Ottimo come aperitivo, si abbina a zuppe fredde, focacce e pizze e piatti vegetariani dal sapore deciso.

Crumble di fragole ingredienti per 4 persone 2 vaschette di fragole, 250 gr farina di grano tenero, 150 ml olio extravergine d'oliva, 150 gr di zucchero di canna cannella a piacere, mandorle a lamelle Procedimento Tagliate le fragole a metà dopo averle lavate. Mettetele nella teglia da forno, cospargetele di zucchero di canna e lasciatele macerare circa mezz'ora in frigo. Nel frattempo fate le briciole per il crumble mettendo in una ciotola la farina, lo zucchero, l'olio d'oliva e la cannella. Lavorate gli ingredienti con le mani in modo da ottenere delle briciole di diversa grandezza. A questo punto cospargete le fragole con le briciole, poi finite il tutto con zucchero di canna e lamelle di mandorle. Cuocete in forno preriscaldato a 200°C per circa 20 minuti. Servite tiepido, e se preferite, accompagnato da una quenelle di gelato alla vaniglia. Abbinamento consigliato: Palmarès - Nero d'Avola - Vino spumante Rosè Extra Dry di Gorghi Tondi. Rosa brillante intenso, perlage minuto, ricco e persistente. Profumo fresco e delicato di piccoli frutti di bosco e fragoline appena raccolte. Gusto intrigante, vivace e ben equilibrato, piacevole acidità e morbidezza. Perfetto per aperitivi, è eccellente anche come vino a tutto pasto. Adatto ad antipasti e crudité di pesce, crostacei e sushi, dessert fruttati non particolarmente stucchevoli.

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Cromocucina imp_25 27/05/16 11:36 Pagina 54

la seduzione dei in cucina

colori

di Rachele Sanfilippo

Ogni singola tinta, secondo la cromoterapia, lo yoga e la psicologia cromatica, possiede vibrazioni energetiche peculiari che influenzano inconsciamente la fame, la sazietà e anche l’umore

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uante volte abbiamo sentito dire che anche l’occhio vuole la sua parte? Lo sanno bene gli chef che dedicano grande attenzione al modo in cui le vivande vengono impiattate e servite. L’aspetto del cibo seduce i sensi ed arriva anche a condizionare il gusto. Dunque accurate scelte di colore nel cibo che mangiamo, nella scelta dei piatti su cui servirlo, nella tovaglia da abbinare e una rigorosa attenzione al contesto che accompagna i nostri pasti, sono ormai obiettivo di innumerevoli studi e ricerche. Entriamo così nel campo della “cromocucina” e trattiamo dell’importanza che rivestono i colori quotidianamente nel nostro equilibrio a tavola. Seguendo i principi della cromoterapia, i cibi appartenenti ai vari gruppi di colori hanno proprietà intrinseche diverse ed è assodato il fatto che dovremmo cercare di integrare nella nostra alimentazione tutti i colori offerti dalla natura. Mangiare un mix di colori ogni giorno vuol dire introdurre sostanze nutritive con proprietà diverse, importantissime per godere dei

benefici di una dieta equilibrata che ci aiuterà a mantenerci in salute. Ma quanto il colore può influenzare il nostro appetito, il nostro umore ed il nostro gusto a tavola? Tutti notiamo che ci sono giorni in cui siamo attratti da un colore rispetto ad un altro (nel vestire ad esempio), allora perché non seguire una logica del colore anche a tavola? L’aspetto psicologico del colore è il versante su cui si sono focalizzate diverse ricerche, per capire quali colori evitare o scegliere in un dato momento della giornata, per comprenderci e vivere meglio. I colori hanno un grosso impatto emotivo sul nostro equilibrio quotidiano, ci influenzano inconsapevolmente, agiscono sull’umore, indirizzano azioni e decisioni. Ogni colore, secondo la cromoterapia, lo yoga e la psicologia cromatica, possiede vibrazioni energetiche peculiari, che influenzano fame, sazietà e umore inconsciamente. Il modo in cui si mettono in atto strategie di vendita nel marketing ne è un esempio: con quali colori presentare i cibi in vetrine espositive di ristoranti, mense, bar, super-

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Cromocucina imp_25 27/05/16 11:36 Pagina 55

mercati, inciderà sul parere finale di un acquirente, sulla percezione del gusto e sulla piacevolezza generale della pietanza. Una ricerca condotta pochi anni fa da Sara Minoli e Davide Saronni, presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca per un corso in comunicazione, ha evidenziato ad esempio, in che misura il colore del contesto influenza la percezione di appetibilità di un cibo. Un esperimento che ha valenza soprattutto nel campo della ristorazione, perché aiuta ad individuare quali colori potrebbero essere adatti a rendere più appetibile una pietanza. Nella ricerca si arriva a concludere che uomini e donne reagiscono diversamente agli stimoli di colore: le preferenze maschili vertono al primo posto sul colore nero come preferito per accompagnare le pietanze, seguito dal

rosso, poi dal bianco ed dall’arancio; mentre verde e blu restano i colori meno apprezzati dai maschietti; il campione delle donne invece, che non ha dato pareri univoci come quello degli uomini, apprezzano il bianco in tutte le portate (esclusa la presentazione della pasta), seguito dal nero (escluso il dolce) ed poi dal rosso per pasta, carne e dolce (ma non il riso). I meno apprezzati dalle femminucce? Blu e verde. Le conclusioni ci portano ad una tendenza generale di preferenza per i colori caldi, con cui i cibi si accompagnano più volentieri (come il rosso), oppure si tende a preferire un contesto neutro come il bianco o ancora, si sceglie un colore nel contesto che esprime eleganza come il nero. Seguendo la stagionalità di frutta ed ortaggi, pensiamo ai colori prevalenti per

ogni mese dell’anno e ci rendiamo subito conto che, mentre in primavera prevalgono i colori verdi che aiutano il cambiamento di stagione, stimolando l’organismo intorpidito dal lungo inverno, d’estate invece, prevalgono i colori carichi, alimenti dai colori intensi come il blu delle susine, il rosso delle ciliegie e dell’anguria, il giallo intenso delle albicocche, tutti frutti ricchi di acque e sali minerali che consentono di reidratarci e resistere meglio alle insidie del caldo. Se, dunque, conoscere le proprietà nutrizionali dei cibi è importante per la costruzione di una dieta equilibrata, altrettanto importante è conoscere la loro carica emozionale per mangiare e vivere meglio. Sediamoci adesso a tavola e scegliamo dalla tavolozza dei colori quelli giusti per affrontare la giornata con più carica.

arancione e giallo: attirano i golosi perché sono tipici di alimenti ricchi di calorie; aumentano la salivazione ed i succhi gastrici, risultano i più appropriati per gli inappetenti. Sono colori che favoriscono la concentrazione e la creatività e trasmettono energia. Mangiamo cibi di questi colori quando abbiamo voglia di socializzare, quando abbiamo bisogno di compagnia. Alcuni esempi sono il tuorlo d’uovo, il miele, la pasta ed il pane che risulta più appetitoso quando è di un bel colore dorato, le arance, le albicocche, i cachi, la zucca, il melone. rosso: è la tinta preferita dalle persone dinamiche; è il colore della forza, antidepressivo, stimola il sistema nervoso ed alza la pressione. Cerchiamo di mangiare rosso quando abbiamo voglia di fare, quando abbiamo necessità di movimento. Il colore rosso mette in circolo una sostanza chiamata noradrenalina, aiuta a bruciare più calorie così da essere associato ad un effetto dimagrante. Spinge a consumare i pasti di corsa, infatti è il colore dei fast food per eccellenza; piace molto ai bambini che ne vengono immediatamente colpiti per la vivacità. Ma non bisogna esagerare con questo colore, perché crea stati d’ansia e di agitazione, va usato al momento giusto ed in dosi appropriate (ad es. il vino a tavola). Una curiosità, apparecchiare in rosso può aiutare a digerire ed assimilare meglio i cibi. Il rosso è il colore delle ciliegie, anguria, mirtilli rossi, melograno, pomodori, fragole etc. verde: è il colore dell’equilibrio, mette energia, riduce lo stress e l’affaticamento. E’ anche il colore della natura, della serenità e della tranquillità, quindi va evitato quando si ha bisogno di caricarsi. A questo colore si associa anche un potere rigenerante ed è tipico degli alimenti ricchi di clorofilla (zucchine, piselli, insalata). Il verde brillante evoca freschezza (è il caso di una bibita alla menta) ed è la tinta a cui si associa più facilmente un sapore piacevole. Se si è troppo voraci a tavola e si va di fretta è il colore perfetto che ci aiuta a rallentare la velocità di assunzione dei pasti. nero: stimola l’eros ed affascina perché crea mistero. Il cioccolato è il suo alimento simbolo che vanta tanti estimatori, ma crea dipendenza. bianco: favorisce la concentrazione ed aiuta a disintossicarsi, infonde la sensazione di alimentarsi in modo sano. L’emblema del candore e dell’eleganza rappresenta la fiducia in se stessi e negli altri. Ben rappresentato da riso, latte, cipolla, aglio, finocchio, cavolfiore. blu e viola: sono i colori del relax adatti a chi ha attacchi di fame nervosa e a chi vuole dimagrire. Per il loro potere di trasmettere calma sono note anche come le tinte del benessere psicofisico. Mirtilli, susine, uva sono ricchi di preziosi antiossidanti e donano serenità.

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Curcuma imp_26 27/05/16 11:41 Pagina 56

curcuma radice della salute di Angela Sciortino

La spezia conosciuta e usata in India già cinquemila anni fa è un vero toccasana per la salute. Antiossidante e disintossicante, è una preziosa fonte di sali minerali, vitamine, polifenoli e flavonoidi

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iallo oro, un sapore esotico e interessanti proprietà benefiche. Parliamo della curcuma, una spezia che in India è conosciuta da almeno 5 mila anni, rappresenta uno dei rimedi principali della medicina ayurvedica e viene usata, oltre che per insaporire le pietanze, anche come colorante. Il nome deriva dalla parola kour koum che nella lingua persianaindiana significa zafferano. Il che spiega perché la curcuma è anche nota come “zafferano delle indie”. Rispetto allo zafferano non sprigiona lo stesso aroma, il sapore che conferisce alle pietanza è più deciso, ma per via della colorazione che conferisce alle pietanze, a volte viene aggiunto allo zafferano vero e venduto come tale. Attenti dunque allo zafferano dal costo contenuto: potrebbe contenere anche curcuma… In commercio, troviamo la curcuma sotto forma di polvere; ma è possibile usarla anche fresca. Si ricava da una radice (per es-

sere più precisi da un rizoma) che ricorda lo zenzero, rispetto al quale ha colore più acceso tendente all’arancione. A differenza dello zenzero fresco che ormai è possibile acquistare in molti supermercati, la curcuma fresca dobbiamo cercarla nei negozi etnici. La polvere di curcuma si ottiene polverizzando i rizomi della pianta (Curcuma longa) prima bolliti e poi seccati a lungo nei forni. Nell’industria alimentare viene utilizzata come colorante e la troviamo in etichetta con la sigla E100. Può essere usata anche come colorante per le fibre naturali, ma ha il difetto di scolorire facilmente, per cui i capi tinti con la curcuma perdono presto il loro bel colore giallo. Nella composizione della Curcuma longa troviamo una grandissima quantità di sostanze utili alla salute umana: dai sali minerali (calcio, sodio, potassio, fosforo, magnesio, ferro, zinco, selenio, manganese e rame) alle vitamine (C, E, K e quelle del gruppo B), dai sali minerali ai polifenoli e ai flavonoidi. Questa spezia è un vero proprio toccasana per la salute: disintossicante, epatoprotettore, stimola la produzione della bile da parte del fegato e lo svuotamento della cistifellea favorendone lo svuotamento. Inoltre riduce il colesterolo cattivo (aumentando di converso quello buono), è un efficace antiossidante, ha effetti antinfiammatori utili per fronteggiare dolori articolari e artrite. In più favorisce la fluidificazione del sangue, ha proprietà antisettiche e antimicrobiche. E non finisce qui. Alcuni studi recenti dimostrano che l’assunzione di curcuma può proteggere dal rischio di sviluppare l’Alzheimer e varie forme depressive, migliora la funzionalità

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Curcuma imp_26 27/05/16 11:41 Pagina 57

del sistema immunitario ed è utile nel contrastare lo sviluppo diversi tipi di cancro, soprattutto se associata ad un isotiocianato che è presente nelle brassicacee (broccolo, cavolo e cavolo-rapa). L’elenco delle proprietà benefiche della curcuma si allunga con le spiccate proprietà cicatrizzanti: la radice fresca viene posta su ferite, punture di insetti, scottature e altre lesioni della pelle che guariscono in fretta. La curcuma viene usata anche in cosmesi e in alcuni rimedi di bellezza naturali. Aiuta, infatti, a mantenere i capelli forti e sani e la pelle giovane e compatta. Viene usata in preparazioni casalinghe o aggiunta in preparati da erboristeria e ha diverse indicazioni. Funziona da seboregolarizzatore e quindi può essere usata per purificare dolcemente la pelle ed eliminare i punti neri. Funziona anche come antiforfora, antirughe e rivitalizzante della pelle. Sui capelli gli impacchi di curcuma ridanno vita e corpo ai capelli spenti e sfibrati, ma anche riflessi biondi e dorati tanto più intensi quanto più chiaro è il colore di partenza del capello. Un impasto di acqua e curcuma spazzolato sui denti e ben sciacquato subito dopo l’applicazione seguito dal vero e proprio lavaggio, rende i denti più bianchi. Attenzione però: l’operazione risciacquo deve essere condotta a lungo con precisione e tempestività perché la curcuma potrebbe lasciare residui gialli che andranno via col tempo. La curcuma, infine, è indicata ai fanatici della linea e delle diete perché favorisce la perdita di peso. Ci sono ovviamente anche le controindicazioni: è da evitare nell’alimentazione dei bambini piccoli, durante la gravidanza e l’allattamento. Inoltre è sconsigliata a chi soffre di calcoli biliari, mentre chi segue terapie anticoagulanti deve stare attento al dosaggio dei farmaci, perché la cumarina interferisce con l’attività dei farmaci visto che le sostanze presenti nella curcuma aggiungono il proprio effetto fluidificante a carico del sangue. Può accadere però che alla curcuma si sia allergici. Se dopo l’ingestione di pietanze in cui è stata aggiunta la curcuma si manifestano eruzioni cutanee, fastidi di vario tipo e diarrea, è necessario rivolgersi a un medico. Se vogliamo usare la curcuma non solo come spezia, ma sfruttando tutte le sue proprietà salutistiche dobbiamo tenere presente che la dose ideale è pari a uno-due cucchiaini da caffè al giorno, ag-

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giungendola agli alimenti a fine cottura o allo yogurt o sotto forma di salsa. E’ bene sapere, però, che per facilitare l’assorbimento delle sostanze attive, la spezia deve essere associata al pepe nero o al tè verde o a qualche grasso. In questo caso, in un’ottica salutistica, sarebbe meglio scegliere l’olio d’oliva extravergine. La curcuma è la spezia principale alla base del curry (in India si chiama masala) che com’è noto è un mix di numerose spezie la cui qualità e quantità dipende dal paese di origine. Esistono diversi tipi di curry: quello giallo, quello rosso, quello del sud-est asiatico, quello del Giappone, quello (molto piccante detto perciò diabolico) usato a Singapore e Malacca. Come si usa la curcuma? Quella in polvere è più facile da trovare. Oltre che nei negozi specializzati ormai è facile trovarla negli espositori delle spezie di qualsiasi supermercato. Si può aggiungere in qualsiasi pietanza. C’è chi usa quella in polvere al posto dello zafferano nel risotto, aggiungendone uno o due cucchiaini a fine cottura. Il risultato non è ovviamente lo stesso perché le due spezie non hanno lo stesso sapore, ma l’aggiunta di curcuma rende deciso il sapore del risotto a fronte di una spesa contenuta. La curcuma trova spazio nelle zuppe di pesce, nei piatti a base di pollo, ma anche nei frullati di frutta e verdure. Altri usano la radice fresca grattugiandola, esattamente come si fa con la radice di zenzero, sulle uova, le insalate, i risotti, le paste. La curcuma si associa bene ai legumi come ceci o lenticchie e i cereali come farro e orzo, rappresentando un ottimo esempio di integrazione alimentare. Per dare colore e aroma particolare alla pasta, si consiglia di aggiungere la curcuma all’acqua di cottura. Aggiunta al tè nero (mezzo cucchiaino in una tazza) conferirà alla bevanda un tocco mediorientale. Con la curcuma si preparano poi ottime tisane. Tra i rimedi tradizionali mediorientali usato in caso di dolori e infiammazioni muscolari troviamo il famoso Golden Milk. I maestri yoga consigliano di assumerlo regolarmente per mantenere in buona salute le articolazioni e migliorare la elasticità e la flessibilità del corpo. Per sentirne i benefici effetti, però, bisogna berne una tazza al giorno per almeno quaranta giorni. Meglio delle pillole che ho visto assumere ogni giorno dai miei amici americani per lo stesso problema. Almeno questo, è un rimedio naturale.

Torta salata con broccoli e curcuma Ingredienti • un broccolo piccolo • un cavolfiore medio • 3 uova • 250 gr ricotta • 2 cucchiani di curcuma • 30 gr parmigiano grattugiato • 2 cucchiai di pinoli • 1 rotolo di pasta sfoglia Procedimento Cuocere a vapore broccolo e cavolfiore. Sbattere le uova e unire la ricotta, il parmigiano, la curcuma e un pizzico di pepe e di sale. Mescolare fino a quando si ottiene una crema liscia di colore giallo uniforme che verrà versata sulle cime del broccolo e del cavolfiore già cotte e disposte poste sulla pasta sfoglia distesa sulla teglia. Finire con i pinoli e cuocere in forno. La torta salata può essere consumata sia tiepida che a temperatura ambiente.

Tisana alla curcuma Ingredienti • curcuma 1 cucchiaino se in polvere, 5 gr di radice se fresca • succo di limone, gocce • pepe nero, un pizzico • zucchero di canna, q.b. Procedimento In un pentolino portare all’ebollizione l’acqua. Fare bollire la radice insieme all’acqua per circa 5 minuti, se si usa la polvere aggiungere all’acqua calda. Si lascia riposare l’infuso per una decina di minuti, quindi aggiungere il succo di limone, il pepe e se si vuole addolcire lo zucchero di canna.

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Cioccolata Modica imp_27 27/05/16 11:43 Pagina 58

Dagli Aztechi l’antica ricetta del cioccolato di Modica

di Paola Roccoli

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uella notte gli Dei non corsero in aiuto della principessa dalla pelle bruna. Coraggio e urla di sofferenza impregnarono le mura del castello. A costo della sua vita, conservò il segreto del tesoro che il suo grande amore, partito per la guerra, le aveva chiesto di custodire. La donna dalla pelle bruna aveva fatto una scelta obbligata, nelle mani di uomini senza pietà, avvezzi alla crudeltà e alla cupidigia. Avrebbe voluto rivedere la sua “dolce metà“, almeno per un’ultima volta, ma non ne ebbe il tempo. Morì tra atroci torture. Dal suo sangue sparso nella terra nacque l’albero del cacao. I semi dell’albero: amari come la sofferenza della principessa, rossi come il suo sangue versato, forti come la sua virtù. La sua anima fu elevata in cielo dal dio Quetzalcoatl, il quale donò la pianta agli uomini della terra, in ricordo della virtù della bella principessa. Cosi narra un’antica leggenda azteca che ancora oggi echeggia nelle pianure del Messico e nelle vallate fra le alte cime delle Ande. E proprio a partire da questa leggenda che vogliamo raccontarvi la nascita del cioccolato di Modica eredità degli Aztechi e rinomato in tutto il mondo per le sue doti uniche. Modica, cittadina ubicata nella Val di Noto, nella parte orientale della Sicilia, vanta antiche origini e la capacità di mescolare e rielaborare le culture dei popoli che nei secoli l’hanno dominata. Arabi e Spagnoli hanno lasciato le loro tracce nell’architettura: “un paese in forma di melagrana spaccata; vicino al mare ma campagnolo” cosi lo ha definito Gesualdo Bufalino in “Argo e il cieco” per via della netta separazione tra Modica alta e Modica bassa. Per le sue innumerevoli chiese è detta anche il paese dalle “cento chiese”. La sua capacità di assimilare e rielaborare culture diverse si riscontra nelle coltivazioni e nella preparazione di cibi, in particolare è assolutamente unica la produzione del cioccolato. Il cioccolato che si produce a Modica ha origini antichissime che uniscono la Contea di Modica, la Spagna e la

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civiltà mesoamericana degli Aztechi, gli antichi abitanti del Messico. È proprio da questi ultimi che abbiamo ereditato i primi semi del cacao, donati al comandante spagnolo Hernan Cortèz. Questi, arrivato nel nuovo mondo dalla Spagna, venne scambiato dalla popolazione locale per il Dio Quetzalcoatl, che sarebbe dovuto tornare, secondo una leggenda, proprio in quell’anno. Così nel 1528 Cortez portò in Spagna alcuni semi di cacao in omaggio al re Carlo V. Da questi semi si produce una bevanda sacra che le popolazioni azteche usavano da offrire ai sacerdoti. Il passaggio a barretta solida e la sua lavorazione è un’esclusiva che venne concessa agli spagnoli dalla popolazione mesoamericana. Per tutto il Cinquecento il cioccolato rimane un esclusiva della Spagna, che lo esporta durante tutto il sedicesimo secolo nella Contea di Modica, sua fiorente colonia. La tradizionale lavorazione per la produzione delle tavolette solide di cioccolato è rimasta da allora invariata. Per tale lavorazione viene utilizzata una pietra chiamata metate che ormai si usa ancor oggi solo a Modica. La preparazione è a freddo a 40 gradi, allo stato crudo, che permette al burro di cacao di sciogliersi e di amalgamarsi con i cristalli di zucchero. Gli aromatizzanti del cioccolato sono stati una inIN TOCCHI O SCIOLTO IN TAZZA Altro richiamo, per restare alla gola, è quello del cioccolato di Modica e quello di Alicante (e non so di altri paesi spagnoli): un cioccolato fondente di due tipi – alla vaniglia, alla cannella – da mangiare in tocchi o da sciogliere in tazza: di inarrivabile sapore, sicché a chi lo gusta sembra di essere arrivato all’archetipo all’assoluto, e che il cioccolato altrove prodotto – sia pure il più celebrato – ne sia l’adulterazione, la corruzione... da “La contea di Modica” di Leonardo Sciascia e Giuseppe Leone

tuizione degli Spagnoli che hanno aggiunto lo zucchero e sostituito il peperoncino che veniva usato dagli Aztechi, con la vaniglia e la cannella. Le tradizioni del cioccolato modicano sono conservate nel Museo Ibleo delle arti e delle tradizioni, dove è possibile ritrovare gli antichi segreti delle lavorazioni di un tempo. Al suo interno è stata ricreata un antica dolciarìa con i vecchi strumenti di lavoro ormai in disuso. Nel 1880 un signore di nome Francesco, decise di aprire una dolciarìa tra gli splendidi palazzi seicenteschi di Modica. Questa antica dolciarìa di Franco Bonajuto ancora oggi continua a lavorare il cioccolato con la tecnica che gli spagnoli appresero dagli aztechi. È la più antica fabbrica di cioccolato in Sicilia e ancora oggi si trova nello stesso posto dove Francesco l’aveva aperta, meta di pellegrini e di appassionati che visitano il laboratorio. Il cioccolataio, inginocchiato davanti al metate, ripete gli stessi antichi gesti che amalgamano gli ingredienti: zucchero, pasta amara di cacao, burro di cacao, cannella o vaniglia. Il metate è riscaldato da bracci, il calore ammorbidisce il burro di cacao, ma senza riscaldare al punto di fare sciogliere lo zucchero. Il risultato sarà una tavoletta dalla forma solida che spezzandosi farà vedere ancora i cristalli di zucchero, il cibo degli Dei. L’aspetto scuro con riflessi bruni, ci ricorderà ancora le virtù della principessa azteca, forti e dolci allo stesso tempo. Il cioccolato di Modica è stato argomento di grandi scrittori di origini siciliane tra i quali Quasimodo nato proprio a Modica e Sciascia che ne ha fatto un elogio delle particolari qualità. Nel riquadro a fianco, vi doniamo le appassionate righe dalla “Contea di Modica” di quest’ultimo che ci riporta alla Spagna e agli Aztechi. • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


SaporedeiRicordi imp_28 27/05/16 11:45 Pagina 59

Italiani all’Estero di Anna Venturini

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eltrinelli, il teatro e il gorgonzola. Non chiedete a chi si è trasferito a dodici ore di volo da casa che cosa gli manchi di più dell'Italia, oppure non meravigliatevi che non vi risponda l'Ikea. Gli italiani si trasferiscono all'estero per una varietà di motivi che vanno normalmente dal matrimonio finito male a piccoli diverbi col fisco. E, all'estero, intraprendendo ogni genere di attività più o meno lecita, l'importante è che non abbia nulla anche fare con quel che facevano in Italia. Come dire, non voglio più saperne della vecchia vita ma come dire anche mi improvviso tanto qui non mi conosce nessuno. Lasciando cadere il discorso su quelli che si riciclano in seguito a fallimenti pubblici o privati, troverete all'estero, qualunque estero sia, uno standard di ex rappresentanti che aprono gelaterie, ex assicuratori trasformatisi in subacquei, ex imprenditori diventati velisti, ex pizzaioli che progettano case spaccian-

dosi per ex geometri, ex falegnami ora imprenditori. E poi, ex disoccupati disoccupati, ex trafficoni che trafficano ed ex falliti in via di fallimento. Così l'equilibrio è ristabilito e la piccola comunità di italiani all'estero rispecchia fedelmente in percentuale il patrio popolo di santi e navigatori. Allora ti chiedi a quale categoria tu possa mai appartenere. D'altra parte quando ti laurei in lettere, un fulgido futuro da disoccupato ti attende. Allora quasi quasi ti prendi una seconda laurea. Dato però che ti senti già abbastanza imbecille per essere disoccupato una volta, a ben vedere non ti pare il caso di replicare. E così ti inventi un lavoro che ti permetta di dire a tutti (e magari così convincere anche te stesso) che la laurea sì, ma l'importante è sentirsi realizzati. Un piccolo ristorante. Impari a lavorare prodotti inusuali, a comprare in negozi senza insegne, a trattare acquisti di pesci mai visti. Inventi piatti ed elabori un tuo stile: roast beef di tonno, ravioli di scorfano... Impari a fare la bottarga, il tomino con il latte di capra, la ricotta con il latte fresco. Adatti le tue conoscenze a quello che trovi e con qualche colpo di timone mantieni più o meno la rotta della tua cultura gastronomica. Dimentichi pesche e albicocche e fai marmellate di mango e papaya. E impari che anche il cocco, che è sempre stato solo la tua merenda sulla spiaggia, comprato dall'ambulante che girava sulla battigia

gridando cocco cocchino cocchetto, ha la sua dignità in cucina. È proprio la cucina della mamma una delle priorità cui gli italiani all'estero non sanno rinunciare. Così arrivano per posta gli ingredienti più improbabili, pezzi di parmigiano ormai verdi, salamelle maleodoranti, caciotte pietrificate, erbe aromatiche ridotte a fieno. Perché tutto si può sopportare, ma nessuno può sopravvivere senza quel particolare prodotto regionale: il sardo deve avere il mirto e il ligure il basilico. Il bolognese fa le piadine, il piemontese la bagna cauda e il siciliano improvvisa improbabili arancine e c'è stato anche chi, sfidando i trenta gradi all'ombra, ha riunito gli amici intorno a una bella grolla. Il fatto è che senti la mancanza di quello che avrebbe potuto essere, non di quello che è veramente. Altrimenti forse non saresti partito. Mi manca, l'Italia, certo. Mi manca Genova, la mia città dagli amori in salita, la mia Liguria delle creuse, dell'odore dei limoni, degli orti dietro ai muri troppo alti e dell'azzurro che si apre tra le cimase. Mi mancano il cielo blu di Palermo guardato dallo Spasimo, l'odore della menta e le voci dei mercati. Non esattamente i vicoli di un centro storico maleodorante e le strade che attraversano in esigue corsie il cuore antico della città, ferite sanguinanti di smog e clacson, non esattamente i fine settimana al mare dove si apparecchia la tavola sul cofano della macchina parcheggiata in una soleggiata terza fila della statale... Allora come i brutti ricordi che tendono a sbiadire a favore di quadretti un po' artefatti di quello che ci sarebbe piaciuto, ci scopriamo tutti poeti. I fasci di luce che trafiggono il centro storico diventano scenario dei nostri ricordi e i sapori della nostra terra il filo che unisce la memoria.

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Nell’immaginario collettivo la “cassatella” rappresenta il simbolo di Castellammare del Golfo, ridente cittadina del trapanese che sorge alle pendici del complesso montuoso di monte Inici e dà il nome all’omonimo golfo prospiciente il castello, delimitato a est da Capo Rama e a ovest da Capo San Vito.

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e cassatelle (cassateddi, in dialetto siciliano) sono dolci tipici della gastronomia siciliana, originarie della cittadina di Calatafimi, in provincia di Trapani, dove, intorno al 1700, venivano preparate in occasione delle festività pasquali e di carnevale. Si tratta di grandi ravioli dolci che vengono fritti per immersione nell’olio bollente e al cui interno si trova un impasto di ricotta di pecora, zucchero, un pizzico di cannella e gocce di cioccolato. Per la pasta si usa farina di grano duro, zucchero, olio d’oliva, una goccia di vino Marsala e una grattugiata di scorza di limone. Se fino a poco tempo fa, per mangiare la classica cassatella era necessario (ma sicuramente anche piacevole9 recarsi a Castellammare del Golfo, da quando a Palermo (in via Emilia 77/79) ha aperto il bar “La Cassatella”, è possibile soddisfare immediatamente l’improvvisa voglia di questo panciuto dolce, certi della freschezza degli ingredienti e, come richiede la tradizione, gustandola appena fritta, a scottalabbra. Oltre al classico gusto ricotta, se ne aggiungono altri assolutamente innovativi come crema gialla, marmellata, miele, cioccolato, solo per citarne alcuni, e il tipo con ripieno salato. Ma “La Cassatella”, nonostante il nome possa trarre in inganno, non produce solo le omonime leccornìe. Qui è, infatti, possibile gustare ottimi piatti espressi, sia a pranzo che a cena, inclusa la domenica, e dell’ottima pasticceria tipica siciliana, il tutto realizzato con ingredienti di primissima scelta, nel pieno rispetto della stagionalità dei prodotti e delle ricette della tradizione.


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La Sicilia con

sambuca

di Oliva Barbara Corrao

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opo Gangi e Montalbano Elicona, la Sicilia fa il tris: per il terzo anno di fila un comune dell’Isola, Sambuca di Sicilia, ha conquistato il titolo di “Borgo dei Borghi”. Sambuca si trova a pochi chilometri dal mare di Menfi, da Sciacca e dal parco archeologico di Selinunte. Vanta una storia antica che affonda le sue radici negli anni della dominazione araba: secondo le fonti storiche, a fondarla fu l’emiro saraceno Al-Zabut che diede anche il nome alla città (anticamente chiamata appunto Zabut) che fece costruire il proprio castello alle pendici del monte Genuardo. Della fortezza ormai non c’è più traccia,

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cala il tris

ma su quelle pietre è sorto un terrazzo, il famoso belvedere che domina la campagna circostante. Intatto è rimasto il quartiere saraceno, con le sue vie strette, cieche, tortuose, arricchite da piccoli cortili e da “purrere”, le cave sotterranee riportate recentemente alla luce: un gioiello di pianta urbana che ricalca perfettamente la conformazione dei centri storici delle città arabe. Il nuovo “Borgo dei Borghi” d’Italia è famoso anche per le sue chiese. Se ne contano una ventina circa, alcune delle quali adibite a museo dove si possono ammirare le opere del pittore Giambecchina o le originali sculture tessili di Sylvie Clave. Ci sono

poi palazzi storici, il prezioso museo archeologico di Palazzo Panitteri, il teatro ottocentesco e i resti di un antico acquedotto romano. Da visitare assolutamente l’area archeologica di Monte Adranone dove si trovano i resti dell’antica città greco-punica e la riserva naturale di Monte Genuardo che, oltre ad avere una flora e fauna singolari, offre la possibilità di apprezzare il prezioso Monastero di S. Maria del Bosco, non a torto definito il Montecassino del Sud. Troverete inoltre la mostra permanente dedicata al Maestro Giambecchina, il museo etnografico e diverse chiese che • MAGAZINE SAPORI DI SICILIA •


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custodiscono immagini piene di ricchezze

strutture ricettive

Ristorante tipico Lu Saracinu via Accursio n. 18 Sambuca Di Sicilia (AG) Tel. 0925 942477 Ristorante Gastronomico I Picciotti via San Antonio n. 1 Sambuca Di Sicilia (AG). Tel. 0925 94 19 90 Trattoria/Ristorante Il Duca C.da Adragna snc Sambuca di Sicilia (AG) Tel. 0925 94 33 40 B&B Il Saraceno via Cortile Passifiglia n. 1 Sambuca di Sicilia (AG) Tel. 333 427 33 63 Albergo Don Giovanni C.da Pandolfina n. 1 Sambuca di Sicilia (AG) Tel. 0925 94 25 11 (H 24)

artistiche. Se preferite invece guardare coi vostri occhi un angolo di paradiso, potete costeggiare il lago Arancio e l’intera valle del fiume Carboj. A Sambuca di Sicilia non mancano le prelibatezze gastronomiche. Tipico del centro agrigentino è un dolce tradizionale arrivato fino ai giorni nostri con l’appellativo di minni o minnuzzi di virgini, ovvero seni delle vergini. Questa ghiottoneria è la massima espressione della fantasia dolciaria di questa terra del Sud. Si racconta che il nome di questo dolce sia frutto dell’idea di una spiritosissima suora, alla quale va dato il giusto riconoscimento. La storia racconta così: la nascita di questo dolce si deve a Suor Virginia Casale di Rocca Menna del Collegio di Maria, che nel 1725 fu incaricata dalla Marchesa di Sambuca di preparare un dolce particolare e innovativo per il matrimonio del suo unico figlio Pietro. Suor Virginia creò un dolce prendendo spunto dalle colline della Valle d’Anguillara, del Castellaccio e della Minulazza che vedeva

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dalla finestra della sua stanza. Ottenne così un dolce a forma collinare con ripieno di crema di ricotta, cioccolato e zuccata e ricoperto con glassa di zucchero. La suora creò in questo modo una delle più soavi paste della pasticceria siciliana. Lo storico locale Di Giovanni riporta le parole della religiosa riguardo alle sue famose creazioni: “la forma della collina di Sambuca mi ha suggerito che noi dovremmo presentare ai Marchesi un dolce che abbia la forma e in quanto al contenuto porti la dolcezza di questa nostra terra. Insomma un dolce paesano, ma prelibato fine, che susciti nel momento del gusto l’istinto del sentimento stesso, ed elevi al tempo stesso lo spirito della gente che ne gusta la sua bontà”. Suor Virginia descrisse gli ingredienti – farina, uova, latte, lievito – ed il metodo di lavorazione del dolce: “si compone una pinna di pasta tonda come una luna piena, al centro si accumula un po’ di tutto, cose, comunque, che debbo studiare con molta attenzione. Non dovrebbero mancare la famosa zuccata siciliana, la crema, l’essenza di garofano e di cannella, qualche pezzo di cioccolata e... qualche altro ingrediente che mi ispirerà il Signore”, disse la suora. La parte più difficile nella realizzazione di questo dolce è la modellatura della “minna” che va fatta con abilità e senso artistico; la pasta va rigirata tra le mani cercando di farle assumere la forma del seno di una donna, operazione certo non facile, e alla fine si definisce il capezzolo, che deve essere proporzionato e ben evidenziato. L’ultima “palpeggiata” e le “minni di virgini” sono pronte e non resta altro che farle rassodare mediante passaggio in forno. Non dimenticate assolutamente di pasteggiare gli inebrianti vini siciliani, scegliendo un Doc Sambuca di Sicilia o un profumato e armonico spumante Pantezco della Doc Pantelleria. Entrambi i vini si possono associare alla vastedda del Belice, al formaggio locale o, ovviamente, ad una suadente ed indimenticabile minna di virgini.

Minnuzzi di virgini (seni di vergini) Ingredienti •1 litro di latte parz. scremato • 200 gr di amido per dolci • 400 gr di zucchero • 1 bustina di vanillina • 80 gr di gocce di cioccolato • 1 Kg di ricotta • 300 gr di farina 00 • 3 uova • zucchero a velo • 6 ciliegie candite Procedimento In una pentola versate il latte, l’amido per dolci e 250 g di zucchero con la vanillina.Fate cuocere a fuoco molto moderato per 15 minuti fino ad ottenere una crema; toglietela dal fuoco e, appena si è raffreddata, unite il cioccolato a gocce. In un tegame posto sul fuoco a fiamma bassa, sciogliete il restante zucchero con poca acqua, unite la ricotta setacciata e la farina. Cuocete per due minuti e fate raffreddare lontano dal fuoco. Quando il composto è tiepido, aggiungete le uova, una alla volta e lasciate riposare per 2 ore. Preriscaldare il forno a 180°. Bagnate di acqua delle piccole tazze dal fondo concavo, riempite con un pugnetto di impasto che distribuite su tutta la superficie, aggiungete un cucchiaio di crema e richiudete con un po’ di impasto in modo da sigillare il ripieno. Sformare e modellare con le mani in modo da formare delle mammelle, infornare a 180° e cuocete per 15/20 minuti. Servite spolverizzando di zucchero a velo e disponete al centro di ogni dolcetto una ciliegina candita rossa o verde a seconda di come voi preferite.

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alla riscoperta

caccamo Cartagine di Sicilia

di

di Alessandro Iannelli

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ul panorama di Caccamo, borgo d’alta collina raggiungibile in poco più di un’ora da Palermo, svetta, posto sulla cima di una rupe e preceduto da una lunga scalinata, l’imperioso castello. Eretto a partire dall’epoca normanna, offre la vista della Rocca Basumbra, della vallata del fiume San Leonardo e del mare in lontananza. Da tutta la cittadina emana un’atmosfera medievale, con le vie strette e tortuose e il la Chiesa di San Giorgio Martire, diDuomo, Alessandro Iannelli che, pur avendo subito diverse modifiche nel corso dei secoli, mantiene il nucleo originario dell’edificio normanno su cui insiste, risalente al 1090. Scarne e incerte le fonti sulle origini del borgo, identificato da alcuni storici con la semileggendaria “Cartagine di Sicilia” fondata da cittadini di Imera in fuga dopo la sconfitta subita ad opera di Gelone di Siracusa (480 a.C.). Caccamo fu in effetti probabilmente fondata da esuli imeresi e lo stesso nome della località sembra derivare dal punico “càccabe”, la “testa di cavallo” che fa capolino nello stemma cittadino. Difficile ricostruire la successiva evoluzione del nome, forse dovuta a confusione con il termine “càccamu” (“loto” in siciliano). La posizione particolare del sito, al riparo da immediati attacchi nemici e al tempo stesso non troppo lontano dalle coste (e dunque da possibilità di scambi via mare), ne fa un centro ideale per l’economia medievale, tanto che già nel 1094 Caccamo viene elevata al rango di baronìa. Le esigenze di difesa portano alla costruzione della torre di avvistamento (struttura originaria intorno a cui si svilupperà il castello) già eretta nel 1160. Il castello di Caccamo è famoso perché lì si svolse il celebre episodio della congiura. Le fonti storiche ripor-

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tano che il barone e signore di Caccamo Matteo Bonello, inviato dal re Guglielmo d’Altavilla nella penisola per ricomporre i dissidi con la nobiltà locale, cavalcando il malcontento verso il re e la sua corte, trovò invece proprio nei nobili del Sud un appoggio per organizzare una rivolta. Si ritirò successivamente nel castello, dove nel marzo dell’anno successivo organizzò la congiura contro il re, tramando con i nobili in quella che è rimasta famosa come “Sala della Congiura”, oggi aperta al pubblico, con esposizione di stendardi di vari casati, sia in riproduzione che originali. La rivolta terminerà con il trucidamento nello stesso edificio del barone, che secondo la leggenda si aggirerebbe ancora nell’area della torre, borbottando malefici contro i suoi carnefici. Negli ultimi anni diversi restauri si sono succeduti, portando all’apertura al pubblico di gran parte dei 130 vani: si sono aggiunti con l’ultima amministrazione, come ci conferma lo stesso sindaco, Andrea Galbo, il maniero, le prigioni e la Sala delle Armi, dove sono esposti cimeli di epoca garibaldina. “Ma – sottolinea con orgoglio il sindaco – Caccamo non è solo il celebre castello: oltre al già citato Duomo, di rilievo sono le catacombe della settecentesca chiesa del le Anime Sante e soprattutto la chiesa di san Benedetto alla Badìa, celebre per il pavimento con le oltre 5000 mattonelle maiolicate raffiguranti scene bibliche e di

tema naturalistico e mitologico”. Un lavoro unico in Sicilia, frutto, secondo alcuni esperti, del maestro Sarzana, “mattonaro” di Palermo del XVIII secolo. La chiesa è visitabile ogni mattina e si avvale, come il castello, della presenza di guide qualificate. “Caccamo – prosegue il sindaco – è inoltre celebre per le preparazioni delle carni, come il salame al pistacchio di Bronte o alle noci e la salsiccia, protagonista della sagra che si tiene ogni anno la seconda domenica di ottobre e che porta a Caccamo oltre 20 mila persone”. Il prodotto più tipico è la salsiccia pasqualora o asciutta, che deve la sua origine all’antica tradizione delle famiglie caccamesi, che allevavano i propri maiali e ne uccidevano per il consumo uno nel periodo natalizio e uno durante il Carnevale: la carne in eccesso, bandita durante la Quaresima, veniva lasciata essiccare e consumata poi nel periodo pasquale, anche cruda sottoforma di salume.


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Pane da cena Qui il barone Matteo Bonello ordì la congiura contro Guglielmo d’Altavilla dove mangiare e dormire CASE VACANZE e B&B Appartamento Caccamo House - via Libertà, 35 Casa Vacanze "Casa di Mamma" - via Ospedale Vecchio, 7 Case Vacanze Santa Lucia - via Raccomandata, 8 (check-in a Piazza Vespri, 4) Bed & Breakfast Scimeca - via Regione Siciliana (a 100 metri dalla fermata degli autobus per Termini Imerese e Palermo) - tel. 380.3484661 RISTORANTI A Castellana, Piazza dei Caduti, 4 - tel. 091.814 8667 A Ficurinnia, contrada S.Giovanni Li Greci - tel. 091.8123080 Il Castello, Via Termitana, 47 - tel. 091.8121872 La Baronia, via Amilcare, 13 - tel. 091.8149191 La Spiga D'Oro, Via Margherita, 74 - tel. 091.8148968 Mareintavola, via Regione Siciliana, 67 - tel. 091.8121349 AGRITURISMI La Cascina di Madì, contrada Portella di Palma - tel. 335.6897740 tel. 091.6256454 Valle del Torto, stazione Montemaggiore Belsito - tel. 333.5295790 Cicala, contrada Misa - tel. 091.8122043

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Oltre ai diversi preparati di carni, si lega alla tradizione di Caccamo, in particolare nel periodo pasquale, il pane da cena, per consistenza e sapore una via di mezzo fra un pane e un dolce. A differenza del pane, si può conservare per alcuni giorni. Ingredienti per 8 pagnotte 1 kg farina 300 gr zucchero 1 albume 15 gr semi di finocchio 20 gr vanillina 5 gr lievito di birra secco Procedimento Riscaldate in un pentolino 300 ml d'acqua fin quasi a bollitura e versatevi lo zucchero. In una pentola versate la farina, il lievito e i semi di finocchio aggiungendo di volta in volta parte dell'acqua zuccherata e mescolando per ottenere omogeneità, fin quando avrete usato tutta l'acqua. Dall'impasto create le otto pagnottelle, da lasciare a lievitare fino al mattino successivo. Nella seconda fase della ricetta, con i panetti lievitati, versate in un pentolino altri 300 ml d'acqua con l'albume d’uovo e la vanillina, mescolate e riscaldate fin quasi a bollitura: a questo punto bagnate ciascuno dei panetti nell'acqua, poneteli poi su una teglia (avendo cura di aver steso prima su di essa della carta da forno) e praticate sui panetti un taglio a croce, che permetterà ad essi di rigonfiarsi in forno e di assumere poi un elegante aspetto simile ad un fiore prossimo a sbocciare. Riscaldate il forno a 180 gradi e ponetevi la teglia coi panetti per 45-50 minuti.

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il lupino

di Martina Comito

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l lupino giallo, o Lupinus luteus è una piante annuale appartenente alla famiglia delle Leguminose o Fabacee. Proveniente dalle Americhe dove è particolarmente diffuso per essere adatto a climi caldo umidi, adesso è ormai coltivato con successo anche in Sicilia. Spontaneo lungo le coste del Mediterraneo, invece, cresce il lupino bianco (Lupinus albus). Il seme del lupino è costituito da un involucro giallo composto da cellulose ed emicellulose che non viene mangiato e che rappresenta il 30% del peso. La parte che va consumata è la parte interna. Come si preparano i lupini? Se acquistate lupini secchi, dovete trattarli come tutti gli altri tipi di legume tenendoli ammollati in acqua. Nel caso dei lupini è necessario tenerli in ammollo per 3 o 4 giorni cambiando l’acqua ogni 12 ore. Dovranno poi essere bolliti in acqua per circa 20 minuti: così si eliminano le sostanze tossiche e molto amare che sono contenute al loro interno. Il lupino è un legume molto antico e le sue proprietà terapeutiche erano già note ai Maya e agli Egizi. Oggi la scienza conferma quanto empiricamente conosciuto da questi popoli antichi, attri-

Giallo salutare e benefico buendo le proprietà salutari e benefiche per il nostro organismo alle importanti sostanze in esso contenute: i minerali calcio,

fosforo, potassio, zinco, manganese, rame, sodio, selenio, magnesio e ferro, le numerose vitamine come la A, molte del gruppo B, la C e diversi aminoacidi essenziali. Contiene inoltre acidi grassi omega 3 e omega 6 che, com’è noto, aiutano a prevenire l'invecchiamento cellulare, a ridurre il colesterolo cattivo nel sangue e a prevenire l'ipertensione. Inoltre, prevengono il diabete e alcuni tipi di tumore e soprattutto quello del colon-retto. Il manganese, il selenio e lo zinco contenuti in questo legume intervengono nei processi di difesa dell'organismo; mentre il magnesio e il calcio fortificano la struttura scheletrica. Non è da sottovalutare, poi, la buona presenza di una proteina vegetale, la conglutina-gamma che, secondo uno studio condotto dal San Raffaele di Milano, può essere considerata l’alternativa, tutta naturale, all’insulina. Uno dei pregi del lupino è quello di non contenere glutine nel seme, caratteristica che lo rende interessante per l’inserimento nella dieta celiaci. Al contrario è sconsigliato fare abuso di lupini a chi soffre di allergia alle arachidi, poiché i lupini contengono le medesime proteine.

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euro 2,90 Anno 4 - Numero 3 - 2016

La rivista dei prodotti tipici e tradizionali

regione sicilia

Sapori di Sicilia Magazine

Itinerari del gusto • DIRETTORE EDITORIALE Peppe Giuffrè


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