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Come Swami Salvò la mia Vita Dottor Kishan N. Gadhia

Dottor Kishan N. Gadhia

QUELLA CHE SEGUE È UNA BREVE storia di come, nel 1960, entrai a contatto diretto per la prima volta con Sai Baba, e dei molti miracoli personali ed esperienze che ho avuto negli ultimi cinquant'anni. Sentii parlare di Bhagavan per la prima volta alla fine degli anni ’50 da mio cugino, dottor D.J. Gadhia. Dopo le sue esperienze personali nel corso di molti anni, egli era convinto che Bhagavan non fosse altro che la reincarnazione di Shirdi Sai Baba, che visse fra il XIX e l’inizio del XX secolo nel nord dell’India. Shirdi Sai Baba era nato come Sri Sathya Sai Baba, con il compito precipuo di realizzare la trasformazione personale degli esseri umani attraverso l’amore e il servizio disinteressato. Tutto questo sembrava davvero molto bello, ma i miei genitori e il resto della famiglia in quei primi giorni continuarono a pregare, come fanno normalmente gli indù, Rama, Krishna e Shiva. Fu solo quando ebbi un’esperienza diretta e personale con Bhagavan che Ne compresi pienamente la vera divinità.

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Il Primo Incontro con la Divinità

Durante il mio periodo come studente di Medicina a Jamnagar nel 1957, mi recai in pellegrinaggio con un piccolo gruppo di amici in vari templi nel sud dell’India. Una delle destinazioni doveva essere Puttaparthi, un piccolo villaggio di appena qualche migliaio di abitanti, e dimora del nostro amato Bhagavan. Visitammo numerosi templi e centri di ritiro spirituale, tra cui l’Ashram di Sri Aurobindo a Pondicherry (Puducherry). In quel periodo, però, per una ragione o per l’altra, non riuscimmo ad arrivare a Puttaparthi. Forse i tempi non erano maturi per

vedere il Divino faccia a faccia. Tuttavia, nel 1960 giunse finalmente il momento in cui, con alcuni compagni studenti di Medicina, andai a Puttaparthi per la prima volta. Cinquantacinque anni fa, non c’erano alloggi per i visitatori. Non c’erano ricoveri nemmeno per stendere un letto per la notte. A quei tempi, Prasanthi Nilayam era un Ashram molto piccolo, con solo un semplice Mandir disadorno come struttura principale. Il professor Kasturi, ardente devoto di Bhagavan, ci consigliò gentilmente di approntare un letto di fortuna sotto un albero di fronte al Mandir, in modo da poter riposare la notte dopo il lungo viaggio da Jamnagar, una piccola città nello Stato del Gujarat. Così facemmo, e al mattino dovemmo camminare fino al fiume Chitravathi, a circa un chilometro di distanza, per le abluzioni quotidiane. Prima di continuare la descrizione del mio primo incontro con Bhagavan, vi racconterò un piccolo episodio accorsomi a Jamnagar alcune settimane prima. Mio cugino, dottor D.J. Gadhia, era venuto a trovarmi a Jamnagar dopo la sua visita a Bhagavan a Puttaparthi. A Jamnagar, mi portò in una gioielleria per comprare un piccolo contenitore d'argento in cui avremmo tenuto la Vibhuti. Dopo essere arrivati a casa, prese della Vibhuti che gli era stata data da Bhagavan, in modo da poter riempire il contenitore d’argento che aveva appena acquistato per me. Quando io aprii il contenitore, con nostro grande stupore, scoprimmo che era già pieno di profumata Vibhuti! Mio cugino capì subito che questo era uno dei miracoli di Bhagavan, ma la mia mente dubbiosa mi diceva che doveva esserci un’altra spiegazione più “razionale” per questo. Pensai che il negoziante fosse probabilmente un devoto di Bhagavan e che avesse riempito il contenitore prima di incartarlo. Così, il giorno dopo, andai dal negoziante, il quale mi assicurò di non aver nemmeno mai sentito il nome Sri Sathya Sai Baba. Tuttavia, la mia mente non era convinta che questa potesse essere stata opera di Bhagavan. Tornando al mio primo incontro con Lui, il professor Kasturi venne da me e dai miei compagni studenti di Medicina e ci informò che Sai Baba ci avrebbe concesso un’udienza e che saremmo dovuti procedere nella stanza dei colloqui. Quando vi entrammo, Swami cominciò subito a chiamare ogni studente per nome e a nominare il paese da cui ognuno di essi proveniva. Nessuno di noi aveva menzionato in precedenza questi dettagli ad alcuno. Questa fu una vera emozione per tutti noi. Swami, poi, prese ad arrotolarsi le maniche della veste e ad agitare la mano destra con un movimento rotatorio. Non appena iniziò a far questo, cominciò a fluire dalle sue dita della Vibhuti, che Egli distribuì a tutte le persone del mio gruppo, tranne che a me! Dissi allora a Swami che a me non l’aveva data, ma Egli si voltò e disse di averlo già fatto mettendola in un contenitore d’argento a Jamnagar! A questo punto ero senza parole. Poi Baba chiese: “Hai bisogno di ulteriori prove”? Risposi subito di non averne bisogno e di essere pienamente convinto che Egli fosse Dio incarnato.

Mia Madre ha un Attacco di Cuore

Durante l’udienza, Swami mi chiamò da solo in una stanza più piccola all’interno della stanza delle “interview”. Quando entrammo, disse: “Tua madre ha appena avuto un infarto in Uganda e ora si trova in un ospedale di Kampala. Non occorre allarmarsi. Mi prenderò Io cura di lei.” Iniziò quindi a muovere la mano con un gestro rotatorio, materializzò della Vibhuti e me la diede con la precisa indicazione di inviarla a mia madre in Uganda. Dopo aver raggiunto Bombay (Mumbai), telefonai a mio padre in Uganda per chiedere informazioni sulla salute della mamma. Egli rimase sorpreso che io sapessi già dell’attacco cardiaco di mia madre. Gli raccontai allora che cosa era accaduto nella stanza dei colloqui e

gli dissi che la Vibhuti materializzata sarebbe stata inviata immediatamente per posta.

Dasara 1963

Ho avuto la grande fortuna di essere stato a Puttaparthi, in occasione della festività di Dasara del 1963, per assistere a uno dei momenti veramente grandi, quando cioè Swami eseguì il Vibhuti Abhishekam (l’aspersione della sacra cenere) della statua di Shirdi Sai Baba. Ricordo che ero seduto in quarta fila, e, quando Swami completò l’Abhishekam, tutti noi seduti nelle prime file eravamo completamente ricoperti di cenere sacra. Fu davvero una grande benedizione divina essere stati testimoni di questo evento.

Ritorno in Uganda

Mi laureai in Medicina nel 1966 e, dopo la cerimonia di laurea, andai a Puttaparthi. Ero seduto nelle file del Darshan di fronte al Mandir, e Swami si avvicinò e mi chiese: “Stai tornando in Uganda?” Risposi affermativamente. Egli poi materializzò il Suo biglietto da visita, con impressa la Sua immagine, il nome e l’indirizzo. Quando mi dette questo biglietto, mi disse di tenerlo sempre in tasca e non nella stanza della Puja. Così partii per l’Uganda. Mi sposai con Tarla nel 1967 e decisi di aprire uno studio medico nella cittadina di Masaka, a circa 80 km dalla capitale Kampala. Sebbene fossi molto lontano fisicamente da Swami, sentivo che Egli era sempre con me a Masaka.

Swami Visita l’Uganda

Nel 1968, Swami fece il Suo unico viaggio all’estero in Africa orientale, visitando l’Uganda e per un breve periodo il Kenia. Rimase in Uganda complessivamente per quattordici giorni, e io andavo per avere il Suo Darshan nei fine settimana quando non visitavo i pazienti. Un giorno concesse un colloquio a tutti i medici locali. Chiamò un mio zio (il padre del dottor D.J. Gadhia) e lo informò che avrebbe fatto visita alla residenza di Gadhia a Kampala, aggiungendo: “Puoi chiamare tutti i tuoi famigliari e dir loro di essere presenti a casa tua quando verrò Io.” Restammo tutti sbalorditi nell’udire queste parole e con grande felicità facemmo tutti i preparativi necessari per la grande occasione, quando il Divino sarebbe venuto nella nostra casa nella Sua forma fisica. Swami arrivò e tutta la famiglia Gadhia era presente ed euforica per la presenza dell’ospite speciale, che concesse a tutti il Padanamaskar. Successivamente disse: “È giunto il vostro momento di lasciare questo Paese, di andarvene.” Consigliò a tutti coloro che erano di etnia indiana di abbandonare l’Uganda. Restammo tutti scioccati da queste parole, poiché la maggior parte di noi era nata in Uganda e, a tutti gli effetti, questo era il nostro Paese. Dove saremmo andati e, in ogni caso, quale Paese ci avrebbe accettato? Detti tuttavia ascolto al Suo consiglio, vendemmo la mia proprietà e depositai il ricavato in una banca londinese.

In Uganda, nel 1972, ci fu un colpo di stato militare e il generale Idi Amin Dada prese il controllo del Paese e avvertì tutti i non africani di andarsene entro novanta giorni; in caso contrario avrebbero dovuto affrontare gravi conseguenze, compresa la morte. Fortunatamente, Swami ci aveva avvertiti con largo anticipo, e io provvidi a organizzarmi per lasciare l’Uganda non appena possibile e partire per il Regno Unito.

Faccia a Faccia con la Morte

Stavo andando in macchina da Masaka a Kampala per chiedere anche ai miei genitori di fare immediatamente i preparativi per lasciare l’Uganda. Lungo la strada, mi imbattei in un posto di blocco militare. Uno degli ufficiali mi chiese se avessi delle armi in macchina e lo scopo del mio viaggio a Kampala. Detti le risposte appropriate e gli chiesi di lasciarmi

passare, ma egli non lo fece. Mi disse invece di scendere dalla macchina e mi puntò una pistola al petto. Poi mi ingiunse di fermarmi sul ciglio della strada, vicino ad alcuni cespugli. In quel preciso istante, un africano alla guida di un taxi, che mi conosceva, fermò la sua macchina e supplicò l’ufficiale di lasciarmi andare, ma inutilmente. L’ufficiale minacciò persino il tassista di sparargli se non se ne fosse andato. Non sorprende che questi ripartisse in fretta e furia. A quel punto mi sentii completamente impotente, pensando che la fine della mia vita fosse vicina. Il militare, puntandomi la pistola al petto, mi chiese quale fosse il mio ultimo desiderio. Lo supplicai allora di lasciarmi libero, in modo che potessi tornare dalla mia famiglia a Masaka. Rifiutò categoricamente, ma mi offrì una sigaretta. Gli dissi che non fumavo, così egli aggiunse: “Prega per l’ultima volta; ti concederò due minuti.” Misi la mano in tasca e presi il biglietto da visita di Swami. Ricordai che Egli mi aveva detto di portarlo sempre con me e di non lasciarlo nella stanza della Puja. Molto spaventato, iniziai a pregare Swami tenendo il biglietto sulla testa e sul petto. L’ufficiale mi disse poi che il tempo per le preghiere era finito, ma che, prima di spararmi, era curioso di sapere chi stessi pregando. Gli mostrai il biglietto da visita su cui era scritto: “Bhagavan Sri Sathya Sai Baba, Puttaparthi, Penukonda Taluka, Distretto di Anantapur”. C’era anche la Sua immagine. Quando l’ufficiale lo ebbe guardato, sorprendentemente me lo restituì dicendo: “Vai.” Qualcosa gli aveva impedito di spararmi.

Nel 2004, mentre mi trovavo nell’Ashram di Whitefield, Swami un giorno mi chiamò e mi chiese di narrare la storia di cui sopra agli studenti che erano presenti nella residenza di Swami, il Trayee. Dopo il mio racconto, disse agli studenti che, quando l’ufficiale aveva preso in mano il biglietto da visita, aveva visto l’immagine di Swami su di esso e aveva immediatamente cambiato idea sul fatto di uccidermi. Swami confermò di aver fatto completamente cambiare idea all’ufficiale che mi aveva lasciato andare. Ora, ecco il seguito più interessante dell’episodio sopra descritto. Swami disse che, dopo aver visto la Sua immagine sul biglietto da visita, l’ufficiale aveva trovato una foto di Swami da tenere per sé. Il militare teneva quella foto nella sua casa in Uganda e meditava su di essa. Swami aggiunse che, un giorno, mentre stava meditando, l’ufficiale udì una sonora risata che lo fece restare a bocca aperta, dato che non c’era nessun altro in casa. Swami rivelò che la risata era proprio la Sua, e continuò: “Sono uscito dalla foto e ho ordinato all’ufficiale di venire a Puttaparthi per ricevere delle benedizioni.” Disse anche all’uomo di smettere di essere crudele e violento, e sorprese tutti riferendo che l’ufficiale era andato a Puttaparthi per ricevere le benedizioni e che era stato chiamato per un colloquio, durante il quale Swami gli aveva donato una veste come pegno del Suo amore. Non fui a conoscenza di questo episodio fin quando Baba, quel giorno, non ne parlò. Ne rimasi davvero sconcertato. Swami aggiunse anche di aver cambiato il militare da “Vali a Valmiki” (da scimmia a grande saggio).

In Conclusione

Swami, negli ultimi cinquant’anni, ha compiuto molti miracoli per me e la mia famiglia. L’elenco comprende la soluzione di problemi personali, medici e finanziari. Tutti i miei famigliari hanno piena fede e fiducia in Swami, ed Egli, a Sua volta, ha sempre riversato su tutti noi le Sue benedizioni e il Suo amore.

– L’autore, medico, è da oltre cinquant’anni un ardente devoto di Bhagavan

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