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s o m m a ri o Senso&Gusto - mensile gratuito Autorizzazione del Tribunale di Velletri n. 08/12 del 19/04/12
Editore AC Management di Cristiano Bucciero via dei Ciliegi, 1 - 00040 Pavona (RM) cell. 392 3884281
Direttore responsabile Paolo Caprio paolocaprio@yahoo.it
Collaboratori Antonino Addis, Serena Caprio, Valeria Caroselli, Carlo Di Fazio, Angelo De Martino, Emilio Farinelli, Roberto Farinelli, Simone Francini, Antonella Lamboglia, Luigi Jovino, Paolo Martizi, Gabriele Zanini
Redazione e segreteria Via Latina, 23 - 00041 Albano Laziale (RM) Tel. 392 3884281 - 335 309696 Fax 06 93721865 redazione@sensoegusto.com
Progetto grafico
Editoriale
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Le storie del cibo
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Il Ristorante
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Il parere dell’esperto
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Weekend&Relax
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La ricetta del mese
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Il mondo delle donne
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L’angolo dei golosi
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i Dell: laptop Pianeta vino nuovo xps12 codice Magie N00X1203 e di notte inspirion 15
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Il benessere a tavola
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Quadrifoglio s.r.l. Via Latina, 23 - 00041 Albano Laziale (RM)
Appuntamento con la beneficienza
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Senso&Gusto è una rivista mensile gratuita. E’ vietata la riproduzione anche parziale di testi, grafica, immagini e spazi pubblicitari. La direzione non restituirà gli articoli e le foto inviati alla redazione. Salvo accordi scritti le collaborazioni a Senso&Gusto sono da ritenersi gratuite e non retribuite.
Moda e tendenze
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Massimo Lonzi & EG
Grafica e stampa
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E ditoriale La politica dei prezzi onesti solo così si può combattere la crisi
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o trascorso la fine dell'anno in Toscana, come accade da tempo, una Regione molto bella da molti punti di vista. A cominciare dall'accoglienza, passando per la sua storia, per il notevole patrimonio culturale, per le sue bellezze artistiche, per la sua natura conservata con intelligenza e le sue tradizioni gastronomiche. Una “summa” di cose, che rendono la Toscana un punto di riferimento del turismo nazionale e internazionale. Quello che mi viene da pensare, è che nella nostra nazione non è l'unica a possedere queste prerogative. Eppure loro stanno un passo avanti a tutti, le differenze risiedono nelle strategie e nel modo di intendere il turismo. Non dico che i visitatori siano coccolati, però vengono messi a loro agio e nelle condizioni di sentirsi come fossero a casa loro. Perché ho fatto questa premessa? Perché, purtroppo nella nostra Regione ciò non accade. Il principio che indirizza la politica degli operatori è quella di sfruttare al massimo il turista, con la conseguenza che quest'ultimo finisce per abbandonarti e rivolgere le sue attenzioni altrove. Sopratutto in questo momento di difficoltà economica, dove le spese, chiamiamole futili, vengono centellinate. Se, con qualche chilometro in più, si trovano condizioni migliori, la gente non ci pensa due volte a rivolgersi dove sa di stare bene e di risparmiare più di qualche euro. Essendo, la nostra, una pubblicazione che si occupa di ristorazione, io, per prima cosa ho focalizzato le mie attenzioni verso questo settore. Ne avevo già conoscenza, essendo un habitué, ma questa volta ne sono stato maggiormente colpito, perché la continua escalation dei prezzi, che puntualmente siamo costretti a subire un po' in tutti settori, per colpa, come dicono molti operatori, di un governo tiranno, sembra non aver colpito i loro colleghi toscani. Prendo, per esempio, i ristoratori che hanno la loro attività nella Provincia di Siena (ultimamente a San Gimignano), cioè una delle più battute dal turismo mondiale. Ho visitato, negli anni, anche altri centri importanti e belli, come Pisa, Arezzo, Pistoia, Montepulciano, Rapolano Terme, Certaldo, Siena e via dicendo. Ebbene, non ho mai avuto la sensazione di essere stato spennato dall'oste di turno, mangiando alla grande, sia da un punto di vista della qualità del cibo, dell'abilità dei vari chef e la varietà delle proposte. Non ho mai raggiunto il tetto dei 30 euro per un pasto completo, con tanto di dolce e del buon vino. Anzi, la media, durante il mio soggiorno, è stata intorno ai 20 euro. Con dei prezzi del genere, si stimola il turista a muoversi, senza considerare che, chi vuole fare soltanto uno spuntino, con 10 euro può gustare un mega tagliere composto da salumi, formaggi, crostini e un bicchiere di vino. Cioè, quasi un pasto. E se vuoi risparmiare di più, puoi mangiare zuppe, crostoni farciti e altri sfizi locali anche nei bar, quasi tutti con tavola calda, naturalmente nei centri più frequentati, invece di anonimi panini o tramezzini preconfeziona come accade da noi.
Perché da noi, non è possibile attuare una politica di questo genere per invogliare il turismo a frequentare il nostro territorio? Eppure di bellezze ne abbiamo tante, anche se, in alcuni casi, mal conservate. I signori ristoratori, spiace dirlo, sanno soltanto lamentarsi, ma non muovono un passo, per uscire dalle pastoie della crisi. Non hanno idee. Al massimo, propongono menu fissi dai sette ai dieci euro a pranzo, sulla cui qualità, fatte poche eccezioni, preferisco soprassedere, anche se, prima o poi, su questo tema ci tornerò. Per rendere più esplicito il mio ragionamento, voglio farvi un esempio che la dice tutta: a San Gimignano, che può essere benissimo paragonato a Frascati, a Subiaco con tutti i suoi stupendi monasteri, a Tivoli con le sue belle ville, a San Martino al Cimino sopra all'incantevole lago di Vico, un primo piatto condito con sugo di cinghiale in quasi tutti i ristoranti (le differenze sono minime) costa al massimo 7,50 euro, mentre da noi una carbonara, un cacio e pepe arriva a costare come minimo intorno ai 10 euro. Cioè parlo di piatti, che a livello di materia prima e di preparazione, hanno costi bassissimi, al contrario di un sugo al cinghiale, che necessita di una preparazione notevolmente più lunga oltre ad un maggior costo della carne. Perché? Con gli esempi mi fermo qui. Potrei dilungarmi anche sugli antipasti, sui secondi, sui dolci. Sarebbe soltanto un'inutile ripetizione. Dunque, cari ristoratori del Lazio, è giunto il momento di mettere da parte i vostri fazzoletti raccoglitori di lacrime di coccodrillo, di prendere in mano i vostri strumenti di lavoro, di vedere come riparare i guasti creati negli anni, attraverso nuove strategie, tese ad invogliare i clienti a rifrequentare con più assiduità le vostre sale desolatamente vuote. Non vale neanche la giustificazione dei numerosi balzelli che dovete pagare allo Stato. I vostri colleghi toscani o umbri o marchigiani non hanno delle agevolazioni speciali rispetto a voi. Hanno soltanto la consapevolezza che il cliente non è un limone da spremere, ma una risorsa. E le loro sale sono piene.
Paolo Caprio © RIPRODUZIONE RISERVATA
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L e storie del cibo I pantagruelici banchetti di una volta e le sofisticate “recite” in villa di oggi
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n tempo di crisi si registrano cambiamenti che sconvolgono abitudini consolidate. Le statistiche confermano che anche nel settore della banchettistica per matrimoni, comunioni e cresime, calano vertiginosamente le presenze e la richiesta delle performance alimentari. L’industria del matrimonio si trova davanti ad una vera rivoluzione. Sicuramente dovranno essere corretti errori, che creano danni agli sposi, alla famiglia, agli invitati, al ciclo dei rifiuti e all’ambiente. È capitato a molti di noi andare per cerimonie in una di queste lussuose ville, sorte come funghi in tutta la Regione. L’esperienza, il più delle volte è stata traumatica. La conferma arriva anche dalla testimonianza di amici e parenti che, come noi, sono stati detenuti e presi in ostaggio nelle dimore nobiliari, manieri impenetrabili nei giorni delle cerimonie. Tra panni colorati, hostess, addobbi floreali e panorami mozzafiato il pasto è considerato un optional. Un valore di secondo piano. Niente a che vedere con il sontuoso pranzo di qualche decennio fa, con immancabili fritture, mezzo pollo arrosto, fettuccine, lasagne e cannelloni, zuppa inglese come torta nuziale. Niente ville nobiliari, ma immensi ristoranti, capaci di ospitare un esercito di persone. Adesso, invece, si punta all'aspetto scenografico , dove viene propinato il solito buffet all’aperto con gli angoli dell’ostricaro, del pizzettaro, dei formaggi, dei salumi, della frutta e dei dolci. I ristoratori sanno bene che solo gli sfizi degli antipasti coprono le esigenze caloriche e azzerano l’istinto della fame, anche del convitato più vorace. Si passa poi ai primi piatti, spesso non più di due, in cui fanno bella mostra i risotti. Secondi a scelta di carne e pesce, con l’intermezzo del sorbetto, verdure condite e crude, ricco carrello di dolci, torta, spumante e caffè. Il costo medio, villa compresa, si aggira (quando va bene) sopra i 100 euro a testa. La spesa comporta più di una preoccupazione per gli sposi e i familiari.
Non parliamo poi per gli invitati. Ci sono capofamiglia (di tre o quattro persone) nel panico, per il semplice fatto di non aver potuto mettere nella busta più di 500 euro, metà cioè dello stipendio medio di un impiegato. Al massimo sono riusciti a ripagare gli sposi del pranzo offerto. Neanche i soldi per il costo della bomboniera! Sarebbe il caso di chiedersi a chi serva tutto questo spreco? Bisognerebbe invece considerare che quasi il 30 per cento degli italiani soffre di malattie del metabolismo ed anche volendo è impossibilitato a cedere alle tentazioni dei menù delle cerimonie. Per non parlare delle persone, che per problemi dietetici o salutistici, neanche sono abituati a consumare un pasto completo al giorno. Partendo da queste considerazioni diventa chiaro che questo sfarzo è più che un affronto. Il trionfo degli sprechi. Uno specchietto per le allodole per gente semplice, che mentre a casa risparmia sul costo del pane, è costretta, durante una cerimonia, a dare un calcio a tagliate di manzo, a tartare o a fritture di scampi e gamberoni. Io stesso ho visto alla fine di banchetti nuziali quantità enormi di cibo, pronte per la discarica. Ma non sarebbe meglio un menu alla carta? La gente mangia quello che vuole. Il portafogli è salvo e il cassonetto del riciclaggio vuoto. Alcuni titolari di ristoranti dicono che è possibile fare delle cerimonie con menu alla carta, sempre che la scelta sia limitata a tre o quattro portate per i primi e per secondi. Sarebbe una decisione rispettosa verso se stessi, gli invitati e l’ambiente. Potrebbe essere anche simpatico far le liste di nozze presso i salumieri o le macellerie. Gli invitati potrebbero decidere di regalare agli sposi, il prosciutto per gli antipasti, una degna bottiglia di vino o un quarto di maiale.
Luigi Jovino © RIPRODUZIONE RISERVATA
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I l ristorante Da “La Sol Fa” canta la vera cucina romana
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a vera cucina romana, nella Capitale, è diventata una rarità, perché sono scomparse le osterie, che rappresentavano i capisaldi della tradizione gastronomica capitolina. Qualcosa è rimasta ancora a Trastevere e a Testaccio, dove l’esigenza di servire il turismo di massa, ch e non sa giudicare, ha finito per imbastardire, col tempo, carbonare e amatriciane. In poche parole, tanta quantità, perchè i numeri sono elevati, a discapito della qualità. Per chi ama la cucina di Roma, oggi come oggi, è difficile, nella moltitudine di ristoranti sparsi nella città, trovare il locale giusto per gustare pasta e broccoli in brodo d’arzilla ( pesce povero ma molto saporito), o la coda alla vaccinara. Noi l’abbiamo trovato in via Sommellier, ad un passo da piazza Santa Croce in Gerusalemme e da San Giovanni. Si chiama “La Sol fa”, un nome che sa più di spartito musicale che di locale per la ristorazione. Ma Claudio e Flavio Scintu, giovani fratelli, il primo in cucina a fare lo chef, il secondo in sala a fare gli onori di casa, dicono senza mezzi termini che la cucina della loro osteria, così loro la definiscono, è musica. Una battuta tra il serio e il faceto, perché in effetti, nella sua semplicità, questo locale offre “acuti” gastronomici di ottimo livello. Il segreto, secondo noi, sta tutto nella conduzione, di stampo strettamente familiare, visto che in cucina, spesso accanto a Claudio, chef che studia, ricerca e poi mette in pratica, c’è la mamma Carla, mentre Flavio s’avvale dell’aiuto del padre Dino. Nella ristorazione di oggi, che arranca maledettamente per via di un vertiginoso calo di presenze, gli unici locali che riescono a tamponare la crisi, sono quelli dove è coinvolta tutta la famiglia. C’è l’interesse di dare il massimo, a cominciare da chi dirige l’orchestra in cucina, sempre e comunque. Sottolineato questo importante aspetto, ritorniamo a parlare di questo ristorante, che ha “sposato” (il matrimonio è ben riuscito) la vera cucina romana, che vuol dire sapori forti ma veraci, che vuol dire ricche “scarpette” per raccogliere il “sughetto”, quello di una volta. Claudio non va tanto per il sottile, non baratta il gusto della pietanza con gli aspetti scenografici del piatto. La coda alla vaccinara deve avere, secondo tradizione, un’abbondante guarnizione di sugo e sedano, la trippa alla romana è immersa nel sugo e nel cacio pecorino, il cacio e pepe è cremoso e piccante al punto giusto, le penne all’arrabbiata sono veramente “incazzate” come vuole la tradizione, le carni (manzo,pollo e coniglio) alla cacciatora
hanno quel sapore forte al punto giusto, mentre la sopracitata pasta e broccoli in brodo d‘arzilla è una vera poesia. Quest’ultimo piatto è veramente una rarità, visto che è una ricetta che, nel corso degli anni, è scomparsa dai menu romani. Colpa di una diseducazione dei ristoratori, che hanno puntato su piatti di massa, che con la tradizione romana hanno poco da spartire. Ma da “La Sol Fa” questo non avviene. Puoi trovare questo piatto con una certa continuità, specialmente d’inverno. E se non vuoi correre rischi, basterà richiederla, quando si prenota il tavolo. Ma c’è un altro piatto, che merita la massima considerazione: il polpettone al forno. Sicuramente è uno dei punti di forza del ristorante. Qualcuno potrà storcere il naso di fronte a questa pietanza. In molti pensano sempre che sia un riutilizzo di carni avanzate. Non siamo disposti a mettere la mano sul fuoco per altri, ma per quello di Claudio, si. Non soltanto per la freschezza (ne fa uno al giorno), ma per la sapidità dell’impasto, dovuta ad un sapiente mix di carni e di odori, con quella crosticina croccante esterna che fa da contraltare alla morbidezza interna. Il venerdì, come vuole la tradizione romana, lo chef propone il pesce, cucinato sempre nel rispetto della cucina romana, come seppie con i piselli e alici fatte in vari modi. Il tutto accompagnato con i migliori vini del Lazio. Da sottolineare che tutti i giorni c’è la possibilità di poter fare un pasto veloce. C’è, infatti, un mini-menu a scelta a prezzo fisso molto conveniente. Per gli eventi, infine, poco distante dal ristorante, Claudio e Flavio ti possono organizzare una festa con i fiocchi a “ La nave”, una cantina vecchio stampo, che loro hanno ristrutturato, ricca di atmosfera.
Paolo Caprio © RIPRODUZIONE RISERVATA
Osteria “La Sol Fa” Via Germano Sommellier !9/21 - Roma Tel. 06 7027996 Aperto a pranzo e cena Riposo: sabato a pranzo e domenica Ferie: agosto Carte di credito: si www.osterialasolfa.it
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I l parere dell’esperto Buon senso e norme di legge per evitare il pericolo delle alterazioni
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uon 2013 a tutti. Abbiamo visto come gli alimenti ricchi di acqua e costituiti da proteine e/o da carboidrati (zuccheri, amido), si alterano in breve tempo. A questo gruppo appartengono, per citare i più comuni: il latte, la carne e i formaggi freschi, il pesce, la crema e la panna, i frullati di frutta. Viceversa, troviamo alimenti che - pur essendo anch’essi costituiti da proteine e/o da carboidrati - durano di più perché contengono pochissima acqua. Tra questi abbiamo i salumi, i formaggi stagionati, il miele, il pesce salato, la pasta secca, i grissini e i prodotti da forno. Alterazioni causate da microrganismi: un semplice esperimento. Propongo un esperimento che, se volete, potrete riprodurre facilmente a casa. Mettiamo in un bicchiere un cucchiaio di zucchero, circa 10-15 grammi, a temperatura ambiente, non fredda, diciamo tra i 20 e 27 gradi. Lo zucchero è un carboidrato, quindi è un alimento potenzialmente deperibile. Ma sappiamo per esperienza che, se lo lasciamo così com’è, all’asciutto, rimarrà li, uguale, integro, per anni. Aggiungiamo ora dell’acqua, circa 100 cc, e un pizzico di lievito di birra; agitiamo fino a che lo zucchero non si scioglie. Dopo qualche giorno vedremo svilupparsi delle bollicine: la soluzione diventerà frizzante e perderà progressivamente il sapore dolce; alla fine, bevendola, potremo provare un vago senso di ebbrezza: lo zucchero non c’è più, si è modificato, trasformato in alcool, e così abbiamo prodotto una sorta di... birra o di vinello (sempre che gli amici birrai ed enologi mi permettano di usare queste denominazioni). Quello che è accaduto, è un processo di alterazione dello zucchero che si chiama fermentazione. L’alterazione-fermentazione, descritta nell’esperimento, è avvenuta anche perché abbiamo utilizzato il lievito, cioè una popolazione di microrganismi ghiotti di zucchero; per nutrirsi del quale hanno però bisogno che gli venga servito non allo stato solido, cioè in polvere o in cristallini, ma diluito in acqua... non troppo fredda, non troppo calda. La fermentazione, infatti, NON AVVERRÀ se dovessimo cambiare l’esperimento, mettendo la soluzione acquosa di zucchero e lievito nel reparto più freddo del frigorifero o in freezer, oppure scaldandola ad es. oltre i 50°C, oppure aggiungendo troppo zucchero (es. 50%). Osservazioni sull’esperimento Se volessimo rappresentare la fermentazione come una scena teatrale, dovremo prevedere la presenza dei seguenti personaggi, interpreti e scenari: il Nutriente: lo Zucchero; l’Agente Microbico: il Lievito, che divora lo Zucchero producendo Rifiuti alimentari; il Mediatore Chimico: l’Acqua, che distribuisce lo Zucchero in dosi utilizzabili dai lieviti; l’Ambiente Fisico: il Calore, che in un certo intervallo di temperatura favorisce i processi vitali dei microorganismi; il Rifiuto alimentare n° 1: l’Alcool Etilico, che rimane in scena fino alla fine;
il Rifiuto alimentare n° 2: l’Anidride Carbonica, che esce pian piano di scena sotto forma di bollicine. L’esperimento riproduce condizioni generali che, con opportune varianti, riguardano la maggior parte dei processi di alterazione / modifica degli alimenti causate da microrganismi: pensiamo ad esempio a processi utili come la fermentazione del mosto per produrre vino o birra; o alla fermentazione della pasta per produrre il pane. Pensiamo anche alla decomposizione della carne, del pesce o dell’uovo, dove il nutriente in questo caso non è lo zucchero, ma le proteine, e il tutto avviene sempre col concorso di microorganismi in presenza di acqua in determinate condizioni di temperatura. Pensiamo anche ad altre forme di alterazione, subdole, sempre favorite da microrganismi, che avvengono talvolta senza i soliti segnali di allarme, come odori sgradevoli o cambiamenti di colore: sono le contaminazioni derivanti dall’attività dei microbi cosiddetti patogeni, ad esempio le Salmonelle, che proliferano in alimenti particolarmente ricchi di nutrienti e producono Rifiuti tossici (tossine) in piccolissime quantità ma pericolosissime. Dal buon senso alla Legge Natura vuole che tutti gli alimenti col tempo si alterino. Quale prima, quale dopo, quale con alcune conseguenze per la nostra salute, quale con altre. Le considerazioni che abbiamo fatto trovano conferma nella comune esperienza e nella buona pratica domestica, e sono confermate, ampliate e sviluppate dalla cultura scientifica che ne permette l’applicazione sistematica nella produzione artigianale e industriale su larga scala. Perciò, quando vogliamo che un alimento si mantenga in buono stato, ovvero quando vogliamo rallentare la sua alterazione, non facciamo altro che agire sulla scena teatrale adottando uno o più di questi accorgimenti o metodi: 1) teniamo l’alimento pulito, o lo laviamo, o lo proteggiamo in recipiente chiuso, per evitare intrusioni di agenti microbici (lieviti, muffe ecc.); 2) quando lo manipoliamo, teniamo puliti gli arnesi, gli indumenti, gli ambienti e le mani, per prevenire la contaminazione di microbi; 3) lo conserviamo in ambiente freddo (frigorifero o freezer); 4) lo scaldiamo, o secondo i casi lo facciamo bollire, in modo da uccidere i microrganismi o ridurne il numero; 5) lo consumiamo quanto prima, per evitare alterazioni. Un altro metodo che tutti ben conosciamo, e che potete dedurre dalla scena teatrale è l’origine di una serie di tecnologie antichissime e moderne utilizzate per bloccare, rallentare o pilotare la durata dell’alimento. Quale è? Pensateci. Ci ritorneremo nel prossimo articolo. Poi ancora, per quanto riguarda la nostra sicurezza come Clienti, come Consumatori di alimenti preparati da altri, queste stesse regole sono dettate e imposte dalla Legge per tutelare l’igiene alimentare.
Antonino Addis © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Nel Convento trasformato in Relais riscopri la bellezza del mondo reale
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onoscete il significato di “evadere”? Immagino proprio di si, in questo caso non da un carcere, bensì in un convento? Qualcuno obietterà che si evade “da”, non “in”. Ma, nella circostanza, parliamo di “evasione” interiore, di fuga dallo stress, da un mondo che ci opprime, che non ci fa vivere in maniera umana. Chi ha il bisogno di staccare la spina e gettarsi in un ambiente sano e “pulito”, possiamo consigliare una “location”, che, a mio giudizio, riesce a coniugare riposo e distrazione. Ne sono venuta a conoscenza per caso (il passaparola è un mezzo di comunicazione imbattibile), ho dato un’occhiata al sito e... incuriosita mi sono detta perché no, è il posto ideale per un week end. Appena s’è presentata l’opportunità sono letteralmente “fuggita” per godermi questo luogo e questa struttura. Si trova ad un paio di ore da Roma, in Umbria, vicino ad Umbertide. Quando sono arrivata a destinazione, mi sono trovata davanti ad una costruzione Medioevale splendida, curata e ben ristrutturata, rispettando i canoni ambientali che la circondano. In passato è stato un convento, ora trasformato in un relais confortevole e accogliente, lontano dal mondo reale. Sono stati, purtroppo, soltanto due velocissimi giorni di vacanza, ma ho intenzione di andarci almeno altre sei volte, e vi spiego il perché. L’Antico convento ha sette appartamenti: Il Re, La Regina, Il Paggio, Sette, Otto ,Nove, e Dieci di denari. Mi è’ stato spiegato che gli appartamenti sono stati chiamati così, per via di un mazzo di Tarocchi, trovati in una nicchia prima del restauro. Così l’idea di chiamare gli appartamenti con il nome delle carte. Inizialmente non ho potuto visitarli perché erano tutti occupati, ma prima di andare via ho chiesto , perchè ero intrigata da que-
sta insolita “location”, di poterli vedre. Non riuscirò mai a spiegarvi la bellezza di ognuno di loro, sarebbe riduttivo qualsiasi aggettivo. Posso solo dire che il piacere provato e’ stato maggiore di qualsiasi aspettativa. La natura, la purezza, ascoltare il canto del gallo al mattino, il raggio di sole che entra in cucina, illuminando la tavola apparecchiata per la colazione, il silenzio che circonda il convento, tutto è stato semplicemente magico. Sono certa, che per chi ama come me “evadere ogni tanto” questo luogo incantato sarà la destinazione per molti di voi . Il convento si trova, come ho detto prima, in una delle più belle zone dell’Umbria, ci si arriva facilmente anche perché nel sito e’ spiegato alla perfezione. Umbertide e’ il centro più vicino, ma la struttura è nel modo più assoluto in una posizione strategica. Infatti, si possono visitare, essendo abbastanza raggiungibili, le più note città d’arte dell’ Umbria e Toscana con i loro castelli e borghi meravigliosi. Visitate il sito www.relaislanticoconvento.it, dove troverete offerte molto interessanti. Io l’ho fatto, chissà, magari potremmo incontrarci. An. La. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Relais l’Antico Convento Località Racchiusole Umbertide (Perugia) Tel. (+39) 075 9413048 info@relaislanticoconvento.it
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L a ricetta del mese Salsa di agrumi e porri fritti compagni di piatto dei filetti di spigola
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miche e amici, come va? Avete passato delle buone feste? A tavola come vi siete comportati? Qualcuno ha provato a fare i ravioli che vi ho proposto? Se le risposte sono positive, sono contento per voi, sperando che vi siano riusciti bene. Se, invece c'è stata qualche negatività, non prendetevela, andrà meglio la prossima volta. Ma io sono convinto, che nonostante la situazione del nostro Paese non ci fa stare bene, tutto sommato il Natale qualche bel momento ha finito per regalarcelo. Bando alle ciance e cerchiamo di vivere in positivo. E pensiamo, per esempio, a cosa abbiamo mangiato di buono durante tutto l'arco delle feste, che sicuramente ci ha messo allegria. Chissà perché, molte delle ricette della tradizione, finiscono per comparire sulle nostre tavole soltanto in queste occasioni. Vi capiterà, nel corso dell'anno, di organizzare un pranzo o una cena con parenti o amici. Sono pronto a scommettere, che mai preparerete un misto di fritti vegetali pastellati oppure il cotechino con le lenticchie. Due pietanze buonissime, ma che durano il tempo di un cenone, quello della vigilia e dell'ultimo dell'anno. Io, personalmente, continuo a mangiarli anche dopo le festività e,per un po', li propongo ai miei clienti, sopratutto, quando fa ancora freddo. Casomai con qualche ritocchino, per togliergli il vestito della festa. Fatte queste considerazioni, veniamo a noi, alla nostra ricetta del mese, filetto di spigola su coulis di agrumi e chifonade. Dopo le “abbuffate” natalizie, ho puntato su un piatto leggero, di pesce, per non mettere nuovamente a dura prova il vostro stomaco e crearvi problemi, se vi siete messi a dieta per perdere il sovrappeso festivo. Prendete i filetti di spigola e con una pinzetta togliete le spine dorsali e laterali. Sciacquate e asciugate i filetti, quindi cuoceteli in padella con olio e burro, prima dalla parte della polpa, poi dalla parte della pelle. Salate e pepate, ultimate la cottura per circa quattro minuti. Per il coulis d’agrumi, spremete le arance e i limoni, avendo l'accortezza di togliere i semi. Mettete il succo ottenuto in un padellino, aggiungete 150 grammi di burro e ponetelo sul fuoco.
Dopo due minuti, prima che si arrivi all’ebollizione, sciogliere in un bicchiere con poca acqua fredda la maizena o la fecola, se preferite, e aggiungetela al succo. Mescolate con un frustino, affinché non si formino dei grumi, togliete dal fuoco appena raggiunta l’ebollizione, aggiungete un po’ di sale e pepe e il coulis è pronto. Per la chifonade, invece, dovete tagliare i porri a striscioline lunghe sei cm e larghe un centimetro circa. Sciacquate in abbondante acqua in quanto i porri contengono molta terra all’interno. Asciugate e friggete in abbondante olio caldo, come se fossero patate fritte. Scolare sopra un foglio di carta assorbente e salare. A questo punto preparerete il piatto, sistemando al centro 4/5 cucchiai di coulis caldo, ponete il filetto di spigola sopra, in posizione orizzontale e sopra al filetto una bella manciata di porri fritti (chifonade). Decorare, se si vuole, con una fettina di limone a bordo del piatto. Importante è mangiare la pietanza, unendo insieme tutti gli ingredienti, in quanto vi posso assicurare che l'abbinamento è eccezionale. Paolo Martizi © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ingredienti per 5 persone 5 filetti di spigola 8 arance per spremuta 2 limoni 3 porri grandi 300 gr di burro 2 dl di olio extra vergine 20 gr di maizena o fecola 1 lt di olio per friggere Sale pepe bianco quanto basta
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I l mondo delle donne Romantiche e tecnologiche così Celli veste le sue spose
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omantici e tecnologici, impreziositi da delicati ricami, cristalli Swaroski e, in alcuni modelli, da un intreccio di luci al led. Così si può sintetizzare la collezione di abiti da sposa, creati dalla “Maison Celli”, sfilati lungo via della Croce, a due passi da Piazza di Spagna, in occasione dell’inaugurazione del nuovo showroom, aperto in collaborazione con la casa di prodotti di bellezza legata a Gil Cagné, prima di Natale. Un avvenimento che ha richiamato l’attenzione di molti addetti ai lavori, oltre a numerosi personaggi del mondo dello spettacolo, che hanno voluto festeggiare Giampaolo Celli e le stiliste Maria e Alessia Celli per questa iniziativa, che colloca la “Maison” ai livelli più elevati nel settore degli abiti da sposa e da cerimonia. E questo mio giudizio nasce dopo aver ammirato gli abiti, dove le caratteristiche che più mi hanno colpito è che tutti hanno due importanti punti in comune: l’eleganza unita alla romantica sontuosità. E tutto ciò senza scadere mai nel cattivo gusto. Questo è stato il leit motiv che ha contraddistinto l’intera collezione. Due fattori che, secondo me, sono di grande importanza, considerando che, nel nostro mondo, quello della moda, dove la voglia di voler stupire a tutti i costi, a volte, finisce per stravolgere le regole del buon gusto. Così, abbiamo potuto ammirare abiti eleganti e lussuosi, dalle splendide linee romantiche e impreziositi da luminosi bustier tutti caratterizzati da intrecci di ricami fatti a mano e splendidi punti luce tutti di pietre Swarovski. Maria e Alessia Celli non hanno tralasciato nulla al caso, dando alla loro performance creativa della sposa di oggi, un’immagine, a mio giudizio, molto realistica. Nonostante il romanticismo degli abiti, non ci sono mai eccessi, nessun abuso di rasi e tulle, niente pomposità, che spesso e volentieri fa da cornice a questa particolare tipologia di abiti. Hanno voluto e saputo disegnare modelli che puntano ad esaltare la femminilità a tutto tondo. Un abito, che diventa protagonista per una donna che, nel giorno che lo indossa, è la protagonista assoluta.
Tessuti leggeri, che si adagiano sul corpo come piume e scollature sulla schiena, a volte coraggiose, che non sfiorano mai i confini della volgarità, anche perché sono velatamente protette da intrecci di pietre e ricami. Naturalmente, in questo susseguirsi di “nuvole bianche”, che hanno sfilato sul “red carpet” steso lungo via della Croce, ha suscitato interesse e grande curiosità, l’abito del futuro, quello tempestato da una miriade di led. Un abito di grande effetto, con queste lucine a luce fredda, tese a formare una specie di ricamo tecnologico tra le trame del tessuto. Qualcuno potrà obiettare che si tratta della solita idea stravagante, un po’ folle, delle due creative. Potrà anche essere così. Però c’è da spezzare una lancia in loro favore: quella della sobrietà. L’abito a me è piaciuto, perché Maria e Alessia sono riuscite ad evitare il pericolo maggiore, nel quale potevamo facilmente incappare e cioè l’effetto “albero di Natale”. Invece, niente di tutto ciò. Le lucine sono state dislocate con sapienza, ben nascoste tra le trame del tessuto, che nel contesto pieno di luci dello showroom, finivano per apparire come un disegno. Però l’immaginazione mi porta a pensare quale fascino possa generare in un contesto di luci soffuse. Volando con la fantasia, mi viene da pensare all’ingresso della sposa nel salone del ricevimento completamente al buio. Dovrebbe provocare un mix di suggestioni ed emozioni. E sicuramente qualche lacrima. E’ stata questa l’abilità delle due stiliste che, così, hanno voluto dare all’intera collezione quel tocco tecnologico, che vuol dire che “Celli Spose” sta già pensando al futuro. Sempre rispettando una fondamentale regola: la donna che riesce ad essere la protagonista, senza aver bisogno dell’ausilio dei riflettori. Perché s’illumina da sé, attraverso il suo abito da sposa. Serena Caprio Stilista di Moda © RIPRODUZIONE RISERVATA
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FOGLI COLLA DI PESCE CONF. 3 GR. 15
AMMONIACA CONF. GR. 20
CREMORE DI TARTARO CONF. GR. 10
CIOCCOLATO PASTICO COLORI VARI CONF. GR. 300
AMIDO DI MAIS CONF. GR. 250
ISOMALTO CONF. GR. 200
FECOLA DI PATATE CONF. GR. 250
BACCHE DI VANIGLIA CONF. 2 GR. 4
ZUCCHERO A VELO COLORATO GR. 200 E ZUCCHERO A VELO BIANCO GR. 500
PASTA DI ZUCCHERO SATIN ICE GR 450 OPPURE IN BARATTOLO DA KG 5 E PASTA DI GOMMA SATIN ICE KG 2.5
Casseruola in pietra ollare bombata cm 22 da € 240,00 a € 230,00 Casseruola in pietra ollare bombata cm 26 da € 355,00 a € 340,00
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L’ angolo dei golosi Ecco il plumcake del dopo feste fatto con ciò che è rimasto in dispensa
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gni volta che finiscono le festività ci rimangono in casa diverse varietà di frutta secca, frutta candita, torroni etc…E allora non c'è dolce migliore di un sano plumcake, che le contenga tutte o quasi per chiudere in bellezza le “abbuffate natalizie” e per utilizzare gli avanzi, che non dovete mai gettare nel secchio della spazzatura. Questo, care lettrici e cari lettori, deve essere una regola, dalla quale non dovete mai derogare. In cucina, tutto è sempre utile, ricordatevelo bene per due motivi: 1) è un segno di rispetto verso certe cose non se le può permettere; 2) rappresenta un'opportunità di risparmio, che di questi tempi, non è una cosa di poco conto; 3) con gli avanzi si riescono a mettere in piedi delle ricette incredibili. Spesso, diventano delle vostre creazioni, che non si trovano in nessun ricettario, perché si mettono insieme degli ingredienti insoliti. A me, devo dire la verità, piace questo sistema di cucinare, perché mi permette di esprimere tutta la mia fantasia, il mio estro di chef. Infatti, io sono sopratutto un cuoco, con la grande passione dei dolci. Ecco, perché per “Senso&Gusto”mi diverto a proporvi dolci ricette per golosoni. Non perdiamo tempo e passiamo dalle parole alla pratica. Per prima cosa, cominciamo a lavorare il burro a pomata, cioè rimestarlo energicamente con un cucchiaio di legno, dopo averlo fatto ammorbidire a temperatura ambiente. Aggiungete a questa crema di burro lo zucchero e montatela a spuma per un paio di minuti con uno sbattitore elettrico o una planetaria, che sarebbe una di quelle meravigliose macchine in grado di far tutto ciò che c'è da fare in cucina. Mettete le uova, una alla volta, facendole amalgamare bene al composto. Incorporate la farina setacciata ed il lievito a piccole dosi; il composto risulterà un po’ asciutto, quindi reidratatelo, aggiungendo il latte. A questo punto, unire tutti gli ingredienti rimasti, cioè la frutta secca, quella candita ed il torrone. Infornare in uno
stampo da plumcake da 26 -28 centimetri, dopo averlo imburrato ed infarinato, a 180° per circa 45/50 minuti. A questo punto passiamo a preparare il cremoso, che accompagnerà il dolce. Prepariamo una crema inglese. Scaldate il latte in un pentolino, nel frattempo in una ciotola o bastardella rompete i tuorli e lavorateli con lo zucchero, versare a filo il latte caldo e riporre sul fuoco. Continuate a mescolare con una spatola di gomma fino a raggiungere la temperatura di 82° o per chi non possiede un termometro da cucina, fino a che la salsa non veli il cucchiaio mostrando una certa densità. Sciogliete il cioccolato nella salsa ancora calda, amalgamare bene e fate raffreddare. Non resta che impiattare il plumcake con la salsa e servirlo. Di sicuro, è un modo dolcissimo per ricordare, e, nello stesso tempo, salutare le festività ormai terminate. Gabriele Zanini © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ingredienti (per 6 persone) 150 gr burro 150 gr zucchero semolato 3 uova intere 230 gr farina 00 9 gr lievito 50 ml di latte 80 gr frutta secca a piacere (noci, pinoli, mandorle, pistacchi) 80 gr frutta candita (uvetta, arance, limone, cedro… zenzero) 100 gr torrone alle nocciole tritato Per il cremoso: 200 ml latte 70 gr zucchero 2 tuorli d’uovo 80 gr cioccolato fondente
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P ianeta vino Refosco dal Peduncolo rosso il gusto forte del Friuli
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aper fare un vino accettabile non ci vuole molto. Basta affidarsi ad un enologo preparato e di esperienza. State certi che, lavorando con intelligenza alla fine, riuscirà a tirar fuori un buon vinello da tavola. Fare un grande vino è qualcosa di diverso. Ci vogliono uve pregiate, coltivate su terroir adeguati come quelli di Bosco Bando a Carlino e Terra Rossa a Caneva, curate e seguite durante il loro percorso, ci vogliono cantine modernamente attrezzate e, soprattutto, tanta passione. Quella immensa che hanno i fratelli Cadorin, Evio e Angelo, con le loro mogli, Laura e Vilma, che hanno dato vita all’azienda “Le Favole”. Grazie alla loro costanza e alla consapevolezza che il lavoro alla fine paga, hanno dato vita ad un sogno, ora diventato realtà: quello di produrre vini tipici del Friuli di grande prestigio. I vini della tenuta “Le Favole” custodiscono tutta l’essenza del Friuli Venezia Giulia, tutti quei profumi unici e tipici di un territorio esclusivo, dove particolare clima, roccia carsica da un lato e vicinanza al mare dall’altro danno vita a un magico incontro di sensazioni da assaporare. Emozioni cariche di ricordi e di suggestioni evocate dalla terra d’origine delle due famiglie Cadorin, profondamente legate a Caneva, il luogo dove vivono e si impegnano con grande dedizione. Durante la vendemmia, quando la presenza degli uomini del vino è indispensabile per la raccolta a mano e per la trasformazione della preziosa materia prima, ogni azione si ripete meticolosamente affiancando la tradizione all’utilizzo delle nuove tecnologie, sempre alla ricerca dell’assoluta qualità. La scelta dei vitigni più idonei al terreno, l’attenta lavorazione in vigna e le corrette tecniche di vinificazione, permettono all’azienda di esprimere al meglio una produzione di bianchi dai profumi intensi (Friulano, Pinot Grigio, Chardonnay, Traminer Aromatico, Malvasia Istriana e Sauvignon Blanc), di rossi ben strutturati dal gusto carico di gradevolezza (Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Refosco dal Peduncolo Rosso) e di vini da meditazione che appassionano i sensi (Verduzzo Friulano). Di questa gamma di vini, a me personalmente, piace uno in particolare: il Refosco dal Peduncolo Rosso. Stiamo parlando un vino rosso, ben strutturato, in possesso di una gradazione alcoolica di media forza, quindi di gradevole beva. Proprio per queste sue catarrestiche, io lo trovo molto interessante. Non è un vino impegnativo, con forte gradazione, ma nello stesso tempo la sua corposità e il suo colore intenso, gli permette di inserirsi nelle alte sfere dei rossi importanti italiani. Dalle nostre parti, non è un vino particolarmente conosciuto. Proprio per questo intendo segnalarvelo, perché lo merita e lo trovo superiore ad altri rossi, che invece godono di un appoggio mediatico, a volte esagerato. A completare la collezione delle “Favole” ci sono tre preziose riserve (Storiis, Nogler e Cretis). Tre punte di diamante, che brillano per le loro sfumature ricercate e per i loro inebrianti bouquet. Carlo Di Fazio © RIPRODUZIONE RISERVATA
Refosco da Peduncolo Rosso DOC Azienda Le Favole Tenuta Cadorin Contenuto: bottiglia 0,75 lt Forma di allevamento: Guyot Gradazione alcolica:13% Vitigno: Refosco dal Peduncolo Rosso 100% Caratteristiche: vino ricco e corposo, di colore rosso intenso, con aromi di prugna, vaniglia e pepe, con toni di mirtilli ed aromi tostati in bicchiere Abbinamenti: selvaggina, stufati e carni dai sapori forti.
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M agie di notte Aged Barrel, il cocktail invecchiato in botti di legno
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cocktail invecchiati in botte sono una delle novità che stanno prendendo piede nei bar all'avanguardia del pianeta. In realtà, si tratta di riesumare tecniche del passato in chiave moderna, ciò che prima poteva risultare necessario, oggi diventa un qualcosa, che a parer mio, ci fa entrare nell’universo di quei barman, che con conoscenza e sapienza producevano da sé nei loro bar liquori, cordiali, sciroppi ed elisir, per dare gusti, sapori e tocchi personali al banco-bar o, perché, data la difficile reperibilità di prodotti e miscele, volevano allargare i confini del loro bere miscelato. Una tecnica che mi ha colpito e che sto perfezionando nel laboratorio bar dove lavoro, il BBQ Lounge Bar di Ariccia, facendo invecchiare i cocktail in botti di legno per qualche mese, riprendendo un po’ quello che avviene per il vino, per i vini liquorosi e i distillati. In botte, qualsiasi distillato, vino o liquore, ossigena, prende aria, donando e ricevendo sapori dal legno in cui viene messo ad invecchiare. L idea dei cocktail in botte viene dall’America, da un certo Jeffrey Morgenthaler (Mixologist al Clide Common,Oregon), ispirato a sua volta da Tony Conigliaro (barman considerato un pioniere della Modern and Molecular Mixology) del “bar senza nome” al 69 Colebrook Row di Londra, che usa affinare in bottiglie di vetro i suoi cocktail. A differenza del legno, i cocktail in bottiglia, come nei contenitori d’ acciaio, hanno un ossigenazione molto ma molto lenta, quasi impercettibile. Queste tecniche però, hanno, come sempre, radici più profonde e dovute alle esigenze dell’epoca. Su “How to mix a drink, bon vivant companion” di Jerry Thomas (il primo libro che racchiude più di 200 ricette di cocktail e tante altre per rosoli, liquori e cordiali), si hanno ricette di punch e altri cocktail a base di frutta e vini liquorosi fatti invecchiare nelle bottiglie di vetro, con dei trucioli di legno all’interno, tecnica che per la produzione di vino in Italia è vietata, in quanto altera il sapore e il colore del vino, facendolo sembrare più ricco di tannini. Questi cocktail in bottiglie spesso venivano preparati per i clienti, che dovevano affrontare un viaggio e che durante la loro permanenza altrove, potevano comunque degustare il loro cocktail preferito, preparato dal proprio barman di fiducia.
A due ragazzi emigrati in Nicaragua, si dà, invece, la paternità del servizio dei cocktail invecchiati in botte, in quanto all’epoca, per passare la dogana, si pagava una tassa del 48 % circa in più su ogni bottiglia in vetro che si possedeva, mentre le botti erano esenti da tasse. Oggi, che non ci sono più di questi problemi, perchè fare invecchiare un cocktail in botte? Cambia davvero tanto? Può il legno davvero donare qualcosa al cocktail senza offuscarlo troppo? Su i cocktail invecchiati non si sono fatti ancora degli studi, o almeno non troppo approfonditi. Senza andare troppo nello specifico, almeno per il momento, quando il cocktail viene messo in botte a maturare per settimane o mesi, si agita in modo lento e delicato. Questo è sufficiente ad influenzare il sapore della bevanda, attraverso l’ossidazione; per esempio, una parte dell'alcool può convertirsi, dando alla miscela aromi di mela verde, erba, nocciola ecc ecc.. Un pò quello che succede per alcuni vini liquorosi tipo, Sherry o Madeira. Come al solito, vi invito a venirci a trovare al BBQ Lounge Bar, dove appunto con l' arrivo del nuovo anno toglierò il tappo alla mia botte di rovere francese da due litri e mezzo e potrò finalmente testare di persona e magari con qualcuno di voi, il mio Aged Barrel Cocktail, sperando di ricevere risultati positivi. Simone Francini © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ingredienti
120 cl. Maker’s Mark Boubon Whiskey 60 cl. Campari Bitter 60 cl. Punt & Mes 10 cl essenza d’Arancia
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I l benessere a tavola Tredici regole per cancellare gli stravizi delle feste
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opo le feste e le “maratone” a tavola, ora con la coda fra le gambe, si fanno i conti con la bilancia. Sfido chiunque a dire di non aver acquistato qualche etto, per non dire qualcosa di più. Per i più giovani, eliminarlo non è un problema. Basta soltanto qualche giorno di alimentazione controllata. Per chi è entrato negli “anta”, il discorso è ben diverso. Serve qualcosa di più di un’alimentazione controllata, ci vuole anche dello spirito di sacrificio, perchè l’eliminazione del sovrappeso è molto più lenta. Io, proprio per questo, ho messo a punto nel “Centro medico NutriSalus” di Labico, di cui sono il direttore, un sistema, che chiamerei i “tredici comandamenti” della buona salute, perchè essere nel peso forma giusto, è indice di buona salute. Ecco qui, di seguito alcune regole basilari che fanno parte del “Metodo NutriSalus” e che vi permetteranno di bruciare qualche caloria, perdere qualche chilo ed aumentare la vostra energia e forza vitale. Sono regole semplici, che non comportano sacrifici e particolari privazioni. Vi invito soltanto ad avere costanza e limitarvi a pochissime trasgressioni. Regola 1: comincia a bruciare calorie fin dal mattino, scegliendo una colazione a base di proteine, spremute o succhi di frutta o vegetali, cereali, yogurt, cacao amaro. Le prime nutrono, le seconde saziano, le terze accelerano il metabolismo! Regola 2: fai il pieno di antiossidanti. Queste sostanze, contenute nella frutta e nelle verdure verdi e arancioni, aiutano l’organismo a eliminare l’adipe con più facilità. Utilizzare sempre insalate con verdure colorate. Regola 3: mangia ogni giorno 3/4 porzioni di verdura e 3 di frutta. Queste porzioni ti daranno la giusta dose di vitamine e minerali necessaria al buon funzionamento del metabolismo Regola 4: utilizza almeno una volta al giorno dei germogli, che oramai si trovano spesso al supermercato. Per il metabolismo sono una vera e propria sferzata di energia. Regola 5: mangiare pesce 3-4 volte alla settimana. Oltre a essere privo di grassi, assicura un buon funzionamento
della tiroide, utile a favorire il dimagrimento, ed è una ottima fonte di omega 3/6, indispensabili per il buon funzionamento del nostro metabolismo. Regola 6: bevi tè verde, almeno 2-4 tazze al giorno. Aumenta del 5% il consumo giornaliero di calorie e aiuta a perdere peso. E’ inoltre ricco di molecole antiossidanti. Regola 7: cuoci i cibi al forno o in padelle antiaderenti, in modo da eliminare l’utilizzo di condimento. Utilizza le spezie per insaporire le pietanze ed evita l’uso di sale. Utilizza sempre il coperchio. Regola 8: Impara a fare spesa a stomaco pieno. Sembra strano come consiglio, ma da studi eseguiti si è dimostrato che fare la spesa a stomaco pieno diminuisce il rischio di acquistare più cibo di quanto non serva veramente e di maggior qualità. Regola 9: se a pranzo mangi un panino, perché sei al lavoro, evita le salse e gli insaccati grassi e scegli pane integrale, con bresaola, tonno o tacchino. Elimina pane bianco, tramezzini e merendine. Regola 10: evita il classico digiuno dopo un eccesso alimentare. Non serve a niente, fa male alla salute e rallenta il metabolismo: scegli invece un po’ di movimento ed un pasto senza carboidrati raffinati! Regola 11: cerca di potenziare i muscoli allenandoti ogni giorno. La massa muscolare aumenta notevolmente il consumo di energie ed aiuta a bruciare i grassi. Più muscoli ci sono, meno grassi facciamo passeggiare con noi ogni giorno. Una bella camminata a passo svelto, per almeno 20 minuti, fa al caso nostro. Regola 12: cerca di dormire almeno 8 ore per notte. La mancanza di sonno, produce nell’organismo un ormone, il cortisolo, che è l’ormone dello stress, che stimola la fame. E addio sforzi! Regola 13: fai una vita sana, evita cibo spazzatura e fai un “minino” di sport. Angelo De Martino Rettore dell’Università degli Studi “Santa Rita”, Docente in Scienza della Nutrizione, Dietologo, Nutrizionista, Biologo, Naturopata Direttore del Centro Studi e Ricerche Sovrappeso ed Obesità - NutriSalus © RIPRODUZIONE RISERVATA
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A ppuntamento con la beneficienza Una serata all’insegna della solidarietà per dare un futuro alla piccola Aurora
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orna il consueto appuntamento con la solidarietà promosso dall’Associazione Culturale “Antica Collina Praeneste”. Per il quinto anno consecutivo i riflettori si accenderanno sull’evento benefico più importante dell’area Prenestina, “Una serata per…”, sul palco del Teatro Principe di Palestrina il prossimo 20 gennaio alle ore 17. L’incasso della serata sarà devoluto a favore della piccola Aurora, una bimba di 8 mesi, che vive nel Comune di Roiate, e a cui è stata diagnosticata alla nascita una rara e grave malattia genetica neurometabolica, il morbo di Canavan. Ad oggi, per questa malattia non esistono cure, ma presso l’Università del New Jersey, negli Stati Uniti sono in fase di sperimentazione delle terapie farmacologiche (che vengono già somministrate ad Aurora unitamente a terapie neuropsicomotorie) atte a migliorarne la qualità della vita. Proprio per questo motivo, durante la prossima estate, Aurora e la sua famiglia dovranno recarsi e trattenersi negli USA per sottoporre la bambina ad analisi e ad esami specifici per poter successivamente iniziare una terapia ad hoc. I proventi della serata verranno utilizzati per aiutare la famiglia nelle spese, che dovranno essere sostenute in questa circostanza. L’Associazione “Antica Collina Praeneste” anche per il 2013 perorerà una causa benefica, offrendo al suo pubblico uno show di altissimo livello, come hanno dimostrato i successi ottenuti nelle serate sold-out degli anni scorsi. La prima delle serate benefiche è stata nel 2009 “Una serata per...Cristina” seguita l’anno successivo da “Una Serata per...Maria e Francesco”, entrambe nella cornice del Teatro Caesar di San Vito Romano. Dalla terza edizione, la manifestazione si è spostata al Teatro Principe di Palestrina. Tanti sono gli artisti che, gratuitamente, hanno contribuito, negli anni, alla realizzazione degli spettacoli. Tra questi, ne citiamo alcuni: Barty di RDS (testimonial dell’Associazione), Maurizio Mattioli, Dario Bandiera, Alessandro Di Carlo, Massimo Di Cataldo, Gianfranco Phino, Marko Tana, Sergio Giuffrida (Seven Show), Frank Head (Sanremo 2008), Sofia
(X-Factor 3), Nicola Aliotta (Ti lascio una canzone), BillyBand, Stefano Fiori (Area 765). Nell’anno della quinta edizione di “Una serata per…”, l’Associazione è già al lavoro per mettere in scena uno spettacolo, in cui canto, danza e comicità si alterneranno sulla ribalta. Una piacevole serata, da offrire al pubblico, la cui presenza è fondamentale, per raccogliere i fondi necessari che occorreranno alla famiglia della piccola Aurora per andare a curarsi negli Stati Uniti. Valeria Caroselli © RIPRODUZIONE RISERVATA
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M ode e tendenze Il trucco permanente non serve soltanto per essere più belle
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arissimi, in questo numero vorrei parlarvi di un argomento che va molto di moda ultimamente. Avrete di certo sentito parlare di “trucco permanente”. Ovviamente, la domanda è: come? in che modo? e a quale prezzo? Fino a qualche anno fa, molte donne usavano farsi tatuare labbra e sopracciglia, usando la classica tecnica del Tattoo, correndo però dei rischi molto elevati. Il rischio era quello di avere sopracciglia perfette in un primo tempo e sopracciglia sbiadite in un secondo tempo, senza considerare il fatto che le diffederenze erano evidenti anche da lontano. Per fortuna, delle donne, oggi questo tipo di pericolo non esiste più. Stiamo parlando di una lavorazione che si chiama “ Micropigmentazione”. Si può creare un trucco permanente, quando le sopracciglia non esistono o sono particolarmente sottili. Si può creare un infoltimento delle ciglia, correggere con un effetto ottico gli occhi cosiddetti piangenti, disegnare eyeliner di colori diversi, sistemare il disegno delle labbra, correggere asimmetrie, o ancora, ed è quello che va per la maggiore, pigmentare le cicatrici conseguenti ad operazioni di chirurgia estetica, come l’aumento o la diminuzione del seno.
Il trattamento viene effettuato in 4 fasi. La prima fase è molto importante. Si studia il viso, qualunque sia il tipo di trattamento. È obbligatorio eseguire il disegno di base, dopo aver studiato l’anatomia e le espressioni del volto del cliente. In questo modo, si potrà visualizzare quale potrà essere il risultato finale del trattamento. Di conseguenza, il passo successivo è quello in cui l’operatore impiega tutti i mezzi e le conoscenze per ottenere un risultato soddisfacente. In questa fase, il cliente ha la possibilità di sperimentare il futuro cambiamento, ottenendo un nuovo disegno, colore, effetti di correzioni e di ringiovanimento. La terza fase è la prova del colore e della sensibilità, che viene fatta trenta giorni prima del trattamento, in quanto assicura, che il pigmento e i prodotti che verranno utilizzati, siano assorbiti dall’organismo garantendo la massima sicurezza. Infine, come ultima fase, è necessario verificare il fissaggio del colore, l’uniformità e la sua compattezza. E’ un trattamento che potrà risolvere dei piccoli difetti che, a volte, in alcune persone, provocano delle problematiche. Ci sono molti centri che usano questo tipo di lavorazione ed uno, in particolare, l’ho trovato molto attento e competente nell’attuazione della terapia. Si chiama “Tiffany”, si trova a Genzano, la cui titolare, Francesca Leopardi, da anni lavora nel settore. Lei potrà darvi tutte le informazioni necessarie. Per avere maggiori informazioni, visitate il suo sito www.tiffanytruccosemipermanente.it, cosi avrete modo di poter ammirare le sue lavorazioni, che sono davvero splendide. Per ora è tutto, care amiche e cari amici, a risentirci al prossimo numero.... Antonella Lamboglia © RIPRODUZIONE RISERVATA
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