Senso & Gusto Aprile 2014

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M E N S I L E G R AT U I TO D I I N FO R M A Z I O N E E C U LT U R A E N O GA S T R O N O M I CA Aprile 2014 ANNO 3 - N°3

FABIO CAMPOLI UNO CHEF MODERNO E FANTASIOSO FUORI DAGLI SCHEMI

L’INCHIESTA TUTTO SUL CAFFÈ UN PIACERE CHE FA IMPAZZIRE IL MONDO

IL BERE RETRÒ C’ERA UNA VOLTA IL BRANDY CON L’ETICHETTA NERA

IL RISTORANTE COME È BUONO IL PESCE GUSTATO SOTTO IL BOSCO


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M E N S I L E G R AT U I TO D I I N FO R M A Z I O N E E C U LT U R A E N O GA S T R O N O M I CA Aprile 2014 ANNO 3 - N°3

Aprile

FABIO CAMPOLI UNO CHEF MODERNO E FANTASIOSO FUORI DAGLI SCHEMI

L’INCHIESTA TUTTO SUL CAFFÈ UN PIACERE CHE FA IMPAZZIRE IL MONDO

IL BERE RETRÒ C’ERA UNA VOLTA

2014

IL BRANDY CON L’ETICHETTA NERA

IL RISTORANTE COME È BUONO IL PESCE GUSTATO SOTTO IL BOSCO

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Editoriale SVEGLIA AL PROFUMO DI AMATRICIANA

In copertina lo Chef Fabio Campoli

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Le ricette DI GABRIELE ZANINI

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Natura e ambiente AGRICOLTURA BIODINAMICA

Senso & Gusto Mensile di informazione gratuito Anno III - Numero 3 Aprile 2014 www.sensoegusto.com

AIUTA LA SALUTE

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Cucina d’autore FABIO CAMPOLI

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Amarcord IL BRANDY CHE CREA L’ATMOSFERA

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La naturopata TUTTA SALUTE CON ERBE,

E LE SUE ERBE AROMATICHE

EDITORE AC Management di Cristiano Bucciero Via dei Ciliegi, 1 00040 Pavona (RM) Tel. 3925989153 cristiano.bucciero@gmail.com

DIRETTORE RESPONSABILE Paolo Caprio paolocaprio@yahoo.it

COLLABORATORI Antonino Addis, Fabio Campoli, Valeria Caroselli, Giovanna Cipriani, Claudia Formisano, Simone Francini, Fabrizio Gulini, Antonella Lamboglia, Lucia Lamboglia, Antonella Lorini, Marco Mariani, Gabriele Zanini

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I profumi del vino NON SOLO OLFATTO

REDAZIONE E SEGRETERIA Via Latina, 23 00041 Albano Laziale (RM) Tel. 3923884281 - 355309696 redazione@sensoegusto.com

FIORI E FRUTTI

MA TANTA MEMORIA

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Il ristorante PESCE FRESCO SOTTO IL BOSCO

PROGETTO GRAFICO

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CON GLI OCCHI

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L’inchiesta IL CAFFÈ, UN PIACERE MONDIALE

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Le Curiosità


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NIENTE PIÙ TRILLI O MUSICHE

LA SVEGLIA MATTUTINA SARÀ IN FUTURO AL PROFUMO DEI RIGATONI ALL'AMATRICIANA Vi ricordate quelle vecchie sveglie enormi con in testa una sfera di ferro che all'interno aveva un martelletto, che all'ora prefissata cominciava a sbattere, facendo sobbalzare sul letto chi ancora s'adagiava fra le braccia di Morfeo? Ora, quei monumenti di un tempo che fu, sono diventati oggetti vintage da esporre in salotto. Al loro posto, sono subentrate altre sveglie sempre più moderne. Poi, sono arrivati i telefonini, che tra le loro molteplici funzioni, hanno anche quella di svegliarci al mattino. Fin qui, tutto rientra nella norma, perché gli attuali cellulari (o iPhone) sono veramente incredibili per tutto quello che riescono a fare. Non sono più soltanto dei mezzi per comunicare, ma anche dei mezzi per trastullarci nei momenti di noia e momenti di vuoto. Ma nessuno avrebbe mai pensato, che tra le future funzioni, ci sarebbe stata quella di buttarci giù del letto non con una musichetta o un trillo (già accade), ma al profumo del cibo. Si, avete letto bene, non cadete dalle nuvole, la notizia è stata divulgata alcuni giorni fa, il progetto è in fase avanzata e fra poco troveremo in commercio gli strumenti necessari per l'applicazione. E sono certo che ci sarà la corsa per accaparrarseli, non perché è un'esigenza, ma perché fa “figo” averla. Vi spiego in cosa consiste: vi basterà collegare un dispositivo alla base dell'iPhone e voi potrete svegliarvi con il profumo del vostro piatto preferito. Questo è diventato possibile grazie a "Wake Up & Smell The Bacon", un “aggeggetto” realizzato dal marchio di affettati Oscar Mayer, parte del colosso alimentare Kraft. In linea con la loro produzione, hanno puntato sul bacon, che fa parte integrante della colazione all'americana, nazione dove è nata questa “sensazionale” idea. Io ho provato a pensare cosa accadrà nel nostro Paese, quando il mercato ci offrirà l'opportunità di acquistarlo. Sicuramente sarà adattato ai nostri gusti, alla dieta mediterranea, che viene indicata come la più salutare al mondo. Ora toccherà vedere se i produttori dell'applicazione da associare al dispositivo, punteranno sulle specialità nazionali, tipo rigatoni all'amatriciana o agli spaghetti alle vongole, o su quelle regionali. A questo proposito, mi sono divertito a fare un giro d'Italia, regione per regione, alla ricerca di quelli che potrebbero essere i gusti geografici delle nostre sveglie mattutine. Si parte dalla Val d'Aosta, zona di grandi formaggi, dove le case, al mattino saranno sicuramente pervase dal profumo della fontina, mentre in Piemonte dalla bagna cauda o dal tartufo bianco di Alba (se non costa troppo), in Lombardia non ci può sbagliare: costoletta panata o risotto allo zafferano e per i golosi un po' di panettone non guasta. Andiamo avanti. In Trentino, canaderli al sugo di capriolo, in Alto Adige si può puntare al delicato ma profumatissimo strudel di mele, in Veneto si potrebbe andare sul vegetariano, scegliendo un bel radicchio trevigiano ai ferri. In Friuli Venezia Giulia, niente cibo, ma un bel profumo di grappa o di vino tipo Picolit o Ramandolo, ci potrebbe ri-

EDITORIALE S&G diL’Paolo Caprio

scaldare nelle mattine invernali e metterci allegria. In Liguria, sono d'obbligo le trofie al pesto, in Emilia-Romagna c'è soltanto l'imbarazzo della scelta: sveglia al parmigiano reggiano, al prosciutto di Parma o ai tortellini in brodo di cappone. In Toscana, il caciucco per chi abita sulla costa, mentre chi vive all'interno non può mancare una bella costata di chianina al sangue, invece per gli amici dell'Umbria risveglio con un mix di salumi o di tagliatelle al tartufo li farebbe sentire sazi appena usciti dal letto, così come nelle Marche, che potrebbero allargare il campo con le olive ascolane o i vincisgrassi (lasagna locale il cui nome vi dice tutto). Ed arriviamo alla nostra Regione, il Lazio: carbonara, cacio e pepe, amatriciana, gricia, trippa. Sono tutte un po' pesanti di primo mattino, ma che profumo di pecorino! Scendendo in Abruzzo e Molise, agnelli e capretti al forno o alla cacciatora non hanno rivali, mentre in Campania non c'è bisogno di una sveglia al profumo di cibo, perché l'odore del ragù di carne, che deve sobbollire per quasi cinque ore, è presente con il suo odore, quasi giornalmente. In Puglia, le orecchiette con le cime di rapa sono di rigore, in Basilicata e in Calabria, sveglia piccante al peperoncino, che da quelle parti troviamo su qualsiasi piatto. Infine le nostre isole, Sicilia e Sardegna. Nella prima puntiamo sul dolce, su cannoli e cassatine, vere delizie, mentre nella seconda i sentori di porcetto al mirto ti danno subito la carica. Tutto questo, senza dimenticarci dei vegetariani e delle loro esigenze fatte di minestroni e verdure grigliate. Alla fine di questa scherzosa e ironica carrellata, mi viene da pensare: ma è proprio necessaria una cosa del genere, che è già disponibile online su iTunes, il negozio di app Apple? Io dico che si tratta di una delle tante esasperazione commerciali, tese a spillarci soldi dalle tasche, perché, purtroppo, ci sono quelli che cadono in questi tranelli modaioli. Li fa sentire “più belli e originali” di fronte agli altri. A mio giudizio, non èun segno del progresso. Tutto ciò, in attesa di un iPhone notturno, che emani profumo di camomilla o tisane calmanti, in modo da poter dormire sereni e distesi. O, se preferite, alle ostriche. Sono afrodisiache...

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Un piatto regala emozioni grazie alle erbe aromatiche Sono l'accento della cucina

Dopo le fredde giornate invernali, ecco finalmente la primavera e con essa quell’atmosfera di risveglio e di rinascita che la natura ci offre. I paesaggi di campagna cominciano a fiorire e a tingersi di nuovi colori, orti e giardini si riempiono di gemme, fiori e di quelle erbe così preziose in cucina. Pensando alla Pasqua o alla primavera stessa, queste erbe aromatiche, presenti in tante ricette della nostra tradizione, si caricano di una forte simbologia, rappresentano per me nuova vita e rinascita. Le erbe sono l’accento della cucina. E’ impossibile pensare una ricetta senza erbe e spezie, sarebbe buona lo stesso, ma sicuramente meno espressiva. Le erbe stimolano l’olfatto, ci fanno pregustare quello che andremo a mangiare, ci innalzano il desiderio del gusto. Per esempio il profumo che emanano durante la cottura ha un potere evocativo, che ti porta a sfogliare l’album dei ricordi, mentre il loro gusto invece tornisce il palato con sfumature e tocchi magici, legandosi in un matrimonio inscindibile con gli alimenti: maiale e finocchio, carciofi e mentuccia, abbacchio e rosmarino, trippa e menta, burro e salvia, funghi e maggiorana, vongole e prezzemolo e tanto altro ancora. Da queste unioni tipiche seguendo una scala con le sue varianti, si passa dalla cucina casareccia, classica, alla più moderna, ognuno di noi ha una memoria dei sapori e in base a questa, riesce, volta per volta, a creare delle sub-varianti, fino alle ricette più recenti. È facile rendersi conto di quanto la cucina a volte non sia regionale e territoriale, ma addirittura locale anche dall’utilizzo delle erbe. Ogni popolazione lega la propria cucina ad un bouquet predefinito di aromi, secondo la conformazione geografica, mare, collina, pianura, montagna e la vegetazione tipica. Grazie alle erbe si può dare tipicità alle ricette, orientandone il senso a seconda della stagione, del mese, delle feste e ricorrenze, dell’umore, delle tradizioni e delle situazioni. Un piatto di spaghetti alle vongole con prezzemolo tritato al momento, profumatissimo si mangia bene in una terrazza in riva al mare; un agnello arrosto al rosmarino si lega alle feste o ai mesi più freddi; una frittata di erbe con asparagi selvatici ricorda la primavera; uno gnocchetto di fa-

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UCINA D’AUTORE S&G C di Fabio Campoli

rina di castagne con burro e salvia l’estate, e cosi vale per erbe e prodotti esotici. Da quanto detto, si intuisce che un’erba difficilmente è la protagonista principale di un piatto, ma gioca un ruolo importantissimo, in quanto influenza la ricetta, le dà carattere attraverso un’aggiunta di gusto e di profumo. Ecco perché è importante per uno chef saperle riconoscere e dosare. L’erba aromatica non può essere utilizzata in una ricetta solo per moda o tendenza, va interpretata ed elaborata secondo una propria “filosofia in cucina”. Ma non solo, uno chef deve imparare a riconoscerne i vari sapori ed essere cosciente dell’uso di un’erba fresca ed una secca, deve saper distinguere i diversi sapori in un’erba messa in infusione in acqua o in olio, soffritta a basse temperature o messa a crudo. Bisogna anche saperle conservare, ma soprattutto rispettarle.

Proprio per questo, voglio darvi qualche consiglio, sopratutto da un punto di vista tecnico, perché ogni erba ha caratteristiche e regole che vanno rispettate. 1) Per conferire una nota di freschezza a un piatto, aggiungere le erbe a fine cottura o, meglio ancora tritate al momento prima di servire. 1) Per proteggerle dall’ossidazione, dovuta al taglio o all'aria, portarle a una temperatura tra i 2-4°C. 3) Si può realizzare un infuso di erbe aromatiche con lo stesso procedimento, che si adotta nel fare una comune tisana, lasciate riposare un bel po’, poi filtrate e otterrete un profumo fluido che insaporisce meravigliosamente le preparazioni. 4) Anche l’olio si presta a essere aromatizzato con le erbe. Scaldo l’olio, unite l’erba scelta e lasciate riposare. In questo modo, dopo averlo filtrato, si ottiene un olio intensamente profumato, molto adatto ai soffritti. 5) Si può aromatizzare il fior di sale grosso con le erbe fresche, tritandole velocemente e facendole asciugare a bassa temperatura.


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Fabio, uno chef fuori dagli schemi

Fabio Campoli, che da questo numero ha iniziato a collaborare con “Senso&Gusto”, è, ad oggi, uno tra i più acclamati chef del panorama gastronomico italiano e non solo. Da quindici anni è consulente e chef di trasmissioni televisive. Testimonial, docente e consulente per aziende, organizzatore di eventi, tra i maggiori esperti internazionali di food design. Quattro libri all’attivo: “Alchimia dei sapori”, “La mia cucina”, “Note di gusto”, e “Il mattino ha l'oro in bocca”. E' presidente del “Circolo dei Buongustai”. Questa in sintesi la poliedrica attività di Fabio Campoli: uno chef fuori dagli schemi, che ha deciso di fare il suo lavoro lontano dalle cucine dei ristoranti, portando con sé l’esperienza maturata, i suoi continui studi e la curiosità che lo contraddistingue. Pioniere di un nuovo modo di interpretare la figura dello chef lungo un percorso gastronomico alternativo. Il suo modo di fare cucina è diventato uno stile inimitabile, sospinto sempre dall’inesauribile curiosità e dalla lunga ed essenziale esperienza. Una cucina che porta il segno della contaminazione tra la ricerca il nuovo e la tradizione dei sapori tipici del suo mondo. Una cucina che non si può definire moderna o classica, ma che rispecchia una passione sana e profonda. Come la musica tocca tutti i generi ed è amata dagli intenditori. Nel 2000 decide di lasciare la ristorazione “classica” per iniziare un nuovo percorso, non solo tv, ma consulente per aziende e industrie, food stylist, testimonial e docente. Nel tempo è diventato uno dei più celebri chef mediatici, conquistando radio e tv. Tante trasmissioni, tutte di successo, sulle reti di Stato e private.L'ultima fatica televisiva , iniziata nel 2013, in onda su Rete 4 dal titolo “Le mie ricette all’italiana”. Inoltre ogni giorno è su Alice con una nuova rubrica, Sky Easy Baby e Vero tv con le puntate di non solo Benessere Tv.

La ricetta del mese SPUMA DI BACCALÀ CON CROCCANTE DI POLENTA E CECI AL ROSMARINO Ingredienti per 4 persone

250 gr di baccalà reidratato, 200 gr di ceci reidratati, 200 gr di polenta cotta, 500 cl di acqua, 500 cl di latte, 4 cucchiai di panna liquida fresca, un rametto di rosmarino, 1 spicchio di aglio, 70 cl di olio extravergine d’oliva dal fruttato delicato, olio d’oliva per friggere, pepe nero in grani, Sale q. b.

PROCEDIMENTO

Metto il baccalà in cottura col latte e l’acqua per mezz’ora. Intanto, in un’altra pentola cuocio i ceci con l’aglio e il rosmarino salandoli a fine cottura e li tengo da parte. Poi preparo la polenta e, mentre è ancora calda, la distribuisco su un foglio di carta da forno sul tavolo (o su una spianatoia), copro con un altro foglio e la spiano col matterello fino a raggiungere uno spessore di due-tre millimetri. Sistemo la sfoglia di polenta su un vassoio e faccio riposare in frigorifero per almeno due ore. Scolo il baccalà dal latte, controllo che non vi siano spine, lo metto in un frullatore, incorporo la panna liquida e l’olio a filo (che devono essere assolutamente molto freddi) fino a ottenere una spuma bianca e voluminosa. Conservo in fresco. Poco prima di servire, con un coltellino ricavo dalla polenta delle cialdine a forma di foglia e le friggo in abbondante olio: a fine cottura dovranno rimanere croccanti, tipo chips per intenderci. Le tengo in caldo. Al momento del servizio, metto sul piatto un po’ di spuma di baccalà, sopra a mo’ di petali, sistemo le chips di polenta e al centro qualche cucchiaiata di ceci caldi. Condisco ancora con un filo d’olio extravergine e del pepe nero macinato al momento.

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GRANDE

S&G

VINO, GRANDI PROFUMI PER RICONOSCERLI NON BASTA L'OLFATTO, SERVE TANTA MEMORIA Quando beviamo un vino, specialmente se di un certo livello, siamo sempre portati a soffermarci qualche minuto in più con il bicchiere in mano, quasi fosse un atto di rispetto nei confronti di quel prodigio della natura e dell’uomo, che abbiamo nel bicchiere. Però, cercare di estrarre tutti gli aromi che si celano in un caleidoscopio di profumi è veramente difficile, specialmente se non abbiamo l’olfatto allenato a discernere i profumi, anche i più elementari. Nei Corsi di formazione Professionale per Sommelier, dico sempre che ormai il nostro olfatto è disabituato a riconoscere i profumi. La causa di questo male ancora una volta la vita frenetica che facciamo. Quando sbucciamo un frutto, lo facciamo in tutta fretta e non ci soffermiamo mai ad annusare i profumi che sprigiona. Il nostro olfatto, più che riconoscere le delicate sfumature che passano tra il profumo di una pesca bianca e quello di una gialla, riesce a riconoscere se la macchina che ci precede è alimentata a gas,

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SAPORE DI VINO Fabrizio Gulini

piuttosto che a benzina. Pertanto, prima di imparare ad analizzare un vino, occorre iniziare a risvegliare il nostro senso più assopito, l’olfatto. La stagione primaverile che è iniziata in questi giorni, ci viene provvidenzialmente in aiuto, con lo sbocciare dei primi fiori e con l’aria che inizia a trasportare, a dispetto di chi soffre di allergie, polline e profumi di ogni specie di pianta. Risvegliare l’olfatto non ci aiuta soltanto ad apprezzare il profumo del vino, ma ci aiuta anche a valorizzare il cibo con cui accompagniamo il vino. Quell'incredibile complesso di sensazioni che definiamo “sapori” e che ci fanno riconoscere un cibo da un altro, che rende piacevole l'atto del mangiare o del bere, è in gran parte determinato dalle sensazioni olfattive che percepiamo; il gusto è, in realtà, l'unione delle quattro sensazioni gustative fondamentali (dolce, salato, acido e amaro) arricchito dall'infinito patrimonio degli aromi e dei profumi. Non a caso, quando si è raffreddati, si dice che non si sentono i sapori; in realtà ciò che viene a mancare è il contri-


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buto fondamentale, che il senso dell'olfatto conferisce al senso del gusto, quel “quid” che consente di riconoscere una mela da una pesca. Al fine di comprendere l'importanza fondamentale dell'olfatto nel gusto, fate questa prova: bendatevi e tenetevi il naso chiuso con una clip di quelle che usano i nuotatori, da qualcuno che è con voi, fatevi servire una mela ed una pera, chiaramente sbucciate ed in piccoli pezzi che non vi facciano capire la natura del frutto dalla forma. Masticate con cura senza deglutire. Riuscite a discernere i sapori dell’una o dell’altra? Probabilmente no. Un esperimento che viene ancora meglio è con i succhi di frutta, anche di natura molto differente tra loro, tipo un succo d’ananas ed uno d’arancia. Nelle stesse condizioni precedenti, assaggiate prima l’uno e poi l’altro senza deglutire. Anche in questo caso sarà quasi impossibile capire quale dei due è il succo d’arancia. Le sensazioni che avrete percepito in bocca saranno state di dolcezza più o meno accentuata e di acidità più o meno evidente e una sensazione di amaro più o meno forte, tuttavia, questi erano gli unici indizi che avevate a disposizione per determinare il gusto del succo di frutta. Senza l'aiuto dell'olfatto è praticamente impossibile determinare l'esatto gusto e i sapori di un cibo, quindi, anche il suo riconoscimento. Deglutendo sarebbe stato un pochino più facile, perché per via retronasale, ovvero tramite il riflusso di aria che dopo la deglutizione torna verso le vie nasali, una parte dei profumi raggiungono i recettori olfattivi. Pertanto l’olfatto è importante e contribuisce alla percezione del gusto, ma dobbiamo tener conto che è sostanzialmente un senso istintivo e di valutazione immediata. Spesso non ci rendiamo conto degli odori che percepiamo, tuttavia il nostro cervello li recepisce e, in base all'esperienza e all'associazione, stabilisce la gra-

devolezza dello stimolo e lo classifica. La valutazione consapevole degli odori richiede attenzione, concentrazione e, soprattutto esperienza e memoria. Del resto è praticamente impossibile determinare e riconoscere un odore se questo non è mai stato percepito prima, ma nel vino il problema non è solo mnemonico, è dovuto soprattutto al fatto che questi devono essere individuati all'interno di un gruppo di odori, spesso anche complesso e vasto. Quindi ogni singolo riconoscimento dovrà essere individuato in mezzo a tutti gli altri odori. Il ruolo della memoria olfattiva è determinante, ricordarsi di un aroma specifico e, soprattutto, saperlo riconoscere diventa una caratteristica strategica per il degustatore, una caratteristica che si può affinare e sviluppare unicamente con la pratica e con la dedizione. Ma come nascono i profumi che troviamo nel vino? Lo scopriremo nel prossimo numero… © Riproduzione riservata

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S&G

SCELTI PER VOI

Il Guardianone, ristorante nel bosco specializzato nella cucina marinara Ne ha fatta di strada “Il Guardianone”, storico ristorante della Via dei Laghi, sotto le pendici di Monte Cavo. Quarantanni di vita, nella quale c'è stata una costante evoluzione, fino a diventare un punto di riferimento della ristorazione castellana. E' nata nel '73 come fraschetta, quella vera di una volta, con tavoli e panche sistemate sotto un bosco di castagni e dove i “fagottari” si portavano il mangiare da casa. Vino, acqua e bibite si acquistavano sul posto. Al banco c'era la signora Vilma, mamma di Claudia, Massimo e Romolo, che ora gestiscono il locale. Papà Vittorio aveva altre attività, ma all’occorrenza era sempre presente. Era un lavoro stagionale dalla primavera all'inizio dell'autunno, perché il clima non permetteva di andare oltre. Nel frattempo, Vilma ci ha preso gusto, ha cominciato a preparare qualche primo piatto tipico e secondi di carne rigorosamente alla brace. Il successo è stato immediato, tanto che nel 2000 la famiglia D'Amico, con i ragazzi che non erano più ragazzi, ha deciso di compiere il grande passo: via alla ristorazione vera e propria. Mai scelta fu indovinata. Allestito il locale in stile rustico, con una bella terrazza da utilizzare d'estate, quando altrove si muore di caldo. Cucina tipica castellana, fatta di cacciagione e piatti della tradizione romana. Sapori robusti, ma cucinati con leggerezza, grazie anche alla qualità della materia prima. Del resto, sin dai tempi in cui era una spartana fraschetta, la famiglia D'Amico ha sempre lavorato con un principio ben preciso nella testa: “ ciò che non è buono per noi, non è buono neanche per i clienti”. Un modo lavorare che ha riscosso subito un grande successo, sostenuto anche da una pizzeria, con tanto di forno a legno che lavorava alla grande, fino a sfornare dalle 150200 pizze nelle serate di punta. Ebbene, nonostante questi punti di forza, cioè buona cucina e una buona pizza, i “terribili” fratelli D'Amico, che si alternano tra sala e cucina, perché sanno anche cucinare (mamma Vilma li ha istruiti bene), non si sono adagiati sugli allori. Hanno deciso di dare una nuova svolta al locale, facendo una scelta molto coraggiosa. Basta pizza, dentro il pesce. Sicuramente, qualcuno si domanderà cosa c'entra il

Il Ristorante del mese

pesce in un ristorante, pardon trattoria, come continuano a chiamarla loro, in mezzo al bosco a 600 metri altezza. Se lo sono domandati anche parte della clientela consolidata e gli “aficionados” della pizza, che improvvisamente si sono visti offrire crudità di pesce e fettuccine tirate a mano allo scoglio. Qualcuno, troppo diffidente, non ha gradito, in compenso sono arrivati i nuovi, gli amanti della cucina marinara a 360°, poco diffusa nei dintorni. Sempre conservando in menu inappuntabili carbonare, amatriciane, cacio e pepe, sugo ai porcini, agnelli e conigli alla cacciatora, bistecche e altri piatti della tradizione romana, cucinati con la stessa cura di sempre. Eccezionali le patatine fritte, splendide, croccanti chips fatte in casa al posto degli stucchevoli bastoncini surgelati. L'ingresso del pesce ha significato rinnovarsi anche a livello ambientale. La sala ha subito un restyling, non soltanto nell'arredo, ma anche nell'allestimento. Meno coperti (70 all'interno e altri 70 sulla terrazza d'estate), rispetto a prima, che ha significato più spazio tra una tavolo e l'altro, quindi un atmosfera più soft. Coadiuvati da Sandro Mattei, giovane chef (appena 29 anni), Massimo e Romolo hanno puntato su una cucina di livello. Sfiziosi gli antipasti crudi e cotti (ci si può cenare, vista l’ampia scelta). Crostacei, mazzancolle, scampi e gamberi rigorosamente crudi, conditi solo con un filo d'olio buono, per gustare appieno il loro sapore e la loro freschezza. Tra i cotti, eccellente il brasato di tonno in crosticina di pistacchi, il salmone affumicato al miele e la provola affumicata. Come primi, tutti espressi, da provare le linguine all'astice, le mezze maniche tonno e menta, gli spaghetti alici e pecorino, le linguine calamari e bottarga. Tra i secondi, non perdetevi il pesce alla cacciatora specialità della casa, e il rombo sfilettato burro e alici. Buona la carta dei vini, con etichette di tutte le regioni d'Italia, mentre i dolci di Claudia sono il tocco finale per una bella se“Il Guardianone” rata da gourmet. Una leccorVia dei Laghi km 12,600 nia la “torta di mamma” di Rocca di Papa (Rm) crema fatta in casa e fragoline di bosco, la crostata di Tel. 06-9495252 frolla al cacao ripiena di Tel. 320-4083406 crema di cioccolata, la sbriRiposo: mercoledì ciolata di sfoglie tritate con la crema. Ferie: 15 giorni a novembre Paolo Caprio

www. Ilguardianone.com


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IL CAFFÈ

UN PIACERE MONDIALE

MOKA, CIALDE E CAPSULE, SFIDA ALL'ULTIMA TAZZINA Caffè, piacere m o n diale. Non c'è angolo della terra dove non lo si beva. E' l'oro nero nel mondo del gusto. Perché oro nero? Perché, con i consumi in costante crescita, il mercato non conosce crisi e quindi cali di fatturato, come avviene per altri generi. Anzi, il contrario. Le proiezioni per il futuro disegnano grafici tutti in salita. Ma già le cifre attuali sono impressionanti. Ogni giorno, nel mondo, si consumano quattro miliardi di tazzine, non soltanto perché il caffè è un'abitudine consolidata, un momento di stop nel corso della giornata. Il merito va anche all'evoluzione tecnica che si è sviluppata nel corso di questi ultimi anni. L'ingresso sul mercato delle cialde e delle capsule ha sicuramente incentivato i consumi e di conseguenza il

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fatturato, che nel 2013 ha toccato una quota molto vicina ai dieci miliardi di dollari e con una previsione di toccare il tetto dei dodici miliardi di dollari nel 2015. Indiscutibilmente, quel tasto “magico” della macchinetta automatica con il caffè che scende giù nella tazzina in pochi secondi ha contribuito al boom del “oro nero”. Un'operazione facile facile, che spinge a consumarne di più, non soltanto tra le mura domestiche, ma anche in ufficio, in fabbrica, in officina dove ormai stazionano fissi i distributori automatici, che tra l'altro, ti offrono un prodotto ad un prezzo inferiore, rispetto ad un qualsiasi bar. Cialde e capsule hanno mutato sicuramente la liturgia della tazzina di caffè. Prima di questa evoluzione tecnica, fatta di macchinette multifunzioni, colorate e di tutte forme e le grandezze, perché sono diventate anche oggetti di arredamento nelle cucine moderna, il caffè bevuto da solo o in compagnia rappresentava un momento sacro della giornata. Che cominciava dal mattino, quando quel profumo inondava la casa, per poi proseguire in altri momenti della giornata. Anticamente lo si faceva con la mitica caffettiera napoletana, che regalava un caffè scaturito da un infusione lenta. Senza schiuma, meno cremoso, ma ricco di aromi e di sentori avvolgenti. La sua preparazione aveva il valore di una cerimonia. Un po' come il the del pomeriggio per gli inglesi. Poi è arrivata la moka, la famosa macchinetta marchiata con l'omino con i baffi, la cui azienda nel prossimo autunno compirà ottantuno anni, che accor-


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ilCaffè

ciava i tempi rispetto alla “napoletana” e che regalava un caffè dal sapore più intenso e con una consistenza più cremosa molto, simile a quella del bar. E' stato il primo passo verso le macchine di ultima generazione, che molto velocemente sono diventate un cult, simili nella meccanica a quelle dei bar, ma con dimensioni naturalmente ridotte e con la differenza che, oltre alla polvere, vanno a cialde e a capsule. Un metodo più sbrigativo, ma che, comunque, non è ancora riuscito a soppiantare del tutto la moka, che conserva il suo esercito di estimatori, compresi numerosi chef di fama internazionale, che continuano ad usarla per preparare il caffè necessario per le loro ricette e per quello che da servire ai loro clienti. C'è addirittura un ristorante appena fuori S. Maria delle Mole, frazione del Comune di Marino, che serve il caffè ai tavoli in minuscole moka da una tazzina. Comunque, il consumo di caffè in polvere ha subito in questi ultimi anni una contrazione, però nello stesso tempo resiste, continuando a mantenere intatto il suo spazio, il suo fascino e l'apprezzamento dei patiti e degli intenditori della tazzina, perché si ha la possibilità di scegliere la miscela giusta, più vicina ai loro gusti, oltre ad avere l'opportunità di acquistare il prodotto anche in chicchi, che ti permette la macinatura al momento, cioè il top dei top. In questo modo si ha la possibilità di avere un prodotto di grande livello, superiore alle cialde, che hanno miscele standard e forse alle capsule, che, nel frattempo hanno cercato di colmare questa lacuna. Più di un'azienda ha messo in commercio cofanetti con all'interno varie tipologie di miscele, riaprendo così una consolidata sfida: moka contro capsule. A voi la scelta. L. A.

Il caffè nella tradizione e nel cinema italiano

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ilCaffè

Regole e consigli per una degustazione da intenditori

“Prendiamoci un caffè, ti offro un caffè, ti faccio un caffè, vuoi un caffè?” Quante volte al giorno sentiamo ripetere questa frase, un ritornello che non ci stanca mai, perché il caffè, nel mondo, è il simbolo della socializzazione. Ma il caffè è anche spunto per dispute e considerazioni sul tema. Ognuno, ha il suo modo di interpretare questa bevanda, ognuno ha un suo modo di prepararla, ognuno ha il suo modo di berla. Il rituale inizia sin dalla scelta della miscela: chi ama il gusto forte, chi quello più morbido e profumato. Anche con l'avvento di cialde e capsule, inizialmente monogusto, s'è allargato il campo delle tipologie. Come fare a scegliere il caffè giusto? Se non ci facciamo prendere dalla fretta, l'ideale è quello di comprare il caffè in chicchi, casomai di tipi diversi. Se invece si vogliono accorciare i tempi, in commercio ci sono polveri già pronte da inserire nella macchinetta preferita, anche in alcune di quelle automatiche. Però, in questo caso bisogna fare molta attenzione alla scelta. Le etichette delle confezioni spesso non ci aiutano. Le diciture tipo forte, italiano, espresso bar, napoletano parlano del gusto, sono generiche per quanto riguarda la varietà, sono segnalati i luoghi di produzione, ma nessuna indicazione sulle date del raccolto, del grado di torrefazione. Perché bisogna avere tutte queste attenzioni? Per il semplice fatto, che se i chicchi sono stati sottoposti a tostatura forzata, il caffè perde una parte di aromi, ma acquista molto corpo, quindi adatto alla moka e alle macchine espresso. Se la tostatura è chiara, avviene l'esatto contrario: più profumo e polvere adatta per il metodo della percolazione, cioè della napoletana e del caffè americano. Cose, che chi è un patito del caffè vuol sapere per fare le sue scelte. Per fare un buon caffè occorre rispettare alcuni accorgimenti. Bisogna partire dalle dosi, che vanno ben gestite: un cucchiaio da minestra ben pieno di polvere per ogni tazza. Poi c'è la scelta dell'acqua. L'ideale sarebbe usare acqua minerale, priva di impurità o anche quella corrente, ma adeguatamente prefiltrata. Ma qui non si può essere troppo fiscali. Cosa importante: l'acqua non deve bollire. La miscela, infatti, deve gonfiarsi al contatto con il liquido, per liberare tutto il suo aroma e l'acqua che la attraversa si carica lentamente di colore e sapore. Inoltre, un buon caffè si ottiene se questo è fresco. Cosa intendiamo in questo caso? Se l'acquistate in grani e quindi siete voi a macinarlo, non acquistatene in quantità eccessiva. Al massimo deve durare tre settimane. Se, invece, è già macinato, consumatelo entro una settimana dal-

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l'apertura della confezione. Quello che avanza, conservatelo in una scatola dalla chiusura ermetica, possibilmente in frigo, nello scomparto della verdura. Ultimo atto la degustazione. Intanto, mettetevi comodi, perché un buon caffè va bevuto senza fretta. Non come è uso fare in Italia, dove il caffè viene consumato in pochi secondi, in piedi al bar e, spesso, anche a casa. Per capire ed apprezzare la natura originale dell'infuso, concedetevi zucchero, latte, correzioni alcoliche, ma soltanto dopo aver bevuto il primo sorso di caffè amaro. E ricordatevi sempre, che il caffè è un piacere.

Sedici tipologie dai quattro angoli del mondo Hawaii Konan Captain Cook Tipologia: arabica. Coltivato: 600-900 m slm. Raccolto: settembre-marzo. Gusto: omogeneo. Aroma: intenso. Acidità: scarsa. Corpo: ottimo Giamaica Blue Mountain Tipologia: arabica. Coltivato: 2000 m. slm. Raccolto: agosto-settembre. Gusto: fruttato. Aroma: unico. Acidità: medio alta. Corpo: ottimo Kenia AA Tipologia: arabica. Coltivato: 1300 m slm. Raccolto: da ottobre. Gusto: dolce. Aroma: delicato con note liquorose. Acidità: molto forte. Corpo: scarso India Monsooned AA Tipologia: robusta. Coltivato: 400-900 m slm. Raccolto: novembre-marzo. Gusto: neutro. Aroma: neutro. Acidità: bassa. Corpo: discreto


se.

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Brasile Santos Titania Descascado Tipologia: arabica. Coltivato: 900-1100 m slm. Raccolto: da aprile. Gusto: dolce. Aroma: delicato. Acidità: leggera. Corpo: buono Costarica Tarrazu Tipologia: arabica. Coltivato: 1600-1700 m slm. Raccolto: aprile, agosto-settembre. Gusto: dolce. Aroma: delicato. Acidità: forte. Corpo: buono Colombia Supremo Tipologia: arabica. Coltivato 1200-1900 m slm. Raccolto: aprile-giugno, ottobre-gennaio. Gusto: dolce. Aroma: discretamente delicato. Acidità: marcata. Corpo: sostenuto Portorico Yauco Selecto Tipologia: arabica. Coltivato: 300-1000 m slm. Raccolto: ottobre-febbraio. Gusto: deciso e fruttato. Aroma: forte e raffinato. Acidità: buona. Corpo: ricco Nicaragua SHG Tipologia: arabica. Coltivato: 1500-2000 m slm. Raccolto: novembre- gennaio. Gusto: dolce. Aroma: delicato: Acidità: forte. Corpo: deciso Repubblica Domenicana Barahona Tipologia: arabica. Coltivato: 1200-1500 m slm. Raccolto: gennaio-marzo. Gusto: dolce. Aroma: molto delicato: Acidità: decisa. Corpo: buono

Messico Tipologia: arabica. Coltivato: 1700 m slm. Raccolto: novembre. Gusto: dolce e profumato. Aroma: persistente. Acidità: marcata. Corpo: buono

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Guatemala maragogype Tipologia: arabica. Coltivato: oltre 2000 m slm. Raccolto: agosto-aprile. Gusto: delicato. Aroma: intenso. Acidità: media. Corpo: medio Indonesia Giava Tipologia: robusta. Coltivato: 300 m slm. Raccolto: tutto l'anno. Gusto: terroso e speziato. Aroma: delicato. Acidità: medio bassa. Corpo: ricco Etiopia Sidamo gr2 Tipologia: arabica. Coltivato: 1300-2100 m slm. Raccolto: da ottobre. Gusto: dolce e delicato. Aroma: delicato e liquoroso. Acidità: molto forte. Corpo: leggero Congo Kwilu Tipologia: robusta. Coltivato: 500-1000 m slm. Raccolto: da settembre. Gusto: amaro. Aroma: intenso. Acidità: debole. Corpo: buono Papua Nuova Guinea Plantation A Tipologia: arabica. Coltivato: 1000-2100 m slm. Raccolto: agosto-aprile. Gusto: dolce. Aroma: delicato. Acidità: leggera. Corpo: buono

* la dicitura slm vuol dire: sopra il livello del mare

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ilCaffè

TANTE

TOSTATURE E PER TUTTI I GUSTI Avete mai provato a passare nei dintorni di laboratori o industrie che si occupano di tostatura del caffè? Gli aromi sprigionati dal calore ti prendono dentro, sviluppando piaceri percettivi difficili da descrivere, perché la miscelazione delle varie tipologie di chicchi produce profumi inimitabili. Quando beviamo un caffè a casa o al bar, nessuno pensa che quel gusto è frutto di diverse tipologie di tostatura. Ognuna dà al caffè un sapore diverso dall'altro. Vediamo quali sono.

TOSTATURA AMERICANA Cottura media, gradita negli Stati Uniti e nel Canada. Due le tipologie: il City dal color marrone chiaro, con chicchi opachi, dotato di un'intensa acidità con note aromatiche originarie. Il Full City, che ha una cottura più avanzata, i chicchi sono lucidi, ha poca acidità e sa di torrefatto. Si prepara con il metodo filtro.

TOSTATURA MEDIA Di colore marrone chiaro, poco più scuro di quello americano, dal sapore morbido e poco acido.

TOSTATURA CANNELLA Denominata anche tostatura New England. Il chicco è di colore chiaro, meno cotto rispetto a quello americano, fortemente acido, quasi aspro.

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TOSTATURA DARK Il chicco è di colore quasi nero. Il sapore è pungente, quasi nulla l'acidità, sanno di tostato.

TOSTATURA FRANCESE Il chicco esce dal tamburo prima che diventi completamente lucido di oli. Ha un pungente odore di tostatura, molto usato per la preparazione di filtro pressa.

TOSTATURA ITALIANA Il caffè è molto tostato, color marrone scuro, oleoso. Ha un sapore amaro inizialmente e dolciastro come retrogusto. E' l'ideale per il caffè espresso.

TOSTATURA NAPOLETANA Di colore molto scuro, come quello “italiano”. E' l'ideale per la preparazione del caffè per la percolazione nella macchinetta napoletana.

TOSTATURA VIENNESE I chicchi sono di colore marrone chiaro, per via di una tostatura leggera. Regala la massima espressione di aroma, con un odore finale di tostatura.


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ilCaffè Paese che si stava rialzando dopo la seconda guerra mondiale, piegato nello sforzo della ripresa economica. Questa sacralità del caffè era particolarmente vissuta nel meridione italiano. Il grande Edoardo De Filippo ha solennizzato la cerimonia del caffè, attraverso uno spettacoloso monologo all'interno di una sua meravigliosa commedia “Miseria e nobiltà”, dove raccontava dal balcone al dirimpettaio, tutti i passaggi necessari per arrivare a fare un caffè perfetto, compreso la creazione di un cartuccetto da inserire sul beccuccio della caffettiera. Questo accorgimento artigianale faceva sì che l'aroma restasse imprigionato all'interno della macchinetta.

Amarcord Cara vecchia “Napoletana” caffettiera dei nostri nonni Parlare di caffettiera napoletana è come fare un tuffo nella preistoria. A proposito, va sottolineato che ha origini francesi. Le nuove generazioni non sanno neanche di cosa stiamo parlando. Loro sono cresciute con la moka e per le ultime, esistono soltanto cialde, capsule e distributori automatici. Del resto, il progresso necessita del suo spazio. Però, di contro, non ha vissuto il fascino e il rituale del caffè. Fare il caffè significava avere tanta pazienza, perché non c'erano pulsanti come oggi. C'erano una serie di operazioni (i più esigenti se lo macinavano in casa) che ti portavano a bere il sospirato caffè, anche dopo una ventina di minuti, mentre la casa era pervasa del suo profumo. Il caffè alla napoletana è stato foriero di fantasie, di un


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S&G

IN CUCINA CON LO CHEF Gabriele Zanini

Souffle’ di colomba pasquale su zuppetta di fragole e menta

anini Z le e i r b a G

Ingredienti (per 8 persone) 80 gr di zucchero, 3 uova intere, 120 gr di farina, 16 gr di lievito, 100 gr di burro , 100 ml di latte, 150 gr di colomba, 250 gr di fragole, Foglie di menta, Zucchero a velo

Procedimento Iniziate, montando lo zucchero con le uova, aggiungiate a pioggia la farina e il lievito setacciati, incorporate il burro ammorbidito a temperatura ambiente, continuando a montare il composto. Aggiungete il latte, con all’interno la colomba finemente sminuzzata, amalgamate il tutto. Riempite gli stampini e fate cuocere in forno a 170° per circa 20/25 minuti. A questo punto, lavate e tagliate a pezzetti le fragole, mettetela in un pentolino con 2 cucchiai di acqua e cuocete per cinque minuti a fuoco alto, fino a che non risultano morbide. Dopo di che togliete dal fuoco e lasciate in infusione qualche foglia di menta. Coprite e lasciate freddare. Fatta quest'ultima operazione, eliminate le foglie di menta e frullate le fragole. Servire su un piatto da portata con lo sformatino adagiato sulla zuppetta di fragole, decorate con lo zucchero a velo.

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Variazione d'agnello con cous cous Ingredienti (per 4 persone) Preparazione Pan di Spagna 1 coscio d’agnello, 2 carciofi, 2 fette di prosciutto cotto, 200 gr di cous cous, 1 carota, 1 costa di sedano, ½ cipolla rossa, 2 limoni, 2 bicchiere di vino bianco secco, 1 bicchiere di brodo vegetale, 1 rametto di rosmarino, 2 foglie di salvia, 4 foglie di menta, Olio extra vergine ,sale e pepe, Farina 00, Spago da cucina

Procedimento Disossate il coscio d’agnello (o compratelo già disossato), dividetelo a metà, riducendone una metà a bocconcini che metterete a marinare per un' ora in un contenitore con 1 bicchiere di vino bianco, il succo dei 2 limoni, salvia , menta e rosmarino, e l’altra metà aprendolo a libretto in modo da farcirlo con i carciofi tagliati finemente, cotti in un tegame con un cucchiaio d’olio extravergine. Adagiate sopra i carciofi le fette di prosciutto ed arrotolate la carne, ottenendo un rolle’ che fermeremo con dello spago da cucina. Rosolate in un tegame con dell’olio il rolle’ su tutti i lati, sfumatelo con il vino, aggiungete un mestolo di acqua calda e continuate la cottura in forno a 200°per 25/30 minuti. Preparate un soffritto con la carota, il sedano e la cipolla tritati, mettete il tutto in un pentolino ed aggiungete i bocconcini , asciugati con della carta assorbente, leggermente infarinati. Dorate bene e sfumate con il liquido di marinatura ed un mestolo d’acqua calda. Cuocete per circa 30 minuti. Nel frattempo, occupatevi del cous cous: mettetelo in un recipiente ampio, conditelo con un pizzico di sale , un cucchiaio di olio e coprite con il brodo vegetale bollente. Assorbito il liquido, il cous cous è pronto. A questo punto, impiattiatelo con i bocconcini ed il rolle’ tagliato a fette.

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NATURA & AMBIENTE

Agricoltura biodinamica la sfida naturale contro la terra malata

a funzionario di banca ad agricoltore. Quando accadono questi stravolgimenti di vita, solitamente la via percorsa è quella inversa, dal basso versol’alto. Non per Carlo Noro, che stufo di una professione che trovava monotona, si è licenziato. Ha smesso doppiopetto e mocassini, per indossare tuta e stivali. Ha scelto di lavorare nei campi, ha creato un'azienda di quattro ettari di terreno (al Piglio c'è un altro ettaro dove si producono olio e vino) e ha puntato su un'agricoltura diversa, la biodinamica, quella naturale come c'era una volta, senza uso di fitofarmaci, ormoni e concimi chimici. La terra è stata sempre un suo pallino. Ha iniziato a lavorarla inizialmente nel piccolo orto di casa, per hobby. Poi, quando ha acquistato i terreni di Vallefredda, in quel di Labico, poco distante dal resort di Antonello Colonna, ha dato vita ad un progetto più allargato, fino a diventare uno dei più grossi produttori di concimi biodinamici d'Europa. A dargli una mano sono i due figli Simone e Valerio, ma anche la moglie Gianna e la figlia Emanuela, di professione entrambe insegnanti, sono della partita. A questo punto, molti di voi si chiederanno cosa è l'agricoltura biodinamica, essendo ancora poco diffusa in Italia e non avendo attualmente un vero e proprio mercato. Ebbene, si tratta di una tipologia produttiva, dove si punta alla prevenzione, cioè a rendere sano il terreno, evitando il rischio dello sviluppo di patologie vegetali. Tutto ciò avviene naturalmente, senza uso di fitofarmaci, come accade nell'agricoltura biologica, anche se sono di natura biologica anche loro. “Compito del biodinamico - ci spiega Carlo Noro - è costruire un buon terreno, usando preparati fatti in casa a base di erbe e concimi selezionati di natura animale.Vengono usati in piccoli dosaggi, in modo da guidare il processo agronomico del metodo agricolo. Mantenendo l'equilibrio naturale della terra, la produzione va avanti da se, senza la necessità di altri interventi. Noi ne produciamo tre tipi, fatti in azienda. Il primo è fatto con il letame di mucca inserito nei corni di mucca ed interrato per 6 mesi; il secondo con silice, cristallo di rocca, quarzo anch'esso inserito nel corno di bue ed interrato d'estate; il terzo con sei tipi di piante officinali inserite in una sostanza organica.” Ci sono vari accorgimenti per capire lo stato di salute di un terreno. A cominciare dalle piante, che se hanno problemi, vuol dire che le sue radici affondano in una terra malata. “La cartina di tornasole sono le leguminose -sottolinea Noro- se il terreno è malato non vengono proprio. Queste fissano l'azoto che è nell'aria. Essendoci batteri che vivono in simbiosi, questi finiscono nella terra, che si ammala.” Come si può constatare è un sistema semplice e complesso nello stesso tempo. Ma che garantisce prodotti veramente “puliti”, anche

perché la madre terra non viene sfruttata, “uccisa”, come accade nell'agricoltura convenzionale, dove si produce tanto e in tempi brevi, grazie anche agli aiuti chimici.“Lo sapete -ci spiega Carlo_ che quando un terreno viene diserbato, i postumi del trattamento si trasmettono per 500 anni. Nella biodinamica, i tempi sono più lunghi, perché la maturazione segue il suo andamento naturale e sopratutto rispetta la sua stagionalità. Un principio quest'ultimo, a cui nessuno fa più attenzione, per colpa della grande distribuzione che richiede e propone sui banchi di vendita di tutto e di più, a livello di frutta e ortaggi. A discapito del gusto e della salute, perché si tratta di prodotti imbottiti di farmaci di sintesi, i più pericolosi per tutti noi. Non con conseguenze immediate, ma a lungo termine. Non sarà assolutamente facile fare dei passi indietro, anche se la gente sta diventando sempre più sensibili a certe problematiche.“Devono comprendere che l'agricoltore deve produrre per la salute, non per le malattie” sottolinea il nostro interlocutore. Trovare prodotti di agricoltura biodinamica in commercio, al momento attuale non è affatto semplice, perché resta ancora un prodotto di nicchia, con costi superiori rispetto alla media, anche se inferiori al biologico. Colpa di una burocrazia che chiede pesanti balzelli. Sopratutto sono rari i punti vendita. Noro è presente ad Ariccia (Mercato del contadino) e All'altra economia a Testaccio a Roma. E' più un mercato da vendita diretta, da vero chilometro zero. Da Carlo Noro si potranno acquistare ortaggi e frutta di tutti i tipi: dai piselli agli asparagi, dalle zucchine all'insalata, dalle mele alle prugne, alle fragole, alle ciliege, all'olio extravergine d'oliva e al vino tutti i venerdì pomeriggio da metà aprile fino a dicembre, oltre ai sughi, patè, marmellate, fatti con le loro verdure e la loro frutta, preparati da Simone. D'inverno non si produce, perché i terreni sono situati in una zona troppo fredda. Riuscirà questo tipo di agricoltura, dove le lobby la fanno da padrone, a trovare il suo spazio? “ Siamo una goccia in mezzo al mare -conclude Carlo. Ma io sono ottimista, perché la gente comincia a comprendere che le terribili malattie degli ultimi secoli dipendono non soltanto dall'inquinamento atmosferico, ma anche da una alimentazione poco sana. Lo deduco anche dai corsi che si svolgono in azienda, dalla presenza giovanile sempre più numerosa e dal signore e dalla signora che ha un piccolo orticello e vuole coltivare cibo sano”. © Riproduzione riservata

Pa. Ca.


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È arrivata la primavera ecco i 10 comandamenti per creare un orto a casa Con la bella stagione alle porte, tutti rispolveriamo il nostro pollice verde. Ci sono da risistemare le piante dopo la pausa invernale e per chi ce l'ha, ridare vita all'orto di casa. Ma è anche il momento delle scelte, non tanto per i fiori, quanto per cosa e come coltivare. Sono le scelte più importanti da fare, tanto che la Coldiretti, per dare una mano agli agricoltori fai da te, in coincidenza con l'arrivo della primavera, ha elaborato un decalogo per aiutare i cittadini in una attività, che piace molto anche ai bambini, per i quali da “Campagna Amica” è arrivato il primo gioco del piccolo contadino “Giò”, un kit semplice e comodo, con il quale lavorare la terra, per produrre prodotti freschi, di stagione e, sopratutto, sani. Dieci le regole consigliate da Coldiretti per ''l'orto di casa''. Tutte abbastanza semplici, adatte per chi lo fa per hobby. Ma vediamo cosa dobbiamo fare per raccogliere i frutti del nostro lavoro. 1) Spazio giusto: e' necessario, infatti, individuarlo. L'orto in piena terra è la soluzione migliore. Per chi non ha il giardino, il balcone o il terrazzo sono una buona alternativa. L'importante è che siano soleggiati e ventilati. 2) Stagionalità: occorre conoscerla. Ad ogni periodo dell'anno il suo prodotto. Per sapere, quando e cosa coltivare, è utile dotarsi di un calendario delle semine con indicate le fasi lunari. 3) Giusto tempo: gli orti, anche quelli di piccole dimensioni, necessitano di cure quotidiane. Se si ha poco tempo, il consiglio è di comprare le piantine già sviluppate e trapiantarle. 4) Buona terra: è garanzia di risultati. Per mantenere un buon livello di fertilità è meglio scegliere compost vegetale biologico, o meglio ancora se è biodinamico, terriccio universale in ultima analisi.

5) Semi e piantine: ci sono selezioni da fare e regole da rispettare, a seconda che si lavorino ortaggi a ciclo lungo (fagioli, piselli, fave) o a ciclo corto (ravanelli, rucola o carota). 6) Trapianto: si realizza quando le dimensioni della piantina superano quelle del recipiente. E' possibile cambiare più volte il vaso, aumentandone man mano la grandezza. 7) Acqua: per un'adeguata crescita alle colture il terreno deve essere sempre umido, ma mai bagnato. Le innaffiature vanno regolate rispettando la temperatura e lo sviluppo delle piante. 8) Temperatura: è importante fare attenzione all'andamento del tempo. A marzo e ad aprile il rischio di gelate notturne è ancora alto: è bene quindi proteggere le piantine con dei teli isolanti. 9)Parassiti: formiche, mosca degli orti, ragnetti rossi e bruchi sono i principali insetti che possono arrivare a creare seri problemi alla produzione. Per limitare questi attacchi, oltre a usare prodotti specifici, conviene scegliere ortaggi che si adattano meglio al clima e al territorio dove vengono piantate. 10) Costi: realizzare un orto in giardino ha una spesa contenuta. Tra terra, piantine o semi, concime e strumenti di lavoro, l'investimento si può stimare intorno ai 250 euro per un orto di 20 metri quadrati ''chiavi in mano''. Come avete potuto constatare, per poter avere la soddisfazione di assaggiare degli ortaggi, della verdura e della frutta fatta in casa, basta pochi accorgimenti, un pizzico di impegno e pochi euro, che possono essere spesi un poco alla volta. Le coltivazioni, infatti, possono essere effettuate per gradi. Buon lavoro e buon divertimento. © Riproduzione riservata

S.G.


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AMARCORD S&G Simone Francini

Vecchia Romagna, Stock 84, Stravecchio, antichi marchi di brandy che la moda ha relegato in soffitta Vodka, Bourbon, Rhum: anche il bere ha le sue mode. Può sembrare strano, ma è così. Liquori prestigiosi, che hanno fatto la storia, come il Vecchia Romagna o lo Stock 84, sono stati inspiegabilmente relegati in soffitta. Ovunque, dove c'è mescita, è raro trovare in esposizione bottiglie di brandy e cognac. Persino il wisky ha perso molto del suo fascino. Ma su tutti, ad essere diventato un liquore d'altri tempi è il cognac francese e i brandy, alter ego di altre Nazioni. Veniva usato, a volte, anche a scopo medicantoso. Molti attribuiscono questo fenomeno negativo al costo, che è sempre stato più alto rispetto ad altri liquori, specialmente quelli di alta qualità. Altri, ritengono che sia un liquore da meditazione, che va bevuto in situazioni ambientali particolari, lo considerano un liquore riservato ai veri intenditore. E sopratutto è raro trovarlo nel bere miscelato. Ma nonostante tutto, va sicuramente sottolineato che il cognac, era e resta il vero leader di tutti i liquori. Nessun altro ha la sua storia alle spalle, la sua classe. Cognac, un marchio indelebile “Il cognac è un brandy, il brandy non un cognac”. Nessuna frase descrive meglio la differenza tra le due acquaviti. Il cognac è parte integrante della storia della Francia, paese attento alla salvaguardia delle proprie tradizioni - come quella famosa per il vino - dove a seconda della zona di produzione esiste una distinzione tra le denominazioni di acquavite di vino, detta cognac nella regione di Poitou-Charentes e Armagnac nella Guascogna. Il brandy invece è una categoria universale, che, fatta eccezione per il brandy italiano e il brandy spagnolo, comprende qualunque acquavite di vino, indipendentemente dal luogo di produzione, fatto che lo rende meno pregiato rispetto al cognac. Nei più pre-

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stigiosi e aggiornati bar sta tornando di moda un’acquavite di vino ancora poco diffusa, il pisco, di cui si contendono la paternità Perù e Cile, cui si deve il ritorno alla ribalta di cocktail come il Pisco sour o il Pisco punch (ma questa è un’altra storia). In Grecia esiste un prodotto spiritoso meno diffuso in Europa chiamato Metaxa, una miscela a base di vari tipi di brandy, erbe del mediterraneo e spezie. Tornando al cognac, va detto che il disciplinare che ne regolamenta la produzione è tra i più severi e precisi al mondo. Le due città più importanti dell’area di produzione del cognac sono Cognac e Jarnac, territori da cui si dipartono le sei aree concentriche, dette cru, la cui prossimità ai due centri determina la qualità del distillato che vi si produce: la Grande Champagne e soprattutto la Petit Champagne offrono il cognac più pregiato. Per quanto riguarda la legislazione italiana, la legge 7 Dicembre 1951, n.1559, modificata poi dal D.P.R. del 16 Luglio 1997, n.297 regola la denominazione di brandy italiano, identificandolo con l’acquavite di vino. I primi brandy italiani Per gustare il primo brandy italiano, si dovette attendere il 1860 per vedere uscire dagli stabilimenti della Buton di Bologna le prime bottiglie, chiamate allora cognac. Intorno al 1830, dopo la caduta di Napoleone, Jean Buton si stabilì con tutto il suo bagaglio


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di esperienza da distillatore a Bologna, dove attraverso la conoscenza di un pasticcere fondò la distilleria Giovanni Buton & C. È da notare come questa città sia stata la culla del brandy nostrano, e tuttora un vivace centro di produzione, anche per la possibilità dei produttori di rifornirsi facilmente di vino trebbiano, adatto alla distillazione e molto simile per caratteristiche al vino Ugni Blanc, utilizzato in Francia per produrre cognac. Nel 1939 il nome dell’acquavite divenne Vecchia Romagna, distillato presentato nella classica bottiglia triangolare, ancora oggi segno distintivo del brandy di Buton. Un forte impulso alla produzione di brandy italiano derivò dalle difficoltà incontrate dalla viticoltura transalpina a fine ottocento, quando i vigneti francesi furono gravemente danneggiati dalla fillossera, parassita fitofago particolarmente dannoso. Sfruttando la grave carenza produttiva francese, nacquero da noi svariate aziende che avevano accesso ad uve idonee alla distillazione, inserendosi nel già vivace commercio d’esportazione del cognac. Tra queste la triestina Camis & Stock, di Lionello Stock e Carlo Camis, che si ritirerà dalla società nel 1906. Alla originaria produzione di vini nel rione di Barcola, l’azienda affiancò tra il 1884 ed il 1914 quella di grappa e nel 1930 ampliò la produzione grazie a un nuovo stabilimento, aperto nel rione di Roiano, dove la Stock rimarrà sino alla migrazione in zona industriale. Negli anni a cavallo tra il 1930 ed il 1935 la gamma di prodotti si arricchì del Cognac 1884 Fine Champagne, che diventerà poi il famoso Stock 84, e dei liquori cherry e maraschino. Tra la fine del XIX secolo e gli anni ’30 del 1900 la quasi totalità dei proprietari delle attività di distillazione o di liquoreria si diedero alla produzione domestica di cognac (ancora si poteva chiamare così), spinti dal vivace consumo dell’epoca. Tra i marchi più diffusi, alcuni tuttora esistenti, vengono a mente Oro Pilla, Martini & Rossi, Sarti, Florio, Ramazzotti e il marchio Gambarotta, che per primo utilizzò la denominazione italiana Arzente gran riserva. Molti altri produttori minori, vivaci tra le due guerre, non

sopravvissero per via delle loro piccole dimensioni. Un altro importante brandy italiano è lo Stravecchio Branca, da sempre apprezzato dai consumatori più esigenti per la lunga maturazione in botti di rovere di Slavonia, per l'uso esclusivo di acquaviti di vino di qualità superiore e per la sapiente arte della Branca Distillerie. Lo Stravecchio è uno dei prodotti di punta dei Fratelli Branca, azienda che nasce a Milano nel 1845, quando Bernardino Branca inizia la produzione del Fernet, l'amaro più famoso del mondo. La prima etichetta dello Stravecchio risale al 1892, quando il distillato si chiamava ancora “Vieux Cognac Supérieur”. Nonostante la vivacità del mercato nazionale, il brandy italiano non riuscì mai a imporsi sulle altre acquaviti europee, tra le quali l’antagonista spagnola e ovviamente l’inimitabile francese. Dunque, anche se dagli inizi del Novecento si è iniziato a produrre in Italia del buon brandy, molto apprezzato all’estero, esso ha sofferto e soffre ancora la competizione con le altre acquaviti con cui da sempre si contende il mercato. L’industria liquoristica italiana degli anni ’50-’60 non ha poi aiutato il brandy italiano ad affermare le proprie particolari caratteristiche, puntando, più che sulla esclusività del prodotto italiano, sugli alti volumi di produzione e sul consumo di massa. Le politiche protezionistiche francesi avrebbero dovuto già all’epoca insegnare qualcosa all’industria nostrana, che solo da pochi anni, investendo sulla italianità dei prodotti enogastronomici, sta riscuotendo a livello mondiale il meritato successo.

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N A T U RO P A T A

C'è un'altra medicina fatta di erbe, fiori e frutti che fa bene alla salute Curarsi con la medicina alternativa si può. E sicuramente ci fa bene, perché, in questo modo, evitiamo l'ingresso nel nostro organismo della chimica, che ha i suoi effetti in tema di guarigione, ma può, nel tempo, sviluppare altre patologie. La medicina delle erbe, in questi ultimi tempi, sta prendendo sempre più piede. Le loro proprietà benefiche, che nella medicina convenzionale vengono utilizzate in sintesi, sono note a tutti, perché, per secoli, sono state le uniche medicine del genere umano. Quindi, voglio farvele conoscere e, in alcuni casi, potrete prepararvi queste medicine naturali da soli.

Sedano, toccasana per la salute Il sedano possiede virtù insospettate, che vanno ben oltre i confini culinari. E’ particolarmente indicato per la dieta di settembre, poiché grazie alla presenza di vitamina A-B-C, sali minerali, quali il potassio, il calcio il sodio e il selenio, favorisce la ripresa post vacanza. Questo ortaggio, di cui esistono diverse varietà, da quello selvatico diffuso sulle coste del mediterraneo e quello nero di Trevi nel Lazio, passando per la specie violetta tipica del Piemonte è un ottimo antistress naturale. Tonifica il sistema nervoso, migliora i processi digestivi, pulisce il sangue ed è un eccezionale rimineralizzante. E’ ricco di nitrati, quindi molto utile contro i reumatismi, le coliche renali e le affezioni respiratorie. Il sedano rapa, una specie tipica del Veneto, svolge sia un azione disinfettante ma anche immonustimolante. Favorisce il drenaggio polmonare ed epatico ed è in grado di normalizzare le funzioni della tiroide. Il sedano può essere consumato fresco, o aggiungendolo alle insalate o in pinzimonio. Può essere gustato anche sotto forma di succo, soprattutto quando si avverte il pizzicore in gola. Vi consiglio di bere

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Claudia Formisano

un centrifugato preparato con mezzo bicchiere di succo di sedano, mezzo di uva e mezzo di mela.

Sambuco, l'aspirina vegetale E’ una pianta con molte proprietà terapeutiche e il suo impiego risale a tempi molto antichi, si utilizzano i fiori, le bacche le foglie e la corteccia. L’infuso ottenuto con i fiori di sambuco ha proprietà sudorifere ed il loro impiego è consigliato nel trattamento delle malattie legate all’apparato respiratorio. La tosse, l’asma e i reumatismi. Sempre i fiori, grazie alla presenza di flavoni, producono benefici alle vene e all’apparto circolatorio in generale. Le bacche hanno, invece, proprietà lassative e purgative, mentre la corteccia è impiegata a scopo diuretico e nel trattamento delle nevralgie e delle cisti. Anche in caso di ascesso ai denti, il sambuco può rivelarsi utile con le sue proprietà: è sufficiente pestare in un mortaio una manciata di foglie fresche in unione con un cucchiaio di aceto ed un pizzico di sale e tramite una garza, applicare sull’accesso per un paio di ore… Per chi soffre di emorroidi, è invece sufficiente tritare delle foglie fresche e applicare nella parte interessata per almeno 15 minuti.


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S&G

IL FATTO Valeria Caroselli

MANGIARE CON GLI OCCHI

NON È SOLTANTO UN DETTO MA UNA NOSTRA ESIGENZA Cosa scatta nella nostra mente alla vista di un piatto di pasta al pomodoro ? Come mai davanti ad una tazza di cioccolata ci sentiamo “coccolati”? Certamente le nostre papille gustative vengono sollecitate dai profumi che indicano il gusto di ciò che assaporeremo, ma anche la vista ha un ruolo importante sull’identificazione di un cibo. Il colore è il primo elemento che ci colpisce e l'aspetto cromatico di un alimento rivela forti influenze nella percezione del gusto, sia quando vi è naturalmente contenuto, sia quando è aggiunto da qualche ingrediente o quando derivi da processi di cottura e conservazione. Nella tradizione cinese con i colori si sono da sempre classificati anche i sapori: il rosso viene collegato all’amaro, il giallo al dolce, il bianco ci ricorda il piccante, il nero il salato, il verde l’acido. Platone riassumeva il rapporto natura-colore, associando alle diverse tinte cromatiche gli elementi naturali: il rosso rappresentava il fuoco, giallo l’aria, verde i boschi e gli animali, blu la notte e l’acqua. Nel Medioevo, l’aggiunta di ingredienti davano colore servivano ad esaltare il sapore stesso di un cibo. Durante l’Ottocento questa necessita veniva ancora ribadita da Dumas nel “Grande dizionario di cucina”. Esaminiamo come alcuni alimenti possono rivelare un legame anche simbolico tra colore e cibo. Il bianco indica purezza e luce. I cibi bianchi comunicano solennità (torte nuziali) o per contro semplicità, pensate ai nutrienti latte e riso. Il rosso caldo ed eccitante, simboleggia fuoco e sangue e gli alimenti così colorati generano energia, come carni, vini, fragole o pomodori maturi. Spesso presente negli arredi dei fast food e nelle divise degli addetti alla

ristorazione, il rosso stimolerebbe l’azione del soggetto verso il consumo. Apparecchiare la tavola in rosso sembra che consenta di digerire ed assimilare meglio il cibo. E passiamo al verde, che è il colore della natura e della vegetazione, quindi è simbolo di forza, rinascita e speranza. Sono così colorati l'olio extravergine d'oliva e tutta la tavola di primavera, dalle fave agli asparagi. Se si è abituati a mangiare con troppa voracità e in fretta, a volte perché il tempo non ci consente di stare troppo a tavola, il verde sembra aiuti a rallentare l’assunzione dei pasti. Il giallo è un colore solare e quindi energetico, ricorda l’oro. Sembra sia il colore preferito dai golosi: il tuorlo d’uovo, con tutti i suoi derivati e il miele sono i due capisaldi di questa interpretazione, assieme al “ricco” zafferano. Se ai nostri occhi appaiono cibi marroni, questi ci inducono a sensazioni di rilassamento vitale e naturale. Il primo pensiero corre alla cioccolata o ai datteri delle oasi del deserto, fonte di nutrimento per le popolazioni nomadi. Blu e viola identificano l’equilibrio, anche se poco presenti in natura, i cibi che li contengono vengono considerati i migliori antidoti alla fame nervosa. Mirtilli, susine e uva ci incutono tranquillità. Spesso il blu viene anche associato a muffe o bacche aspre non mature, e per gli antichi romani questo rappresentava un colore “non buono”, poco adatto alle genti civili perché i guerrieri “barbari” se ne servivano per dipingere il volto prima delle battaglie. Come potete constatare, ce n'è per tutti i colori. Di sicuro, quando ci sediamo a tavola e ci viene servito un piatto dove, oltre ai profumi, spaziano i colori, ci sentiamo maggiormente stimolati. Proprio per questo, l'aspetto coreografico di una pietanza, fatta di erbette, salsine, glasse è diventata, nella ristorazione, una costante. Non è soltanto un vezzo o un tocco di originalità dello chef. © Riproduzione riservata

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S&G

MODE & TENDENZE Antonella Lamboglia

Facebook & Twitter croce e delizia di un sistema senza regole Cari lettori, una rete sociale, in inglese social network, consiste in un qualsiasi gruppo di persone connessi tra loro da diversi legami sociali. La versione di internet delle reti sociali è una delle forme più evolute di comunicazione, basti pensare a Facebook e Twitter. La domanda che mi sono fatta ultimamente è questa: come hanno influito nella nostra vita positivamente o negativamente? Nel mondo del lavoro, indubbiamente hanno dato una grande svolta, riuscendo trasformare una semplice telefonata in una face time, ossia una videochiamata tramite web, e contattare qualsiasi parte del mondo e trovarsi in ogni parte del mondo paradossalm e n t e stando seduti nel proprio salotto. Ma nella vita privata, credo proprio che la

nostra privacy è stata violata oltre ogni limite. Prendiamo Facebook, ad esempio, un social network fantastico. Tramite questa rete abbiamo avuto la possibilità di ritrovare persone che avevamo dimenticato o semplicemente persi di vista per problemi di distanza, famiglie unite oltre oceano che possono "chattare" in qualsiasi ora del giorno e della notte. Tutto questo rappresenta il lato positivo, ora però esaminiamo l'altro faccia della medaglia, che secondo me, ha un aspetto molto negativo. Sappiamo tutti come funziona: basta creare un profilo personale, inserendo informazioni che possono essere vere e non e, chiunque, spinto dalla curiosità può rispondere a persone non fidate. Il rischio c'è, soprattutto, se si fa un uso poco attento. Il mio pensiero va verso i ragazzi di oggi, che farebbero di tutto per essere al centro dell'attenzione e volendo potrebbero fare carte false per sembrare di essere l'opposto di quello che sono realmente. Alterano l'età e non avendo un controllo fidato possono dimostrare di avere più anni di quelli che hanno. Purtroppo, la possibilità di ingannare il web esiste e da quando i social sono entrati a far parte della nostra vita, ahimè sono aumentate situazioni ambigue per grandi e piccoli. Tirando le somme, cari amici, possiamo di certo affermare che i vantaggi nel campo lavorativo ci sono stati, ma è pur vero che nel campo familiare le separazioni e i divorzi sono aumentati di gran lunga! Mi rivolgo a tutti voi...... Okkio ai social network. © Riproduzione riservata

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S&G MORTE DA PIZZA

Una pizzeria di Sleaford, nel Lincolnshire, ha creato la pizza più piccante del mondo ed ha sfidato gli avventori ad assaggiarla in una competizione che viene chiamata “Death by Pizza”. La pizza è guarnita con peperoncino “scorpione di Trinidad”, uno dei più piccanti del mondo per la sua concentrazione di capsaicina. La piccantezza dei peperoncini usati è pari a 12 milioni di “unità Scoville”. Per confronto, lo spray al peperoncino usato dalla polizia, raggiunge un livello di 5 milioni e il peperoncino calabrese di 30.000.

VINO AL SERPENTE

Questa bizzarra bevanda vietnamita altro non è che del vino di riso in cui si è lasciato fermentare per mesi un serpente velenoso. L'etanolo presente nel vino, scioglie il veleno rendendolo quindi innocuo. Si dice abbia effetti benefici, viene quindi usato più per scopi medicinali che come comune bevanda. In ogni caso, il suo sapore è talmente forte che deve essere buttato giù tutto d'un fiato. Il colorito rosa è dato dal sangue del serpente stesso.

MELOGRANO, VIAGRA NATURALE

Questo frutto colorato oltre che possedere moltissime proprietà nutritive ed antiossidantiviene considerato, da sempre, un cibo afrodisiaco. A confermare questa tesi,un gruppo di studiosi di Edimburgo della Queen Margaret University. Gli studiosi hanno verificato l'efficacia del succo di melograno, coinvolgendo circa sessanta pazienti uomini, a cui è stato fatto bere per circa quindici giorni. I risultati sono stati sbalorditivi: in tutti i pazienti è stato rilevato un livello di testosterone aumentato di cerca il 30% e, questo, senza rilevare alcun aumento di pressione sanguigna.

CURIOSITÀ Antonella Lorini

I BENEFICI MOLLUSCHI

Quando si parla di molluschi li si abbina purtroppo ad una parola che mette subito in guardia: “colesterolo”. E’ indispensabile sapere, invece, che i molluschi contengono omega 3 e acidi grassi poli insaturi, indispensabili per la prevenzione di malattie cardiovascolari e diabete. Nonché di altre patologie quali la depressione e l’osteoporosi. Inoltre, i molluschi sono ricchi di iodio, utile all’attivazione della tiroide, la ghiandola che regola il metabolismo dell’intero organismo.

ZUPPA DI NIDI DI UCCELLO

Dimenticate foglie e ramoscelli. i nidi di cui stiamo parlando sono un impasto di erbe, alghe e saliva prodotto dalle salangane, piccoli uccelli simili al rondone. Particolarmente costosi a causa della loro rarità e della difficoltà che comporta raccoglierli, questi nidi dalla consistenza gommosa sono noti come "il caviale d'Oriente". La tradizione di questa zuppa è addirittura secolare, forse grazie alle sue proprietà altamente nutritive, ricca di proteine e sali minerali, e alle sue qualità afrodisiache.

DA DOVE VIENE LA PAROLA HAMBURGER?

E' apparsa per la prima volta nel 1902 negli Stati Uniti, ed è l’abbreviazione di hamburger steak, o bistecca alla maniera di Amburgo. Questo perché in effetti è stato nella città tedesca che, per la prima volta, è nata la moda di inserire la carne tra due fette di pane. Gli Usa però ne hanno fatto un’arte: nel 1924 è nata la prima catena di ristoranti specializzati o fast food.


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