sommario Editoriale
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Le storie del cibo
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Appuntamento con...
9
Peccati di gola
11
Lo sapevate che...
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La ricetta del mese
15
L’inchiesta
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L’angolo dei golosi
19
Pianeta vino
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Magie di notte
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Il benessere a tavola
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La natura nel piatto
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Moda e tendenze
29
Wedding Day
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Senso&Gusto - mensile gratuito Autorizzazione del Tribunale di Velletri n. 08/12 del 19/04/12
Editore AC Management di Cristiano Bucciero via dei Ciliegi, 1 - 00040 Pavona (RM) cell. 392 3884281 - c.bucciero@sensoegusto.com www.sensoegusto.com
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Collaboratori Antonino Addis, Claudia Araneo, Simone Francini, Angelo De Martino, Luigi Jovino, Antonella Lamboglia, Antonella Lorini, Marco Mariani, Paolo Martizi, Gabriele Zanini
Redazione e segreteria Via Latina, 23 - 00041 Albano Laziale (RM) Tel. 392 3884281 - 335 309696 Fax 06 93721865 redazione@sensoegusto.com
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ditoriale
Serve insegnare ai giovani la strada del mangiare sano www.sensoegusto.com
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lcuni giorni fa, parlando con un artigiano, titolare di una piccola azienda di salumi, si discuteva come i sapori di alcuni cibi storici nel corso del tempo non incontrano più il gusto di molti, sopratutto quello dei giovani, abituati a torto, ad alimentarsi in maniera veloce e poco sana. Tutto ciò è conseguenza di una scarsa conoscenza del cibo, di ignorare la sua stagionalità, ma anche l'aver dimenticato o addirittura mai conosciuto quelli che erano i piatti della tradizione. Le cause sono molteplici. Per i giovani, l'esplosione di alcune mode, come l'happy hour, di cui parliamo a fondo in questo numero, i fast food, le tavole calde, le pizzerie a taglio. Per chi è meno giovane, una ristorazione che ha abbandonato le sue radici, per sposare nuovi percorsi, in nome dell'innovazione. Questo fenomeno ha avuto i suoi albori all'inizio del 2000, quando gli chef sono stati trasformati in protagonisti del gossip, più attori (televisivi) che attenti manovali dei fornelli. Come erano quelli di una volta. Hanno cominciato a fare a gara tra loro per stupire a tutti i costi, stravolgendo i dettami della buona cucina e della ristorazione. Per carità, non metto assolutamente in dubbio le loro grandi capacità professionali. E non voglio nemmeno fare di tutte le erbe un fascio, perché c'è chi è riuscito a tracciare un suo percorso rinnovativo senza stravolgere le regole, che sono alla base di tutto. Combatto e metto in discussione chi, per conquistare la palma dell'originalità, si è affidato alla chimica, già presente in modo pesante nel cibo industriale. Chi è un appassionato, è a conoscenza della cucina molecolare e delle famose spume all'azoto di Ferran Adria, mito della ristorazione d'elite spagnola. Un'invenzione, che anche da noi ha trovato degli adepti (pochi per fortuna), che hanno tentato di imitarla con scarsi risultati e scarsi consensi. Sicuramente è di grande effetto da un punto di vista coreografico; dà al piatto, colori e forme assolutamente straordinarie, ma effimere sul piano della sostanza, con quella soffice aria fumante che dovrebbe avere un sapore e quei cubetti gelatinosi che sono la sintesi della bistecca o dell'agnello che avete ordinato. Anche in Italia abbiamo degli chef prestigiosi, Vissani su tutti, un antesignano del rinnovamento, che sono usciti dai confini della tradizione, sopratutto sul piano degli accostamenti dei sapori, creando abbinamenti un tempo impensabili. Però, rispetto ad altri colleghi internazionali, hanno puntato su un cambiamento nostrano, lavorando con ciò che il territorio di appartenenza offre loro, senza manipolazioni artificiali. Ho fatto questo esempio, per dare una esatta dimensione della trasformazione della ristorazione in questi ultimi anni, finendo per stravolgere i gusti, spe-
cialmente, come ho detto prima, quelli delle nuove generazioni, che non hanno mai conosciuto alcuni ingredienti, alcuni profumi di una cucina spontanea, casalinga e genuina, quella di tutti i giorni. Ora si cucina più per sfamarsi, che per gustare. Ciò è accaduto anche in virtù di una politica industriale che ha prodotto il boom della cucina omologata, poco salutare, che ha fatto perdere in generale il senso del gusto. Vi dirò di più: di fronte ad un cibo che ha sentori più decisi, il giovane lo accetterà con difficoltà, perché Il suo metro di paragone sono gli hamburger, le fettine in padella, le bistecche, le patatine fritte e le pizze surgelate. Fuori da questi confini, c'è indifferenza. Tutto ciò per una scarsa educazione alimentare, la cui responsabilità è da ricercare in un “modus vivendi” esasperato dai tempi e dagli impegni. Penso che sia giunto il momento di fare un passo indietro e qualche segnale “a tal proposito” lo si è già captato. Occorre recuperare certi valori alimentari, riscoprire il gusto di certe pietanze e di certi prodotti nostrani, che oltre ad apportare piacere al palato, salvaguardano la nostra salute, messa sotto pressione da cibi la cui genuinità è un optional. Nel lontano 1980 vi ricordate dello scandalo del vino al metanolo? Ebbene, da quella nefasta vicenda, le nostre aziende vinicole hanno avuto la capacità di ripartire e riconquistare i vertici nel settore. Lo stesso discorso deve valere anche sul cibo, sperando che gli chef smettano di fare gli alchimisti e ritornino a cucinare il polpettone. Paolo Caprio © RIPRODUZIONE RISERVATA
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e storie del cibo
Scampagnate e gite “fori porta” tradizione per buongustai alla buona www.sensoegusto.com
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d aprile inizia la stagione delle “scampagnate” che a Roma sono storia, cultura e tradizione. Volendo essere precisi si dovrebbe fare la distinzione tra scampagnate e “gite fori porta”, termine con cui si indica la visita turistica in luoghi di campagna dell’hinterland, non troppo lontani da casa. A Roma, città che dispone di numerosi spazi verdi, di distese integre di campagna, di giardini e di orti storici la distinzione è d’obbligo. Le classiche scampagnate romane vengono considerate nell’accezione comune come gite nel perimetro urbano, mentre la vacanza “fori porta” conduce inevitabilmente ai Castelli Romani oppure alle aree Tiburtina e dei monti Lepini. Quando si parla di scampagnate a Roma vengono in mente “La visita delle sette chiese” di maggio che fino agli inizi del Novecento coinvolgeva migliaia di fedeli, “Le processioni al Divino amore” che si concludevano e si concludono ancora con una festa sui prati e le “Vignate”, passeggiate dell’ottobrata romana, iniziate nel Seicento che prevedevano la visita a Testaccio, a Monte Mario, a San Giovanni e San Paolo, luoghi dove qualche secolo fa si produceva buon vino oltre a buon cibo. Gli storici di “Roma sparita” così descrivono le scampagnate dell’ottobrata romana: “Chi aveva la possibilità si recava a queste gite con la carrettella, caratteristica carrozza a forma di guscio d’uovo, trainato da due cavalli. Sulla carrozza trovavano posto le “minenti” (in numero di 7 o 9), esponenti della piccola borghesia e del popolo vestite a festa. Le donne indossavano il cappello da uomo, adornato di piume e fiori, un abito in seta, una giacca di velluto, calze ricamate e gioielli. Gli uomini, invece, vestivano abiti sfarzosi. Per tutta la durata della gita si cantavano i tipici stornelli con i fiori”. La passeggiata si concludeva come sempre presso le antiche osterie, dove si consumavano i tipici piatti del
“quinto quarto”. Le gite “fori porta” ai Castelli Romani prevedibilmente iniziarono nel XIV secolo, quando i piccoli borghi, nati attorno alle ville ed ai castelli gentilizi cominciarono a popolarsi, rendendo possibile la piccola ospitalità che si conveniva agli abitanti della Città eterna. I Castelli Romani rappresentano territorio di elezione non solo per le gite “fori porta”, ma anche per il turismo colto e qualificato. L’amenità del territorio, la presenza di un immenso patrimonio forestale, la diversificazione degli ambienti che vanno dal bosco, al prato, alla collina, alla montagna (Monte Cavo, Monte Artemisio, Monte Gennaro, ecc.), ai laghi ed alla campagna, costituiscono più di un’attrazione per i turisti in cerca di tranquillità e di aria buona. A questo si aggiunga che esistono delle vere e proprie città d’arte, ricche di monumenti, di ville principesche, di emergenze archeologiche e una cultura gastronomica con pochi eguali nel mondo ed il gioco è fatto. Nelle gite “fori porta”, che secondo un calcolo della Coldiretti coinvolgeranno quest’anno il 51 per cento degli italiani, in genere si mangiano: pane, fave, pecorino, porchetta, cibi freddi e le classiche grigliate. Ai Castelli, però, una miriade di locali offre un’alternativa al pranzo al sacco adatta a tutte le tasche. Luigi Jovino © RIPRODUZIONE RISERVATA
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ppuntamento con...
Le serate del gusto de “L'Oste...” parlano il dialetto romanesco www.sensoegusto.com
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'ospitalità non è un opinione, è una certezza. Questa è la filosofia con cui “L’Oste della Bon’Ora” accoglie i suoi clienti nel suo ristorante di Grottaferrata, nel cuore del Castelli Romani, proponendo un locale alla mano, come le vecchie osterie regionali (si può portare il vino da casa), rivisitato secondo il gusto moderno, leggermente d’oltralpe, ma senza eccessi. E’ un progetto, è il modo di interpretare la ristorazione e la cucina della famiglia Pulicati: Massimo, la moglie Maria Luisa, che è anche la chef, i figli Marco e Flavio, che con passione ed allegria hanno consolidato una tradizione di famiglia e portato avanti con successo una piccola osteria castellana (sono appena 45 coperti), riuscendo a fare il pieno nelle serate a tema organizzate. L’Oste invita, infatti, periodicamente (circa ogni 15 giorni) i clienti, abituali e non, ad unirsi agli eventi ideati, che possono essere degustazioni di vini difficilmente reperibili o piatti “sperimentali”, corsi di cucina, eventi privati con menù speciali oppure veri e propri incontri socio-culinari con degustazione di più portate, dall’aperitivo di benvenuto ai tozzetti, abbinate a vini. Il tutto ad un prezzo accessibile, considerando il target del locale, nonché l’intenzione ambiziosa della cucina. Una solida base di garanzia è data dalla scelta dei prodotti, altamente genuini, molti dei quali locali, che consentono di farci conoscere i sapori semplici ma sfiziosi, come le bruschette ai tre guanciali e i ravioli cacio e pepe. Tra gli eventi messi in calendario, ne citiamo uno in particolare di prossimo svolgimento: “La serata romanesca”, in programma venerdì 19 aprile, progetto che vede come partners Camera di Commercio e Centro Servizi per Prodotti Tipici e Tradizionali. Per l’occasione, la cucina propone piatti tipici della tradizione, preparati secondo ricette tramandate di generazione in generazione, rivisitate in chiave moderna e con tanta
creatività, della chef Maria Luisa Zaia. Il menu è accattivante e sfizioso. Ve ne faccio soltanto un accenno: si parte con gli gnocchi alla carbonara, si continua con i tonnarelli burro e alici prima di passare ai secondi, che sono la punta di vitella porchettata con insalatina croccante, i fegatelli di maiale in salsa d’alloro e pera spadona di Castel Madama. Il tutto, utilizzando ingredienti semplici e rigorosamente del territorio. Se poi si aggiunge l’atmosfera di convivialità e calore del proprietario
Massimo Pulicati, l’ambiente elegante ma essenziale, ecco che le serate dell’Oste della Bon’Ora diventano un’esperienza sensoriale, che appaga vista e gusto. Prerogative che hanno permesso a questo ristorante di entrare nelle guide che si occupano di ristorazione. Troviamo, infatti, delle buone valutazioni nella Guida Michelin, in quella del Touring Club, del Trip Advisor, di Slow Food, del Gambero Rosso. Tornando alla serata del 19 aprile, va sottolineato che i clienti celiaci e vegetariani avranno un occhio di riguardo, con pietanze a loro riservate. Per non far mancare nulla alla vostra serata, si potranno stappare bottiglie provenienti da una cantina ben fornita, che consente degli abbinamenti….divini. La carta, infatti, offre un’interessante scelta, ideali per accompagnare il carattere deciso dei piatti romaneschi. Un giusto mix di buon gusto e di buonumore a soli 38 euro, sottofondo musicale incluso. Unica pecca, è la carenza di posti auto: un parcheggio non molto idoneo rispetto alla quantità di coperti, seppure estremamente limitati. E allora, a questo punto, devo dire che le pecche sono due. Claudia Araneo © RIPRODUZIONE RISERVATA
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eccati di gola
Fondente, al latte, al gianduja tutti pazzi per il cioccolato www.sensoegusto.com
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ioccolato, una passione senza confini. Da nord a sud, da est ad ovest, ovunque, si fa un grande consumo di questo meraviglioso alimento, dal gusto avvolgente, che più ne mangi e più ne hai voglia. Si è meritato il titolo di “bevanda degli dei”. Gli sono stati attribuiti addirittura poteri magici. Di sicuro, il cacao, dai cui semi si ricava, poi, la preziosa polvere per fare il cioccolato, contiene delle sostanze – la caffeina e la teobromina che ti danno una potente carica energetica, e la serotonina, importante mediatore celebrale, che ti mette allegria. Provate a mangiare un quadretto di cioccolata o una praline o una coppa di gelato al cioccolato quando siete tristi e depressi e vedrete che, piano piano, vi ritornerà il sorriso o quantomeno vi sentirete più rilassati. O, almeno, questo è l'alibi che io mi dò (ma, insieme a me, molti altri), quando, immancabilmente, trasgredisco all'ultima dieta, dicendo che ne ho “assolutamente” bisogno per “tirarmi su”. Perciò, mille volte grazie a Cristoforo Colombo. Sì, perché è stato proprio lui a scoprirlo quando, nel 1502, sbarcò in Centro America. Arrivò in Europa, in Inghilterra, quasi un secolo e mezzo dopo, per diffondersi rapidamente. Alla Svizzera, si deve la trasformazione di quella “magica” polvere color marrone scuro, nella prima stecca di cioccolato. Rettangolare, identica a quelle di oggi. Nel rispetto di una tradizione nel XIX secolo (1875), dall'allora illustre sconosciuto signor Lindt, oggi simbolo e marchio indelebile in un mondo fatto di “fondenti”, “al latte”, “al gianduja”. Gianduja di cui siamo noi italiani ad avere la paternità, grazie al “gianduiotto”, deliziosa invenzione di un pasticciere piemontese che unì le nocciole al cacao, dando luogo a quella caratteristica pasta morbida e delicata col retrogusto di frutta secca. Questo cioccolatino dalla forma singolare (ricopia il cappello della tipica maschera torinese), ha fatto assurgere Torino e dintorni a capitale del cioccolato italiano e, ancora oggi, vanta questa grande tradizione, grazie ai suoi esperti maestri cioccolatieri. Anche se, con il tempo, il “miracolo cioccolato” ha invaso tutta la penisola ed anche piccole aziende sono state in grado di preparare un prodotto dai “cru” travolgenti (per “cru” si indicano alcuni tipi di ciocco-
lato ricavati da specifiche fave di cacao, provenienti da piantagioni particolarmente vocate ad una produzione di eccellenza). Criollo e Forastero su tutte, per le quali non è per esagerato affermare che, in Italia, si trovi il miglior cioccolato in circolazione sul mercato. In quello che viene prodotto da noi, si dà una grande prevalenza alla purezza della polvere; al contrario, per esempio, di quello belga, dove una maggiore presenza di burro di cacao lo rende più abboccato. Più somigliante al nostro, quello della Svizzera, una nazione che, per decenni, al solo nominarla, evocava cioccolato. Lindt, Tobler con il suo “mitico” Toblerone, cioccolato al latte con granella di nocciola, che è stato - ora un po' meno - uno dei simboli dell'industria cioccolatiera e che ha invaso il mercato di tutto il mondo. Col tempo, gli italiani hanno rosicchiato larghe fette di questo mercato, offrendo agli appassionati delle vere “chicche” per il palato: la Nutella e il Bacio, le cui ricette, ancora “top secret”, sono inimitabili. Ma il consumo continuativo del cioccolato, fa bene alla salute? Beh, di certo - anche se sarebbe stupendo - non è dietetico, con le sue 550 calorie ogni 100 grammi! Tra l'altro, consumato giornalmente, sembra che crei addirittura dipendenza (quale splendida droga!). Insomma, come in tutte le cose, ci vuole il senso della misura. Se proprio non sapete resistere come me, mangiate il “fondente” ad alta percentuale di cacao: ha proprietà cardioprotettive dovute alla presenza di antiossidanti (i flavonoidi) che rallentano l'invecchiamento, abbassano il colesterolo e la pressione arteriosa. Così, ne mangio e non mi sento in colpa!
Antonella Lorini © RIPRODUZIONE RISERVATA
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o sapevate che...
Il “formaggio” senza latte e... la birra spalmabile www.sensoegusto.com
MARMELLATA, E....
LAVATI I FUNGHI NON VANNO
ri dei Royal Botan Un'équipe di ricercato Montpellier Gardens (Londra) e di the mettendo ovo (Francia) ha creato il nu fè, creando caf del lie in infusione le fog a essere di sapore una bevanda che risult to al primo, ma un po’ più intenso rispet to al secondo. pet molto più leggero ris sto, il nuovo gu al ati Oltre ai pregi leg e dei benefici ch an re ave e drink parrebb ucono il rischio per la salute, perchè rid cancro di diabete, colesterolo, e ch dia car e malattie
a e gelatina non Marmellata, confettur marmellata è la sono la stessa cosa. La mi (arance, conserva a base di agru mpelmi); la limoni, mandarini, po va fatta con tutti confettura è la conser ; la gelatina è un i restanti tipi di frutta lizzando composto realizzato, uti della cco esclusivamente il su polpa. la o a frutta senza la bucci
rosi I funghi sono molto po a. qu ac ed assorbono iranno Quindi, se li lavate, ag come una spugna e perderanno il loro caratteristico e sapore: basterà grattar la terra e pelarli con un erli coltello prima di cuoc
A LATTE IL “FORMAGGIO” SENZ
E LA BIRRA SPALMABIL
MIELE DA BERE
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ntato in acqua E' a base di grano ferme aggio” senza e sale marino il “form iama latte. E' libanese e si ch ricetta a su La ra. qa kechekel fou tempi in cui i affonda le sue radici in n potevano contadini più poveri no per permettersi una capra io. gg produrre un vero forma
I BUCHI DEL FORMAG
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no quegli Sapete perché si forma enthal, il mm strani buchi dell'E zzero, svi io gg principale forma ndo? mo il to conosciuto in tut sacche lle de a ti Questi sono dovu formano si e ch a nic di anidride carbo le naturalmente durante e. on azi tur ma di sue fasi
poleone della Da un’idea di Pietro Na di Rieti, in ne leo po Cioccolateria Na udio Lorenzini collaborazione con Cla di Cittareale del Birrificio Alta Quota abile. (Ri) è nata la birra spalm e dall’aroma Un prodotto dal sapore stini e intensi, perfetto con cro rché no, come formaggi, ma anche, pe arnizione di originale farcitura o gu dolci e torte.
prodotto, per Il miele da bere viene ha origini ora, in Polonia. L'idea a ricetta antiche e deriva da un atti, viene fatto particolare: il miele, inf alcune erbe fermentare insieme ad ere poi travasato locali e acqua, per ess fatte a mano e in bottiglie di ceramica po minimo di invecchiato per un tem quattro anni, fino a un massimo di venti anni.
POCO SONNO ???
UBO I “CARATI” DEL CARR
bia University Uno studio della Colum come la nz di New York, evide ia aree del lle de ivi carenza di sonno att erca del ric lla de ili cervello responsab a ricerca, piacere. Secondo quest cospicuo ne pio cam compiuta su un , si viene no son ha si di individui, se da “cibo maggiormente attratti per o civ no ra” spazzatu . ute sal a str no la
'interno I semi che si trovano all lenticolare, ma della carruba hanno for chiamati no go sono molto duri e ven “Karat”. o t” ira “qu "carati" dall'arabo te ed tan cos so pe Grazie al loro to, ssa pa in gr. invariabile - 0.2 tre pie are lut va r pe venivano usati da questo è preziose ed oro. Proprio in uso derivato il nome carato per le pietre preziose
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a ricetta del mese
Gallinella croccante con tartufo e asparagi: un trionfo di sapori www.sensoegusto.com
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are lettrici, cari lettori anche questa volta vi parlerò di una ricetta che ha come protagonista il pesce. Già vedo le vostre espressioni contrariate, qualcuno si domanderà se sono capace di cucinare anche la carne, visto che le proposte in merito sono rare. Si, sono capace, altrimenti che chef sarei. Ma come vi ho spiegato nei numeri precedenti, a me piace tantissimo lavorare il pesce e vi ho spiegato anche i motivi, che vi ripeto nuovamente: mi dà la possibilità di sprigionare tutta la mia fantasia ai fornelli. Quindi, per questa volta perdonatemi, vi prometto che nel numero di maggio cambierò argomento. Protagonista della ricetta del mese è la gallinella, chiamata anche coccio (in dialetto napoletano o'cuoccio). Non è molto conosciuta e quindi poco utilizzata in cucina. Fa parte di quella schiera di pesci considerati meno nobili, che non servirete mai, tanto per fare un esempio, in occasione di un pranzo importante. A mio giudizio, è un grosso errore, che è figlio di una scarsa conoscenza del prodotto. Provate ad entrare in una pescheria, mettetevi in un angolo ed osservate la gente cosa acquista: branzini, spigole (sono quasi la stessa cosa) orate, coda di rospo, saraghi, alici e dentici. Buona parte di questi pesci sono di allevamento, quindi meno saporiti e più grassi, mentre ci sono in commercio un'altra infinità di specie che vengono puntualmente ignorate, nonostante siano di mare. Provate a cucinare uno sgombro, un pesce azzurro ricco di omega 3, che fa bene anche alla nostra salute, una spatola, una stella di mare, la nostra gallinella e via dicendo. Si tratta di pesci molto saporiti ed anche più economici rispetto ai loro più nobili “colleghi”. La gallinella, tanto per fare un esempio, è molto gustosa. Se c'è da fare un sugo o un brodetto, la sua presenza è essenziale, perché dà tono ad entrambe. Questa volta ve la propongo in un modo particolare, diciamo che, con la presenza del tartufo le do' un tocco di raffinatezza. Ma nella zuppa oppure come base di un sugo, sia rosso che bianco, come si dice in gergo “è la sua morte”. Infatti, le dona quel profumo che manda in estasi i patiti della cucina di mare, me compreso. Provate a condire un vermicello o uno spaghettone con il suo sugo rosso, casomai guarnendolo con qualche dadino ricavato dal suo filetto, vi assicuro che il godimento è massimo. Certo, io sono un patito del pesce, per cui direte che sono poco attendibile. Però vi invito a provare. Sono certo che conquisterà anche voi, come avverrà con la ricetta che sto per illustrarvi. Vi ho accennato prima che si tratta di una proposta più elegante, meno marinara, a dimostrazione che la gallinella ha una carne gustosa, abbinabile a sapori dai connotati più forti, senza essere penalizzata. Dunque, mettiamoci all'opera. Vi dico subito, che il quoziente difficoltà è minimo, quindi alla portata di tutti. Per prima cosa, dobbiamo panare i filetti nella semola di polenta e cuocerli in una padella con l'olio; quindi saliamo e ultimiamo la cottura da ambo i lati. Con le lische e la testa del pesce, fate
un brodetto, passatelo al colino e “legatelo” con della maizena, che abbiamo provveduto a sciogliere nel vino bianco. Prima di andare avanti, devo fare un breve inciso. Quando, nelle varie ricette, vi dicono di bagnare il cibo con del vino, bianco o rosso che sia, cercate di utilizzarne uno buono, ne guadagnerà la vostra pietanza. Se puntate su uno da battaglia, rischiate di rovinare tutto, perché evaporando può tirare fuori il peggio del suo contenuto. Mettereste una cipolla andata a male nel vostro battuto? No. Evitate di farlo con il vino e sopratutto con l'olio, che invece va su tutto. Chiuso l'argomento, torniamo alla nostra ricetta. Una volta cotto il pesce, andiamo a pulire e lessare gli asparagi e ripassateli nel burro, aggiungendo sale e pepe. Una volta preparati tutti gli ingredienti, preparate il piatto, mettendo la vellutata di pesce, ponendovi sopra i filetti panati, grattugiatevi sopra il tartufo e a fianco disponete gli asparagi, guarnendo il tutto con una foglia di aneto fresco.
Paolo Martizi © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ingredienti (per 5 persone) Uno o due filetti di gallinella per persona semola di polenta q. b. brodetto di pesce testa e lisca della Gallinella 1 sedano 1 carota 1 cipolla 1 bicchiere di vino bianco maizena q.b. 20 gr di tartufo estivo 8 asparagi selvatici per porzione olio extra vergine sale e pepe
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L’accusa
Come è triste l’happy hour
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on c’è cosa più triste dell’happy hour. Di questo sono sicuri nutrizionisti, sociologi e studiosi del costume. La nuova moda, avviata dai Pub inglesi per catturare l’attenzione delle persone che escono dal lavoro, sta contagiando gran parte dei bar italiani. Neanche gli alberghi ed i ristoranti si sottraggono a questo nuovo “rito”. Ovunque è possibile consumare nelle ore serali aperitivi a base di energy drink, prosecco, frutta, pizzette, polpettine, cruditè, liquori e pasticci vari. La proposta cresce, si moltiplica e acquista giorno dopo giorno nuovi contenuti. La risposta dei giovani è entusiasta. Con pochi euro si ha la possibilità di partecipare ad un rito serale collettivo, santificato dalle note del “Liga”, dove l’imperativo del divertimento spesso diventa un obbligo grazie all’alcool che scorre ai fiumi. Molti nutrizionisti mettono, però, in guardia contro i pericoli dell’happy hour, che sconvolge la suddivisione dell’apporto calorico quotidiano nei tre momenti strategici di colazione, pranzo e di cena. Nelle “ore felici” dei giovani, inoltre, c’è sempre l’insidia dell’alcool, che assunto a stomaco vuoto, è più difficile da assimilare e mette sotto sforzo il fegato. Neanche a parlare poi delle calorie contenute in cibi e bevande considerati leggeri. Le patatine, i pistacchi, i salatini, i crakers e i cocktail, hanno un contenuto calorico superiore a quello di un’intera cena. Per questi motivi gli esperti consigliano di arrivare agli aperitivi dell’happy hour a stomaco pieno, magari dopo aver fatto merenda e di non sommare l’apporto calorico a quello della cena. Insomma il disordine alimentare è a pieno regime. L’assurdo gastronomico diventa legge. Bisognerebbe chiedersi a vantaggio di chi? Molti giovani, sfrattati dai centri commerciali, sacrificati sempre di più alle esigenze del dio consumo, non vogliono subire battute d’arresto. Considerano l’happy hour una con-
quista. Un nuovo spazio di socialità in cui prosecco ed energy drink, che contengono sostanze eccitanti di valore superiore a dieci tazzine di caffè, aiutano la discussione. Fanno volare in alto le parole. Promettono uno sballo leggero al calare della sera. Senza neanche tanti rimorsi di coscienza. Basta eludere gli etilometri. Le aziende commerciali approfittano della situazione e spesso utilizzano l’happy hour per “rottamare” cibi che rischiano di andare fuori stagione, costruendo veri e propri outlet della gastronomia viandante. Insomma l’involuzione è all’ordine del giorno e non si contano le deviazioni. Chi gira per gli happy hour, ha notato che anche la felicità in questi locali è un optional. Prevale la logica delle comitive. Considerazioni urlate ad alta voce. Sguardi bassi. Lenti e monotoni movimenti delle dita che pescano nel fondo delle vaschette. Tanta solitudine perché l’happy hour è una moda alimentare non dettata da una necessità. I fidanzati, per scambiarsi sguardi d’amore, hanno inventato le cene a lume di candela. Gli uomini d’affari fanno colazioni di lavoro per cementare rapporti e scambi commerciali. Le società organizzate hanno costruito la sacralità del pranzo e delle cene, che diventano banchetti condivisi con amici e parenti nelle occasioni importanti della vita. Anche il fast food evade una necessità. In qualche modo interpreta una esigenza e offre risposte non evasive. L’happy hour è invece una pura invenzione commerciale. Una performance alimentare che cerca di assicurarsi improbabili contenuti, contando solo sull’evocazione delle parole.
Luigi Jovino © RIPRODUZIONE RISERVATA
(Ha collaborato Claudia Araneo)
La difesa
Massimiliano Andreacchio
Ivo Davato
(Meta Promotion - Quintessa Home)
(Noa)
3) Mi pare d'obbligo sottolineare che possono verificarsi delle situazioni di questo genere. Ora il cliente è più informato e consapevole. Quindi sa anche selezionare. Io, vi assicuro che alla Quintessa, dove opero, la qualità è al primo posto, oltre alla varietà. 4) Sono contro le regolamentazioni, che troppo spesso sono state un alibi per mettere in atto delle furbate. Per me, che mi confronto continuamente con le tendenze e le mode, c'è soltanto una regola da rispettare: la qualità della proposta. 5) Sono d'accordo con loro, quando c'è una proposta troppo forte nel buffet da un punto di vista alimentare, quando si esagera con snack e cremine. Il nostro è un aper-dinner, quasi una cena, quindi più attenta a certe regole.
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3) Da noi è tutto fresco, la pasta calda è sempre espressa, offriamo pennette al salmone e molti altri piatti di qualità. Se passiamo cibo scadente si nota e poi sono i clienti a rottamare noi. 4) Lo standard a cui attenersi è sempre la qualità alta, è quello che porta i clienti a voler scegliere il tuo locale piuttosto che un altro. 5) Non è vero. Nella nostra apericena sono tutti prodotti della dieta mediterranea: pasta, pizza calda, molte verdure. Se si preferisce un happy hour dietetico da noi è possibile: abbiamo appena ricevuto spumanti e bitter a zero alcool.
Quanti vantaggi porta agli utenti e agli esercenti? Nasce da una richiesta o è un’idea per combattere la crisi? Molti affermano che viene offerto cibo “da rottamare”… Serve una regolamentazione per migliorare il servizio? I dietologi affermano che si tratta di una moda poco salutare Manolo Safar
Giovanni Battista Conte
(Una Questione di Gusto )
(Il MIralago)
1) Per i nostri clienti è la sicurezza di trovare ad un prezzo fisso di sette euro una bevanda che sia alcolica o non e una ricca selezione di stuzzichini e piatti caldi, che possano sostituire la cena garantendo soddisfazione a qualsiasi ora. Per noi esercenti è un gran vantaggio in quanto attira gran numero di giovani ed è un ottimo strumento di promozione del locale.
GROTTAFERRATA
2) Nasce da una moda piacevole che permette al cliente di cenare a basso prezzo, ed è anche un modo per combattere la crisi.
ROCCA DI PAPA
2) E' una tendenza/esigenza nata nel nord; da noi è arrivata in questi ultimi anni. E' utile, perché è un modo di interpretare la novità in maniera informale.
1) Agli utenti parecchi: ad un prezzo modico di dieci euro offriamo un vero e proprio apericena compreso di bevanda, un modo economico di trascorrere 2-3 ore in tranquillità, anticipando e spesso sostituendo la cena. Per noi esercenti, l’intento è principalmente promozionale, gli utili che percepiamo dall’happy hour non sono alti ma consentono a molte persone di conoscere il locale.
2) Non credo sia un’idea per combattere la crisi, piuttosto una moda di cui Milano ne è stata portavoce. 3) Assolutamente no. Noi ci serviamo di prodotti genuini cucinati espressamente giorno per giorno nella nostra cucina, quello che avanza la sera viene gettato. Preferiamo farci riconoscere per la qualità piuttosto che per l’abbondanza riciclata. 4) Non ci sono standard rigidi a riguardo ma sicuramente il servizio deve essere molto efficiente. Chi lavora in questo settore deve sapere ciò che fa, essere competente e non improvvisare una capacità. 5) Da un lato è vero, poiché si mangia fuori orario e anche abbondantemente, quindi il metabolismo viene sconvolto. Ma non è un rito che si ripete con sistematicità quotidiana e la nostra attenzione alla qualità del cibo offerto è alta. Poi sta al buonsenso del cliente non eccedere, anche nel bere.
1) La verità? In questo locale non ha preso molto piede nonostante abbiamo prolungato sia happy hour che apericena per un anno, a noi non ha dato nessun vantaggio, anzi veniva sostituita la cena, data l’abbondanza e la varietà del cibo offerto: non è stato nemmeno conveniente. Ogni locale ha la sua identità, noi ci distinguiamo per altri aspetti meno commerciali, soprattutto per la qualità: abbiamo sostituito all’happy hour un calice di vino accompagnato da bruschette, formaggi e salumi oppure un calice di Franciacorta con ostriche a dieci euro e a qualsiasi ora. 2) L’happy hour è un’idea che nasce da ristoratori e albergatori per combattere la crisi, ma non serve a nulla, a meno che il locale non si distingua solo per quello. 3) Verissimo. Quasi tutti i locali servono cibo riciclato, esposto senza protezioni, alla portata delle mani di tutti. 4) Ci vuole sempre un’alta qualità dei prodotti esposti, magari coperti con le cloche, così da preservarne aspetto e igiene. Ci vuole sempre un certo stile nel fare le cose. 5) E’ vero. Meno happy hour, più vino. Un bel bicchiere di vino come si deve, due pezzi di parmigiano, alici fritte, oppure un bicchiere di bollicina Franciacorta o champagne e sarà la riuscita della serata.
ALBANO LAZIALE
CASTEL GANDOLFO
1) Il suo boom è frutto di un binomio: possibilità di divertirsi e mangiare a costi contenuti. In un momento di grande difficoltà economica ha il suo peso. Per gli operatori, la possibilità di tamponare l'emorragia di presenze.
Corso per Pizzaiol La Vic organizza nel mese di Maggio il corso amatoriale per pizzaiolo. Le date del corso: - Domenica 12 Maggio dalle 9:00 alle 12:00 Lezione di Teoria - Lunedi 13 Maggio dalle 17:00 alle 20:00 Lezione di pratica - Domenica 19 Maggio dalle 9:00 alle 12:00. Esame con premiazione e consegna attestato di partecipazione (L’esame prevede che l’allievo presenti alla giuria la sua pizza preparata con il proprio impasto e ingredienti a scelta) Il nostro maestro pizzaiolo è Antonino Giammatteo nonché titolare della Pizzeria La Genzanese di Velletri in Via Cannetoli, 36-38 Si organizzano anche corsi professionali con rilascio di attestato da pizzaiolo professionista. Il corso prevede 80 ore di lezione più stage. Per info su prenotazione e costi chiamare il 06/96.00.85.98 oppure 334/98.18.648 Simona
Il maestro designato a guidarvi nella meravigliosa e antica arte della pizzeria in realtà non ha bisogno di presentazioni; trattasi infatti di Antonino (Tonino) Gianmatteo, pluri campione italiano, più volte eletto pizzaiolo dell’anno, giunto sempre ai vertici di ogni manifestazione cui abbia partecipato. Nel 2009 presso il Centro Italiano Formazione Studi Ricerca Qualità e Trasizione, Tonino ha conseguito la qualifica di Istruttore di Laboratorio. Ad oggi svolge corsi di pizza tradizionale, pizza acrobatica, pizza in teglia, pizza alla pala, pizze tonde, pizza classica, pizza senza glutine e Master per corsi di aggiornamento inpizza tradizionale in collaborazione con l’Istituto Europeo di Pizza Italiana.
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angolo dei golosi
Muffin cocco e lime fatti da voi per una colazione ricca di salute www.sensoegusto.com
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a colazione del mattino viene ritenuta dai dietologi uno dei momenti più importanti della nostra alimentazione. Lo ha sottolineato con grande forza anche il nostro esperto nutrizionista, professor Angelo De Martino, nel numero di marzo di “Senzo &Gusto”. E' come mettere carburante in una macchina con il serbatoio a secco. Questo siamo noi al mattino, nel momento del risveglio. Siamo quasi a secco a livello energetico e con una giornata di lavoro davanti a noi, se non riforniamo adeguatamente il nostro corpo, rischiamo di lavorare male, di non avere sprint e, nel corso della mattinata, assaliti dalla debolezza e dalla sonnolenza. Alcune persone cercano di tamponare questo fenomeno con più di un caffè. Ma è un palliativo e sopratutto l'abuso fa male. Molti cercano di evitare una colazione sostanziosa pensando alla linea, le donne specialmente. Anche qui, pur non essendo un dietologo, credo che si commetta un grave errore, perché, nel corso della giornata, per arginare i languori di stomaco e il senso della fame che assale tutti noi, quando si fanno delle diete, con delle orrende barrette o caramelle e chewing gum, che il loro segno lo lasciano. Certo non dobbiamo abbuffarci di cornetti con la panna e kraffen alla crema o alla cioccolata, accompagnandoli con il cappuccino, che di sicuro non è il massimo in fatto di leggerezza. Ora non sarò io a consigliarvi cosa mangiare al mattino, non è il mio mestiere. L'unica cosa che posso dirvi da chef e pasticciere, è di organizzare la vostra colazione in casa, preparando crostate, ciambelloni e anche biscotti, che sicuramente saranno più genuini e meno pesanti per via dell'uso di grassi più controllato. Molti diranno che per farli occorre tempo, che è sempre di meno, dovendovi, mi riferisco a marito e moglie, dividere fra casa e lavoro. Capisco le vostre esigenze, ma vi assicuro che preparare una crostata occorre veramente pochissimo, casomai comprando la pasta frolla al supermercato o in qualche pasticceria di vostra conoscenza. Si tratta soltanto di stenderla in una teglia, spargere sull'intera superficie la marmellata e metterla al forno. Con pochi euro avrete fatto un dolce sicuramente gustoso. Stessa cosa per il ciambellone mentre è più impegnativo fare i biscotti. Io, per darvi un'idea e quindi un aiuto per variare le vostre colazioni, in questo numero voglio parlarvi di muffin, un dolcetto buonissimo di origine anglosassone. Mi spinge a parlarvene, il fatto che siamo ormai in primavera inoltrata, si cominciano ad intravvedere le prime belle giornate e i primi tepori. Noi cosa possiamo fare per farci trovare pronti ad accoglierle? Che ne dite se accanto al vostro caffe, latte o the trovate pronti dei gustosi e freschi muffin, magari con dei gusti semplici ed allo stesso tempo ”esotici”? Ecco, quindi, cosa ho pensato: muffin al cocco, lime e frutta secca. Sono anche contento di farvi notare che questo dolce è anche piuttosto leggero, non contenendo burro o latte, ma
dell’olio di semi e dello yogurt, in più il cocco, che è composto da sali minerali, fibre e carboidrati. Poi c’è il lime, ricco di vitamina C e proprietà digestive, rendendo il tutto gustoso ma, come ho detto prima, non pesante e sopratutto più genuina. Un mix di ingredienti a salvaguardia della vostra salute. Quindi, tutte caratteristiche che ci possono aiutare a cominciare le nostre giornate nel modo migliore. Veniamo alla ricetta. Uniamo le farine e lo zucchero, misceliamo con uno sbattitore elettrico ed aggiungiamo mano a mano lo yogurt , l’olio di semi, il lievito setacciato, le uova (una alla volta), e per ultimi il succo e la scorza grattugiata dei lime. Riempire gli stampi per 3/4 e terminare i muffin mettendo della frutta secca sulla superficie. Infornare per 30 minuti a 180° nella funzione statico. E...buona colazione
Gabriele Zanini © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ingredienti (per 8 persone) 200 gr farina 00 setacciata 100 gr farina di cocco 125 ml yogurt al cocco 100 ml olio di semi 200 gr di zucchero 3 uova intere 10 gr di lievito succo e scorza di 2 lime frutta secca e stampini.
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PRANzO DEL 25.04.2013
PRANzO DEL 01.05.2013
Orchestra con musica dal vivo “Liscio & Rovescio” “Denis e Daniela”
Orchestra con musica dal vivo “Liscio & Rovescio”
Menù Antipasto misto di montagna
Primi
Lasagna al ragù Risotto asparagi e guanciale
Secondo Arista di maiale al forno
Contorni
Patate al forno
Dolce
Menù Antipasto misto di montagna
Primi
Risotto con julienne di zucchine, zafferano e speck Penne rosè con melanzane e scamorza
Secondo Cacciatora mista alla romana
Contorni
Insalata capricciosa
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Torta ai frutti di bosco Acqua – Vino – Caffè’
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ianeta vino
Sangiovese e Frascati “gioielli” di casa Volpetti www.sensoegusto.com
C
ari amici, da questo numero vi proponiamo una nuova rubrica, che si occuperà sempre di vino, ma in modo diverso. Chiuso il percorso che abbiamo intrapreso con l'enoteca “Bevendo”, nel corso del quale abbiamo avuto l'opportunità di conoscere alcune delle etichette italiane più importanti, ora né intraprendiamo un altro, andando a visitare, di volta in volta, le più interessanti cantine laziali, per conoscere i loro vini, i loro vigneti, la loro storia. Il nostro cammino s'inizierà da un'azienda, la “Cantine Volpetti”, che ha cinquantacinque anni di storia e che sta conquistando sempre più spazio nel difficile mercato vinicolo, dove la concorrenza è spietata, per via di una sovrabbondanza di etichette sia per la linea dei rossi che dei bianchi. Si trova alle pendici dei Castelli Romani, là, dove la collina scende lentamente verso il mare, con il sole sempre “in faccia”. Una posizione ideale, perché i vigneti sfruttano la mineralità del terreno, prevalentemente di natura vulcanica, in più sono accarezzati dal clima temperato delle brezze, che provengono dal mare molto vicino in linea d'aria. Il “deus ex machina” è Mauro Volpetti, aiutato, a livello amministrativo, da Maria Rita. Di professione enologo, Mauro, ha creduto nelle potenzialità di un prodotto che ha nella storia e nella tradizione un ruolo primario, sin dai tempi dei romani, che hanno sempre avuto il culto del vino, sopratutto quello dei Castelli Romani, più volte celebrato dai maggiori poeti dell'epoca nei loro scritti. Si è gettato a capofitto in una avventura, che ora gli sta dando risultati importanti. Non è tutta uva della sua vigna, tiene a precisare con la massima sincerità, parlando del suo Sangiovese o del suo Frascati. I frazionamenti ereditari hanno trasformato la vecchia proprietà di famiglia in uno scacchiere e quindi insufficiente per ricavare una produzione propria, sufficiente per fronteggiare la richiesta. Quindi, Mauro si è affidato a piccoli produttori della zona, che praticamente producono uva per lui. “Sono da oltre trentanni miei fornitori –ci dice- hanno lavorato sempre per me, quei vigneti è come se fossero miei”. Infatti, lui li segue molto da vicino durante tutto il percorso di maturazione, dando, da enologo, le indicazione giuste per una produzione migliore, reimpiantando nuovi vitigni al posto di quelli che danno i primi segnali di stanchezza. Un lavoro costante e attento, sostenuto da una grande passione, che ha permesso alle “Cantine Volpetti” di arrivare a produrre quattrocentomila bottiglie l'anno, che finiscono prevalentemente sugli scaffali della grande distribuzione americana con grande successo, raccogliendo, anche molti consensi nel vecchio continente, oltre naturalmente in Italia. Il merito del successo è stato quello di non aver ceduto di fronte ai richiami del guadagno facile, scaturito da una iperproduzione, come è accaduto a tanti suoi colleghi. Risultato: tanto vino, ma anche tanto scadente, cosa che per decenni ha finito per far scomparire dalle enoteche e sulle
tavole i vini dei Castelli. Mauro ha continuato con la sua politica del “poco ma buono”, uno slogan che gli ha permesso di fronteggiare l'urto della concorrenza. Tre sono i vini di punta dell'azienda, che nelle sue grotte alloggia 70 barriques di rovere americano (legno dai dolci sentori) e francese. In queste piccole botti riposano Sangiovese e Syrah in purezza, entrambe Igt, perché in questo territorio la Doc negli anni è stata concessa soltanto ai vini che portano il nome di un Comune, come Marino, Albano Laziale, Velletri e Frascati e non alle aziende. Questi vini fanno parte della linea “Le Piantate”, cosè come il bianco Chardonnay. Un discorso a parte va fatto per il Frascati, altro prodotto di punta. Per suggellare la qualità di un vino, che vanta un'infinità di imitazione di dubbia qualità, Volpetti è entrato a far parte del Consorzio ufficiale, dando così alla sua bottiglia un marchio di garanzia indelebile. Per conoscerlo e apprezzare la validità della produzione, che comprende anche altre tipologie di vini, le cantine lavorano a “porte aperte” tutti i giorni, tranne i festivi dalle 8 alle 17. Si potranno fare degustazioni di prova e acquistare in loco. Cristiano Bucciero © RIPRODUZIONE RISERVATA
Sangiovese
Frascati
LE PIANTATE
I CLASSICI
TIPOLOGIA Lazio IGT
TIPOLOGIA Frascati Superiore DOC
ORIGINE Lazio
ORIGINE Lazio
VARIETA’ PRINCIPALI Sangiovese
VARIETA’ PRINCIPALI Trebbiano, Malvasia del Lazio, Greco
FORMATI DISPONIBILI 0,75 cl. TEMPERATURA DI SERVIZIO 18-20°C GRADO ALCOLICO 13%
FORMATI DISPONIBILI 0,75 cl. TEMPERATURA DI SERVIZIO 10-12°C GRADO ALCOLICO 12%
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agie di notte
Daiquiri Cocktail... Origine, leggenda ed evoluzione www.sensoegusto.com
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ulle spiagge di Siboney e Daiquiri nelle vicinanze di Santiago de Cuba una miscela simile al Daiquiri veniva offerta dai soldati locali cubani (i mambines) alle truppe alleate americane sbarcate per sopperire al dominio coloniale spagnolo intorno alle fine dell’1800. La miscela chiamata Canchàncharà, era una bevanda composta da rhum, miele e limone diluita con acqua tipica della zona caraibica. Serviva loro, non solo per mitigare la sete, ma anche come stimolante nella rischiosa vita nella boscaglia. Un’altra leggenda riportata dal sito Elfloridita.net, sposta la sua data di nascita pochi anni più tardi, nel 1905, quando l’ingegnere Pagliuchi e il suo team visitarono una miniera di ferro ad est di Cuba, nell’ area mineraria della spiaggia di Daiquiri. Qui chiese al suo collega americano, tale Jennings S. Cox, di poter esplorare le altre miniere della zona per valutare un probabile investimento. Alla fine della giornata, Pagliuchi propose di bere qualcosa. La leggenda narra che Cox aveva a disposizione solo rhum, dei lime e dello zucchero. Miscelarono gli ingredienti in uno shaker con ghiaccio e Pagliuchi chiese: “Come si chiama questo cocktail?”. “Non ha un nome...potrebbe essere un rhum sour”, rispose Cox. Pagliuchi concluse: “Questo nome non è degno di un cocktail così fine e delizioso come il nostro. Lo chiameremo Daiquiri”. Così nacque la ricetta originale composta da 2/3 Rum Caraibico, 1/3 succo di lime, due cucchiaini di miele, acqua e ghiaccio tritato. La versione tipica di questa bevanda usa un rhum molto grezzo, non finito, tipico delle zone Caraibiche. El Floridita e l’incontro con Hemingway Si pensa sia stato Ribalaigua Vert Constantino (Constante) leggendario capo barista de “La Floridita” a riscoprire la ricetta e fare del drink un simbolo della propria Bodequita a l'Avana intorno al 1915. Lo preparava nel blender (frullatore), unendo gli ingredienti, aggiungendo il ghiaccio e quindi frullando tutto per qualche secondo. Il risultato era ed è ancora una sorta di granita dal sapore unico, aspro e dolce nello stesso tempo, dissetante, guarnito con uno slide o spicchio di lime. Il Floridita Daiquiri Frozen si prepara con 2 shots Light Cuban Rhum, ½ shot succo fresco di lime, ¼ shot di succo fresco di pompelmo rosa, ⅛ shot di liquore al Maraschino, ½ shot di sciroppo di canna da zucchero (2:1 sugar/water) Possiamo suppore che questa ricetta del Daiquiri proposto da “La Floridita” sia il predecessore del
Daiquiri Hemingway, poiché Hemingway non arrivò a Cuba prima del 1928. Ernest Hemingway ordinò il Floridita Daiquiri Frozen e dopo averlo assaggiato esclamo’ “…questo è un bere, ma io lo preferisco senza zucchero e con doppia dose di rhum”. Hemingway era affetto da una forma di diabete rara ed ereditaria, da qui la sua avversione per lo zucchero. Hemingway era conosciuto dai cubani come “papa”, per cui, tra i clienti, l’espressione piu usata era quella di chiamare questa versione “Daiquiri like Papa” o “Papa double”. Ultimi Cambiamenti… Qualche anno più tardi, dopo aver ha assunto la posizione di Bar Manager de “La Floridita”, Antonio Meilan aggiunse del maraschino e del succo di pompelmo nella bevanda. Oggi lo zucchero è comunemente anche aggiunto per bilanciare la bevanda e renderla più appetibile. Nonostante i cambiamenti di Melain, il drink col Maraschino è ancora conosciuto come “Hemingway Special Daiquiri”, che prevede 3½ shots Light Cuban rhum, 1 shot succo fresco di lime, 1 shot di succo fresco di pompelmo rosa, ¾ shot di Liquore al Maraschino, ½ shot di sciroppo di canna da zucchero ( 2:1 sugar/water) Giorni nostri Ai giorni nostri, il Daiquiri è un drink alla portata di tutti e con l’unione di polpe di frutta vengono fuori le più svariate ricette di Daiquiri, che prendono poi il nome dal tipo di frutta che si usa. Ad esempio se si aggiunge della fragola sarà uno Strawberry Daiquiri, se si aggiunge del cioccolato sarà un Chocolate Daiquiri. Io, al Bbq Lounge Bar, dove lavoro, mi piace chiamarlo Cardamum Daiquiri perché vi aggiungo dei semi di Cardamomo, che con le sue note di limone aumentano il sentore di freschezza del drink ricordandomi cosi che la primavera è alle porte... Simone Francini © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ingredienti Ricetta Codificata I.B.A. 4.5 cl Cuban Light Rhum 2.5 cl succo di lime fresco 1.5 cl Sciroppo di Zucchero
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l benessere a tavola
Aumentare il metabolismo per vivere una vita migliore www.sensoegusto.com
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ari lettori, credo che oltre a dare consigli dietologici–nutrizionali, lo scopo di un serio professionista sia quello di educare o rieducare i pazienti ad uno stile di vita sano, ad una sana alimentazione per aumentare e prolungare il benessere fisico, come quello di allontanare le patologie correlate ad uno cattivo stile di vita come ad una errata alimentazione. Una dieta equilibrata e completa non ha bisogno di una integrazione esterna. L’apporto di micro e macro nutrienti dovrebbe essere sufficiente a mantenere uno stato di salute. Ma il nostro comportamento, in realtà, ci porta ad avere uno stile di vita scorretto e scompensato, dal punto di vista nutrizionale, per cui si rende necessaria una integrazione. Aumentare il metabolismo è lo scopo di tutti professionisti del settore nutrizionale in tutto il mondo, ma quanto velocemente il vostro corpo brucia calorie e consuma il grasso superfluo dipende da diversi fattori. Alcune persone ereditano un metabolismo veloce. Gli uomini tendono a bruciare più calorie rispetto alle donne, anche durante il riposo (per un sistema ormonale diverso). E per la maggior parte delle persone, il metabolismo rallenta progressivamente dopo i 40 anni. Anche se non è possibile controllare la vostra età, sesso, o la genetica, ci sono altri modi per ottenere una spinta, un'accelerazione nel motore del vostro metabolismo. 1) AUMENTA LA MASSA MUSCOLARE I nostri corpi bruciano costantemente calorie, anche quando non stiamo facendo nulla. Questo tasso metabolico a riposo è molto più alto nelle persone con più massa muscolare. Ogni mezzo chilo di muscolo utilizza circa 6 calorie al giorno solo per sostenersi, mentre ogni chilo di grasso brucia solo 2 calorie al giorno. Inoltre, dopo un periodo di allenamento di resistenza, come una camminata a passo svelto, i muscoli si attivano su tutto il corpo, aumentando il tasso metabolico medio giornaliero. Nelle nuove direttive nutrizionali, alle persone anziane si raccomanda di mangiare in maniera tale da mantenere una massa muscolare idonea ad un buono stato di salute. 2) MOVIMENTO AEROBICO L'esercizio aerobico può non costruire grandi muscoli, ma può mandare su di giri il metabolismo anche per diverse ore dopo un allenamento. La chiave sta nella costanza e nello sforzo quotidiano. Il movimento aerobico non prevede la maratona, ma una camminata a passo veloce, come una nuotata in piscina. Le persone in stato di obesità dovrebbero evitare la corsa veloce, per non gravare su giunture come ginocchia e spina dorsale. 3) BEVI TANTA ACQUA Il corpo ha bisogno di acqua per bruciare le calorie in accesso. Se il nostro corpo non è idratato a dovere, il metabolismo può rallentare. In un recente studio, gli adulti che hanno bevuto otto o più bicchieri di acqua al giorno hanno bruciato più calorie di quelle che ne bevevano quattro. Per rimanere idratati, basta bere un bicchiere d'acqua o altra bevanda non zuccherata prima di ogni pasto e spuntino (8-10 bicchieri di acqua al giorno). Un trucco è di chiedere un bicchiere di acqua prima di un bere caffè. 4) FAI SPUNTINI SPEZZA FAME Mangiare di più può davvero aiutare a perdere peso, ovvero mangiare più spesso e cose giuste, aiuta a perdere peso Quando si mangiano pasti abbondanti con molte ore di digiuno tra un pasto e l'altro, il tuo metabolismo rallenta. Va in riserva. Avere un piccolo pasto o uno spuntino ogni
3 o 4 ore mantiene il vostro metabolismo attivo, facendogli bruciare più calorie nel corso di una giornata. Diversi studi hanno anche dimostrato che le persone che fanno lo spuntino regolarmente, mangiano di meno al momento del pasto. Gli spuntini giusti. Ovviamente. 5) UTILIZZA SPEZIE BRUCIA CALORIE I cibi piccanti contengono composti chimici che possono dare il metabolismo una marcia in più. Utilizzare, per chi lo sopporta, peperoncino rosso o verde può aumentare il tasso metabolico. L'effetto è probabilmente temporanea, ma se si mangiano cibi piccanti spesso, i benefici possono essere prolungati. Per una rapida accelerata al metabolismo, insaporire i vostri piatti o portate con un po' di peperoncino. La capsacina contenuta nel peperoncino rosso, oltre ad essere un antiossidante, aumenta il metabolismo. Infatti, molti integratori alimentari, come cosmetici utilizzano come ingrediente brucia grassi questa sostanza. 6) AUMENTA LA QUOTA PROTEITICA DEI TUOI PASTI Il corpo brucia molte più calorie nel digerire le proteine che per grassi o carboidrati. In una dieta equilibrata, sostituite i carboidrati raffinati con i carboidrati integrali e mangiate cibi ricchi di proteine. Il pasto dovrebbe sempre contenere una quota proteica, per aumentare il metabolismo. Fonti salutari di proteine includono carne magra di manzo, tacchino, pesce, carne bianca di pollo, tofu, noci, fagioli, uova (non più di un tuorlo al giorno) e prodotti lattiero - caseari a basso contenuto di grassi. 7) ANCHE LA CAFFEINA AUMENTA IL METABOLISMO Se bevi qualche caffè durante la giornata, sai che un buon caffè la mattina dà la carica energetica e la giusta concentrazione per affrontare la giornata. Preso con moderazione il caffè, e mai tazzine di caffè ravvicinate nel tempo, può aumentare il metabolismo e supportare la funzione cardiaca. La caffeina è un ingrediente di molti prodotti ad uso estetico, creme, olii e di molti integratori termogenici. 8) IMPARA A BERE THE VERDE Bere tè verde o tè oolong offre i vantaggi combinati di caffeina e catechine, sostanze che hanno dimostrato di mandare su di giri il metabolismo per un paio d'ore. La ricerca suggerisce che, bere 2-4 tazze di the durante la giornata, può far bruciare all'organismo il 17% in più calorie del normale, anche durante un moderato esercizio fisico. 9) EVITA DIETE FAI DA TE E DA FAME Evita quelle diete che dicono di mangiare meno di 1.000 calorie al giorno - sono disastrose per tutti coloro che le seguono sperando di accelerare il loro metabolismo. Anche se queste diete possono aiutare a perdere peso inizialmente, un'alta percentuale della perdita di peso corporea viene dal muscolo. Dopo un pò il corpo va in riserva e non si perde più peso. Si fa la fame ed, appena smesso, si riguadagnano tutti i chili persi, con tanto di interessi. Diffida di chi ti consiglia diete squilibrate, come la dieta dello yogurt, della frutta, della pasta, la micidiale dieta dei fritti e chi ha più fantasia ne metta. Il nostro illustre maestro, molti secoli prima di Cristo diceva, e a ragione:“Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada per la salute" (Ippocrate IV secolo a.C.). Angelo De Martino Dietologo, Nutrizionista, Naturopata, Biochimico, Biologo © RIPRODUZIONE RISERVATA
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a natura nel piatto
Glicine, quel fiore dei pittori buono fritto pastellato www.sensoegusto.com ndando per giardini in giro per l’Europa, sono arrivato alla conclusione che in un giardino che si rispetti non può mancare un pergolato di glicini, talmente è bella la sua fioritura. Questo rampicante raggiunge il suo massimo splendore nel mese di aprile. I fiori sono di colore viola chiaro, ma esiste anche bianco o rosa. Se ben curato, la fioritura si ripete in forma ridotta anche a luglio. Quando , nella mia veste di architetto, progetto l’allestimento di un nuovo giardino, propongo volentieri un rampicante come il glicine per arricchire la scena, soprattutto per formare accanto ad una cucina un angolo ombreggiato per la tavola da pranzo. La
A
struttura deve essere adeguata a sostenere la crescita che è molto vigorosa e può diventare invadente, se non viene controllata con le potature. Il più famoso glicine che conosco si trova in Giappone: nei meravigliosi giardini di “Kawachi Fuji”. Si tratta di una spettacolare galleria coperta da migliaia di fiori, fitti ed eterei allo stesso tempo, pendono in basso nelle loro file precise di colore. Stare sotto ad una galleria cosi suggestiva, fa entrare letteralmente in una dimensione di pace, il luogo ideale per farci un pic-nic fuori dal caos cittadino. Il primo glicine (il suo nome botanico è Wisteria sinesi) arrivò in Europa nel 1816 dalla Cina. A portarlo fu naturalmente un inglese, il capitano Welbank, che una sera di maggio del 1816 si trovò a cena da un ricco commerciante di Guangzhou (Canton). La cena si svolse sotto una pergola di glicine in fiore, che i cinesi chiamano Zi Teng “Vite blu”. Nessun europeo aveva mai visto prima uno spettacolo simile ed il capitano si fece dare alcune piantine che portò in Inghilterra, dandole al suo amico C.H. Turner, appassionato di piante. Nel suo giardino tre anni dopo, nel 1819, fiorì per
la prima volta e da li si diffuse in tutti i giardini del vecchio continente. In Italia si ha notizia della sua esistenza già intorno al 1840. Nelle zone dei laghi, lago di Como e lago Maggiore, se ne trovano interessanti esemplari, i cui rami stracolmi di fiori viola pendono giù fino a toccare l’acqua. I loro fusti volubili ornano facciate di ville in stile liberty, conferendo al paesaggio lacustre un’atmosfera decisamente romantica. Pittori impressionisti come Pierre August Renoir, Monet e Manet, si sono ispirati ai fiori del glicine e le sue lunghe infiorescenze a grappolo. In particolare Monet amava la specie giapponese Wisteria floribunda. Una veduta che non mi stanco mai di vedere nei dipinti di Monet è il suo ponte pedonale giapponese dipinto proprio nel suo giardino personale di Giverny. Monet aveva una grande passione per tutto quello che era giapponese, non è un caso che ha scelto questo stile per il suo ponte che sovrastava il laghetto delle ninfee. Nonostante fosse formato da una struttura semplice, era di grande effetto scenografico. Era circondato da salici piangenti e coperto di glicini. Lo dipinse con frequenza dal 1890 fino al 1920. Sorprende vedere anche una versione in rosso: dipinto nella fase della sua vita in cui stava per perdere la vista. Nei primi dipinti del ponte le tonalità predominanti sono quelle del verde, che si fondono tra loro per creare un’armonia di colori. Ancora oggi il giardino di Giverny esiste e si può visitare, lo consiglio a chi si trova in visita in Francia, nella meravigliosa regione della Normandia. In estate l’ombra di un pergolato di glicini offre sicuramente un buon riparo dal calore estivo e si presta per allestire al disotto di questa lunghe tavolate per mangiare all’aperto. La struttura necessaria a sorreggere le vigorose piante devono essere ben solide, ideali sono i pali di castagno o ancora meglio colonne in pietra sormontate da travetti. Non tutti sanno che il fiore del glicine è commestibile; l’ho scoperto a casa di mio fratello Matteo, vero appassionato di cucina: ha presentato a tavola un’accattivante glicine fritto dorato in pastella, davvero una sorpresa!
Marco Mariani © RIPRODUZIONE RISERVATA
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ode e tendenze
Il boom della sigaretta elettronica
Nasce un nuovo business www.sensoegusto.com arissimi, ci sono molte opinioni contrarie sul fumo elettronico, ma si sa, viviamo in Italia e questo è lo scotto che paghiamo tutti i giorni, anche solo per avere una semplice risposta. Non c'è bisogno di affermare che il fumo fa male ovviamente, ma il vapore acqueo? Da qualche mese vediamo inaugurazioni di negozi in franchising come Ovale, Due Note, Ebreeze, tanto per citarne alcuni, che fanno supporre che questo tipo di strumento si stia divulgando a macchia d'olio. La domanda di molti è solo una: queste sigarette fanno male oppure no? Ho cercato di documentarmi il più possibile, ma la risposta è ancora vaga. Cerchiamo di capire meglio come funziona. L'obiettivo della sigaretta elettronica è quello di "imitare" una sigaretta vera, dando a colui che fuma, sensazioni molto simili a quelle tradizionali, ma senza pericoli e ad un prezzo inferiore. Sta a noi decidere se abbandonare pian piano anche la sigaretta elettronica e smettere del tutto. Il fumo elettronico, pur essendo una nuova tecnologia ancora poco sperimentata in ambito clinico e medico, offre una valida alternativa ai fumatori, rimuovendo la combustione, ovvero il processo distruttivo ottenuto ad alte temperature. E' ovvio, che la cosa migliore sarebbe quella di non inalare altro che aria pura, tuttavia per coloro che hanno dipendenza da nicotina o che traggono piacere nel fumare, la sigaretta elettronica rappresenta un notevole miglioramento della qualità della vita, almeno a mio avviso. Il funzionamento della sigaretta elettronica è semplice. La batteria, la parte finale della sigaretta, fornisce energia all'atomizzatore, posto tra la cartuccia e la batteria stessa. L'atomizzatore scalda il liquido che è contenuto nella cartuccia, questo si vaporizza ed esce dalla fessura posta sulla cartuccia, finendo nella bocca del fumatore. La sigaretta elettronica, quindi, non brucia e non si consuma, non contiene né catrame né
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tabacco. Il liquido è una delle parti principali della sigaretta elettronica. E' progettato per produrre vapore che simula il fumo, evapora in aria per pochi secondi, senza lasciare odore. E' completamente sicuro sia per il fumatore sia per le persone attorno. Quanto al sapore, possiamo variare tra le tante fragranze come quelle all'ananas, alla anguria, all'arancia, o sapori tonici come amaretto, caffè, brandy, cannella oppure a quelli tabaccosi. Insomma, ce n'è davvero per tutti i gusti. Qualche giorno fa sono stata invitata, in un noto locale di Roma, ad assistere alla presentazione di un nuovo "brand" di sigarette elettroniche, il suo nome è Italy Smoking. Due sono state le cose che mi hanno stupita: la prima è stata quella di vedere un modello di sigaretta ultra leggera e dal design accattivante, la “Italy Light 3”. E' stata chiamata così, perché è davvero leggerissima; “3” perché è la terza generazione di sigarette elettroniche lanciate sul mercato. La vera novità della “Italy Light 3” è che non ha bisogno di alcun pulsante per essere fumata. La seconda, è stato vedere allestiti spazi che assomigliavano a negozi, anzi per come sono state concepite, sono sembrate delle vere e proprie “Boutique di Sigarette”. Mobili tecnologici in lamiera, stampe grafiche e foto dar far sembrare questi spazi delle vere e proprie gallerie d’arte, e per finire, è stato previsto l’angolo del caffè con divani e poltrone per accogliere il cliente e provare i loro prodotti. Direi che, per chi ha voglia di investire in questo settore, la Italy Smoking offre soluzioni complete di franchising a costi davvero contenuti e soprattutto “chiavi in mano” con l’offerta del tutto compreso. Insomma, come ci ha riferito il direttore commerciale della Italy Smoking “chi sceglie il nostro target deve solo trovare un locale, a tutto il resto pensiamo noi”. Spero di avervi dato una bella idea su questo nuovo business e magari la prossima “Boutique” ad essere inaugurata sarà proprio la vostra. Mi raccomando, aspetto il vostro invito.
Antonella Lamboglia © RIPRODUZIONE RISERVATA
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edding Day
Vuoi un matrimonio perfetto? Il consulente consiglia www.sensoegusto.com
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l matrimonio, una cerimonia che il tempo non è riuscito a scalfire. Anzi, quello che era il suo cliché abituale (chiesa, ristorante, regali, viaggio di nozze) ha subito numerose evoluzioni. La festa, dal ristorante si è trasferita nelle ville gentilizie, i menu rinnovati e più sofisticati, con tanti angoli degustazione e, in alcuni casi, eccessi di spettacolarizzazione con trovate non sempre di buon gusto. E proprio per evitare che gli sposi possano scivolare sulla classica buccia di banana, Lello Sebastiani, da anni “hair designer”, ha messo in piedi un'efficiente organizzazione di consulenza rivolta a quelle coppie che desiderano che quel giorno sia il “giorno perfetto”. La sua organizzazione lavora sull'avvenimento a 360 gradi, offrendo consigli e servizi su tutto, dagli abiti degli sposi al viaggio di nozze, occupandosi non soltanto degli sposi, ma anche delle necessità delle famiglie. Un compito gravoso, per via delle tante teste da mettere d'accordo, che non spaventa Lello, che ha le idee molto chiare. “Io parto dalla sposa, perché il matrimonio è la sua festa – ci spiega- è la protagonista assoluta. I riflettori e gli occhi degli invitati sono puntati tutti su di lei. L'uomo è soltanto un co-protagonista. Basta pensare ai preparativi e a tutto il suo contorno”. Il suo spazio d'intervento fin dove arriva? “Non ci sono confini, dipende dalle esigenze della cliente. E' lei che li definisce. Io posso partire dall'abito nuziale alla biancheria intima, dall'acconciatura al trucco, dalle bomboniere agli addobbi floreali: questi sono pensieri della sposa. Solo la chiesa e il ricevimento vengono scelti insieme allo sposo. E non sempre”.
Sicuramente una grande molo di lavoro, ecco perché si sente l'esigenza di rivolgersi ad un consulente. “Io non intervengo soltanto per risolvere i loro problemi. Io do' al matrimonio una impronta e alla sposa un suo stile, proprio perché quel giorno sarà al centro dell'attenzione generale”. Dove inizia e dove finisce il suo lavoro? “Il mio primo obiettivo è quello di dare un'immagine alla sposa e proprio per questo, il mio lavoro parte da lei. Le faccio praticamente un “chek up” estetico insieme ai miei collaboratori, cioè truccatori, estetisti, fotografi. Controllo la sua altezza, la tipologia dei suoi capelli, della sua pelle, faccio delle foto sulle quali ci lavoro su per poi partire con il progetto. Naturalmente, dopo aver conosciuto anche il futuro marito. Tutto questo lo faccio gratuitamente, fa parte della consulenza. Saranno poi loro a decidere se vogliono un “wedding planner” completo oppure alcuni servizi. Qualsiasi siano i loro desideri, la prima tappa è l'atelier. Nelle mia equipe c'è un affermato stilista, “Celli Spose” di Frattocchie (nella foto a sinistra un modello della collezione 2013) . La scelta dell'abito è il momento più importante, perché questo deve integrarsi perfettamente con chi lo indossa, e in base al quale, verrà scelta l'acconciatura, il trucco, i colori dell'addobbo e, se vogliamo essere maniacali, anche la “mise en place” della location dove si svolgerà la festa.Io consiglio sempre “Il Borgo di Ariccia”. L'abito però lo sceglie la sposa. “Io offro il mio consiglio, che non è vincolante. Però, se ci si rivolge ad un consulente, è il caso di ascoltare i suoi suggerimenti. Io, che professionalmente sono un disegnatore di acconciature, mi faccio subito un'idea di come potrei pettinare la sposa, anche in base alla sua altezza e alla sua taglia. E sopratutto al suo viso, dove cercherò di mettere in risalto il suo particolare più bello. Poi, su questi elementi le consiglierò su quale abito puntare. Per renderle più chiare le idee, la sottopongo a delle prove di trucco, di acconciature. Le faccio fare delle foto dallo “Studio Clic”, che le daranno gli imput necessari” Fin qui abbiamo parlato della donna. E l'uomo? “ E' subordinato a lei. Anche il suo abbigliamento deve essere in linea su quello della sua futura moglie. Se lei punta su abito frizzante, moderno, corto, eviterei il tight o il mezzo tight, che, invece, sono indicati per un abito classico con lungo strascico. Si tratta di particolari che possono sembrare esagerati. Ma, se si vuole che quel giorno sia perfetto, sono di fondamentali importanza”. Lavorare in un mondo di donne, in questo inserisco, madri, sorelle e amiche, non dovrebbe essere molto semplice. “Io, sull'argomento, ho un pensiero ben preciso: le donne vanno amate, senza cercare di capirle”. Pa.Ca. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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