Gherardi_Aprile 2022

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LETTERA APERTA Luigi Franchi

direttore responsabile

Essere impresa oggi “Qualsiasi attività imprenditoriale può diventare impresa di interesse generale e non lo fa perché è filantropica, ma perché ha capito che il mercato si fa in questo modo”. Le parole pronunciate da Alfonso Pascale, storico dell’agricoltura sociale, a un dibattito nell’ultima edizione di Olio Officina, mi hanno dato lo spunto per riflettere sul ruolo dell’impresa in Italia, soprattutto nell’ambito di cui ci occupiamo professionalmente: il cibo e la ristorazione. In questo numero della rivista, non a caso, la copertina è riservata a un imprenditore che fa della sostenibilità e dell’etica argomenti concreti nella gestione della propria impresa. Agugiaro&Figna, questo il nome dell’impresa di cui Riccardo Agugiaro è amministratore delegato, è un’azienda molitoria che vanta nei suoi processi produttivi ogni passaggio orientato alla sostenibilità: nessun pesticida; farine pulite, senza alcun utilizzo di miglioratori e di sostanze non naturali; stabilimenti che vengono gestiti da anni solo da fonti rinnovabili. E una grande attenzione nel ridare un significato alla parola lavoro. Devono essere così le imprese se vogliamo che questa parola – lavoro – ritorni ad avere un senso positivo. Se non vogliamo più che, come è successo durante la pandemia, si perdano migliaia e migliaia di posti di lavoro per i più disparati motivi, di cui uno, comunque, è il più grave: solo il 5% dei lavoratori italiani è soddisfatto della propria occupazione. Un dato drammatico, registrato da un prestigioso istituto di ricerca, Gallup, che fa il paio con un altro dato significativo: l’Italia è l’unico paese dell’Unione Europea ad aver registrato

un calo significativo, e comunque uno stallo, negli ultimi vent’anni delle retribuzioni da lavoro dipendente. Nella ristorazione non parliamo delle uscite volontarie, 194.000 in un anno! Come si può far ripartire una visione del lavoro che metta al centro la dignità, il desiderio di contribuire, con il proprio mestiere, alla crescita sociale del Paese? Un Paese che, ricordiamolo, ha sempre dato grande importanza al lavoro come elemento di riscatto sociale. Un Paese che ha vissuto un’emigrazione esterna agli inizi del secolo scorso e una interna, negli anni del boom economico, per la voglia di lavorare che avevano le persone e che ne ha fatto la settima nazione industrializzata del mondo. Ecco, quindi, che le parole di Alfonso Pascale acquistano un significato profondo se messe a profitto. Per le imprese di ristorazione adottando criteri di selezione del personale che mettano al centro la strategia di quel determinato ristorante; una strategia di crescita da esplicitare in maniera chiara dove il lavoratore, cuoco o cameriere o lavapiatti, è considerato una persona con competenze importanti, fondamentali per raggiungere gli obiettivi, oppure è considerato, se giovane alle prime armi, un elemento da formare con l’aiuto di tutta la squadra perché saprà ricompensare, quando avrà imparato bene a svolgere questo complicatissimo mestiere. Per ottenere questo, ossia la partecipazione attiva, è utile dare retribuzioni aggiuntive legate ai successi del ristorante a cui ha contribuito l’intera squadra, non obbligare nessuno a fare lavori che non rientrino nelle sue mansioni, organizzare il lavoro su due turni (un bravo maître di sala, durante un pranzo, mi disse che non è bello vedere in sala, dalla colazione del mattino fino alla cena le stesse facce che servono al tavolo, è un fattore negativo che l’ospite sa rilevare), e soprattutto rendere strategica questa partecipazione coinvolgendo le persone che lavorano in quel determinato ristorante nelle scelte per crescere.

luigifranchi@salaecucina.it | aprile 2022

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