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Se fosse un pane comune
“Dateci una mano”. Una delle giovani voci che hanno ispirato questo articolo sul pane ha pronunciato esattamente queste parole al termine dell’intervista. Le riporto perché danno la misura di quanto sta accadendo in alcuni anfratti del nostro Paese.
Ci sono panificatori, spesso giovani, con le idee chiare posate sui polpastrelli, che sanno qual è il rischio di non innovare il mondo del pane in Italia.
Il rischio è che continui ad avere la meglio la mediocrità, lo spreco, e che si perda il rispetto per un alimento che tiene in piedi il mondo da secoli.
Ne avevamo parlato meno di un anno fa, nell’articolo Il pane di oggi e quello di domani, coinvolgendo due ragazzi che stanno coltivando progetti virtuosi e genuini: parlo di Francesco Bonfiglioli (Madré) e Giulia Busato (Tòcio). Torniamo sul tema coinvolgendo altri giovani, altri progetti: uno a Bastia Umbra, uno a Parma, l’altro a Cison di Val Marino (TV).
Lo facciamo proprio nei giorni in cui a Venezia scatta lo scontro tra panifici e baristi: i primi per far ritornare la clientela vogliono introdurre le macchine del caffè, i secondi inveiscono perché non vogliono farsi sottrarre lavoro. Ecco, nel corso dell’articolo - i cui protagonisti sono intrecciati da un filo comune - capiremo che questa è una diatriba inutile. Il tema, per innestare la cultura del buon pane, è tutt’altro.
Alvé a Parma
Dovremmo dirvi che Alessio Rosselli ed Eliana Caggiati hanno cambiato totalmente vita aprendo nel 2018 a Parma una bottega, ricca di eccellenze gastronomiche, ma che poi per un’ispirazione sono diventati anche forno. Dovremmo dirvi che lavorano assecondando i ritmi naturali, utilizzano solo lievito madre liquido, e hanno il laboratorio a vista. Che impiegano solo farine di filiera provenienti da coltivazioni biologiche, prevalentemente macinate a pietra da mulini artigianali, che trattano solo grani italiani.
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Vi raccontiamo, invece, le loro riflessioni sul mondo del pane e i loro accorgimenti per gestire, con gioia, un lavoro complesso e dispendioso, che nasconde grande umanità e presuppone determinazione e ingegno.
“Al mattino apriamo più tardi degli altri forni, anche se arriviamo naturalmente molto presto. Perché apriamo dalle nove? Perché dovevamo trovare un modo di rendere sostenibile la nostra attività anche in termini di orari, avendo anche la bottega. E poi, alla fine, molti ritengono un’opportunità poter venire a ritirare il pane fino a sera, tanti panifici chiudono nel primo pomeriggio. Inoltre abbiamo istituito un calendario settimanale del pane per agevolare la nostra clientela, in modo che possa avere dei riferimenti”.
La loro è un’attività con intenzioni chiare, non solo sul fronte della qualità e dell’organizzazione. Sostenibilità ed etica sono due termini che ricorrono, come sottofondo, alla conversazione con Alessio ed Eliana.
“Le lavorazioni veloci, l’utilizzo di materie prime di scarsa qualità non hanno solo come effetto pratico pani poco digeribili. Si innesca un meccanismo malato: basso costo diventa spreco. Pensate a quanto pane viene gettato ogni giorno. Molti clienti non hanno capito che se il prezzo di un prodotto è basso, qualcuno sta pagando la differenza al posto suo, e non necessariamente in termini economici. Ci sono parametri come l’ambiente, lo sfruttamento delle persone, o l’inadeguato pagamento dei fornitori… che vanno considerati”.
L’altro aspetto, di cui pochi parlano quando si cita il pane, affrontato chirurgicamente da Alessio, è l’abbondanza. “Viviamo in un sistema capitalistico, di iperconsumo, in cui lo spazio vuoto nello scaffale ci mette tristezza. Ma non sarebbe meglio ci fossero più spazi vuoti per far comprendere alle persone che i prodotti hanno un valore e… finiscono?”.
Madamadoré a Cison di Valmarino
Vi capita spesso di essere ospiti a casa di amici e trovare al centro del tavolo un pane che vi ricorderete il giorno dopo e quello dopo ancora? È ciò che mi è accaduto qualche settimana fa. Il pane era quello sfornato da Adamo Faraon, nel suo neonato Madamadorè, un punto vendita con laboratorio collocato nel centro storico del piccolo borgo di Cison di Valmarino (TV).
Adamo ha inaugurato questo sogno dal nome vivace nemmeno un anno fa avvicinando già molti clienti, soprattutto da fuori.
“A fare il panificatore ci sono arrivato per caso” ci dice, poi si corregge: “in realtà per una passione che è diventata una missione. Mi sono innamorato del fatto che fare il pane sia un gesto d’amore. Una pianta muore per dare vita a un alimento, a un cibo. Ma c’è anche il lavoro dell’uomo che fa da tramite”.
“Tante persone inizialmente mi hanno messo in guardia sugli sforzi e ritmi di questo mestiere ma io sono andato avanti, sempre più convinto della strada che sto percorrendo. È un lavoro di responsabilità: ogni giorno devi fare trovare il pane a chi entra in negozio. Ma è una responsabilità che si allarga se vogliamo parlare di quanto il pane rappresenti l’emblema della nostra cultura, del nostro tempo. Sono convinto che se mangiassimo tutti certi panificati, che rispettano l’etica, le materie prime ed evitano sprechi, cambierebbe il mondo. La mia missione è anche quella di veicolare questo pensiero, di educare chi non conosce il mondo del pane ed è andato avanti sempre per abitudine”.
Adamo ci racconta il suo Panifesto, un manifesto che definisce i valori rispettati da Madamadorè: territorio, stagionalità, pochi ingredienti, lunghe lievitazioni.
“Ci sono panificatori che lavorano con gli stessi principi, e non posso che esserne fiero. È molto difficile però abbattere alcune resistenze, quando si tratta di pane sono particolarmente radicate. Cerchiamo di avvicinare le persone facendo provare, spiegando che questo pane è buono per giorni, è molto digeribile, e non per ultimo cercando di incuriosirli con i nomi”.
Il Pane Nostro (la versione di pane quotidiano, integrale), Sole (con grano duro siciliano), Olly (all’olio extra vergine di oliva), Madamadorè (include tutte le farine utilizzate negl altri impasti): sono le principali sfornate di Adamo, che anticipano con espressioni originali qualcosa di buono e duraturo nel tempo.
Ora Forneria a Bastia Umbra
Alcuni ristoratori hanno capito che si può fare del bene prendendo il pane da fuori, si crea indotto. Così accade da Luce Ristorante a Perugia. Qui viene servito il pane di Ora Forneria, un piccolo panificio aperto da meno di un anno, in una delle viuzze di Bastia Umbra. Appena lo si mette in bocca ci si domanda da dove provenga quella pagnotta dal profumo denso e sincero.
La risposta arriva da Federico Gori, proprietario di Luce: “lo fanno i ragazzi di Ora Forneria, Riccardo Raspa e Carlo Massucci”
Sono amici da vent’anni. Riccardo ha trascorsi come pa- sticcere e cuoco, Carlo lavorava in un’agenzia di comunicazione ma da tempo ha sviluppato un grande interesse per i panificati.
“Il nostro pareva un sogno utopico. Invece, dicendoci ORA o mai più, ce l’abbiamo fatta” ci confessa Carlo. “Abbiamo aperto un forno che dietro ha un pensiero molto diverso di In Umbria, come nella maggior parte delle regioni italiane, negli ultimi decenni ha avuto la meglio il pane a lievitazione breve, ottenuto da lievito di birra. Siamo andati in un’altra direzione ripescando come altri nostri colleghi il modo antico di fare il pane, puntando però sulle conoscenze attuali. Vogliamo un pane ricco, che duri nel tempo. Facciamo lunghe lievitazioni, partiamo dal lievito madre e miriamo a sostenere una filiera corta, cortissima. Perché il rapporto intimo con il produttore crea identità e fa bene al territorio”.
Entrambi non nascondono le difficoltà iniziali, le prime settimane dopo l’apertura sono state toste.
“Scardinare un’abitudine non è semplice. Il pane per molti è routine. Piano piano siamo entrati nel cuore delle persone e, anche se qui non trovavano il riferimento, ossia il pane a cui erano abituati, ora hanno cambiato il loro modo di scegliere e consumare. Acquistano meno e gestiscono meglio il prodotto”.
Anche la ristorazione, come abbiamo evinto dalle storie precedenti, può fare molto rivolgendosi a questi forni e insegnando al cliente perché quel pane ha un costo, per esempio. Riccardo e Carlo ci raccontano una particolarità proprio del rapporto con la ristorazione.
“Lavoriamo con diversi ristoranti anche con prodotti su misura, come con Luce, con cui abbiamo sviluppato una versione speciale del nostro pane, sfornata una volta a settimana, che ha sapori, odori e consistenze ragionate insieme”.
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Bisogna fondare la cultura del buon pane, affermare le filiere sane, non cadere nella trappola della comodità. Chi ha detto la sua in questo articolo sta lavorando nella giusta direzione ma anche noi, nel nostro, abbiamo il dovere di pensare un po’ di più al pane. E rendere gli utili concetti espressi qui sopra in un pane comune.
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