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Maria Grazia Soncini: un cuore rock nella Capanna di Eraclio
«In cucina amo mettere le mani, toccare, perché il mangiare lo fai anche con le mani. Un giorno, mentre stavo cucinando i germani, le mie mani erano le mani di mia mamma. È stato un momento bellissimo, una grande emozione, ho pensato: c’è continuità!»
Fin da piccola gli ascolti di Maria Grazia Soncini potevano spaziare da Nilla Pizzi, al Festival di Sanremo, al rock, alla musica classica. Da ragazza aveva un fidanzato di Jolanda di Savoia, suo compagno per tanti anni, che suonava il pianoforte, la fisarmonica e gli organi in chiesa in occasione dei matrimoni. Correvano gli anni Settanta, lui suonava anche in quelli che allora si chiamavano ‘i complessi’ e lei girava assieme a questi orchestrali. La musica si ascoltava alla radio o sul giradischi, long playing o 45 giri. Il suo primo 45 giri fu Yellow River di Christie, aveva appena fi- nito le medie e andò a comprarlo a Mezzogoro con uno scooter preso in prestito da un’amica. Il secondo fu In the summertime dei Mango Jerry. Come tutti i ragazzi ogni pomeriggio alle quattro ascoltava Per voi giovani condotta da Renzo Arbore su Radio Due.
Con la promozione in terza media ricevette in regalo dei genitori un giradischi Philips. Al liceo, dove ha avuto un insegnante che le ha fatto amare il latino, arrivava sempre mezz’ora prima con il Grundig portatile per ascoltare Barry White, You’re the First, The Last, My Everything.
Ha amato Le Orme, la loro canzone Gioco di bimba che si trovava in tutti i jukebox:
Dondola, dondola il vento la spinge Cattura le stelle per i suoi desideri.
Un’ombra furtiva si stacca dal muro: Nel gioco di bimba si perde una donna.
Era la canzone dei primi ‘fuochi’ al liceo, quando marinava la scuola per ritrovarsi in pizzeria dove c’era il juke-box.
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Nel ‘75 si è iscritta a medicina col suo compagno e andarono a vivere insieme a Ferrara. Lei aveva 19 anni, fu un piccolo scandalo a Jolanda. Venerdì, sabato e domenica però tornava alla Capanna. La cucina stava diventando interessante per lei e i suoi genitori cominciavano a lasciarle un po’ di spazio. Si inventava gli antipasti, allora non cucinavano il pesce ma proponevano i salumi che faceva il babbo e i prosciutti indimenticabili che andava a comprare a Langhirano. Preparava l’insalata russa nelle ciotoline gialle Bormioli.
Era l’ultimo mestiere che avrebbe voluto fare perché non lasciava la libertà che avevano gli altri ma col tempo si è accorta di essere stata una privilegiata perché la cucina le ha insegnato il senso del dovere, a stare lì con la testa anche se non vuoi, perché quello che devi fare lo devi fare bene.
Il suo posto in cucina se l’è conquistato piano piano, perché sua madre è stata molto dominante, fino a 87 anni. Anche negli ultimi anni non mollava la sua postazione in cucina e alla brace, e quando Maria Grazia le diceva «mamma, ti do una mano» lei rispondeva «lasa star ke ti’ at ga’ da far» (lascia stare che tu hai già da fare).
La facoltà di medicina cominciò a frequentarla saltuariamente, in casa avevano un pianoforte mezza coda e ogni sera il loro appartamento si trasformava in jazz club. Ancor oggi sente il privilegio di avere vissuto immersa nella musica. Il suo primo concerto dal vivo fu quello di Emerson, Lake & Palmer a Bologna. Con il suo compagno ascoltava di tutto, Deep Purple, Black Sabbath. Beatles o Rolling Stones? Tutti e due ma con una propensione per gli Stones perché a quei tempi i Beatles li considerava un genere melodico.
Maria Grazia porta con sé la colonna sonora della sua vita assieme al fatto di essere nata sopra al ristorante e di avere visto la mamma e il papà sempre intenti a cucinare, con ingredienti provenienti dal circondario, alcuni forniti dal papà cacciatore. Per quello fin da quando ha cominciato a lavorare in cucina non ha mai cercato prodotti strani, non sono mai stati nelle sue corde. Ha senso parlare di tradizione? La tradizione è un’innovazione ben riuscita, diceva Oscar Wilde. Pos che faceva sua mamma, e la cucina di casa rimanda ai pranzi in famiglia, a un modo di vivere che fa star bene la gente, che genera ricordi nel tempo che verrà, sapori di cibo “affettuoso” che desideri rimangiare. E i loro clienti vogliono ritrovare quel clima, profumi e sapori di un pranzo della domenica. Ecco, tradizione è la voglia di fare stare bene i clienti, di farli sentire a casa. La Capanna è lì dal 1922. È stata osteria, tabacchi, alimentari e pure sala da ballo. I suoi hanno cominciato a farci da mangiare nel 1962. Nel menu a quei tempi c’erano i prodotti di valle, anguille, selvaggina, rane. La trattoria lavorava soprattutto a pranzo facendo 50-60 coperti, ed erano Eraclio e la Vanda da soli con l’aiuto di una ragazzina di 15 anni, Ritón, perché era un po’ grossa la Rita. Venivano a pranzo soprattutto operai che lavoravano in zona, la gente non usciva la sera se non nel fine settimana e arrivavano in gruppo, mai coppie da sole. Il pesce cominciò ad occupare spazi importanti in menu solo nella seconda metà degli anni ’70. Maria Grazia è nata in quella cucina, come suo fratello Pierluigi, e ha sempre visto la mamma e il papà cucinare. La sua prima pratica è stata l’apprendimento passivo. Quando la domenica mattina lei e suo fratello vedevano arrivare la Seicento dei ranari che portavano 15 o 16 kg di rane, spettava a loro pulirle. I bambini avevano un loro ruolo in cucina: sgranavano i fagioli, i piselli, pulivano il radicchio, le cipolline. Vivere in cucina è sempre stato come avere una vita parallela. Come in un circo, vivi nel tuo tendone e convivi con la vita che c’è fuori, e sabato e domenica si lavora. La domenica pomeriggio andava al cinema in corriera e per il ritorno andavano a prenderla dei clienti a Jolanda. La Capanna è sempre stata una famiglia allargata ai clienti.
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Le guide hanno sempre trattata bene questa trattoria. La stella Michelin è arrivata nel 1999: “Era una notizia inaspettata, la stella Michelin proprio a noi che assieme alla trattoria Amerigo di Alberto Bettini siamo i due locali decisamente più anomali rispetto all’idea che gli italiani hanno degli stellati”. Nonostante quel prestigioso riconoscimento la Capanna è rimasta sempre quella di prima. Pensate, due stelle nelle valli, loro e Igles Corelli.
Nel salutarci, chiedere a Maria Grazia quale sia la favorita fra le sue preparazioni è come domandare a un bambino se vuol più bene alla mamma o al papà. Alla fine cede: il piatto che oggi sente più vicino è un calamaro scottato nella padella di ferro e messo su un po’ di polenta bianca che da sempre rappresenta la compensazione alla fame. Ovviamente ci vuole una materia prima di grande livello e la padella in ferro porta come risultato quel dolce-amaro che quando metti in bocca un pezzo di calamaro fa pensare: caspita senti che sapore che ha! Oppure, come diceva suo padre: “Senti che amor che ’l gà”, Bastano due granelli di sale e un po’ di pepe nero profumato e un goccio di olio della Pace di Monte Canneto di Enrico Gurioli e allora è soddisfatta di quello che ha ottenuto. Piace a lei e la sua cucina è la condivisione delle cose che le piacciono.
La musica adatta per mangiare quel calamaro? Chicago, Saturday in the park, perché è un brano che esprime serenità.
Chicago: Saturday in the park
Il prodotto
Autrice: Giulia Zampieri