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Amodo, la rete dei ristoranti etici
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Autrice: Giulia Zampieri www.cucinateochef.it foto: Leo Sanzo
Parlare di carne oggi
I cultori della carne sono preoccupati se dovesse arrivare la carne coltivata in Italia?
Ne parliamo con Matteo Zanus, in arte Teo Chef
Mentre leggo Aglio e Zaffiri di Ruth Reichl - autentica goduria per chi è appassionato di critica gastronomica - penso a quanto in questi dieci anni sia cambiato il modo di comunicare, cucinare, selezionare (e produrre) gli ingredienti.
Siamo arrivati a punto che pareva fantascienza: in cui si sviluppa carne alimentare a partire da cellule staminali.
Ecco, mentre sfoglio quelle pagine della Reichl che sembrano raccontare una storia di un altro secolo, in cui alcuni termini non erano contemplati, e sicuramente l’edonismo prevaleva su interrogativi etici, Matteo Zanus (in arte Teo Chef) mi allunga un manzo in cheviche con friggitelli e succo di carota. Un piatto freschissimo in cui lo scamone, seppur abbinato a ingredienti di tono, è protagonista. Non c’è nemmeno il sale, ma è straor- dinario. Chissà da dove viene e come lo hanno scelto, mi domando.
Quel giorno avevo letto almeno tre articoli che discutevano - un po’ alla rinfusa - dell’avvento della carne coltivata. L’occasione perfetta per discuterne con Teo.
Ma cos’è Teo Chef?
Per alcuni è un locale di tendenza. Chi lo conosce lo definirebbe un covo di convergenza gastronomica Un melting pot di tecniche e ingredienti prelevati da vari angoli del pianeta, posizionato nel centro storico di Bassano del Grappa.
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La musica è in linea e batte in testa mentre ci si perde a guardare i libri sugli scaffali, gli oggetti infilati nelle insenature delle pareti, la gigantografia del maiale con tutti i tagli in vista.
Non c’è mai fretta qui. Matteo e i suoi ragazzi si fanno in quattro (come i menu che escono puntuali a ogni stagione) sempre più originali ed esterofili. Mettono insieme materie prime stanate con ardore e tecniche orientali, meso americane, nordiche, senza trascurare il culto del barbecue a cui è riservato un ruolo speciale. Di tutto questo potremmo parlare per ore… ma torno allo scamone.
Come si risponde a un possibile cambio di paradigma
La sensibilità di Teo sulla carne, in un momento in cui c’è un ciclone di verità e non verità, informazione e disinformazione, è inamovibile e rassicurante. “Non temo l’avvento della carne coltivata o sintetica, come potrei dirti che non mi preoccupa il metaverso. Eppure il tema carne è centrale in questo locale, è il nostro focus. Penso che ci siano delle fasi di assestamento nella cultura e nelle scelte alimentari. Per esempio, il veganesimo: chi sceglie questo stile alimentare oggi ha trovato la sua collocazione, sa dove andare a mangiare, trova le insegne in cui può mangiare e bene. Prima veniva guardato con disprezzo e diffidenza e sicuramente con un locale come questo non ci andava a nozze. Qui facciamo carne, la scegliamo e la lavoriamo con attenzione cercando di valorizzarla e valorizzare il produttore. Siamo felici di ciò che facciamo e la clientela risponde con entusiasmo. Chi vuole altro sceglie un altro tipo di ristorazione, non sbraita qui dentro”.
A proposito di fornitori, e produttori, aggiunge: “Lavoriamo solo con chi si relaziona e lavora in un certo modo con gli animali. Penso alla Macelleria Borgato per la carne equina, con cui collaboriamo su fiducia totale. Non faccio nemmeno più l’ordine, ci pensa Nicola in base al prodotto migliore che ha a scegliere cosa portarmi. Ecco, come posso pensare al mio lavoro senza queste relazioni? Fare il ristoratore significa portare a compimento più filiere, non possiamo pensare che gli attori del mercato si contino sul palmo di una mano né che tutti acquistino il medesimo prodotto, né che spariscano aziende come quella di Nicola”.
Molti però credono che solo avendo l’orto e l’alleva- mento di proprietà si possa essere davvero sostenibili. Ma non è utopico? È questo il modo giusto per convertire un sistema che ha portato gravi danni? Discutiamo anche di questo con Teo.
“È estremamente difficile pensare che oggi tutti i ristoratori possano avere l’allevamento e l’orto fuori dal proprio ristorante. Lavoriamo con un mercato aperto e globalizzato, in cui saper scegliere è fondamentale, nella carne come nelle verdure e nel pesce. Quindi farei più leva sulla responsabilizzazione nelle scelte, che per noi sono dettate da disponibilità, metodo, gusto e stagionalità”.
Gli domando anche se il cliente riesce a comprendere il valore delle scelte del ristoratore in materia di carne.
“Anche il cliente sta cambiando il suo interesse. Però bisogna comunicare, creare curiosità, e far capire quanto pesa, in termini di costo, energia, etica, la tua scelta rispetto agli altri”.
Tra nuove correnti e gap organolettici
A questo punto, parlando di carne coltivata (che alcuni, erroneamente, chiamano sintetica), si potrebbe aprire un dibattito sul mangiare al ristorante e il mangiare a casa. Teo invece rimane sul primo, rimarcando l’evoluzione positiva percorsa da molti ristoratori negli ultimi anni.
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“Già da qualche tempo tanti ristoratori premiano chi fa la carne bene - aggiunge Teo - infrangendo le precedenti tendenze, impiegando per esempio bestie vecchie perché con l’anzianità l’animale guadagna in sapore, massa, sapidità. Alcuni movimenti come il World’s 101 Best Steak Restaurant hanno dato una forte spinta sul ri-orientamento delle scelte dei locali e dei cultori della carne, favorendo correnti più etiche e rispettose e una maggiore qualità”.
Oltre all’etica, vanno considerati anche gli aspetti organolettici
“A parer mio la carne coltivata sarà sempre e comunque diversa da quella ottenuta da un animale come il bovino irlandese, che si alimenta con erba fresca impregnata di note saline per via delle correnti dell’oceano. Quel bovino ha una carne tenace, con particolari sentori e sfumature. Sarà anche differente da un Black Angus del Nebraska, alimentato a fieno e cereale affinato, che pascola su distese lunghe. La sua carne diventa dolce, piaciona. Insomma credo che ci sarà sempre e comunque una differenza sostanziale tra carne da animali allevati secondo certi criteri e carne prodotta in laboratorio… E inoltre che non ci si possa permettere di perdere una cultura che sta trovando un equilibrio nuovo, sicuramente più compatibile con il pianeta rispetto alle modalità intensive”. Anche se scienza e tecnologia non smettono mai di stupirci, non possiamo sapere ora come si evolverà la produzione della carne coltivata. Ma c’è da interrogarsi su tutti questi temi insieme. Parlare con chi lavora in questo settore è il primo passo per sviluppare un pensiero autonomo e contemporaneo, quando il tempo sarà maturo. Forse mai come in questo periodo chi scrive di cibo e chi è in cucina ha l’obbligo di dialogare. Copriamo due spazi sovrapposti. Non è guardandoci dal basso verso l’alto, perseverando sulla critica gastronomica, sulle sfilate e le classifiche, sulle parole dette senza cognizione di causa, sulle discussioni sgarbate, che si darà una risposta vera e comprensibile al cambio di paradigma.
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